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Thursday, July 24, 2025

LUIGI SPERANZA, PEL GRUPPO DI GIOCO DI H. P. GRICE, "GRICE ITALO" A-Z D

 

Luigi Speranza -- Grice e Damocle:  la ragione conversazionale e la spada e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a Pythagorean. Grice: “Not to the confused with the infamous one with the sword.” Damocle. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Damocle,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Damone: la ragione conversazionale all’isola con Fintia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A Pythagorean. According to Giamblico di Calcide, when Dionisio di Siracusa condemns D.’s friend, Fintia di Siracusa, to death, Fintia asks for time to arrange his affairs, saying D. will stand hostage for him while he is away. Dionisio is amazed when D. agrees to the arrangement, and even more amazed when Fintia duly returns at the end of the day to accept his punishment. Dionisio is so impressed that pardons Fintia, and asked the pair join their sect – but they turned him down. Damone. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Damone,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Damostrato: la ragione conversazionale e i paradossi dei filosofi -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. D., or Demostrato. Roman senator. A historian as well as an authority on fish and fishing. Said to be, like Grice, particularly interested in paradoxes and is regarded by some other philosophers as a philosopher. Demostrato. Damostrato. Keyword: paradox. Luigi Speranza, “Grice e Damostrato: le paradossi dei filosofi” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Damotage: la ragione conversazionale e  diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice: “In the old days, surnames were not felt to be necessary; but then, with a first name (if not Christian) like ‘Damotage’ – would YOU care?”. Luigi Speranza, “Grice e Damotage” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dalmasso: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della giustizia nel discorso – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filoofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. Hegel e l’Aufhebung del SEGNO. L'implicatura del noi duale. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema della filosofia di D. ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’interiorità nella so­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma (animatum) ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos (la ragione), il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so “nous,” cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (uno, bene o atto che sia).  Grice e D. scel­gono di leg­ge­re Bradley e Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da loro in­te­res­si di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to – e l’intersoggetivo -- di tale sa­pe­re. Su un ‘noi’ duale, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo di due anime. Sa­pe­re su di un noi duale è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un noi duale chi, che sono in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria.  Il testo, di cui Bradley propone al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi dalla “Psi­co­lo­gia razionale”della Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’En­ci­clo­pe­dia. A dif­fe­ren­za dell’“an­tro­po­lo­gia”, in cui due a­ni­me sono con­si­de­ra­te come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (le due anime con­si­de­ra­te come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­le due anime con I due corpori, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.) la Psi­co­lo­gia non è scien­za delle due a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­le due a­ni­me, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Bradley e Hegel, ‘scien­za’, Wis­sen­schaft, ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia (‘regina scientiarum) è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. La filosofia e la regina scientiarum, la scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te “spe­cu­la­re” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo com­men­ta­to da Bradley, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”. La psi­co­lo­gia filosofica o razionale non è scien­za delle leggi delle anime o psi­chai, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi delle anime o delle psi­chai.  I testi che sono og­get­to del com­men­to di Bradley sono, come Bradley nota, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re Bradley fa qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per i ‘tuttee’. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do filosofico di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel explicitamente communica. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo ‘segnato’ posse appare in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del tutee, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale segnato. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nel com­men­to di Bradley. Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe.  Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re. Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va, ma intersoggetiva. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to, “in­so­fern ist end­lich,” nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e — che è la stes­sa cosa — perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te. A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità o “Realität” di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re.  C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci era in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le.  La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo. Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po (“Ent­wic­klung”) nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re — de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te,” e per fine, “Zweck” il ra­zio­na­le, “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il ri-em­pi­men­to og­get­ti­vo, “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen,” e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il suo. Il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le. Il sapere a un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo. Esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività e l’intersoggetivita che la con­di­zio­na­ come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo gli spi­ri­ti  di­vie­neno come spi­ri­ti li­be­ri, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità. Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della psi­co­lo­gia filosofica o razionale come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za delle anime che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi delle anime.  Il per­cor­so dei spi­ri­ti che si sfor­zano di co­no­sce­re se stes­si, che tentano di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della lor libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà. Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé. La stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per i sog­get­ti (l’intersoggetivo) e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e di suoi sog­get­ti come etico, pra­ti­co, i sog­get­ti del sa­pe­re si di­bat­teno «in una bi-lateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che i sog­get­ti fano di sé come suoi e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne. Le libertà dell’anime è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui i sog­get­ti del sa­pe­re co­no­sceno il loro es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il loro co-fare (co-operare) im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e le loro im­ma­gi­ni. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and Intelligence” – Signs). Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  Le in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­dano ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, poneno il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel loro pro­prio spa­zio e nel loro pro­prio tempo. In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla dualità astrat­ta ri­spet­to all’altro soggetto, in quan­to essa è ac­col­ta nella dualità del­ noi. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è l’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé “tran­s-eun­te”,  nomade, da una anima ad altra anima, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio, il Quan­do e il Dove, del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co-­scien­za e l’es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche i sog­get­ti e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del pozzo not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro” d’AGOSTINO. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di “re-­praesentatum,” il rappresentato, entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di “me­mo­ria,” come stato temporario totale, è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo. L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e IL RAPPRESENTATO che le ap­par­ten­go­no. Essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to. Essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne SIMBOLIZZANTE, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ne im­ma­gi­na­ti­va più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, e an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to inter-sog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un es­ser­ci a IL RAPPRESENTATO, pro­vie­ne dal tro­va­to, “dem Ge­fun­de­nen,” del­l’in­tui­zio­ne. Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’inte-rsoggetività. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne, un ‘trans-latum.” È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne (“trans-latum”) che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne (trans-latum) del fuori nel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come un “universale”, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le, “dem nun­meh­ri­gen Punk­te,” a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­to-in­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa es­se­re, cosa, il reale. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa cosa, si fa il reale. Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca, “aus­sernd,” pro­du­ce, “pro­du­zie­rend,” in­tui­zio­ne. E fan­ta­sia che si espri­me in un “SEGNO” -- “ZIECHEN ma­chen­de Phan­ta­sie,” token-making fantasy – fantasia che fa SEGNO, fantasia che SEGNA.—L’intelligenza e fantasia che SIGNI-fica. L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­si. Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si scien­ti­fi­ca delle anime. Una anima, A, SEGNA, l’altra, B, passivamente CAPISCE.  Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri-­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues. At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e “SEGNO” (ZEICHEN – inglese ‘TOKEN’ --, la fantasia che fa SEGNO, la fantasia che SEGNA –SIGNI-FICA), scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra i sog­get­ti e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’u­ni­ver­sa­le e l’es­se­re, il pro­prio e il tro­va­to, l’in­ter­no e l’ester­no – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna -- sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il POZZO in­de­ter­mi­na­to e come l’u­ni­ver­sa­le, bensì è come sin­go­la­re, cioè come inter-soggettività CONCRETA nella quale l’­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come es­se­re sia come universale.L’in­tel­li­gen­za è inte-rsoggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia con-divisa. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung. Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del pro­prio e del­l’in­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to. In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mina a verità anche il con­te­nu­to. Nell’ “An­mer­kung” suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne, e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­ es­sen­te, si fa­ cosa, si fa il reale. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce. L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è inter-sog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è NEL SEGNO (ZEICHEN, inglese‘token’) che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità – “ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit.” Nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel “SEGNO” (Zeichen, token) è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come “SEGNO” (Zeichen, token), non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li. Ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi -- che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne. Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come un SEGNO (Zeichen, token). L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è IL SEGNO (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non nostro so­vra­sta e spiaz­za nella forma di IL SEGNO (Zeichen, token), non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una RA-PRESENTAZIONE -- rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma -- “selb-ständiger Vor­stel­lung,” e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato – “ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes” -- per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni. In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di RA-PRESENTARE -- rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’IMMAGINE che ha ri­ce­vu­to entro sé una RA-PRESENTAZIONE -- rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, IL SUO SEGNATO. Que­sta in­tui­zio­ne è il SEGNO (Zeichen, token). L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del SEGNO (Zeichen, token). Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui IL SEGNO (Zeichen, token) co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta.  L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le -- “ge­ge­be­nes und raum­li­ches” -- una volta IMPIEGATA COME SEGNO (Zeichen, token) ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za. Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un SEGNO (Zeichen, token), è di es­se­re un es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re -- “Ver­sch­win­den” -- del­l’es­ser­ci men­tre l’es­ser­ ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria, an­tro­po­lo­gi­ca, del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono, “Ton,” cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si. Il “tono” che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista del rap­pre­sen­tato de­ter­mi­na­te è il di­s-cor­so –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un si­ste­ma del di­scor­so è la communicazione – CO-MUNIO. In que­sto am­bi­to il “tono” con­fe­ri­sce a una sen­sa­zio­ne, una in­tui­zio­ne e un rap­pre­sen­ta­to  un *se­con­do* (duale) es­ser­ci, più ele­va­to del­l’es­ser­ci im­me­dia­to. In ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va – che RA-PRESENTA. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come SEGNO (Zeichen, token), ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa – “ZU EINEM ZEICHEN GEBRAUCHT WIRD, DIE WESENTLICHE BESTIMMUNG NUR ALS AUF-GEHOBENE ZU ZEIN. In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da due sog­get­ti se non nella forma del dopo, un di­le­gua­re del­l’es­ser­ci men­tre es­ser­ci è. Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel “tono,” suono ar­ti­co­la­to. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so --“Rede”, inglese ‘Read’ -- e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua -- Spra­che, inglese ‘Speak’ -- e la communicazione – COM-MUNIO. A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to all’espressione, IL VERBUM – LA LOQUENZA -- la pa­ro­la, al logos in quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, DETTO -- dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel “Cratilo” di Pla­to­ne, anche in Hegel l’espressione come SEGNO è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le. Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della «Psi­co­lo­gia» nella se­zio­ne sullo «Spi­ri­to sog­get­ti­vo», anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti. Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, Mi­la­no, Ru­sco­ni) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. “Hegel e l’Aufhebung del segno.” L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne Il tema di que­sto col­lo­quio ri­guar­da la do­man­da ori­gi­na­ria. Do­man­da e ori­gi­ne sono pro­ble­mi del pen­sie­ro che, fin dal­l’i­ni­zio della fi­lo­so­fia, non co­sti­tui­sco­no un ap­proc­cio di con­trol­lo e di do­mi­nio del­l’e­si­sten­za, quan­to piut­to­sto un ri­pie­ga­men­to su sé stes­si che si in­ter­ro­ga sulla pro­pria ge­ne­si. In ter­mi­ni meno esi­sten­zia­li e più an­ti­chi tale que­stio­ne oc­cu­pa il posto del­l’a­ni­ma. Dalla con­sa­pe­vo­lez­za del­l’in­com­be­re della morte nel primo sta­si­mo del­l’An­ti­go­ne al co­sti­tuir­si, per così dire, di un’«interiorità» nella So­fi­sti­ca e in Pla­to­ne, l’a­ni­ma ha fun­zio­na­to come prin­ci­pio ori­gi­na­rio in una forma di­ver­sa che il do­mi­nio. Prin­ci­pio che an­no­da e che ma­ni­fe­sta, se­con­do vie non solo im­me­dia­te e spe­cu­la­ri, il logos, il noein come co­no­scen­za e mi­su­ra di un or­di­ne. Quan­do il nous, at­tra­ver­so Ari­sto­te­le, ac­qui­sta tutto il suo svi­lup­po con­cet­tua­le e stra­te­gi­co, nel pen­sie­ro tardo-​an­ti­co, a par­ti­re da Plo­ti­no, l’ anima ri­ma­ne ed è ri­ba­di­ta come il luogo e il ve­ni­re a co­scien­za del rap­por­to con lo stes­so nous, cioè con il for­mu­lar­si del­l’o­ri­gi­na­rio (Uno, Bene o Atto che sia). Scel­go di leg­ge­re Hegel. Scel­ta mo­ti­va­ta da miei in­te­res­si at­tua­li di ri­cer­ca, ma anche, più am­pia­men­te, dall’attualità di un lin­guag­gio che è in grado di ri­for­mu­la­re que­stio­ni sul­l’as­set­to mo­der­no del sa­pe­re e sul sog­get­to di tale sa­pe­re. Su un io, che, nella espli­ci­ta stra­te­gia he­ge­lia­na, ar­ti­co­la e rad­dop­pia il ruolo del­l’a­ni­ma. Sa­pe­re su di un io è co­mun­que per Hegel un sa­pe­re sulle strut­tu­re di un chi, che è in grado di for­mu­la­re una do­man­da ori­gi­na­ria. Il testo, di cui in­ten­do pro­por­re al­cu­ne note es­sen­zia­li di com­men­to, ri­guar­da i pa­ra­gra­fi della “Psi­co­lo­gia”, se­zio­ne della “Fi­lo­so­fia dello Spi­ri­to” con­te­nu­ta nella edi­zio­ne dell’ “En­ci­clo­pe­dia.” A dif­fe­ren­za dell’ “An­tro­po­lo­gia”, in cui l’a­ni­ma è con­si­de­ra­ta come l’a­spet­to im­me­dia­to della vita dello spi­ri­to (anima con­si­de­ra­ta come il sonno dello spi­ri­to, pro­ble­mi del rap­por­to del­l’a­ni­ma con il corpo, que­stio­ni del sonno, della ve­glia, delle sen­sa­zio­ni ecc.), la Psi­co­lo­gia non è scien­za del­l’a­ni­ma, ma scien­za del sa­pe­re in­tor­no al­l’a­ni­ma, cioè scien­za ve­ra­men­te tale, nella sua por­ta­ta con­cet­tua­le. Per Hegel scien­za – “Wis­sen­schaft” -- ogni scien­za, e so­prat­tut­to quel­la scien­za mas­si­ma­men­te ri­go­ro­sa che è la fi­lo­so­fia, è scien­za sem­pre di se­con­do grado: scien­za che con­trol­la e che ha come og­get­to la sua stes­sa ge­ne­si. Scien­za che mi­su­ra il ne­ga­ti­vo ri­spet­to al suo as­sun­to e al suo stes­so me­to­do, scien­za che è in grado di smar­car­si dal piano del suo stes­so sa­pe­re e di com­pren­de­re il rap­por­to di­na­mi­co, ge­ne­ra­ti­vo e mai astrat­ta­men­te spe­cu­la­re, in cui la co­no­scen­za si co­sti­tui­sce. Così, nel caso del testo che stia­mo per com­men­ta­re, i con­te­nu­ti della psi­co­lo­gia he­ge­lia­na sono cu­rio­sa­men­te tutti di­ver­si da quel­li che nel­l’as­set­to della fine del­l’Ot­to­cen­to e del primo No­ve­cen­to ci si aspet­te­reb­be da una psi­co­lo­gia in senso mo­der­no e scien­ti­fi­co. La psi­co­lo­gia non è scien­za delle leggi della psi­che, ma del mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo delle leggi della psi­che.  I testi che sono og­get­to del mio com­men­to sono, come è noto, estre­ma­men­te dif­fi­ci­li. Prima di co­min­cia­re vor­rei fare qual­che ri­lie­vo sul pro­ble­ma della difficoltà in ge­ne­ra­le nella let­tu­ra del testo di Hegel. La que­stio­ne si pone se­con­do tre punti di vista. In­nan­zi tutto come que­stio­ne della na­tu­ra e della de­sti­na­zio­ne del testo. Ad esem­pio l’ “En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che”, nel no­stro caso, è pen­sa­ta come un rias­sun­to delle le­zio­ni per gli stu­den­ti. In se­con­do luogo il pro­ble­ma del si­gni­fi­ca­to espres­so, del voler dire del di­scor­so he­ge­lia­no. In terzo luogo, che è quel­lo de­ci­si­vo, la que­stio­ne del me­to­do di com­po­si­zio­ne del testo di Hegel, me­to­do che ri­guar­da, d’un colpo solo, au­to­re e let­to­re. Que­stio­ni, dette al­tri­men­ti, di sin­to­niz­zar­si con il testo che, per quan­to ri­guar­da il me­to­do di la­vo­ro di Hegel, non può es­se­re altro che ri­per­cor­re­re l’e­le­men­to ge­ne­ra­ti­vo del si­gni­fi­ca­to di ciò che Hegel dice. Senza di que­sto in­ces­san­te ri­per­cor­ri­men­to a li­vel­lo della ge­ne­si del testo, il suo si­gni­fi­ca­to ri­sul­ta ine­vi­ta­bil­men­te in­com­pren­si­bi­le o ap­piat­ti­to. Ap­piat­ti­to come su di una su­per­fi­cie, in modo che il gioco delle in­ter­pre­ta­zio­ni del let­to­re, anche nel caso si trat­ti di stu­dio­so molto qua­li­fi­ca­to, tende spes­so a sbiz­zar­rir­si in gro­vi­gli di ipo­te­si fi­lo­lo­gi­che o di ca­rat­te­re ideo­lo­gi­co-​me­ta­fi­si­co. Il mi­ni­mo comun de­no­mi­na­to­re è la per­di­ta del nesso fra il si­gni­fi­ca­to di ciò che è detto nel testo con li mo­vi­men­to ge­ne­ra­ti­vo di tale si­gni­fi­ca­to.. Così si può se­pa­ra­re per­fi­no il con­cet­to di ne­ga­ti­vo dal con­cet­to di ge­ne­ra­zio­ne so­vrap­po­nen­do l’uno sul­l’al­tro e ren­den­do in­com­pren­si­bi­li en­tram­bi. Que­stio­ne che si pone in modo non in­fre­quen­te, anzi ma­les­se­re spes­so dif­fu­so anche nei com­men­ti «pro­fes­sio­na­li».  Ini­zia­mo la let­tu­ra par­ten­do dalle prime righe del par. 440. Lo spi­ri­to si è de­ter­mi­na­to di­ve­nen­do la verità del­l’a­ni­ma e della co­scien­za, cioè la verità di quel­la totalità sem­pli­ce e im­me­dia­ta e di que­sto sa­pe­re. Ades­so il sa­pe­re, in quan­to forma in­fi­ni­ta, non è più li­mi­ta­to da quel con­te­nu­to, non sta in rap­por­to con esso come con un og­get­to, ma è sa­pe­re della totalità so­stan­zia­le, né sog­get­ti­va né og­get­ti­va. ll pro­ble­ma del rap­por­to fra il sa­pe­re e la ra­gio­ne inau­gu­ra qui il di­bat­ti­to sulla scien­za della psi­che. L’in­trec­cio fra sa­pe­re e ra­gio­ne ini­zia a di­pa­nar­si nel pa­ra­gra­fo se­guen­te:  L’a­ni­ma è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui è de­ter­mi­na­ta im­me­dia­ta­men­te, cioè de­ter­mi­na­ta per na­tu­ra.  La co­scien­za è fi­ni­ta nella mi­su­ra in cui ha un og­get­to.  Lo spi­ri­to è in­ve­ce fi­ni­to (in­so­fern ist end­lich) nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re (in sei­nem Wis­sen) non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za, nel senso che è fi­ni­to per via della sua im­me­dia­tez­za e, che è la stes­sa cosa, perché è sog­get­ti­vo, è cioè come il Con­cet­to. Lo spi­ri­to è fi­ni­to nella mi­su­ra in cui esso, nel suo sa­pe­re, non ha più un og­get­to, ma una de­ter­mi­na­tez­za. Lo spi­ri­to sem­bra es­se­re quell’attività in grado di con­te­ne­re e con­trol­la­re l’in­trec­cio fra la ra­gio­ne e il sa­pe­re, anche se ora solo nella forma del­l’im­me­dia­tez­za. L’in­trec­cio si or­ga­niz­za su due poli: la ra­gio­ne e il sa­pe­re. Essi si im­pli­ca­no re­ci­pro­ca­men­te . A se­con­da che si con­si­de­ri come con­cet­to la ra­gio­ne o il sa­pe­re.  Qui è in­dif­fe­ren­te ciò che viene de­ter­mi­na­to come con­cet­to dello spi­ri­to e ciò che viene in­ve­ce de­ter­mi­na­to come realità – “Realität” -- di que­sto con­cet­to. Se in­fat­ti la ra­gio­ne as­so­lu­ta­men­te in­fi­ni­ta, og­get­ti­va, viene posta come con­cet­to dello spi­ri­to, al­lo­ra la realità è il sa­pe­re, cioè l’in­tel­li­gen­za; se in­ve­ce è il sa­pe­re a es­se­re con­si­de­ra­to come il con­cet­to, al­lo­ra la realità del con­cet­to è que­sta ra­gio­ne e la rea­liz­za­zio­ne (Rea­li­sie­rung) del sa­pe­re con­si­ste nel­l’ap­pro­priar­si della ra­gio­ne.  La fi­ni­tez­za dello spi­ri­to per­tan­to con­si­ste in ciò: il sa­pe­re non com­pren­de l’Es­se­re in-​sé-​e-​per-​sé della sua ra­gio­ne. In altri ter­mi­ni: la ra­gio­ne non si è ma­ni­fe­sta­ta pie­na­men­te nel sa­pe­re. C’è un di­sli­vel­lo dun­que strut­tu­ra­le con la ra­gio­ne che fun­zio­na nel sa­pe­re. Di­sli­vel­lo strut­tu­ra­le che per i greci è in­ve­ce co­sti­tui­to dal rap­por­to fra il sa­pe­re e la verità. Co­mun­que la realtà, con­si­de­ra­ta come realtà del sa­pe­re o come realtà della ra­gio­ne, si co­sti­tui­sce e fun­zio­na per Hegel come un farsi che è un in­trec­cio ine­stri­ca­bi­le. Una purità e verginità del­l’o­ri­gi­ne è in­tro­va­bi­le. La que­stio­ne di un sa­pe­re dello/sullo spi­ri­to si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te nel pa­ra­gra­fo. Il pro­ce­de­re dello spi­ri­to è svi­lup­po – “Ent­wic­klung” -- nella mi­su­ra in cui la sua esi­sten­za, il sa­pe­re, ha entro se stes­sa l’es­se­re, de­ter­mi­na­to in sé e per sé, cioè ha per con­te­nu­to, “Ge­hal­te”, e per fine, “Zweck -- il ra­zio­na­le.  “Ver­nunf­ti­ge.” L’attività di tra­spo­si­zio­ne è dun­que pu­ra­men­te e sol­tan­to il pas­sag­gio for­ma­le nella ma­ni­fe­sta­zio­ne e, in que­sta, è ri­tor­no entro sé – “Rückkehr in sich.”  Nella mi­su­ra in cui il sa­pe­re, af­fet­to dalla sua prima de­ter­mi­na­tez­za, è sol­tan­to astrat­to, cioè for­ma­le, la meta dello spi­ri­to è quel­la di pro­dur­re il riem­pi­men­to og­get­ti­vo – “die ob­jec­ti­ve Erfüllung her­vor­zu­brin­gen” -- e quin­di, a un tempo, la libertà del suo sa­pe­re. La via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà In que­sto testo il mo­vi­men­to del sa­pe­re e il suo sa­per­ne si ar­ti­co­la come que­stio­ne della co­no­scen­za del­l’o­ri­gi­na­rio. Tale que­stio­ne, che ha la forma del ri­tor­no, è pen­sa­bi­le come libertà. L’av­ven­tu­ra dello spi­ri­to che, he­ge­lia­na­men­te, è sem­pre un ap­pro­priar­si, un far pro­prio, qui, e se­con­do la radicalità della sua strut­tu­ra, fun­zio­na come ap­pro­priar­si del sa­pe­re e coin­ci­de con l’av­ven­tu­ra della libertà.  Il cam­mi­no dello spi­ri­to con­si­ste per­tan­to:  nel­l’es­se­re spi­ri­to teo­re­ti­co, cioè nel­l’a­ve­re a che fare con il Ra­zio­na­le nella sua de­ter­mi­na­tez­za im­me­dia­ta, e di porlo ades­so come il Suo; in altre pa­ro­le: il cam­mi­no con­si­ste in­nan­zi tutto nel li­be­ra­re il sa­pe­re dal pre­sup­po­sto e, con ciò, dalla sua astra­zio­ne, e ren­de­re sog­get­ti­va la de­ter­mi­na­tez­za. Poiché in tal modo il sa­pe­re è in sé e per sé de­ter­mi­na­to come sa­pe­re entro sé, e poiché la de­ter­mi­na­tez­za è posta come la sua, quin­di come in­tel­li­gen­za li­be­ra, il sa­pe­re è  volontà, spi­ri­to pra­ti­co, il quale in­nan­zi tutto è an­ch’es­so for­ma­le: ha un con­te­nu­to che è sol­tan­to il suo: esso vuole im­me­dia­ta­men­te, e ades­so li­be­ra la sua de­ter­mi­na­zio­ne di volontà dalla soggettività che la con­di­zio­na­va come forma uni­la­te­ra­le del pro­prio con­te­nu­to. In tal modo lo spi­ri­to  di­vie­ne come spi­ri­to li­be­ro, nel quale è ri­mos­sa quel­la dop­pia unilateralità.6  Lo scor­cio teo­ri­co for­ni­to in que­sto pa­ra­gra­fo me­ri­ta una pun­tua­liz­za­zio­ne. Ab­bia­mo in pre­ce­den­za ac­cen­na­to alla cor­ni­ce della Psi­co­lo­gia he­ge­lia­na come pro­get­to scien­ti­fi­co: scien­za della psi­che che si pone come scien­za dei fat­to­ri ge­ne­ra­ti­vi della psi­che.  Il per­cor­so dello spi­ri­to che si sfor­za di co­no­sce­re se stes­so, che tenta di com­pren­de­re l’e­spe­rien­za della sua libertà, che nella Fe­no­me­no­lo­gia dello spi­ri­to pren­de la via della mo­ra­le come sto­ria, in que­ste pa­gi­ne pren­de la via della psi­co­lo­gia come scien­za della libertà Che il sa­pe­re possa af­fer­ra­re se stes­so, possa ap­pro­priar­si di sé: la stra­te­gia he­ge­lia­na im­pli­ca che l’o­ri­gi­na­rio, per il sog­get­to e per il sa­pe­re, fun­zio­ni e sia co­no­sci­bi­le come ef­fet­to di que­sto ap­pro­priar­si che è etico, pra­ti­co.  Se non si pensa il si­gni­fi­ca­to del sa­pe­re e del suo sog­get­to come etico, pra­ti­co, il sog­get­to del sa­pe­re si di­bat­te «in una dop­pia unilateralità»: la rap­pre­sen­ta­zio­ne che il sog­get­to fa di sé come suo e l’im­me­dia­tez­za di tale rap­pre­sen­ta­zio­ne.  An­ti­ci­pia­mo. La libertà è pen­sa­bi­le come lo spiaz­za­men­to in cui il sog­get­to del sa­pe­re co­no­sce il suo es­se­re fatto, no­no­stan­te e at­tra­ver­so il suo fare, im­pos­si­bi­li­ta­to a co­glie­re l’identità fra sé e la sua im­ma­gi­ne. Que­sta di­vi­sio­ne e di­sli­vel­lo in­ter­no che è l’impossibilità di co­glie­re l’o­ri­gi­ne del pro­prio co­sti­tuir­si è per Hegel l’In­tel­li­gen­za.  Nel mon­tag­gio lin­gui­sti­co di que­sto testo tale di­vi­sio­ne e tale di­sli­vel­lo vanno ad oc­cu­pa­re il posto della clas­si­ca op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, in quan­to è que­sta unità con­cre­ta dei due mo­men­ti — vale a dire, im­me­dia­ta­men­te, di es­se­re ri­cor­da­ta entro sé in que­sto ma­te­ria­le este­rior­men­te es­sen­te, e di es­se­re im­mer­sa nel­l’es­se­re fuori-​di-​sé men­tre entro sé si in­te­rio­riz­za col pro­prio ri­cor­do —, è in­tui­zio­ne. La centralità della pa­ro­la nella vita del­l’in­tel­li­gen­za Il cam­mi­no del­l’In­tel­li­gen­za sta pro­prio nel bat­te­re in brec­cia l’op­po­si­zio­ne fra il den­tro e il fuori.  L’in­tel­li­gen­za, quan­do ri­cor­da ini­zial­men­te l’in­tui­zio­ne, pone il con­te­nu­to del sen­ti­men­to nella pro­pria interiorità, nel suo pro­prio spa­zio e nel suo pro­prio tempo In tal modo il con­te­nu­to è im­ma­gi­ne, li­be­ra­ta dalla sua prima im­me­dia­tez­za e dalla singolarità astrat­ta ri­spet­to ad altro, in quan­to essa è ac­col­ta nella singolarità del­l’Io in ge­ne­ra­le. Que­sto bat­te­re in brec­cia, visto dal punto di vista del­l’in­tel­li­gen­za, è ll’im­ma­gi­ne. L’in­tel­li­gen­za pos­sie­de dun­que le im­ma­gi­ni. L’in­tel­li­gen­za, dice Hegel, è il Quan­do e il Dove del­l’im­ma­gi­ne.  L’im­ma­gi­ne è per sé tran­seun­te, e l’in­tel­li­gen­za stes­sa, in quan­to at­ten­zio­ne, è il tempo e anche lo spa­zio — il Quan­do e il Dove — del­l’im­ma­gi­ne.  L’in­tel­li­gen­za però non è sol­tan­to la co­scien­za e l’Es­ser­ci delle pro­prie de­ter­mi­na­zio­ni, bensì, in quan­to tale, ne è anche il sog­get­to e l’In-​sé. Ri­cor­da­ta nel­l’in­tel­li­gen­za, perciò, l’im­ma­gi­ne non è più esi­sten­te, ma è con­ser­va­ta in­con­scia­men­te. Nell’An­mer­kung dello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel inau­gu­ra la me­ta­fo­ra del POZZO not­tur­no per de­fi­ni­re il fun­zio­na­men­to del­l’in­tel­li­gen­za come un luogo in cui sono con­ser­va­te im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che l’in­tel­li­gen­za stes­sa non co­no­sce. Hegel pro­se­gue la sua in­da­gi­ne at­tra­ver­so una sorta di tiro in­cro­cia­to fra in­tui­zio­ne ed im­ma­gi­ne, met­ten­do in azio­ne uno stile ago­sti­nia­no alla “De ma­gi­stro”. Anche la no­zio­ne, clas­si­ca, di rap­pre­sen­ta­zio­ne entra, ri­com­pre­sa e ri­pen­sa­ta, come dal­l’in­ter­no, nel mo­vi­men­to pro­dut­ti­vo del­l’in­tel­li­gen­za.  La no­zio­ne di me­mo­ria è an­ch’es­sa ri­per­cor­sa, nella sua strut­tu­ra clas­si­ca, come mo­vi­men­to at­ti­vo e im­pren­di­bi­le, fun­zio­nan­te nel­l’in­tel­li­gen­za e pro­dut­ti­va di essa, in una svol­ta de­ci­si­va del pa­ra­gra­fo 456.  L’in­tel­li­gen­za è la po­ten­za che do­mi­na sulla ri­ser­va di im­ma­gi­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni che le ap­par­ten­go­no; essa è quin­di con­giun­zio­ne e sus­sun­zio­ne li­be­ra di que­sta ri­ser­va sotto il con­te­nu­to pe­cu­lia­re. L’in­tel­li­gen­za si ri­cor­da ed in­te­rio­riz­za in modo de­ter­mi­na­to entro quel­la ri­ser­va, e la pla­sma im­ma­gi­na­ti­va­men­te se­con­do que­sto suo con­te­nu­to: essa è quin­di fan­ta­sia, im­ma­gi­na­zio­ne sim­bo­liz­zan­te, al­le­go­riz­zan­te o poe­tan­te.  Que­sta for­ma­zio­ni im­ma­gi­na­ti­ve più o meno con­cre­te, più o meno in­di­vi­dua­liz­za­te, sono an­co­ra delle sin­te­si nella mi­su­ra in cui il ma­te­ria­le, in cui il con­te­nu­to sog­get­ti­vo con­fe­ri­sce un Es­ser­ci alla rap­pre­sen­ta­zio­ne, pro­vie­ne dal Tro­va­to (dem Ge­fun­de­nen) del­l’in­tui­zio­ne.Passività, evi­den­za, sor­pre­sa di fonte al darsi ori­gi­na­rio delle cose ri­guar­da perciò per Hegel un mo­vi­men­to che ha come suo ele­men­to lo sce­na­rio dell’interiorità. Il tro­va­to del­l’in­tui­zio­ne, in­con­tro, evi­den­za, ac­co­glien­za della realtà è pen­sa­bi­le in un re­gi­stro che è già una tra­du­zio­ne. È nel re­gi­stro di una tra­du­zio­ne che nel per­cor­so di que­sto testo di Hegel, di una tra­du­zio­ne del fuorinel den­tro e vi­ce­ver­sa, che si può av­vi­sta­re ciò in fi­lo­so­fia si chia­ma realtà.  Quan­do l’in­tel­li­gen­za, in quan­to ra­gio­ne, parte dal­l’ap­pro­pria­zio­ne del­l’im­me­dia­tez­za tro­va­ta entro sé, cioè la de­ter­mi­na come Uni­ver­sa­le, ecco al­lo­ra che la sua attività ra­zio­na­le pro­ce­de dal punto at­tua­le (dem nun­meh­ri­gen Punk­te) a de­ter­mi­na­re come es­sen­te ciò che in essa si è svi­lup­pa­to in au­toin­tui­zio­ne con­cre­ta, pro­ce­de cioè a ren­de­re se stes­sa Es­se­re, Cosa. L’in­tel­li­gen­za stes­sa così si fa es­sen­te, si fa Cosa.  Quan­do è at­ti­va in que­sta de­ter­mi­na­zio­ne, l’in­tel­li­gen­za si estrin­se­ca (aus­sernd), pro­du­ce (pro­du­zie­rend) in­tui­zio­ne: è fan­ta­sia che si espri­me in segni (Zei­chen ma­chen­de Phan­ta­sie). L’in­tel­li­gen­za esi­ste in quan­to fan­ta­sia… Tesi non im­me­dia­ta­men­te pre­ve­di­bi­le nel di­spo­si­ti­vo, in­tri­ca­to, di que­sto per­cor­so he­ge­lia­no. Tesi cui pure spin­ge, con ri­go­ro­sa necessità, que­sta ana­li­si «scien­ti­fi­ca» della psi­che. Que­sto testo di Hegel in­ne­sca con­sa­pe­vol­men­te una po­le­mi­ca ed anche una ri­for­mu­la­zio­ne me­to­do­lo­gi­ca ra­di­ca­le nei con­fron­ti della tra­di­zio­ne em­pi­ri­sta, dei sen­si­sti, di Con­dil­lac e degli ideo­lo­gues.  At­tra­ver­so le scor­ri­ban­de del­l’in­tel­li­gen­za fra sa­pe­re e segno, scien­za e realtà, at­tra­ver­so e al di là della dia­let­ti­ca fra il po­si­ti­vo e il ne­ga­ti­vo, fra il sog­get­to e la verità ecc, Hegel af­fer­ma che l’in­tel­li­gen­za è il suo atto. Esi­ste­re non è l’im­me­dia­tez­za di un che ri­spet­to a se stes­si, ma è l’at­to in cui, in un con­te­nu­to de­ter­mi­na­to, l’in­tel­li­gen­za si rap­por­ta a se stes­sa.  La fan­ta­sia è il punto cen­tra­le in cui l’U­ni­ver­sa­le e l’Es­se­re, il Pro­prio e il Tro­va­to, l’In­ter­no e l’E­ster­no, sono per­fet­ta­men­te uni­fi­ca­ti. Le sin­te­si pre­ce­den­ti del­l’in­tui­zio­ne, del ri­cor­do ecc., sono uni­fi­ca­zio­ni del me­de­si­mo mo­men­to, tut­ta­via si trat­ta pur sem­pre di sin­te­si. Solo nella fan­ta­sia l’in­tel­li­gen­za non è più come il pozzo in­de­ter­mi­na­to e come l’U­ni­ver­sa­le, bensì è come Sin­go­la­re, cioè come soggettività con­cre­ta nella quale l’au­to­re­la­zio­ne è de­ter­mi­na­ta sia come Es­se­re sia come Universalità. L’in­tel­li­gen­za è in­tel­li­gen­za di un in­di­vi­duo, di un sin­go­lo, è soggettività con­cre­ta solo nella fan­ta­sia. Tale que­stio­ne è chia­ri­ta dal se­gui­to della stes­sa An­mer­kung:  Tutti ri­co­no­sco­no che le im­ma­gi­ni della fan­ta­sia co­sti­tui­sco­no tali uni­fi­ca­zio­ni del Pro­prio e del­l’In­ter­no dello spi­ri­to con l’e­le­men­to in­tui­ti­vo. Il loro con­te­nu­to ul­te­rior­men­te de­ter­mi­na­to ap­par­tie­ne ad altri am­bi­ti, men­tre qui que­sta fu­ci­na in­ter­na va in­te­sa sol­tan­to se­con­do quel mo­men­to astrat­to.  In quan­to attività di que­sta unio­ne, la fan­ta­sia è ra­gio­ne, ma è ra­gio­ne for­ma­le, solo nella mi­su­ra in cui il con­te­nu­to in quan­to tale della fan­ta­sia è in­dif­fe­ren­te. La ra­gio­ne in quan­to tale, in­ve­ce, de­ter­mia a verità anche il con­te­nu­to. Nell’An­mer­kung suc­ces­si­va nello stes­so pa­ra­gra­fo Hegel opera la svol­ta de­ci­si­va nel breve per­cor­so che qui ci in­te­res­sa:  In par­ti­co­la­re bi­so­gna an­co­ra ri­le­va­re que­sto fatto. Poiché la fan­ta­sia porta il con­te­nu­to in­ter­no a im­ma­gi­ne e a in­tui­zio­ne — e ciò viene espres­so di­cen­do che essa lo de­ter­mi­na come es­sen­te, non deve sem­bra­re sor­pren­den­te l’e­spres­sio­ne se­con­do cui l’in­tel­li­gen­za si fa­reb­be es­sen­te, si fa­reb­be Cosa. Il con­te­nu­to del­l’in­tel­li­gen­za, in­fat­ti, è l’in­tel­li­gen­za stes­sa, e lo è al­tret­tan­to la de­ter­mi­na­zio­ne che essa gli con­fe­ri­sce.  L’im­ma­gi­ne pro­dot­ta dalla fan­ta­sia è solo sog­get­ti­va­men­te in­tui­ti­va, men­tre è nel segno che la fan­ta­sia ag­giun­ge a ciò l’au­ten­ti­ca intuibilità (ei­gen­tli­che An­schau­li­ch­keit); nella me­mo­ria mec­ca­ni­ca, poi essa com­ple­ta in sé que­sta forma del­l’Es­se­re.  L’im­ma­gi­ne solo nel segno è au­ten­ti­ca intuibilità di ciò che è. L’es­sen­te è co­gli­bi­le come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pen­sa­bi­li, ma nep­pu­re spe­ri­men­ta­bi­li nella forma della pre­sen­za, cioè in un darsi (che, in ter­mi­ni he­ge­lia­ni, è la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne). Essi sono già tra­scrit­ti nel con­te­nu­to in­ter­no del­l’in­tel­li­gen­za, cioè come segni.  L’e­le­men­to im­pren­di­bi­le, enig­ma­ti­co della co­no­scen­za è il segno e non il dato, il dono. Nella strut­tu­ra di que­sto testo Hegel af­fer­ma che il non pro­prio, il non mio so­vra­sta e spiaz­za nella forma del segno, non nella forma del dono.  In que­sta unità, pro­ce­den­te dal­l’in­tel­li­gen­za, di una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma (selbständiger Vor­stel­lung) e di una in­tui­zio­ne, la ma­te­ria del­l’in­tui­zio­ne è certo in­nan­zi­tut­to un qual­co­sa di ac­col­to, di im­me­dia­to e di dato (ein auf­ge­nom­me­nes, etwas un­mit­tel­ba­res oder ge­ge­be­nes) (per esem­pio il co­lo­re della coc­car­da e af­fi­ni).  In que­sta identità però l’in­tui­zio­ne non ha il va­lo­re di rap­pre­sen­ta­re po­si­ti­va­men­te e di rap­pre­sen­ta­re se stes­sa, bensì di rap­pre­sen­ta­re qual­co­s’al­tro. Essa è un’im­ma­gi­ne che ha ri­ce­vu­to entro sé una rap­pre­sen­ta­zio­ne au­to­no­ma del­l’in­tel­li­gen­za come anima, che ha ri­ce­vu­to, cioè, il suo si­gni­fi­ca­to. Que­sta in­tui­zio­ne è il segno. L’in­tui­zio­ne, rap­por­ta­ta scien­ti­fi­ca­men­te alla sua ori­gi­ne, ha la forma del SEGNO. Tale forma ha una strut­tu­ra che coin­vol­ge i ter­mi­ne stes­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tel­li­gen­za sem­bra fun­zio­na­re in una de­ri­va di cui il segno co­sti­tui­sce una sorta di cer­nie­ra, snodo in cui l’in­tel­li­gen­za stes­sa è tolta-​con­ser­va­ta. L’in­tui­zio­ne che im­me­dia­ta­men­te e ini­zial­men­te è qual­co­sa di dato e di spa­zia­le (ge­ge­be­nes und raum­li­ches) una volta im­pie­ga­ta come segno ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa. Que­sta sua negatività è l’in­tel­li­gen­za. Perciò la fi­gu­ra più au­ten­ti­ca del­l’in­tui­zio­ne, che è un SEGNO, è di es­se­re un Es­ser­ci nel tempo: un di­le­gua­re (Ver­sch­win­den) del­l’Es­ser­ci men­tre l’es­ser­ci è.  Inol­tre, se­con­do la sua ul­te­rio­re de­ter­mi­na­tez­za este­rio­re, psi­chi­ca, la fi­gu­ra più vera del­l’in­tui­zio­ne è un es­se­re-​posta dal­l’in­tel­li­gen­za, esser-​posta che viene fuori dalla naturalità pro­pria (an­tro­po­lo­gi­ca) del­l’in­tel­li­gen­za stes­sa: è il tono (Ton), cioè l’e­strin­se­ca­zio­ne riem­pi­ta dell’interiorità an­nun­cian­te­si.  Il tono che si ar­ti­co­la ul­te­rior­men­te in vista della RAPPRESENTAZIONE de­ter­mi­na­ta è il di­scor­so, e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua. In que­sto am­bi­to il tono con­fe­ri­sce a sen­sa­zio­ni, in­tui­zio­ni e rap­pre­sen­ta­zio­ni un se­con­do Es­ser­ci, più ele­va­to del­l’Es­ser­ci im­me­dia­to: in ge­ne­ra­le con­fe­ri­sce loro un’e­si­sten­za che ha va­lo­re nel regno dell’attività rap­pre­sen­ta­ti­va. Que­sto pro­get­to he­ge­lia­no di una scien­za della psi­che tenta qui un ul­te­rio­re ra­di­ca­le ap­proc­cio alla ge­ne­si del­l’in­tel­li­gen­za. L’in­tui­zio­ne, in quan­to fun­zio­nan­te come segno, «ri­ce­ve la de­ter­mi­na­zio­ne es­sen­zia­le di es­se­re sol­tan­to come in­tui­zio­ne ri­mos­sa (zu einem Zei­chen ge­brau­cht wird, die we­sen­tli­che Be­stim­mung nur als auf­ge­ho­be­ne zu sein). In que­sto esser ri­mos­so, tolto-​con­ser­va­to del­l’in­tui­zio­ne sta l’o­ri­gi­ne del­l’in­tel­li­gen­za. La negatività di cui essa è fatta si in­trec­cia strut­tu­ral­men­te alla no­zio­ne di tempo. L’in­tui­zio­ne non è do­mi­na­bi­le da un sog­get­to se non nella forma del dopo: «un di­le­gua­re del­l’Es­ser­ci men­tre Es­ser­ci è».  Quel­l’al­tro in­trec­cio che co­sti­tui­sce l’in­tui­zio­ne, l’in­trec­cio fra il den­tro e il fuori si espri­me nel tono, suono ar­ti­co­la­to, “Ton”. Il tono, visto in rap­por­to ad una rap­pre­sen­ta­zio­ne de­ter­mi­na­ta, è il di­scor­so (Rede) e il si­ste­ma del di­scor­so è la lin­gua (Spra­che).  A que­sto punto del suo per­cor­so la stra­te­gia di Hegel si in­con­tra con il pri­vi­le­gio greco e pla­to­ni­co ac­cor­da­to alla pa­ro­la, al logosin quan­to vi­ven­te pro­nun­cia­to, detto. Come in Pla­to­ne, anche in Hegel la pa­ro­la è cen­tra­le nella vita del­l’in­tel­li­gen­za, ma di una centralità che oc­cu­pa il luogo di un mo­vi­men­to ori­gi­na­rio ed im­pren­di­bi­le.  Per un com­men­to cri­ti­co ed espli­ca­ti­vo dei pa­ra­gra­fi della psi­co­lo­gia nella se­zio­ne sullo spi­ri­to sog­get­ti­vo, anche per ciò che con­cer­ne le fonti di Hegel e la sag­gi­sti­ca re­la­ti­va, cfr. Ros­sel­la Bo­ni­to Oliva, La «magia dello spi­ri­to» e il «gioco del con­cet­to». Con­si­de­ra­zio­ni sulla fi­lo­so­fia dello spi­ri­to sog­get­ti­vo nel­l’En­ci­clo­pe­dia di Hegel, Mi­la­no, Gue­ri­ni e As­so­cia­ti. Uso la re­cen­te tra­du­zio­ne di Vin­cen­zo Ci­ce­ro (En­ci­clo­pe­dia delle scien­ze fi­lo­so­fi­che in com­pen­dio, ed. 1830, Mi­la­no, Ru­sco­ni) che ri­ten­go pun­tua­le ed av­ver­ti­ta delle que­stio­ni poste dal testo, no­no­stan­te la discutibilità di al­cu­ne so­lu­zio­ni su cui per altro pesa in certa mi­su­ra la re­si­sten­za ad ab­ban­do­na­re tra­du­zio­ni fa­mi­lia­ri e con­so­li­da­te. An­mer­kung. An­mer­kung. Grice: “There’s something otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it  or better, that a dark cloud signs *that* it may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian ‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Nome compiuto: Gianfranco Dalmasso. Keywords: la giustizia nel discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso”, per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dandolo: la ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale della Roma pagana, filosofia romana – Carneade e compagnia – scuola di Varese – filosofia varesese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo varesese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Varese, Lombardia. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio D., Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi  (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di D.”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano.  Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico ha per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del sistema dell’ORTO loro presenta LUCREZIO. Germi sono questi gettati in terreno non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. CATONE il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di GIULIO CESARE. Non possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione del passato e le  tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien  dietro la riflessione, saremo costretti di riconoscere  che a rintuzzare il progresso della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe muovere accusa al divino, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque adoperarsi  a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non  proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle  conscii dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del giusto, il risvegliare in  quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova dottrina. Ma l'impulso è dato, nè poteva fermarsi. I romani conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, sono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gl’uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degl’eserciti sono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco è compagno di Lucullo. Catone il censore cede egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. SILLA fa trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. CATONE d'Utica allorch'è tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che  Atenodoro, filosofo del Portico, abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui. Pure gl’spiriti che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia penetra in coteste menti dico come in massa e nel suo insieme. Ma non s'indentifica col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia è nel tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza, piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni, allora suprema.  I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non  possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza. All'Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste, nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda; e ad ora ad ora pegli spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura; talora nell'ombra della terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora  cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la reciproca giacitura, che si poterono ad esse applicar nomi di determinate figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali, senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.  u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive,  sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.  Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii, ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita, perchè sovraccaricate di vane disputazioni, oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone (scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato  di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non possede lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze: il tempo venivagli meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio.  La situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici insegnamenti.  Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M. Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia? Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice? Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!” Ricerca Mitologia romana narrazioni mitologiche dell'antica Roma La mitologia romana riguarda le narrazioni mitologiche della civiltà legata all'antica Roma, e può essere suddivisa in tre parti:  Periodo repubblicano: nata nei primi anni della storia di Roma, si distingueva nettamente dalla tradizione greca ed etrusca, soprattutto per quanto riguarda le modalità dei riti. Periodo imperiale classico: spesso molto letteraria, consiste in estese adozioni della mitologia greca ed etrusca. Periodo tardo-imperiale: consiste nell'assunzione di molte divinità di origine orientale, tra le quali il Mitra persiano, sincretizzato nel culto del Sol Invictus.  Il mito di Romolo e Remo Natura dei primi miti romaniModifica È possibile affermare che i primi romani avessero miti. Detta in altro modo: finché i loro poeti non entrarono in contatto con gli antichi greci verso la fine della Repubblica, i romani non ebbero storie sulle loro divinità paragonabili al mito dei Titani o alla seduzione di Zeus da parte di Era, ma ebbero miti propri come quelli di Marte e di Fauno.  A quell'epoca i romani già avevano:  un sistema di rituali ed una gerarchia sacerdotale ben definiti; un insieme molto ricco di leggende storiche sulla fondazione e sviluppo della loro città che avevano per protagonisti degli umani ma vedevano anche interventi divini. Prima mitologia sulle divinitàModifica Il modello romano comportò un modo molto diverso di definire il concetto di divinità rispetto a quello greco che ci è noto. Per esempio se avessimo chiesto ad un antico greco chi fosse Demetra, avrebbe probabilmente risposto raccontando la famosa leggenda del suo folle dolore per il rapimento della figlia Persefone da parte di Ade. Al contrario un romano antico avrebbe risposto che Cerere aveva un sacerdote ufficiale chiamato flamine, che era più giovane dei flamini di Giove, Marte e Quirino (la Triade arcaica), ma più anziano dei flamini di Flora e Pomona. Avrebbe anche potuto dire che era inserita in una triade con altre due divinità agresti, Libero e Libera e avrebbe anche potuto elencare tutte le divinità minori con funzioni specifiche che la assistevano: Sarritor (il sarchiatore), Messor (il mietitore), Convector (il carrista), Conditor (il magazziniere), Insitor (il seminatore) e altri ancora. Così la mitologia romana arcaica, almeno per quello che riguardava gli dei, era costituita non da storie, ma piuttosto da complesse interrelazioni reciproche tra dei e uomini e all'interno della sfera umana, dall'una parte, e della sfera divina dall'altra.  La religione originaria dei primi romani venne modificata in periodi successivi dall'aggiunta di numerose e conflittuali credenze e dall'assimilazione di gran parte della mitologia greca. Quel poco che sappiamo della religione romana arcaica lo conosciamo non attraverso fonti contemporanee, ma grazie a scrittori tardi che cercarono di salvare le antiche tradizioni dall'abbandono in cui erano cadute, come lo studioso del I secolo a.C. Marco Terenzio Varrone. Altri scrittori classici, come il poeta Ovidio nei suoi Fasti, furono fortemente influenzati dai modelli ellenistici e nei loro lavori impiegarono spesso miti greci per riempire i vuoti della tradizione romana.  Prima mitologia sulla "storia" romanaModifica In contrasto con la scarsità di materiale narrativo arrivatoci sugli dei, i Romani avevano una ricca fornitura di leggende quasi storiche sulla fondazione e sulle prime fasi dello sviluppo della loro città. I primi re di Roma come Romolo e Numa avevano una natura quasi interamente mitica ed il materiale leggendario può estendersi fino ai racconti della prima repubblica. In aggiunta a queste tradizioni in gran parte indigene, fin dai tempi antichi materiale tratto da leggende eroiche greche venne inserito in questo blocco originario, facendo diventare, ad esempio, Enea un antenato di Romolo e Remo. L'Eneide e i primi libri di Livio sono le migliori fonti esistenti per questa mitologia umana.  Divinità romaneModifica Ulteriori informazioni Si propone di dividere questa pagina in due, creandone un'altra intitolata Divinità romane. Dèi greci e romaniModifica La pratica rituale romana dei sacerdoti ufficiali distingueva nettamente due classi di dèi, gli dèi indigeni (di indigetes) e i nuovi dèi (di novensiles).  Gli dei indigeni erano gli dèi originari dello stato romano e i loro nomi e la loro natura erano rivelati dai titoli degli antichi sacerdoti e dalle feste fissate sul calendario; trenta dèi di questo tipo erano onorati con feste speciali.  I nuovi dèi erano divinità più tardi i cui culti vennero introdotti nella città in periodi storici, di solito in una data conosciuta e in risposta a una specifica crisi o a una determinata necessità.  Le divinità romane arcaiche includevano, oltre agli dèi indigeni, un insieme di dèi cosiddetti specialisti i cui nomi venivano invocati nel corso di diverse attività, come la mietitura. Frammenti di antichi rituali che accompagnano tali azioni come l'aratura o la semina rivelano che in ogni fase delle operazioni veniva invocata una divinità specifica, il cui nome derivava sempre dal verbo che identificava l'operazione stessa. Tali divinità possono essere raggruppate sotto la definizione generale di dei assistenti o ausiliari, che venivano invocati a fianco delle divinità più grandi. Il culto romano arcaico, più che essere politeista, credeva a molte essenze di tipo divino: degli esseri invocati i fedeli non conoscevano molto più che il nome e le funzioni e il numen di questi esseri, ossia il loro potere, si manifestava in modi altamente specializzati.  Il carattere degli dèi indigeni e le loro feste mostrano che i Romani arcaici non solo erano membri di una comunità agreste, ma amavano anche combattere ed erano spesso impegnati in guerre. Gli dei rappresentavano chiaramente le necessità pratiche della vita quotidiana, secondo le esigenze della comunità romana a cui appartenevano. I loro riti venivano celebrati scrupolosamente con offerte ritenute adatte. Così Giano e Vesta custodivano la porta e il focolare, i Lari proteggevano i campi e la casa, Pale il pascolo, Saturno la semina, Cerere la crescita del grano, Pomona i frutti, Consus e Opi la mietitura. Tavola illustrata degli Acta Eruditorum raffigurante divinità romane Anche Giove supremo, il signore degli dèi, era onorato perché recasse assistenza alle fattorie e ai vigneti. In una accezione più vasta egli era considerato, grazie all'arma del fulmine, il direttore delle attività umane e, per mezzo del suo dominio incontrastato, il protettore dei Romani durante le campagne militari oltre i confini della loro comunità. Rilevanti nei tempi arcaici furono gli dei Marte e Quirino, che venivano spesso identificati. Marte era il dio dei giovani e specialmente dei soldati; veniva onorato a marzo e a ottobre. Gli studiosi moderni ritengono che Quirino fosse il protettore della comunità in armi.  A capo del pantheon originario vi era la triade composta da Giove, Marte e Quirino (i cui tre sacerdoti, o flamini, appartenevano all'ordine più elevato), insieme a Giano e Vesta. Questi dèi nei tempi arcaici avevano una individualità molto ridotta e le loro storie personali non conoscevano matrimoni e genealogie. Diversamente dagli dei Greci, si riteneva che non agissero come i mortali e così non esistono molti racconti sulle loro imprese. Questo culto arcaico era associato a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, che si credeva avesse avuto come consorte e consigliera la dea romana delle fontane e del parto, Egeria, spesso considerata una ninfa nelle fonti letterarie successive.  Tuttavia, nuovi elementi vengono aggiunti in un periodo relativamente tardo. Alla casa reale dei Tarquini la leggenda ascrive l'introduzione della grande triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva, che occupò il primo posto nella religione romana. Altre aggiunte furono il culto di Diana sull'Aventino e l'introduzione dei libri sibillini, profezie di storia mondiale, che, secondo la leggenda, vennero acquistate da Tarquinio alla fine del VI secolo a.C. dalla Sibilla cumana.  Divinità straniereModifica L'assorbimento degli dèi dei popoli vicini avvenne quando lo stato romano conquistò il territorio circostante. I Romani generalmente garantivano agli dèi locali dei territori conquistati gli stessi onori degli dèi caratteristici dello stato romano. In molti casi le divinità di recente acquisizione venivano formalmente invitate a trasferire la propria dimora nei nuovi santuari di Roma. L’oggetto di culto rappresentante Cibele venne trasferito da Pessinos in Frigia e accolto con le dovute cerimonie a Roma. Inoltre, lo sviluppo della città attraeva stranieri, a cui era consentito mantenere il culto dei propri dèi. In questo modo Mitra giunse a Roma e la sua popolarità tra le legioni ne fece diffondere il culto fino in Britannia. Oltre a Castore e Polluce, gli insediamenti greci in Italia, una volta conquistati, sembra che abbiano introdotto nel pantheon romano Diana, Minerva, Ercole, Venere e altre divinità di rango inferiore, alcune delle quali erano divinità italiche, altre derivavano originariamente dalla cultura della Magna Grecia. Le divinità romane importanti venivano alla fine identificate con gli dei e le dee greche che erano più antropomorfiche e assumevano molti dei loro attributi e miti.  Principali divinità romane Animali Lupo Picchio Sirena Strige Dèi e dee  Abbondanza: personificazione dell'abbondanza e della prosperità nonché la custode della cornucopia Abeona: protettrice delle partenze, dei figli che lasciano per la prima volta la casa dei genitori o che muovono i loro primi passi. Adeona: protettrice del ritorno, in particolare di quello dei figli verso casa dei genitori. Aequitas: l'origine, il principio ispiratore di matrice divina, del diritto. Aeracura: dea ctonia e della fertilità Aesculanus: divinità romana protettrice dei mercanti e preposta alla coniazione delle monete Aio Locuzio: dio dell'avvertimento misterioso, avvisò Roma dell'invasione dei Galli Alemonia: dea della fertilità per cui le si dedicavano dei sacrifici per avere figli, ma era anche responsabile della salute del bimbo nel ventre materno. Era infatti lei che si occupava del suo nutrimento mentre viveva nel corpo della madre, garantendo quindi altresì la salute del corpo della madre Alma: colei che portava la vita Angerona: dea del silenzio o dei piaceri, protettrice degli amori segreti, guaritrice dalle malattie cardiache, dal dolore e dalla tristezza Angizia: divinità ctonia adorata dai Marsi, dai Peligni e da altri popoli osco-umbri, associata al culto dei serpenti Anguana: una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa Anna Perenna: dea che presiedeva il perpetuo rinnovarsi dell'anno Annona: un'antica dea italica, dea dell'abbondanza e degli approvvigionamenti Antevorta: dea del futuro, presiede alla nascita dei bambini quando sono in posizione cefalica Attis: paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della dea. Aquilone: dio del vento del nord Aurora: dea dell'aurora Auster: dio del vento del sud Averna: una dea della morte Bacco: dio della follia, delle feste, del vino, dell'uva, dell'ebrezza e della vendemmia Barbatus: dio a cui si rivolgevano i ragazzi non solo perchè facesse crescere copiosa la barba, ma anche per non tagliarsi quando ci si liberava di essa con una lama piuttosto affilata Bellona: dea che incarna la guerra Bona Dea: antica divinità laziale, il cui nome non poteva essere pronunciato, dea della fertilità, della guarigione, della verginità e delle donne Bonus Eventus: una delle dodici divinità che presiedevano all'agricoltura e concetto di successo Bubona: dea protettrice dei buoi Candelifera: dea romana della nascita Caligine: dea della nebbiosa oscurità primordiale, generò dapprima Caos, poi, Notte, Giorno, Erebo ed Etere Caos: dio del caos primordiale Cardea: dea della salute, delle soglie e cardini della porta e delle maniglie, associata anche al vento Carmenta: dea protettrice della gravidanza e della nascita e patrona delle levatrici Carna: dea con il compito di proteggere gli organi interni, in particolare dei bambini, e più in generale di assicurare il benessere fisico all'uomo Cerere: divinità materna della terra, dell'agricoltura, del grano, della fertilità, dei raccolti e della carestia Cibele: dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici. Clementia: dea della clemenza e della giustizia Cloacina: dea protettrice della Cloaca Maxima, la parte più antica ed importante del sistema fognario di Roma Concordia: spirito dell'armonia della comunità Conso: divinità del seme del grano, dei depositi per la sua conservazione, dei granai e degli approvvigionamenti Cupido: dio dell'amore divino, del desiderio sessuale, dell'erotismo e della bellezza Cunina: dea della tenerezza, protettrice dei lattanti, che veniva supplicata a lungo quando il pargolo era insonne e non faceva dormire, o quando aveva la febbre, o male al pancino Cura: dea della vita e dell'umanità Dea Tacita: dea degli inferi che personifica il silenzio Devera: una delle tre divinità che insieme a Pilumnuse Intercidona proteggevano le ostetriche e le donne in travaglio Diana: dea della Luna, delle selve, degli animali selvatici, delle giovani fanciulle vergini e della caccia, custode delle fonti e dei torrenti Disciplina: personificazione della disciplina Discordia: dea della discordia, del caos e del male Dis Pater: dio del sottosuolo Domidicus: dio che guida la casa sposa Domizio: dio che installa la sposa Dria: dea che assicurava un buon flusso esente da dolori nelle mestruazioni Edulica: dea spesso invocata perché alla madre non mancasse il latte Edusa: dea che provvedeva a far provare al bambino il desiderio della semplice acqua Egeria: dea romana delle fontane e del parto Epona: dea dei cavalli e dei muli Ercole: dio del salvataggio Erebo: dio ancestrale dell'oscurità, le cui nebbie circondavano il centro della Terra Esculapio: dio della medicina Etere: dio dell'aria superiore che solo gli dei respirano Fabulinus: dio che insegna ai bambini a parlare Falacer: dio del Cermalus (un'altura del Palatino) Fama: personificazione della voce pubblica Fascinus: incarnazione del divino fallo Fauno: dio dei pascoli, delle selve, delle foreste, della natura, dei campi, dell'agricoltura, della campagna e della pastorizia Favonio: dio del vento dell'ovest Febo o Apollo: dio del Sole, delle arti, della musica, della profezia, della poesia, delle arti mediche, delle pestilenze e della scienza Fecunditas: dea della fertilità Felicitas: divinità dell'abbondanza, della ricchezza e del successo, presiedeva alla buona sorte Ferentina: dea dell'acqua e della fertilità Feronia: una dea romana della fertilità di origine italica, protettrice dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi riusciti a liberarsi Febris: dea della Febbre, associata alla guarigione dalla malaria Fides: personificazione della lealtà Flora: dea della primavera e dei fiori Fontus o Fons: dio delle fonti Fornace: dea del forno in cui si cuoce il pane Fortuna: dea del caso e del destino Furie: personificazioni femminili della vendetta Furrina: dea delle acque Giano: dio dei bivi, delle scelte, dell'inizio e della fine Giorno: dea del giorno Giove: re degli dei, dio del fulmine e del tuono Giunone: regina degli dei, dea della donne e del matrimonio Giustizia: personificazione della giustizia Giuturna: dea dei corsi d'acqua dolce del Lazio Insitor: dio della protezione della semina e degli innesti Inuus: dio del rapporto sessuale Iride: dea dell'arcobaleno e messaggera degli dei Iuventas: dea della giovinezza Jugatinus: dio che unisce la coppia in matrimonio Lari: spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale Laverna: protettrice dei ladri e degli impostori Levana: dea protettrice dei neonati riconosciuti dal padre Libero (Liber): dio italico della fecondità, del vino e dei vizi Libertas: divinità romana della libertà Libitina: divinità arcaica romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e che perciò presiedeva ai funerali Lua: dea a cui erano consacrate le armi dei nemici sconfitti Lucina: dea del parto, salvaguardava inoltre le donne nel lavoro Luna: personificazione della Luna Luperco: dio protettore della fertilità Lympha: dea che influenzava l'approvvigionamento idrico Maia: dea della fecondità e del risveglio della natura in primavera Mani: anime dei defunti. Esse talvolta venivano identificate con le divinità dell'oltretomba Manturna: dea che teneva la sposa a casa Marìca: divinità italica. Ninfa dell'acqua e delle paludi, era signora degli animali e protettrice dei neonati e della fecondità Marte: dio della guerra violenta Matres: divinità femminili dell'abbondanza e della fertilità Mefite: dea delle acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile Mena (21°figlia di Giove): dea della fertilità e delle mestruazioni Mors: personificazione della morte Mercurio: messaggero degli dei, dio della velocità, dell'astuzia, delle strade, del commercio, dei messaggi, dei viaggiatori, dei ladri, dell'eloquenza, dell'atletica, delle trasformazioni di ogni tipo, della destrezza e della farmacia, protettore dei messaggeri, dei ladri e dei viaggiatori Minerva: dea dell'intelligenza, delle tattiche militari, della tessitura e delle arti casalinghe Mitra (Mithra): dio delle legioni e dei guerrieri Muse: 9 divinità delle arti Mutuno Tutuno: divinità matrimoniale fallica Nemesi: dea della vendetta, dell'equilibrio e del castigo Nettuno: dio del mare, dei terremoti, dei maremoti, delle piogge, del vento marino, delle tempeste e della siccità Notte: dea della notte Numeria: dea italica della matematica, preposta al conto dei mesi del parto Nundina: dea che si occupava della purificazione dei nuovi nati Opi: dea della terra e dispensatrice dell'abbondanza agraria Orco: dio degli Inferi Ore: dee delle ore Ossilao: dio che si doveva occupare che le ossa dei bambini crescessero sane e robuste Palatua: dea del Palatino Pale: dio degli allevatori e del bestiame Partula: dea del parto, che determina la durata di ogni gravidanza Pax: dea della pace Pavenzia: dea che si occupava di proteggere i bambini dagli spaventi improvvisi Pellonia: divinità che faceva scappare i nemici Penati: spiriti protettori di una famiglia e della sua casa ed anche dello Stato Pertuda: dea che consente la penetrazione sessuale Picumnus: dio della fertilità, dell'agricoltura, del matrimonio, dei neonati e dei bambini Pietas: dea del compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato, delle divinità e della famiglia Pilunno: dio protettore dei neonati nelle case contro le malefatte di Silvano Plutone: dio della morte e degli inferi Pomona: dea dei frutti Potina: dea che si occupava di accompagnare il bimbo nello svezzamento Portuno: dio dei porti e delle porte Postvorta: dea del passato, presiede la nascita dei bambini quando essi sono in posizione podalica Prema: dea che tiene la sposa sul letto Priapo: dio della fertilità maschile Proserpina: dea dei fiori e della primavera Providentia: personificazione divina dell'abilità di prevedere il futuro Psiche: dea delle anime, personificazione dell'Anima gemella, ossia l'amore umano e protettrice delle fanciulle Pudicizia: dea romana della castità coniugale Quirino: dio delle curie e protettore delle pacifiche attività degli uomini liberi Robigus: dio romano della ruggine del grano Roma: dea della patria e della città di Roma Rumina: dea delle donne allattanti Salacia: dea dell'acqua salata e custode delle profondità dell'oceano Salus: personificazione dello stare bene, della salute e della prosperità Sanco: dio protettore dei giuramenti Saturno: titano del tempo e della fertilità Securitas: personificazione della sicurezza Silvano: dio dei boschi Senectus: dio della vecchiaia Sogno: dio dei sogni Sole: personificazione del Sole Sol Indiges: antica divinità solare Sol Invictus: antica divinità solare Somnus: dio del sonno e padre dei sogni Soranus: dio solare infero Speranza: dea della speranza Statano: divinità che aiutava i bimbi ad avere forza sulle gambe e quindi a camminare speditamente Statulino: dio che era accanto ai bambini nel muovere i primi passi perché non cadessero donandogli la stabilità Sterculo: dio inventore della concimazione dei campi e degli escrementi Stimula e Sentia: dee che, negli adolescenti, affinavano i sensi ed i ragionamenti, curandone l’intelligenza ed il raziocinio, li rendevano consapevoli e gli insegnavano da un lato l’indipendenza e dall'altro l'onere dei loro doveri Strenia: simbolo del nuovo anno, di prosperità e buona fortuna Subigus: dio che sottomette la sposa alla volontà del marito Summano: dio dei tuoni e dei fenomeni atmosferici notturni Terminus: dio dei confini dei poderi e delle pietre terminali Tellus: dea romana della Terra e protettrice della fecondità, dei morti e contro i terremoti Tiberino: dio delle sorgenti e del fiume Tevere Trivia: dea della magia, degli incroci, degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli incroci di tre strade ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, sulla Luna, sui fantasmi e sui morti, associata anche ai cicli lunari rappresentava la Luna calante. Era invocata da chi praticava la magia nera e la necromanzia Uterina: assistente alla puerpera nel momento delle doglie che aiutava a superare il dolore delle doglie Vacuna: patrona del riposo dopo i lavori della campagna. Divinità di ampio utilizzo, ma soprattutto riconosciuta e invocata per la fertilità, legata alle fonti, alla caccia, e al riposo Vaticano: dio la cui funzione era assistere i neonati nel loro primo vagito Veiove: protettore dell'Asylum, il bosco sacro di rifugio che si trovava nella sella del Campidoglio Venere: dea della bellezza, dell'amore e del desiderio Verità: dea e personificazione della verità Vertumno: dio della nozione del mutamento di stagione e presiedeva alla maturazione dei frutti Vesta: dea del focolare, della casa e del cibo Vica Pota: dea della vittoria e della conquista Victoria: dea della vittoria e dei giochi Viduus: dio minore, deputato a separare l'anima dal corpo dopo la morte Virginiensis: dea che scioglie la cintura della sposa Viriplaca: dea romana che "placa la rabbia dell'uomo" Virtus: divinità del coraggio e della forza militare, la personificazione della virtus (virtù, valore) romana Volturno: dio del fiume Volturno e patrono del vento caldo di sud-est Volupta: personificazione del piacere sensuale Vulcano: dio del fuoco, della metallurgia e dei vulcani, protettore dei fabbri Festività Lo stesso argomento in dettaglio: Festività romane. Consualia Fontinalia Fornacalia Lupercalia Nettunalia Parentalia Saturnali Primavera sacra Floralia Località -- Averno (lat.Avernus) Campidoglio Cariddi Lete Palatino Stige (lat.Styx) Personaggi, eroi e demoniModifica Almone - eroe Anteo - eroe Ascanio - eroe Caca - demone Caco - demone Camene - demoni Camerte - eroe Caronte - demone Cidone e Clizio - eroi Clauso - eroe Clelia - eroe Curiazi - eroe Didone - personaggio Egeria - demone Enea - eroe Ercole - eroe Eurialo e Niso - eroi Evandro - eroe Fauna - demone Fauno - demone Feziali - eroe Flamini - personaggi Galatea - demone Lamiro e Lamo - eroi Laride e Timbro - eroi Lavinia - personaggio Lica - eroe Luca - eroe Marica - demone Messapo - eroe Murrano - eroe Numa Pompilio - eroe Orazi - eroi Pallante - eroe Pico - demone Pontefice massimo - personaggio Publio Cornelio Scipione Psiche - personaggio Ramnete - eroe Rea Silvia - personaggio Remo - eroe Reto - soldato Romolo e Remo - eroi Salii - personaggi Salio - eroe Serrano - eroe Sibilla - personaggio Tagete - demone Tarquito - eroe Terone - eroe Tirro - personaggio Turno - eroe Ufente - eroe Umbrone - eroe Venulo - eroe Vestali - personaggi Volcente - eroe PopoliModifica Aborigeni Equi Latini Marsi Messapi Rutuli Sabini Troiani Volsci. Ferro e Monteleone, Miti romani. Il racconto, Torino, Einaudi, 2010. Anna Ferrari, Dizionario di mitologia, Torino, Utet, Voci correlate Religione romana Sacerdozio (religione romana) Numen Mitologia Mitologia etrusca Mitologia greca Dodici dei (religione romana) Quirino (divinità). Portale Antica Roma   Portale Letteratura   Portale Mitologia Ultima modifica 5 ore fa di Pulciazzo PAGINE CORRELATE Lista di divinità lista di un progetto Dèi Consenti dodici dèi principali della mitologia romana  Triade arcaica Wikipedia Il Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Daniele: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale numismatica – scuola di San Clemente – filosofia rimenese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Clemente). Filosfo san-clementino. Filosofo riminiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. San Clemente, Rimini, Emilia-Romagna. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica che era stata di VICO (si veda) e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --;  “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) – dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’ re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi,, quanto in quella del medio evo --  “Monete antiche di Capua” (Napoli)  dove interpreta le antiche monete di Capua gia pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica, diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico, segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri” (Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo Esperti’.  Francesco Daniele. Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole, Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio, filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro, vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di Sicilia.  Numismatica romana studio della monetazione romana Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni A questa voce o sezione va aggiunto il template sinottico {{Coin image box 1 double}} La numismatica romana studia la monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Romae dal suo Impero dalla prime emissioni di monete fuse, delle monete romano-campane sino alla fine dell'Impero Romano.  Articolazione della materiaModifica monetazione romana repubblicana monetazione imperatoriale monetazione imperiale monetazione provinciale La monetazione repubblicana comprende monete dalle prime emesse da Roma sino alla guerra civile.  La monetazione imperatoriale comprende monete emesse nel periodo delle guerre civili, dai vari generali in lotta in virtù dell'imperium posseduto. Alcuni studiosi non accettano questa categoria ed includono queste monete in quelle repubblicane.  La monetazione imperiale romana comprende monete emesse dalla nascita del principato fino alla fine dell'Impero romano.  La monetazione provinciale invece tratta di quelle monete che sono state emesse da colonie ed alleati di Roma. Si tratta principalmente di monete sussidiarie o di monete emesse dagli imperatori romani utilizzando tipi che fossero meglio compresi da popolazioni di lingua greca. Spesso queste monete sono indicate col termine di coloniali. Una volta erano anche chiamate Greche imperiali.  I punti più rilevanti nella monetazione romana sono l'emissione del denario nel III secolo a.C., l'emissione dell'antoniniano da parte di Caracalla nonché lo studio del sesterzio vero e proprio veicolo di propaganda dell'antichità.  Sono anche fondamentali le riforme monetarie di Augusto, Caracalla, Aureliano e Diocleziano.  Classificazione delle monete romane repubblicaneModifica  Antonia 1; Syd. Craw. 364/1b  Pompeia 1; Syd.; Craw. 235/1a Per le monete repubblicane uno dei riferimenti più usati è il testo di Babelon (Description historique et chronologique des monnaies de la république romaine vulgairement appelées monnaies consulaires) pubblicato in due volumi nel 1885-1886. Nel testo viene utilizzata la suddivisione proposta da Eckhel:   monete fuse monete romano-campane monete anonime, senza cioè l'indicazione del magistrato responsabile dell'emissione monete divise per gens. All'interno della gens le monete sono catalogate in ordine cronologico. Le monete vengono quindi indicate con l'indicazione delle gens ed un numero progressivo: ad es. Claudia 6, Pomponia 1. La Description di Babelon è stata ristampata.  Altri lavori più moderni sono quello di Sydenham e quello di Michael H. Crawford, che elencano le monete in ordine cronologico.  Il lavoro di Crawford è il più recente sulla monetazione repubblicana. Nell'elenco delle monete il primo numero indica il monetario mentre il secondo numero indica la singola moneta.  Sydenham, E.A.: Coinage of the Roman Republic Crawford, Roman Republican Coinage. Quest'ultimo lavoro è considerato il migliore attualmente esistente  Bisogna anche citare due studi particolari:  Campana, La monetazione degli insorti durante la guerra sociale, l'unico studio approfondito su questo tema, che riporta anche il corpus completo e lo studio dei coni. Thurlow, B. - Vecchi I.: Italian Aes Grave and Italian Aes Rude, Signatum, and the Aes Grave of Sicily, sulla monetazione fusa in Italia e Sicilia. Classificazione delle monete romane imperiatorialiModifica Non esistono pubblicazioni specifiche che classifichino le monete di questo periodo. Si usano sia testi sulle monete repubblicane che testi sulle monete imperiali.  Alcuni dei testi sono già stati analizzati per le monete repubblicane e sono:  Babelon, E.: Monnaies de la République Romaine, che usa la divisione per gens. Sydenham, E.A.: The Coinage of the Roman Republic, che usa una suddivisione cronologica e si ferma grosso modo al 36 a.C. Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage. Altri testi, che riguardano anche la monetazione imperiale sono:  Cohen H. Déscription Historique, un testo che riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete imperiali Roman Imperial Coinage (a cura di Mattingly e Sydenham). Classificazione delle monete romane imperialiModifica I testi di riferimento per la monetazione imperiale sono i "Cohen" ed il RIC. Cohen: Déscription Historique des Monnaie frappées sous L'Empire Romain, comunemént appelées Médailles Imperiales. Riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete imperiali. Ovviamente ormai molte delle informazioni contenute sono diventate obsolete. Copre le monete emesse Le monete sono ordinate prima cronologicamente per Imperatore, poi per l'ordine alfabetico della scritta al rovescio. Questo ordine, certamente poco scientifico, comunque permette di identificare abbastanza rapidamente la moneta. Roman Imperial Coinage, Nove volumi a cura di Mattingly e Sydenham -- è lo standard di riferimento per le centinaia di libri e cataloghi di collezioni su questo periodo. Mommsen: Die Geschichte des römische Münzwesen - Berlin Tr. fr.: Histoire de la monnaie romain. Paris (Ristampa Graz  Ristampa Forni) Burnett: Coinage in the Roman World,London: Seaby, Sutherland,  Roman Coins Harl: Coinage in the Roman Economy Thomsen, Early Roman Coinage: a Study of the Chronology, 3 voll., Copenaghen, Repubblica Babelon, Description historique et chronologique des monnaies de la République Romaine vulgairement appelées monnaies consulaires, 2 voll., Paris, Rollin et Feuardent (ristampato da Forni). Alberto Banti, Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione repubblicana, Firenze, Banti editore, Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Firenze, NIS, 1993. Gian Guido Belloni (a cura di), Le monete romane dell'età repubblicana. Catalogo delle raccolte numismatiche, Milano, Comune di Milano, Crawford, Roman Republican Coinage, London, Cambridge, Crawford, Roman Republican Coin Hoards, London, Royal Numismatic Society, Sydenham, The Coinage of the Roman Republic, New York (Durst). ImperoModifica Alberto Banti, I grandi bronzi imperiali, Firenze, Banti, Cohen, Description des Monnaies frappées sous l'Empire Romain, II ed. Paris,  H. Mattingly - E.A. Sydenham (et al.), Roman Imperial Coinage, Londra, Montenegro, Monete imperiali romane, Con valutazione e grado di rarità, Torino, Montenegro edizioni numismatiche, Seaby, Roman Silver Coins, Second edition, 4 voll., London, B.A. Seaby, 1967-71. David R. Sear, Roman Coins and their Values, Millennium edition, 3 voll., London, Spinx, Monetazione romana Monetazione romana Monetazione fusa Monetazione romano-campana Monetazione romana repubblicana Monetazione imperatoriale Monetazione imperiale Monetazione provinciale Monetazione bizantina Monetazione italiana antica Collegamenti esterniModifica Sito con le immagini delle monete repubblicane ed imperiali, su wildwinds.com. Introduction to Roman Coins by The Museum of Antiquities on the University of Saskatchewan, su usask.ca. Risorse numismatiche on line. Università di Bologna, su numismatica.unibo. Rassegna degli Strumenti Informatici per lo Studio dell'Antichità Classica: Fonti numismatiche, su rassegna.unibo.it.   Portale Antica Roma   Portale Numismatica Ultima modifica 2 anni fa di Messbot PAGINE CORRELATE Numismatica studio della moneta e della sua storia  Monetazione romana repubblicana monetazione di Roma repubblicana  Roman Imperial Coinage catalogo britannico delle monete romane di età imperiale  Il Daniele. Keywords: implicatura numismatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ELEGANTIOLÆ – scuol di Siena – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” ristampato “Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae”. BOpSTr . JULLgi I et o=w zxt ri (yauM^ -zn j r J * cm (jflV<3 VSTINI DttTI Senensis Ifagogi? cus libellus in ELOQUENTIAE PRECEPTA ab JPvnbrea b«= mini ctyriftof eri filium f eliciter incipit/ 8 Rebimu giam bufeumaplcnfcKviiris i etiam bifertiflimis perfuafiitum be- v ', t v tvr, mum artem quepiam in bicebo non . ^«,'<$•/ J nuliam abipifcu y fi veteru fectatu vef 6 tigia/optia fibi quifcp feper ab imita bum propofueriFTNecj^ eni qui biutius I.M» CICERONE lectione veriatus fit,n5 m bicebo/et ornatus et copiosus esse poterit. Na et fjorribiora cre= i,•.»>>brius cofectati l ipfi qucqp anbi ieiuni et inculti fi ant neceffe eft. 4j Lectitati igitur micfyi CICERONE volumina Cque ELOQUENTE parentem appellaueri) - j pauca anotatioe bigna vifa fut. iquibus fi vtemur 41 vulctanufermoneaipernati/ab eloquetiamrroxi i s i mius.accebemus/ v PRECEPTVM I varietati/comutati onio vt ftubeamus/ t d Seb cu ib i primis quirc| abmouebus fiti quob rfyetor ille biligetittimus et inlignis abmobu orator sabius Quitilianus be oronis partibus bicere cofueuit.J Meq; eni leges fut oratoru / quaba velu- . tiiniu.atihj Kceflitdtecoltitute; ncc roaaiignibus < L -v* GI-NEVIEVM; vt i&cm bicebat)plebifl ve fcitis.Tancta [vt ifta PRECEPTA. feb vti in ftatuis picturis pozmatibus ccte= rif^ita quocgin exornaba viri eloquentis oratione plurimum feper roboris ac vcnuftatis r;abuit varietas . &tc$Cquob bici ibfet) tenenbu cauenbucj illub est antc omni ainears vlla bicebi u fieri poteft fTe vibeatur. Hec igitur lex prima fit comutafionis varietatiTaj/qua erubitoru aures nobiffi cile iubicet. ilHoc iajtar iacto fubaireto /per pauca beitfps fcritan C 7>vnorea amicc fuauilhme qae et fi ron femper^ vt plurimi m tamen l; is rationitus titi feruar.ba erunt t fcb iam nofiri ialti' tuti ita nafcetur exorbium. (JBecunbum preceptum be fitu fuppofiti/ verbi etappctti i oratione; ^Jplcrua; enim qui oratorie artis fforibussc faleratis. Vtaiu Ove ibis ftufccntkotratnu vulgataci gramaticorum confuetubinem bamna= tcsi quob in calce abiolute orationis locari cofue uitiib illi potms coaptantinicioi quob oir.ne tibi exemplo erit manifeftms. £cis plena orationer a conltaretribus partitus. qucb SUPPOSITVMCvteorum ipforum vocabulis vtar)quob verbu/ quob APPOSITVM vocant. Diciit igitur nramatici {SCIPIONE afiicanus telcu A l.aitf; £gin«ri, ciwticrie vcro L r h 1 r l eloquii bemines couerfo potius vtuntur orbine. Al-*— a liarttjacune lcipio africanus &eleuft.illi.'M/r. CICERONE (si veda) vtitur famuiariter. p4cntulo.no8 vero.'p«le^ *f'**T tulo. CICERONE farmliarir vtitur. Quib? tf^'J*t-r me exeplis patere arbitror appofitum prirnu 1 owr^V^ * > tione/fuppofitu mebiul nouiflmuiverolocu ver^^ bu tenere.([Seb et u quib Cpro graraaticor5 «•*. A; re)poft appofitu fitum eriti ib iitio oratioms poi^J^ L-Scncr^^. ras. Ligurgus conbibit fancttflimas legcs lacebc* *~i awu^yfc. monis. Lacebemonis fanctillimasIecreB ligursr..^*- <*, e ~3 aus conbibit.mulfag; cofimili ratione* ~pao„tfi^c, i !*.l.*-«*«_i k igitur pieruncj principioappomturi hppoiitutnf^/ mebiojline vei bum.vtanopagu folon. fclammuBf™ primu coftituit vbi granwtici bicut j fol5 primus, coltituitanopasum. {[Ceterum biueriis orttmcv feus i et iocis tollocabe fut partes pro aunum iu*r7 " a ^ fW do j quob quibem folo vfu coparatur ^ a*A PERCEPTUM III be abuerbioru fitu |*r^ lam vero be abuerbiisC que funt veluti abiecjjftc verb?rum)5id poteft pauW vbi uia lpci A effeivfei bemu aptius congruere vifa tuerint«mos bo in principioJmobo in finelmobo intenecta m< ter vti ucg.qua in re biligeti vtenbuin est conhho Seb prope verfcum frequetius per venuftam rebbunt oratione. vt fabius maximus ante alios fortiter atcj animofe pugnauit.C.lehus fcipioe fami hanfume vtebatur. Qementiflimus ceiar l?umiti= teHcjngfcebat. Nunc vero ab rehqua . {jQuartu preceptum be prepofitionu/et integrarum pferumaj orationuiteriectioet inter NOMEN SUBSTANTIVVM et abiectiuum; PROPOSITIONES pcrpulcf;rc intcr fobftafiua at q abiectiua nomina interiiciutur.vt feraci in agro ornatiflimo in loco.maximas ab res.fyanc ob caufam. iuftis be caufis . aliacji l;uiufmobi complura Ncc prcpofitionea folum (kb alia pretcrea eiufc» mobi nuncfumemus eyempla. Maxima i rep. biligentia. magna in parentes pietas increbibilis m omnes ciues obferuantw.fummain l;oftes hbera PRECEPTVM V be fmedecticne genis fiuora iter buos nominatiuos/et ecotra. 7Ktq etiarn pulcf;crriinu i iter buos cafus / puta nominatiuo e buos/ahquib cotmue pomtur. Vt om »ia reip.iura coftates miljtum ammi.macma fces < i» f m leratorum fyominum flagitiaf Bcouerfo etia cofti tuta ac trafpolita oratio piurimu exornah Vtl?u ius daritubo viri.fyuius qmrites auctoritate locif Ci VI PRECEPTU beabiectiuorufituf Venufte etiam pieruqj precebit abiectiuum nome fubft4tiuum. Vt tua bigmtas«optimavirtus»biui »u igemuin.exquifitaboctrina*Magni ehirefert/ quo ioco quecg bictio iita fit. quob teftatur BOEZIO (si veda) in iis comontariis l quos in ariftotelis librum cofcripfit.vbi et CICERONE et VIRGILIO (si veda) ponit exepla BOEZIO autem ipsius fyec verba fut Sfenim c£tum ab copositionem orationis fpectaf/ maximum bif f ert l quo VERBA ET NOMINA predicationis sue ordine proferantur. Multum enim itereft in eo quob f* A ait CICERONE^bb9ncteamctiamnaturapeperit-'volutas exercuit/fortuna fcruauit ita bixiffe vt biz J ; ctum eft/an lta ab Ijanc te amentjam peperit naf u +4 £ j ^ raiexercuitvoluntasiieruauitfortuna* jSicei'im>>' » minor elt fetentie magnitubo. minuf^ in ealucet _^.^ v ib quob fi fic coponatur emmet i et fefe vel nolentib«s i^ominum aunbus/aifqj patefacit « Rurius quoqi bicit Virgduis pactqj iponere moremipo^ iuilfet feruaffe metrum li ita bixifiet l moreq? imponere paciifeb elt bebilior fonus* nec eo lctu ver fus ta preclare vt uhc compojitue oiceretur* quod ibera non eft apub byalcticos . ljcc BOEZIO . Nuc aorciiqua; <J Septimu preceptu bc fitu ncgatiue bictionisf Negatiua bictioapte i calceoratioms ponitur» Vt preitanticrem te vibi nemi :em. Scipicne clario= re m bellicis laubibus iuenies nemincm.Tua er= ga me BENEVOLENTIA tuo in me aimo gratius e ni= cbil.gui tearoenti js amet.' fyabes nemine (jfpctauu preceptu be pouellcns ante pof= fefnonem fitu/ S8D et polleffor ate poifeffione. Vt opti viri bi uitie. preftantis viri virtus.prubetifumi fyominis confilium; dHonu prcceptu bc vlu gerunbiuorum nominu pro gerunbus; CXVIQ vero pull?i-ms.'§ £i pro gerunbiis que appellant vtamur gerubiuis nominibus. 7Kc trjs tu e prifciani exempiu . Veni ca amabi virtutem/ vcni amabe virtutis caufa.gra gerebi bella t geren= borum bellorum gratia.ab amplexaba virtute ma gis.qi ab amplexabum virtute. Que vna preceps tio optima eft.crebraq? cius apub.M.T.aLolqj cloquetes viros tuit cbleruatio; {fPecimu preceptu be congruentia nominis relatiui $kruq, cum consequente/. Nunc aatem mu!ta confkiam. quc li biligeter ab uertensmb pavu ornatus ktino cobucent elo= quio.Seb ib micfci imprjmis aniabuertenbu vibe tur,'vtquom tna luerint^antccebesJ cofeques/ et eorum mebiu relatiuu nomeifr fitib confequens/ vel l?ominis / vel rci cuiulpiam propriu nome.' re LATINV cofequeti femper cogruat.ftlioquin no LATINA ORATIO fit ( fcb a boctiUimorum fyominu consuetubine longe ahena, frhas poteft cum aiterutro conuenire fi ncn con cquatur propi ium ncmen. Qua rem facile exempla beclaratiet prifcoru auctoritafes coplures. CICERONE primo TVSCVLANARV quefhonum.btubio fapietie que pl ia bicitur. Et fexto be rep. contilia - cetuigj fycmmu mre fcciati; que dujtates appellantur. Mq lteru i cx illis lem= piternis ignibus/ que vcsfytera etfteliasnucus ett.s.Saluftii quoq; llluo tritum cft, Eftiocus in carcere quob tullianu appellatur/inuncrabilia h netufiis cobicibus ib genus iucnias.Hcc ib e ara= maticeartis vitiumiquobquibam Ljnari littcraru arbitrantur.Seb et nos ahquio exemplorum af fe ramus predarum est CICERONE opus(qui cato ma ior bicitur.nam quob CATONE MAGGIORE bicitur /non ia= tinc profertur. Confiiniliter vrbis vifcenbus con ilcr.bu eft i qui iut ciucs. pcrbiti vin cx vrbibus pellenbi funt /que eft ciuitatum pernities fentina Sebecoris. Plerunq* igitur relatiuum nomen cura eo concors eft quob fequitur/ CjVnbccimu preceptum be cogruentia in cafu ex trib^/eoru buoru que proximius iugutur^ Illub quoqj fpectabum efttNam cum tria exiftant qaorum vnum relatiuum lit nome;frequetihime coram buo in eiufbem cafus exitu conuemut/ na vt exempli caula bicam aliquib Si quis l?unc fer monem protulerit l liber in quo be virtutc agitur preclarus eft .rectius atqj ornatiusbicitur;in quo hbro be virtute agitur/predarus eft. Concorfcant nantj eobem cafu ex tnbus buo llla que maion vi cinitatc iuncta funti ahub lterum exemplum ^u^ iulcemobi fit* Qaias mifif*i htteras ab mc locubc f jerunt. Sermoce queaubifas no eftmeust Qua exiftirras bemoftI;eIs orationem /cfcJ^ms elt. atq Ijuius fermonis crebru muenii e potens apub vetercs vfum.M.T.officioru pricnoi quorum autcm offinorum precepta trabutur ea quancy p« tincant ab finem bonoriu Virgihus Maro m ene ibc/ vrbcm quam ftatuo veftra elu Terentius in i bna/poltl^ac quas faciet be integro comebi.s fpec tanbc an exigenbe funt vobis prius.Ibem.populo vt placcrcnt quag f ecilfet fabulas* Ibem, quaa t r creois cffc \)islno funt vere nuptie. $tcj eiufrao bi fermo plurimum exornat; (JDuobcc.mu preieplum t e auxefi potxti ucrum cum per; 3D c.ucxj oigmlfimu cft annotatu. vt quom pofi= tiud€<auger^ velimus normnaivtnsper prepofi f um aecebdt.Gcero m cpjftola ab cunonemkui z cai us eque fisiet teriocunbus . Ibcm be oratore p r;m o.perboati quite frater ilhviben folet.Tere. in eunucr;o. perpulc^ra irebo bona fyaub nof tns fi miha.nam pergratum vaibegratum fignifrcatM in cratione Jepibe p crfonat; (jTrebecimu PRECEPTVM XIII be fuperJatmis cum multo/longe/et §; PST fupcrlatiuis /inulto/ioge/et qj abuerbia pre ponimus ibqj fepenumero pei pulcl;ru viberi fo^ let. Vt longe amatilfnnus veftri.mulfo ommu foituanllmus-St acjo tibi q-maxias gratias (JJDerimumquai tum preceptum be com parati uis cum multo / aut longc . GOMPAratmis vero vel multo vel fonge p poni Jblet. Vt mfticia multo predarior eft ceteris vir tutibus.8t Socrates loge aliis pfyis fapientioi } (jDecimuquitu preceptu be quibufba noibus quc agrecis prpfecta/bccfinatiorie mutant, ({ILLVD nequacp omifc;'imus,'q> quom nomina quepiam funt profccta a grecis tertie fiex.onis d obiiquos cafus fjabentia qui rectum bperanttf» tini oratores rrequentifume calibus ac.uf tiuis il= lorum quibufbam immutatis fmgunt ahamm be dinationum nomina et genus feruant . qualiafut poematum EMTYMEMANTVM o ELIPSIIM elegantus ctlampaba^aue a plerifg?tertia flettione pro ferutur poema ENTYMEMA /beipbin/ ELIPSIS as lapas . fyanc tu obleruationem biligenter manba memorie/ (TDecimu fextu preceptu vteleganferoftebemus quippam nobis eife/iocubu/ vtilc/ vell) Onestus et ettevaibgenus; JXuo aut volumus oftebere nobis aliquiD jocti bu/^oneftum/vtile eftei batiuis cil verbo vtimur fum/es/elt fubltatiuoru/ quoru illa abiectiua fut Mi(ne ab exeplis bilceba^quib aiiub iignif icat l?«e res raicfy locunbitati eft JcJ bec res eft micfy iocubVlbemc$ l lpfe micfyitue littete fuerut gaubioquob elt ab gaubium vel gau&iu micfyi attulerut. Predara vrbis ebificiaciuibusbecorifunt. Vitia bsbecon ful viris Jibeft bebecus pariut viris beq ceteris colimriiratione; ([Decimufeptun preceptu be af ricio et af Fiaor» <l k. m «#"» Vevbum aftido Jet pulcfyru eft/et late patet.nam afficio te voluptate ibciit tibi voluptate affero. M i icio te fyonore lbeft facio tibi Ijonoi em et te fycno ro.aff <cio te laubibus l&efi tc laubo. affkio te pro bro lbelt vitupero te . afficio te comobis lbeit tibi ccnioba facio.afficio cabauera fepuftura lbcft caba uera icpelio.T^if icio inimicos miuria tbeft facio i iunam mimicis, 7\tq fimihter affiaor bolore lbe boleo.af ficior gaubio ibeft gaubeo. aificior vere? cubia ibelt verecunbor. Latiilimacj eftlmius ver= bi vlurpatio.Nec tum lateat tc/af f icerc bifponere ficjmficare.Hinc eft plauti iflub/ viua vos magis arficit.Neq} cnim fme optimis caufis ta l&ta / tao; bilfula fit eius verbi SIGNIFICATIO feb be i?oc latis; Cj PRECEPTVM be tum vel et «jeminatis . (jxviii > Non eit aute ignoranbu cp i\ ouo/ aut plura buotus Cquob perraro vfu velt)paritcr fe l;abuennt.' vtri<$ tum bictiomm prepcnemus.Qoicb Iiqueat exemplo.Par eftin.C. lelioboctrina/ ac virtus. qitacj dt eius viri pvobitasitata quoc| ett eius fci= entia, tunc lf lenbibe / ac rccte bixcrim . C. lcfius vir tum boitus e/t/ tum probus •Itibemcji magna ineit.M.C.ieiiotum virtus/ tum etiam boctrina C« ivltus p..uMnu tu iaute/tu reru icietia valet OTub iterum exemplum» tfyemiftocks tum confilio polletin vrbams rebus/tui beliicss negociis viribus atcg animi magnitubine f ioret . Stc eni tatum oftebit in rebus vrbatiis effe cofiiium cjtj in beilicis magoif ubinem animi <$ tum geminatum pofitu eft*Seb eanbem quoqj vim fyabet .jeminata et coiuctiua Virgiliusi eneibe.MuItum xlle et ter tis iactatus et alto. ibe profecto fignat.'eneas t tum pelagi /tum terrarum labores perpeffus eft.7?vfri canus fuit figularis et vir et imper.ator l lbem Qy> vult« africanus magnus extitit tum vir tuntfmpe i-ator ; (J Preceptu be cu et tu (JxixQi fi buo contra nequaty paria futi (eb aheru mi= bus complechtur /alteru vero magisiita etficiens bum eft* vt quob leuius exiftit locemue pnus/at= cj ei cum bictione preponamus.quob aute grauius valibmf$.'ib pofterius politum/ tu bictio pre= cebat.Qoiob patefaciemus exemplis Gielius amat SCIPIONE propterea <$ eu boctum cognouit fyominem/et fempzr virum optimum/ quob poItremu vefyemSter ab amorem impellit. quare ita oratio eft inftituenba« G. lelius amat lcipionem tu ob boctrina eius tu propter virtute. ita virtus in fyac bemuoletia pius mometi fyabet. JPvtqj ibem lta ubixerim.Gu oes. fortunati funj qui bene. viuwt» -I tum perbeati qui omnia befetfit / et virtute iblaui coplectuntur, Ijos na<$ pofteriores multo beatio= res elfe conltat.Si quis fuperius mo aliatam preccptiorem intellexerit.l;ec. M. Ciccro lmpnmis i requeter vfurpat.£x quo iiiub.'cum cmnibus co fulenbum eft/tum lllis qui armis politis ab lmpe ratoris fibem conf ugiunt. SIGNIFICAT enim fumctibus ab lmperatores/et lefe bebetibus multo ma= gis confulenbum elle.$ttc| m catone maiorc nura ti fele aicbat Iceuola. CATONE MAGGIORE cum ceteraru re= rum perfectam fapientiam/tum q> nug> fuerit jlli feneaus gra uis . kb be f,flc re faiia/ (JVtquapia laubari aut vituperari oporteat, xx lam vcro explicanbum clt qua ratione quapiam perfonam/ autlaubari/ aut vituperan oporteati quob ab bccorem iermoms pertineat .riam it trj= f anam polfe f icri coperimus ex monumehs litte-'rarum.li cnim velim oftenbere.M.catonem fjabe remagnamvirtutemicum verbofum/es/elti ita comobiflime f iet,Marcus cato vir eft magna virtu te, M.cato vir eft magne virtutis.M.cato vir cft magnua virtute»popuio pfyilofoptus fuit preftas igemo/vel preftatis igemi.'vel preftanti ingenio. mulier eclara morib^/claroru moru. 1 claris mori b^wregregiojaiibc egregie, iaufys egrcgia laube Se* iliub prius magig poetaru eft. poftremu ve~ ro fplenbibiffimum et perpolitum,ffiriltoteUs clt fcietie copia pbiio Coplug^exquifita boctrinai vir a ctrimo isenio ! Quob qu.beCvt bifertfcus pri fcianus inquit )hcjmficatariftotele fcbentem facntie copiam* ac qui l?abeat esqaifitam ooctrmam cetcra cj confimiii ratione. Cluob quibcm ttulus qelius confcntirc vibetur in noc, ac, bft erura vjf fut befectio quebam ifeb ca ttifa / vforpat** ab elo quentiffimis viris/ac darilhmis oratonbui. qut et vobis quocg vtenbum fit ; fTDc accufatiuis etablatmis participioru locum tenentibus infimtim verbi. <[xxi. flT& VI participioru cum accufatim calus ie« pe tum ablatiuilocum tenet mfmitiui verbi. J?wt feluftianum illub, nam et priufc* iopias colulfott vbi coolulueris mature facto opus elt.bt tere» tianu Mius gliceriumalioqueflamicam pamptjui lam iam inquit muentum tibi curabo 1 ec abOujs* tumtoumpamlpilum.Omnian5c|iUay colulto/; facto inventuiabbuctu cofulcreyfactre/ luemre/ aooucere befignat. veru frequeter l?is ratiombus abltluoru cafibus vtutur l accuktiorum perraro? 4jDe ijoc nomie opus cu variis cafibus. .xxiiv %quomam*eMa»ne quo>eft©ou8 •«»»«, i • v metione iiteHigen&um elt / opus eft micfyi ^ac re i fignif icare me egere Ijac re.feb ib variis caubus m cu folet Nam etiam opus cft micfy tua opera/nominabi cafu«'et tue opere/et tuam operam/ et tua operaJeb ljoc poftrcmu ornatius eft 'z totum ora torium.Cetens rationbus poete pctius / fyyftcris •grap^icj vtuntur,tloa autem queca precip imus vt cocrncfcamus a veteribus vfurpata eifoecg vtamur.quecam veroM cognofcamus lolum.i^am rpus eft miclpi l;anc rcm/ nun§ oraior oicit i feb fcacre? (Jpe comutafione abitctiui tt fubftantiuj' in vqcc geuere et calu. ijxxiiii O uib illub.^ncne puldjerrirr.u cTt .' vt quom fcuo ncrowa alterum abiectiuum /alterii lubftatiuu co bem cafus cxitu proferri cebenf)vtfrpe crcberrimccfCquocarno tertia abiecfiui nominis voce que cli neutra i vim iubitaf j'ui trafferamus/et fubftan tiuu iliub prius cafu collccemus geitiuo.quob vt Irequts e ciubitis atqs bifertis vir;s. ita quog erit excmplo manileitiuB. Mam quom muitam vir lu tem bicturus fum i li «nultcm virtufis loco eius 9 taiionis pofuero / multo protukrim vcouftius» «Multu pecunie eni fignificatmulta pccunia.pl ummi &nm t f limmas vra»quife anmi tltt qiiis aimus quib rei que res quib cause. que causa. ftlia quocp lta permulta. Seb amabuertenbum efl/q, fi genitiuus ille casus singularis fuerit.toti itera orationem fiogulariter exponere bebemus, Bi pluralisipmraliter. Naqi (exempli caufa)mul tu pecunie ibcft multa pecunia / fingulari numero atconfcramultum pecuniarum figmfieat multas pecuuias. Similis <* eft ct aliorum ratio. vt muls tum roboris/fingularem^plurimum virium/plu rale quocj fabet fignif ication€. Et abverbia quoc$ nonnulla eanbem vim retinenfc prefertim vero buo l?ec/parum et fatis.Nam paru fepientie lbeft parua fapiifia.fatis virium ibett fufficietes vires, 8t nifyil quog fiue nomen/ fiue abuerbium ht . m canbem fepe obferuantiam eabit, Hec igitur ^ac^ Vt gemioanbum eft epitl?eton fequentibus. substtantivis aut econtra» <£ Quonia aute figula fyc fere iueftigamusiib quoa oignum cognitione ctti vt cum buo meminen= nius nomina fubftantiua/ quorum vtrio; ibem epitfyeton abicienbum efU vt abiectiuum ipfum pri cipiocollocemus<et fequentibue fubftantiuis / vel tumgeminatum/velbuplicatum^tpreponamus Bxempli vero caufa ef i erantur» CICERONE verba. $fricanus singularis *t vir ct imperatori quob eft afrixanus ficujlaris vir z figularis iperafor .ppter magoa el boctoris auctoritatem/et vrbis/ eft pro pter magnam auctorif ate ooctoris et propf er ma= gna auctontafena vrbis^predarus/etrailesyet ci= uis iliuftns/tu vir/tu pfyus optimus/tum pafrie foefefor/tum gubernatcr/iuftus/etrex/ etiubex» Coniumliacj eobcnmobo fe fyabeot. Seb et fepe= numcro contra co&em orbine vni fubftatiuo pre ; pcfito buo aoiectiua/aut plura beferuiunt.8xcm= pia funt que nunc conftituam. Vir tum bonus fu temperatus.imperator et callibus etfortis, iubex etiteger et foflers. owamefa ciuifafis tum mulfa tum predara. alia fu ipfe coniecta. Non nungj» ef buo lubftitiua ita fe r^bent vt alterum vim fuam vbi$feruef actueaf ur/ alferum quafi qugbam ofc tineat abiectiui nommis iocu/ ef eiusfugafur of= ficio.&uale eft illub VIRGILIANOprimo eney, mo lemqi et montes infuper altos impofuit. ac fi bicat molem montuoiam impofuit. Cauenbum eftne ab fyoneftate naturacj oilcebamus.' ac ii bixerit ca uenbum ne a naturali Ijoneftate bifcebamus. Scb tibi f)ec fatig finf/ (jpe extremis fupinis/pro gerubiis accyfafjui eafus, xxv. -.^iSzb m qotfi i;iftonam texens biceborum fenem nectami lta quecg patefecerim vtlefemicfy forte quabam obtulennt. Ceterum no ignoranbum effe vibetur,vt ipfc arbitror>xtrema fupina pleruncj ornate/ac peruenuite fignif icare gerunbia accufatiui cafus ao bictione prepofita, Vt res biii icilis crebitu ibeft ab crebenbum. miferabilis vifuibeft ab vibenbum. iocunba aubitu ibeft ab aubienbum fuauis guftu ibeft ab guftanbum .permulta fimili/ ac pari ratione fe fyabent/ {£ De exafperatione orationis permutationem fuperlatiui cum abiectione abuerbii fuperiafcjui ab mobum / vel in primis» (fNec ib te amice lateatM quomfuerit fuperlas tiuum quobpiamburius/afperiufcj et fuperiatiue fignificanbum fit l vt pro fuperlatiuo poutiuum afferamus.' et ei aptum abuerbiuro fuperlatiuum apponamus.Nam maxime memorabiie hciausi eft memorabiliffimufacinus» Maxime rarum genus fyoimieft ranflimu genus fyominum» Seb ab mobum/et in primis / poiitiuis abiucta vi fermc eabem retinet. Vt abmobu memorabile facinusi vel inprimis rarum genus ^ominum i ^Txxvii . vt quepiam mebiocritet «ut vetyementcr ia ubabimus/ I Jb aute nequaqj filetio preterierim. Vt fi que qui virtutcro fyabeat v lim mebiocriter faubare i bica (exempli caufe) perides virtute preftas princeps erat atfyenisfvelmulta predara gelferat. Trjcmisftocles rebus geftisfloruit. Sin velim vefycmenttr ac plurimu iaubare abiiuam gloria fiue faubem^z caufam laubatiois calu genitiuo coftituta Perides (Vtibem exemplu aga)virtutis gloria preftans a= tfyenis daruit.'tl)emiftodes geftarum rerum laube emicuit. £ict{. M .antoniuS preffabat ELOQUENTIA mebiocriter huoatur ac fere exditer. L . Craflus efoquetijgforia excelluit ve^emetiffime laubatur Seb tu pro tui ingenii bcnitate oebucitof (C Luotiens SINGULARIS ET PLURALIS numes rus connedutur* viciniori relpobebu i ibecj Ht jn oiueriis generibus; QuotiesCquob ipfe quot| teftatur gramaticus fer uius")Ggularis etpfuralis numerus ccnnectutur/ refponbemus viciniori. Virgi.primo cnei,'r;ic il lius arma V>ic currus fuit.no aute fuerut.Teren. in anbria J amatiu ire amoris reintegratio e.xeno= pfyotis belitie mee fut.fyoftes eorucj exercitus pro perabit.atcg ita frequlius obferuat*.ibe f it I biuer fis gencribj.na fiue niafculinu"/ fiuc f eininu e. vici no refpoDgmus. vt vir atcy mlier optia ab me venit Intelligitur naq? optimu effe viru et optima mut here que vemnt. Verum fi plurali numero ve.'i= mus vtiteb mafculinu trifire nece fe eft. vt vit et mulier leti properant.T^vlexaber et olipias clari es Ittterunt? TxxixToperepretium eft. Opereptetiu eftCquob peruenuftum eJft)ficmif icat mo vtile efteimobo neceflanuimo locubu i mobo laubabile.i^tq* is SIGNIFICATIONIBVS NOMINIS veteres vlurpant/ {J»xx.v.frui. Frui quapiam reieft fructu/ fme vtilitate veJ vc^ luptatem percipere ex ea. vt cum bixerit quis ocio fruor, pre fe f erre. JPre f e f erre ahquib eft verbis *ut ibiciif quibufba ib oftenbere/et quobamobo confiteri/vt. M. cato pre fe f art gramatica.lelius pre le f ert hberalitate fyz vuit oftenbere <$ i f fe fit iiberalis; Rat.one fyabere. tiaticncm babere eft refpectu fyabere. feb(vt planius xpona)fyabere rationem alicuius rei eft rem conliberare. vt fyabeo ratione temporum loci per fonaru eftea ratione oia coplecti / et conhberve/ {JjTxxiii .Complector anuno» t Hanc r em animo mcnteej complectcr l ibeft tflat rem conhbero et voluof n animo esse. In animo est / SIGNIFICAT IN ANIMO IjabeQ.a aimus mictyeft/ibeftvolojj . CeKtum micfyi efti Certum eltmicf)i libelt beliberat»m ct oecrefum/ v«I bejjberaui et becreui. Profequor? Profequor te fyonore ioeft te fconero» Profequbr te laube ibeft te laubo • profequor te probro ibeff vifupero f e.profequor te amore ifceff amo te/ Benemereri; Eenemerltus [um be rep, ibeft beneficium i illam confuli.benemereribearoicifl/eft cpnferrein arai cos beneficia* «^sxxviu.eque» Eque pro ita.'ac pro vel/afc| pro vf vel quafi orni tilfime ponutur.exemplum cft eque te laubo ac ci ceronemj ^xxxix .Haub lecus Haub pro non/ fecu9 pro aliter venufte in eabem oratione continue fe Ijabet vt feaub fecus fetio atcj f u ibeft fentio ita ficut tu/ (l*h9* coparatioo Igcp pofitiui MdnficJ et pulcljre coparatiui prb pofitiuis ponu tur. Vtalexanber macebo corpus babebat imbes cilliusiquob imbeciliufismficat. Satiriinlcele» vefyemetius inuefyuntuWquob eft vefyemeter., Dar e rem vitio / vel laubi . Do tibi fyanc rem vitio lbeft vitupero te be bac re. bo laubi ibcft laubo. bo crimini ibelt crimmor; De fubiuctiuo loco inbicatiui.'et illiua pro l)uius temporibus; Seb nec illub quibem negligenbu elUfubiuctiuus mobus pro inbicauuoiz ujius tempora pro i?uius temponbus interbu l?aub illepibe ponutur. vt ve Jim fepe pro volo.et gercrem pro gerebam bilexe rim pro bilexi.feciuem pro feceram. fuerit gratu pro gratum erit.feccris pro facies.Ib oim multo ornatiffimui li cportunis locisagatur . quob vbi factitanbum fit. 7 peritorum aures facile ceiebunt. Quaobrem exercitatio abfybeba e non mebiocris que omniu magiftroru precepta fuperat.Quob fi quis nouerit grecas litterasiei quob mobo explis cauimus non bif f icile perfuabetur ; (fxliii . Partim l>ominu et eius abuerbii geminatione/ partim ^oruinu venerant perfepe bicitur.Et.^v. gelio tefte eft ibem quob pars Ijominu ibeft quib» Ijomincs^nampartiminfyocloco abuerbiunj elt neqj indinatur cafus fine.St cum partim fyominu bici poteft lbeft cunVquifcuiba fyomimbus et quafi cum quabam parte fyominu.Seb l?oc tame cft fple bibiuskum in oratione iterum fuerit abbitum vt eft illub.M, T.in epiftolis.nam qui iftinc veniut pirtim te fuperbum effe bicunt/quob nicfyl refpo teas/partim cotumehcfuyqj malerefponbeas. 8t qui ciuitatibus perfunt partim nobiles funt/par^ tim populares.quob elt aliqui nobilesfunt aliqui populares]> ^TxJiiii. Decimus quifc|; (f Xb ett optimum eognitu/ g» becimufquifcj} eft vnus ex numero benario . ficut millefimufquifqs elt vnus ex numero millenario.fyinc cft illub cefa ris in commentariis eognofcit no becimuquec| ee reliquu militem fine vulncre.quo exeplo vti per= pulcljru eft vt vix becimufquifc$ remafit fme vul neremtaliconfjictuf ifxl v. Quotu fquifqj ; Q.uorufcquifqf I;omo eft ibelt quot fyomines. Quotufquifcg rrnleB ibeft quot milites; /Txlvi.PercJ cu positivo Per§ vna bictio bumtaxat puleljerrime pottiuis abiucutur nominib^ vt percj> boctus pr/ilofopfyus \t p per $ bonus amicuS/ ^Jxlvii^lias geminatu locom tcnet mobo abuerbii» Cuibillub. nunquiblepibiffime vfurpamus/vt i oratione eabem iterum alias vfurpatum /locu ops tmeat mobo abuerbii.Quale pffet fi quis Dicat oes l^omines eobem ferme nati fut ingenio alias qui bem ribet/alias vero lacrimatur. omes item riues alias boni alias mali.nuq» eifbe fut monbuaf {fxlviiulnire caftra. M. Tfaitrjonius iuit i caftra multifariam bicitur.' M.Tfatfyonius caftra petiuit in caftra profecrus thik ab caftra cotulit . fe in caftra recepitife ao ca« ftra perbuxit» 4jxftx7Vim'nti annos natus. Hic fyabet viginti annos. quob veteru cofuetubine bicitur cotra pebagogam opinionem/aliiftg rationibus bicitur.J;ic vixefimu anu attigit.agit /bec^it vicefimu anu etatis. vigiti anos natus eft.3? ^oc poftremu magis oratori couemtf {Q £loquetia laborare CICERONE laborat eloquentia. CICERONE (si veda) in eloquentia tera pus cofumit. tempus in eloquentia coterit. in eloquentia operam pomt. ba^eloquentie operam. etate in eloquentia cdiumit. In ftubiu incubit eloquetie. £t> alia oe&uc pro tuo iuUciof {TIi«Habeo/teneo I?anc rem memoria. Habeo ^anc rem memoria non minus vfit ate bici tur ' q> fyabeofiue teneo Ijancrem memorie.teneo ^ac re memoria /f;uius rei memoria fyabeo; fljii . Voluptatis me capit obliuio. Obliuiff or voluptatis vel cuiufcun^ alterius rei» vcluptatis me capit oMiuio.St ibem verbu cu ceteris iunctu nommibus fignificat biuerfa/cofimis h orbine vt capit me facietas ciuitatis ibeft capit tne Jjoim obiu vel tebium; dJui. Contineo me ruri/vel in vybe^ VIRGILIO (si veda) incolit ciuitate l)cc perpulct)re bicitutcum teneo/ vel etiam cum cotineo verbo«vt virgjtuxtfc continet. Virgi.tenet fefe in vrbe; 41 liiii. Prefer et pre venufte oftentaf aliquam rcm aliam anfeceifere. Si quis velit offefare aliqua rem alia antecellere/ «t vltra illa valerc i venufte ib bicitur / vei per actufatim prepofita preter / vel cu pre ablatiuo prc= polita. Vt cefar preter ceteros rebus bellicis polje bat» vel pre cetcns pollebat; IjIvXelius efacili igenig vcl facilff mis moribus natus. Lejios ftabs faciles mmsj ; vd f acilcm naf uram/ I ornatius bicitur Jelius eftleui ingenio natus ( vel faciiimusnatusmoribus . Scipio natus eftt rifti ingenio. Stbereliquiscofimiiitcr; iTIvi. Valeo/polleo cu ablatiuis. Valeo et polleo verba et fplenbiba fut.' et latiffime patcnti x ablatiuo iuguntur.fyoc pacto, ; 7>vureliu& auguftinus plurimuingenio valuit. ijypocrateai ingenii bonitate poUebat.Mitnbates memoria cb ruit vel poUuit.M.cato in ciuitate plurimu aucto ntate pollebat; (jlvii.Clareofpolfum. Clareo et poffum verba eabe ferme r atione fe gabent. cHgo apub bominum cefarem multum (iue poffum fiue clareotomate et IplenbiOe bicitur^ apub bominum ceferem plurimum mea ciaret auctoritas.fyortenfius rhultum poteftin senatu ornatius multum fyortenfii in fenatu poteit aurtori tas .que potj{fimu jGgmficat eam opimonem que eftapub ijomines be alicuius viri preftantia . que vulgo et trita cofuetubine reputatio nuncupatur* Sum batiuo iunctfi tyabere SIGNIFICAT et quobamo poffibere; Geterum ib perbelium eft.Sft rnidji apub te fibea ibeft tu abfyibes micfyi fibem. quob eft accuratius abuertenbum.nam plerumtj foiet fum es e verbil batiuo iuctu/u SIGNIFICARErjabere.' et quobammobo pollibere. Vt e micfyi pecun/aiett cefari rnagna po teltas liue pietas^ilJub befignatme pecuniam i^a= bere.fyoc rjabere cefare magna poteftate. Cuius cq. Ititutiois crebra apub prifcos et bilertos viros ct« leruatio cit. Recorbor fyanc rera.fyec res micbi in mentem venit. Ejo recorbor r;ac rem potius § l)uius rei bicitur. Jst ibem bicitur ljuius rei me fubit recorbatio.fyec res micr;i ln mentem venit lbeft micr;i occurrit i vel mict)i fuccurrit/quobpoltteinum minus vfi= tatebicitur? {T Ix.Prefto antecelio aliquabo cu accu? fatiuo aliquanbo cum ablatiuo.' Prefto et anf ecelloCque venuftefonant verba>li= quabo batiuo aliquabo acculatiuo perpulcfyre iun guntur cum acceflione ablatiuoru eius rei cuius e preftatia. Vt ego prefto tibi ingenii acumine.flo. preceilit petru acumine ingenii.equus preltat afi= no velocitate curfus? flhi. De frequetatiuis verbis loco primitiuorum/ £>cpe numero f requetatiua verba que appellaf ur pnijuuuorw verboru a quibus traxerunt origine" SIGNIFICATIONE retinet.prefertim fi prima illa afpe*riora f uerit. vt coiecto pro conutio.mafo pro maaeo.imperito proimpero . amplexor proamplector. ct alia itcm pcnc inumcrabilia fi quabo etia verbi arpcritas vlla cotingat,'quob erubitorum iu bicio nunc berelinquimus? De et bis mutant» Dc jttepofitio verbis abiccta pcrfepe cofraria mu<= tat fignificationem vt prccor ct beprecor cotrana lut^ortor ct befyortor, Nonuno) lbcm bie eff icit vt fuabeo biffuabeo Quauis in iifoem vtfbto nonu^ auget perpotius cj vim coinutetj flixiii . Gx ct be aplificatSx ct 6e vejjementer ampiiticat, Vt exoro .' quob ab ex ct oro bebuctu fignif uat ipetro ? Tere.in a% gnatavtbetoro/vixc|ibexaro . iQxiiii.Suaoco perfuabeotfacio perficio, Sic et fuabco fignificat oratoris off icium quob I benebico,atc* perfuabco bencbixiffc fignif icat quii cft oratoris f inis,ibeft impeteo atc$ obtineo, vnbe et crebro non folum fuabeo/ feb etiam perfuabeo£ beb i acio etperficio explorata funt; {fixv.De abuerfatiua bictionePfurimuetiam fermonem ac oratione exornat ab uerfatiua bictio quag? ibicatiuo iucta, duob vbicj CICERONE feruauit aliiqs fcocfiffimi* feb I; uwe cx cmplum fit.Qua§ tc ante I;ac tiJigeba.' nuc tame cbfmgnkrem vir^ufem veI;emiterabmiror. J\)a tha funt que quobam fibi orbine luicem iugutur. quoru prius ac leuius e biligere i pcftremum ab^ mkotlqixob ve!?en.es^ac precipuuiet eoru mebiu ofcleruo quoi> cft vencror /et colo . cx quo obfer uanfiam et reuerentiam fignificat.Seb itcrum ali u5 exemplu quancp miclji fint omniu amicoru io cunbe iittreitue tame iocubiflime fuerut.Seb ct pro Umen polt §uis raro collocamus. Vt qu*n§ micfji anfe ^ac carus eras,'feb ct nuc pi ofecto a riffimus^es; {jJxvuHonfolum y febetia* verurnetia/ verumquoq?» 7Kb fjec jll* buo orationem pcruenufta rebbut fibi inuiccm correfponfcentia.quoi n alteru eft non fo lum/Cucnon mobo /fiue nontantu l alteru efebetiam/ vel veruetia/vel loco etia pofito quoqj/ et aliquibusintenectis.quoru ommu exempla fub= necta* fyec miciji res n^n folum grafa eft kb etiam iocubatMtAntonjus non rrtobo ciceronis crat ini micus/vcruetiam Ijoftis patne*M Catoncn folu ingenio pollebatifeb etiam vurtute florcbat pluri mu ftlexanber no foium reliqua vrbem iubegiti is veruquo? ipf u romanii iperiu cogitabat attigere. Tametcji. £t fic etiam tam et $ fibi correfponbe-f . vt tam cara micfy patria efMcj tibi iocuba vita ( ieb facile ttt te boc mteUijes r (Jlxviii.cgoipfe pro erjomet? Pro eoautem <$ ceteri exprimere cofueuere pros nominibu» abbentes vclteveimet fyllabicasaoicctiones. CICERONE potius lbem eiiicitljoc pionomine ipfe/ipfa/ipfum; quob illarum fcre abiectionu locu optinet. Vt egoipfe magis q> egomet.tf Ieipfe 1 nosipfiivt nucp lecus fenSbo U, {Jlxix.De mccum et mc cumf K\i* <ft abiectio puldjra. Vt m?cum ipfe cogitafc fem.etfyoc vt mecum fit vna bictio. Item me cum ipfeviccre.quombuefuntbictunes. Vt familiarinte couerlatione et (imiiw ornateexprimemns; Seb fi tibibicebu «rt tu micfy familians es.'orna tius oicit ego te vtor f aiiianter,Tu rnify amicus es .ego te amico vtor. Tu micty es magifter iorna tius ego te vtor magiltro, 830 tecu f requeter ver for.frequeT mify tecu e cofuetubo.que fepe couer= fatione SIGNIFICAT Tecu magna amicitia ljabeo . magnamicfy tecu est amicitia, 8t ita aiia per murta.Vtfit inicfyi cu oib malis viris iimicitie.na recti= us bixcrimus iimicitic pluraii numero/cp ficjfari. (Jjxxi .£3id)iJ cii cdparatiuis. Seb neutra vox nid;il ac potiffimii in comparati = uis nominibus tu femim rebbit oratione.tu ma= lcuiina. Vt nici;il cft J>oc fyomie melius/f ere ibi | vt nulius jtjomo eit l;oc fyomine melior. Kityii l;ac virgine eft formofius .' quaft nulla virgo fyec virgi ne e formoficr,£t i ceteris aliquabo confimiliter; iflxxii, Munus pro officio/et coumiliter partes; Munus pro officio ornatiffime bicitur, V t l?oc e nmici munua ibdtamici officiu,Funa;or boni viri munere^ferme ibi cft facio boni vin offjciu.Seb et partes plurali numero confimilem l;abet SIGNIFICATIONEM, vt mee partes lut lbeft officiu me vel perf inet ib rae; (flxxiii»Caueo cum ablatiuo fignificaf pro uibeo»cu accusativo vito ac f ugio. Caueo verbff etfi fepe fignifccat prouibeo. vt tu eft lege perornate accuiatiuo iuctu pro vitol fugio vfurpant eloquentes viri, vt turpis viri/ m genui cauent mores/ "% Memini cu accufatiuo/ fttqui et memini rectius ac vfitatius iugitur accu fatiuo § gcuitiuo vt inenani plaiocis fapiectiant» Virffi.inbuc. Stnumerosmemi fimeteverbainer«m . nec miru f. in iis que funt potius folute orationis. Vir.ma.ois aff eram teftimonium que" non folum poetam egregie erubitum* ieb et rfceto hce artis vbic| obferuat.ffimu f mffe conftat. Penitet ibeft parum vioetur. Penitet me qmcquib f igmf icet notif umu" «f t l feb et paru vibetur vfarpat auctores et t reftates boc= trina vin» t ^,, .. Vaco cum batiuo/attenbo cu ablatiuo vacuumeffe.( Scb ibem perfepe verbum vanis coftructiombus cofitum/baub eabem retinet SIGNIFICATIONIS vrau Vaco buic rei.'eft attenbo l?uic tei.vaco r,ac re.'eft W re fum vacuus I et ornatilfimu eft, vt bom vin 4nt opera vt perturbatiombus vaceut ibeft Iiberi et vacui fintr. Deaiabuerto etaiabuerfio. flmiabuerto ibeft fore vibeo/et quobamobo mtelIicto Ht aiabuerto coftructu cu acculatiuo m presofita/ibemfibi vult <$ punio.Vt pleutippus ai= abuertit in feruum platonis lbeft pumt platoms (cruum.cix quo aiabuerfio pumtione quabam no nuq> llii: p c x<i fa Q c ^ oa tiuo et accufatie n cm mebiante ab. 7Ktc$ iterfi ref ero tibi l)ac rem ibfft narro tibi fyac rem.feb refero ab fenatum/ refero ab popula Jtjac rem ibeft pono f?anc rcm confultationem populi vel fenatus.Qui vfus verbi eius apub fyyftoriaru fcriptores frequctiffime eft. Dare litteras tibi/vel ab te. Quib varii quoq? cafus /eibem verbo fepe coniun= tii/nom magnam aclonge biuerfam vim f>abeV Quale eft bo bibaculo ab cefarem litteras . Nam bantur bibaculo beferenti / vt cefari rebbatab que mittuntur littere.Sas igitur leQtt CeIar.Bibaca= fus quibem velut tat Ilarius befert. Na qui fert Iras/confueuit tabellarius appellari.Verum ne quib buius nunc ignores bare lras fignifkat fcri= feerefeu mittere Jitteras/ <X Jx*x. Vuas/binas/trinas/Iras/pro vna buabus t tribus ve epiftolis bicim us/ Nec tef ugiat q> pro epiftola bicimus litteras plus rali numero.Necobftatpoetarum cofuetubo £t pro vna epiftola bidmus vnas litteras.Na ib no= me vnus.a.u -cu iis que pluralit' folu Iflectuntnr plurale" quo<# retiet natura* Vt vne nuptie vne bi geivaa menia .8tCvtabpropofitu rebea)pro bua bf epiltolis bicitnus ite binas littcras ino aut buas pro tribus cpiftolis ternas i non autem trcs. pro quatuor quaternas. £t que beinceps funt rehqua cofimili ratione proferentur; (JJxkk i . inf mitiua oratio pro conc iunctiua peruenufte ponitur. Inf initiua oratio pro coiunctiua pergjpulcfyra eft, V t volo te ab me Icribere.cupio te atfyeuas proh cilci . £t ib teretianu quib facere te in fyac re velim ficmif icat eni quib velim quob tu in f;ac re facias. velim ciues omes vnanimes efle ibclt q> vnanimes fint et cocorbes.Seb fjoc tibi fit cocinnius vt nullum fit ambigui iermonis bifcrimen, neq? eni omnino rcctum iit/fi quis oicatvoio te me amare « g> uis pleruqi lb fuppofitionis lccum r;abcat l quob 1 i lmtiuum veibu mimebiatius precellent. vt puto pyrrfyu romanos vmcere poffe ibilt crebo cp roma ni poffot vincere pyrrfjum, kb ib pro viribus ca= ueat orator.St quob mobo prcceptum eratbe coniuctiua atcg mf initiua oratione precipue in abfola tis verbis<vel vbi alteri calui i uerit abiecta propositio feruanbum fit. vt vofo te amari a ine; {£ l.\xxn.£x vel £ pro a vel ab. Ex vel e propofitiones pro a vei ab/et fepe et pers ©rnate ponutur. vt aubiui ex maionbj nris pro i maiqnb$ nris.accepi ex patre tuo vel e patre tuo Cluero ex te et a te.'quob eft te confulo/et te intsr rogo. Quob abuerteiet vlui trabe. De pro/Ioco in et fecunbujm Pro ornate ponitur loco in et fecunbii . Vt pro ro ftris .ibeft in roftris.pro tribunali ibelt in tribuna h. et alia . pro viribus tuis ib eft fecunbum tuas vires.pro tui ingenii bonitate.pro virili tua. et similia/ Sub ia compofitione aut dam/aut biminute fignificat/ Sub copofita aut clam aut biminute fignif icat vt fubrnouit me permeno ibeftdam et occulte.fubi^ rafcor tibi quob eft pauiulum irafcor. Mor emgererc complacere obfequi SIGNIFICAT. Moremgerere perornatum verbum complacere fignificat/atqj obfequi vnbe moriger a.um. quob a morofo quob bif Lcilem fignificat i et a mojrato quob inftitutu fignificat plurimu biff ert? Confequor pro exprimoj Confequor pro exprimo pulcfyemmum eft.Non poflu ego verbia cofequi ibeft exprimere . Iitferis cofequi ibeft per lras explicare. Metuo timeo multis cafibu3 coniunguntur. "V* Metuoettimeo verba aliquanbo tnultis cafibus ab.unguntur, Metuit CICERONE a.p.dobio fibi extre mu periculum,Tim«omicl?iabfternortem Ncn nun$ abfolute ponutur folo batiuo liicta . vt me= tui papl?iIo- papfyili vite timeo, kb fyc eft poUus poeticus^fus/ {]Txxxviii.8uabo pro fio/et efficior. Suabo pro fio et ef i icior ornatum vfitatumcp eft, Vt dcero euafit eloqu€tiffimus.ftriftoteles euafit fumus pf;ilofopr;uB, cefar vero euafit inciitua imperator.St bz ahis quogj fimiliterf. Fore futurum cffe. Fore f utura femper l?abet fignificationem . et eft ibem <$ futurum ee.M.G. be eratore tertiolibro loquensbe fyortenfio, Que quibem eortfioo omis bus iftia laubibusi quas tuaorationecomplexup es excelletiore fore. 8tcraffusforebicisinquit/ ego vero effe iam mbico; {£xc Quib Iter bimibiu z bimibiatu itereft Quib inter bimibium et inter bimibiatum inter fit nofce perutile e.Cum enim bimibiatu fit quafi in partes buas biuifumi nifiaiiquibbiuiuim fit/ bimibiatum non poteftbici.&imibiu veroappella tur no q> ipfu biuifu fit/feb q ex bimibiato pars al tera eft .Hd jgitur recte bixerit quis pco fetentta/ VARRONE Cvtait.ft.gelius I noc.ae)bimibiulJ fcrum Iegi.bioiibiam fabulam aubiui. feb bimibia tu libru i bimibiata fabula recte quis bixerit. quia &imi:<iatumCex caufa)bigitum appellamus. feb al terufram parte bimibiu.Quob eft accurate bilige^ tercg afpicietibum. Interfum et prefum quib bifferut; Plurimii aute cobucit vcbis itelligcre que fut no= minu bif feretie/ac verborum bilcrimma 8a quoq res miru imobu oratione exornabat. Vt fi quis nouent quib bifferut prefum/et ir terfum interfe verba.'puJcfjerrime bicet.M.C.publicis negociis «on interf uit folum .'fcb pref uit . quoru illub figni ficat comitem effe alicuius rei.fjoc vero buce> ^[xcii.Confiteor profiteor gratulor gaubio Egonon folum cofiteor/quob eft per vimifeb tti am profiteor quob qmbe eft fpote.St apub Mar. Tulliu peifepe tibi gratulor micfyi gaubeo. gau bemus nobis* gratulamur aliis cj> abepti funtali qua bona/; -4jxcui*#vgo ref ero fyabeo bebeo; Bt tibi ago gratia quob quibem eft verbis.Refero gratias quob eft re et factis. Habeo gratiam quob efti animo. Debeo gratia'vbialiqua obligationis vis ceroitur.Etite alias opiniones Jjis fimries? -rf {Jxciiii«Hec res mi\)i cobucit.bono tc i;ac re. Optimu cft non ignorare nominu bii i erentias vt ct vberior et ornatiot nra rebbatur oratio. l?cc res micfji conbucit* elt lbcrn q> mic^i rcs fyec vtiiis eft St quob ceten pleruqj bicunt/ bono tibi f>ac temi pulcfyrius bicitur ac Iplebibius bono tc I>ac re* Vt miles nauali corona bonatus e!t«Sabinos romani ciuitatebomuerut/quobeftciuesfecerunt quob ite bicut labinos romani I ciuitate acceperuntf {£xcv* Prepofitio que iolet abiungi nomini pulcfyrius vcrboabiungiturJnterbu vcro prepofitio/que nominj ac cafui pre== ponitur l pulc^rius venuftiuicg vcrbu preceltent in quibufba verbis. Ooiale cTt Ii quis bicat co ab Ul vt bicat potius abeo te. etloquor ab te/ potius afioquqr te.Cebit bc vita.'becebit vita. ccbit ex Iju manisrebus' excebit rebus fyumanis£t in aliis quibulbi cofimihter. Minus abuerbium. Minus abuerbium quaq» fepc iiapii icat nonnu^ tame cu pofitiuo iunctu cotrane SIGNIFICATIONIS comparatiuu bemostrat. Vt Teretianu lllub p^ebria^ nemo fuitirinus incptus'pto prubentior. etne^ aio elt tc minus formoius lbeft beformior 4 et fic be alus coitmilibus; 2 o ^JxcviuQoiib inter becem annos et becem annis intereft Quotiens multos aut bies autannos bicimus per accufatiuuiitelligimusiuge teporis curriculu efife £ere cotinuu Seb per ablatiuu SIGNIFICATVR annoru fiuebieruiteriectio intermifiioi. Quare( vt ait marcellus^optates rectms acculatio vtibebent fiquibem ab fecuba fortuna attineat, In fereft jgitur ita li quis bixmtJbece anos i re militari verfa tus (uia ltaibece annis bebi opera rebus bdlicis ; 4jxcviii»Corbi eft, Corbi l?cmo etia flexibiliteir corbi l;ominu(vt pri fcianus Iquit, Dgificat iocubus fci.bo ficut et fru= gi.Seb iatiusUnca fetetia; Marcellus dpinatus e. Dicit eni corbi eft ibeft animo febet* Nam fyec res mid^i corbi eft ibeft placet* Teren.in abria ^n ti bi l?e nuptie fut corbi CICERONE be perfecto oratore flumealiis verboru voiubihtas corbi eft . £t LUCILIO probe beclarat cu iquit.St quob tibi ma gnopere corbi eft* y micl?i vefyemeter bifplicet^ {[xcix.De Tatifpei:. Tantifper qucb quafi eft tambiu Qrnaf e poft febepofcitbum» quobfermeeftfconec Vtillub Terentianum in ^eauto.Tantiiper meum bici te yolo.'bum qucbtebignumefaqias. i 8gotantiIper magna voluptate afficior/ bu apub te viuo? {jC.quib Iter Delecto et oblecto itercft. Tu micl?i earus es.ego te amo.tu mil?i iocunbus es.ego te bclecto.feb belecto ct oblecto non fimilis ter ffruuntur» Nam bicimus belect.it me rjec res. feb oblecto me ac re. belectabat Socrate vite intes gritas. Pitfyicus fefe virtute et loctnna obiecta= baUego me oblecio ruri/ JGuFero banc re facuVmobefte moberate/equo animo Fero fyacre pacietor feu patienti animo/fplebibiusr bicitur .'ego f>ac ref acilepafior .et mobefte fero/z moberate/ct equo almo.Ecotra SIGNIFICANTIA abuer bia grauiter/acerbe/egre/molefte/et iiquoaimo. Ijec micfyi iocuba rcs e.fyec res placet micl;i,et que molefta eft/bifplicet; <£C.ii.be Affero.et bolef micfjiffero comunilTimu verbu ilet quo mulfis locig vti poffumus.Secuba fortuna affert micf» vofup tate ibcft mc bclectat. Tsbuerfa f ortuna af f ert mi= cf;i bolore ibeft bolet mitfyu Nabicimus z fyec res milji bolet ibeft boleo fyac re.feb rebeo vnbe bigref fus fu. liftere tue afferut micip abmiraeione lbeff eftitiut vt abmirer. affcrsteftioniu ibeft teftifica= ris z ita bifperfa e z vaga fjuius verbi fignif icatio/Ciiibe perinbe cu afcg vel ac poftpofitaPennbe omatiffime poftuiat poit fe ac / vel atqj ct totu fimul perinbeae vei atqp fyabet eabem vnn quam vt tanquam, vt CamiJlus perinbeatcp oim fapietiffimus.et cfjerea perinbeac foret eunuci^us et be l?ac re fatis r;ec bicta fint fyactenusf {7Ciiii.be Coco» Coeo nonlolum abfofutum cft/ feb nonnuqj per= uenufte cafu fyabet accufatiuu . Coeo focietate tecu Et ijinc cft lilub» 7K* gelii in noc aube pitagora/ beqf cius conforte ♦ quobouifcg familie pecunieq? Ijabebat / in mebium babant i et coibatur focietas infepatabilts, Sebeobem cicero pacto aiiquanbo eft eo verbo vfust. De Mille fyoim in finguiari numero NiHe fyominum fingulari numcro SIGNIFICAT mifc le fyomines.mille militu interiit fyoc eft mille milites interierunt» mille militu vulneratum eft ib cft millc vuinerati funt milites.ibcg ornatu/vfita= tumqj eft}L_-Primis» Primas SIGNIFICAT etia ordinem quob nome sequitur secundus et tertius .et beinceps alia eiufbem or binis nomma.tame multociens fignificat pricipa le . vt fyic eft noftre ciuitatis vnus omniu primus li t per fe fignif icat optimu.,feb ib poftrenjij in caro e vfuora torum. De interbicoInterbico fibi I?ac re; et non fjanc rem»vt int«-bi= co tibi aqua et igni*plinius fecunbus in epiftolis caret rcge iure'quibus aqua et igni iterbictu eft/ {1 GviihCXue noia ornate fincopanturHunc vero ab reliqua neq; eni iuitus omiferim q que nomina ab numeru fpectat in eoru plurahbs genitiuis lincopa efficiunt«ibqj cum vfitatum eft/ tum ab exornabam pertinet oronem»vt mille numum potius <$ mille numoru*mille benariu mille aureum*et totmilia argentu . et ita be reliquia et in ijenitruis omnium nom mu fecunbe beclmatj on>s frequenter eff iciunt IjGixyCitra cgtenariu ef poft vigemriugi minor numerus maiorem eleganter precebit/mebiante coniunctionef Ssb prokm fcribentes /et foluta orone in nomini fcus lolu numeru et mefura [ignificanhbus l atqj in numeroru nominibus eam plerunq; feruarnus cofuetubinem et citra cetenarrum numeru ii qua bo poft vigenariu buo numeri comemoranbi fut/ vt eoru minor precebat et maior fequatur vt i)ic e vnu et virjinti annos natus»buos et tricjit^ anos iz viximus. tres et quabraginta anos nauigaui . qua tuor et quiquagmta annoru confurrfi etatem, ieb vltra ccntenariu/et citra vigenarium tritu ac vul garem Jeruamus morem et SERMONEM. 4jGuob aute ficut buo be viginti nonnuqj» bicimus/ et buo be triginta.'ita et buobeuigefimo > et buobetrigefi= n;o nunif citu eit, feb no quibem eft in frequenti oratorum vlu/ Inbies et inoiem . Quib inbiss i none pulcfyerrimus fermo eV ac fig nificat per lingulos bies/et quotibie i feb cu quo= bam incremento, vt tua inbies accrefcit virtus.in= bies fyomines fapiunt.ftultorum fjominum mbies accrelcit mfamiatfeb Qum bicitur inbiem eft termi nus beputatus/ {Mpxi . Vt in ve* bis actione aut PASSIONE SIGNIFICAT ib^ vanetati ftubenbum. In vet bis tam actior.em q> PASSIONE figmficatibus confiberare bcbemus varias vocum lnflectioncs / atcjj exitus . et mcbo fyns mo illis vti pro auriu iu bicio.vt fuere pro fuerut.amaruntproamauerut vibere pro viberiit.norim pro nouenm.triupfya= rantpro triupfyauerant.et be aliis quocj! eobemo, 3eb ne quib fiat cotra gramatice artis preceptioes fyac via prpwbcnbum eit; .oe Cluin. auin particula quomo increpet/ vel exortetur i quom5 item confirmet et quomobo interroget iib fatis exploratum eft . feb nos ea pulcfarrirne vtimur.'cum bi cimus.'nonpoffu quin gcftia.no pof fum quin boleam.no poffum quin abmirer. figni f icat enim f ere me non pofle continere* g> non &> leam,et ita be cetens confimiliter. rftxiii.be Locus eft vel Multum aut nicljil loci eft ljuic rei . Quib inWnone preelarum eft vfu.locus eft l?uic rei.multum loci eft gaubio. plurimu loci eft trifc quillitati.et terencianus bauus.nicfyl loci e fegni cie.'fignificant eni fyec omniai vel oportere nos le tari/vel tranfqutflos effe* vel voluptatibus afficii vel oo negligetes ac fegnes ee« et fic in i aliis fyuiulmobi<JOdiu.be Magnopere et fimmbus. NonnucJ verobuo nominaCfiue prepofitione ab= bita/fiue non>nius abuerbii vim retinet.vt mag nopere pro valbe. maximopere pro plurimu.miorem lmobupromaximcmiruinmobu promi rabiliter.etjtem mirabu inmobum. ^Jpxv .be In primis et fimilibus. Seb ablatiui cafus / fme cum comercio prepofitio nis fiue (tne eo vim Ijabent abuerbii vt in primis fignificat zm precipue ac prefertim.et ib^vi gr cci bicut)ibuerbiu ipfum(fi lta appellabu eft) perornate nomimbufiugitur.vf in primis fapiens.ipri «ijs erubitus.Seb nc a propolito bifgrebiar^pau<is mterbu pro paucu/multis pro multumt Veru J^ccaliojoco pportunius illoijCxvLbe ©ent cu noie magiffratus fiuc iperii Ilic etiam rnobus optimus eft+vt li quis bicturus dt qucmpia homine aliqucm ^abcrc magiftratunj vcJ i?qnore/feu ipcriu vt ex noie l;onoris eiufmoi et gero geris verbo pulcljerrima coftituat ordne. ^oc pactoi^ic eft rome cSfuLrome cofulem gerit. ita cofimiliter imperatorem gerif . principem gewt.pKetorem gerit et alia cofimiliter ab ijofcc eni viros remm cura et abminiftratio pertinet. Cxviitbz intcrlcg«nbumyet fimilibus. Vfitata et perpulcijra eft fermois oratio/vt geru^ bioruaccufatiuis prcpofita lterfignificct tempus imperfectuinbicatiui vcl fubiunctiui mobi vel al terius ct bu particulam vt interabuianbu ^oftes offenbi.'J?oc eltbum ambulaKcm interlcgcnbum vibebas t ibeft bu legeres . £t fic pro varictate per [onarum ita cxponenbum cft vti mobo explicaui mus.fcSicferuius in buc. vir. Interagenbum ib rft bum agis.l;onefta locutip fi bicamus intercenabu \)oc fum locutus ib eft bum cenare Ijoc locutus fu. 4jCxviii.De in pro erga vef cotra. In pro erga ct c5tra pulcfyerrima e accufatio pree pofita. Vt meusinte animus.mea mte beniuol.n tia.vbicj enim fignificat erga . luucnalis muefyt in bomicianum. CICERONE ljabuit orationcm in CATILINA ibi eni contra SIGNIFICAT. Deappnme.?7ypprime pro valbe recte apponitur noibus.que? abmobum be imprimis fupenus bictum eft.vt VIRGILIO .apprime nobiha res.appnme vtilis.St ita beaiusfimilibus. 4j_QiKf Vt res apte coi ungitur abiectiuis polielliuis. Rec nomen latum / bif i ufumc| eft. feb eo pulcijer rimcvtimur cum abiectiuis poffefliuis nomini' biis/ et prefertim J?uiufmobi. vt cu bicitur res bel Iica, res bomeftica.refpublica. res familiaris. re« nwlitaris.Et be fimilibus paritct. De preftolor. Vt aliq veluti fignanba mftituam preftolor vei" bum plerumcj poete accufatiuo iungunt. CICERONE connectit batiuo. Vt quem preftolariB.'* preftoior iol?anni^. J^vffentior,tio . Impartior .tio . 2V Multa funt verba quibus per eaoem SIGNIFICANTIA et pafliua vtimur voce et actiua,et(vt omittam p e nc innumerabilia; ciceio frequeter m r;is buobus mobo actiua mobo paffiua voccm vFurpat. s£,enti or et affentioi vbicg eabem coftructicnis forma. et impartior /et Ipartio.in ceteria autem ifc fii mult© unus. Vfu venif. Vfu venit ornatiff ime pro contingit ponitur. VSVRPATIO ET VSVRPARE. VSVRPATIO ET VSVRPARE VSVRPATIO ET VSVRPARE non lta intelligi bebentifis cut mrifcofuJti vtunfur. fe6 VSVRPATIONEM orato? rcs frequetem usum nominat/ et VSVRPARE in frequenti usu fyabere. Deficit cum accufatiuo. Hec res me befirit ib eft beeft micr;i Ijec res» vi bc= f icit me bies. vita cpprimum mortales beficit f ep beficio bac re magis poetarum eft. Omnis pro omnes. Nunc aute ne ea que perutilia funty i ornatiffima omittamus. intellicjenbu eft quoque nominatertie bcclinationiB ta nominatiuu q> genitivu singulare fyabet fimiies i prefertim Ji gewtiuus pluralis in ium esiuerit ecru frequtter accufatiuus pluralis in is terminari folet raro in es . vt grnnis pro oes mortalis promortaks.manispromancs, fimifc terCvt ipe quog? teftatur priftianus Ji es et is ternu nantiareperiuntur. vt f ortis et i ortes partiset partes pontis et pontes. io rebquis rarius ib fit que est poetaru veniaf. De pofrnbie. CXucbam abucrbia funt que epiftolis maxime con ctruut.ficut propebiem/ cjprimu/cito/cofeftim/ et poftribie. quob multi ignari htttram / et grammatice artis expartes exponut poft tres bies . ieb tuCnc eobcm bucaris errore)crebe poftribie fignis fkare poftero bie/eteopacto. M.C.accepitto alii crubitiffimi virij. Primu /beinbe / prctcr a£ ab /1)oc /poftrcmum fttfi quis multa referre velit.'pro prima rt ponai erimu vcl primowtiuuj eni in vfu eft, profecute oeinbe velfecunbo loco.protcrtia/ preterea. vel pro tcrtio loco.pro quarto Cquob perraro accibit) ab hoc vr prcterea vcl quarto loco.in calceipoltre mo/ vd poftrcmu/ vel bemum.at igitur l?uiurce= mobi exemplu. tria fut que magna micin af i erut voluctate.primuenicf optimuamicu nartuslu beibe aute cj> finguiare tua crga mefepe tefohcans beiuoletia poftremu vero /q> tc icolume mteliexir. be orbine fyaru coniu n= ctionumeni autem/vero» &ua in re ib quocg abuertenou eft/g> fres inueni= nras coiuctiones recto atcp vfiiato orbine.que funt eni/aute/et vero. feb tuipfe tyec oia ac multo plu= ra raule cogncueris.^fi CICERONE Lriptai et in primis eius epiftolas lect»tabis. Mcmorie pro s ifum eft. Memone prohtu ficmat fcnptu eft. multa enita= lia ornatiffime vfurpantur vanis cu fignificatus, vt memorie trabere.mabare fcriptis.mabare litteraru monumetis.quoru fermc omniueabe vis eft feb manbare memorie aliub fibi vibetur velle. Falht me bcc rcs. Fallo verbu tritu eft apub CICERONE f aliit mc r;ec rcs bicimus.fallit te fpes.quob e fruftratur et beci p it. Miflu f acerc . Miffu facere ib e bimitterc venuftu et ornatu eft, nam miffam Ijanc rem f acio fignif icat bimitto xl= lam rem. Hc quibem» $bf;uc et in eabem oratione buc f;ee particule/ne et quibem/pulcfyerrjme futifi quis f uerit ilhs rec te vfus. nam cum ponuntur femper aut aliquib bictum cit( aut mentc ib concipitur vt ne aubmi cT quibem.fignificat euira Q exempli caufa) non folu non vibi feb neqj ctiam aubiui . Item aliub exemplum pfylofopijie ftubia bemocritus n5 mobo n5 intermittit ;Ieb ne remittit quibem.reaiittere na<| pfyiam cft remiffius pfyilofopfyari? .be orbine pluriu fine coiunctioc Scb ea quoq? abljibeba biligetia elt q> li quabo plura ponimus preferti finecopulatioeCqui articuius eft et fi ibi vibeatur fignificare quob vefyemetius fonat magis coilocetur i calce.vttua virtus lauba ba probaba e.na probaba eft rnagis q> fit ai mbicio Magitratus biligere/amare/colere oebemus. pro bau3mios virosomnesf; omines verentur./ obseruat abmiratur quc turpia / obfcena i tetra ; f cba fut.'ea fugere et afpernari bebemua. virtutis offi= cju fuma laus efr.na l?abet officiu accelfione actio nis. (JSeb i l?iis quoq? orbo quibe fpectanbus eft q> fi tria quoru buo parte aliqua ugnificenti tercis um lit communius^ib prof ecto plcrumoj bebet in f ine collocariinili fe fyabuerit qucbam generis mo bo.tunc enim ecotra fit quob nunc liquibo ac pers fpicuo patcf accre exemp{is«ac prioris quibe excm plu cft.oms in abipifcenba virtute cura/opera/bi- iigentiaiponenba e. eft eni cura confilium animi, opera corporis i bihgentia vtrumqjcomplectitur. Item inrepublica plurimum i&uftrie/laboris/ te poris ponen&u eft,#smicos confilio I viribus opera abiuuare bebemue. Cylterius nof a exemplafut l ion lunt per fc rcs comobe ex eten&e bjuicie/tjo norcs/voluptates comobum eni generislocum beiinct cuius fpecies funt multe.puta quas mobo nuirerauimus. Atg item animalia queqjV fyoines Ieones;equi/bcnu vibetur appetere . feb vUamc| resfele fyabeat. Ii multa fint,' quobpluriseft/ bc= bet poni m finc.iam ab alia prccebamus. Qanfquis,' vtvt i vbiubi, Multocicns gcminatio in quibulbam tam verbis infinitis q> abucrbiis tanti valet quati i& nome fel' ct cuncg. vt quilquis pro quicuncg, quotquot prQ quotcug. quatufquatus pro quantulcucj» qualif= qualis pro quaiifcuqj. vtut pro vtcuqj, vbiubi pro vbicunq?. ct ib abucrte biligenter/ vi . ^vcccbit. ^ccebit proabbitur/§ vfitatum cfttam pulcfyer= rimum vibcri bcbet. vnbe et acceffio abbitioncm fignat. vf ab meas miferias mictji acccbit bolor ib eft abbitur. Conf ibo, Cofibo non ficut quiba arbitraf ur( nefcio quo pac to)ftruit J,13 iugitur aiias catio ahas ablatio cafui n et in fyiis potiffimu verfatur que ab animum fpertant. vt confibotua virtute/ tuafyumanuatef tuo confilio. et lbem be aliis fyuiufmobi. Crebo pro cornitto. Crebo quocg pro comirto ornatiffimum eft. vt crc bo tibi confiLa mea. crebo tibi granbem pecumam et fic be aliisr/ C^rahbismaior vel minornaftu 0ranbe abiectiuu nomen pvoh vel etati conuemt vel pecunie. pecunie exepla fupra pofuimus. leb l?ic grabior neftorc vibetur ib § vibetur qi ncltore vincat etate et atecebat. r;ic tit graoisnatu/ajrabife fimus natu SIGNIFICATIO geuu fjonine / atcj atmo--bu fene.St quia be natu facta meeioi maior natu otnatifiie ficmif lcat feniore ficut mior natu ib eft, be Parentfyefi. {J. iuniore/ Infuper^aubi Hepiba fit interposita nonnuncp in oratione /atcpinteriecta parentljefis . vtbebifti ab meCque mea eft fumma voluptas fuam fimas lits teras. omnes amicos (nifi ialloOpJurimum abmi ror.fcire velim exte (ea nacg eftamicorum cofuetubo) quib nuperin caufa.M. Tfaitoniiegeris et iti bemum (repostulante) noftraram Jjuiufmobi oratione interpositionibus alpergatrtus. be Incrcbuit, Hecres apub me lerebuit/et fere %nif icat ab au res perueit^et REI NOTITIA SIGNAT. Vt nos nefcire quib feicemus» Nefcio t)ac re.ignoro/ preferif me f ugif me. la= tet me. fyuius rei nefcius fum.ignarus fu.jpec res fcietiam meam f ugitf. Reliquu eft^pro reff at. Hoc refiquu e i& eft reftaf /perpulcfyre / et magno euornatu lbem fignificaf /exemplu eft.omnia tibi ctnatura et fortuna tribuitreliquii eff t vt bene et iaubabmter viu?S/. Vulgo ib e vbiql Rumor e vulgo/ibeft vbiql et comunifer&icifur et ornatus fermo eftf {J^Cxlv.^vccipere pro au&ire et cognofcere ccipere pro au&ire et cognofcere peruenufte bititur. Vtacccpirumoribus quor uel certus auctor acccpi ljolm fama/ que certoauctore cotietur.acce pi nuciis it enuciatioibus.quos nutios z qui mit ti affert.accepi litterisquas plerucj abaicis accipi mus.et I aliis cofimilibus lodsf (ffjxlvuHike Ijofce })*keProno% articularib| bemoftratis cofucuerut ora tores abbere ce a&jectione i iis cafib^ qui i f.bcfiuut tupljonie ca\vtl?iice fyofce tafce pro jjis fycs feas/ mn V-' CfCxlviibe tranftatione fyuius pi-epofitiomscum cp* PREPOSITIO que preponi fofet / poftponitur ecum fi fi jnif icantia eabem manet . et in quibufc bam juibem femper. que funt mecum tecu fecum nobifcum vobilcum . in quibufbam qupqj non feper, vt qui cum/quo cumV quibus cu/ te proptet ac etiam propter te lbem fignificant. et fic quibus cum « t cun quibus • et in iis potiffimum ea prepofmonum tnnflatio fit que wb enumeramus. Clam prepolitio potius cp abuerbium» Clam plerumq? prepofitio eft.et nonnuncj abuerbium* (eboratores PREPOSITIONEM potius accipiunt ;fiue iugatur ablatiuo vt prifcianusfetiti i;ue accufatiuo/ quobopinatur bonatus* vtclamme prcfectus eft ib dt me nelciente/ iJjCxlix.Cora et prepofitio et abuerbium» Coram cum accetu in prima lillaba prepofttio eft et quib fignif lcet nemo eft qui nclciat.cum accetu vero in vltima fillaba abuerbium pulcfyerrimum eft SIGNIFICAT vt ita bicam)prefentialiter. quo frequentiflime viriboctivtuntur – vt apud CICERONE .cupio tecum coram iocari ib eit prefentiali ter.etiam coram tecum loquor. De abuerbusin. I. et. V.befinetib. Multa abuerbia in.I.exiftetia etiam I ipfis epifto lis pulefyerrima funt.feb i;ec imprimis ruri vefpe ri/bomiybelli. Multaitem ino fero/ Icrio/ conlulto poftremo/falfo/merito.precario. Cetera vero in eobem exitu beunentia ljaub in frequenti funt vfu oratoru» i n v vero non multa funt biuicuius SIGNIFICATIO MANIFESTA EST. Ioterbiu/quob eft quafi infra mebii bid temcus.£t noctu pto nocte.quob magis nome e. Vnbe biu noctucg bicimus; (jXluNullus pro nom Hullus «li.um.n6nu§ pro non.prefertim fum /es cft verbo abiuncto.vt nullus fum.ibefi interii. ref pu.nulla eft (quau non eft lbeft extmcta eft. Ibc| ornatiffimu f uerit. Preftofum.ib e affum vel appareo. Preftomm SIGNIFICAT affum. et f ere appareo . et Dc ibem abuerbiuj eiufbem verbi moois omnibus ac temponbus peruenufte conuectitur i m eabem qua mobo pofuimus SIGNIFICANTIA vt prefto micfyi fuit feruus tuus vrbe ingrebienti / lb eft affuit. ([Cliii.Licet micfyi bono vito efleivel bonum viriun. Licet micfyi bonu virum effe et licet micfy bono vi ro elfe vtrumcj latine atcj vf ltate bicitur. Seb goftering magis oratoriu est. Pcirpetuu et Iperpetuu aouerbia? Perpetuu et imperpetuum abuerbia pro eobe po s niitur ' et eis f requeter vtimur. Deuindo proobligo» Deuincio verbum cum pulcfyerrimum e.tum pre cipue eplis congruit SIGNIFICAT et beuincio oblis go / et bevinctus obligatus / ficut et fepe obnos xius quobnonloiumtritomore SIGNIFICAT tquoo notu eft. febetiam beuincturm. Collocare apub aliqui beneficiu. Collocare apub alique benef irium eft alicui benefi cium facere, vt apub gratos viros beneficium col iocafti (IClvii.Gratificor» <5ratif icor libi fyanc rem predare vfurpaf ur / prp gratumfacjo» ([Clviii.De "inbulgeo et ignofco. Jnbulgeo fane verbum eft aptiffimum et fplenbis bi ornatus. quob et batiuo iungitur t et f erme \ignificat bo operam, at(j ita reponitur ♦ vt fyie nis mio fomno inbulget. ib eft nimis bormit mmio d bo inbulget / lb eft nimis comeoit . be aliis con fimili pacto. H Inbulgere quafi concebere eff verbum luxurielam quanbam Mignans clemetia tt in&uicjentem paretem appelfamus/ leniore er= ga Iiberos mgenio.quare z ab ignofco piurimum biffert.eft enim ignofco parco.ibeit bo venia.fme excufatum fcbeo.ignofco tibiifiquibCexepu cauz faJabmifens lceleris . inbulgeo vero i vt multa a= cpre impune queas. quorum verbgrum bifcrime i>il ^entifFime conliberabum eft/ TANTVS QVANTVS Tantus. ta.tum. et quantus eobemobo fefyas bent in 01 atione vt raro alterum abfgaltero pona tur. vt cor.cio l?ec tanta eftiquata ante^ac vn§ fu it.tnbuis micl?i tantu quantum necagnofco / nec postulo tdntum in te eft bocfrine quantum 1 boc= tilfimo fo 7 et effe viro; iI_Clx T a»a qualis? Taliff et qualis alterutru creberrime ponitur* ra ro vtrucj. vt teie iolemus fentire bonu viru/et fub Bitelligimuf quale biximus.z ecotra.orator eilfu ftris qualis alter nuilus reperitur. veru l?ec be f)is htiBt ^LClxi. Vel pro eciam, tVel pro etiam particula I multis locis rectiffime congruit.vtfyambal fuit imperator velomnium primus.tua eximia virtua vt tearoem velmaxie impeliit. ([CytVfrforj » Verfor verbfi ifl f requetiffio e vTtt veteru ac oifer toiu foofni . perbif f nlaqj e eius verbi fignif icatia ac beno variis poteftrationib? expoi.vt ego verfori Iraru ftubio ib l bo opera lraru ftubio. virt us circa bifficile versatur ib e virtus i bifficiii cofiftit. ver famur in tenebris ib est f ere fumus ac viuimus et quasi stamus in tenebris etCquob est exemplis superioribus beciaratum) buos fibi plerumq? ac fre qnetius casus postulat. nam aut accusativo vingi tur/precoata circai aut ablatiuo in precebete. na cu acanatiuo vt ante f unbu verlari.ab porta ver= fabatur pcrraro bicta funt. fcb queabmobu cetens rebus oibus { ita buie f uma abfybenba e biiigetia, ^QQUiii . 8niuer o Sinaute HonnuS oue particule ornatiOime coiunguntur, quarum eabem fit vtriul* f ignificatio. vt enmero nam pro explenba SENTENTIA altera bumtaxat Juffi cere poterat et similiter finautem cauia conplenbe fentencie. eo in loco aute patticula nullam omnino vim l?abet. 1m eni per le iignif icat feb h/ trClxiiii.&ttoab. auoabypro quoufq;/et pro quabo/no minus ornate ponnur^ latine.vt volo in vrbe effe/ quoab tu rebeasa . ita in plenfc* locis conlimihter accipi poteft. Sufci pere. Sufcipere no folum(quob tritug vulgatufcg vfus fyabeOfignificat quob eft fuper fe accipere et quo= bamobo abbucere aliquibi feb etiam perornate po= fitum in epiftolis cemmenbatum Ipabere. vt fu£ci= pit cicercnem cefar in fuis rebus abuerfis . que vticj poftremaugnificatio /r/aub^quaqKfi quisin= fpiciat accuratius)a priore illa afiena eft. Positivo abiucta negatio cotrarii politiui pleruqj vim tenet. Optima quocj ratio eft vt pofitio cuipiam abiun = cta negatio cotrarii poifiui virn ac SIGNIFICATIONEM twneat. feb non ita plene / tamen et accurate lilam expleat.cuius rei exempla fubiciamus . r;ic vir eft J;aut improbus. SIGNIFICAT enim i ere fyuc lpomine prolum potius q> imprcbum effe jfyabenbum . et pr;us ^aub igncbilis.r;iftrio non illepibus.miles co inftrenuus.ciuis fjaub malus.Nam in iis/eo= rumc| fimilibus rectius atcjj vlitatius bicitur qua bo vis laubis cuiufbam eit. feb quafi biminute/ et quafi btf raubate laubis. Peto r;anc rem a te CLuob gramatici bicunt peto te r; ac rem /ornatius nec minus latir. e bici queat * peto banc rem a te et ibplutimum ciceip m epiftoJis cofueuit. ConHdoY pro pereo. Conficior paffiua voce crebro vfitatu e pro eo f e= re quoo e pereo.vt confectus fu ibeft columtus vt vir lops ac mifer .'fame/fricjore/bolore coficitor. fic anis etate et ftubio conficitur, ac merore Jbbo? re/fenio cofectus.et be aliis fic per mulf is? ^JOxix ftblatmi tu participioru tfl alioru peruenuftam rebbut orationS ftblatiui cafus no participioru folu/veruecia om niu alioru in orone percodne ponutur.prcfet tjm fi qua f uerit fignificatio teporis » et be participiis quibe mariif eftu eft, vtregnante octauiano cefaref parta eft vniuerfo orbi pax * quafi qua tempeftate regnabat octauianus cefar et aliub bioniiio firas cufis tyranum gerente/grauifuma inficilia bella fut gefta.ibeft jn quotepore fyracufanoru bionifc? us tyranus erat* ([Beb eobe quocj rao alia que bam fe babet nomitaa .maxime fi bignitatu ct 1)0noru extiterit. vtcornelio et galba cbilibus curilibp acte fut in tfyeatro f abule. Quiba abbut partid pium exiftenubus.IeO nos profybemus l quob ab vcnuftate oratiois n5 pertiet abbi oportere . et iU fcipionc conlule peni beuicti funt. Icipione imperatore euerfa eft numantia . jpt reliqua eiufmobi panter. (JCIxx.be geitiuis cu pofieffiuis pronoibus Licetetia ta Ljramatice q> oratorie genitiuos quo rumcuqt cafualm cu pcffeffiuis quocuq; cafu proJa tis coiugere. qucb ct priftianus trabit . vf mea ca venit/rt celeroru amicorum.meuagrum et mar ci anfonii populati funt.tuo amico ac fratris gra= •iificare.tuu.r; imperatorem fectare et coriolanum p ncfter ac frains amice. fua ille confibit et ciuiu pruoentia./C tqj lta figuratur conftrucfio in omnibus pdifeff:ui3.pinc terentianum illub meo prefi bjoatq^ofp.ti. ^e nominatiuo poffeffiuo cu gemtiuo poffefibris.Ibq? penitus mfpidenbu fit/quaboqj etiam bifcre=. tioms leu abubancie cuiufbam caufa folet abbicu genitiao poffefforis et nominatiuus pofieffiuus vt fuus eft.C.cefaris mcs ib tlt eius et no alterius fuus ticiifilius fjeres teftamento conftitutus eft. fuus( vt ipfe quocj pnftianus exponit>b bifcrctio ne eius pertinet qui fecubum leges fuus non ciU ib eft fub poteftate patris legittimi non eft . fuus autem pro vnius cuiufq? proprie accipitur, quob ipfum apub viros eloquentiffimos freques eft. Quibbiftatbie quartoetbie.quatfa. Qit quartaC vt nonius marcellus eciam teftis eft) et bie quarto non ibem fignificant . feb mafculino genere preter itu tempus befignatur f eminino f ututum . quob vef uftiffimi tamen aliter protuleriit vt fic bit quarto pro eo e quob aliter nubiufqrtus bicifur .'nubiuftertius.^et ltibe be aliis. Qm ib infere inter tua ca et tui ca feci» Tua caufa fcci/et tui caufa feci ( ne pretei veteru et boctorem cofuetubinem aliquib ef f iciamus ine ter fefe fyaub mebiociiter bifcernutur . nam tui ca bicimus/fiquib eiabquem fermonem vertimus preftiterimus. vt tui caufa a& antonii caftra prof e ctus quob eft tuenbi tui gratia. kb tua caufai cum tuaQ vt ita bixerim) contemplatione aliquib alteri preftiterimus vt tua ca»fratris tui caufa egi/ ^JXHxxiiii,be bif f erentia intcr gcnis tiuos primitiui et pofieffiui . £t quia aliquib be lis que ab poffeffionem fpectant locuti lumus i fyaub ab re f uer it bif f erentia illam ptof erre in mebium .que intcr genmuos priuKi= ui eft ct poffelliui. vt mei tui fui noltri et veftri. qua tibem pulcfyerrime pnfcianus exponit . vox na<$ eft eabem .at vis ipfa longe biuerfa.cu genitP uus pnmitiui fimplicem fignificat poffeifionem. potfeffiui vero bupliccm» vt mci amicus ibe meu3 amicus . feb mei filii amicus bupjicem poifefiione continet alteram meam in f ilio alteram filii i ami co. quo cc fubiecimus/ne cum ornafum requiri= mus4 verboru vim icjncremus ipfam/atq? in errorem quepiam iguorater incibamus feb nunc institutum prosequamur. C|xi.v. in mentem venit. Hcc res mic*?i in mttem venitbicitur. et cum ge= nitiuo l;uius rei mid?i m mttem venit. nec micfyi curc eft an j:ro nominatiuo geriitiuus pofitus eft, vt uq; veto ncn iolum poete feb etiam. M. ricero vfurpauit; fJClxxvi.be teporu c6mufatione t Oratcr;s(f:cut et poete^perfepe prefentibus tepo ribus vtuntur pro pretetitis . nonnucj et pro f u= turis. veru lb quioe muitorarius . feD cotra fyaub crebro fit.nifi forte incp verbum/ quob fufuri temporis eft / preteriti foco vel prefentis accipiamus. Seb muita que fuper fyiis bici polfut/in aliub quo 9 tempus ieruamus; 4j0xxvii.>3imilis genitiuo et plenus batiuo. Similis et plenus nomina Cquorum prius batiuo iugitur 4 postrerius etia ablatiuo)oratores vt pluri mu/ac fere femper genitiuo iugunt. vtfimilis'es !"uoru maioru.bignitatis et of ficii es plenus» no» nuq» vero(feb perraro)pr«feruntur cu superioribus cafibusj. Vt fubiuctiuis imprdtiua verba iunguntur. Sepenumero ctia maioris SIGNIFICANTIE causa vel ornatissime imperativis subiunctiua verba iugutur quob CICERONE fepe ef ficere folebat. quale e iliuO cu = va vt vir fis. et aliojoco fcrxbens ab f ilium eff ict etiaboravtexcellas. Curri WcenatuWprabetur. Decurritur fpaciu/cenatur rijombus l pranbetutultu Wcoftmilj aq? pulcf;errime bicuntur/ <£ixxx. Vt trafitiua verba abfokte prof cruntur» fltqf vt abfoluta iterbu vcrba obliquis cafibus iun gutuWita trafitiua quocp iicet nonunqua non folu pro gramaticoru more/feb etia pro oratoru cofue tubie abfolute prof eratur .preferti vcro ili qua fu passio cu ACTIONE IPSA SIGNIFICATVR qualia illa fat. Lugeoinbeo metuo. que cum transitiva funt inunc abolute proferutur. Dc terminatis m bunbus. due I bubus excut noia ; no ta fimilitubine significat Cquob pleng arbitratur) § abubatia quabam potius ac vefyemetius.vt gliabubus no ta cjioriati fimilisiq» abunbe feie vefjementerqi ef feres.Qua opinione eloquetiu ateji qSerubitifumoru fcominu vbicg teftimoniis coprobata/tu quoqj firmiter ara pfectere.na(vtalios omitta)7?vulus gelius auctor probatiffimuf ex fnla quotj boctiffimi appoftinaris letabu5us bicitur^qui logo atcg sbubati errore efu et tu quocj eiftem vtere nominibus. De Fretus Fretus.ta.ui.icerte originis ablatlo iuctu pultfyer nmu eft.'et ugmficat fere confilu atej munitu. vt vra fyuanitate f rcius . vra fapieuU J i:on mea vir tute fretus. Certicrefacere Certiore facere vfitate atcj frequenter in epistolis vsurpatur. na facio te be i$ac re certioremUb e tibi figmfico l;ac re.et fepilfime velim me be tua vali tubine facias certiorem; Habeo. Habeo varia coftructione figuratu plurimu orna tus Ipet.vt bene fyec res fc l)et.'qucb e fere vt ita bi ca\'ftat bene fyec res.et ita bene fyeo me . et cu participiis bene me fyabes rebeo rure et cotrariu ab uerbiu similiter ei verbo iugitur quob eft maie; /plxxxv.be participiis f uturi temporis. Participia fepenumetQ i uturi temppris ornatiffime vfurpantur vt scripturus fum ab SCIPIONE (si veda) litteraa. quoo eft fere bebeo scribere . etaliub.' tu ab ebes cras iturus eslquafi ire bebes. CICERONE (si veda) e atfyeas profecturus ib e bebet atfyenas proficifci. plautua in ciprum traiecturus eft ( fere eftnauigarebcbet in cipru.quob ibcirco ita expofuimus quoniam is pi-opne nauigare / is tranfmittere t is folucre ei» locum fignificat vnbe prof icifcimur is bemu tra= iicere biciturl g> eubem befignat qui rate vebitur. vt CICERONE (si veda) soluit atfjemsiet in afiam traiccitt(f/e= ru ab propofitu rebeubum eft . illa igitur particis pia quc a verbis manant palliuis et naffiue quoqj cxponi bebent vt cuius infons animus e/mulctaa bus non cft ib e mulctari et puniri non bebct . fon tes accufanbi funt ib e accufari bebent.vir flagicio fusefttrubebus incarccremibe coiicienbus jn vi cula . 8t alia reliqua exponatur / vt fupra biximus{JjMec tame negauerim qui eorunbem participi oru alia quoqj ratio fit feb ea nos mobo profequi mur iprefetiaru/que venuftius eloquiu rebbant/ Repeto Qoiib repeto ^none perpulcfyre ponitur.fi quib ei accefferikneq; batiuus foluscafus/feb etiam abla= tinus.vt jepeto fjanc rem memoria/ quobnon te neo memoria figaifieat. vt permulti extimat feb *< H •podus meoria voluto^t rcmifcor /et quasi oblmi oni trabitu rurlu lueftigo meoria»l;oc nos vii vei bo ornatiffie poterimusiquonia ecbe z veteres eic quetiffimi f requeter vfi iut* l;k illub be ORATORE CICERONE (si veda) libro. cogitanti mkl)i /ac memoria repete ti et africanus a neuio accufatus / tnbuno plebis <% ab antfyioctjo pccunia accepilfet / comcbiffimc to verbo vsus rnemoria (mquit) quintes repeto ^unc bie fyobiernu effe*'quo Ijanibale penu iimitif tmu fyuic imperio vici in africa l et perpetua pace vobis/ac victoriam peperi infeparabile» veiu cap= tus ingenti voluptate longius in af rica verbis re f erebis progrelfus furcuquaobrem «b veltru inititutura ref erat k oratiof. Promori; bieobireymorte oppe tereet fimilia,' pro viaere aute vita agere/ be gere ctatetn / etfimilia ornatebicimus/ Optimu factii fuerit l ne eifbe aut mobis oratiosis/aut verbis vtamur* eKquob inicio bicimus) varia plurimu probat oratio et ti veluti quibufba fiofculis afpergitur vt pro morivbie obire /mort«m oppcterc anima expirare / vitabecebere] ani ma efflare/ vita befugi^ rebus fyumaqis excebere ex vita migrare/res beferere fyuanas i exii e be vitalnwtc? pbireiextremum claubere bie; interire i i occibere cdfimiliacg* et iteru pro viuere vitam age re begereetatem/ Vtlu&oluou.Ticet viuo vita &icimus et coniimilia» St(ne figillatim cucta coplectar)illu& fcoc loco ani mabuertenbum iitiq ficut fepe bicimus lubo lubu pugno pugnaiferuio feraitutemiboleoy &olore^et fimilia.' ita et inter&u viuo vitamVviuo miferam feu felixe vitam, vt fi quis bixerit qui expe&ita fu«= erint virtuteconfecuti, / ii viuentbeatam/ etimor = talem vitam.et qui predaru certamen certaucrit/ a mphffimis bonabitur muueribus . £t quob &e va riis bicimus orationis mobis l i& ipfu be fingulis partibus intelligebu lit, vt pro oro rogo/ precor obfecro/ pro quafi pene ferme.reliqua tuipe coiec U} <JClxxxix, Ib genus, Ib genus pro eius generis C quo& fere simile nomen expnmiOpulcfyre et vfitate bicitur vt multa funt ib genus monftra. be multis ib genus rebus locutus eft.'quob e fimilibus.et ita in alns^ {JClxc, Sx fcntencia, 8x fentencia quafi fecunbum votuntaf em et prof= perc • vt gefta rcs eft cx fcntentia . quob eft prout optabamus.et tibi i& vecit sententiat et muftis iuiocis confirniliter. “Inferre”. Inferre iiurii quali iniuria facere . manus iferre alicui eft alique pulfare, impetu j quepia facere iit quepia cu ipctu et quafi vi aboriniet jrruere. “Dare veniam. “Dare veniam” pulcfyerrimu efticrnofcerectlicetia coneebere; 3°vt> 'nicio ctatis Ijabui te amicu.amicicia micr;i tc cum eft a teneris annis/a paruulote primis ctatis temporibue* a tenerisCvt greci bicut) vnguiculis abincunabilisipfis.etijuiutmobi. {jQtuuei etaspuicfyerrime abolefccnciam SIGNIFICAT. F«.rire f ebus. Fcrire f ebus opfame atcp optimis caufis ex feriali um cofuetubine fignificat f ebus coponere vt per= fepe ictum fcu pcrcuffufcbus/eft conftitutum/ ct compo fitum. Hft micbi nomc fcipioni £ft miclji nomefcipioni.fcipioni cognome africa= no f uit.cui paojo troiano nome c ct lic be reliquig batio cafu perulitate ac puldjerrime bicitur .que eabe z aliis quoij mois bicutur.£ frequetius m6s fueeriores apub eloquetiffimos et boctiffimos vi= rosioucnies. ^iunt t f ertur bicitur. i» Cum tritum vcrbu volumus ©ftenbere Aet quob in ore populo e.' vtimur vel iperfonali fertur / vel perfonali verbo aiunt Jet nonuncj biritur . et eis fi gulis/ vt preponimus.' etraro ita.' feb interoii. q> exempla fcuiufmobi lut . nam firenesCvt aiui)fur bi bwbemus aure tranf ire. et item na ita f ertur vt nulcfc tuta ut fibes. item fyaub turpe e( vt biutur) tum ultuanbi be grabu beiici. Mebiam fuper noctem, onuq> ita bicimus nocte luper mebiam vigilaui rous quob e vltra mebia nocte vigilauinius. ibcj z f taias ipfeteftatuWetquorubam vetcrumpro= fcut auctoritis. Tenbo. Contra sermone tuu tebo lb e reiponbeo tibi. y licut et tenbo cotra iter iib e tibi occurro feb fyc fyaub i frequenti vfu oratorum inuenies. Aacte. Macte /magis aucte.et eft glorie et laubis fermo,' et plerucj ablatio iiigitur.vt macte virtute elto.ib 9 et poete vfurpat/et fcriptores fyiftoriara* etbe= mu oratores ipfi. qui lermo C vt multi erubitilu= rai trabunt)a facris bebuctus elt. 7Kb expiicanbu locum tue genus gentile ac patnum effingimus. duoties alicuius explicaturi fuaius/iiue genus/ I sive locu/getuWc patriu nome effingimue. qucb quifecuBeffccerit/fortaffelatine locutus fit;febil lepibe penitus/atc| Ibecore. vt qui fuent a firacu= fis oriubus/no be ciracufis bicebul J? firacufanus no be atl;els<f? atfjemefis.et fic be aliis. atcj i gc= nerifc^ /ac familiis nos no be cu abltio vtimur(vt muiti l feb ibc nome effidmus vt no bc ftauris f$ luurus . r 6 ite be grecis fcb grccus non bc catufis feb catulus.non be batis feb batus . Qua qmbe a reib mento afferebu fitl quob pliniusipfeaiebat/ q> beriuationes no fyabet firmas regulas . fcb exeunt/tcrminaturc| vti ipfis autonbus placet fic a tfyaurotfyauru/tfyaureu^ttfyaurinu bjcimus» et quoe nos romanos bicimus^ bicut greci romeos» guos nos cartfyaginefes ^iUi cartfyiboneos vocantt &qb in enfis valatq as fi ab loca pertinent frequetiores terminationes sunt. vt albanenfis vero nenfis dufiuua .' taretinus /lacebcmonus .'eiracutas nus^arpinas.iftlii quoc| funt eorube nominu exitus.feb 11 frequetiori vfu celebratur.quob ibe ct in quibufba aliis fit«que mq a generis noibj fluxcre neqj loci vllius. vt tcrecianus cremes/ platoicuB gigesifocraticus gorgias.queoia a propriis profecta lunt/atcj origine traxerc. feb que alia fyac bc re^ici pQiTuUtuipe coQitatione coplectere. Conoi\ Conorrjanc rcm optimc ac peruenufte oirimuB, prefertim fi bifficilior fit.'et arbua. quo pacto cice ro fepe vtebatur. vt oe pcrfecto oratorci maguum opus ct arbuum brute ccnamurf {[ CCi«{3tubco» Et ftubeo fi quib ftubiofius effecturi fumus coiam accufatiuopulc^crrimc iuncjitur. “Defibero”. Dcfibero vcrbu pulcfyerrime pofitfi e . na cu befis beriu fit abfetiu reru perfepc bicimuf befibcro amo re tuu quafi tu no mc amas.bcfibcro tua prubetis anWquafifis iiipies.et ltem bc alns; ijCCiii . complector C5plcctor perbiff ufu e/atcj ornatu verbu.prefer= ti vcro aiiquibus abiecus/ Jjac roe.vt te amore/at q beiuof ecia coplector /pro te amo» cogitatione co plecfcr .'qucb e cogito.z lb e aiificut facultatecofe quor/eft rei ipfius; Degerubjuiflf Illub ignoranbu non tltiq gcrubiuuar mobus ab omni verbo fimili procratur / fi quanbo nobis fo ret eo opus . vt cantanbo rumpitur anguia ib eft bum cantatur l vt ait feruius et alio in loco acti^ uc bictum eft* cantanbo tu illum it> cit bum canis. ib efficere atqj vfurpare oratores queunt/ (] CCv^be quarto p retoriet quartu pretor Putat nonulli nicfjil itereifeiu quis bixent quarto pretor / ct quartum prefor / et (ic be aliis. feb magna e certe bra/vt.M.varro teltis e.na quarto pretor locu figmficat/et tres anteactos. quartum vero befignat tpus .Caue igitur biligenter ne per= pera fjifce vtaris ronibj.ne ofuib eotra veteru/ at cp eloquetiu roore/cofuetubinecj faciamus. quare terciu coful/ac tertio cdlulno ibefignificatt {JCCvi.Kuri effe» £eb ne plura iH f equar(na infinita pene «iu fmob precipi poflut)ib tene memoria q? no irure effe/feb ruri ee bicimus.quob cu f eftus popeius affirmat tum terecius cdprobat.aif ei ruri fe cotinebat/ Quaobrem u qua reliqua fut.'paucis ex^ e^.amus Nam cu pro coficiebis epiJfoIis I)ee potissimu atligerimus si salutatioms formuia/ ac regula ibu um nonaruqj obferuatione patef eceri .' iure l;uic p aruo inftituto fine ac mobum ftatuerini/ 4/C Cvii.Vale Salue» Vale igitur ac falue verba pro VARRONE /et omnium boctiifimorum virorum (entencia ibem fignif icare vibentur, Quibus nos alias in faluta0 aiias in execranbo vtimur ex quo terenciann iliuc» 2. valeant qui inter nos bifdbiu volut /ac cu= piunt mortuis quoqj et qui mortaliu vita beccffes runt^ quibus nullam fyuiufce Iucis optare lalu.e polfumus,'nonuncj vale bicimus. CE?t veterea quobam eifoe ibem verbu pro mori bicebat^quafi nicfyil araplius viuentibus fibi cu mortuis futuru elfet t et imperpetuu iam ab eoru afpectu bifcebes rent.Nam neg? valet llli nec| falui effe polfunt ob eabem rem abbut nonulii bene f eliciteng abuerbta aut fi qua alia funt euumobi fiemihcatie. Veruta= meninepiftolisipfisvaiein finebicere cofueuis mus ab^ vlla abuerbii acceflione^ perinbe ac amicis vite falute ac f eligitate exoptemuf. Quib igitur vale fibi querat.' quo ve illo pacto vtebu fit nofcef Ct G Gviii.bico tibi lalute iubeo te faluere, Pro falute aute piemc| nos bicimus falutem bico et fi quefalutare cupimus 4 batiuo cafu aptifume appofucnmus» vt vaie et cefari bic falutem . T^lia quo(j erit faiutanbi ratio.vt iube fcipioncm faluere quob eft fcipionem faiuta . iSiam ille mobus vi quabam befiberii cotinet . ct pro antiquoru more et confaetubine inf initiuus mobus in alium tranf mutatur vt iubeo te faluerc ib eft lalue . iubeo te gaubere pro gaube; ^JCCw.Meo noie vel meis vcrbis, t {Tp ro mea ex paif e. Quob vero alii ex mea parte bicuntl mulfo quibe ornatius bicitur vel meo noie vel meis verbis/ calebis/nonis/et ibibus» Quota aute cuiuicuqj mefis biem velimus mtellr gereicalebis/ nonis/ibibus ve notamus.necj quib illi fibi velitinuc expiicare cofiliii eft.feb quo pacto bicamus figulorum mefium bies.' et quomofco ab eis nominatione fufcipiat . cpobrem intelligebu elti primis/ primu cuiufqi mt fis biem/ calenbaru appellatione vocari . fecunbu quas nonarum bies coftituitur . ef in aliis quibe mefibus feptima luce Marcio/Maio lulio/Octobri.in aliis autem qui» ta/Ianuario/ Februario/yvpnli lunio / 7\ugus fto/ Septembri/ nouebri /Decembri. J^tc| omne« ii bies qui cdlenbas et nonas intercefferint*' nonarum cognominatione cefentur. vbi et numerum meminenmus ac nonas ipfas.et ille ablatiuo con ftruuntur. fjee accufatiuo. Seb internumeranbu etprepoftero vtemur orbine^et nonarum biem conumerabimus .' atnonisexactis/ proximosocio bies . ib quocjt in quolibet menfe ibuum umiitter cognominatione fignincabimus* fcb pari rone tu orbis/tu anumerationis.reliquos veroeius mefi» (quotquot fuperf ueriObies calebaru appeliatione notabimus. que hxturiJacpYcximi fut mefisi neeg orbinis/necp numeratiois roeimutate. 7>vt ib om nc exeplo iiluftrabu iSitqf martius nobis exeplo. cuius curriculu vno ac trigefimo bit coficitur .pri tna ltaqj bies halenbe erut mahi.fecunba fexto no nas marcii tercia quito nonas. quarta qnartono nas . quita ttrcio nonas . fe.\ta no bicitur fecunba nonasifeb pribie nonas.et lta be lbibus at^ fcalcn lsfeptima bieg none erunt marcii . octaua octavo ibus marcii .nona feptio ibus mattii becima fex to ibus marcii.vnbecima quito lbus . ouobeum quarto ibus. tribecima terno ibus . quartabeciina pribie ibus quitabecima ibus erunt marcii.febecia bccimo leptimo halenbas aprihs. quoniam is me fis proximum fequitar.beamafepnma beamofrx to halenbas april.g. becima octava bccimcquinto halerbas/becima nona becimo quarto halebas. vi ccfuna becimotertio kalcbas. vicefimapt ia buobe* cimo calenbas. vicefimaiecunba vnbecimo calebas viceiimatertia becimo calenbas, vicefima quarta nono calenbas vicefima quinta / octauo calenbas. Viceuma fexta feptimo caienbas . Vicefima fepn= ma lexto cahnbas. Viceiima octaua quinto ca« lenbas. Vicelima nona quarto calenbas . Trice frnia tertio calebas. Tricefima prima et nouifiim/i i J pribie fcalebas aprilis.In ceteris omibus eabefer 3 uaoa eit ratio bieru, Dieru autem numerus f;aub fe lateatgui in propmtu eft cmnibus/ 4jCCsi ♦ P^ibie kaienbas,'pribie, nonas,'pribie ibus. Pribie aute fcalenbas/pnbie nonas/pribie ibus et «t fignificat quob vetuftiffimi bicebant biepriftini pro abuei bio quob fignif icat bk priftino. et iic per vetuitomore biecraf tini / et biequitiet biequinto umiliter pto abuerbio, Veru nos prifcam nimis et Ipombiore vetuftate vbicf f ugere ac vifere bebt mus, #vc bene et preclare cefar preciperc Folebat/ ta§ fcopulu fic f ugienbu ee iaubitu /atq ifoles ver fcum; <L Pro genitis aate ihenfiu rectius pof= felfiua nomina finxerimus. vt pto ijalebis marcii fic uenuftxus bixerimus halebas martiaf z ita apri les/maias / lunias /iulias /ac quitiles auguffas feu fextiks/ieptembrias, et itaianuarias/ fcbruarias g> autem m haknbis/nonis ibibuiq abiatiuo cafu iugimus.' jbcm poifimus in accufatiuu tranfferre et ab preponer e feb ib iignificst tempus fere biu= turnu, vt ab bccimu kalenbas februarii bebiiti ab me litteras . ego vero ab ocfauu ibus lanuarias ao te fcripferam^abet enim vim tejs»f»e*4^vel:;emen twem fyocpofterjus; fc> J 4 1 Operis peroratio. Me «Sor pl«» fcribamdpc micfy Etic imprefen* tiarum obtulerut ! quc anotatu bigniora vila funt{ nuc« tibi multo plus ferfafe conbucent ; cj eoru preceptioncs i quieafbemetepiftohsetoratiQm; bus tribuunt partes.quorum penitus enpient.ua eb error .afa* ita fentienbui vti littens ipbs ab te concinnc bilucibc^ perfcribamus .'ac noitram len» tcntia afc» mente ^comobiffime apenamus . cj? cu bec bili S cnter tenueiis < ck in£inito pene fcrum r« La numcro;alia qucbam no mmus taaife vtt< ha,'feb multa grauiora (ubnectam.auaobremCvt facis ) cupibiwme ftubia htteraru complectere at L ea queinbiesaffequerisabcxeraUttommawo moba? IVale? f/fluguftini bati fenenfis oratoris primaru liajjocjicus libellua octttioniB precepta finitf oc Kt e^a rAficm ^•S. "atriftcr mM^urinxx^j^iit^Scnom^m ttyAnne* ie fUmati* ^d{' Llmulas kriwor frpi » Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Nome compiuto: Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords: ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Deciano: la ragione conversazionale  al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of the Porch, and friend of the poet Marziale. Deciano. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deciano,” The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Deinarco: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A follower of Pythagoras. He is one of those who fled Crotona when the local people became hostile towards the sect. Giamblico talks about his followers being killed in a battle years later, which suggests that he may have established some kind of sectd of his own. Deinarco. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deinarco,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Deinocrate: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico. Deinocrate. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deinocrate,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Delfino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della musica delle sfere -- l’ottava sfera – scuola di Padova – filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Padova, Veneto. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava sphaera, Stupanus, Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.  Dizionario biografico degli italiani. Musica delle sfere Lingua Segui Modifica La musica o armonia delle sfere, detta anche musica universale, è un antico concetto filosoficoche considerava l'universo come un enorme sistema di proporzioni numeriche. I movimenti dei corpi celesti(Sole, Luna e pianeti), ritenuti collocati su sfere ruotanti, avrebbero prodotto una sorta di musica, udibile solo dall'orecchio dei veggenti, e consistente in formule armonico-matematiche.   Incisione di Franchino Gaffurio (Practica musice, 1496) che raffigura Apollo, le Muse, le sfere planetarie e i rapporti musicali. La teoria della musica delle sfere ebbe origine nell'antichità e continuò a essere seguita almeno fino al XVII secolo, suscitando l'interesse di filosofi, musicologi e musicisti.  StoriaModifica La musica delle sfere incorpora il principio metafisicosecondo il quale le relazioni matematiche esprimono non solo rapporti quantitativi, ma anche qualità che si manifestano in numeri, forme e suoni, tutto connesso in un enorme modello di proporzioni.  AntichitàModifica Pitagora, per primo, capì che l'altezza di una nota è proporzionale alla lunghezza della corda che la produce, e che gli intervalli fra le frequenze sonore sono semplici rapporti numerici. Secondo Pitagora, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare, per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione, produrrebbero un suono continuo, impercettibile dall'orecchio umano, formando tutti insieme un'armonia. Di conseguenza, la qualità della vita sulla Terra sarebbe influenzata da questi suoni celesti. Nel mondo greco il cosmo era paragonato a una scala musicale, nella quale i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la realizzazione dell'armonia in quanto, secondo i greci, corrispondeva alla nota centrale che congiunge due tetracordi. Per FILOLAO, matematico e astronomo pitagorico, il mondo è armonia e numero, e tutto è ordinato secondo proporzioni che corrispondono ai tre intervalli fondamentali della musica: 2:1 (ottava), 3:2 (quinta) e 4:3 (quarta). In seguito, Platone descrisse l'astronomia e la musicacome studi gemellati per le percezioni sensoriali: astronomia per gli occhi, musica per le orecchie, ma entrambe riguardanti proporzioni numeriche. Egli, inoltre, appoggiò l'idea di una musica delle sfere nel dialogo La Repubblica, nel quale descriveva un sistema di otto cerchi, ovvero orbite, per i corpi celesti: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole e Luna, che si distinguono in base alle loro distanze, al colore, e alle velocità di rivoluzione. La visione di un universo strutturato in cerchi concentrici, aventi come centro la Terra, era del resto comune a tutta l'antichità: si trattava di sfere intese come ambiti di pertinenza, ognuna delle quali contenente un pianeta che esse trascinavano con sé, muovendosi in maniera circolare. Era questo loro movimento a generare il suono, come affermava anche CICERONE (si veda) Movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in silenzio, e la natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui rotazione è la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre questa sfera lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra infatti, nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede, racchiudendo in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno delle quali due hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da intervalli, il cui numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose; imitandolo, gli uomini esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare qui, come gli altri che grazie all'eccellenza dei loro ingegni, durante la loro esistenza terrena, hanno coltivato gli studi divini. Le orecchie degli uomini, riempite di questo suono, diventarono sorde, né infatti vi è in voi un altro senso più debole. CICERONE (si veda), Somnium Scipionis, De re publica. Più tardi i filosofi, fra i quali Tolomeo, mantennero la stretta correlazione fra astronomia, ottica, musica e astrologia. L’'astronomo arabo al-Kindisviluppò le idee di Tolomeo nel suo De Aspectibus, che associa anch'esso astronomia e musica.  MedioevoModifica  Angelo musicante, affresco di Melozzo da Forlì, Musei Vaticani. L'antica concezione cosmologica della musica delle sfere passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente meditata e approfondita, costituendo la base di numerose raffigurazioni di angeli musicanti, suddivisi in cori angelici gerarchicamente ordinati, identificati con le orbite celesti di astri e pianeti: nella musica delle sfere si udiva cantare cioè il corodegli angeli, che accompagnava gli eventi principali che avvenivano in Cielo, quali la Trinità, l'Ascensione, l'Incoronazione di Maria. Già Agostino d'Ippona, nel De Musica e nelle Confessioni, vedeva nei suoni il riflesso di un'armonia primordiale dell'anima.Furono poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da tramite fra il pensiero pitagorico, basato sul simbolismo dei numeri, e la nuova teologia cristiana. La Via Lattea, intersecando lo Zodiaco, forniva per MACROBIO il «latte», ossia il nutrimento alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di incarnarsi. Tutto l'universo è per lui fondato su rapporti numerici, nei quali si riflette il progetto creativo di Dio, esprimibili secondo accordi musicali basati sulla tetraktys pitagorica. BOEZIO (si veda), ponendo le basi del quadrivium scolastico, ossia il complesso delle materie scientifiche che verranno insegnate nelle scholae medievali (aritmetica, musica, geometria e astrologia), spiegava l'ordine del cosmo secondo la rinuncia da parte dei quattro elementi agli aspetti discordanti. Egli introdusse inoltre nel De Institutione musicae una distinzione fondamentale, destinata ad avere grande fortuna nel Medioevo, tra musica mundana, propria delle sfere celesti, musica humana, quale si riflette nell'interiorità umana, e musica instrumentalis, fatta dagli uomini a imitazione di quelle. ALIGHIERI (si veda) allude in più occasioni all'armonia delle sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso della Divina Commedia, quando si rivolge all'Amore che governa le Sfere dei Cieli, il cui movimento rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende in loro, desta la sua attenzione («mi fece atteso»):  «Quando la rota, che Tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso, con l'armonia che temperi e discerni, parvemi tanto, allor, del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece mai tanto disteso.»  (ALIGHIERI (si veda), Paradiso) Dal Rinascimento all'età modernaModifica  L'armonica nascita del mondo rappresentata da un organocosmico, in Musurgia Universalis di Kircher. Nel Rinascimento, a fianco della teoria pitagorica si sviluppò la visione magico-ermetica dell'armonia, espressa dalla concezione del monocordo di Fludd, nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono disposte verticalmente sul monocordo, accordato dalla mano divina. Dio, dunque, è architetto e musicista supremo del creato. Un modello analogo era stato delineato da Franchino Gaffurio, il quale aveva collocato i pianeti attorno a un'ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse, accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo. Keplero, influenzato dagli argomenti di Tolomeo, scrisse il libro Harmonices Mundi, nel quale vengono descritte le consonanze fra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro fra geometria, cosmologia, astrologia e musica è rappresentato dalla musica delle sfere.[14]Keplero, però, superò il modello statico delle sfere di concezione copernicana in favore di un modello dinamico, trasformando le orbite da circolari a ellittiche, che i pianeti percorrono a velocità variabili (seconda legge di Keplero). Inoltre, Keplero attribuì a ogni pianeta non un singolo suono, ma un intervallo di suoni, in cui la nota più grave corrispondeva alla velocità minima che il pianeta teneva durante la rivoluzione (in corrispondenza dell'afelio), e quella più acuta alla velocità massima, raggiunta nel perielio. Spinoza, nella sua Etica dimostrata secondo il metodo geometrico, criticò con fermezza tale concetto filosofico, indicandolo come idea priva di fondamento scientifico, frutto dell'immaginazione umana: «la follia degli umani è arrivata al punto di credere che dell'armonia si diletti anche Dio; e nemmeno mancano filosofi profondamente convinti che i movimenti dei corpi celesti producano un'armonia, Il Sole e i corpi celesti. L'immagine ritorna in Goethe, che nel Faust apre il Prologo in Cielo con le parole dell'arcangelo Raffaele, intento a contemplare la «melodica» armonia vigente tra il Sole e i corpi celesti. Die Sonne tönt nach alter Weise in Brudersphären Wettgesang, und ihre vorgeschriebne Reise vollendet sie mit Donnergang. Intonando l'antica melodia, a gara con gli astri fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo di tuono. Goethe, Faust, primi quattro versi del Prologo in Cielo. Nel primo Novecento, nell'ambito delle concezioni esoteriche elaborate dalla scuola antroposofica, l'esoterista Rudolf Steiner sosteneva l'esigenza di recuperare la capacità sovrasensibile, propria dei pitagorici e di epoche ancora più remote dell'umanità, di percepire la musica delle sfere. Solo inconsciamente, durante il sonno, l'uomo riuscirebbe ad attingere dal mondo astrale e spirituale quell'armonia che gli consente di fornire un sostegno alla sua anima razionale, e ricomporne gli aspetti dissonanti. Tale armonia celeste secondo Steiner, diffusa attraverso gli spazi cosmici per mezzo del cosiddetto «etere-chimico», ha effetto principalmente sul ritmo della respirazione. Il musicista compositore trasforma incoscientemente in suoni fisici, il ritmo, le armonie e le melodie che, durante la notte, egli ha percepito nel devachan, le quali sono rimaste impresse nel suo corpo eterico. Questo è il misterioso rapporto tra la musica che risuona nel fisico e l'ascolto della musica spirituale durante la notte. La musica fisica non è che la copia della realtà spirituale. Come l'ombra sbiadita sta in confronto all'uomo vivo, così la musica-ombra fisica sta alla vera musica-luce spirituale. Steiner, L'essenza della musica, conferenza di Colonia) Steiner si propose di ricreare nel microcosmo umano l'armonia stellare attraverso l'arte da lui stesso fondata, denominata euritmia, dell'equilibrio tra parole, gesti e movimenti. Hazrat Inayat Khan, Il misticismo del suono( PDF ), traduzione di Hasan Signora, Weiss, Plinio il Vecchio. Houlding, a cura di Fabbri, L'armonia delle sfere, su brunelleschi.imss.fi.it, Museo Galileo. Kahn, Davis, Smith, Affresco appartenente a un gruppo di altri angeli musicanti dipinti a Roma da Melozzo nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli, successivamente trasferiti in forma di frammenti nella Pinacoteca Vaticanam Atti. Classe di scienze morali, lettere ed arti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Pasi, Storia della musica, Jaca, Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, pag. 140, Arkeios, ALIGHIERI (si veda) e la musica delle sfere. Kepler et the Music of the Spheres, su skyscript.co.uk. URL consultato il 29 Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, Trad. it. a cura di Patrizio Sanasi. Tiziano Bellucci, L'armonia delle sfere planetarie, lo zodiaco musicale e i colori, su coscienzeinrete.net. ^ Stefano Centonze, Manuale di Arti Terapie, pag. 234, ed. C. Virtuoso. Articolo su Rudolf Steiner e l'euritmia, su italiadonna.it. Weiss e Richard Taruskin, Music in the Western World: a history in documents, Cengage Learning, Plinio il Vecchio, Storia Naturale (tradotto da Rackham, Harvard, Houlding, The Traditional Astrologer, Ascella, Davis, The Republic, The Statesman of Plato, Nabu Press, Smith, Ptolemy's theory of visual perception: an English translation of the Optics, American Philosophical Society. Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett Publishing Company, 2Armonia Harmonices Mundi De Institutione musica Gerarchia degli angeli Sfere celesti Temperamento (musica)  Filmato audio  L'Armonia delle Sfere - i Portale Astrologia   Portale Filosofia   Portale Matematica   Portale Musica Harmonices Mundi Sfere celesti Hans Kayser musicologo tedesco. Nom compiiuto: Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: l’ottava sfera, first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Delia: la ragione conversazionale – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Delia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Delia,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Deliminio: la ragione conversazionale – Luigi Speranza  (Roma). FIlosofo italiano. Delminio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Delminio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Delogu: la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura conversazionale -- semiotica romana – implicatura sarda – scuola di Nuoro –filosofia nuorese -- filosofia sarda -- filosofia italiana --- Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo nuorese. Filosofo sardo. Filosofo italiano. Nuoro, Sardegna. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!”  Si laurea a Sassari  e, come vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru.  È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru.  Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore.  Come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e  prof. ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane.  Fa parte del comitato scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce.  È stato direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione sassarese della Società Filosofica Italiana.  È stato direttore della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo, Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della Grande Guerra. Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma),  Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), Satta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa Carrara.  Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo.  È stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale dei Rettori.  Premio "Sardegna-Cultura" Premio Capograssi Altre saggi: “Insegnamento e implicamento empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero,  Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in  Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico  Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo internazionale mediterraneo nell’Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone, L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica. Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo; in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Cattaneo e Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Cattaneo temi e interpretazioni, Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma);  J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Wojtyla, in Nouvelle Revue Theologique,  Prefazione all’analisi dell’esperienza comune in Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante, Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir Jankélévich., Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in Esperienza e verità-  Capograssi filosofo oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni Spes, Roma,  Ragione e mistero, in Orientamenti Sociali Sardi, XV,. Il pensiero di Noce sul Magistero della Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce,, Cantagalli, Siena, Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma,. Libertà di coscienza e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano,. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa, ETS,  Questioni di senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma,. La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo, su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di filosofia.  Wikipedia Ricerca Sardegna e Corsica provincia romana Lingua Segui Modifica Sardegna e Corsica Sardegna e Corsica  Un pavimento a mosaico proveniente da Nora (in alto a destra), le rovine romane di Aleria (in basso a destra), le terme romane di Fordongianus (in basso a sinistra), e le rovine dell'anfiteatro romano di Cagliari (in alto a sinistra). Informazioni generali Nome ufficialeSardinia et Corsica CapoluogoCaralis Dipendente daRepubblica romana, Impero romano Amministrazione Forma amministrativa Provincia romana GovernatoriGovernatori romani di Sardegna e Corsica Evoluzione storica Inizio237 a.C. CausaPrima guerra punica Fine456 CausaInvasione dei Vandali Preceduto daSucceduto da Domini cartaginesiRegno dei Vandali Cartografia Corsica et Sardinia SPQR.png La provincia nell'anno 120 La Sardegna e Corsica (in latino: Sardinia et Corsica) fu una provincia romana di età repubblicana e imperiale. La Sardegna entrò nella sfera d'influenza romana dal 238 a.C. La Corsica due anni più tardi ed entrambe vi rimasero fino all'invasione dei Vandali del 456. Roma occupò la Sardegna nell'intervallo fra la prima e la seconda guerra punica. Già nei primi anni del grande conflitto, precisamente nel 259 a.C., il suo esercito aveva tentato la conquista dell'isola, giungendovi dalla Corsica, ma il console Lucio Cornelio Scipione, dopo essersi impadronito di Olbia, aveva dovuto ritirarsi.  Statuto Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Province romane e Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. La Sardegna (in greco Σαρδώ, Sardò) e la Corsica (Κύρνος, Kýrnos),[1] furono annesse, sottraendole alla dominazione punica. I buoni rapporti che intercorrevano tra le popolazioni locali e i Cartaginesi, contrapposti ad un regime di conquista introdotto dai Romani, determinarono una serie di rivolte (in Sardegna. in Corsica) e un'incompleta pacificazione in particolare delle tribù dell'interno, con continue azioni, considerate brigantaggio dai Romani.  L'intera provincia era governata da un pretore(attestato a partire dal 227 a.C.), con capoluogo a Carales (Cagliari), in Sardegna.  Probabilmente l'intero territorio della Sardegna fu considerato ager publicus populi Romani e sottoposto all'esazione di una decima, a cui potevano aggiungersi altre requisizioni e si ritiene che ad un regime simile sia stata sottoposta anche la Corsica. Di una certa importanza era la produzione di grano della Sardegna mentre altre esportazioni erano costituite dal sugheroe da prodotti della pastorizia e dalle saline. La proprietà terriera mantenne in Sardegna il carattere di latifondo, già impostato sotto la dominazione punica.  La situazione della provincia rimase marginale con una scarsa romanizzazione, soprattutto dovuta alla presenza dei reparti militari, e con una forte permanenza della cultura locale. Una prima consistente immigrazione si ebbe nel I secolo a.C. in seguito alle proscrizioni delle guerre civili. Durante il periodo della guerra civile tra Mario e Silla vi vennero dedotte in Corsica le colonie di Mariana (presso Biguglia) e di Aleria. Dopo la morte di Silla, vi riparò Marco Emilio Lepido, che in seguito, sconfitto dal governatore Gaio Valerio Triario, si spostò in Spagna con alcuni seguaci. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo la provincia fu abbandonata dai pompeiani, ma le diverse città accolsero diversamente le truppe cesariane e furono di conseguenza punite o ricompensate. Cesare fondò la colonia di Turris Libisonis (Porto Torres, sulla costa settentrionale) e attribuì a Carales lo stato di municipio. Parallelamente, in funzione del loro appoggio, a diversi influenti personaggi locali era stata concessa la cittadinanza romana. La romanizzazione non si estese tuttavia mai del tutto nell'interno delle due isole.  Con la riforma augustea nel 27 a.C. la provincia divenne senatoria, ma nel 6 d.C., la necessità di mantenervi un presidio armato contro il persistere del brigantaggio indusse lo stesso Augusto a passarla a provincia imperiale. Fu amministrata sempre da un praefectus Sardiniae a partire da Tiberio, e da Claudio al titolo principale di praefectus Sardiniae fu aggiunto l'attributo procurator Augusti. Passò a varie riprese da senatoria, governata da un propretore, a imperiale, a seconda delle necessità contingenti. La provincia fu occupata da alcuni latifondi di proprietà imperiale e interessata dallo sfruttamento delle minieree fu spesso utilizzata come luogo di confino (per esempio per Seneca).  Storia delle due isole romaneModifica  Il Mediterraneo occidentale nel 348 a.C. al tempo del secondo trattato tra Roma e Cartagine. Frattanto gli Etruschi subiscono l'attacco dei Galli e di Roma Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna, Storia della Corsica e Trattati Roma-Cartagine. Sembra che il primo serio interessamento di Roma alla Corsica si ricavi da un testo di argomento insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città. Le 25 navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il carico. La spedizione sarebbe avvenuta intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i quali Pais, riferiscono il brano del botanico.  Fallita la prima spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e le due isole. Per questo interesse giunse anche, a stipulare due trattati con Cartagine, entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i passaggi dei trattati sono ben chiari[8], i patti sulla seconda sono tutt'altro che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica esset medio inter Romanos et Carthaginienses. Anche Polibio, narrando dei trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo cartaginese, il Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi trasmessa a Roma. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella Corsica un interesse specifico, giacché ne assoldava periodicamente fidati mercenari; questa circostanza, unita ad una facile riflessione sull'importanza strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei trattati.  L'occupazione Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra punica. Dopo lo scoppio della prima guerra punica, il console romano Lucio Cornelio Scipione sbarcò in Corsica presso lo stagno di Diana, a circa 3 km da Aleria, e assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa, Aleriaresistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la fece saccheggiare con ferocia, ciò che secondo Floroavrebbe diffuso lo sgomento fra le popolazioni corse. Prima di aver consolidato l'occupazione della Corsica, Scipione passò in Sardegna dove secondo Giovanni Zonara i locali erano in rivolta contro Roma in quanto sobillati dal generale cartaginese Annone. Sulla rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione di Zonara a cryptic passage. A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne organizzò il funerale. Al suo rientro a Roma, il console celebrò il trionfo per la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi.   Le Bocche di Bonifacio che separano le due isole Gaio Sulpicio Patercolo sbarcò nella zona di Sulci in Sardegna, ma nei venti anni che seguirono non sono riportate attività dell'esercito Romano in Sardegna. La pace lasciò così l'isola sotto l'egemonia di Cartagine, anche perché la suddivisione del Mediterraneo in sfere d'influenza aveva portato i Cartaginesi, una volta persa la Sicilia, a spostare la propria attenzione verso altre zone al di fuori della sfera d'influenza Romana. Ma in quello stesso anno, seguendo l'esempio dei commilitoni d'Africa, i mercenari stanziati da Cartagine in Sardegna si ribellarono e s'impadronirono del potere nell'isola, compiendovi ogni sorta di efferatezze finché i Sardi, esasperati, insorsero e li cacciarono dalla loro terra. L'orda dei sanguinari invasori si rifugiò allora in Italia dove invitò i Romani a prendere possesso della Sardegna, momentaneamente indifesa. L'invito fu accolto: Roma, cogliendo l'occasione dei preparativi punici per la rioccupazione dell'isola, accusò Cartagine di preparare l'invasione del Lazio e inviò le sue legioni in Sardegna. Cartagine, che non era allora in condizioni di intraprendere una nuova guerra contro Roma, subì il sopruso.  Il senato romano dichiarò guerra ai Corsi ed inviò una spedizione di conquista guidata da Licinio Varo, non coerente con l'avvenuta occupazione dell'isola attestata in alcuni storici romani. Il comandante Varo, comunque, conscio dell'esiguità della flotta assegnatagli, fece precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata meno impegnativa, onde fiaccare le difese corse, facendo sbarcare sull'isola un corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea. Prima di questa operazione, Clinea aveva già compromesso la sua reputazione presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto) strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, egli mosse da solo contro il nemico e ne fu sconfitto.I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante trattato presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei punti di osservazione, e attaccò quando gli avversari, i quali dopo la firma del trattato non si attendevano un attacco e avevano quindi smobilitato. Varo li vinse facilmente e conquistò territori nella parte meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione del trionfo, che gli fu però negato. Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono ed anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato tuttavia non cambiò idea e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo Valerio Massimo a chiosare che hic quidem Senatus animadversionem meruerat.   Le tribù Nuragiche. Le prime rivolte Così come i Corsi, anche le popolazioni sarde che se in precedenza avevano finito con l'accettare la presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con loro, ora non erano affatto disposte a subire il dominio di questa nuova gente, anch'essa venuta d'oltremare con le armi in pugno, ed intrapresero subito un'accanita resistenza all'invasore nei modi di una ostinata e persistente guerriglia. Essi infatti erano armati alla leggera: utilizzavano le pelli di muflonecome corazze naturali, oltre ad un piccolo scudo ed una piccola spada. Già nel 236 infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punico della Sardegna, i Romani condussero varie operazioni militari contro i Sardi che rifiutavano di sottomettersi. Sobillati dai Cartaginesi che "agivano segretamente", i Sardi si ribellarono, ma la rivolta fu soffocata nel sangue da Manlio Torquato, che avrebbe celebrato il trionfo sui Sardi.  Altre rivolte furono sanguinosamente represse dal Console Carvilio Massimo, il cui trionfo sarebbe stato celebrato il 1º aprile dello stesso anno. Fu il console Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi ed a ricevere gli onori del trionfo. La resistenza, però, era ben lungi dall'essere stata sedata ed anzi il clima si fece rovente. I consoli Marco Emilio Lepido e Publicio Malleolo, di ritorno da una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi, furono costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo. Il Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio Maso, il quale dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede ad inseguire i corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i padroni di casa ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari, anche per la denutrizione delle sue truppe. Papirio fu costretto ad una resa e sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un buon periodo di pace. In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica durante la prima guerra punica, dando l'avvio ad una fase di dominazione che durò ininterrotta per circa sette secoli.  Data la grave situazione di pericolo, furono inviati addirittura due eserciti consolari: uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone, e uno, guidato da Marco Pomponio Matone, contro i Sardi. I consoli non ottennero il trionfo, dati i risultati fallimentari conseguiti. E a poco valse a Papirio Masone celebrare di sua iniziativa il trionfo, negatogli dal senato, sul monte Albano anziché sul Campidoglio e con una corona di mirto anziché di alloro.  La provincia di Sardegna e Corsica Lo stesso argomento in dettaglio: Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. Si verificò una recrudescenza dei moti, ma ormai Roma era fortemente intenzionata ad assicurarsi il dominio del Mar Mediterraneo, e dunque il possesso della Sardegna e della Corsica, che continuavano ad essere di decisiva importanza; così, le due isole (perlomeno le parti controllate da Roma) ottennero la forma giuridica ed il rango di Provincia - la seconda dopo la Sicilia - e vi fu inviato il pretore Marco Valerio Levino per governarla. Per domare gli ultimi focolai, stavolta fu inviato l'esperto Console Gaio Atilio Regolo, con 2 legioni. La rivolta sarda di Ampsicora e gli anni della guerra Annibalica Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra punica.  Mappa della rivolta di Ampsicora in Sardegna Giunse a Roma una lettera del propretore Aulo Cornelio Mammula, il quale si lamentava del fatto che non erano stati corrisposti gli stipendia ai suoi soldati di stanza nell'isola, e che vi erano gravi carenze di approvvigionamenti di grano. Allo stesso fu risposto di dover provvedere con i propri mezzi, poiché al momento non vi era alcuna possibilità di soddisfare tali richieste.  In assoluto, la più importante rivolta dei Sardi fu quella scoppiata all'indomani delle grandi vittorie di Annibale in Italia. Livio sostiene che:  «l'animo dei Sardi era stanco della lunga durata del dominio romano, spietato ed avido; erano stati oppressi da pesanti tributi e con ingiuste imposizioni di rifornimenti di frumento.»  (Livio) Il nuovo pretore inviato nell'isola, Quinto Mucio Scevola, si ammalò probabilmente di malaria dalla descrizione che ne fece Livio. E quando si venne a sapere della sua malattia a Roma, gli vennero inviati dei rinforzi (pari a 5.000 fanti e 400 cavalieri), posti sotto il comando di Tito Manlio Torquato. Un autorevole esponente dell'aristocrazia terriera sardo-punica, quell'Amsicora (o Ampsicora) che Tito Livio definì: «qui tum auctoritate atque opibus longe primis erat» (colui il quale in quel tempo era largamente primo per autorità e per ricchezze), era infatti riuscito non solo a mettere in campo un esercito sardo abbastanza consistente, ma anche ad ottenere rinforzi militari da Cartagine, inviandovi ambasciatori in segreto. Secondo alcune fonti insieme ad Amsicora a condurre la rivolta si trovava pure Annone, un ricco cittadino punico di Tharros. Cartagine sostenne la rivolta inviando una flotta forte di 15.000 armati, sotto il comando di Asdrubale il Calvo. Il piano di Amsicora era quello di dare battaglia solo quando tutte le forze disponibili si fossero riunite. Per continuare il reclutamento tra i sardi dell'interno, lasciò il comando al figlio Iosto a Cornus con una parte dell'esercito. I rinforzi di Cartagine però non arrivarono in tempo per colpa di una tempesta che dirottò le navi sulle isole Baleari dove rimase per molto tempo per essere riparata;e i Sardi dell'interno indugiarono troppo prima di unirsi al suo gruppo. Iosto accettò imprudentemente la battaglia offerta dal comandante Manlio Torquato. L'esercito sardo fu sconfitto subendo la perdita di 3.000 soldati, 800 furono fatti prigionieri[28].  Asdrubale il Calvo intanto raggiunse la Sardegna, sbarcò a Tharros e respinse i Romani verso Caralis. A loro si unì Amsicora con il resto dell'esercito sardo. Lo scontro con i Romani avvenne nella piana del Campidano meridionale, tra Decimomannu e Sestu. Dopo una cruenta battaglia la coalizione sardo-punica fu duramente sconfitta, morirono 12.000 tra Sardi e Cartaginesi e 3.700 furono fatti prigionieri fra i quali Asdrubale il Calvo ed Annone. Iosto morì in battaglia. Amsicora affranto dal dolore per la morte del figlio, non volendo finire nelle mani dei Romani si uccise. Una flotta cartaginesedi 40 navi, comandata da Amilcare apparve davanti alla città di Olbia, situata nella costa nordest della Sardegna e la devastò; poi quando apparve il pretore Manlio Vulsone con l'esercito, il comandante cartaginese si affrettò ad allontanarsi fino a raggiungere Caralis (Cagliari), che saccheggiò e da lì fece ritorno in Africa con un ingente bottino. Le rivolte del II secolo  Romania e Barbaria Il II secolo a.C. fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo di importanti fermenti insurrezionali. Nel 181 a.C. ci fu una rivolta dei Corsi, sedata nel sangue dal pretore Marco Pinario Posca, che ne uccise circa 2.000 e fece un certo numero di schiavi. Una nuova rivolta fece intervenire Attilio Servato, pretore in Sardegna, che fu battuto e costretto a ripararsi sull'altra isola; Attilio chiese rinforzi a Roma, questa inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto voto a Giunone Moneta di erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un nuovo sanguinoso successo, con 7.000 corsi uccisi e 1.700 fatti schiavi. A domare una nuova rivolta fu invece Marcus Juventhius Thalna, delle cui gesta non è stato tramandato. Oltre al silenzio letterario sulla spedizione, colpiscono due aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato: il primo è che dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse delle preghiere pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto importante fosse stato considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura morirne. Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere immediatamente, sostiene Colonna, poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di altre rivolte, segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa anche Scipione Nasica a completare la pacificazione; circa la complessiva azione romana di repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che in nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo.  La resistenza dei Sardi si protrasse ancora nel II secolo a.C. Per sedare la ribellione dei Balari e degli Iliesi, il Senato inviò il console Tiberio Sempronio Gracco al comando di due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300 cavalieri, cui si associarono altri 1.200 fanti e 600 cavalieri fra alleati e Latini. In questa rivolta persero la vita 27.000 sardi; in seguito alla sconfitta, a queste comunità fu raddoppiato il gravame delle tasse, mentre Gracco ottenne il trionfo. Tito Livio documenta l'iscrizione nel tempio della dea Mater Matuta, a Roma, dove i vincitori esposero una lapide celebrativa che diceva:« Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco, la legione e l'esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l'esercito sano e salvo e ricco di bottino; per la seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove.» La Sardegna in epoca romana aveva appena 1/5 dei suoi abitanti attuali (300.000 contro 1.600.000 attuali) e la Barbagia (più o meno la provincia di Nuoro) poteva avere allora appena 55 000 abitanti (1/5 dei suoi attuali 280.000). Se l'epigrafe raccontava il vero, i Romani avevano ucciso la metà degli abitanti, per di più tutti maschi e adulti.  Le rivolte dei Sardi non si erano concluse, ma bisognò attendere gli anni 163 e 162 a.C. per vederne di nuove dopo lo sterminio compiuto da Sempronio Gracco. Non si sa molto su queste rivolte poiché andarono perduti i testi di Livio. Si sa però da altre fonti che le sollevazioni causate dall'eccessiva pressione fiscale dei pretori romani continuarono e gli eserciti e i generali romani che si susseguirono nel compito di domare questa terra utilizzarono sempre la stessa strategia: eliminare il maggior numero di Sardi possibile.  Tra le ultime rivolte di una qualche importanza vanno citate quelle del 126 e del 122: quest'ultima permise a Lucio Aurelio di celebrare l'8 dicembre il penultimo trionfo romano sui Sardi. L'onore però dell'ultimo fu dato dal Senato al console Marco Cecilio Metello che sconfisse l'ultima resistenza dei Sardi uniti (quelli delle coste e dell'interno). Da questo momento, i Sardi delle zone costiere e delle pianure dell'Isola smisero di ribellarsi e col passare del tempo si romanizzarono. Continuarono invece le ribellioni delle seguenti tribù dell'interno che costrinsero le guarnigioni romane a estenuanti campagne militari.  Ilienses (siti tra il Marghine ed il Goceano) Balari (abitanti il Monteacuto e parte della Gallurameridionale) Corsi (ubicati nella estremità settentrionale della Sardegna) Olea - "Sardi Pelliti" o Aichilensens (così definiti dall'erudito geografo Tolomeo, dal greco aix, aigòsovvero vestiti di pelli di capra), abitanti la regione del Montiferru: arroccati nelle fortezze di sa Pattada Cunzada (959 m) - Scano di Montiferro -, Badde Urbara (900 m) - Santu Lussurgiu -, nei nuraghi di Leari (850 m), su Crastu de sa Chessa (745 m), Funtana de Giannas (690 m) - Scano di Montiferro -, Silbanis e Monte Urtigu (1050 m) - Santu Lussurgiu Celsitani, Nurritani, Cunusitani, Galillensi (odierna Barbagia), Parati, Sossinati e Acconiti (nel Monte Albo e nei Monti Remule) costituenti la cosiddette Civitates Barbariae, dimoranti nell'area chiamata Barbària e probabilmente facenti parte dell'etnia degli Ilienses. In queste epoche, un gran numero di Sardi che erano stati fatti prigionieri furono venduti come schiavi nei mercati di Roma, al punto che divenne proverbiale la frase di Livio: "sardi venales" (sardi a basso costo).  Mario fondò in Corsica la città di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta), sita presso l'attuale comune di Lucciana verso la foce del Golo. Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo, incluse le terme di Orezza e Guagno.  Le Guerre SocialiModifica Durante le guerre civili romane la Sardegna fu dapprima spinta verso la fazione mariana dal suo governatore Quinto Antonio e poco dopo indotta a schierarsi nel campo opposto dal sopraggiungere del rappresentante di Silla. Sono i legionari di Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso Aleria.  Morto Silla, il pretore Caio Valerio Triario mantenne la Sardegna fedele al partito senatorio capeggiato da Pompeo (l'isola pagò a quest'ultimo un enorme tributo in acciaio per le armi del suo esercito), finché Carales (Cagliari) non si schierò con Cesare, imitata poco dopo da tutto il resto dell'isola. Fu scacciato il luogotenente di Pompeo, Marco Cotta, e fu accolto favorevolmente quello di Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani non si diedero per vinti e iniziarono una serie di azioni guerresche intese alla riconquista delle città costiere. Sulci si arrese mentre Carales resistette: per questo motivo, Cesare punì la prima e premiò la seconda. La situazione si capovolse di nuovo quando la Sardegna, assegnata ad Ottaviano, e invece occupata da SESTO POMPEO MAGNO che la tenne come preziosa base per la sua lotta contro i cesariani, quando, tradito dal suo luogotenente, fu definitivamente soppiantato da Ottaviano nel possesso dell'isola.  Con quella data finalmente ebbe termine per la Sardegna il periodo delle lotte violente e dei bruschi sovvertimenti politici, con le loro funeste conseguenze economiche, durato esattamente duecento anni.  Diodoro Siculo visitò la Corsica e notò che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e di umanità che valutò più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò il numero in circa 30.000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che marchiavano le greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà comune delle terre comunali non fu eradicata del tutto.  I primi due secoli dell'ImperoModifica  Busto di Augusto, museo archeologico nazionale di Cagliari Le province dell'Impero romano furono ripartite tra le province affidate all'Imperatore Augusto, governate da legati di rango senatorio, e province affidate al senato, tra cui la Sardegna e Corsica, governate da proconsoli (proconsules) di rango senatorio . Anche nelle province senatorie l'Imperatore aveva suoi rappresentanti di rango equestre detti procuratori (procuratores)  Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati presso i porti dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto Vespasiano). Analogamente a quanto avveniva in altre province, i Romani si guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare dai Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo locale ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in collina e lungo le coste. I sardi si ribellarono, non solo all'interno ma anche nelle pianure, e manifestarono il loro malcontento unendosi ai pirati del Tirreno. La violenza di questa rivolta costrinse Augusto a rimuovere i senatori dal comando della Sardegna ed a prenderne lui stesso il controllo diretto. Fu inviato un distaccamento di legionari, comandati da un prolegato (al posto del legato) di rango equestre o da un prefetto, a rinforzare la presenza militare sull'isola che prima era affidata solo ad alcune coorti ausiliarie. La rivolta fu così violenta che alcuni storici hanno ipotizzato che la Sardegna e la Corsica fossero state divise e affidate a 2 governatori di pari grado indipendenti l'uno dall'altro; è infatti attestata l'esistenza di un praefectus corsicae. Più accreditata è però l'ipotesi che vuole che questo prefetto di Corsica fosse un subordinato del governatore della Sardegna.  Svetonio ci dice che Augusto visitò tutte le province tranne la Sardegna e l'Africa poiché le condizioni del mare non glielo permisero, mentre quando il mare non glielo impediva non c'era bisogno che partisse: questo fa capire che la rivolta pur essendo violenta non durò molto. Infatti nel 19 Tiberio sostituì il distaccamento di legionari con 4000 liberti (o figli di liberti) ebrei. La situazione ritornò tranquilla e Claudio ridette il comando al senato.  Nerone mandò in esilio in Sardegna Aniceto, ex precettore dell'imperatore ed ex prefetto della flotta di Miseno. Aniceto, su istigazione di Nerone ne aveva ucciso la madre, Agrippina e qualche anno dopo, per spianare la strada a Poppea "confessò" una relazione con Claudia Ottavia moglie legittima di Nerone e fanciulla di specchiata virtù.    La Tavola di Esterzili risalente al regno di Otone, e riportante un decreto del Proconsole della Sardegna Lucio Elvio Agrippa atto a dirimere una controversia tra i Gallilensi e i coloni Patulcenses Campani Probabilmente per evitare fughe di notizie o ricatti Aniceto fu spedito in Sardegna dove visse fra gli agi al sicuro anche da eventuali sicari dell'imperatore. Seneca, il tutore di Nerone, passò dieci anni in esilio in Corsica. Vespasiano, tolse al senato il controllo della Sardegna - forse di nuovo in fermento - e la affidò a un procuratore. L'imperatore Traiano ristrutturò e potenziò il centro di Aquae Hypsitanaeche assunse in suo onore il nome di Forum Traiani.  Il II secolo fu un momento di sviluppo e di prosperità anche per la Sardegna: tutti gli abitanti, anche i barbaricini, si mostravano contenti della politica romana (almeno secondo la storiografia ufficiale) e ben presto tutta l'isola avrebbe parlato latino (la lingua dei Cartaginesi è attestata fino al principato di Marco Aurelio). In questo periodo non ci furono rivolte ed i Romani ebbero la possibilità di ricostruire e migliorare la rete stradale punica spingendola anche all'interno, costruirono terme, anfiteatri, ponti, acquedotti, colonie e monumenti.  La ricchezza della Sardegna era dovuta ad uno sfruttamento agricolo e minerario senza precedenti: l'isola infatti esportava piombo, ferro, acciaio e argento grazie alle sue miniere, e grano per 250.000 persone. Ma nonostante tutto la Sardegna venne sempre considerata, e non solo sotto i Romani, come una terra lontana e utile solo per isolare prigionieri e nemici dell'impero. Tra le varie persone che giunsero in Sardegna dal mare vi erano numerosi criminali, rivoluzionari ma anche tantissimi cristiani tra cui anche i papi Callisto e papa Ponziano e il famoso prete Ippolito.  I governatori, in questa fase, sembravano di fatto dei coordinatori manageriali, con esperienza nel rifornimento e nel trasporto del grano, più che uomini d'arme. Sappiamo ora con certezza che, nel 170, la Sardegna era sotto il controllo senatoriale. Se Ippolito è preciso nella sua terminologia, il governatore della provincia era chiamato procurator. Questi governatori (procuratori) gestirono il territorio in modo pacifico ma dopo, come del resto in tutto l'impero, riprese il malcontento della popolazione, che costrinse i governatori a reprimere le rivolte con l'uso della forza, nei casi più gravi.  Gli ultimi tre secoli dell'ImperoModifica La situazione era cambiata rispetto a quella del secolo precedente; i governatori erano quasi tutti militari ed alcuni, come Tizio Licinio Hierocle e Publio Sallustio Sempronio, erano anche uomini con esperienze di guerra. Il malcontento andò aumentando poiché le tasse erano alte, il latifondo si diffondeva e gli agricoltori erano sempre più legati alla terra. Il fatto che grazie a Caracalla i Sardi e i Corsi, come tutti gli abitanti dell'Impero, avessero ottenuto la cittadinanza romana, passò in secondo piano poiché questo onore era in concreto legato a tasse aggiuntive. durante il regno di Filippo l'Arabo, fu intrapresa la ristrutturazione e risistemazione dell'impianto viario della provincia che cominciò con Publio Elio Valente e continuò anche durante il breve regno di Emiliano.  Ricordiamo, inoltre, di numerosi martiri del periodo. San Simplicio, San Gavino, San Saturnino, San Lussorio e Sant'Efisio in Sardegna mentre Santa Devota (martire attorno, persecuzione di Settimio Severo, o persecuzione di Diocleziano) è, assieme a santa Giulia, una delle prime sante còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul litorale monegasco. Per questo sarebbe divenuta la patrona del Principato di Monaco e della famiglia Grimaldi. Santa Giulia (martire durante la persecuzione di Decio, o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e di Brescia, città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa, moglie del re longobardo Desiderio. Santa Giulia è patrona anche di Livorno, dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica. A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali san Parteo, che fu forse il primo vescovo di Corsica. Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia certa è Catonus Corsicanus, che partecipò, così come il vescovo di Caralis Quintinasio, al Concilio di Arlesindetto da Costantino I.   I domini dei Vandali attorno al 456, dopo la conquista di Sardegna e Corsica. Diocleziano unì la provincia alla Dioecesis Italiciana Dopo la divisione della diocesi attuata da Costantino, venne compresa nell'Italia Suburbicaria.  Sardegna e Corsica rimasero sotto Roma per tutto il convulso IV secolo e i primi decenni del V (nell'impero romano d'Occidente), fino a quando nel 456 i Vandali, di ritorno dalla penisola, dove avevano saccheggiato Roma, en passant le conquistarono e le annessero al loro regno. Ma vinsero solo sulle coste, poiché i Sardi dell'interno, ormai pratici, immediatamente si ribellarono ai Vandali impedendo loro di entrare nella loro zona. Aleria, in Corsica, fu saccheggiata e, abbandonata, finì in rovina, lo stesso destino toccò ad Olbia.  La parte romanizzata della Sardegna, grazie ad un certo Goda, che era un governatore vandalo dell'isola di origine gotica, dopo essersi ribellato al potere centrale resistette per un certo periodo ai Vandali assumendo il titolo di "Rex".  Difesa ed esercito I Sardi entrarono anche a far parte dell'esercito romano dando il loro modesto contributo ovunque vi fossero truppe; infatti, per quanto riguarda i legionari, non essendo un'isola molto popolata, e dato che i cittadini non avevano avuto la cittadinanza (ottenuta dopo la riforma di Caracalla), il numero fu sempre bassissimo ed entra nelle statistiche solo nell'epoca successiva ad Adriano.  Per quanto riguarda gli ausiliari, i Sardi fornirono (come isola Sardegna) 3 coorti, mentre come provincia (Sardegna e Corsica) 6 coorti, 3 per ciascuna isola con un numero maggiore dei Sardi sui Corsi.  La "Cohors I Sardorum" era probabilmente stanziata a Cagliari nei primi tre secoli d.C., mentre la "Cohors II Sardorum" fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur Djuab, a circa 100 km a sud di Algeri.  Il riscatto della Sardegna avvenne con la flotta; infatti i Sardi erano la prima fonte di reclutamento occidentale della flotta di Miseno. Considerando invece tutto l'impero, l'isola diventa la quarta fonte di reclutamento della stessa flotta, battuta soltanto dalle province d'Egitto, d'Asia e della Tracia che avevano una popolazione molto più grande.  Geografia politica ed economicaModifica Corsica Strabone, che scrisse durante il principato di Augustoe Tiberio, descriveva la Corsica come un'isola scarsamente abitata, con un territorio sassoso e per lo più impraticabile. I suoi abitanti risultavano ancora dei selvaggi che vivevano di rapine.[1]  «Quando i generali romani vi fanno incursioni e prendono una gran parte della popolazione, rendendola schiava, che poi la si trova a Roma, fa meraviglia per quanto in loro vi sia di bestiale e selvaggio. E questi o non riescono a sopravvivere, o se rimangono in vita, logorano talmente i loro proprietari per la loro apatia, che questi si pentono [di averli acquistati], anche se li hanno pagati poco.»  (Strabone, Geografia) Sardegna Strabone descrive la Sardegna come un territorio roccioso e non ancora del tutto pacificato. Essa possiede un territorio interno molto fertile di ogni prodotto, in particolare di grano.[1] Purtuttavia, così come nei confronti delle popolazioni corse, anche di quelle sarde le fonti romane (a differenza dei miti greci) non riportano generalmente una buona opinione. A Poenis admixto Afrorum genere Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati coloni. Dai Punici, mescolati con la stirpe africana, sorsero i Sardi che non furono dei coloni liberamente recatisi e stabilitisi in Sardegna, ma solo il rifiuto di cui ci si sbarazza. CICERONE (si veda), Pro M. Scauro) Il passaggio dei Romani lasciò numerose tracce nella geografia della Sardegna per l'importante opera di mappatura del territorio, del quale si ebbero le prime serie catalogazioni, ed ovviamente nella toponomastica, di cui parte non è stata ancora soppiantata nonostante il tempo trascorso. Le Bocche di Bonifacio, che separano la Sardegna dalla Corsica, erano un tratto di mare molto temuto dai romani per via delle correnti che potevano far affondare le loro navi ed erano dette Fretum Gallicum. L'isola dell'Asinara, famosa per il carcere chiuso solo pochi anni fa, era detta Herculis mentre le isole di San Pietroe di Sant'Antioco erano dette rispettivamente Accipitrum la prima e Plumbaria la seconda; Capo Teulada, la punta meridionale dell'isola era chiamata Chersonesum Promontorium mentre Punta Falcone, l'opposto settentrionale di Capo Teulada, era detta Gorditanum Promontorium; l'attuale fiume Tirso era chiamato Thyrsus.   Le antiche tribù còrse e le principali città e strade in epoca Romana. Maggiori centri provinciali e tribù autoctoneModifica Corsica Prima Strabone[1] e poi, intorno al 150, il geografoClaudio Tolomeo, nella sua opera cartografica, offrì una descrizione piuttosto accurata della Corsica preromana, elencando:  8 fiumi principali, tra i quali il Govola-Golo e il Rhotamus-Tavignano; 32 centri abitati e porti, tra i quali Blesino,[1]Centurinon (Centuri), Charax,[1] Canelate (Punta di Cannelle), Clunion (Meria), Enicomiae,[1] Marianon(Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto Vecchio), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios(Favone), Mariana, Vapanes e Aleria; 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione): Kerouinoi (Cervini, Balagna); Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca); Titianoi (Titiani, Valinco); Belatonoi (Belatoni, Sartenese); Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso); Kilebensioi (Cilebensi, Nebbio); Likninoi (Licinini, Niolo); Opinoi (Opini, Castagniccia, Bozio); Simbroi (Sumbri, Venaco); Koumanesoi (Cumanesi, Fiumorbo); Soubasanoi (Subasani, Carbini e Levie); Makrinoi (Macrini, Casinca). Sardegna Plinio ci informa che "In essa (la Sardegna), i più celebri (sono): tra i popoli, gli Iliei, i Balari e i Corsi"; vengono inoltre menzionati più volte altri popoli minori come i Parati, i Sossinati e gli Aconiti, che secondo gli storici romani abitavano nelle caverne e depredavano i prodotti degli altri Sardi che lavoravano la terra e che con le loro navi si spingevano fino alle coste dell'Etruria per depredarla. Tuttavia bisogna tener presente che i luoghi abitati da questi popoli minori videro molti secoli prima dell'arrivo dei Romani il fiorire della civiltà Nuragica, come in tutto il resto della Sardegna, l'apparente arretratezza di tali popoli fu probabilmente dovuta alle grosse perdite subite contro Cartaginesi e soprattutto contro i Romani, che portarono alla relegazione di alcune popolazioni ribelli nei monti interni, creando una divisione tra i Sardi abitatori di città e di villaggi nelle pianure e nelle coste e i Sardi montanari che in gran parte si "imbarbarirono" e si diedero al banditismo.  Sempre i Romani, nei secoli in cui dominarono la Sardegna, fondarono alcune nuove città come Turris Libisonis (oggi Porto Torres) e fecero sviluppare molti centri abitati soprattutto nelle coste, come Carales, Olbia, Fanum Carisii (oggi Orosei), Nora e Tharros, ma anche nell'interno, come Forum Traiani (oggi Fordongianus), Forum Augusti (oggi Austis), Valentia (oggi Nuragus),Colonia Julia Uselis (oggi Usellus), ed infine elevarono diverse città al rango di municipio.  BithiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bithia (sito archeologico). BonorvaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bonorva. Il generale sabaudo Alberto La Marmora, in esplorazione presso San Simeone di Bonorva, aveva identificato un forte romano che era stato dimenticato per tutto questo tempo. Il Tetti indica in realtà che si trattava di una fortificazione punica, che era stata occupata dai romani. Nulla però dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi secoli dell'Impero romano.  BosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bosa.  L'anfiteatro romano di Cagliari.  Colonna nella Villa di Tigellio. CagliariModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia di Cagliari. Cagliari (Carales o Karalis) era la città più importante della Sardegna. Il fatto che da qui partissero ben quattro strade che attraversavano l'intera isola dal sud al nord, la circostanza che il suo porto fosse un centro strategico importante per le rotte commerciali del Mediterraneo occidentale (che oltretutto ospitava un distaccamento della flotta di Miseno ed era il porto dal quale partiva il grano per l'approvvigionamento di Roma) e che la sua popolazione fosse all'incirca di 20.000 abitanti, rendeva Carales una tra le più importanti città marittime della zona occidentale dell'Impero romano.  La zona abitata si sviluppava sulla costa per circa 300 ettari, il centro di questa città era il foro, dove sorgevano numerosi edifici come la curia municipale, l'archivio provinciale, la sede del governatore, la basilica, il tempio di Giove Capitolino. La città fu interessata da una serie di interventi edilizi di pubblica utilità come la realizzazione di una complessa rete fognaria e la pavimentazione di strade e piazze, la costruzione di un acquedotto che molto probabilmente prendeva l'acqua dalla sorgente di Villamassargia e, attraverso Siliqua, Decimo, Assemini, Elmas, arrivava in città passando per il quartiere di Stampace.  Nel I secolo d.C. la città fu dotata di eleganti passeggiate coperte da portici mentre nel II secolod.C. fu costruito l'anfiteatro, ancora utilizzato per gli spettacoli al giorno d'oggi, semi-scavato nella roccia, che poteva ospitare fino a 10.000 persone. Il titolo di municipium fu ottenuto solo sul finire del I secolo a.C.; era un titolo importante perché le consentiva di essere una città autonoma con cittadinanza romana.  Per quanto riguarda le differenze tra i vari quartieri, quelli signorili sorgevano nel territorio a nord di Sant'Avendrace e nell'area di San Lucifero; al loro interno sorgevano le terme, i templi, alcuni teatri e numerose ricche abitazioni; i quartieri mercantili si trovavano nella zona della Marina e i quartieri popolari vicino al porto, fra l'odierna via Roma e il Corso Vittorio Emanuele.  Claudio Claudiano, nel IV secolo, descrisse così la città di Caralis. Caralis, si distende in lunghezza ed insinua fra le onde un piccolo colle che frange i venti opposti. Nel mezzo del mare si forma un porto ed in un ampio riparo, protetto da tutti i venti, si placano le acque lagunari»  (Claudio Claudiano) Calangianus Lo stesso argomento in dettaglio: Calangiani. Nell'attuale Calangianus è identificato l'oppidum di Calangiani o Calonianus, citato nella Geographia del Fara. Oltre alle diverse tracce di strada romana per Olbia e Tibula, sono state ritrovate rovine dell'oppidum nei pressi di Monti Biancu e della località Santa Margherita, un busto di Demetra a Monti di Deu ed un'anfora all'interno del nuraghe Agnu. Inoltre, il toponimo deriverebbe dalla divinità Giano, il cui culto era molto diffuso in Sardegna.  CornusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cornus (Sardegna). FordongianusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fordongianus. Fordongianus, Forum Traiani, si trova oggi in provincia di Oristano ed è particolarmente importante per la sua posizione geografica che lo vede incuneato tra i monti della Valle del Tirso, naturale via di penetrazione dalla pianura all'entroterra e punto di contatto tra i due diversi mondi. Fin dalla sua fondazione fu un centro rinomato per le sue terme, che sfruttavano una fonte naturale di acqua calda e curativa.  Qui si trova un'iscrizione che testimonia come l'attività delle genti della Barbaria fosse ancora viva nel I secolod.C. poiché furono queste a dedicare un'iscrizione ad un imperatore, probabilmente Tiberio, rinvenuta nel Forum Traiani.   Terme del Forum Traiani Come già accennato in precedenza, tra le motivazioni originarie dell'insediamento, si pone la presenza di una fonte d'acqua naturalmente calda e curativa. Sfruttando la fonte sorse, proprio presso il fiume, un vasto edificio termale (che costituisce oggi il nucleo dell'attuale area archeologica) caratterizzato da una grande piscina, in origine coperta, in cui giungono le acque calde temperate con un'aggiunta di acqua fredda. L'aspetto curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di due statue del dio Bes, divinità legata ai culti salutiferi, e la loro importanza è messa in evidenza dalla recente scoperta di un piccolo spazio sacro dedicato alle ninfe, divinità delle acque.  In un'area vicina all'attuale centro abitato è stato rinvenuto l'anfiteatro, vicino alla necropoli tardo-antica sulla quale fu edificata la chiesa di San Lussorio.  Mamoiada Lo stesso argomento in dettaglio: Mamoiada. Mamoiada (o Mamujada) era probabilmente uno stanziamento militare romano nell'isola, infatti diversi studiosi moderni sono propensi a far derivare il suo nome da mansio manubiata (stazione vigilata, sorvegliata). Altra prova a favore di questa ipotesi è il nome del quartiere più antico della città "su Qastru" (dal lat. castrum, campo fortificato, accampamento militare).  Mamoiada in effetti si trova in una zona centrale e quindi strategica della Barbagia, e precisamente al centro della cerchia dei seguenti villaggi: Orgosolo, Fonni, Gavoi, Lodine, Ollolai, Olzai, Sarule ed Orani, e dunque questa sua posizione strategica non poteva non essere sfruttata dalle truppe romane nelle loro azioni di sorveglianza e di repressione.  MacomerModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Macomer. Fondata dai Punici Macopsissa costituiva un importante centro per il controllo del territorio. La sua importanza aumentò durante il periodo romano, divenendo un importante snodo fra Calares e Turris Libisonis. Macomer era un importante nodo della rete viaria creata dai Romani sull'Isola.  Meana Sardo Anche Meana Sardo, villaggio della Barbagia, era probabilmente un presidio romano poiché il suo nome potrebbe derivare da mansio mediana (stazione mediana o intermedia) di una tra le più importanti arterie stradali romani nell'isola quella che da Carales porta a Olbia.  Meana si trova esattamente a metà strada di quel lungo tracciato ed anche a metà strada tra la costa orientale e quella occidentale della Sardegna.  Metalla Lo stesso argomento in dettaglio: Metalla. Neapolis: Neapolis (Sardegna). NoraModifica  Rovine di Nora Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nora (Italia). Il preesistente abitato punico non ha condizionato in maniera particolare l'assetto urbano di epoca romana. I Romani hanno effettuato infatti pesanti interventi per la costruzione di strade, edifici e aree pubbliche come il teatro e il foro, demolendo i precedenti edifici, in un piano di forte rinnovamento urbanistico. I Romani modificarono a tal punto la città probabilmente perché Nora fu la prima sede del governatore della provincia.  Numerose erano le ville e le case dei nobili e della plebe; degli edifici non rimane molto poiché erano costruiti con zoccolo in pietra e l'elevato in mattoni crudi. A differenza delle case e delle ville le strutture pubbliche erano costruite col cemento e rivestite di laterizi o grossi blocchi di pietra. Le più importanti opere della città erano: il teatro, costruito in età augustea, e le terme a mare, edificate tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C.  NuoroModifica Sono scarne le notizie sulla città di Nuoro in epoca romana. Secondo alcuni proprio all'inizio della dominazione romana la città fu fondata con l'unione di vari gruppi nuragici, inizialmente legati contro il nemico comunque, successivamente spinti all'unione dalla possibilità di arricchirsi col commercio dei prodotti locali.  Furono due i primi nuclei cittadini, infatti i primi due gruppi si insediarono in parti diverse: un gruppo si stanziò nel monte Ortobene, l'altro nel quartiere di Seuna, l'altro nel quartiere di San Pietro. In seguito i due gruppi si riunirono dando origine alla vera e propria città. Importante è anche il fatto che a Nuoro nella zona più ricca dal punto di vista agricolo, oltre Badu e'Carros, ci fosse un presidio militare. Questa zona infatti si chiama "Corte", e ricorda molto la Coorte, che nel periodo romano era un gruppo di soldati.  La città ha avuto una grande importanza strategica poiché è situata proprio al centro della Barbagia, i cui abitanti per secoli si ribellarono ai Romani prima di essere romanizzati parzialmente. Nuoro sorge infatti lungo l'antico percorso principale (asse nord-sud) della a Olbia-Karales per Mediterranea, nello snodo con la via Transversae (la trasversale mediana) che attraversava la Sardegna lungo un asse est-ovest (con quattro stazioni nodali negli incroci con le 4 principales: Cornus - Macopsissa - Nuoro - Dorgali/Orosei). La Trasversale mediana era utilizzata anche per il trasporto del grano della valle del Tirso verso la costa di Dorgali e Orosei, per l'imbarco del prodotto destinato al porto di Ostia. Sempre a Nuoro terminava anche una strada vicinale per l'odierna Benetutti.  NureModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nure (città). OlbiaModifica  Busto di Nerone del 54/55-59 d.C. da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari). Olbia occupò in età romana gli stessi spazi della città punica fino alle soglie dell'età imperiale. Infatti non pare che durante la repubblica si siano verificati sostanziali mutamenti nell'assetto urbanistico che continuò a mantenere, intatto, il primitivo impianto ortogonale dei fondatori cartaginesi. Successivamente la città si arricchì di opere pubbliche: vennero lastricate le strade, si edificarono due impianti termali e un acquedotto, i cui resti sono tuttora visibili a nord della città, e si rinnovarono alcune strutture templari.  Una concubina di Nerone di nome Atte fece erigere ad Olbia un tempio a Cerere, e grazie all'imperatore ebbe latifondi nell'agro e fu anche proprietaria di un'officina che fabbricava laterizi.   Busto di Traiano da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari) Il porto, in contatto con i principali scali del Mediterraneo, fu di primaria importanza nell'ambito della Sardegna settentrionale poiché da qui partivano per Roma buona parte dei prodotti, soprattutto cerealicoli, del nord dell'isola che confluivano nella città grazie a tre grandi strade. Per questo motivo nel 56 a.C., soggiornò nella città Quinto, fratello di Marco Tullio Cicerone, che controllava i commerci per ordine di Pompeo.  La necropoli, che si estese uniformemente oltre la cinta urbana a occidente della città, restituì ricchi corredi funerari. In particolare, nell'area della collina oggi occupata dalla chiesa di San Simplicio (santo qui martirizzato, secondo la tradizione locale, durante le persecuzioni di Diocleziano), l'utilizzo per le sepolture avvenne fino a età medioevale e vi si rinvennero preziose oreficerie, sarcofagi istoriati e iscrizioni.  Intorno alla metà del V secolo Olbia fu saccheggiata dai Vandali come dimostrano gli straordinari ritrovamenti avvenuti nell'area del porto vecchio. Furono infatti ritrovati 24 relitti di navi romane e medievali e da questo scavo è stato possibile accertare l'attacco dei Vandali e il crollo della città anche se l'abitato non fu abbandonato e rifiorì in età medievale.  OschiriModifica Una mattonella o un mattone trovata a Oschiri porta l'iscrizione COHR P S per "coh(o)r(tis) p(rimae)" o "p(raetoriae) S(ardorum)", ma non è impossibile che provenga da Nostra Signora di Castro poiché non è conosciuto bene il modo in cui è stato scoperto questo mattone. Per il resto il luogo non ha nulla che faccia pensare ad una presenza militare romana.  OthocaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Santa Giusta (Italia). Porto TorresModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Colonia Iulia Turris Libisonis.  Mosaico dell'Orfeo Presumibilmente il sostantivo con cui veniva identificata la città, in epoca romana, era Turris Libysonis. Questo lo si deduce grazie a Plinio il Vecchio, il quale, nella sua Naturalis Historia(nel I secolo d.C.) cita "Colonia autem una que vocatur ad turrem libisonis", letteralmente; "mentre v'è (in Sardegna) una sola colonia romana, presso la torre di libiso". Tale scrittura fa pensare ad un riferimento artificiale, probabilmente una torre nuragica (Nuraghe). È invece grazie all'anonimo Ravennate che si evince lo status dell'insediamento, il quale sostiene; "Turris Librisonis colonia Iulia", da che si nota l'aggettivo Iulia, dovuto verosimilmente a Giulio Cesare, probabile fondatore della colonia, durante il viaggio di ritorno dall'Africa o ad Ottaviano delegatore di un tale, Marco Lurio, che potrebbe aver fondato la colonia Statua romana da Porto Torres Oltre a ciò l'importanza del centro, nell'isola, era notevole, paragonabile solo a quella di Carales. L'importanza politica è deducibile dalla "Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et Jianuarii", nel quale si esterna la presenza di una residenza del governatore della provincia romana, tale Barbaro.  L'importanza economica invece è palese dalle rovine restanti, terme imponenti è una impressionante maglia urbana, il centro per altro era in comunicazione diretta con Roma, tant'è vero che nella Ostia antica, si trova un mosaico che riporta "Naviculari Turritani", riconducibile ai commercianti di Turris. Infatti le esportazioni di cereali erano notevoli, grazie alla grande pianura della Nurra, in diretta comunicazione con la colonia mediante il "ponte romano" (costruzione più imponente del suo genere nell'intera provincia), sovrastante il fiume Riu Mannu, che tra le altre cose era utilizzato come via alternativa per i traffici con l'interno dell'isola, si ipotizza la presenza di un porto fluviale, oltre a quello marittimo. Ma oltre alle esportazioni cerealicole, erano massicce anche quelle minerali, e salini, provenienti dai vicini siti. cosa particolare era la presenza del culto di Iside.  Altre prove storiche sono dovute a Cicerone in una sua lettera la chiama "Collina" ma, visti i ritrovamenti archeologici trovati, possiamo affermare con sicurezza che Turris Libisonis non fu per Roma solo una collina. Non è un caso che la città continuò ad esistere nei secoli successivi tenendo inalterata la sua importanza strategica al centro del mediterraneo. Di importante interesse non architettonico non fu solo il ponte romano e le terme fortemente mosaicate ma anche le strade: in alcuni tratti l'attuale Strada statale 131 Carlo Felice risulta affiancata dalla vecchia strada romana, che seguiva il medesimo percorso fra i due poli dell'isola.  Quartu Sant'ElenaModifica Il termine Quarto, ai tempi dei romani, stava a indicare la distanza in miglia che separava l'antico insediamento quartese da Cagliari. Infatti distava 4 miglia romane da Carales. È stata da sempre una meta ambita, viste le possibilità che offriva, grazie ad un'economia agricola stabile e fruttuosa integrata alla pesca e alla caccia.  Sarcapos Lo stesso argomento in dettaglio: Sarcapos. SassariModifica Nonostante la città di Sassari sia stata fondata in periodo Medioevale, il suo territorio conserva ricche testimonianze d'epoca romana, a partire da opere infrastrutturali di rilievo come i resti della strada che collegava Cagliari a Porto Torres e le rovine dell'acquedotto romano che serviva la colonia romana di Turris.  L'area ricca di vegetazione e sorgenti, era un luogo amato dalle famiglie patrizie della vicina colonia di Porto Torres, per cui oggi sono presenti nel territorio le rovine di alcune residenze d'epoca romana, la più famosa delle quali situata nei sotterranei della cattedrale di San Nicola, molti edifici medioevali sono stati costruiti riutilizzando materiali provenienti da abitazioni romane, le colonne presenti nel piazzale del santuario di San Pietro di Silki, provengono da un tempio romano smantellato che sorgeva nella zona.  Sulci (Sant'Antioco)Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sulki.  Statua di Druso minore da Sulci del I secolo d.C.  Tharros In epoca romana Sulci continuò a fiorire sino a diventare, a detta del geografo greco Strabone, la città più florida della Sardegna romana insieme a Caralis. Lo sfruttamento dei bacini minerari dell'Iglesiente, dove pare sorgesse l'insediamento di Metalla[53], non era infatti cessato, e con esso l'intenso traffico nel porto sulcitano: di qui l'appellativo dell'antica Sulci "Insula plumbea". La città dovette disporre di ingenti risorse finanziarie se all'epoca della guerra civile tra Cesare e Pompeo poté pagare una multa di circa 10 milioni di sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto nel frattempo nell'antipompeiana Caralis.  Sulci si riprese ben presto dallo smacco subito, forte anche della floridezza del suo porto e dunque della sua economia, sino quando, intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu riabilitata sul piano politico e elevata al rango di Municipium.  Secondo Bellieni, la città tra tarda Repubblica e prima fase imperiale doveva essere popolata da circa 10.000 persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene conto della popolazione media nei centri italiani di età augustea calcolata dal Beloch.  L'antico centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente ancora oggi prestando attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e minori, nell'area comprendente le attuali vie Garibaldi, XX Settembre, Mazzini, Eleonora d'Arborea, Cavour, in località detta "Su Narboni". Qui, e precisamente all'incrocio tra le attuali via XX Settembre e Eleonora d'Arborea (presumibilmente nell'area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C., grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell'istmo, e al tempio d'Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili.  Tharros Lo stesso argomento in dettaglio: Tharros. Tibula Lo stesso argomento in dettaglio: Tibula. UsellusModifica Usellus godette di grande splendore soprattutto nel periodo romano. Fu nel II secolo a.C. che venne fondata l'antica "Colonia Julia Uselis" il cui centro si trovava molto probabilmente sopra al colle di Donigala (Santa Reparata) non lontano da quello attuale.  Venne fondata soprattutto come baluardo militare per contrastare le continue incursioni dei mai domi barbaricini dell'interno dell'isola. Poté usufruire dello splendore di Roma che la innalzò dapprima a municipium e poi la elesse Colonia Julia Augusta sotto l'Imperatore Cesare Augusto, in onore della propria figlia Giulia ed eleggendo nel contempo i propri abitanti a "cives".  Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, vi fu Pretore. Quest'ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo ed in una preziosissima tavola di bronzo dell'anno 158 d.C., come si desume dal nome dei consoli, contenente un decreto d'ospitalità e clientela, riguardante l'antica Usellus.  La città doveva estendersi per circa sette ettari ed i suoi fertili terreni vennero assegnati ai veterani delle guerre. In questo periodo Uselis sfruttando la sua favorevole posizione geografica subì un'importante evoluzione economica e militare divenendo centro nevralgico di un'intensa attività economica e crocevia dell'importante rete viaria che la metteva in comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae (terme di Sardara), a nord con Forum Traiani e una terza via la univa a Neapolis, vicino alla costa occidentale.  Nel suo territorio sono ancora presenti due ponti romani, ci cui uno in ottimo stato di conservazione, lunghi tratti dell'importante via di comunicazione e resti delle imponenti mura che la cingevano.  Risorse economiche provincialiModifica   Mosaici concernenti i "Navicularii et negotiantes Karalitani" e i "Navicularii Turritani" dal piazzale delle corporazioni di Ostia antica. Il commercioModifica La Sardegna si integrò nel sistema economico e commerciale dell'Impero soprattutto per quanto riguarda il commercio del grano, del sale, del legname e dei metalli grazie ad ottimi porti quali Olbia, Tibula, Turris Libisonis (Porto Torres), Cornus, Tharros, Sulci (Sant'Antioco) e Carales.  L'importanza di questi porti è testimoniata da due mosaici trovati ad Ostia con la menzione dei "navicularii Turritani e Calaritani", mercanti marittimi di Porto Torres e Cagliari. Soprattutto in età imperiale la Sardegna divenne una tappa obbligatoria per i viaggi dalla penisola all'Africa e alle Mauretanie.  L'agricolturaModifica L'agricoltura era diffusa nell'isola soprattutto nelle aree pianeggianti e in particolar modo nella pianura del Campidano nella parte meridionale della Sardegna. Il grano era prodotto in quantità tali che solo quello che si esportava bastava a sfamare 250.000 persone. Per questo motivo la Sardegna, durante la repubblica, assunse il titolo di "granaio di Roma".  Si dice che la quantità di grano preso dai Romani dalla Sardegna non solo bastò per riempire tutti i granai dell'Urbe, ma per contenerlo tutto se ne dovettero costruire di nuovi. La coltivazione di cereali era sviluppata in particolar modo nella parte settentrionale, mentre quella dell'ulivo e della vite era diffusa in tutta l'isola.  L'allevamentoModifica L'allevamento per esportazioni era un'attività economica diffusa in tutta la Sardegna. Tra suini, bovini e ovini (in particolare i mufloni) solo i primi erano venduti in buone quantità al resto dell'impero. Gli ovini erano importanti per la lana e i latticini che i sardi pelliti dell'interno vendevano a Roma; infatti la pastorizia era una pratica molto diffusa nella parte centrale della Sardegna. Sappiamo con certezza che i popoli dell'interno, grazie a questa pratica, furono in grado di arricchirsi trasformando la pastorizia da attività di sussistenza ad attività d'esportazione.  L'estrazione minerariaModifica (LA)  «India ebore, argento Sardinia, Attica melle»  (IT)  «L'India è famosa per l'avorio, la Sardegna per l'argento, l'Attica per il miele.»  (Archita) Importante era anche l'estrazione mineraria, diffusa in tutta la Sardegna. Argento e piombo erano estratti nelle miniere dell'Iglesiente in quantità tali da far scendere il costo di questi metalli in tutto l'impero; veniva cavato anche il ferro e il rame, quest'ultimo dai giacimenti nei pressi di Gadoni[53]. Per l'estrazione non erano usati solo schiavi di guerra ma anche personaggi scomodi nel campo della politica o per la religione da essi professata.  La pietra e il granito erano invece estratti nell'interno e lungo le coste. La pietra che gli isolani avevano sempre utilizzato per la costruzione dei nuraghi e dei loro templi megalitici era ora destinata ad arricchire gli edifici dei ricchi Romani. Ancora oggi, sulle isole della Marmorata e lungo le spiagge di Santa Teresa di Gallura, nella parte nord-orientale dell'isola, non è difficile imbattersi in blocchi "tagliati" con regolarità oppure in frammenti di colonne, sfuggiti ai numerosi carichi fatti dai Romani durante tutto il periodo della loro dominazione, durato quasi settecento anni. Non era facile infatti imbarcare sulle navi da carico i blocchi di pietra nei tratti di mare antistanti i promontori rocciosi. Le correnti e le condizioni atmosferiche provocavano spesso dei naufragi o costringevano i marinai a liberarsi dei pesanti carichi per evitare che le imbarcazioni affondassero.  Principali vie di comunicazioneModifica Le principali città e strade della Sardegna in epoca Romana. Quando i Romani iniziarono la conquista della Sardegna vi trovarono già una rete stradale punica; questa però collegava tra loro solo alcuni centri costieri, tralasciando completamente la parte interna; d'inverno era impraticabile a causa delle piogge e i Romani furono quindi costretti a costruirne una nuova che si sovrapponeva a quella precedente solo parzialmente.   Antica strada romana Nora-Bithiae I Romani costruirono 4 grandi arterie stradali: 2 lungo le coste e 2 interne. Le viae principales erano le cosiddette strade antoniniane, tutte con direzione nord-sud. Ricordandole in ordine da est a ovest: la litoranea occidentale (a Tibulas-Karales), da Carales (Cagliari) a Turris Libisonis (Porto Torres); la interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales), da Carales a Olbia. A questa ossatura longitudinale si congiungevano sia le "Viae Transversae" come la Cornus-Macopsissa-Nuoro-Orosei e molte altre strade più modeste (vicinali) che collegavano i piccoli centri dell'interno tra loro e con le più grandi città costiere. Questo sistema di comunicazione era molto efficiente e creò le condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana presso le popolazioni locali.  La rete stradale, inizialmente costruita per motivi militari, fu poi mantenuta e continuamente restaurata per motivi economici; grazie a questa, infatti, i Sardi dell'interno vendevano i loro prodotti ai commercianti romani che provvedevano poi a spedirli nei più grandi porti del mediterraneo occidentale. La rete stradale romana è stata talmente efficace e costruita in zone strategiche che alcune strade sono utilizzate ancora oggi; ne è un esempio la statale Carlo Felice.  In epoca Antonina si perfezionarono le vie di comunicazione interne della Corsica (strada Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente latinizzata, salvo qualche enclave montana.  Arte e architettura provincialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte provinciale romana. La religioneModifica  Il tempio di Antas, nei pressi di Fluminimaggiore I Romani, come è noto, permettevano una certa libertà di culto; questo consentì alle popolazioni interne di continuare a praticare le loro religioni preistoriche di ispirazione naturalistica, ed a quelle delle coste la religione punica con tutti i suoi dei (Tanit, Demetra e Sid, ribattezzato Sardus Pater dai Romani, venerato nel Tempio di Antas); ma col passare del tempo trovarono spazio anche i culti di Giove e Giunone poi soppiantati dal Cristianesimo.  Sappiamo che alcune divinità, come un demone brutto ma benefico rappresentato come il Dio Bes (divinità egiziana assimilata nel pantheon cartaginese), vennero associate ad alcuni Dei Romani (in questo caso ad Esculapio, divinità salutare romana).  In età romana era diffuso a Carales, Sulci e Turris Libisonis il Culto di Iside, costantemente associato ad una cospicua presenza mercantile.  Lingua e romanizzazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lingua paleosarda, Lingua sarda, Lingua paleocorsa, Lingua corsa e Romanizzazione (storia). La Sardegna, fortemente punicizzata, fu interessata da un processo di latinizzazione, ma le zone interne restarono a lungo ostili ai nuovi dominatori, come d'altronde lo furono in passato nei confronti dei cartaginesi. L'opera di romanizzazione, affidata al latino, fu completata con l'introduzione delle divinità, dei sacerdozi, e dei culti tipicamente romani. Le aree più intensamente romanizzate furono quelle costiere dedite alla coltura dei cereali (Romània), mentre nell'interno montuoso rimase fortemente radicata la cultura indigena (Barbària). La lingua delle genti sarde, così, subì profonde trasformazioni con l'introduzione del latino che, soprattutto nelle zone interne, penetrò lentamente ma, alla fine, si radicò a tal punto che il sardo è quella cui più aderisce; in particolare, si ritiene che nella zona centro-settentrionale la variante parlatasia quella maggiormente affine per la pronuncia. Nonostante questo, c'è da dire che il latino non si diffuse subito: è ancora presente un'iscrizione risalente al regno di Marco Aurelio (fine II secolo) in punico e, se questa era la situazione quando si scriveva, è possibile che nell'ambito familiare la lingua dei Cartaginesi fosse ancora abbastanza diffusa. Interessante è il fatto che, a volte, si trovino delle ceramiche riportanti il nome del proprietario in latino scritto con caratteri punici.  Sembra accertato che la Corsica fu anch'essa romanizzata e colonizzata dai Romani soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità linguistiche riscontrabili ancor oggi tra còrso meridionale e dialetti siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria. Strabone, Geografia, AE; AE dell'epoca di Massimino Trace. AE di epoca Traianea o Adrianea; AE forse di epoca Antonina; AE sotto gli Imperatori Caracalla e Geta; AE, al tempo di Filippo l'Arabo. AE Teofrasto, Hist. plant., Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, Nardecchia editore, 1923 ^ Datazione approssimata secondo le cronologie di Tito Livio e Diodoro Siculo ^ Ad esempio sull'espresso divieto imposto ai Romani di fondare città in Sardegna ed in Africa, Servio, Ad Aen., Polibio, questo era l'antico porto della cittadina, citato da Tolomeo, Florus, Epist. Liv., Zonara, Epitome, Dyson, Comparative Studies in the Archaeology of Colonialism; anche, dello stesso autore, The Creation of the Roman Frontier, Oros hostibus se immiscuit ibique interfectus est. ^ Valerio Massimo, Sil. Ital., Scipione eresse inoltre un tempio di ringraziamento alla dea Tempestas, che Ovidio (Fasti) celebra così: Te quoque, Tempestas merita delubra fatemur cum paene est Corsis obruta classis aquis ^ Fra le numerose fonti, Valerio Massimo, Tito Livio, Ammiano Marcellino e poi Zonara. ^ Nei Fasti trionfali si registra il trionfo di Scipione come L. CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA], CORSICA V ID. MART. AN. CDXCIV Il risultato della battaglia non è noto Rocca, Histoire de la Corse, Boyle, Valerio Massimo, Anche in Plinio, Nat.Hist., Pais, Livio, Livio, Livio, Casùla, Livio, Livio, Casùla, Livio, Livio, Livio, Livio, Livio, Vaerio Massimo, Plinio, Nat.Hist., Pais, Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare della Sardegna: aspetti e confronti con l'Africa ^ Francesco Cesare Casùla, p.108. ^ a b c d e f Ettore Pais, pp. 76-77. ^ cfr.Tacito, Annali, XIII, BUR, Milano, 1994. trad.: B. Ceva. Casula, Pais, Mastino, Cronologia della Sardegna Romana Casula, Pais, Pais, Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Mastino, Natione Sardus: una mens, unus color, una vox, una natio ( PDF ), su eprints.uniss.it, Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizioni Romane, Plinio, Naturalis Historia, III, 7, 85. ^ a b Francesco Cesare Casùla cfr. per es. F.Cenerini, Sulci romana, in: Sant'Antioco, annali Zaccagnini, L'isola di Sant'Antioco: ricerche di geografia umana, Fossataro, Cagliari 1972 (integraz. M.T.) Iscrizione M Sardegna; MELONI P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari, Casùla, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά). (traduzione inglese), Eutropio, Breviarium ab Urbe condita (testo latino e traduzione inglese). Livio, Ab Urbe condita libri. (testo latino). Polibio, Storie Ἰστορίαι. (traduzione in inglese). Strabone, Geografia. (traduzione inglese). Fonti storiografiche moderne Francesco Cesare Casula La storia di SardegnaDelfino Editore, Sassari, Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano, La Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali. Sassari, Carlo Delfino, Il tempo dei Romani. La Sardegna dal III secolo a.C. al V secolo d.C., Nuoro, Ilisso, Lilliu, La civiltà dei Sardi, Torino, Edizioni ERI, Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano Edizioni Ilisso, Nuoro. Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna,  Milano. Attilio Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Piero Meloni, La Sardegna romana, Ed Chiarella,Taramelli, La Sardegna romana, Istituto di studi romani, Portale Antica Roma   Portale Corsica   Portale Sardegna Battaglia di Sulci battaglia della prima guerra punica  Espansione cartaginese in Italia tentativi espansionistici di Cartagine nelle isole mediterranee di Sicilia e Sardegna  Battaglia di Decimomannu. Nome compiuto: Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica comunitaria, etica universale, universalita, universabilisabile  -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demaria: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’organismi – implicatura dinantorganica – scuola di Vezza d’Alba – filosofia cunese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vezza d’Alba). Filosofo vezzese. Filosofo cunese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Vezza d’Alba, Cuneo, Piemonte. Grice: “Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per numerosi studi sulla tomistica.  Frequenta il seminario di Alba, entrò come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.  Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico organico dinamica.  Negli anni sessanta fonda con Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Arnaboldi fecero opera di formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Costa strutturò volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Scrivia (il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.  Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista comunista.   Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo. Intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di AQUINO (si veda) e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica D., passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La società alternativa".  L'indagine sui dinamismi profondi della società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale.  Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo indirizzamento.  Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto.  Il realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo materialista.  Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente dinamico o anche ente di secondo grado.  Dalla osservazione di ciò che nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli “enti di primo grado”,  gli enti la cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a quello della monada – l’uomo, il soggeto,  un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità. Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado (la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).  Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico” per restare vivo e vitalmente operante.  Sul fronte della interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.  Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici.  Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre: capitalista, marxista, e dinontorganica, e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della vita.  Nella società dinamica secolare, che è laica e profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore del marxismo.  L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica. L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di “cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro.  L’impresa dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo, costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente dichiarazione, si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in ambito di fede e morale cattolica.  La scoperta dell’“ente di secondo grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula” (individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande) sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa (l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione industriale è l’azienda industriale.  Pur accogliendo nella sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa mobilitazione.  La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società. Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria “ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli autocostruttivi.  Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione, Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale, Torino, CESP Centro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici: genesi storico-dottrinale, testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano Lavoratori), Bologna, Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire, La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo, Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire,  L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma, Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca partecipata., Bologna, L. Parma, Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e socialismi: rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà: un itinerario filosofico esistenziale, Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Apertura a “tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte?: analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza, Realismo dinamico: il problema metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano riduzione dell'opera di D., Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica: revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Cretti, La quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova. Globalizzazione e metafisica, Bari, Edizioni Levante, Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Pirovano, Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mantovani, Pessa e Riggi, Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona, Fede et Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico.  Scritti teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure: un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente. La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a tutto l’essere in Nuove Prospettive,  Realismo dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere e  ragionata a cura dell'Associazione Nuova Costruttività., su dinont-organico.  Opere di Tommaso Demaria L’opera fondamentale di T. Demaria è la Trilogia del Realismo Dinamico, si tratta di tre volumi in cui l’autore spiega in modo completo e preciso la metafisica realistico dinamica.  Se vuoi farti un’idea di quello che ha scritto T. Demaria, di seguito trovi  tutta la sua bibliografia, per scaricare invece alcuni dei suoi testi devi andare sul nostro blog   Trilogia del Realismo Dinamico:  Volume 1: Ontologia realistico-dinamica = Collana Spid – Realismo dinamico  Ed. “Costruire”, Bologna (di questo testo è stata redatta anche la traduzione in lingua spagnola, vedi sezione di questa bibliografia.) Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico = Collana Spid – Realismo dinamico, Ed. “Costruire”, Bologna: La realtà storica come Superorganismo Dinamico. Dinontorganismo e Dinontorganicismo = Collana Spid – Realismo dinamico Ed. “Costruire”, Bologna, Altri due volumi integrano la Collana Spid.  L’ideologia cristiana, Collana Spid – Ed. “Costruire”, Bologna, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Collana Spid – Ed. “Costruire”, Bologna, Gli altri scritti di T. Demaria non aggiungono nulla di fondamentale rispetto ai volumi principali ma sono importanti perchè ne esplicitano alcuni aspetti. La sequenza dei testi è in ordine temporale.  Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale, «Quaderni di Cultura e Formazione Sociale», a cura dell’Istituto di Scienze Sociali del Pontificio Ateneo Salesiano, Torino Cristianesimo e realtà sociale, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese. I Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale organico-dinamica Arnaboldi, Paolo Maria – D.  – Morini, Bruno, edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese. “L’impegno morale del cristiano” documento pastorale dell’episcopato italiano. Premessa illustrativa dedicata agli operatori cristiani in campo sociale = Centro Fanin – Collana La fonte, Vicenza Pensare e agire “organico-dinamico”, Varese s.d, Punti orientativi ideologico-sociali = a cura del MICL, Ed. Luigi Parma, Bologna. La “questione democristiana”, Ed. “Costruire”, Bologna Ideologia come prassi razionalizzata, Il Segno Ed. = NPC, Verona Per una nuova cultura, NPC Ed.,Verona  (di questo testo è stata redatta anche la traduzione in lingua inglese, vedi sezione 2.1 di questa bibliografia.) La società alternativa, NPC Ed., Verona Verso il Duemila. Per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, NPC Ed., Verona, Un tema complesso sullo sfondo dell’ideologia come strumento ideologico, NPC Ed., Verona Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale = Minidossier culturali per una nuova presenza cristiana I, Vicenza s.d., Rivoluzione Industriale e Cristianesimo = Minidossier culturali per una nuova presenza cristiana II, Vicenza s.d., Riflessioni spirituali. Tipografia Unione, Vicenza (pubblicazione postume che raccoglie alcune riflessioni spirituali di don Tommaso Demaria, ricavate da lettere inviate a suor G.A. di cui era direttore spirituale.) Scritti Teologici Inediti a cura di M. Mantovani e  R. Roggero. Las – Roma. Atti Convegni di Rapallo Per la rieducazione all’amore cristiano tra le aziende. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni di Rapallo. Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese. Atti Convegni di Rapallo. Il mondo di oggi come questione sociale.  Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni di Rapallo, Democrazia nuova per una nuova società.Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese. Riportiamo anche i titoli di una serie di articoli sulla rivista quadrimestrale veronese «Nuove Prospettive» (in ordine cronologico: 1988-1991)  La metafisica aristotelico-tomista come sistema metafisico realistico oggettivo; sua crisi e suo rifiuto, in NP I. Metafisica e metodo, in NP Metafisica realistica integrale, in NP Valore della dottrina sociale cristiana nell’attuale contesto storico dinamico secolare, in NP. Integrazione della dottrina sociale cristiana con l’ideoprassi organico-dinamica. Dottrina sociale cristiana e progetto organico-dinamico di società, in NP Sapienzialità, in NP La “nuova creatura”: un problema teologico-ecclesiologico risolto solo a metà, in NP I trascendentali, in NP Metafisica dell’azienda industriale, in NP Dinontorganicità, in NP La famiglia oggi in una visione organico-dinamica, in NP Articoli su altre riviste o su miscellanee (in ordine cronologico)  La pedagogia come scienza dell’azione. Appunti per una epistemologia pedagogica, in Salesianum Sociologia positiva o positivo-razionale? A proposito di una introduzione alla sociologia, in SalesianumPer una Ecclesiologia organica, in AA.VV., De Ecclesia, PAS, Torino Concezione religiosa dell’educazione, in Rivista di Pedagogia e Scienze Religiose, Dio e la Religione, in AA.VV. De Deo, PAS, Torino Il posto e il compito dei laici nella Chiesa. Per la rieducazione all’amore cristiano nel campo economico-sociale. Per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per Industriali e Dirigenti Velate di Varese 1965, Prima parte 29-40. Dalla Sociologia cristiana normativa alla Sociologia cristiana costruttiva, ibid., Parte seconda 23-38. Aspetti sociologici, religiosi e morali della programmazione economico-sociale,  La formazione all’apostolato, in AA.VV., Il Decreto sull’Apostolato dei Laici (Apostolicam actuositatem). Genesi storico-dottrinale. Testo latino e traduzione italiana. Esposizione e commento = Collana Magistero Conciliare LDC 4, Torino Le leve segrete che dominano il mondo. I – Leve dinamiche per un mondo dinamico, in AA.VV., Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti Velate di Varese Le leve – non più segrete – che dominano il mondo.  Leve cristiane per un mondo cristiano, Vengono trattati, nelle relazioni 10 e 11, i trascendentali dinamici della religiosità, socialità, moralità, educatività e missionarietà.  Società e persona umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e società, Società e persona umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e persona umana, Fede e vita spirituale, in Giornate di studio per predicatori di Esercizi Spirituali. Approfondimenti teologico-pastorali, Roma – S.Cuore, Società in trasformazione e trasformazione dell’uomo I. Società nuova in un mondo nuovo, Il mondo di oggi come questione sociale. Per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti del 7-10 Marzo Velate di Varese 1970, Parte prima. Società in trasformazione e trasformazione dell’uomo II. Uomo nuovo in una società nuova, Mondo dinamico e questione sociale I. La questione sociale e le sue vicende, ibid., Parte seconda, 33-50. Mondo dinamico e questione sociale II. La questione sociale e la sua soluzione, Democrazia e mondo dinamico, in Democrazia nuova per una nuova società = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti,Velate di Varese,  Impresa e società, Studio sul piano teologico essenziale, in Arnaboldi Paolo Maria – Demaria Tommaso – Morini Bruno, I Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale organico-dinamica, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese Testi ciclostilati  a)   Relazioni ai Corsi Mid di sviluppo  Per una autentica società giusta: una concreta nuova presenza cristiana = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma  (testi dattiloscritti). La famiglia oggi in una visione organico-dinamica. La scuola oggi in una visione organico-dinamica della società. L’impresa organico-dinamica. Sindacato organico-dinamico. Stato e società. Ideologia organico-dinamica ed Unione Europea  Le tre ideologie. Confronto sinottico = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma L’Assoluto ideologico primario. L’Assoluto ideologico derivato. La religione. Uomo e società. L’economia. La politica. Etica a matrice ideologica  Le tre ideologie. Confronto sinottico. Seconda serie = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Stato e società. La democrazia. La libertà. La socialità. La cultura. I valori. Scienza e tecnica  Confronto sinottico delle tre ideologie. Terza serie = Atti del Corso di studio Mid di Roma  Centro Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato). Richiamo orientativo. La sapienza umano storica ideoprassica. La scelta energetica. Lo sviluppo. Il futuro del pianeta  Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie = Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Quaderno poligrafato), Guerra e pace. Cultura come civiltà. La civiltà dell’amore  Confronto sinottico delle tre ideologie. I trascendentali dinamici  Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato) EDUCazione e formazione oggi = Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Relazioni a Corsi di esercizi o di studio promossi dal FAC  La parrocchia). “Su questa pietra…” – Il nostro sacerdozio: donde veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (Corso Fac – esercizi spirituali per sacerdoti). Chiesa e mondo Fede – Speranza – Carità Rimessa a punto teorico-pratica dei Consigli pastorali La Chiesa localeI Consigli pastorali in se stessi e nella loro articolazione e rapporti (Corso Fac). La fede cristiana; Il problema ecclesiologico e le anime; La Chiesa e la persona-cellula; Costruire la Chiesa; La parrocchia nella Chiesa universale; La Chiesa come anima del mondo; Parrocchia in trasformazione I. Dalla parrocchia statico-sacrale alla parrocchia dinontorganica religiosa; Parrocchia in trasformazione II. La parrocchia dinontorganica religiosa; Conoscere la Chiesa = Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro Nazareth, Come programmare la costruzione di una parrocchia “Famiglia di Dio” oggi, in una visione ecclesiale profonda = Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro Nazareth, Altri testi ciclostilati  Realismo dinamico, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Torino (Dispense), La Chiesa cattolica in stato di missione, Le tesi delle Libere ACLI = a cura delle L.A.C.L.I. Italia Settentrionale, Milano, Per una nuova cultura religiosa e sociale = a cura di Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona, Il Marxismo = Quaderni di Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona. Tommaso Demaria. Demaria. Keywords: organismo, organismi, super-organismo, Tuomela, we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e cultura, dynontorganico – o dinontorganico -- dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al Lizio a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A lizio, a friend of Catone Minore and was with him in his final days. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Seneca, Trasea and Apollonio. Banished from Rome at least once. He defends the Porch philosopher Publio Egnazio Celer against another one, Musonio Rufo. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’accademia a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Member of the Accademia, cited by Antonino. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’orto a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A notable Gardener. Writes a number of essays on various aspects of the school’s teachings. Fragments of his writings at Herculaneum reveal a concern that some teachers were oversimplifying the philosophy in order to make it easier for their pupils to understand. Demetrio Lacone. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del culto di marte, la mascolinità, ed il sentimento taciuto – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda --filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi,  Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi); “Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma, Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, POMBA Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli adulti.  Saperi, competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero,  Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina,,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis); “Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare in autunno, Milano, Cortina.  Wikipedia Ricerca Marte (divinità) dio romano della guerra e dei duelli Lingua Segui Modifica Marte (in latino: Mars[1]) è, nella religione romana e italica[2], il dio della guerra e dei duelli e, secondo la mitologia più arcaica, anche del tuono, della pioggia e della fertilità. Simile alla divinità greca Ares, col tempo ne ha assorbito tutti gli attributi, fino a venire completamente identificato con esso.   Statua colossale di Marte: "Pirro" nei Musei capitolini a Roma. Fine del I secolo d.C. CultoModifica  Venere e Marte, affresco romano da Pompei, 1 secolo d. C. È una divinità sia etrusca[4] che italica (Mamers nei dialetti sabellici[5]); nella religione romana (dove era considerato padre del primo re Romolo) era il dio guerriero per eccellenza, in parte associato a fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva parte della cosiddetta "Triade arcaica", che in seguito, su influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva. Più tardi, identificandolo con il greco Ares, venne detto figlio di Giunone e Giove e inserito in un contesto mitologico ellenizzato.  Alcuni studiosi del passato (Wilhelm Roscher, Hermann Usner, e soprattutto Alfred von Domaszewski) hanno parlato di Marte anche nei termini di divinità "agraria", legata all'agricoltura, soprattutto sulla scorta del testo di una preghiera rimastaci nel De agri cultura di Catone, che lo invoca per proteggere i campi da ogni tipo di sciagura e malattia. Secondo Georges Dumézil tuttavia il collegamento fra Marte e l'ambito campestre non farebbe di lui una divinità legata alla terra, in quanto il suo ruolo sarebbe esclusivamente di difensore armato dei campi da mali umani e soprannaturali, senza diversificazione dalla sua natura intrinsecamente guerresca.  Il dio, inoltre, rappresentava la virtù e la forza della natura e della gioventù, che nei tempi antichi era dedita alla pratica militare. In questo senso era posto in relazione con l'antica pratica italica del uer sacrum, la Primavera Sacra: in una situazione difficile, i cittadini prendevano la decisione sacra di allontanare dal territorio la nuova generazione, non appena fosse divenuta adulta. Giunto il momento, Marte prendeva sotto la sua tutela i giovani espulsi, che formavano solo una banda, e li proteggeva finché non avessero fondato una nuova comunità sedentaria espellendo o sottomettendo altri occupanti; accadeva talvolta che gli animali consacrati a Marte guidassero i sacrani e divenissero loro eponimi: un lupo (hirpus) aveva guidato gli Irpini, un picchio (picus) i Piceni, mentre i Mamertini derivano il loro nome direttamente da quello del dio. Sempre a Marte è dedicata la legio sacrata, cioè la legione Sannita, detta anche linteata, poiché è bianca. Marte, nella società romana, assunse un ruolo molto più importante della sua controparte greca (Ares), probabilmente perché considerato il padre del popolo romano e di tutti gli Italici in generale: Marte, accoppiatosi con la vestale Rea Silvia generò Romolo e Remo, che fondarono Roma. Di conseguenza Marte era considerato il padre del popolo romano e i romani si chiamavano tra loro Figli di Marte. I suoi più importanti discendenti, oltre a Romolo e Remo, furono Pico e Fauno.  Marte comparve spesso sulla monetazione romana, sia repubblicana che imperiale, con vari titoli: Marti conservatori (protettore), Marti patri (padre), Mars ultor (vendicatore), Marti pacifero (portatore di pace), Marti propugnatori (difensore), Mars victor (vincitore).  Il mese di marzo, il giorno di martedì, i nomi Marco, Marcello, Martino, il pianeta Marte, il popolo dei Marsie il loro territorio Martia Antica (la contemporanea Marsica) devono a lui il loro nome.  Leggenda sulla nascita di MarteModifica Secondo il mito, Giunone era invidiosa del fatto che Giove avesse concepito da solo Minerva senza la sua partecipazione. Chiese quindi aiuto a Flora che le indicò un fiore che cresceva nelle campagne in Etoliache permetteva di concepire al solo contatto. Così diventò madre di Marte, che fece allevare da Priapo, il quale gli insegnò l'arte della guerra. La leggenda è di tradizione tarda come dimostra la discendenza di Minerva da Giove, che ricalca il mito greco. Flora, al contrario, testimonia una tradizione più antica: l'equivalente norreno Thor nasce dalla terra, Jǫrð e così le molte divinità elleniche.  NomiModifica  Statua di Marte nudo in un affrescodi Pompei. Marte era venerato con numerosi nomi dagli stessi latini, dagli Etruschi e da altri popoli italici:  Maris, nome Etrusco da cui deriva il nome del Dio Romano; Mars, nome Romano; Marmar; Marmor; Mamers, nome con cui era venerato dai popoli italicidi stirpe osca; Marpiter; Marspiter; Mavors. EpitetiModifica Diuum deus: 'dio degli dei', nome con cui viene designato nel Carmen Saliare. Gradivus: 'colui che va', con valore spesso di 'colui che va in battaglia', ma può essere collegato anche al ver sacrum, quindi 'colui che guida, che va'. Leucesios: epiteto del Carmen Saliare che significa 'lucente', 'dio della luce', questo epiteto può essere anche legato alla sua caratteristica di dio del tuono e del lampo. Silvanus: in Catone, nel libro De agricultura, 83 Marte viene soprannominato Silvanus in riferimento ai suoi aspetti legati alla natura e collegandolo con Fauno. Ultor: epiteto tardo, dato da Augusto in onore della vendetta per i cesaricidi (da ultor, -oris: vendicatore). RappresentazioniModifica Gli antichi monumenti rappresentano il dio Marte in maniera piuttosto uniforme; quasi sempre Marte è raffigurato con indosso l'elmo, la lancia o la spada e lo scudo, raramente con uno scettro talvolta è ritratto nudo, altre volte con l'armatura e spesso ha un mantello sulle spalle. A volte è rappresentato con la barba ma, nella maggior parte dei casi, è sbarbato. È raffigurato a piedi o su un carro trainato da due cavalli imbizzarriti, ma ha sempre un aspetto combattivo.  Gli antichi Sabini lo adoravano sotto l'effigie di una lancia chiamata "Quiris" da cui si racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo. Bisogna dire che il nome Quirinus, come il nome Quirites, deriva da *co-uiria, cioè assemblea del popolo e indicava il popolo in quanto corpus di cittadini, da distinguere con Populus (dal verbo populari = devastare), che indica il popolo in armi.  Il ruolo di Marte a RomaModifica  Venere e Marte, affresco romano da Pompei. A Roma Marte era onorato in modo particolare. A partire dal regno di Numa Pompilio, venne istituito un consiglio di sacerdoti, scelti tra i patrizi, chiamati Salii, chiamati a vigilare su dodici scudi sacri, gli Ancilia, di cui si dice che uno sia caduto dal cielo. Questi sacerdoti erano riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea. I sacerdoti Salii, in realtà erano un'istituzione ben più antica di Numa Pompilio, risalivano addirittura al re-dio Fauno, che li creò in onore di Marte, costituendo così i primi culti iniziatici latini.  Nella capitale dell'impero, vi era anche una fontana consacrata al dio Marte e venerata dai cittadini. L'imperatore Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana, gesto che fu interpretato dal popolo come un sacrilegio e che gli alienò la simpatia popolare. A partire da quel giorno, l'imperatore iniziò ad avere problemi di salute, secondo la gente dovuta alla vendetta del dio.  FestivitàModifica Era venerato fastosamente in marzo, il primo mese dell'anno nel calendario romano, che segnava la ripresa delle attività militari dopo l'inverno e che portava il suo nome, con le feriae Martis, Equirria, agonium martiale, Quinquatrus e tubilustrum. Altre cerimonie importanti avvenivano in febbraio e in ottobre.  Gli Equirria si tenevano. Erano giorni sacri con significato religioso e militare; i romani vi mettevano molta enfasi per sostenere l'esercito e rafforzare la morale pubblica. I sacerdoti tenevano riti di purificazione dell'esercito. Si tenevano corse di cavalli nel Campo Marzio.  Si tienneno le feriæ Martis. Durante le feriæ Martis i dodici Salii Palatinipercorrevano la città in processione, portando ciascuno un Ancile, uno dei dodici scudi sacri, e fermandosi ogni notte ad una stazione diversa (mansio). Nel percorso i Salii eseguivano una danza con un ritmo di tre tempi (tripudium) e cantavano l'antico e misterioso Carmen Saliare. Si tienne il Quinquatrus, durante il quale gli scudi venivano ripuliti. Si tene il Tubilustrium, dedicato alla purificazione delle trombe usate dai Saliie alla preparazione delle armi dopo la pausa invernale. Gl’ancilia venivano riposti nel sacrario della Regia.  L'October Equus si teneva alle idi di ottobre. Si svolgeva una corsa di bighe e veniva sacrificato a Marte il cavallo di destra del trio vincente tramite un colpo di lancia del Flamine marziale. La coda veniva tagliata e il suo sangue sparso nel cortile della Regia. C'era una battaglia tradizionale tra gli abitanti della Suburra che volevano la coda per portarla alla Turris Mamilia e quelli della Via Sacra che la volevano per la Regia.  Si tienne l'Armilustrium, dedicato alla purificazione delle armi e alla loro conservazione per l'inverno.  Ogni cinque anni si tenevano in Campo Marzio le Suovetaurilia, dove davanti all'altare di Marte il censo vienne accompagnato da un rito di purificazione tramite il sacrificio di un bue, un maiale e una pecora.  Luoghi di cultoModifica  Marte e Venere, copia settecentesca da I Modi di Marcantonio Raimondi Tra le popolazioni italiche, si sa di un antico tempio dedicato al dio Marte a Suna, antica città degli Aborigeni, e di un oracolo del dio, nella città aborigena di Tiora. Animali e oggetti sacri Lupo: si ricorda il nipote Fauno, il lupo per eccellenza è la lupa che ha allattato Romolo e Remo Picchio: il picchio è l'uccello del tuono e della pioggia oracolare, ha nutrito Romolo e Remo insieme alla lupa Cavallo: simbolo della guerra (si ricorda Nettuno e gli’equirria) Toro: altro animale molto importante per il ver sacrum e per tutti i popoli italici Hastae Martiae: sono le lance di Marte che si scuotevano in caso di gravi pericoli, tenute nel sacrario della Regia Lapis manalis: la pietra della pioggia, in quanto dio della pioggia OfferteModifica A Marte si offrivano come vittime sacrificali vari tipi di animali: dei tori, dei maiali, delle pecore e, più raramente, cavalli, galli, lupi e picchi verdi, molti dei quali gli erano consacrati. Le matrone romane gli sacrificavano un gallo il primo giorno del mese a lui dedicato che, fino al tempo di Gaio GIULIO (si veda) Cesare, era anche il primo dell'anno.  Identificazioni con dei celtici Mars Alator: Fusione con il dio celtico Alator Mars Albiorix, Mars Caturix o Mars Teutates: Fusione con il dio celtico Toutatis Mars Barrex: Fusione con il dio celtico Barrex, di cui si ha notizia solo da un'iscrizione a Carlisle Mars Belatucadrus: Fusione con il dio celtico Belatu-Cadros. Questo epiteto è stato trovato in cinque iscrizioni nell'area del Vallo di Adriano Mars Braciaca: Fusione con il dio celtico Braciaca, trovato in un'iscrizione a Bakewell Mars Camulos: Fusione con il dio della guerra celtico Camulo Mars Capriociegus: Fusione con il dio celtico gallaico Capriociegus, trovato in due iscrizioni a Pontevedra Mars Cocidius: Fusione con il dio celtico Cocidio Mars Condatis: Fusione con il dio celtico Condatis Mars Lenus: Fusione con il dio celtico Leno Mars Loucetius: Fusione con il dio celtico Leucezio Mars Mullo: Fusione con il dio celtico Mullo Mars Nodens: Fusione con il dio celtico Nodens Mars Ocelus: Fusione con il dio celtico Ocelus Mars Olloudius: Fusione con il dio celtico Olloudio Mars Segomo: Fusione con il dio celtico Segomo Mars Visucius: Fusione con il dio celtico Visucio Marte nell'arteModifica Pittura Marte, di Velázquez Marte che spoglia Venere con amorino e cane, di Paolo Veronese Marte e Venere sorpresi da Vulcano, di Boucher Minerva protegge la Pace da Marte, di Rubens Venere e Marte, di Sandro Botticelli MARTE su Treccani, enciclopedia ^ MARTE su Treccani, enciclopedia MARTE su Treccani, enciclopedia Pallotino; Wagenvoort, "The Origin of the Ludi Saeculares, in Studies in Roman Literature, Culture and Religion (Brill; Hall, "The Saeculum Novum of Augustus and its Etruscan Antecedents," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt; MARTE su Treccani, enciclopedia Strabone, Geografia, Nota sul dio Mamerte (o Mamers), in Treccani.it Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Carandini, La nascita di Roma, Torino, Einaudi, Carandini dà la definitiva rivalutazione del dio Marte). Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Genova, ECIG, Dumézil, La religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, Libro del grande storico delle religioni, che per primo rivalutò Marte da feroce dio emulo di Ares a divinità più originale e importante). James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Milano, Adelphi, Un libro che dimostra come questo dio sia presente nelle guerre contemporanee). Jacqueline Champeux, La religione dei romani, Bologna, Il Mulino, Ares Divinità della guerra Flamine marziale Fauno Marte (astronomia) Mamerte Pico (mitologia) Hachiman, Fano di Marmar, su latinae. altervista. Portale Antica Roma   Portale Mitologia PAGINE CORRELATE Salii collegio sacerdotale romano per il culto di Marte  Mamuralia festività  Triade arcaica,  Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords:il sentimento taciuto, maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Democede: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Captured by the Persians, helps to cure an ankle injury that is plaguing Dario. He eventually escapes and returns to Crotone. Giamblico says he has a Pythagorean, one of those who fled Crotone during an uprising against the sect. If this is true, if presumably happens after his return from Persia. Democede. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Democede,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Demostene: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A pythagorean according to Giamblico di Calcide. Demostene. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demostene,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Desideri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei consenzienti – filosofia romana – filosofia laziale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo Lazio. Filosofo Italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia, Morcelliana). A Francesco e Nicola Il fascismo e il consenso degl’intellettuali Il Mulino, Bologna. Quando ho iniziato le ricerche condensate in questo saggio, testimonianze e giudizi storiografici erano unanimi nel riflettere la nota negazione crociana dell’esistenza di una cultura o filosofia fascista: un giudizio che trova ancora oggi il suo principale e più autorevole sostenitore in Bobbio, ma che ritorna anche in protagonisti della lotta anti-fascista e in studiosi di altre aree politiche e culturali, come Amendola e Rosa. I motivi del persistere di questa negazione, in chi pur si è dedicato da tempo a indagare con severo impegno civile sulla funzione politica della cultura, richiederebbero una ricerca apposita, che metterebbe probabilmente in luce, accanto alla fortuna del crocianesimo e alla diffidenza verso l’intellettuale-funzionario di supposta matrice fascista, o all’originaria riduttiva lettura di Gramsci, una decisa sottovalutazione, su un piano pit generale, del peso del fenomeno della filosofia fascista nella storia italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che continua a opporre maggiore resistenza alla corretta impostazione di un’indagine su una stagione culturale che non si esauri nel ventennio, ma proietta le sue ombre anche sul periodo postfascista: con un bilancio, si badi bene, che non può ridursi a distinguere vera e falsa filosofia o cultura, o a chiedersi quali prodotti di vera filosofia o cultura promosse il fascismo. Per affermare che il fascismo non ha legami colla filosofia è necessario adoperare il termine in modo puramente valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che viene giudicato dannoso, oppure minimizzare sistema. Su alcuni di questi temi un primo spunto di ricerca è stato fornito da E. Galli della Loggia, Ideologie, classi e costume, Castronovo, Torino, Einaudi. ) ticamente il numero di punti di contatto esistenti tra il regime e la filosofia, opportunamente osserva Lyttelton, e la notazione potrebbe essere estesa ad altre discipline, come quelle giuridiche ed economiche, per considerare, accanto a ciò che di non caduco fu prodotto nel campo dell’alta cultura, oltre che nel terreno inesplorato della mentalità dei diversi strati sociali , anche i pensieri che non furono pit pensati. Ma a una valutazione complessiva di questa tematica è di ostacolo un giudizio simmetrico a quello crociano, teso a mettere in dubbio l’esistenza di ur fascismo italiano: in questo senso Felice ha fatto veramente scuola presso quanti hanno avallato la tesi propria del fascismo, di possedere una ideologia non reazionaria, o hanno tratto spunto dalle doti intellettuali di Bottai per presentarlo come filosofo fascista critico. Solo pochi studiosi hanno cominciato, in questi ultimi anni, a presentare un diverso approccio al problema, tenendo presenti i nessi tra la cultura, l’ideologia e gli obiettivi politici del fascismo, e sfuggendo quindi al rischio di esaminare le idee dei singoli intellettuali in modo separato dal contesto in cui operarono: rischio di un genere bioLyttelton, La conquista del potere. Il fascismo, Bari, Laterza, A. Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e romana, in La vita intellettuale italiana, scritti in onore di Croce, a cura di Antoni e Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane. E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista, Bari, Laterza, e Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico, prefazione di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, Cosî L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, Montenegro, Politica estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale, in Studi storici; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi. Né più produttiva appare una lettura solo apparentemente rovesciata, come quella di un Cantimori tutto politico che niente ci dice sul suo mestiere di storico: M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, e le puntuali osser grafico che pur sempre utile e auspicabile anche nei suoi esempi migliori tende a eroicizzare alcune personalità anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro ricerca culturale e politica. Abbiamo quindi ritenuto necessario ai fini di una lettura politica , per quanto possibile, della cultura e degli orientamenti dei suoi produttori nel ventennio porre al centro dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui l’Enciclopedia italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit significativa, in quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di cui il fascismo voleva acquisire il consenso. Istituzioni culturali che non si limitano a una gestione puramente esterna della cultura preesistente , ma producono anche contenuti nuovi, mettendo in circolazione modi di pensare o temi di studio funzionali all’ideologia dominante. Con ciò non vogliamo negare che il fascismo recuperi motivi già presenti nell’Italia liberale come il nazionalismo o le tendenze corporative , secondo l’ ideologia eclettica del Pnf, prima organizzazione politica unificata della borghesia italiana, pronta a raccogliere ogni prestito capace di rafforzarla : motivi che tuttavia la borghesia prefascista a meno di non darle credito di una coerenza e di una preveggenza che non ci pare abbia av uto nel suo complesso ® non era riuscita a connettere saldamente insieme in quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur si avvale di apporti diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che si pone e per la continua interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un linguaggio alla cui formula vazioni di G. Santomassimo in Italia contemporanea ,In questo senso si esprime, oltre ad Asor Rosa (citato nel testo), A.L. de Castris, Gramsci e il problema dell’egemonia negli anni trenta, in Lavoro critico (il numero è dedicato a Le culture del fascismo ). 8Togliatti, Lezioni sul fascismo, prefazione di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti Su questo collegamento tra Italia liberale e fascismo insiste Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia, Padova, Marsilio (su cui gli interventi di R. Romanelli, M.L. o Toniolo in Quaderni storici zione contribuiscono, in misura e con capacità di manovra insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la partecipazione massiccia alle istituzioni del regime dove i collaboratori si confondono con i critici dell’idealismo e, qualche volta, del fascismo stes80 , che è possibile cogliere un aspetto non secondario della trasformazione della presenza cattolica in Italia, non più caratterizzata, come nel prefascismo, da un rapporto preminente col mondo contadino, ma profondamente inserita a tutti i livelli nella moderna società industriale !° con un insieme di scambi culturali che, anche in una prospettiva di lungo periodo, ha un peso ben maggiore della riflessione più propriamente religiosa di quei gruppi élitari nei quali si è voluto cogliere il nucleo della classe dirigente democristiana " Un'indagine approfondita sulla politica culturale del regime ci pare preliminare anche per valutare quelli che .abbiamo chiamato i limiti del consenso . Solo partendo dalla considerazione dell’esistenza di una vasta rete di istituzioni fasciste che producono e trasmettono cultura contro la quale si infrangono i sogni di una cultura al di sopra della mischia propri di un Formiggini è possibile impostare un discorso sulla cultura sommersa durante il ventennio e sui suoi sbocchi nel 1945 e anche in questo caso, più che affidarci ai lunghi viaggi dei singoli, che rischiano di ridursi a personali esami di coscienza senza grande risonanza, abbiamo rivolto l’attenzione ad altri centri di aggregazione degli intellettuali e di diffusione della cultura, le case editrici, pur senza essere stati in grado di fornite quei preziosi dati materiali Rossi, La Chiesa e le organizzazioni religiose, in La Toscana nel regime fascista, Firenze, Olschki, Come ha fatto, analizzando la Fuci e il Movimento laureati cattolici, Moro, La formazione della classe dirigente Cattolica, Bologna, il Mulino; contro una prima formulazione di questa tesi ha polemizzato Pietro Scoppola che però, per esaltare l’impronta di rinnovamento impressa da De Gasperi alla DC, ha ribaltato la sua tesi originaria sostenendo il sostanziale consenso al regime , senza incrinature, dei cattolici (Le proposta politica di De Gasperi, Bologna, il Mulino, dell’azienda editoriale che sono stati pionieristicamente fatti oggetto di studio, per un altro periodo, da Marino Berengo !. Il mancato riferimento alla forza condizionante delle istituzioni del regime è infatti all'origine sia di facili assoluzioni di una cultura che sarebbe passata indenne attra verso il fascismo, sia di altrettanto gratuite reprimende contro l’incapacità di rinnovamento delle forze di sinistra. Fra l’accusa al PCI di essersi fatto carico dell’ ideologia della ricostruzione per cui si sopravva-' luta il significato dell’ inquietudine politica de Il Politecnico , e la riproposizione crociana di una cultura che, sotto il fascismo, si era chiusa su se stessa, rivendicando la propria autonomia: e da una tacita contrattazione col potere aveva ottenuto il permesso di vivere e di svilupparsi nella sua (pseudo) separatezza, vi è infattiuno iato profondo che non permette di spiegare storicamente gli indubitabili ritardi registrabili nel rinnovamento culturale. Il processo di affrancamento degli intellettuali dalla cultura del regime fu in realtà assai complesso, anche quando passò attraverso la difesa dell'autonomia della cultura. Vi può essere stata, da un lato, l’indifferenza di fronte alla politica di molti intellettuali che è all’origine sia di un loro acritico allineamento al fascismo, sia di un arroccamento attorno alla tradizione accademica, che nelle Università trovò alcuni spazi per mantenersi separata dalla militanza politica richiesta dal fascismo, anche se col rischio di un progressivo inaridimento. D'altro canto, in un Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi Cosi Luperini, Gl’intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra, Roma, edizioni di Ideologie. Ne ha parlato Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti per una storia da scrivere, ora in Id., Dallo stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli; G. Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea, e, con ottica diversa, Bongiovanni - Levi, L’università di Torino durante il fascismo. Le Facoltà umanistiche e il Politecnico, Torino, Giappichelli. periodo in cui, e la soppressione completa della dialettica politica, il terreno culturale divenne nel paese un importante termine di confronto per verificare anche l’esistenza di schieramenti tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia della cultura costituî negli intellettuali più consapevoli uno strumento per segnare una rottura nei confronti del regime, in vista della ricostituzione di un rapporto nuovo fra politica e cultura: fu questo il senso della battaglia di Croce, di alcuni dei principali collaboratori di Einaudi in un primo luogo Ginzburg, e di alcuni settori di ascendenza democratica, socialista e positivista per altro ancora da indagare in tutte le loro ramificazioni, che abbiamo esemplificato nel gruppo raccolto attorno alla casa editrice Formiggini. Non bisogna tuttavia dimenticare che la cultura elaborata dagli intellettuali del fascismo impose un arretramento del punto di partenza di una battaglia culturale e politica che nel campo degl’avversari fu necessariamente sfumata, ma anche non priva di oscillazioni, contraddizioni e riflussi tanto che poté apparire anticonformista la ripresa di motivi sostanzialmente non antitetici al fascismo, come nel caso del liberismo di Einaudi, e che perciò non può essere immediatamente classificata nella categoria dell’antifascismo. Se è quindi possibile constatare come tanta parte della intelligenza italiana sboccasse nell’Italia postfascista senza che le trasformazioni di superficie corrispondessero a reali rinnovamenti di fondo, ciò è addebitabile, più che a uno zdanovismo che in realtà non conculcò alcuna esistente cultura rivoluzionaria!, al ben più drastico condizionamento Garin, Intellettuali italiani, Roma, Riuniti. Elementi contraddittori si mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella testimonianza di Franco Fortini: Quando si farà la storia dello stalinismo italiano e si documenterà la repressione avvenuta ai danni di una cultura rivoluzionaria non conformista che, incerta e confusa, pur si veniva formando; e quando si chiarirà fino a qual punto la debolezza intellettuale degli usciti dal fascismo, cioè di noi stessi, abbia cospirato obiettivamente con talune debolezze morali e con operato da tempo dal fascismo: con il risultato che il processo di rinnovamento degli intellettuali italiani si presenterà assai più lento delle trasformazioni politiche del paese. Non ci sentiamo tuttavia in grado di dare giudizi definitivi sulla controversa questione, anche in questo campo, relativa alle continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci preme aver indicato un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e auspicare che i risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e riflessioni. Primo a seguire e incoraggiare questa ricerca è stato Ragionieri, il cui ricordo è difficilmente cancellabile in chi ne ha conosciute e apprezzate le doti umane, intellettuali, politiche: a lui va il mio principale debito di riconoscenza, nella speranza di essere rimasto fedele, almeno in parte, alla sua eccezionale lezione di rigore scientifico. Fra quanti hanno letto interamente o in parte il dattiloscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti, ringrazio in particolare Garin, Mori, Palla, Ranchetti, Soldani e Torrini; e, con loro, i numerosi studenti e amici che hanno discusso la tematica di questa ricerca nei seminari tenuti presso l’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze. Né posso dimenticare chi, regalandomi una stagione felice, ha reso più leggera la mia fatica. Il lavoro non sarebbe stato possibile senza la preziosa collaborazione del personale della Biblioteca nazionale di Firenze e di quanti mi hanno facilitato la consultazione di fondi archivistici: Cappelletti per l’Archivio dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana; Milano e Selmi per l'Archivio Formiggini presso la Biblioteca estense di Modena; la politica culturale stalinista, polemizzando contro quest’ultima da destra e cioè da posizioni radical-liberali invece che da posizioni marziste, allora sarà possibile farsi un’idea meno mitica di certi tentativi, come quelli del neorealismo cinematografico, del Politecnico, ecc. (Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Garzanti. il personale della Fondazione Einaudi; Einaudi, Vivanti e l’archivista Gava per. i documenti della casa editrice Einaudi; Balbo che mi ha concesso la visione delle carte di Balbo da lei tanto amorevolmente custodite, e Bobbio che ha messo a mia disposizione il suo archivio personale. Non è stata invece possibile la consultazione dell’Archivio Gentile, ancora in attesa di una sistemazione che permetta l’accesso agli studiosi. In questo volume si riproducono, con alcune modifiche, i seguenti saggi: Il progetto dell’Enciclopedia italiana: l’organizzazione del consenso fra gli intellettuali, in Studi storici (si limita a riprodurre la tematica di questo articolo, senza nulla aggiungere, la maggior parte del volumetto di Lazzari, L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e potere durante il fascismo, Napoli, Liguori, tributario del mio saggio anche per le fonti); Ideologia e cultura del fascismo nello specchio dell’Enciclopedia italiana, in Stu-di storici; l'introduzione alla ristampa non integrale di Formiggini, Storia della mia casa editrice, Modena, Levi. Il saggio I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi è inedito: per questo ho potuto utilizzare il contributo CNR Ideologia e cultura del fascismo: l’ Enciclopedia italiana. Opere come l’Ernciclopedia, cui Gentile da cosi valido impulso, hanno nella vita di un tempo un peso singolare. E innanzi ad esse, e alla loro penetrazione profonda, conviene chiedersi se, per avventura, taluni giudizi correnti non debbano essere rivisti e corretti. L’osservazione di Garin, fatta per inciso in una ricostruzione generale di LA FILOSOFIA ITALIANA, comport una verifica dell'equazione crociana fascismo-anticultura e cultura-antifascismo, e quindi quel più attento riesame delle vicende culturali fra le due guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo del regime di organizzare il consenso dei FILOSOFI, che attende ancora di essere compiuto sistematicamente. Cosi non solo l’Enciclopedia italiana, utilizzata da studiosi stranieri come fonte sulla dottrina filosofica del fascismo o come espressione dell’orientamento prevalente nella cultura italiana -- ma anche l’opera di Gentile teorico del periodo di consolidamento del fascismo, come lo ha definito Lukàcs, con espressione ben piu corretta della generica formula di filosofo del fascismo, sono rimaste avvolte in un silenzio che è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi condizionamenti subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo (Garin, CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA. Bari, Laterza, Efirov, La filosofia borghese italiana, Firenze, Sansoni, Hobsbawm, Il contributo di Marx alla storiografia, in Marx vivo. La presenza di Marx nel pensiero contemporaneo, Milano, Mondadori, Lukàcs, La distruzione della ragione, Tortino, Einaudi] dopoguerra, che negli anni venti e nel fascismo, e nel giudizio che ne da Croce, hanno la loro origine. Il discorso sulla FILOSOFIA di Gentile, condotto in prevalenza da suoi allievi nel Giornale critico della filosofia italianacon particolare lucidità da SPIRITO, che ha ricostruito le tappe del suo distacco dal maestro come sviluppo degli stessi principi attualisti, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché astratto dall’analisi del fascismo, in cui SPIRITO ha voluto individuare, con un giudizio che richiede di essere specificato, pensiamo in particolare al peso che ha anche sul piano culturale il connubio regime/culto la ragione effettiva della crisi dell’idealismo italiano tale, quindi, da non consentire quell’esame della personalità di GENTILE come promotore e organizzatore di alta cultura sul piano nazionale cui pur richiama il gentiliano Bellezza. Le stesse CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA, di Garin, mosse dall’intento di considerare uomini e dottrine come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo agirono, e attente a non cadere nella troppo sche- [Il primo studio moderno con intenti di completezza è quello di Harris, La filosofia di Gentile (Roma, Armando), condotto però nella costante preoccupazione, come afferma Harris nella prefazione all’edizione originale di vedere how far his actual idealism may be disentangled from its fascist connections, or implicatures [entanglement, Lewis/Short, ‘in-plicatura’]--, da cui discende il giudizio sull’oggettività dell’Enciclopedia italiana. Per una confutazione della critica a Gentile sulla linea liberale condotta da Harris Cerroni, La filosofia politica di Gentile, Società. Per una ricostruzione storica della figura di GENTILE sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di Colapietra, Croce e la politica italiana (Bari, Santo Spirito, Edizioni del centro librario, le osservazioni di Schiavo, La filosofia politica di Gentile (Roma, Armando), e, pur con alcuni accenti apologetici, Lalla, Gentile (Firenze, Sansoni). Spirito, Gentile (Firenze, Sansoni), in particolare l'articolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica di oggi. Di Spirito anche Memorie di un incosciente (Milano, Rusconi). Bellezza, Rassegna degli studi gentiliani più recenti, Giornale di metafisica. L’Enciclopedia italiana] matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo, non colgono compiutamente la funzione mediatrice dei filosofilasciando spesso indeterminato il tempo nel quale operarono, come nota Cantimori auspicandoneluna specificazione. La società, le classi, le università, le istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre che quelle nazionali, ecc. Ccsi che, anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione e particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano imprecisati i condizionamenti del potere politico e gli stessi debiti dei filosofi. Per chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di diverse correnti culturali da parte del regime in vista della creazione de l consenso, ma anche in che misura e perché mutarono nel ventennio i contenuti culturali della filosofia, accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo anche in questo campo l’Italia non si trova nelle stesse condizioni del periodo liberale, lo studio dell’ Enciclopedia italiana può essere particolarmente fruttuoso. Per il momento in cui e ideate, preparate, e realizzata quello dello stato totalitario, l’autorità dei suoi promotori, basti pensare a GENTILE o a VOLPE, l’ampio ventaglio di collaboratori qualificati e il carattere ufficiale che le e impresso fin dall’inizio, rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla scuola, della politica culturale del fascismo, e quindi un test assai significativo per valutarne gl’effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideologia o alla propaganda del regime, anche se con queste connessi. Ma solo tenendo presenti gli obiettivi politici del governo di MUSSOLINI e la decisa sconfitta, anche sul piano culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare come a GENTILE e possibile dare avvio alla colossale impresa enciclopedica, e l'ampiezza dell’adesioni da lui raccolte anche da parte di FILOSOFI non fascisti. Se ancora nell’articolo Forza e consenso, Mussolini puo porre l'accento unicamente sul primo termine poiché il consenso è mutevole core le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai può essere totale, si fa strada una linea politica più articolata e di più lunga durata che, se affida a FARINACCI l’esecuzione del momento della forza e della co-ercizione mantenendolo come necessario presupposto del consenso, punta, dopo la sconfitta delle forze politiche avversarie, ad acquisire l'adesione, non solo passiva, di quegli FILOSOFI ormai senza partito, o incerti, la FILOSOFIA dei quali avrebbe potuto costituire, in assenza di alternative politiche, un fronte di resistenza al regime. Non è un caso che uno degli esponenti del fascismo che più si impegneranno nel tentativo di formare una nuova classe dirigente, BOTTAI, dichiara su Critica fascista che il Pnf dove rivedere la sua azione per conquistare il consenso, e, se pure la crisi conseguente al delitto Matteotti vede le prime incrinature fra quegli FILOSOFI che non hanno ancora preso le distanze dal fascismo in quanto vedeno nella collaborazione di GENTILE una garanzia non solo per le sorti della riforma della scuola, ma anche per quelle del paese basti pensare al pessimismo che si fa strada in OMODEO, o a quello che è stato chiamato l’aventino di Radice, la situazione si presenta favorevole al fascismo per il disorientamento FILOSOFICO che permea le file dei FILOSOFI liberali e socialisti. Quando si apri fra questi FILOSOFI un vasto dibattito sulla sconfitta dello stato liberale e del movimento operaio, mentre GRAMSCI accusa il socialismo di non avere avuto una ideologia, non averla diffusa [Mussolini, Scritti e discorsi (Milano, Hoepli). Bottai, Arzo nuovo: il partito e la sua funzione Critica fascista- [Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi]. ad esempio la lettera di OMODEO a Gentile in Gentile-Omodeo, Carteggio, a cura di Giannantoni (Firenze, Sansoni). Margiotta, Radice: tra attualità ed irrisoluzione storica (Reggio Calabria, Edizioni parallelo). L'Enciclopedia italiana tra le masse , quasi con le stesse parole GOBETTI afferma che i partiti d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande ideologia. Il socialismo non ha trapiantato Marx in Italia, per cui il trionfo fascista si connette a queste condizioni di impreparazione. Mondolfo sostene che da una ripresa di idealismo il nostro movimento non può che trarre nuova forza e nuovo impulso, o cerca di dimostrare che poteva essere morale e vantaggiosa quella che si chiama la collaborazione di classe. Più in generale, la discussione sul marxismo che si svolse su Critica sociale, Rivoluzione liberale e Quarto stato, rimane condizionata più che mai dall’IDEALISMO HEGELIANO dominante, e non poco ancora, da quello più accentratamente soggettivistico, l’attualismo gentiliano. Cosi, se ancora Il Mondo, dopo aver negato l’esistenza di un nesso tra le riforme gentiliane e le ideologie fasciste, puo registrare il fallimento del fascismo nel tentativo d’attrarre nella sua orbita FILOSOFI di studio e di dottrina, di circondarsi della sua classe, dopo il Manifesto degli FILOSOFI fascisti, Croce, pur osservando che il fascismo non solo è indifferente alla filosofia, ma intimamente ostile, sentendo che dalla filosofia sono venuti i pericoli all'ordine sociale, era costretto a notare gl’afaccendamenti inutili e mal graditi di un certo numero di filosofi e fra questi parecchi nostri ex-compagni di studi ed ex-amici che si sono messi al servizio del fascismo in una situazione d’assoggettamento [Gramsci, Che fare? Per la verità, Scritti, Martinelli (Roma, Editori Riuniti). Gobetti, La mostra cultura politica, in Scritti politici, Spriano (Torino, Einaudi). Mondolfo, Una battaglia per il socialismo, Bassi (Bologna, Tamari). Luporini, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi. Il fascismo e la cultura, in Il Mondo ] a ferrea disciplina. A Croce sfugge tuttavia l'ampiezza e la qualità del fenomeno, in quanto rimane convinto che tra fascismo e FILOSOFIA ci fosse un’opposizione in termini. Come partito medio, come idealità che richiede esperienze e meditazione, senso storico e senso delle cose complesse e complicate, e insomma finezza mentale e morale, il liberalismo, è il partito della cultura; e liberale e il nostro Risorgimento, nel quale cultura e amor di patria confluirono. Socialismo e autoritarismo, invece, in quanto partiti estremi, ritengono non poco di astratto e di semplicistico, e perciò, come sono facilmente ricevuti dagl’animi e dalle menti dei pupilli, cosi presentano i segni caratteristici della scarsa o unilaterale cultura, osserva Croce in un articolo che gli era valso da parte di GENTILE, teso a presentare il fascismo come vero liberalismo, l’appellativo di schietto fascista senza camicia nera. Si era alla vigilia della rottura politica tra Croce e Gentile, e il partito della cultura del primo e destinato a rimanere un programma per il future. Le sue preoccupazioni sono tutte volte al future, osserva Gobetti esaltandone l’antifascismo identificato con la ribellione dell’europeo e dell’uomo di cultura, e sottolineando la differenza tra GENTILE DOMMATICO, autoritario, dittatore di provinciale infallibilità e Croce politico, capace di riflessione e di dubbio, detentore di una chiara idea dello stato, che è forza soltanto in quanto è consenso. Ma, se giustamente venne colta in Croce la separazione impossibile tra filosofia e politica, due elementi sfuggeno agl’osservatori contemporanei: la capacità dimostrata dal fascismo, e in particolare da Gentile, proprio [Di Croce, Pagine sparse, Bari, Laterza, Croce, Liberalismo, in Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza. Gentile, Il liberalismo di Croce in Che cosa è il fascismo, Discorsi e polemiche, Firenze, Vallecchi. Gobetti, Croce oppositore in Scritti politici, cli RUN (Garin, Croce o della separazione impossibile fra filosofia e politica in Filosofi italiani (Roma, Editori uniti)] di combinare forza e CONSENSO nel dar vita a istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le più diverse energie FILOSOFICHE, e la tendenza di molti FILOSOFI che facilita l’opera di Gentile a separare (a differenza di Croce) filosofia e politica, nell’illusione di poter continuare a coltivare la prima, anche all’interno delle istituzioni del regime, senza contaminarla politicamente. Esemplare in questo senso appare la vicenda dell’Enciclopedia italiana: opera di FILOSOFI non alla opposizione, come gl’enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente al governo, nata subito sulla base di uno stretto rapporto di compenetrazione fra FILOSOFI e potere politico, pur senza rompere immediatamente, secondo l’impostazione gentiliana, con alcuni esponenti dello stato liberale, la SUMMA PHILOSOPHIAE del fascismo riusci a convogliare verso un unico fine con la parziale eccezione dei cattolici, al tempo stesso collaboratori e critici anche FILOSOFI che non si riconoscevano nel fascismo. Per questo è possibile individuare nell’ Enciclopedia italiana, oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale strumento di diffusione della ricostruzione gentiliana della tradizione filosofica italiana, di una storia della filosofia italiana che è capace di penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più impensati, presso gli avversari più acerbi, raggiungendo sottilmente una egemonia non esaurita, capace di sopravvivere al fascismo. La prima idea concreta di una grande enciclopedia [Cosi Garin nell’introduzione a Gentile, STORIA DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Firenze, Sansoni. L'idea era in tantissimi e si agitava da un trentennio negli ambienti editoriali italiani, ricorda Formiggini rispondendo all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva attribuito la paternità del progetto ( L’Italia che scrive ). Un accenno a un non lontano tentativo di Treves, Demarsico e Barbèra, in Formiggini, La FICOZZA FILOSOFICA del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini] nazionale italiana e concepita nell'immediato dopoguerra, in ambienti di interventisti culturalmente estranei all’idealismo imperante. Comincia a prospettarla Martini, coadiuvato da Menghini, l’appassionato curatore dell’edizione nazionale degli Scritti mazziniani. Ad essi si associerà in un estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore Formiggini, attivissimo nell’organizzazione e nella propaganda della cultura italiana. l progetto, riconosciuto pi tardi punto di partenza per l’enciclopedia gentiliana, non e cosa modesta come tutto ciò che si poteva concepire in quel tempo di smarrimento politico, come cerca di far credere TRECCANI alludendo alla crisi della democrazia liberale precedente la marcia su Roma e all’incertezza dei primi tempi del fascismo. Il momento in cui nacque e la personalità del promotore ne testimoniano l’ampiezza delle prospettive, anche se falli per essere rimasto su un piano puramente editoriale, privo di un generale criterio informatore dal punto di vista culturale ed esposto a quelle difficoltà finanziarie e politiche che TRECCANI e il fascismo faranno superare a Gentile. Si tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una Enciclopedia nazionale come l’hanno la Francia, l'Inghilterra, e la Germania, scrive Martini al fedele Donati, appena insediato il ministero di Giolitti, suo principale obiettivo polemico assieme a Nitti e ai socialisti. Facciamo, per consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che viviamo tristissimi giorni. Dalla constatazione della inferiorità italiana . Biblioteca nazionale centrale di Firenze (d’ora in avanti BNF), Fondo Martini, lettere di Menghini, e G. Treccani, Enciclopedia italiana. Treccani. Idea esecuzione compimento, Milano, Bestetti. Discorso in occasione della presentazione al duce dell’Enciclopedia italiana -- d’ora in avanti E.I., Treccani, Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, Martini, Lettere, Milano, Mondadori. Su Martini , per un parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di Rosa a Martini, Digrio, Milano, Mondadori. L’Enciclopedia italiana] nel campo dell’organizzazione della cultura rispetto ai maggiori paesi europei, scaturisce la necessità, e la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra vittoriosa. Necessità che non è solo espressione dell’orgoglio per la forza politica recentemente acquistata dal paese, da tradursi nell’affermazione della filosofia italiana davanti al resto d’Europa. Essa indica anche un’opera preliminare ancora da compiere, indispensabile alla conservazione di quella forza. Combattere i contrasti interni costruendo, come strumento unificante di egemonia, una cultura razionale. La fierezza per l’unità, indipendenza e sicurezza finalmente conseguite, e la coscienza che l’Italia e arrivata, dopo secoli di asservimento, ad eguagliare le grandi potenze europee, si une nel dopoguerra al tentativo della disgregata classe dirigente liberale timorosa di perdere le sue conquiste con l'avanzata delle masse popolari organizzate e d’ispirazione neutralista, socialiste e cattoliche di rafforzarsi egemonicamente; di qui l’importanza che la battaglia culturale, prescelta anche dalle nuove forze antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza sul significato nazionale o italiano della cultura tradizionale, esaltato dalla guerra, mira a unificare e controllare, a difesa dell’ordine costituito, i filosofi in gran parte già individualmente politicizzati, spesso in senso conservatore, dal clima bellico. Il programma di rivolgimento spirituale sotto il segno dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insiste Gentile di Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di religione, e sostenuto da pi voci nelle pagine di Politica , programma critico del giobittismo come malattia italiana, e in questo senso solo la espressione piu articolata e coerente della borghesia reazionaria che si riconosce nel fascismo, definito sforzo rivoluzionario da VOLPE che lo contrapporta polemicamente a un'immagine di comodo del socialismo. Muove dalla % Ci limitiamo a segnalare Garin, Cronache, e, per un quadro europeo, Hughes, Coscienza e società: storia della filosofia in Italia (Torino, Einaudi). Per un settore particolare Simonetti, Storici italiani e rivoluzionari in Russia, in Il movimento di liberazione in Italia ] accettazione della guerra, anzi dall’esaltazione di quella guerra, e si alimenta di quelle energie morali, di quel senso di disciplina, di quella capacità di iniziativa, di quel coraggio e spirito combattivo che la guerra ha educato negl’italiani, nella borghesia italiana. Accetta ben presto i valori tradizionali della nazione italiana, cioè si nutre di sostanza italiana: condizione necessaria per poter far presa su di essa, per poter avere la collaborazione o anche solo la benevola neutralità delle forze migliori del paese. L’idea di una grande Enciclopedia nazionale, non semplice opera compilativa e divulgativa come le enciclopedie popolari prebelliche, rientra in questo programma di rafforzamento della borghesia italiana, in linea con la ten: denza degli Stati moderni a darsi, dopo crisi di crescita e di ricostruzione, una rinnovata organizzazione culturale (si pensi, per fare un esempio contemporaneo anche se riferito ad un’esperienza opposta a quella italiana, alla Grande enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nell’anno stesso in cui il dibattito sui caratteri della cultura socialista vide prevalere i sostenitori della tesi della cultura proletaria). La disponibilità di Martini a questo programma VOLPE, Storia del movimento fascista, Milano, Ispi, Come l’Enciclopedia popolare illustrate e la Grande enciclopedia popolare, entrambe di Sonzogno. Se la Britannica fu l’enciclopedia da emulare, modello du seguire per un’opera nazionale e piuttosto il Touring Club Italiano, giudicato dall’E. I. nettamente nazionale per la sua vasta penetrazione in tutte le classi sociali (44 vocerm): il suo Atlante Internazionale e utilizzato dall’E. I. in seguito ad apposito accordo editoriale ( anche R. Almagià, Una grande opera italiana di cultura, in Educazione fascista . AIUT.C.I, si richiamarono Formiggini e Martini come modello per la Fondazione Leonardo ( L’Italia che scrive e A.I°. Formiggini). Al carattere essenzialmente nazionale, del ‘T.C.I. accenna Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, Sui caratteri generali del dibattito sulla cultura svoltosi in U.R.S.S. l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e lettera tura. Il dibattito al Congresso degli scrittori sovietici, Bari, Iuterza. La storia dimostra che ogni classe ha creato la sua enciclopedia, aveva affermato Bogdanov proclamando la necessità: di preparare una Enciclopedia operaia ( Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia. Lunabarskij e il Commissariato del popolo L’Enciclopedia italiana sarà testimoniata dalla sua presenza nel consiglio direttivo dell’Istituto Treccani che ne riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche in tutta la sua attività di uomo politico e di cultura: auspice della impresa libica cui attribuiva questo inapprezzabile rinnovamento nostro, questa concordia di popolo di cui l’Italia non ha esempio nella sua storia, la sua azione per l’intervento era stata determinante tanto da guadagnargli l'appellativo di grande apostolo di italianità , come lo chiamò Treccani in occasione della fondazione del suo Istituto. Nel corso della guerra aveva però saputo cogliere la profonda spaccatura tra la classe dirigente liberale e le masse popolati affette dalla tabe del materialismo, il popolo minuto non ha capito il perché della guerra: della patria sente più poco, tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori condizioni sociali, annotava nel Diario, che, a suo giudizio. Nitti e Giolitti non erano riusciti a colmare per debolezza verso gl’elementi torbidi socialisti. Nel dopoguerra si ripresentava il pericolo che di fronte ai primi passi del movimento operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della Pubblica Istruzione a manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli effetti del laicismo liberale: per l’istruzione, Roma, Riuniti). L’E. I. giudica la Grande enciclopedia sovietica condotta secondo un criterio rigorosamente bolscevico, e particolarmente curata nella. parte scientifica e tecnologica (alla voce Enciclopedia). Nella prefazione al vol. I dell’E. I., Gentile sottolineerà il pregio delle vaste opere collettive, che danno disciplina agl'ingegni e forma concreta e definita al pensiero di un popolo. fr. il brano del discorso citato in Croce, dhe d’Italia, Bari, Laterza. Martini, Diarioe Gifuni, Lettere inedite di Martini a Salandra, in L'osservatore politico letterario.Treccani. Kirk del Diario,Giustamente Isnenghi giudica Martini, fra i protagonisti politici, uno dei più franchi o meno reticenti nel collezionare gli indizi di insubordinazione nel paese e di messa in crisi del rapporto tradizionale d’autorità (Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza). Martini, Lettere,di ciò che il Quinet dice con grande efficacia di parole e dimostra con grande autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono di vista l’origine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare ogni cattivo istinto delle plebi; di ciò io sono convinto da un pezzo. Ma dopo il male che woî, tutti noi, caro Giosuè, abbiamo fatto, siamo in grado di provvedere a’ rimedi? A chi predichiamo? Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i miscredenti, intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi che chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè, ritorneremo fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede... abbiam voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola doveva, nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella sostituzione! La sua estromissione dal parlamento dopo quaranta-cinque anni in seguito alle elezioni, e le agitazioni sociali culminate nell’occupazione delle fabbriche, convinsero Martini dell’impotenza del me- (Chabod, Storia della politica estera italiana, Bari, Laterza, da integrare però col discorso di Martini alla Camera, contro l’introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari ( opporre una religione di classe alla lotta di classe, come vorrebbe una borghesia sgomentata dalle minacce del proletariato, sarebbe come trattenere coi fuscelli la corsa delle locomotive : citato da S. Cilibrizzi, Storia parla mentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto, Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri). Ma sarebbe da studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da prima quando fu ministro della P.I. nel primo gabinetto Giolitti (su cui Bertoni Jovine, La scuola italiana, Roma, Editori Riuniti), a quando dichiarò a Crispolti di essere favorevole all'esame di stato per le scuole medie (Lettere). Né è da trascurare, nello scrittore, l’aristocratica toscanità della prosa, guidata da un provinciale buon senso, che si attirò i giudizi negativi di Croce (ora in La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, Bari, Laterza) e di Gobetti (ora in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura diSpriano, Torino, Einaudi), da approfondire nel senso indicato da Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura contemporanea, Roma, Samonà e Savelli) che ha incluso Martini fra i rappresentanti di una fase regionale , ma non per questo meno nazionale, del populismo; tenendo tuttavia presente la vicinanza di Martini ad Ojetti, il cui libro Mio figlio ferroviere (Milano, Treves) fu giudicato dall’amico la vera storia d’Italia, dalle ultime fucilate dei combattenti alle prime bastonate dei fascisti (Lettere), e da Prezzolini uno dei segni precursori della reazione al disordine e alla debolezza dei governi italiani parlamentari del dopoguerra (La cultura italiana, Milano, Corbaccio). L’Enciclopedia italiana todo liberale a risolvere i problemi che il paese aveva ereditato dalla guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel cammino che lo porta ad aderire al fascismo. Lo spirito di riscossa nazionale da cui si senti animata la borghesia liberale interventista nell’immediato dopoguerra e, insieme, i pericoli oggettivi per i suoi propositi e la sua stessa posizione, condizionarono anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle aspirazioni come nel fallimento. Per il suo progetto quello di Treccani ne prevederà all’inizio 32, diventati poi 36 Martini ottenne il patrocinio della Società italiana per il progresso delle scienze (S.I.P.S.), la maggiore organizzazione scientifica del paese che univa alla diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta nazionale ‘; ma per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata copertura finanziaria. Menghini interventista e antigiolittiano, non nuovo ad imprese enciclopediche, che a Roma tenne i contatti con Volterra, Bonfante e Almagià membri del consiglio direttivo della S.I.P.S., inizia trattative con Bonaldo Stringher, direttore della Banca d’Italia e amministratore della S.I.P.S. fin dalla fondazione. Nel Martini, Lettere, (per le elezioni). Per la sua concordanza con Salandra nel giudizio sul fascismo anche R. De Felice, Mussolini il fascista, I. La conquista del potere La, Torino, Einaudi e Gifuni ._ % F. Martini, Leztere, cSulla S.I.P.S. R. Almagià, La società italiana per il progetto delle scienze, in L’Italia che scrive, e il breve cenno di L. Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati. Scriveva a Martini: Il popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con l’esempio che ha di tanti malgoverni? Cosa debbono pensare le madri dei cinquecentomila figli morti, quando sentono che la guerra si doveva evitare? ; anche, contro Giolitti, la lettera. Sulle stesse posizioni era Alessandro Donati, ad es. nelle lettere a Martini (BNF, Fondo Martini). Aveva diretto l’Enciclopedia contemporanea illustrata edita da Vallardi, Milano (fra i collaboratori, Emilio Bodrero e Roberto Paribeni). % Per l’elenco delle cariche sociali della S.I.P.S. dal 1907 ad es. Atti della Società italiana per il progresso delle scienze. Undicesima riunione, Trieste, Roma, Società italiana per il progresso, attenuatesi le difficoltà economiche dell’anno precedente, Stringher che aveva cointeressato anche Pogliani della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio della Commerciale e il finanziere Della Torre che controllava un’imponente catena editoriale promise il suo appoggio; fu incaricato della realizzazione l’editore Bemporad, mentre Menghini cominciò ad interpellare gli eventuali direttori dell'impresa fra cui, sembra, Gentile. Ma le incertezze delle banche non erano ancora vinte anche dopo la presentazione da parte di Bemporad di un progetto molto ridotto rispetto a quello originario , per cui Martini accettò il consiglio di Stringher di affidare la realizzazione dell’enciclopedia a un gruppo editoriale da promuoversi attorno a un editore di prima grandezza . La scelta cadde su Angelo Fortunato Formiggini e sulla Fondazione Leonardo da lui creata: fu questa la via per la quale l’idea passerà a Gentile. I propositi culturali nazionali della Leonardo, analoghi a quelli di Martini che ne fu il primo presidente, si affiancavano a quelli dei numerosi istituti di propaganda culturale nati o nuovamente sviluppati nel dopoguerra, ma con un'impronta originaria prima dei condizionamenti governativi e dell’intervento di Gentile nettamente diversa dal deciso accento politico e nazionalistico che fin dall’inizio aveva avuto, ad esempio, la Alighieri ‘ delle scienze. Si profilò il pericolo di una concorrenza al progetto di Martini, da parte di un editore di Bergamo, che sembra si fosse assicurata la collaborazione di Gentile, Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo Martini, lettere di Menghini, e di Donati). Per tutto l'andamento delle trattative le lettere di Menghini a Martini. Sulle compartecipazioni editoriali di Pogliani, Fenoglio e Della Torre, utili notizie in V. Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza. Menghini a Martini. Passando per Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna? Io potrei incaricarmi del Gentile: Martini, Stringher, Volterra son già de’ nostri. Come fare per Marconi, Luzzatti, Ciamician e Murri? (BNF, Fondo Martini). Su Bemporad editore negli anni venti di Critica sociale , A. Gramsci, Quaderni del carcere, e l'intervento di Piero Treves in La Toscana nel regime fascista, Firenze, Olschki, Sulla funzione di grande milizia civile svolta dalla Dante Alighieri, fondata da Ruggero Bonghi, Barbèra, La Dante. L’Enciclopedia italiana l'opera di Formiggini si rivolgeva soprattutto all’interno, in un tentativo di unificazione culturale che con la rivista bibliografica L’Italia che scrive , trovava in tutta la sua attività prebellica i motivi della sua estraneità all’idealismo e dell’avversione per la setta filosofica gentiliana giudicata tirannide dottrinale contraria alla manifestazione delle diverse correnti culturali L’intento di sviluppare all’estero la conoscenza della cultura italiana aveva portato. Formiggini ad un incontro con le prospettive nazionalistiche degli organi statali preposti alla stampa e alla propaganda e, su queste basi, alla creazione dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana che, dopo aver ottenuto un sostegno anche da parte degli industriali, fu inaugurato ufficialmente a Roma ed eretto in ente morale, col nome di Fondazione Leonardo, nel novembre dello stesso anno, con Alighieri, relazione storica al Congresso (Trieste-Trento), Roma, Società nazionale Alighieri, e Id., Quaderni di memorie stampati ad usum delphini, Firenze, Barbèra, dove è anche una professione di fede di Barbèra, segretario del Consiglio centrale della Dante ( non son socialista, perché credo la essenza di tal dottrina contraria a natura e giustizia, e poiché essendo essa necessariamente internazionale è contraria al principio di nazionalità che è anch'esso legge di natura), conforme ai fini della Dante, nata a rinnovare il pensiero della Patria negli emigrati e nel proletariato che, ansioso di migliorare le sue penose condizioni, sentî il bisogno di organizzarsi per le rivendicazioni dei suoi diritti e di allearsi al proletariato degli altri paesi con vincoli internazionali (Barbèra, L’Alighieri). E consigliere della Società anche Martini. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. Sulla figura e l’opera di Formiggini. Formiggini ottenne per le Guide bibliografiche il patrocinio della Commissione per la propaganda del libro italiano all’estero, presieduta dal nazionalista Gallenga Stuart (L'Italia che scrive), suscitando i dubbi di Gobetti sull’efficacia e l’imparzialità culturale dell’iniziativa (ora in Scritti politici); anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda di guerra all’estero, in Storia contemporanea . E annunciata la costituzione dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana sotto la presidenza di Martini e Comandini (commissario per la propaganda all’Interno) e, fra i consiglieri, il direttore del Giornale d’Italia Bergamini, Buonaiuti, Formiggini, Croce, Einaudi, Prezzolini (L’Italia che scrive; anche il frontespizio). Martini presidente, Orso M. Corbino vice-presidente, Gentile e Amedeo Giannini delegati rispettivamente del ministro della Pubblica istruzione e di quello degli Esteri, Almagià e Chiovenda consiglieri, Formiggini consigliere delegato alle pubblicazioni. I nuovi accordi e le nuove compagnie si dimostrarono subito pericolosi e condizionanti, tali da non permettere che l’ente svolgesse quel compito di equilibrata armonizzazione di correnti opposte che Formiggini sperava ereditasse dalla sua rivista. Il suo ideale di imparzialità si rivelò un’arma a doppio taglio, permettendo in questa fase che altri utilizzasse l’iniziativa per i propri fini. Il consiglio direttivo della Leonardo, dicendosi convinto che la forza di espansione necessaria alla cultura italiana non possa derivare da artificiali argomenti di propaganda, ma soltanto dal valore stesso della nostra cultura, affermava con linguaggio trasparentemente gentiliano che creare la cultura è la prima condizione della sua propaganda; ma la cultura non esiste se non nello spirito che l’alimenta accogliendola e sentendola ; considerava quindi necessario organizzare un lavoro di propaganda interna diretto a ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura italiana fu veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al patrimonio spirituale dell'umanità, e affidava questo compito a una serie di conferenze tenute da Gentile, Croce, Scialoia, Farinelli, Rossi, Ricci. Era un chiaro rifiuto del programma culturale di Formiggini e della sua casa editrice. L’iniziativa di quest’ultimo divenne impersonale , cioè nazionale , come egli stesso dichiarò, e la Fondazione si propose, secondo le dichiarazioni di Martini, di propagare il pensiero nazionale fra i popoli civili e ciò non con intenti imperialistici, ma unicamente col proposito di far sapere chi siamo e che cosa facciamo . Ma in breve tempo Gentile, forte dell’appoggio governativo, riusci ad assumere il controllo della Fondazione presieduta da Bonomi, separandola progressivamente da L'Italia che scrive , sull’esempio della quale e utilizzando molti dei suoi collaboratori modellerà L’Enciclopedia italiana più tardi il Leonardo affidato a Prezzolini e poi a Russo. L'assemblea sociale della Fondazione, manipolata da Gentile promotore della marcia sulla Leonardo, stando alle accuse di Formiggini®, rovesciò il consiglio direttivo, che fu ristrutturato sotto la presidenza del nuovo ministro della Pubblica istruzione del primo gabinetto Mussolini L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel ’25 dall’Istituto nazionale fascista di cultura, mentre Formiggini continuerà ne L'Italia che scrive a inseguire ingenuamente il suo sogno di rispecchiare, in una Italia in cui molte voci andavano ormai spengendosi, tutte le correnti della cultura nazionale, senza comprendere come fosse ben diversa dall’opera di armonizzazione da lui auspicata la volontà esplicita del Governo di assumere la diretta gestione di tutti gli organismi di propaganda nazionale. La parabola della Leonardo segna il destino dell’Enciclopedia nazionale progettata da Martini: proprio nella seduta che sanzionò ad opera di Gentile il definitivo distacco dell’Istituto da L’Italia che scrive , Formiggini comunicò al consiglio direttivo della Leonardo di essere stato incaricato da un gruppo di amici che facevano capo a Martini , rimasto presidente onorario della Fondazione, di realizzare una Grande Enciclopedia Italica per sodisfare la lunga attesa della Nazione e dar vita ad un’opera che, mercé una larga diffusione in Italia e nei centri culturali stranieri, giovi gagliardamente al progresso intellettuale del nostro Paese L'Italia che scrive. Formiggini. Con Gentile presidente e A. Giannini vice-presidente, erano consiglieri R. Bottacchiari, G. Calabi, Codignola, Giglioli, F. I Massuero, Radice, V. Rossi (Leonardo). Cosî afferma Formiggini, ancora in epoca fascista (Venticinque anni dopo, Roma, Formiggini; anche Trent'anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini). Ancora come attesta Salvemini, Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. e al buon nome dell’Italia nel mondo . Ritenendo impossibile ricalcare le orme della Britannica, Formiggini ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto originario di Martini 18 invece di 24 volumi, e ne affidò la realizzazione a un costituendo consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche dei maggiori periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della Società italiana per il progresso delle scienze. I redattori sarebbero stati scelti fra i membri di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e della Leonardo, che avrebbero lavorato sotto la direzione non di un filosofo o di uno scienziato, ma di un tecnico, un bibliografo e bibliotecario, per rendere la Grande Enciclopedia Italica, come voleva Formiggini, specchio completo e obiettivo dello stato presente della nostra cultura, opera espositiva e di coordinamento delle varie dottrine : era respinto il consiglio di Croce di non fare opera eclettica, perché una Enciclopedia deve avere un’anima sua, una sua coerenza, condiviso anche da Gentile Ma la marcia sulla Leonardo travolse Formiggini, che fu abbandonato da Martini; questi continuerà a coltivare la speranza di attuare l’enciclopedia, finché non confluî nell’iniziativa gentiliana, mentre Formiggini, abbandonato il vecchio progetto , riuscirà a dare inizio a una nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- [All'annuncio dell’E.I., Formiggini scriverà che il Gentile di oggi (l’ho detto) non è più quello di ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale avrebbe voluto una enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale concorressero ad uno stesso fine concettuale ( L'Italia che scrive ). Menghini scriveva a Martini che il trionfo della tesi del Formiggini fu quello di Bemporad, e che non si tratta pit di una enciclopedia scientifica, ma di una a base Larousse , e concludeva: appena potrò, vedrò il Gentile, a cui narrerò tutto: e spero interessare il Governo alla impresa (BNF, Fondo Martini). Martini, Lettere (a Formiggini). Formiggini, Programma editoriale della collezione e L'Enciclopedia Italica, in L'Italia che scrive. L’Enciclopedia italiana getti ®: ma quando ormai l’idea della Enciclopedia italiana, ereditata da Gentile assieme alla Leonardo, era stata rilanciata dall’Istituto Treccani. L'intervento di Treccani e Gentile Il progetto di Martini fu realizzato fuori del ristretto ambito editoriale in cui era stato confinato da Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile; ma il rapido successo dell’iniziativa privata di Treccani e Gentile fu reso possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fascismo, che favori una stretta compenetrazione tra interessi politici industriali culturali, e fece sentire l’opera utile, anzi necessaria © alla cultura e alla forza dello Stato nel quadro di una più generale riorganizzazione del potere: il carattere nazionale dell’enciclopedia non si presentò più solo come aspirazione da raggiungere espressione di italianità frutto di tutte le forze intellettuali del paese , ma anche come conseguenza del nuovo ordine che si autodefiniva nazionale. Gentile, presidente della Leonardo e, fino al giugno di quell’anno, ministro della Pubblica istruzione, riprese e sviluppò il progetto di Martini, trovando un pronto aiuto economico nel senatore Giovanni Treccani, la cui figura Cosî annunciata ne L'Italia che scrive. È noto che avevo studiato il piano di una Grande Enciclopedia Italica e che altri sta realizzando con grande abbondanza di mezzi quello che era stato il mio proposito. Mi si rimproverava allora di voler dare uno specchio fedele di tutte le correnti del pensiero degne di considerazione senza asservire l’opera ad una particolare tendenza: oggi ho la giusta soddisfazione di vedere che quel mio concetto è stato pienamente accolto. Le mutate condizioni della vita culturale italiana mi fanno però rimeditare su quanto Croce ebbe a dirmi in proposito: egli affermava che una Enciclopedia deve assolutamente avere un’anima sua propria, ed io allora non vedevo quale delle tendenze spirituali avrebbe potuto imporsi come perno di tutto lo scibile: oggi mi apparisce ben chiaro e non dubbio quale debba essere il nucleo ideale di una simile impresa. L’E.I. è qualificata necessaria in tutti i discorsi di Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento). Entrato io in Senato, il sen. Gentile (al quale mi legavano rapporti di cordialità per la parte da lui avuta come Ministro della di industriale-mecenate rappresenta il più ampio e politicamente nuovo intervento dei grandi gruppi economici nell’attività editoriale. Alla morte di Rossi, il protezionista considerato precursore dell’ideologia corporativa, cui Treccani dedicherà un significativo ritratto nell’Enciclopedia, era entrato nel Rossi di cui divenne presidente, e opera come amministratore delegato il salvataggio del Cotonificio Valle Ticino, intorno al quale sorsero altre aziende tessili, tutte basate sui principi, cari al Treccani, della divisione del lavoro e dell’indipendenza della funzione industriale, a tutti gli effetti giuridici ed economici, da quella commerciale, anche allo scopo di mettere le maestranze al riparo dai disastri eventuali della speculazione, ma soprattutto, come Treccani dichiarò di fronte allo spettro della rivoluzione leninista apparso con l'occupazione delle fabbriche allo scopo di raggiungere la conciliazione sociale spoliticizzando gli operai, cooptati nella direzione di aziende puramente industriali di tipo corporativistico, private dei più vasti poteri decisionali delle aziende puramente commerciali ©. Presidente di numerose società tes Pubblica Istruzione, allora si diceva cost al recupero della Bibbia di Borso d’Este) mi segnalò quel naufragato progetto, affinché io vedessi se avevo la possibilità di attuarlo , ricorda Treccani. Il progetto prevedeva 32 volumi, diventati poi 36, e un Dizionario biografico degl’italiani; furono spesi circa 15 milioni per i soli collaboratori, e 100 per tutta l’opera di 25.000 copie. Lanaro, Nazionalismo e ideologia del blocco corporativo-protezionista in Italia, in Ideologie. Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia, Padova, Marsilio. Di Rossi Treccani scriverà nell’E.I. che considerava primo elemento di potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo, preparato con sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi sociali. Ebbe vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i dipendenti e considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da quello degli operai e da quello della nazione : dove, pur fatte le dovute concessioni alla data di stesura della voce, sono accennate le origini nazionaliste e cattoliche del corporativismo. % l’anonima voce Treccani in E.I., eRossi, Dall’Olona ai Ticino. Centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La tipografica Varese. In modo che l’operaio industrializzato perderebbe l’abito di far L’Enciclopedia italiana sili, chimico-meccaniche, agricole membro fondatore della società agricola italo-somala ed editoriali, Treccani si prodigò in quell’opera di mecenatismo che, soprattutto con l’acquisto e il dono allo Stato della Bibbia di Borso d’Este, gli valse a nomina a senatore. Il mecenatismo di Treccani, e di altri industriali o finanzieri quali Gualino, non era, come osservava Gramsci, disinteressato: le loro iniziative culturali erano illuminate autoprotezioni che, dichiarando paternalisticamente di favorire l’interesse generale nazionale, aiutavano di fatto quello delle classi dirigenti e l'ordine sociale costituito. A Enciclopedia compiuta Treccani affermerà che si può contribuire al progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza essere letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e aiutando questi; e spetta specialmente a coloro che, in un determinato momento, detengono la ricchezza promuovere atti di gene rosità e di rischio, perché solo facendo compiere al capitale un'alta del lavoro una funzione politica, e questa eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori e al di sopra di quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori e al di sopra, che un qualunque movente politico, in una eventuale lotta, non sarebbe possibile concepire se non attraverso a un tentativo criminale di sovvertimento sociale, o meglio a una aberrazione della coscienza operaia, la quale vorrebbe allora precipitare nel baratro di una eclissi storica la nazione e la società. Treccani, Capitale e lavoro, in Risorgimento . Il diritto nuovo. La rivista Risorgimento , fondata da Treccani e diretta da Arrivabene, e su cui scrisse anche Corradini, è definita dall'E.I. di spiriti nettamente nazionali (alla voce Treccani). Per tutta la sua attività culturale e benefica Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, Milano, Bestetti, (tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo rivolte all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta nella infornata ( Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza), era stata raccomandata da GENTILE a MUSSOLINI (Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Quaderni del carcere. Accenni a Gualino il fondatore della Snia-Viscosa e vice-presidente della Fiat che finanziò le ricerche di Egidi e Chabod a Simancas in AA.VV., ln memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica pinerolese, Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni. funzione sociale, esso può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del suo progresso, del suo divenire; e che la scienza, alimentando le applicazioni pratiche cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura è largitrice di beni morali ed economici, che elevano la dignità del popolo e il suo tenore di vita. Frutto del rafforzamento e della concentrazione dell’industria accelerati dalla guerra e dal fascismo , l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta compenetrazione dei gruppi di pressione economici Treccani vi interessò anche il segretario dell’Associazione cotoniera Riva, e per la realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e Treves? con interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala in Italia per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando in modo mediato l’editoria divenuta, come la definî Vallecchi, industria delle industrie, e immediato la stampa quotidiana. La libera iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò che non era riuscito alla Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di organizzazione culturale promossa da Gentile, che dopo l’esperienza bellica era venuto accentuando il valore politico della Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il fascismo, ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo d'industrializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti. L’E.I. fu realizzata con grande fede nella disciplina e produttività delle forze intellettuali italiane nonché nella resistenza dell'economia nazionale , affermò anche dopo la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità, in Il Corriere della sera). Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, e U. Ojetti, I taccuini. Firenze, Sansoni, che parla anche di trattative tra Fracchia e Treccani su un nuovo giornale letterario, probabilmente La fiera letteraria .Vallecchi, Ricordi e idee di un editore vivente, Firenze, Vallecchi. L’Enciclopedia italiana cultura, la critica alla scienza spettatrice della vita e all’arcadia, in vista della formazione di una nuova classe dirigente. La direzione gentiliana di Accademie e Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di case editrici, affermatisi nel periodo fascista, ebbero nel campo dell’alta cultura un’incidenza pari se non superiore, perché stabili per un quindicennio, alla stessa riforma della scuola nel settore educativo. Quando questa comincia ad essere svuotata dei suoi caratteri originari, GENTILE inizia proprio con l’Exciclopedia e per mezzo del vasto potere di controllo su un gran numero di intellettuali da essa conferitogli ad esercitare una vasta egemonia culturale che induce a riconsiderare, nel quadro di tutta LA FILOSOFIA ITALIANA del ventennio e del secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce attraverso La Critica e la Casa Laterza, opera su cui finora si è insistito in modo esclusivo e spesso pregiudiziale, identificando polemicamente la cultura con l’antifascismo. Se la semplice somma numerica delle organizzazioni e degli FILOSOFI controllati materialmente da GENTILE non è sufficiente, allo stato attuale degli studi, a Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti ricordare La moralità della scienza, in Scritti pedagogici, La riforma della scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli; Che cosa è il fascismo, cit.; Fascismo e cultura, Milano, Treves; Origini e dottrina del fascismo, Roma, Istituto nazionale fascista di cultura. Quello del contatto organico tra l’intelligenza e le classi dirigenti era allora il problema sostanziale di LA FILOSOFIA ITALIANA posto fin dall’inizio della rinascita idealistica, ma rimasto insoluto per la vittoria della vecchia Italia, osservava Togliatti a proposito de coltura italiana di Prezzolini (Opere, a cura di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti). Ricordiamo solo la Commissione Vinciana, la Leonardo e l’Istituto nazionale fascista di cultura, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Istituto italiano di studi germanici, l'Istituto italiano per il medio ed estremo Oriente, la casa editrice Sansoni, le collane di Le Monnier, il GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Educazione fascista. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Bellezza, Bibliografia degli scritti di GENTILE – LA FILOSOFIA DI GENTILE -- Firenze, Sansoni, Lalla, GENTILE, Firenze, Sansoni). Cosi Garin, La Casa Editrice Laterza la filosofia italiana, ora in LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari, Laterza, che pur avverte sempre la larga interdipendenza delle filosofie crociana e gentiliana. spodestare Croce dal suo trono di papalaico ciò implicherebbe negare la persistenza dell’influenza crociana, è da tener presente almeno l’importanza pratica delle iniziative gentiliane: esse mirarono a coagulare attorno a un nucleo di tradizione nazionale e fascista e quindi contribuirono a far sopravvivere nel quadro dell’ideologia eclettica del regime forze intellettuali operanti in campo filosofico. È significativo chequando le revisioni interne e gli attacchi contro il ATTUALISMO si erano in gran parte già consumati, un rapporto anonimo inviato a MUSSOLINI presentasse GENTILE come pericoloso inquisitore nel campo dell’organizzazione della filosofia. Si va determinando nel campo dell’Editotia Italiana, specialmente attraverso le sovvenzioni dell’I.R.I., un accaparramento sempre più sensibile di case editrici da parte del Senatore GENTILE. Egli già dirige direttamente o indirettamente le Case Editrici Lemonnier e Sansoni: le quali, a loro volta, dispongono delle case dell'Arte della Stampa e di Ariani in Firenze. Dirige l’Enciclopedia Italiana e controlla, perciò, un esercito di FILOSOFI collaboratori che debbono per forza di cose obbedirgli. Sono note le vicende delle case Treves e Tumminelli in cui Gentile era grande parte. Sano noti i rapporti con le altre case attraverso i contatti con allievi o amici, quali CARLINI e CODIGNOLA. Può dirsi quindi che oggi è molto difficile fare uscire un saggio di FILOSOFIA in Italia senza il visto di questo nuovo Sant’Ufficio di nuovo tipo. Si dice, inoltre, che presto la casa Bemporad e diretta da GENTILE, venendo cosî ad aumentare il numero delle case affiancate o asservite. Occorrerebbe vedere, con opportuni e delicati approcci, se non fosse il caso di studiare il modo di immettere nella vita della filosofia fascista la Casa Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una volta immessa nella vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso all’attuale disquilibrdio di forze editoriali Rapporto anonimo pervenuto a MUSSOLINI, in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato; per l’accusa a GENTILE di estendere la sua EGEMONIA FILOSOFICA attraverso l’E. I. GENTILE forma, più di CROCE, una SCUOLA FILOSOFICA. Ed ha FILOSOFI discepoli entusiastici e fedeli, forse anche troppo; ed appare un animatore e Documento di parte, certo, ma che accanto ai limiti della opposizione crociana e alla spregiudicatezza ideologica del regime pronto a strumentalizzarla indica solo per difetto i canali differenziati di diffusione culturale di GENTILE e di I GENTILIANI. Nei primi anni del fascismo l’opera di GENTILE e funzionale alla necessità politica del regime di unificare e organizzare le disperse forze della FILOSOFIA della borghesia liberale. Soprattutto dopo l’unificazione col nazionalismo pit attento ai problemi di politica FILOSOFICA proprio perché da una tradizione filosofica nazionale vuole trarre i motivi della sua collocazione nella storia della filosofia italiana, il fascismo accompagna l’azione repressiva dello squadrismo con quell’opera di graduale allargamento del consenso, fatta di concessioni ai gruppi capitalistici e alle forze culturalmente egemoni che gli permette di schiacciare le opposizioni. Valido strumento e dapprima la gentiliana riforma della scuola con FEDELE resa p DIS conforme alle istanze della borghesia, poi, superata la crisi Matteotti e instaurata la dittatura, l’opera di appropriazione di correnti filosofiche diverse assegnata a GENTILE, parallela a quella svolta contemporaneamente sul piano politico verso i fiancheggiatori, e dopo sostituita dalla ricerca dell’appoggio dei borghesi. Non è un caso che Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana e costituito. Salutato con entusiasmo da GENTILE, segna la fine dei governi di coalizione. FARINACCI divenne segretario del Pnf, carica che terrà fino al marzo direttore spirituale. Sostiene le sorti della sua scuola e dei suoi scolari con la fede di un uomo di parte, ricorda ancora PREZZOLINI (La filosofia italiana). Tomasi, Idealismo e. fascismo nella scuola italiana, Firenze, È Nuova Italia. Gentile a Mussolini. Eccellente il discorso di ieri. Il paese tutto si sveglia e torna a Lei. La prego poi di ricordarsi che in questi giorni bisognerebbe dar forza ai Quindici, emanando il Decreto Reale -- copia in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Sebbene l’opera si assicurasse l’alto patronato del re e le dichiarazioni ufficiali di Treccani e Gentile non facessero quasi parola del fascismo, la sua data di nascita indica il peso determinante che nella sua realizzazione ebbe l’avvento della dittatura. La segreteria Farinacci sembrerebbe contrastare con lo spirito informatore dell’impresa; in realtà la linea estremista del fascismo, pur polemizzando con l’iniziativa gentiliana, non riusci a condizionarla. Anche in campo filosofico le due anime del fascismo, tradizionale e rivoluzionaria, trovarono ciascuna un proprio spazio e una propria funzione. Che la nascita dell’Enciclopedia e l’indirizzo da essa rappresentato non fossero casuali, frutto esclusivo di un’iniziativa individuale, ma rientrassero in un più vasto programma di politica culturale del regime, è dimostrato anche dal sorgere accanto ad essa di numerosi altri istituti di alta cultura, quali l’ISTITUTO DI STUDI ROMANI di Paluzzi, l’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA Istituto nazionale fascista erede materialmente della Leonardo di Formiggini o delle varie Università popolari e affidato a GENTILE, la SCUOLA DI STORIA di VOLPE e L’ACCADEMIA D’ITALIA, tutte istituzioni rivolte, con programma e su piano filosofico, a promuovere studi e ricerche ispirati sempre ad IL PRIMATO DELLA CIVILTA ROMANA nel mondo, con una funzione interna analoga a quella svolta, all’estero, da appositi organismi culturali che, in modo graduale e illuminato, miravano a orientare favorevolmente verso il fascismo l’opinione pubblica, Come appare dal Manifesto al pubblico (in Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento). Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e Istituti di cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, Una prima ricerca è quella sul CNR di Maiocchi, Scienza, industria e fascismo, in Società e storia . Sulla figura di VOLPE v. Cervelli, VOLPE, Napoli, Guida, e, per qualche cenno sulla sua vasta opera di organizzazione degli studi storici nel periodo fascista, ancora da studiare, Turi, Il problema VOLPE, Studi storici. Frezza Bicocchi, Propaganda fascista e comunità italiane in Lo specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana. Il governo facilita economicamente la realizzazione della Enciclopedia, intervenendo su sollecitazione di GENTILE per l’accordo editoriale fra l’Istituto Treccani e il Touring Club Italiano che fornisce il corredo cartografico dell’opera, e costituendo l’ente nazionale ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA. E sempre il regime condiziona direttamente l’impresa, garantendone il controllo ecclesiastico, e utilizzandola poi come canale di diffusione della sua ideologia, come nella voce Fascismzo. Ma l’Enciclopedia si presenta come opera nazionale, testimonianza di un primato italiano da rivendicare di fronte agli altri paesi, nel senso già indicato da MARTINI. Solo con l’uscita e in una diversa situazione politica, il suo carattere nazionale e precisato con l’istituzione del rapporto di continuità risorgimento/grande-guerra-fascismo. La Casa Italiana, Columbia, Studi storici. La prefazione alla E.I. ricorda come il maggior tentativo di una enciclopedia italiana e stato fatto in Italia negli anni forieri del Quarantotto, nel più vivo fermento della ridesta coscienza nazionale del popolo italiano, come il disegno e il proposito dell’Enciclopedia siano maturati dopo la grande guerra in cui gl’italiani, per la prima volta dacché raccolti in unità nazionale, fecero esperimento di tutte le loro forze materiali e morali, e superarono la prova con una grande vittoria, e che il clima che rende possibile un'opera come questa è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo. E Treccani. Ad ogni movimento nazionale concluso, si è sempre sentito il bisogno di questo esame delle proprie possibilità filosofica. Anche Filiberto, restaurato lo stato, idea un’Enciclopedia col nome di Teatro Universale, rimasta però allo stato di Progetto. Ed altrettanto fanno gl’uomini del nostro Risorgimento, che ci diedero l’Enciclopedia Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del Risorgimento, opera lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto dalla guerra vittoriosa e dal fascismo, non puo rimanere sterile in questo campo. Negli stessi termini Bosco, Enciclopedia Italiana, in Panorami di realizzazioni del fascismo. Gl’Istituti del Regime, Roma, Panorami di realizzazioni del fascismo. Già il Manifesto ricorda, oltre al clima della vittoria, il tentativo fatto in Torino negli anni più maturi L’insistenza sul significato nazionale dell’impresa di cui solo pochi colsero gli equivoci, e il pericolo di una riduzione nazionalistica della filosofia si dissolve presso gl’incerti o gl’oppositori del fascismo o di Gentile il dubbio che l’opera e politicamente e FILOSOFICAMENTE di parte. Tutte le dichiarazioni di Treccani e Gentile rispettivamente PRESIDENTE DELL’ISTITUTO e DIRETTORE dell’Enciclopedia sono ispirate a questa preoccupazione. L’atto costitutivo dell’Istituto auspicava che l’opera e scritta con la collaborazione di quanti filosofi sono in Italia competenti in ogni ordine di scuole, e governata da un alto concetto di quello che è stato ed è il carattere ed il valore della civiltà italiana nel mondo, nonché dal desiderio e proposito che tutte le forze filosofiche della nazione siano, per questo lavoro che interessa tutta la nazione, messe a profitto, in modo che riuscisse opera, cosî dal rispetto filosofico, come da quello nazionale, degna delle più nobili tradizioni del popolo italiano. L’art. 4 si preoccupa di specificare che l’Istituto s’inspira bensi alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano e degl’alti destini a cui esso può e deve aspirare. Ma è a-politico nel senso assoluto della parola. Anche il del Risorgimento nazionale, quando tutto lo spirito italiano senti piu urgente il bisogno del suo rinnovamento e di una vita più intense. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Sulla Nuova enciclopedia popolare del Pomba Bottasso, Le edizioni Pomba, Torino, Biblioteca civica, Cfr l’articolo Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in L'Unità (lo pseudonimo dell’autore non è completamente leggibile. Gl’uomini della dominante borghesia italiana vorrebbero adesso nazionalizzare la internazionale della filosofia, facendo un grande monumento di dottrina filosofica INDIGENA, mentre una enciclopedia, per servire degnamente alla filosofia, deve essere opera vastissima di filosofia universale, enorme massa di parole e di voci che vanno distribuite fra quanti filosofi dotti possono più sicuramente parlare su ciascuna di esse. Se si farà, sarà, pur troppo, un documento di fragorose chiacchiere e di malfatte compilazioni, conclude l’articolista esprimendo il dubbio sulla capacità del fascismo di realizzare un’opera di tanta mole e di cosi universale sapete. Treccani, Exciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Treccani dichiara: La politica qui non c'entra, né deve entrarci. E il caso anzi di dire che se la politica può dividere gl’uomini, LA FILOSOFIA li deve tutti unire -- parole che ricordano quelle di GENTILE nell’articolo Contro Manifesto al pubblico dichiarava l’IMPARZIALITA filosofica e politica dell’Enciclopedia, quasi con gli stessi termini già usati da FORMIGGIN. A questa ENCICLOPEDIA che e specchio fedele e completo della filosofia italiana, sono chiamati a collaborare tutti i FILOSOFI d’Italia; e dove sia opportuno non si tralascerà di invitare a fraterna collaborazione i filosofi d’altri paesi, come la GERMANIA, più particolarmente versati, com’è naturale, nelle materie – e. g. HEGEL -riguardanti le rispettive loro nazioni. Ma di quanti sono in Italia che abbiano in una disciplina e in uno speciale argomento una loro competenza, l’Istituto confida che nessuno vuole negare il proprio contributo e il proprio nome a questo lavoro, che vuol essere opera nazionale superiore a tutti i partiti politici come a tutte le scuole filosofiche, e puo riuscire, per la sua complessità, la maggior prova filosofica dell’Italia nuova Le dichiarazioni di imparzialità convinsero FORMIGGINI che giudica l’ATTUALISMO ormai privo di aggressività per aver esaurito la sua funzione, non chi vede, l’agnosticismo della scuola: la politica divide, e la filosofia unire (Che cosa è il fascismo). Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Cosi VOLPE cerca di sostenere l’obiettività dell’E.I.: Se per Enciclopedia fascista si intende un’opera in cui ogni articolo, pagina, rigo sia coordinato e SUBORDINATO AD UNA DETERMINATA VEDUTA FILOSOFICA e politica, questa nostra non è l’Enciclopedia del Fascismo. Non è, come la Enciclopedia FRANCESE, la Enciclopedia dell’ILLUMINISMO. La Enciclopedia italiana neppure se lo è proposto. Né e forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un quadro PERFETTO della filosofia. E questo ha il suo valore per il Fascismo. L’Enciclopedia italiana, per quel tanto che può avere una veduta filosofica, ha una veduta che perfettamente ingrana col Fascismo: la filosofia come movimento e divenire, come lotta e, insieme, solidarietà di forze. L’Enciclopedia è un monumento all’Italia, in piena rispondenza al pensiero e all'anima del Fascismo. L’Enciclopedia italiana. Nuova Antologia -- articolo rifuso, accentuando l’apoliticità dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e l’Enciclopedia Italiana, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni. Ciò che IL SENATORE TRECCANI E IL SENATORE GENTILE hanno detto circa gli spiriti filosofici che dovranno animare la grande impresa, pienamente mi soddisfa. I nomi dei filosofi collaboratori scelti sono gli stessi che io avrei scelto. Gentile d’oggi ha fatta sua la concezione formigginiana che una enciclopedia nazionale deve essere il quadro completo dello spirito filosofico della nazione – come a Bologna -- e non la espressione di una particolare tendenza. L'Italia che scrive. al contrario, aumentare il pericolo di un’egemonia gentiliana. TILGHER sulle pagine de Il Mondo svolge in quei mesi una serrata polemica anti-attualista, mise in guardia senza tuttavia tener conto del complesso gioco politico e culturale condotto dal fascismo contro l’ IMPERIALISMO filosofico dell’ATTUALISMO di Gentile: spirito chiuso, violento e SETTARIO, pontificale e teologale, tabula rasa all’infuori di argomenti rinascimentali e risorgimentali, cui avrebbe preferito, alla direzione dell’opera, CROCE, o CHIAPPELLI, FARINELLI, OJETTI. L’Enciclopedia che usce dalle mani del senatore Gentile non e una Enciclopedia, ma un Index librorum et virorum ad majorem Actus Puri gloriam. Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla vigliaccheria filosofica del nostro bel paese se crede che gli si lascia compiere tranquillamente una simile impresa di annessione filosofica. Se no, se l'Enciclopedia dovesse rimanere affidata a Gentile, credo che non trova FILOSOFI collaboratori disposti ad aiutarlo nella sua opera d’imperialismo intellettuale. E già so che più d’un FILOSOFO, RICHIESTO, RIFIUTA di collaborare. Le previsioni di TILGHER di un’energica reazione contro l'impresa gentiliana da parte della corrente filosofica, gli indirizzi, i movimenti, le scuole, i filosofi massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria di Gentile, non si realizzarono. A critiche del genere limitate a una polemica culturale scadente spesso sul piano personale, Treccani puo facilmente opporre la diversità di indirizzi rappresentata dai direttori di sezione dell’Enciclopedia. In occasione della loro prima riunione, il presidente dell’Istituto si preoccupa di confutare attacchi esterni e diffidenze interne sull’opera ritenuta dogmatica, settaria, faziosa, asserendo che Gentile è uomo di partito e di idee sf, ma è uomo leale e di fede. Tra lui e l’Istituto sono poi stati stabiliti patti ben chiari ed egli ha già dato prova, nella indicazione dei FILOSOFI, di aver tenuto fede a tali patti: basta uno sguardo alle persone qui presenti per convincersi dell’infondatezza di ogni accusa. Tilgher, Giovanni Gentile e l'enciclopedia italiana, in Il Mondo. Del resto, Vi assicuro che io, che ho dato il mio nome a quest’impresa, non permetto mai ad alcuno di venir meno al concetto fondamentale, che molto chiaramente è espresso nell’atto costitutivo. Ma io ho fede nel Sen. Gentile. Lo stesso suo carattere energico è garanzia di successo. La campagna ingiusta, iniziata contro di lui a proposito dell’Enciclopedia, cade non appena pubblicammo i nomi dei FILOSOFI collaboratori, i quali, italiani di sicura fede, rappresentano la idea, la scuola, e la tendenza filosofica. Tutti gl’interpellati finora hanno aderito con parole confortanti e lusinghiere. Se qualcuno fosse tentennante, bisogna illuminarlo, persuaderlo dell’obiettività del lavoro e convincerlo a dare il suo nome, sia pure per una sola voce. Nessun nome di insigne FILOSOFO italiano deve mancare nell’Enciclopedia, anche perché, dato il duplice scopo che io miro a raggiungere Enciclopedia come opera di valorizzazione della filosofia nazionale e Fondazione per l'incremento della filosofia con gli eventuali profitti non sarebbe simpatica la voluta assenza da parte di qualcuno A Bologna si era appena chiuso il convegno sulle istituzioni fasciste di cultura in cui Gentile presenta il fascismo come erede di tutta la storia italiana, rivolgendo un appello all’unità e alla conciliazione che avrebbe dovuto rafforzare, sul piano del consenso, la drastica conclusione della crisi Matteotti. Anche l’Enciclopedia viene indicata con insistenza come opera nazionale, in cui ogni filosofo italiano di sicura fede conserva la sua opinione filosofica – e politica. Alcuni degl’avversari del regime riconosceno il suo sforzo, ma anche la difficoltà, di acquisire l’appoggio di ogni filosofo. Cosi l’Avanti!, per il quale, anche se il mondo filosofico italiano si è fascistizzato molto presto, antifascista è la filosofia, la vera filosofia, quella disinteressata, quella cioè che ha sempre odiato l’accademia, la chiacchiere, la rettorica, gl’alalà. L'Unità invece, ritenendo che anche ideologicamente gl’intendimenti fa Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Da Ireneo ad Arpinati..., in Avanti! , a proposito del discorso bolognese di Gentile; anche I filosofi e Farinacci, in Avanti! Fra il manifesto dei filosofi del fascismo, leggi Gentile, e i discorsi di Farinacci, bisogna confessare che c’è piu intelligenza nei discorsi di Farinacci. scisti di fascistizzare gli altri partiti social-democratici possono col tempo realizzarsi come afferma esaminando il Manifesto dei filosofi del fascismo, coglie proprio nell’Enciclopedia la capacità del regime di ottenere consensi fra i filosofi. Conosciamo bene quel che sia la spregiudicatezza scientifica dei sapienti del fascismo e quel che sia l’antifascismo della gente accademica. In tempi calamitosi per le pubbliche libertà uomini di scienza hanno talora opposto le loro proteste, gravi e sensibili, se anche rare o taciturne. Oggi non abbiamo di questi esempi in Italia, fra tanti uomini di dottrina che pure fanno professione di indipendenza o di avversione ai poteri dominanti "; dove però, più che l'individuazione della forza del fascismo che stava proprio allora organizzandosi come regime reazionario di massa, vi è quella polemica contro gli aventiniani, che porterà ancora a negare ogni differenza fra le varie componenti della borghesia. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva ad accreditare sotto l’etichetta nazionale era comunque strettamente condizionata dalla situazione reale del paese, e si traduceva in una passività di stampo prezzoliniano: nello % Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali fascisti, in L'Unità . .Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in L'Unità. Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in L'Unità, a proposito della polemica Gentile-Interlandi sull’E.I., che esamineremo. Evidentemente differenze fra i gruppi borghesi non esistono nelle idee fondamentali, ma nel modo di fare. Il fascismo ha in tutti i modi l’energia di attrarre l’attuale borghesia: ecco i confini tecnici fra pensiero ed azione . Nell’organo della gentiliana Fondazione Leonardo, Prezzolini annunciò l’E.I. come l’esame di stato della coltura italiana e lo sforzo dell’Italia nuova, in paragone degli altri paesi. Il programma è ottimo. Lo sforzo è il più nazionale che si sia tentato dopo l'unità italiana, ma l’Enciclopedia non sarà nazionalistica ; si sarebbero superate le enciclopedie straniere se la scelta dei collaboratori, com'è stata quella dei direttori delle singole sezioni, sarà severa e non dipendente da criteri politici o di meno che serena volontà scientifica. Sarà un altro dei meriti di Gentile verso la cultura italiana (Leonardo, redazionale); e, pubblicando le Avvertenze ai collaboratori dell’E.I.: meglio di ogni altro documento, varranno a fare scompatire nel pubblico ogni ombra di dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia avrà, e a dissipare le voci malevoli che pretendevano l’Enciclopedia fosse poteva riflettersi solo, la cultura e l'ideologia del blocco borghese chiamato a collaborare col regime nel momento in cui questo schiacciava le opposizioni. Era significativa, del resto, la presentazione ufficiale che dell’Enciclopedia dava la rivista di Mussolini, Gerarchia. Dopo aver affermato la necessità di un’affermazione di intellettualità collettiva che rivelasse al mondo ciò che l’Italia era nel dominio del sapere universale , e che in Italia non possediamo ancora la nozione di quel sapere nazionale che invece posseggono e da secoli altre nazioni , l’autore dell’articolo auspicava che l’Enciclopedia, libro di un popolo , fosse libro politico, ma soprattutto libro di conquista , espressione dell’ intelligenza dominante della collettività; essendo giunta l’ora che il mondo la pensi anche all’italiana , compito dell’opera avrebbe dovuto essere quello di chiamare a raccolta tutto quanto l’anima italiana ha in questo momento di lume e di ardimento e farlo collaborare a questa grande azione che se ben mossa può segnare il primo passo verso quel dominio intellettuale del mondo che noi da tanti secoli abbiamo perduto e può segnare, prima ancora, il definitivo sfrancamento italiano dalla coltura straniera. La politica di conciliazione di Gentile La componente tradizionalista del fascismo, rappresentata in primo luogo dai nazionalisti, cercò come ricorderà Bottai che della necessità di conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale sostenitore dalle pagine di Critica fascista e poi di Primato di opera di parte, concepita con angusti criteri di scuola. Nella seconda ediz. de La cultura italiana si limiterà a dire che V’E.I. dovrà rappresentare la capacità della coltura italiana del dopo-guerra. Venturini, La nuova e mirabile fatica italiana. L'Enciclopedia Nazionale, in Gerarchia , costruirsi una sua Weltanschauung che fosse, da un lato, frutto della mediazione e del superamento delle diverse correnti di pensiero dalle quali o contro le quali il movimento fascista era sorto non rollandianamente 4% dessus de la mélée, ma con un suo impegno autonomo d’arbitro tra due mondi in lotta, dall’altro, valorizzazione del primato storico-culturale italiano ®. Per questo era necessario, inizialmente, fare appello a tutti quanti erano disposti a collaborare con un regime che cercava di mostrarsi erede di una tradizione nazionale : si pensi alla presentazione di Croce precursore del fascismo, o ai tentativi, non ultimo quello dell’Enciclopedia, di accaparrarsene l'appoggio. In quest'opera di assorbimento di intellettuali incerti, fiancheggiatori od oppositori, analoga a quella attuata in campo politico dagli ex nazionalisti Rocco e Federzoni, artefici della simbiosi organica del Pnf col vecchio Stato monarchico, il regime si rivesti piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore per usare le parole di Bottai riferite a Mussolini, evitando i vuoti paurosi, e poté quindi trovare uno strumento adatto in Gentile, la cui concezione dello Stato e della storia italiani ne sottolineavano con motivazioni antitetiche a quelle che egli riteneva il naturalismo deterministico, conservatore e illiberale dei nazionalisti alcuni presunti elementi di continuità e sviluppo che facevano del fascismo il vero liberalismo . G. BOTTAI, Vent'anni e un giorno, Milano, Garzanti. Di Bottai è da vedere tutta l’antologia di Scritti, Bologna, Cappelli (dove è riportata, ad es., la conferenza nella quale notò come attraverso il Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo passo della sua rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione politica, che potrà essere discussa, ma non negata ). Di uno sforzo intellettualistico di tipo e di gusto crociano da parte del gruppo di Bottai parla R. Colapietra, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario. Sul revisionismo di Bottai, ma con una inaccettabile sopravvalutazione del suo ruolo critico all’interno del regime, G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un fascista critico, Milano, Feltrinellie A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Bari, Laterza. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, L’Enciclopedia italiana Nei numerosi interventi compiuti da Gentile sui rapporti tra fascismo e cultura non vi sono né le contraddizioni che vi ravvisò Formiggini, né la difesa dell’autonomia della cultura vista da Harris nella gentiliana politica di conciliazione !: comune a tutti è la necessità già sostenuta a proposito del problema scolastico!di organizzare e legare al nuovo ordine, indirizzandole se possibile verso esiti attualisti, tutte le forze culturali del paese, con la consapevolezza che ciò è possibile solo con la forza politica del fascismo. A Firenze, di fronte a un uditorio politicamente composito, Gentile sostenne la possibilità che ognuno intendesse il fascismo a suo modo: L’unità risulta da questa molteplicità, da questa infinità di temperamenti e psicologie e sistemi di cultura e concezioni della vita. La forza del fascismo deriva da questa ricchissima inesauribile fonte d’ispirazioni e connessi bisogni ed energie spirituali. Ed esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella monotonia meccanica delle formule vuote se potesse definirsi e restringersi negli articoli di un credo determinato!. Il giorno dopo, parlando all’Università fascista di Bologna di prossima inaugurazione, ribadî il suo concetto di libertà che si attua nello Stato come negazione dell’individualismo egoistico, e di fascismo come ultima e più matura forma del nuovo concetto della libertà, figlia. Un appello ai liberali e uno ai fascisti, per far tutti partecipi di un unico processo storico sfociante nello Stato etico, ritenuto la forma suprema e la unità cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo successivo , che deve rampollare dalla stessa realtà e perciò Gentile ha contraddetto a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando qui un grande problema culturale, quello della Enciclopedia, ha dichiarato che intende di affratellare, formigginianamente, nella grande impresa tutti i competenti senza distinzione di scuole e di partiti ( L'Italia che scrive . Gentile, Scritti pedagogici, La riforma della scuola in Italia,Che cosa è il fascismo, in Che cosa è il fascismo, Libertà e liberalismo, aderirvi; e da questa aderenza derivare la sua forza e la sua potenza ! sebbene criticato da Treccani per le pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto pregiudicare l’impresa cui si erano accinti, Gentile svolgeva anche se in maniera più scoperta riguardo al fine le stesse idee poste a base dell’Enciclopedia. Cosî nel discorso di chiusura del convegno per le istituzioni fasciste di cultura col quale Croce motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia, Gentile obiettò a PANUNZIO che il Partito fascista ha un suo vasto contenuto ideale, senza bisogno di definire la sua dottrina e di fissare il suo sillabo , e sostenne la necessità di immettere il fascismo (critico degli intellettuali che stanno alla finestra) nella filosofia, senza bisogno di promuovere una filosofia del fascismo, poiché il nostro partito non è SETTA, né chiesuola. Il nostro partito vuol essere ... il popolo italiano; nell’attesa, tanta parte del passato doveva essere rispettata e utilizzata: oggi nelle università dello Stato insegnano tanti vecchi uomini, a cui molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro mente e l’animo loro quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani giovani e della guerra, non s'era accesa la scintilla della nuova fede; e non c’intendono, e noi guardiamo ad essi con sospetto, ed essi verso di noi con un sorriso sulle labbra, con l’anima chiusa. Ebbene, questa è l’università italiana in gran parte: questa è la vecchia Italia, che noi non possiamo cancellare; che anzi dobbiamo pur rispettare 1°. Che cosa è il fascismo. Treccani a Tumminelli. Non condivido il Suo ottimismo. La macchina v4 scossa affinché funzioni rapidamente. Vengo a sapere che non una delle lettere ai collaboratori è partita. Ma vi è di più: Ojetti ha scritto più volte a Gentile chiedendo schiarimenti e non ha mai avuto nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza di modo di fare è questo? ... Le devo dire il vero che a me spiacciono le conferenze che Gentile va a tenere sul fascismo nelle varie città: l'enciclopedia non è, e non deve essere, di marca fascista... Mi sbaglierò, ma con Gentile non incominciamo bene: egli non si rende conto dell’enorme sacrificio e rischio mio e prende la cosa alla leggera. Dovrebbe aver capito, indipendentemente dal contratto che ho firmato, che io non mi sono cacciato nell’impresa per il gusto di buttar via quattrini (ACS, Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Il fascismo nella cultura, in Che cosa è il fascismo. Nessuna concessione alla barbarie dell’estremismo fascista. Anche il Manifesto degli intellettuali del fascismo, frutto di quel convegno, ebbe valore di documento politico anche perché fu, da parte di Gentile, un ennesimo tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto l’idealismo , compreso quello crociano, come ha osservato Colapietra !, e presentò il fascismo come riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni. Anche in seguito Gentile riaffermerà la sua concezione dei rapporti fascismo-cultura. Nel DISCORSO TENUTO IN CAMPIDOGLIO PER L’INAUGURAZIONE DELL’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA, in cui ricorda ai liberali la ben più drastica opera riformatrice attuata dal liberale Sanctis a Napoli (documentata da Russo), riprese e sviluppò motivi già affermati ', invitando a non disconoscere una certa cultura strumentale, a norma della quale due più due farà sempre quattro, sia che si sommino carezze sia che si sommino bastonate. E di questa cultura strumentale, che è mero sapere, organizzazione di cognizioni bene accertate, critica, erudizione, dottrina, non può essere il fascista a volersi disfare!, Concetti ripetuti. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, Milano, Feltrinelli. Possiamo spogliarci di certe passioni della prima ora, e riconoscere pertanto il valore nazionale cosi di certe forme di cultura, che a noi riescono false in quanto insufficienti, come di tanti uomini che non ebbero occhi né cuore per vedere in alto il segno a cui avrebbero dovuto guardare e trarre gl’italiani, ma lavorarono pur seriamente, onestamente, a recare in campo quelle pietre, con cui la giovane Italia ha cominciato a costruire il suo grande edifizio. Noi a quelle pietre, i non dirlo?, non possiamo, non vogliamo rinunziare ; ma il senso di questa apertura che Gentile raccomandava era chiarito più avanti. Transigenza che diverrà ogni giorno più facile, via via che, adempiuto il secondo termine, apparirà sempre più opportuno e più giusto il primo termine del grande monito romano: parcere subiectis et debellare superbos. Poiché non è lontano, se io non m’inganno, il giorno, in cui tutta l’Italia sarà fascista (Discorso inaugurale dell'Istituto Nazionale Fascista di cultura, in Fascismo e cultura. al Senato a proposito dell’Accademia d’Italia nata a promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano (nessuna dittatura, assicurò!', come fa MUSSOLINI quando l'ACCADEMIA D’ITALIA iniziò i suoi lavori !); ad essi Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza del fascismo fosse la sua capacità di assorbire e superare la tradizione !5: lo stesso criterio seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio delle riforme costituzionali, da lui presieduta !‘. Rispettare, utilizzare e organizzare intellettuali di vario orientamento politico e culturale era più difficile che inquadrare nell’apparato amministrativo dello Stato fascista la burocrazia di estrazione liberale; ma era opera [Per l'Accademia d'Italia Mussolini indicava fra i filosofi uomini di origini, di temperamenti, di scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato momento sono al lato di uomini rappresentativi di un momento successivo, o attuale, o futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non può essere monocorde... Nell’Accademia è l’Italia con tutte le tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente, le anticipazioni del suo avvenire (in Mussolini, Scritti e discorsi, Milano, Hoepli. Scriveva che il Regime si viene pacificamente guadagnando gli animi nelle scuole, nelle università, nelle accademie, e in ogni libero campo di attività letteraria od artistica. Cresce insieme spontaneamente l’interesse di esso per ogni forma di cultura nazionale, e si fa sempre più profonda la sua consapevolezza, che la sua forza, che è la forza e la potenza del popolo italiano, non si può consolidare senza l’adesione e la libera collaborazione delle più rappresentative intelligenze e di tutte le forze morali del Paese (Il fascismo e gli intellettuali, ora in Origini e dottrina del fascismo). Afferma che il fascismo è progresso in quanto è restaurazione: consolidamento delle basi per edificarvi su un solido edifizio, alto, nella luce. Ogni originalità senza tradizione, come ogni spontaneità senza disciplina, è velleità sterile, non VOLONTÀ VIRILE (Risorgimento e fascismo, ora in Memorie To e problemi della filosofia e della vita, Firenze, Sansoni. Nella relazione presentata da Gentile a Mussolini, si affermava che la commissione non ha pensato un solo momento che fosse da sovvertire lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione del Risorgimento. E cosî ha creduto di rendersi fedele interprete dello spirito del fascismo, nato a costruire, non a distruggere (Relazioni e proposte della Commissione per lo studio delle riforme costituzionali, Firenze, Le Monnier. Sul significato non eversore delle proposte della Commissione dei Diciotto, Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi. necessaria, non esistendo una cultura del fascismo . Né Volpe alla Scuola di storia moderna e contemporanea, né Gentile all’Enciclopedia, quindi, chiesero tessere di partito. Dopo la costituzione dell’Istituto Treccani, la prefazione all’ Enciclopedia in cui è evidente la mano di Gentile poteva già vantare i risultati raggiunti, smentendo le previsioni degli oppositori: Il clima che ha reso possibile un’opera come questa, alla quale non parve in passato possibile in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese una passione inestinguibile di rinnovamento e di affermazione della potenza dell’Italia nel mondo... Il primo segno di questa crisi gagliarda di rinnovamento fu la radicale riforma della scuola compiuta; alla quale seguirono molte altre riforme organiche, onde si venne trasformando la struttura dello Stato e si gettarono le basi di una nuova vita nazionale demografica, economica, morale e religiosa. Mai, per nessuna opera, in Italia si unirono come per l’Enciclopedia Italiana migliaia di scrittori a collaborare con un disegno prestabilito, sotto una costante disciplina E il fatto che tanti e si può quasi dire tutti gli studiosi d’ogni scuola e indirizzo, letterati, scienziati ed artisti, si siano per la prima volta accordati non in un’idea da vagheggiare, ma in un lavoro da eseguire, e che a tutti chiedeva disinteresse e sacrificio, per lo meno d’altri lavori di maggior soddisfazione personale, questa grande morale concordia degli scrittori italiani è il primo e il non meno importante frutto che in vantaggio dell’alta educazione nazionale l’Enciclopedia potesse produrre. Affinché fosse possibile tale concordia fin da principio la Direzione dell’Enciclopedia riconobbe l’opportunità di un ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità. Un’opera non di rapida consultazione e volgarizzamento, come il LAROUSSE, ma a carattere monografico come LA BRITANNICA, non avrebbe potuto avere carattere impersonale, come vuole Treccani: l’ampiezza di una voce monografica Formiggini osserva che l’E.I. riusce la più antifascista delle enciclopedie fasciste, e ciò non per mancanza di buona volontà di render servizio al partito che gli ha dato ricchezze ed onori, ma perché Gentile si è accorto che se avesse voluto fare una Enciclopedia fascista avrebbe trovato come unico collaboratore volontario (e lo ammettiamo per pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci ( L'Italia che scrive implica una presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro vivo, pare esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere cosa seria, è di necessità opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo pensiero, il suo stile, la sua anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per parte nostra, ci siamo studiati di fare che ognuno, entro certi limiti, restasse, come scrittore dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli era. Il che per altro non abbiamo creduto che fosse per produrre l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e discordi. Non c’è solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è anche l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il punto di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei connazionali e dei coetanei che vivono la stessa vita e si sono formati nello stesso mondo spirituale. Da quest’anima più vasta, non meno reale dell’altra che varia da individuo a individuo, scaturisce l’unità di una scuola ben organizzata e diretta, e scaturisce l’unità di un’enciclopedia ben disegnata e condotta. Un’enciclopedia è infatti l’espressione del pensiero di un popolo e di un’epoca; e propriamente degli elementi positivi, vitali ed attivi di questo pensiero. Il quale evidentemente non consta della somma di tutte le idee di tutti gl’individui, dotti e indotti, consapevoli e ignari degl’ideali della nazione a cui appartengono e a cui sono indissolubilmente congiunti; ma si raccoglie in sistema dalle menti che dirigono e perciò rappresentano tutti. E il loro pensiero, presso ogni popolo, sbocca e si fonde nella coscienza nazionale, e in ogni periodo storico ha una forma e certi caratteri, ha un’individualità, in cui mille e mille voci si adunano in un grande concento. Concordia discors [Concordia non facilmente raggiungibile anche nel nuovo clima del fascismo, come ricorderà Gentile in termini meno idillici! Mezzo per attuarla, per ridurre a unità argomenti E.I. Ricorderà prime difficoltà e diffidenze, ostilità coperte e palesi (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e battaglie concluse con la vittoria sempre della Direzione, ossia dell’Enciclopedia, e cioè di tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile (Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il libro per tutti, Il Corriere della sera ). Pincherle osserva: differenze di opinioni e di scuola, che spesso esplodono in battute polemiche, ora più ora meno abilmente dissimulate (L’Enciclopedia italiana, in La Cultura; e Bosco, redattore capo dell’E.I., ricorda. Il primo compito fu quello della raccolta delle voci: diversi e autori di vario orientamento filosofico, e il criterio storico: affinché tale discorde concordia si stabilisca e conservi, occorre una regola che tutti gli scrittori capaci di contribuirvi mantenga nei limiti ciascuno del proprio carattere, non pure per la materia che coltivano, ma anche per l’indirizzo mentale con cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti della cultura vengano a comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è nelle sue note principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna intolleranza, nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a ogni dottrina, a ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno per sua virtà s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per lo pi tutte le dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in cui le varie dottrine sono possibili, malgrado le loro divergenze, ciascuna con i suoi motivi, La stessa grande imparzialità della storia, in cui non c'è nulla che non abbia la sua ragion d’essere. La storia, in verità, suggerisce il metodo della trattazione che si conviene a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana potenza conciliatrice delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli aspetti più diversi del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o dottrina, ogni mito o teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua storia, con la sua origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni dommatismo. II metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo metodo storico, cosi in ogni singolo articolo come nel sistema generale. Grazie a questo metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere intorno a sé, assegnando a ciascuno la parte sua, gli scrittori della più varia mentalità.] compito dei più delicati, perché era in questa fase che si potevano concretare le fondamenta dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere dell’Enciclopedia: dizionario di cose, o raccolta di monografie, o qualche cosa di mezzo? Non sono infatti mancate le divergenze: chi consultasse oggi i primi elenchi delle voci proposte da ognuno dei direttori di sezione e, poi stampati in forma di bozze, diffusi tra gli studiosi per raccogliere suggerimenti, troverebbe che molto è stato cambiato Già nelle Avvertenze ai filosofi collaboratori, (Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento), si diceva: I - Nella compilazione degli articoli, anche se teorici e dottrinali filosofici, si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di quello che è stato pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli di considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia rilievo alla persona di chi scrive e adoperando uno stile semplice e sobrio. ISono dall’Enciclopedia BANDITE LE POLEMICHE. Ogni discussione vi dev'essere mantenuta nei termini di un dibattito di valori puramente ideali, con la cura più scrupolosa di mettere in luce anche le ragioni delle dottrine, che lo scrittore stimi più deboli. Il metodo seguito nella trattazione dell’Enciclopedia è quello storico, cosî in ogni singolo articolo come nel sistema generale. I filosofi collaboratori, aggiungeva Gentile, operando anch’essi nella cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa formazione spirituale la misura del giudizio ; ma avrebbero dovuto elaborare gli elementi vivi e vitali della cultura propria della classe elevata e dirigente, la quale s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo stesso terreno, in una comune vita intellettuale e morale !’. Enciclopedia, quindi, figlia del proprio tempo !?, che come tale avverte Gentile avrebbe rispecchiato i progressi della scienza e i cambiamenti storici avvenuti nel corso della sua realizzazione!!. L’asserita imparzialità dell’opera corrispondente ad uno stretto legame con un dato tempo comportava, accanto al clima del fascismo, il ricorso all’opera di intellettuali di varia estrazione culturale e, anche, di diverso orientamento politico: una sapiente azione di assorbimento, testimoniata dall’ampia scelta dei direttori di sezione e dei collaboratori, che spingerà Salvemini incapace di comprendere i motivi se non addirittura le manifestazioni della politica articolata del regime a giudicare l’Enciclopedia quasi esclusivamente opera di uomini appartenenti alla generazione maturata prima che il fascismo giungesse al potere , di cui Mussolini aggiungeva semplicisticamente si era attribuita la maggior parte dei meriti avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia Italiana pubblicata sotto l’alto patronato di S. M. il Re d’Italia Imperatore d'Etiopia, Roma. Già nel vol. I CALOGERO osserva il carattere essenzialmente storicistico delle voci giuridiche, economiche e politiche (Nuovi studi di diritto, economia e politica). L’Enciclopedia sarà il monumento della cultura dell’Italia di Mussolini, afferma Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento; e l'opuscolo di propaganda sopra citato. L’Enciclopedia è al tempo stesso documento fedele del periodo storico in cui è nata e contributo certo non ultimo alla formazione di quella cultura intensa, vitale, capace di espandersi e d’imporsi che dovrà essere la cultura italiana di domani. E.I., Appendice, ma già apparsa: Bellezza, Bibliografia. L’Enciclopedia Italiana, che è senza dubbio superiore a tutte le [ L’Enciclopedia italiana I collaboratori e le proteste del fascismo estremista Il consiglio direttivo dell’Enciclopedia costituiva una specie di fronte nazionale, unendo, sotto la giunta di direzione composta da Treccani, Gentile e Tumminelli, il primo ideatore dell’opera, Martini; glorie (diversamente fortunate) della grande guerra come Cadorna e Thaon di REVEL quest’ultimo ministro della Marina, e STEFANI, ministro della Finanze; rappresentanti della tradizione liberale lontani dal fascismo quali Einaudi e Ruffini che non parteciparono più all'opera, o cattolici come Sanctis; e, ancora, Bonfante, Ojetti e Salata, accanto a Grassi, Longhi, Marchiafava !. Nel comitato tecnico composto dai direttori delle 48 sezioni e già formato vi erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da Sanctis (Antichità classiche) a Pettazzoni (Storia delle enciclopedie pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi italiani la cui formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di Mussolini. Poiché essa cominciò ad essere pubblicata, Mussolini se ne è attribuita la maggior parte dei meriti. In realtà, essa fu progettata quando, secondo la leggenda fascista, l’Italia era alle prese col bolscevismo. È il più gran monumento che si sia potuto erigere durante il regime fascista alle due generazioni di uomini che ricostruirono la cultura italiana durante il regime prefascista (G. Salvemini, Il futuro degli intellettuali in Italia, Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli, Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, Einaudi (che era stato consigliere dell’Istituto di Formiggini) appare nel Manifesto e nel Primo elenco di collaboratori; Ruffini solo in quest’ultimo, anche come direttore, con Santi Romano, della sezione Diritto pubblico . Sulla partecipazione puramente decorativa di Martini le lettere di Gentile a lui, (BNF, Fondo Martini); per la diffidenza sua e dei suoi amici verso l’opera nella cui preparazione non furono ascoltati, la lettera di Menghini e tutte quelle di Donati, che giudicava Gentile spirito dogmatico e profondamente ztiscientifico , dubitando che la scienza italiana possa subordinarsi a quel vaniloquio sciagurato ch’egli chiama la sua filosofia, ma riconoscendo che l’idealismo è tanto attualista da trovar milioni che i positivisti non sapevano mettere assieme religioni), da Federico Enriques (Matematica) a Nicola Pende (Medicina), da Carlo Nallino (Letterature e civiltà orientali) a Santi Romano (Diritto pubblico) a Gioacchino Volpe (Storia medioevale e moderna). Ad essi era demandata la scelta dei collaboratori e delle voci ! La consultazione dei collaboratori previsti iniziò subito dopo la costituzione dell’Istituto; nonostante la sua ampiezza, Treccani poteva già annunciare che gli uomini migliori che l’Italia vanta in tutti i campi del sapere hanno aderito con entusiasmo; i collaboratori sono già circa 1200 !. In realtà, i rifiuti che possiamo documentare ma significativi per le motivazioni politiche sono solo quelli di Croce e Silva. Il primo, interpellato, tramite Alessandro Casati, da Volpe la cui funzione all’interno dell’Erciclopedia fu all’inizio probabilmente più vasta di quella di direttore di una sezione storica, in linea con la funzione di primo piano da lui svolta, accanto a Gentile, nell’organizzazione della cultura durante il fascismo, nella risposta preannunciò quel distacco da Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso definitivo dalla protesta contro il manifesto degli intellettuali fascisti: come volete scrive a Volpe che io collabori a una Enciclopedia diretta da chi ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere fascista? ! Motivi politici furone alla base anche del [Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, e Primo elenco, Tutto il lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori e formazione dello schedario) terminò. Treccani, Racelonone Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta). Su una riunione di alcuni direttori di sezione per impostare il lavoro, la testimonianza di Ojetti (I taccuini, Gentile non conclude mai, chiede che i direttori si accordino, Per i successivi rapporti di Ojetti con la Società Treves-Treccani-Tumminelli, editrice di Pègaso e Dedalo, ACS, Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione comDincato. Croce, Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, E a Casati, Dopo il discorso di Gentile a Bologna, credo che mi avrai dato ragione nel rifiuto che opposi a partecipare all’Enciclopedia. Come sarei potuto stare alla dipenrifiuto di Silva che, dopo aver inizialmente accettato di collaborare cinque giorni dopo l’arresto del maestro SALVEMINI scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come per l’autore che solo un anno dopo accetterà la redazione di voci importanti dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni di tanti. Voglia consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei collaboratori dell’ Enciclopedia. Nell’appello che Ella rivolse ai filosofi, quando la grande impresa fu decisa, suonava alta e nobile la parola della conciliazione degli spiriti nel campo degli studi e della scienza. E tale parola, che acquistava anche maggior valore perché pronunciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia fiducia nella possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è molto scossa per i fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato SALVEMINI, il che significa l’inizio di persecuzioni ai filosofi non fascisti. Vedo presentata una legge per la dispensa dei funzionari, che mira, come hanno rilevato l’on. SALANDRA e l’on. VOLPE, a colpire la libertà di pensiero e l’integrità delle coscienze, anche in quel campo che Ella, nel Suo memorabile discorso inaugurale, voleva rimanesse libero a tutte le opinioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali condizioni, noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo rimanere a collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a credere che in tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno superate? Ecco perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta opera. Son certo che Ella apprezzerà al giusto valore questo mio atto...1? GENTILE dovette apprezzare piuttosto le pronte e numerose adesioni che assicurarono all'impresa l’appoggio dei principali rappresentanti della cultura italiana. Il Prizzo elenco di collaboratori dell’Enciclopedia Italiana, pubblicato, ne annoverava 1.410, quasi la metà dei 3.266 che daranno il loro contributo a tutta l’opera ! Non appaiono ancora alcuni dei denza di un direttore, che ha quelle idee sulla cultura? (Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma [d'ora in avanti AEI], Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi rapporti col fascismo il ritratto che ne ha fatto nel 1954 Volpe (Storici e maestri, Firenze, Sansoni, La data di pubblicazione del Prizzo elenco (non. indicata) si deduce dalle polemiche giornalistiche che suscitò, futuri pilastri dell’Erciclopedia, come Pincherle, Pagliaro, Enriques. Si leggono già, invece, i nomi di Aliotta e Carlini, Calò e Codignola, o di Caggese, Ciasca, Chabod, Banfi, Calamandrei, Mondolfo, Allmayer, Augusto Guzzo, e ancora tanti, da JEMOLO a Russo, da Cortese a Schipa, oltre a Venturi e Rosa, e Gemelli. Il Primo elenco registra anche il nome di quanti, dopo essere stati invitati e aver accettato, non collaboreranno all'opera. La maggioranza di essi è costituita da persone culturalmente poco rappresentative. Accanto a professori di scuola media superiore o scarsamente noti professori universitari, troviamo militari, professionisti, o non qualificati cultori della filosofia. La loro cospicua scomparsa ( sui 1.410 annunciati) dall’elenco finale degli effettivi filosofi collaboratori, per essere sostituiti da studiosi pit qualificati, potrebbe indicare, da un lato, un aumento reale dei settori accademico e di ricerca, dall’altro, una maggiore progressiva adesione da parte degli esponenti dell’alta cultura, dapprima diffidenti verso l’iniziativa gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i collaboratori previsti dal Primzo elenco che poi non parteciperanno all’opera, anche personaggi la cui iniziale accettazione val la pena di essere sotto Caggese scriveva a Volpe, che lo aveva invitato a collaborare. Niente pregiudiziali politiche, anche perché io sono completamente fuori di ogni attività politica, ben sicuro come sono che è nostro primo dovere d’italiani non complicare in alcun modo una situazione non lieta. Vivo nella solitudine pivi assoluta, lavoro molto e, in confidenza, non potrei in alcun modo partecipare alle vicende politiche perché sono troppo indulgente e, ahimè!, ancor troppo sentimentale e bonario. Passare con i forti non posso perché non è lecito a noi, uomini di studio, dare lo spettacolo di voler profittare comunque; esaltare i cosi detti deboli non posso, perché moralmente sono proprio essi quelli che nell’immediato dopo-guerra hanno scatenata la guerra civile. Non mi resta che fare il buon cittadino che rispetta tutte le leggi del suo paese, e augurare che presto ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somiglino. Dunque, collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no proprio a te. AEI, Lettere, Caggese. L'Enciclopedia italiana lineata: non tanto le personalità politiche chiamate a dar lustro all’impresa, la cui adesione è una riprova assieme alla presenza di uomini poco rappresentativi nel campo scientifico del significato non strettamente culturale che l’Enciclopedia voleva avere !, quanto liberali come Casati e Malagodi, o uomini come Baratono, Berenson, Caramella, Limentani. Pochissimi fin d’ora gli stranieri, conforme al criterio ispiratore dell’opera. La pubblicazione del Primo elenco di collaboratori provoca le proteste del fascismo estremista. Su Il Tevere da lui diretto Interlandi, dopo aver approvato le dichiarazioni di imparzialità e apoliticità dell’Enciclopedia, affermava: Prima che l'Istituto Treccani, superiore a tutti i partiti politici s'è dichiarato il Fascismo, che è superiore allo stesso partito che fascista si intitola; appunto perché il partito fascista ha una funzione tattica contingente e mutevole, laddove il Fascismo è quella tale coscienza nazionale di cui più su si parla. Cosî stando le cose, l'onorevole Consiglio direttivo dell’Istituto ha fatto bene ad espellere i partiti politici dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe fatto ad accogliervi il Fascismo. È stato accolto il Fascismo, in un’opera che vuole essere il monumento culturale dell’età nostra e. alla quale attingeranno per i loro bisogni spirituali molte e molte generazioni di italiani e di stranieri?; vi erano ugualmente rappresentati, continuava Interlandi, fascismo e antifascismo, impersonato quest’ultimo da almeno 90 firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, come Einaudi, o Caramella in procinto di essere allontanato dalla scuola per le sue prodezze al congresso dei filosofi: era necessario fare a meno di simili collaboratori, per evitare un’enciclopedia imparziale in cui avrà posto l’esaltazione delle categorie democratiche e di quelle fasciste! Belluzzo, Boselli, Ciccotti, Giuliano, Giuriati, Loria, Mosca, Salandra, Stringher, ecc. Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in Il Tevere , (editoriale). L’articolo di Interlandi, parzialmente ripreso da La Tribuna che da poco si era fusa con L’Idea Nazionale ed era passata sotto la direzione del nazionalista Forges Davanzati, dette modo a Gentile di precisare le sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera aperta inviata al direttore de La Tribuna affermò che, su questo problema, il Pnf aveva ormai direttive precise, come dimostrava l’approvazione, da parte del duce e de L’Idea Nazionale, del discorso gentiliano tenuto per l’inaugurazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo, obiettava a Interlandi, non è venuto a distruggere, ma a edificare. Intende bensî animare tutta la vita nazionale di un’ardente passione politica, che è passione morale e religiosa di creazione di superiori valori; ma non tollera, non può tollerare che questa passione abbia a disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in gare ein cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé, turpemente abusate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta milioni d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito. Gli uomini da adoperare , quindi, dovevano essere quelli che per attitudini e preparazione potranno più utilmente aiutarci nella realizzazione della nostra idea. Cosî ha fatto sempre MUSSOLINI con la sua sicura volontà realizzatrice. E chi fa della politica dove c’è da risolvere un problema tecnico, non fa politica, ma spropositi; io continuava Gentile facendosi forte della sua posizione politica mi riterrei indegno della tessera che il Partito Fascista mi offri [Polemizzando con Forges Davanzati critico del culturalismo ( il suo Fascismo e cultura, Firenze, Bemporad), Vita nova la rivista di Arpinati molto vicina a Gentile affermava le carenze del nazionalismo in campo culturale, mentre per fare della cultura bisogna sul serio mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare di essa da un punto di vista strettamente politico, cosa più saggia sarebbe indicare i mezzi valevoli per promuovere efficacemente un vero rinnovamento culturale , perché la cultura deve essere la più grande forza del nostro regime (Rusticus [SAITTA], Politica e cultura, in Vita nova ). quando ravvisò in me uno dei precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se scoprissi in me una mentalità cosi gretta da non distinguere la politica dalla tecnica in un’opera che riuscirà un grande esame sostenuto dal pensiero e dal carattere degl’ Italiani innanzi a tutte le nazioni civili, la maggior parte delle quali ci precedette in questo arringo: se per gusto inopportuno di chiudermi nella rocca forte dei miei camerati, trascurassi di adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che l’Italia può fornirmi alla costruzione di questo gran monumento nazionale Questo, per me, è fascismo. È quel fascismo che può affermare con giusto orgoglio: ic non sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che può e deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl’Italiani: anche quelli dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno all’appello, non verranno (stia pur tranquillo Interlandi) per fare dell’antifascismo: verranno, almeno nell’Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza: a far della matematica o della chimica o della fisica, e insomma della scienza [La distinzione gentiliana di scienza e politica non convinse Croce !, né, per ragioni opposte, Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che in nome della competenza oggi si affida a molti, a troppi competenti antifascisti, la compilazione d’un’opera che a parer nostro non dovrà essere solamente un monumento di tecnica, ma L’Enciclopedia italiana e il fascismo, ora in Fascismo e cultura. Croce scrive a Casati. Hai visto come Gentile tratta i filosofi collaboratori non fascisti? Hai visto che li considera apportatori di pietre al monumento culturale del fascismo? Io previdi chiaramente quello che sarebbe avvenuto, quando rifiutai l’adesione, che tu mi chiedevi, all’Enciclopedia. Epistolario. E in una recensione critica di un articolo di Ruiz su L'individuo e lo Stato, osservò come, anche chi, in questi tempi, è andato incautamente predicando che scienza e politica sono tutt'uno e che la cultura dev'essere asservita a un partito o a una frazione, debba in fretta e furia, per salvare le proprie intraprese, tentar di ristabilire la differenza, come si è visto nei giorni scorsi, nelle discussioni levatesi a proposito di una certa enciclopedia. La Critica. In risposta a Croce, Vita nova difese tutta la concezione di Gentile sui rapporti scienza-politica, concludendo con l’identificazione gentiliana e fascista del partito con lo stato. Si dice che l’intento dell’enciclopedia italiana è politico perché la filosofia, lî, vuol riuscire a un monumento nazionale, e il nazionalismo del Gentile è il fascismo? Ebbene Croce, lui, ch’è cosî fino nelle distinzioni quando gli fanno buon giuoco, sa benissimo che questo fascismo non è più un partito o una fazione. Egli sa benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia andato predicando che la filosofia debba essere asservita al fascismo inteso in quel senso (Urbanus, Piccolezze di un grand’uomo, in Vita nova . un monumento del nostro tempo che, se non erriamo, è tempo fascista Se l’Enciclopedia i fascisti non la sanno fare, perché non sono competenti, ebbene, non la facciano; ne faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né l’Italia Affermazione decisamente contestata da La fiera letteraria che pur assicurando sulla scarsa libertà di movimento dei 90 firmatari dell’antimanifesto, sottoposti come tutti i collaboratori al controllo dei direttori di sezione, e quindi dei loro capi gerarchici Treccani e Gentile, che rispondono del loro operato dinanzi alla Nazione e al mondo difese la posizione gentiliana e la necessità di una vasta politica culturale da parte del fascismo: nessun Governo come l’attuale ha fatto dei problemi della cultura nazionale oggetto di tanti progetti e di cosî evidenti preoccupazioni. Una cosa è dunque polemizzare e altra cosa è agire. Cosi una cosa è criticare l’operato degli Enciclopedisti, e altra cosa è fare una Enciclopedia. Da questa specie di dilemma non si esce se non dichiarando, come qualcuno ha fatto, che qualora l’Enciclopediu Italiana non possa farsi senza il concorso dei novanta reprobi, è meglio che non si faccia. Ma non può sussistere una politica intellettuale o culturale di un grande partito fondata sopra simili paradossi 1%, La polemica tra Interlandi e Gentile, tra il fascismo rivoluzionario e quello tradizionalista, si concluse a favore di quest’ultimo. La lettera provocata probabilmente dal primo articolo de Il Tevere inviata il 7 maggio dal segretario particolare del duce, Chiavolini, al segretario del Pnf Turati, con un elenco dei collabo [} senso del Fascismo e l’Enciclopedia, in Il Tevere Gli attacchi contro l'Enciclopedia. Politica e Cultura, in La fiera letteraria , Gli attacchi dovettero continuare, se Codignola avvertiva Gentile che i suoi avversari, ostili alla sua permanenza nel Consiglio superiore della Pubblica istruzione, potrebbero forse chiedere e ottenere anche il tuo ‘allontanamento dall’Istituto di Cultura e dall’Enciclopedia. Tutto questo sarebbe molto grave per te e per le nostre idealità comuni, ma sarebbe ‘ancora più grave per le ripercussioni che avrebbe nel paese, già troppo po Vem e perplesso in questo momento (Archivio Codignola, Firenze). L’Enciclopedia italiana ratori dell’Enciclopedia Treccani già firmatari del noto manifesto degli intellettuali aventiniani , non ebbe grande effetto, anche se ad essa e non a un ripensamento dei collaboratori previsti fosse da attribuire l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui Einaudi e Ruffini) degli 85 intellettuali nominati '. I principali filosofi collaboratori non fascisti annunciati cui altri se ne aggiunsero, firmatari o meno del contromanifesto crociano, parteciperanno all’opera, e tre firmatari, Carrara, De Sanctis e Levi della Vida, vi rimarranno anche dopo il rifiuto del giuramento fascista richiesto nel ’31 ai professori universitari !, Le polemiche del fascismo estremista contro l’Enciclopedia cessarono nel 1926, quando proteste come quelle del contromanifesto o del CONGRESSO NAZIONALE DI FILOSOFIA non ebbero più possibilità di sbocchi politici; non c'è più un’opposizione antifascista; e tutti son pronti a servire il Regime, che è lo Stato , affermerà Gentile invitando gli iscritti al Pnf ad accettare la collaborazione degli italiani capaci ed onesti, anche non fascisti : Anche l’Italia intellettuale ha fatto molto cammino, e l’antifascismo va buttato, finalmente, in soffitta ! Tuttavia, se l’opposizione politica era schiacciata, la stessa opera gentiliana di conciliazione sta diventando meno necessaria con l’inizio della costruzione dello Stato totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai avviata, e poté continuare con la collaborazione di quanti seppure in alcuni casi critici verso il suo direttore o verso il regime avevano aderito all’impostazione nazionale che Gentile aveva dato all'opera nel ’25!. ACS, Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Per i rapporti di De Sanctis e Levi Della Vida con Gentile e YE.I. G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze, Le Monnier, e G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza. Gentile, Fascismo e Università, in Educazione fascista , Volpe nega l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori, che erano di ogni colore politico (Giovanni Gentile,p. 359); cosî Pintor (che fu direttore della sezione Biblioteche ), per il quale Gentile raccolse intorno a sé e indirizzò ad un concorde e disciDiscussioni o contrasti si trasferirono per il momento all’interno dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte culturali: il punto di maggior frizione su cui ci soffermiamo perché essenziale alla comprensione dei condizionamenti esterni dell’opera fu il settore religioso, dove Gentile dove fronteggiare la pressione del mondo cattolico, che per acquistare un ruolo egemonico nella cultura italiana fu pronto a sfruttare la politica di riavvicinamento alla Chiesa promossa da Mussolini. Le dichiarazioni di imparzialità di Treccani e Gentile avevano trovato subito un esplicito correttivo nell’accettazione del controllo ecclesiastico. Nella prima riunione del consiglio direttivo dell’Istituto, Treccani dopo aver ricordato le incomprensioni e le critiche con cui l’iniziativa era stata accolta aveva precisato: L’Enciclopedia nostra deve corrispondere ai sentimenti tradizionali degli Italiani e perciò, deve essere non solo patriottica, ma anche bene accetta alla Chiesa. Per raggiungere questo scopo, un accordo è già intervenuto; Venturi dirige la sezione per le materie ecclesiastiche e sotto la sua guida collaboreranno altri ecclesiastici, tra i quali Gramatica e Rosa !4%. plinato lavoro migliaia di studiosi italiani e stranieri, di ogni credenza e di ogni scuola: accolti con uguale fiducia i dissenzienti dalla sua filosofia, gli avversari delle sue idee politiche Gentile negli studi storici e letterari, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni. Più sfumata la testimonianza di Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe e Gentile non chiedevano, e nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti per lo stesso fatto di entrare nelle Università, nelle Scuole storiche e nella Enciclopedia, ci si inseriva in organismi fascisti, dove l'imbarazzo era costante e la cautela diventava abito. Il motto che Croce ci dava il pane spirituale e Gentile ci dava il pane materiale ricorse allora più di una volta in conversazione. Una solidarietà implicita si stabiliva tra coloro che erano di sentimenti antifascisti alla Università o alla Enciclopedia (Appunti su F. Chabod storico, in Rivista storica italiana. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Le Avvertenze ai collaboratori assegnavano agli argo- [La presenza stessa di ecclesiastici de La Civiltà cattolica, in posizione privilegiata e non in nome del tanto invocato criterio della competenza, indica prima ancora di poter esprimere un giudizio sulla sua efficacia una forte incrinatura nell’impostazione gentiliana dell’opera. L’accordo di Treccani corrispondeva al processo di avvicinamento in atto fra Stato e Chiesa il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo trait-d’urzion fra Mussolini e il Vaticano !', ma contrastava con la concezione agonistica dei rapporti fra i due poteri propria di Gentile, fedele alla formula cavouriana e contrario alla conciliazione di diritto . L’ingerenza della Chiesa, che proprio scagliò la sua offensiva in campo culturale contro l’idealismo come principale obiettivo da colpire, fu contrastata ma, soprattutto dopo il ’29, sempre più subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data all’Enciclopedia, per cui avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi culturali e affidarsi ai competenti di ogni materia, fu unita all’accordo di Treccani un’arma a doppio taglio di fronte alla organizzazione vasta e articolata della cultura cattolica che sotto la protezione politica dei gesuiti poteva ora utilizzare la capacità di penetrazione della neoscolastica, istituzionalmente rafforzata col riconoscimento statale della Cattolica di Gemelli. Ma è anche menti religiosi il primo posto nel punto III: Delle materie religiose e filosofiche, morali e politiche gli scrittori dell’Enciclopedia avran cura di parlare con rispetto assoluto dell’altrui pensiero e coscienza, in modo da consentire che all’Enciclopedia insieme collaborino uomini di ogni fede e di ogni dottrina che abbia un suo valore. A tutti i collaboratori dev’esser possibile incontrarsi sopra un medesimo terreno, dove ognuno, pur mantenendo, com'è necessario, i propri convincimenti, usi tuttavia un linguaggio che gli altri possano ascoltare. Tutti i collaboratori sentiranno che soltanto cosî l’Enciclopedia Italiana potrà riuscire, com'è suo proposito, un lavoro a cui partecipano tutte le forze vive della scienza e dell’ingegno italiano. Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione, Bari, Laterza, e Scaduto]., Venturi. La Civiltà Cattolica. Felice, Mussolini il fascista, II. L'organizzazione dello Stato fascista, Torino, Einaudi, Vasoli, I neoscolastici e la cultura italiana, ora in Tra cultura e ideologia, Milano, Lerici, e Rossi, La filosofia vero che, nonostante le polemiche molto accese proprio con i neoscolastici, il laicismo gentiliano conteneva molte falle: l’importanza crescente assunta nella filosofia di Gentile da una religione ambiguamente intesa, dai Discorsi su fino alla voce enciclopedica e alla conferenza su La mia religione; la coscienza, maturata dopo la guerra, del problema politico della religione necessaria al rinnovamento della cultura da parte di uno Stato non più agnostico che, senza combattere in nessun modo nessuna particolare forma religiosa, riconosca ed affermi il valore della religione com’essa vive attraverso tutte le forme !9; il generico spirito religioso attribuito ai profeti del Risorgimento (non solo Mazzini e Gioberti), sottolineando però come per Capponi l'impossibilità di astrarre una indeterminata e vaga religiosità mistica dal complesso concreto della vita storica italiana, intimamente cattolica !f: tutto ciò favoriva la trattazione di temi religiosi in un’opera rivolta a valorizzare la civiltà romana e italiana, e costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e incerto nei risultati, fra l’attualismo che si considerava vera religione , e le forze cattoliche chiamate a dare il loro contributo. Ma l’accordo citato da Treccani era destinato a far pendere la bilancia a favore di queste ultime, per cui è probabile che l’Enciclopedia abbia assolto, nel campo dell’alta cultura, la stessa funzione favoreggiatrice del pensiero confessionale svolta dalla riforma scolastica nel settore dell’educazione elementare (e poi media). neoscolastica e i suoi orientamenti storiografici, ora in Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi, Discorsi di religione, ora in La religione, Firenze, Sansoni, Si pensi agli interventi di Gentile a difesa della riforma scolastica (Scritti pedagogici, La riforma della scuola in Italia, cit.), nei quali prevale, sull’idea del confronto fra pensiero laico e cattolico, il concetto dello Stato non agnostico ma educatore, per concludere che in Italia, se lo Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire in funzione del passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica Sul laicismo e la concezione gentiliana come elemento essenziale della tradizione nazionale italiana, L'Enciclopedia italiana Gentile cercò di contrastare l’offensiva cattolica, come dimostrano l’organizzazione iniziale delle sezioni di argomento religioso e i loro successivi cambiamenti. La sezione materie ecclesiastiche affidata a Tacchi Venturi, di cui aveva parlato Treccani, non compare nel Primo elenco di collaboratori dell'inizio quando le trattative col Vaticano segnavano il passo; appaiono invece quella di Filosofia, Educazione e Religione sotto la direzione di Gentile, conforme alla concezione per cui la religione solo idealmente è distinta da LA FILOSOFIA, laddove in realtà ogni religione è sempre una filosofia, e ogni filosofia, se degna del suo nome, è una religione !, la sezione Geografia sacra sotto la guida di Gramatica, e quella di Storia delle Religioni con Pettazzoni, che fra i primi aveva introdotto stabilmente in Italia la corrispondente disciplina, cui Gentile riconosceva, sia pur con alcune cautele, validità scientifica. Nel primo volume dell’Enciclopedia invece, uscito subito dopo i Patti Lateranensi, la generica sezione Materie ecclesiastiche diretta da Venturi (probabilmente non limitata all’agiografia sacra o alla liturgia) si affianca a quelle già citate di Gramatica e Pettazzoni, alla sezione diretta da Gentile che assunse il titolo Storia della Filosofia e Storia del Cristianesimo dove, accanto alla significativa scomparsa della Pedagogia e della Religione (non sappiamo se come la prima assortbita dalla Filosofia o dalle Materie ecclesiastiche ), si registra il tentativo gentiliano di controllare tramite Omodeo, come vedremo la Storia del Cristianesimo . Filosofia e pedagogia e Storia del cristianesimo risultano distinte, entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco dopo, nei primi mesi del 1931 (vol. XI), Storia del cristianesimo è scom le osservazioni di A. Lo Schiavo, La religione nel pensiero di Giovanni Gentile, in La Cultura. Il carattere religioso dell’idealismo italiano, ora in La religione, la recensione alla Storia delle religioni di G. Foot Moore. parsa: assieme al ritiro di Omodeo, ciò può essere interpretato come un indebolimento della posizione gentiliana in questo settore, e un rafforzamento delle Materie ecclesiastiche di Tacchi Venturi. L'offensiva ecclesiastica è evidente anche nel campo dei collaboratori: mentre nel Prizzo elenco gli ecclesiastici sono 34 (pari al 2,4% del totale dei collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di fronte a 13 francescani), nell’Enciclopedia sono già nella percentuale in cui parteciperanno a tutta l’opera oltre il 4%, di cui il 27% è formato di gesuiti che costituiscono il gruppo più numeroso; appaiono fin da ora i più eminenti: oltre a Venturi, Bricarelli, Rosa e Vaccari e, se si eccettuano Omodeo e Pincherle (storia del cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi (agiografia e storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici, nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani e della Cattolica questi ultimi in numero di 6 che, osservava La Civiltà cattolica, per sincerità di fede affidano chi consulti quest’opera 1°, L'assalto cattolico all’Enciclopedia era cominciato meno di un mese dopo la costituzione dell’Istituto Treccani e prima ancora che fosse annunciato l’accordo intervenuto con le autorità ecclesiastiche: Gemelli fondatore della Cattolica e paladino della neoscolastica, e uno dei maggiori critici dell’attualismo aveva offerto il contributo suo (gratuito) e dei suoi amici proponedo per sé temi di psicologia !, di cui si occuperà nell’Exciclopedia assieme all’altro argomento in cui era competente , la Neoscolastica,' voce tutta impostata in senso anti-idealistico, confutando coi fatti il giudizio negativo espresso politicamente su di lui e su tutta la cultura cattolica dal gentiliano Giuseppe SAITTA!. Busnelli], L’ Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. AEI, Lettere, Gemelli. 152 Rusticus [Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in Vita nova . L’infaticabile Gemelli ha lanciato Gentile accetta la collaborazione di Gemelli e del gruppo neoscolastico, seguendo il criterio per cui l’opera doveva essere specchio fedele di tutte le correnti intellettuali del paese. A questo criterio si ispirò anche Omodeo, cui Gentile affidò fin dall’inizio l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo storico del cristianesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale sono guida illuminante per seguire il peso crescente assunto all’ interno dell’Enciclopedia da Venturi e dagli ecclesia stici (soprattutto gesuiti), preparò elenchi di voci sull’esempio della Britannica cercando di impedire, con una trattazione storica degli argomenti, gli interventi dogmatici dei collaboratori cattolici, e assicurò il contributo di esponenti dei diversi indirizzi religiosi: gli allievi di Buoniaiuti con in testa Pincherle !, e il gruppo l’idea di contrapporre alla enciclopedia Treccani diretta dal Gentile una enciclopedia cattolica. L’idea è buona, anzi ottima, e noi l’approviamo, perché cosi l’illustre frate che ha il merito di aver fondato un Istituto Universitario del Sacro Cuore, di cui ancora ignoriamo i risultati, dimostrerà per l'ennesima volta che il pensiero cattolico nulla ha da dire di veramente nuovo nel dominio scientifico. Si fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è difficile, difficile assai, è trovare le teste, e di teste colte, sapienti, con tutta la buona volontà, non ne scopriamo molte nel campo cattolico . Scrive a Gentile: Non sono riuscito a intendere bene il criterio secondo cui è stabilito lo sviluppo da dare alle singole voci. Noto che anche gli argomenti cattolici sono contenuti entro limiti molto pi ristretti che nell’Enciclopedia Britannica. Ciò non può dipendere dal fatto che sono aumentate le voci. Le voci aggiunte non mi pare che superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me depennati l’anno scorso dagli elenchi dell’Enciclopedia Britannica. Può darsi che questo sia un criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia cristiana ed ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente con la collaborazione dei cattolici: di rendere questa parte dell’Enciclopedia completamente insignificante come i trattati e i manuali correnti nei seminari, che nessuno consulta. Massima obbiettività e pura esposizione dei problemi: sta bene. Ma quella gente non si contenta di questo. Vuole che i problemi siano ignorati, il che significa tradire lo scopo principale dell’Enciclopedia. È di ieri la condanna d’un manuale ortodossissimo di storia ecclesiastica corrente nei seminari, pel solo fatto che onestamente informava dei punti + Ag dei non ortodossi (Gentile-Omodeo, Carteggio). A Gentile: Ognuno del loro gruppo sceglierà le voci che meglio rispondono alla loro preparazione e le tratterà. Ciò non vincola menomamente l’atteggiamento che noi o essi crederemo o crede ranno di prendere in altre opere, negli apprezzamenti reciproci. L’Encidi Bilychnis per la storia del protestantesimo. Ma le sue lettere a Gentile rivelano le pressioni e poi il deciso intervento censorio degli ecclesiastici, che forti degli accordi, costringeranno Omodeo ad abbandonare il lavoro all’Enciclopedia, dove sarà sostituito da Pincherle ', Da questo momento i gesuiti predomineranno nel settore, e La Civiltà cattolica , stendendo un bilancio dei primi tre volumi dell’opera, poteva profondersi in lodi, pur lamentando che parecchie voci fossero state affidate a laici non solo, ma di sensi non cattolici, quali il Pincherle e l’Omodeo. Una particolare menzione merita il saggio consiglio preso dall’Istituto Treccani di affidare in avvenire la direzione della Sezione Materie ecclesiastiche e la compilazione degli articoli nei quali più facilmente possono trascorrere abbagli ed errori, ad ecclesiastici dell’uno e dell’altro clero, italiani e stranieri, uomini tutti di sicura dottrina nel campo della sacra letteratura. C'è dunque ragione di stare a buona speranza che per quel che riguarda direttamente la Chiesa, il dogma, la storia ecclesiastica, la liturgia e le altre parti della dottrina e della scienza cattolica, non s'incontreranno quei difetti, talora gravissimi, che scemano il valore e la stima di altre enciclopedie, compilate con troppa assoluta indipendenza, ignoranza o anche disprezzo del pensiero cristiano e cattolico. Oltracciò convien notare come i Direttori dell’Enciclopedia, Gentile e Tumminelli, insieme col Consiglio direttivo dell’Istituto Treccani, mentre lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate !9?. Il giudizio dell’autorevole rivista suonava monito per il futuro, non solo per le voci di argomento religioso. L’enciclopedia rifletterà obiettivamente la situazione presente della cultura italiana. A Gentile. ibidem, ed Omodeo, Lettere, Torino, Einaudi, in particolare la lettera a Gentile [G. Busnelli], L’Enciclopedia italiana cacia del controllo ecclesiastico, su cui esistono testimonianze di contemporanei e che sarà verificata più avanti, poggiava ormai sulla nuova situazione politica e culturale creata dalla Conciliazione. Con il contrasto fra cattolici e idealisti si trasformò in aperta frattura, registrata immediatamente dal CONGRESSO DI FILOSOFIA che vide lo scontro fra Gentile e Gemelli. Il pericolo dell’ingerenza cattolica fu avvertito subito da Gentile, che cercò di reagire attaccando il dogmatismo neotomistico '? e sottolineando il carattere religioso dell’attualismo, La funzione da lui svolta era tuttavia destinata a indebolirsi con la nuova alleanza stabilita dal regime, e l’Enciclopedia diverrà luogo di uno scontro sempre più duro con i cattolici apertamente incoraggiati dalla messa all’indice delle opere di Croce e Gentile. Il quadro storico generale in cui nacque e fu realizzata l’idea dell’Enciclopedia fin qui tracciato ha contribuito a spiegare le sue origini nel clima di riscossa nazionale del dopoguerra, e la funzione di assorbimento di intellettuali di diversa formazione da essa svolta, e in vista della creazione dello Stato totalitario; cercheremo ora, attraverso la lettura interna dell’opera, di chiarire le scelte culturali operate, che non possono essere dedotte Minimizzato da Volpe, il controllo ecclesiastico è invece ritenuto esteso a tutti gli argomenti da Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico in La Cultura , e testimoniato da Vida, ad es. le dichiarazioni di Gentile riportate in Educazione fascista Alla lettera con cui Salvadori rifiutò l’invito gentiliano di collaborare all’E.I., opera dove la filosofia dominante nega Dio vivo e vero per adorare la divinità dell'uomo (pubblicata postuma da A. Frateili, Vita e poesia di Salvadori, in Pègaso ; ora in Lettere di Salvadori scelte e ordinate da Trompeo e Vian, Firenze, Le Monnier), Gentile rispose qualificando giudizi temerari: 1) che nella detta Enciclcpedia domini una filosofia (che non è vero); 2) che la mia filosofia neghi il divino vivo e vero (che è falso); 3) che adori il divino dell’uomo (che è un equivoco molto grosso) (Giornale critico della filosofia italiana). meccanicamente dal rapporto col clima politico in cui vennero attuate, anche se di questo dovremo tenere conto. Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani, rappresentanti non solo quando li uni la politica di conciliazione di Gentile differenti indirizzi di pensiero !, l’Enciclopedia fu considerata allora come uno strumento capace di promuovere studi e ricerche in campi fin allora inesplorati dalla scienza italiana. Nell’impossibilità di controllare questa affermazione, ci limiteremo a verificare il giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di una cultura accademica impermeabile al fascismo, positiva , costituita di fatti e di informazioni, contro la quale polemizzeranno, in un ambiente sempre più chiuso alle moderne esperienze contemporanee, i nuovi mistici della fede cattolica o della dottrina fascista . Sarebbe tuttavia da verificare l’accenno di Volpe alla diminuzione del numero dei collaboratori per volume, che potrebbe indicare una maggiore progressiva uniformità di voci. ad es. Pincherle, per il quale l’E.I. riproduce in sostanza lo stato odierno della cultura italiana, con i suoi pregi e anche, è naturale, con le sue deficienze: a riparare alle quali la preparazione di un'Enciclopedia è appunto stimolo efficace più di tanti discorsi, e Gentile: è già interessante vedere come quest’alta cultura italiana abbia avuto dall’Enciclopedia uno sprone e uno stimolo a misurarsi in campi finora trascurati. L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora degli storici italiani (e questo è un fatto nuovo) che si occupano di proposito di storia delle altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente. Non uno o due specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani (L’Enciclopedia Italiana, in Rassegna italiana politica e letteraria . Tanto che Volpe potrà dire che l’E.I. fu, per dieci anni, un gran porto di mare; fu la vera Universitas studiorum non di Roma o d'altra città ma di tutta Italia e, un poco, di tutta Europa. E un uomo di nome europeo, e pit che europeo, Gentile, ne era il Rector Magnificus, sempre presente, anche se non ingombrantemente presente. Di voci partigiane ma dignitose ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in Il Corriere della sera). Significativi il giudizio di Speranza [Luca, uno dei principali collaboratori ecclesiastici dell’enciclopedia], Temzpo d'Enciclopedia?, in Il Frontespizio, Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei propri giorni e la regola della vita terrestre ed eterna? L’Enciclopedia è ormai cosa da positivisti ), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa Critica fascista il Dizionario di politica del Pnf che sarà pubblicato : prezioso repertorio dottrinale, a base del quale non sarà tanto l'informazione quanto la valutazione di idee e fatti dal punto di vista fascista: opera, cioè, come ben A molti dei filosofi che hanno valutato complessivamente i contenuti dell’Enciclopedia, emblematica delle vicende culturali del periodo fascista, è parso che in essa permanessero i valori di una cultura impermeabile al fascismo, sia per la presenza di eminenti personalità antifasciste, come SOLARI e MONDOLFO, sia per l’ampiezza di settori ritenuti difficilmente influenzabili dall’ideologia del fascismo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli geografico e artistico. È il caso di BOBBIO, per il quale l’opera è indiscutibilmente la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino ad oggi della cultura accademica del nostro paese, e non è, se non in qualche frangia marginale, che appare una stonatura, un’opera fascista, in quanto tutto ciò. che vi fu di fascistico, anzi disquisitamente fascistico, nei trentasei volumi, fu concentrato nella voce Fascismo: un’interpretazione che, mentre coglie nell’impresa la presenza di tutto o quasi tutto lo stato maggiore della cultura. accademica post-fascista, tende a negare qualsiasi influenza dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la nota tesi crociana. Né si discosta molto dalla sostanza di questa interpretazione, pur con giudizio di valore rovesciato, Rosa, che, attento a sottolineare la continuità del carattere di classe della cultura borghese prima e durante il fascismo, si limita con Momigliano a rimproverare agli intellettuali che parteciparono all’impresa che, collaborando, si collaborava inequivocabilmente ad un’opera del regime , osservando tuttavia che in questo caso la fascistizzazione della cultura non comportò neanche un’appropriazione ideologica, come quella verificatasi nel campo della scuola, ma soltanto la gestione istituzionale di ampi settori d’intellet sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente, di impostazione e di finalità politiche, e non di una pura e semplice enciclopedia cultu rale (Mattei, Cultura fascista e cultura dei fascisti. Bobbio, La cultura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e società italiana, a cura di Quazza, Torino, Einaudi, tuali di tendenze e opinioni diverse. Solo Badaloni, cogliendo la novità rappresentata dal fascismo anche in campo culturale, ha avanzato l’ipotesi di un legame fra l’ideologia del regime reazionario di massa e la cultura di cui l’opera fu espressione, pur affermando che l’Enciclopedia si caratterizza certamente per l’aspetto della continuità rispetto alla tradizione precedente, assicurata dal ruolo svolto da Gentile, Un esame ravvicinato dell’opera permette in realtà di individuare, accanto ai forti condizionamenti politici del regime divenuti espliciti con il riconoscimento ufficiale dell’iniziativa di Treccani e alla elaborazione di una cultura propria del fascismo ', l'impossibilità dei non molti intellettuali non allineati al regime di mantenersi autonomi all’interno di una istituzione fascista; e, infine, il carattere non univocamente gentiliano dell’opera, non tanto perché, come ha affermato Momigliano, Gentile si limitava in alcuni casi a dare ai collaboratori il pane materiale mentre Croce forniva quello spirituale, quanto perché, più in generale, l'impresa enciclopedica si pose come coronamento di quel processo di selezione di una cultura di destra su cui ha insistito Amendola che si era venuta rafforzando a partire dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non completamente omogeneo a questa cultura, esso non fu rappresentato dal liberalismo di Croce, bensî dalla componente cattolica che, Rosa, La cultura, in Storia d'Italia, Dall'Unità a oggi, Torino, Einaudi, Badaloni-C. Muscetta, LABRIOLA, Croce, Gentile, Bari, Laterza, Sulla cultura del fascismo. l’introduzione di Garin a Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, e la recensione di Amendola al volume di Garin (ora in Fascismzo e movimento operaio, Roma, Editori Riuniti). Amendola, che ha tuttavia negato l’esistenza di una cultura fascista. Non c’è stata una cultura fascista. C'è stata una adesione politica degli intellettuali al fascismo, una accettazione del regime sulla base di posizioni culturali molto diverse. Al fascismo aderiscono positivisti e idealisti. Uomini di varie e contrastanti correnti artistiche mantengono, nel quadro politico fornito dal regime, le proprie posizioni culturali, e il regime lasciava correre (Id., Intervista sull’antifascismo, a cura di Melograni, Bari, Laterza, mirò a sostituirsi all’attualismo e al debole laicismo di Gentile. Definire idealistica l’Enciclopedia, come da più parti è stato fatto !’, è insufficiente a comprenderne la complessità e, probabilmente, la stessa capacità di durata nella cultura italiana. Per far ciò è necessario ricordare che l’opera di organizzazione del consenso intrapresa da Gentile e integrata, non senza forti contrasti, dall'intervento cattolico: la constatazione acquista tutto il suo valore, ove si pensi che all’impresa furono interessati 3.266 collaboratori quel piccolo e rissoso e indisciplinato mondo dei filosofi il più riottoso, individualista, disgregato ha dato e dà da anni un esempio di adattamento al lavoro collettivo, ricorderà il revisore-capo Bosco, e che, ad avvalorare (in positivo e in negativo) il giudizio di alcuni studiosi sulla continuità tra fascismo e postfascismo, l’Enciclopedia ha attraversato impunemente la caduta del regime per presentarsi ancora oggi, immutata nei contenuti dopo cinquanta anni dalla sua apparizione, come strumento di lavoro di studiosi e di studenti. Le Appendici che sono cominciate a uscire non hanno potuto modificare i contenuti generali dell’opera che, ristampata fotoliticamente mentre PRESIDENTE dell’Istituto era diventato Sanctis, non ha sentito il bisogno, a differenza dell’Enciclopedia britannica, di rinnovarsi col mutare della società, degli orientamenti politici e delle prospettive culturali, attuando cosî, molto al di là delle sorti del regime al quale è legata la sua nascita, l’auspicio, formulato da Gentile, di veder prolungare la nostra vita in un’opera che continuerà ad essere ricercata e apprezzata dagl’Italiani per cui essa è stata specialmente pensata e compilata e per gli stranieri che noi ci lusinghiamo di Essa fu qualificata un enorme e informe cibreo idealistico-fascista da Togliatti, Gramsci e don Benedetto, ora in I corsivi di Roderigo, Bari, De Donato. Di enciclopedia dell’idealismo parlano Piovani, Il pensiero idealistico, in Storia d’Italia, V.I documenti, 2, Torino, Einaudi, Spirito, Memzorie di un incosciente, Milano, Rusconi (dove l’opera è considerata una prosecuzione del fascismo), Bosco, Enciclopedia Italiana, aver legati all'Italia con nuovi vincoli di simpatia e di stima, mentre l’Italia per l’azione potente d’un grande Uomo e d’una grande Idea risorgeva per la terza volta a imperiale potenza e riafferma nel mondo la sua missione. Il regime non si era limitato a condizionare dall’esterno l’opera, ma ne aveva facilitato la realizzazione facendo propria l’iniziativa di Treccani. Le difficoltà economiche dell’Istituto originario insorte e aggravatesi con la grande crisi portarono ad una sua fusione nell’ente editoriale Treves-Treccani-Tumminelli, e infine all’intervento in prima persona del governo che, riconoscendo l’opera di interesse nazionale, con d.l. costituî, con il finanziamento di banche parastatali, l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Treccani, sotto la presidenza di Marconi. A queste vicende editoriali si accompagnò un pit stretto controllo da parte del regime e l’abbandono della politica di conciliazione perseguita da Gentile; cosî, se ancora Gentile poteva riconoscere, nella prefazione al primo volume dell’opera, l'opportunità di un ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità , spentesi le battaglie che si erano svolte nella fase preparatoria e di cui la vicenda di Omodeo è l'esempio più significativo, il direttore dell’Enciclopedia notava che, perduta per via qualche forza anche ingente, non fatta per questa disciplina indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata ormai la famiglia, quale io la sento intorno a me, dei direttori e redattori, si tratta piuttosto di scaramucce e di semplici avvisaglie !?. Due anni dopo, intervistato all’indomani del d.l., Gentile marcava la differenza fra la situazione attuale e quella di otto anni prima, ricordando che nel 1925 WI E.I., Appendice, ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della cultura popolare, Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, ciGentile, Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce îl libro per tutti, in Il Corriere della sera , la collaborazione alla Enciclopedia venne aperta a quanti avevano una fama sicura ed una competenza accertata nei vari rami delle lettere, delle arti e delle scienze. Forse fu un errore. Ma allora, mentre vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava che la nostra Enciclopedia potesse fare opera di concordia, accogliendo uomini che, benché non fascisti, avevano accettato il programma dell’Istituto che si inspirava alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano e a quegli alti destini cui esso può e deve aspirare; seguiremo fedelmente le direttive che il Duce ci ha impartito, concludeva rispondendo a una domanda sui propositi per l’avvenire !. È naturale che Il Tevere non riprendesse le polemiche, ma si limitasse a notare come l’opera per l'ampiezza del testo e per la profonda dottrina della compilazione avesse assunto il carattere di grande Enciclopedia nazionale. Tanto pi che, a convalidarne l’aderenza al regime agli occhi di quanti vi avevano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno di un anno prima della costituzione del nuovo Istituto sull’Enciclopedia era stata pubblicata la voce Fascismo firmata da Mussolini, subito presentata come la massima espressione della dottrina del fascismo. Non mancarono tuttavia, anche in questa fase, feroci attacchi all'opera da parte de La Vita italiana di PREZIOSI e de Il Secolo fascista di Fanelli ‘, l’anti-gentiliano ben visto negli ambienti cattolici ‘ e autore del pamphlet Contra Gentiles nel quale sosteneva che nell’Exciclopedia i gentiliani Origini e finalità della monumentale opera, in La Stampa Il nuovo atto costitutivo dell'Istituto dell’Enciclopedia italiana firmato alla presenza del Duce, in Il Tevere All’apparizione dell’enciclopedia il giornale aveva commentato: quanto ai gesuiti, si può star tranquilli: giacché a curare, dell’Enciclopedia, la parte di cultura religiosa è stato propriamente Venturi. Nel cantiere dell’Enciclopedia, in Il Tevere. La Vita italiana IT? Il Secolo fascista ad es. la recensione di Bobbio a Contra Gentiles di Fanelli. Studium.. hanno organizzato con una perfidia senza precedenti, la controrivoluzione, demolendo sistematicamente tutti i valori esaltati dal fascismo, mistificando e stravolgendo il significato delle sue istituzioni. Ma furono voci minoritarie, espressione di divergenze ideologiche e culturali, non politiche. Dubbi di natura politica, probabilmente collegati a lotte di potere scatenatesi per il controllo dell’Istituto, furono avanzate solo in un rapporto anonimo a MUSSOLINI, secondo il quale fra i collaboratori dell’opera vi erano parecchi anti-fascisti, e veniva lasciata troppo mano libera ai compilatori di cui son note le idee antifasciste. Ma Gentile poté replicare di essere stato autorizzato esplicitamente da Mussolini a mantenere le collaborazioni di Sanctis e di Vida, che avevano rifiutato il giuramento imposto ai professori universitari, e di esercitare un ferreo controllo sulla redazione e sull’esecuzione di tutta l’opera. Nella scelta dei collaboratori esterni posso assicurare che si tiene il massimo conto delle tendenze politiche degli scrittori scartando tutti gli antifascisti. Come posso altresi assicurare che nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti a rigorosa revisione, Nelle sue memorie, del resto, Sanctis non si mostra cosciente del significato politico dell’Enciclopedia e quindi della sua partecipazione !, mentre Levi Della Vida ricorderà di essere stato convinto a collaborare dopo un primo rifiuto dalla promessa di non politicità dell’opera fatta da Gentile, pur riconoscendo che senza dubbio non può non avvertirsi in alquante voci delFanelli, Contra Gentiles. Mistificazioni dell’idealismo attuale nella rivoluzione fascista, Roma, Biblioteca del Secolo fascista, anche, per l’accusa mossa all’E.I. di aver massacrato la storia di Roma, Bortone, Mito e storia di Roma durante il fascismo, in Palatino Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso Torino, Einaudi, Sanctis, Ricordi della mia vita. Scrivendo a Ricciotti, in qualità di presidente dell’Istituto, Sanctis dirà di voler continuare l’Ernciclopedia evitando peraltro, grazie al nuovo clima di libertà, quelle sia pur lievi concessioni che la prima edizione ha dovuto fare ai tempi (AEI, Lettere, Ricciotti). l’Enciclopedia il clima peculiare all’Italia di quel tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal discrezione, colla preoccupazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a ogni modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia coscienza se avessi persistito nel rifiuto. Ciò che emerge con chiarezza dalla vicenda dell’Enciclopedia è lo sforzo del regime, che appare in larga parte riuscito, di organizzare il consenso degli intellettuali. Questa novità del fascismo era colta con difficoltà dagli antifascisti; più attenti ai problemi della cultura e degli intellettuali furono gli esponenti di Giustizia e Libertà, fra i quali Venturi, che afferma: Sono abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo per organizzare i corpi armati contro gli italiani oltre che contro gli stranieri, e gl’istituti finanziari ed economici a favore di pochi arrivati al potere. Ma non è ancora stato analizzato il successo del fascismo nel promuovere la cultura in Italia. Mussolini ha compreso l’importanza di una cultura foggiata a sostegno del regime, e, privo di ogni ideale da offrire come meta all’intelligenza, convinto che solo il denaro può interessare gli uomini, ha largheggiato di mezzi verso gl’intellettuali in un modo inconsueto in Italia. Ma anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il contenuto di classe di questa nuova cultura, e la capacità del regime e poi dei cattolici di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere utile un sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci dell’Enciclopedia politiche, storiche, religiose, cerchi di valutare i contenuti culturali dell’opera nel più generale contesto politico in cui fu realizzata: non tanto per rilasciare patenti di fascismo e di antifascismo a singoli collaboratori, quanto per vedere se nei loro contributi emergessero o meno elementi funzionali all’ideologia che il fascismo veniva elaborando. Con ciò non si potrà ritenere esaurito, del resto, l’esame dell’opera, in cui ampio è l’apparato di voci illustrative (tecniche, geografiche e artistiche); anche Vida, Fantasmi ritrovati, Travi (Venturi), La cultura italiana sotto il fascismo, in Quaderni di Giustizia e Libertà, se un ulteriore approfondimento dovrà valutare fino a qual punto queste ultime possano essere considerate esposizioni asettiche, dal momento che, ad esempio, un geografo come Almagià, ben inserito nelle istituzioni culturali e negli organismi politici del regime e direttore, con Biasutti, della sezione Geografia dell’Enciclopedia, poteva affermare che le trenta pagine dedicate alla geografia dell'Albania costituivano uno spazio non certo soverchio, relativamente alla importanza che questo paese ha oggi per l’Italia. Resteranno fuori dalla nostra analisi, fra gli altri, due settori molto importanti, quello filosofico e quello scientifico. Il primo, com'è naturale, fu più direttamente controllato da Gentile, la cui influenza è facilmente avvertibile; ma può essere interessante notare come in esso non manchino anche riferimenti all’attualità politica: la trattazione dell’Idealismzo offre ad esempio a Calogero l’occasione per osservare che dalla sinistra hegeliana muovevano quei pensatori che, come Marx, Engels e Lassalle, tradussero il dialettismo genetico dell’idealismo in un evoluzionismo naturalistico, condannando ogni spiegazione delle cose che non si riferisse nudamente alle ferree leggi della natura e tramandando tale fiero odio per ogni ideologia e idealismo fino ai giorni nostri, in quei paesi, come la Russia, che da essi hanno mutuato la concezione politica. D'altro lato, Spirito considera come filosofia del fascismo, sia pur allusivamente, l’Attualismo, che ha condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e alla sua identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega come l’attualismo non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi della cultura e della vita politica, e abbia condotto a un profondo rinnovamento della coscienza nazionale. Almagià, La geografia nella Enciclopedia Italiana, in Bollettino della R. Società geografica italiana. Biasutti-Almagià, Le geografia nella nuova Enciclopedia italiana, in Atti del X congresso geografico italiano, Milano, Capriolo e Massimino. Particolari cure sono rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti rapporti col nostro. Nel settore scientifico, in particolare per quanto riguarda la storia della scienza dove fu dato largo spazio al genio italiano, si assiste invece a una divisione del lavoro tra studiosi non attualisti e gentiliani. Spirito aveva sostenuto, al CONGRESO DI FILOSOFIA, l’identificazione di filosofia e scienza, spingendo Gentile a riconoscere l’importanza della storia della scienza per la stessa ricerca scientifica; ed è proprio Spirito l’autore della voce Scienza nella quale, dopo aver tratteggiato storicamente il problema dell’unità o della distinzione tra scienza e filosofia, oppone a CROCE, teorico del dualismo, il Gentile negatore di ogni distinzione tra concetti puri e concetti empirici, e rivendica a se stesso e ad Volpicelli il merito di aver tentato di dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo implicita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in concreto la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e che la distinzione di diversi gradi filosofici, naturalistico e idealistico, deve essere superata anche nel campo delle scienze particolari. Il dualismo fu allora superato solo apparentemente, nonostante la volontà degli attualisti di impadronirsi della tematica scientifica da un punto di vista filosofico. Enriques, lo storico della scienza che dirigeva la sezione Matematica, concludeva significativamente cosî una lettera a Gentile in cui illustrava le proprie idee sulla redazione della voce Scienza: niente impedisce se l’articolo Le apparirà manchevole che sia integrato da un successivo articolo filosofico, nel senso che la parola ha per Lei, diverso dal mio. Fu questo il criterio che, se non fu adottato per questa voce, guidò la redazione di molte altre di carattere storico-scientifico, che vennero suddivise in due parti: una Gentile, Introduzione alla filosofia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli, A1 fatto che Gentile dette una certa estensione alle voci di storia della scienza nell’Enciclopedia accenna Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati, AEI, Lettere, Enriques. più propriamente scientifica, riservata a studiosi di formazione positivistica, e una filosofica, affidata ad attualisti, come nel caso di GALILEO, scritta da Marcolongo e Allmayer, o di VINCI, dove accanto ai vari specialisti della multiforme attività dello scienziato volle apporre la sua firma lo stesso Gentile. L’esame delle principali voci di carattere politico conferma pienamente l’esistenza non solo di una ideologia, ma anche di una cultura fascista, attraverso la quale il regime cerca di costruirsi una legittimazione storica. Resta ancora da compiere una ricognizione degli studi di scienze politiche che si vennero elaborando in Italia tra le due guerre mondiali e che, non limitandosi a ricostruire le discussioni metodologiche sulla storia delle dottrine politiche, sia attenta al legame con la tradizione inaugurata da Mosca, Pareto e Michels, e a quello tra elaborazione teorica e ricostruzione storica, al rapporto con la politica sviluppata dallo Stato fascista e alle istituzioni in cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui, proprio a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze politiche dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe dirigente. Le voci enciclopediche sono solo una spia della estrema ideologizzazione cui era soggetta questa tematica, e della fortuna della concezione gentiliana dello Stato, che più di quella di Croce cercò di affrontare il problema dell’emergere delle masse sulla scena politica nazionale, Non ci sembra di poter condividere l’opinione di Bob ad es. Testoni, La storia delle dottrine politiche in un dibattito ancora attuale, in Il Pensiero politico Un interessante tema di ricerca suggerisce in questo senso Montenegro, Politica estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale., in Studi Storici le osservazioni di Racinaro, Intellettuali e fascismo, in Critica marxista-- Bob bio che la presenza dell’ideologia fascista nell’Enciclopedia sia avvertibile solo nella voce Fascismo. Anche se gia Treccani aveva potuto affermare, ringraziando Mussolini per la promessa fatta a Gentile di collaborare per questa voce, che l’Enciclopedia non poteva ottenere pit importante e significativo suggello del carattere suo, di opera italiana del regime !, la voce, scritta frettolosamente da Gentile per la prima parte ( Idee fondamentali ) e da Mussolini per la seconda (Dottrina politica e sociale) !", non è, all’interno dell’opera, l’unica né, forse, la più articolata espressione dell'ideologia e della cultura politica del regime. Uscita nello stesso anno in cui Croce pubblicava il manifesto del liberalismo, la Storia d’Europa, quella che i contemporanei considerarono la summa dottrinale del fascismo colpisce infatti per la sua genericità, dovuta probabilmente anche alla volontà di non dare appigli a quanti, all’interno del regime, cercavano di appropriarsene la dottrina. Se la mano di Gentile è indubitabile, come rilevarono subito i commenti degli antifascisti La Libertà sottolineò nella voce la concezione dello Stato propria del filosofo della Enciclopedia Treccani, mentre Lo Stato operaio colse nella prima parte dello scritto la marca di fabbrica della ditta intitolata a Gentile !, non è meno significativo il fatto che i commentatori di parte fascista non dessero un particolare rilievo alla influenza attualista, e ciò non solo per piaggeria verso Mussolini, che aveva firmato tutta la voce. Un accenno, sia pure sfumato, vi è solo in Bottai più vicino al filosofo siciliano il quale osservò che con la Dottrina del fascismo la cultura moderna era giunta a Treccani a Mussolini (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato). Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, e la testimonianza di A. Iraci, Arpinati l'oppositore di Mussolini, Roma, Bulzoni. A parte questo caso, l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle lettere e sullo schedario per autori conservati presso l'Archivio dell’Enciclopedia italiana. IL DUCE-FILOSOFO E LO STATO FASCISTA, in La Libertà; Donini, Il fascismo secondo Mussolini, in Lo Stato operaio quella critica del socialismo e del liberalismo, a quel senso realistico della storia e a quel pensiero idealistico, che sono stati, prima oscuramente ora chiaramente, i caposaldi del pensiero mussoliniano. Gli anti-gentiliani furono invece assai espliciti nel distinguere la dottrina del fascismo dall’attualismo: non solo, naturalmente, Fanelli, ma anche Carlo Costamagna, autore di parte della voce Corporazione: dopo aver affermato che il fascismo, pur possedendo una dottrina, non può e non deve possedere una filosofia, perché non esistono verità assolute, eterne e universali, fuori del dogma religioso per il credente, nota che l’attivismo fascista è lo sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla ha di comune con quell’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di assorbire e superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti espedienti dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non una esercitazione di parole, buona a giustificare qualsiasi comportamento pratico, ricadendo negli eccessi dialettici propri ad ogni filosofia delle epoche di decadenza ! E particolare significato assume il commento della rivista ufficiale di Mussolini, Gerarchia, che sembra attaccare, oltre a Gentile, gli esiti di sinistra del gentiliano Spirito quali si erano manifestati, nel maggio [ II secolo di Mussolini, in Critica fascista. Bottai insisteva su una presentazione di sinistra della dottrina del fascismo: nega l’ideologia marxista, ma accoglie il movimento operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello Stato; nega l'ideologia democratica, ma non intende restituire gli individui alla condizione di bruti privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno Stato di polizia ; La dottrina del fascismo, che non ignora né l’esperienza democratica né quella socialista, concepisce lo Stato come il sistema dei diritti-doveri degli individui organizzati per raggiungere i più alti fini etici della personalità umana (nella sua concretezza nazionale), e non può fare a meno di tendere verso una giustizia sociale che, in regime liberale, non poteva non essere calpestata. In questo senso se il nostro secolo, come dice Mussolini, sarà un secolo di destra, esso, proprio perché è il secolo dello Stato (se lo Stato non è, e non dev'essere, strumento della prepotenza dei pi forti), sarà un secolo di sinistra. E l’organizzazione corporativa italiana ne è una prova . Bottai sarà autore della voce Corporativismo nell’Appendice. Fanelli, Contra Gentiles. Costamagna, Pensiero ed azione, in Lo Stato, precedente, al II Convegno di studi corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva fine, secondo la rivista, al tentativo delle varie correnti culturali italiane di monopolizzare la dottrina del fascismo, la quale fu identificata anche con il benedetto, onnipresente liberalismo: sia con quello vero, che, partendo dal mito delle intangibili libertà individuali, si ferma allo stato come complesso di servizi utili e giungeva, al massimo, ad accettare un forte stato di polizia, guardiano notturno dell’ordine pubblico; sia col liberalismo ancora pié vero, che dalla base della fantastica acrobazia dialettica della identità assoluta fra stato e individuo, finiva, logicamente, con l’identificare la dottrina fascista con l’utopia comunista. Colpisce infatti, soprattutto nella parte sulla Dottrina politica e sociale, che alle istituzioni corporative sia fatto solo un cenno assai rapido, nonostante che l’elaborazione della dottrina corporativa fosse andata molto avanti, e nella voce si insista sul fatto che proprio dopo la crisi chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato . Il motivo, suggerito da Gerarchia, è reso esplicito da Vita nova, la rivista del gentiliano Saitta, per il quale dopo il mirabile articolo del Duce sulla dottrina del fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia Treccani, discutere sulla struttura filosofica e politica della relazione Spirito al Convegno di studi corporativi, è non solo vano ma temerario, in quanto la corporazione proprietaria ci riporterebbe pari pari all'esperienza bolscevica. Nonostante queste prese di distanza ma è da ricordare che anche Gentile precisò il suo pensiero rispetto a quello di Spirito, risulta evidente la marca di fabbrica gentiliana della voce, anche se alcuni passi possono ricordare formulazioni di Rocco: cosî nella dichiara[Caparelli, La dottrina fascista nel decennale, in Gerarchia Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Noi, La corporazione proprietaria, in Vita nova, ad es. il discorso di Rocco, La dottrina zione del carattere assoluto dello Stato e nell’affermazione della preminenza dello Stato sulla nazione fatta in implicita polemica con i nazionalisti, che sarà ripetuta da Battaglia in Nazione, e non sarà negata nella voce Nazionalismo di D'Andrea e Federzoni, preoccupati solo di dimostrare le origini antidemocratiche del nazionalismo europeo, e contestare la primogenitura francese sul nazionalismo italiano di Corradini; o nel paragrafo sulla religione cattolica, in cui si dice che il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo . Pi accentuata che non in Gentile è invece la negazione del secolo del liberalismo, che vide, al contrario, la vittoria di Napoleone III e di Bismarck il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di quali profeti si servisse, e, nel Risorgimento italiano, l’apporto decisivo di Mazzini e Garibaldi, che liberali non furono. Ciò che comunque interessa rilevare, al di là della ricerca delle sue fonti teoriche, è il fatto che la voce, pur nella sua genericità, condensa quei capisaldi dell’ideologia del fascismo che circolarono ampiamente negli scritti di studiosi di scienze politiche, di giuristi, storici, economisti; né sarà da dimenticare che, oltre a essere diffusa e commentata in numerosissime edizioni, essa nella sua parte propriamente mussoliniana (Dottrina politica e sociale), fu premessa allo statuto del Pnf. Non vanno quindi considerate semplici enunciazioni propagandistiche la.negazione del materialismo storico e della lotta di classe con espressioni in cui Gramsci coglieva l’in-flusso di Loria, o quella del pacifismo ribadita in Pacifismo di Vecchio, l’affermazione della vocazione impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa del fascismo di presentarsi come il superatore, e l’inveratore, politica del fascismo, in Scritti e discorsi politici, La formazione dello Stato fascista, Milano, Giuffrè, Per una polemica esplicita Gentile, Origini e dottrina del fascismo, Gramsci, Quaderni del carcere, del liberalismo classico e del socialismo: un punto, quest’ultimo, sul quale insisterà anche Volpe nella parte della voce dedicata alla storia del movimento fascista, in cui cercherà di dimostrare che, nell’età della politica delle masse, il fascismo era l’erede genuino del socialismo: come il socialismo di MUSSOLINI che era specialmente una posizione di lotta si aprî all’accettazione piena dei valori nazionali, cosf questi valori non misero troppo nell’ombra quel socialismo: il quale, respinto energicamente come partito, respinto anche come dottrina e come filosofia a fondo materialistico, rimase come sentimento, rimase come simpatia per il mondo del lavoro, come aspirazione a liberare le masse dal giogo del partito e dalla corruzione della politica, allo scopo di promuoverne l’autoeducazione, farne l'artefice diretto della propria fortuna, come del resto era nella concezione dei sindacalisti. Con questa mistificazione si completava cosî quella soprastruttura ideologica della borghesia italiana che, osservò Lo Stato operaio, usa ora nuovi e pit raffinati mezzi di oppressione e di sfruttamento per consolidare il proprio dominio e prolungare la propria esistenza, Alle formulazioni di Fascismo si fa un rinvio non solo formale nelle principali voci politiche e politico-economiche affidate a esponenti dell’attualismo come Battaglia e Spirito. Battaglia, che fu uno degli animatori del dibattito sulla storia delle dottrine politiche sviluppando la distinzione crociana fra teoria e prassi politica, tanto da ritenere che la storia delle dottrine politiche non debba direttamente servire alle nostre attuali finalità, dimostra in realtà, in voci come Democrazia, Partito, Stato, una stretta dipendenza dall’elaborazione gentiliana e una precisa strumentalizzazione di questi concetti in funzione dell’ideologia fascista. Occupandosi della Demzocrazia nel periodo medievale e moderno, dopo aver sostenuto, sulla traccia degli studi di Ercole sui Testoni, Battaglia, Oggetto e metodo della storia delle dottrine politiche, in Rivista storica italiana, comuni e sulle signorie venete che, come osserverà Chabod, anch'egli debitore di Ercole, influirono largamente sul pensiero storiografico fra le due guerre, con il loro assillo di cercare, ad ogni costo, lo stato moderno già nel passato italiano, che la signoria non è negazione sic et simpliciter del principato popolare, ché anzi le sue origini in Italia derivano proprio dal popolo, di cui il tiranno si atteggia difensore contro le classi privilegiate, e dopo ‘aver osservato che l'ideale di piena democrazia vagheggiato dal Rousseau era inattuabile, un regime di dei più che di uomini , Battaglia nota che anche nelle società moderne la democrazia ha bisogno di alcuni presupposti senza i quali non solo non fiorisce, bensî decade e conrrompe i popoli. Facendo sue le tesi espresse dal liberale Bryce in Democrazie moderne un’opera tradotta in italiano da Occhi, e che è nella sostanza una critica da secondo le quali la democrazia si sviluppa su un sostrato di diffuso benessere collettivo e fiorisce solo nei paesi abituati al governo locale , pur essendo in crisi anche in paesi evoluti come la Francia, Battaglia conclude che in Italia la democrazia intesa come pratica di autogoverno non ha avuto una tradizione e una linea. Lo stesso processo unitario ci spiega ciò. L’unificazione amministrativa imposta da Torino tolse in fondo la possibilità di quell’autogoverno locale che costituisce il fondamento della vera democrazia e inutile fu anche l’allargamento del suffragio, perché Chabod, Gli studi di storia del Rinascimento, Cinuant'anni di vita intellettuale italiana, Scritti in onore di Croce per a cura di Antoni e Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Per l’influenza di Ercole su Chabod, all’inizio della sua attività, Pizzetti, Chabod storico delle Signorie, in Nuova rivista storica, Lu Sebbene la democrazia si sia diffusa, e quantunque nessun paese, che ha provata, dia dei segni di abbandonarla, noi non siamo autorizzati a ritenere, cogli uomini, che essa sia la forma di governo naturale, e, perciò, a lungo andare inevitabile (Bryce, Democrazie moderne, Milano. L'opera sarà ristampata da Mondadori, sempre a cura di Occhi, c’è rappresentanza vera solo dove c’è coscienza, ciò che in Italia mancava [...; cosi] la democrazia italiana continuò la sua vita stentata e in fondo illiberale nel trasformismo, che palliava conati di dittature singole, finché si dimostrò impotente ad arginare un moto come il fascismo, in parte espresso da quelle stesse forze sindacalistiche che essa aveva ignorato. Parallela a questa svalutazione della democrazia condotta sul piano storico, è la negazione dell’esistenza di una vera e propria tirannia nelle moderne società di massa (Tirannia e tirannicidio; da notare che nell’Exciclopedia manca la voce Dittatura: c’è solo Dittatore per l’età romana): infatti, spiega Battaglia, a parte che la pratica possibilità della tirannia è ognora più ridotta, oggi il sistema dei controlli giuridici e politici e la pressione dell’opinione pubblica sono tali che la figura del despota exercitio appare affatto letteraria, Le moderne dittature facendo appello al popolo, non solo per costituirsi attraverso i plebisciti i titoli giuridici del potere o per sanarli se difettosi, bensi anche per suffnagare del consenso nazionale ogni loro attività, appaiono poggiare sulle masse più che le stesse democrazie. Insomma i fenomeni e le teorie accennate a proposito della tirannia hanno significato con riferimento a piccole società politiche e non agli enormi aggregati statali moderni. Mentre Ghisalberti svaluta la funzione svolta dal Parlamento nella storia dell’Italia liberale col fascismo invece il parlamento, che si avvia a un'ulteriore riforma in senso corporativo, superiore alle piccole lotte d’un tempo, restituito alla sua naturale funzione, ha svolto attiva, proficua opera legislativa , e Volpicelli sviluppa una dura critica del concetto di rappresentanza (Rappresentanza politica), che nella esposizione della storia del principio maggioritario Ruffini non è in grado di controbilanciare, Battaglia Lo Stato in quanto organizzazione totalitaria del corpo sociale, non può né deve agire iure repraesentationis, ma iure proprio ; solo lo Stato corporativo fascista si afferma e si attua sempre più come uno stato coincidente con la stessa e intera collettività nazionale corporativamente organizzata , perciò appunto sarà davvero libero e generale. Anche la prima parte della voce, scritta da Luigi Rossi, critica i vari sistemi di rappresentanza politica. Nella voce Maggioranza Ruffini, autore svolge (Partito) la concezione del partito unico, che sembra legarsi in parte alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel partito. Non rinnegando l’ampio fondamento democratico, esalta l’aristocrazia militante dei primi confessori dell’idea e sublima religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il partito divien stato; acquista rilievo giuridico, assurge personalità morale; è cosî composto, gentilianamente, il contrasto individuoStato: l’esperienza del fascismo e del nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre operosa nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si trasformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni. Elidere ogni varietà di motivi in un’instaurazione dogmatica di principi rigidi è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e il contrasto. Ciò non esclude che questa debba ricondursi nell’ambito totalitario dello stato, nell’unicità etica che questo rappresenta, Dove più esplicito e dispiegato è il debito di Battaglia verso Gentile, è nella voce Stato, riprodotta negli Scritti di teoria dello Stato, a testimonianza che l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini dell’Enciclopedia. La storia dell'idea di Stato è ricostruita de Il principio maggioritario, si limita ad affermare che il principio maggioritario ha avuto contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversari delle istituzioni democratiche, i quali spesso commisero l'errore di colpire il concetto tecnico giuridico di maggioranza quando volevano colpire quello generico politico di moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico . Questa voce ci sembra sopravvalutata in senso antifascista da S. Caprioli nella riproposizione di Ruffini, Il principio maggioritario, Milano, Adelphi. Nei termini della concezione dello Stato assoluto è condotta anche la voce Reazione politica, in cui Battaglia afferma che sia la rivoluzione sia la reazione hanno un motivo di verità. I! loro contrasto è la vita dello stato, che ha sempre in sé rivoluzione e reazione come libertà e autorità, diritto ideale e diritto positivo da riaffermare. Sempre di Battaglia, ma più espositiva e con una nota polemica contro gli assurdi del superuomo e il razzismo affermatisi nella Germania nazista, è Politica, rifusa in F. Battaglia, Lineamenti di storia delle dottrine politiche, Roma, Foro italiano, dove però la nota polemica ora accennata viene attenuata In una lettera a Bosco Battaglia dichiarava in funzione della concezione attualista, difesa da Gentile, contro le critiche dei cattolici, come una delle poche dottrine o miti elaborati dal fascismo. Cosi, all'affermazione che senza l’inversione di valori, non si sarebbe mai potuto addivenire all’idea di uno stato interiore ai soggetti, quale l’età moderna esige e svolge, segue la critica del giusnaturalismo, che conosce l’individuo, astrazion fatta dai gruppi nei quali pur vive. La società nelle sue forme molteplici gli è estranea. Si spiega quindi come esso, liberale e indifferente, ritenendo nella tutela giuridica esaurito il suo compito, finisca per rivelarsi impotente a disciplinare la vita delle classi inferiori, allorquando queste nel sec. XIX cominciarono ad acquistare il senso della propria importanza. Donde ciò che si è detto crisi dello stato , come l’esigenza di un'ulteriore integrazione, che, se nell’ordine pratico ha trovato la sua realtà solo di recente con il fascismo, nell’ordine teorico già era stata proclamata necessaria da più di un autore come Fichte e Hegel ( avere riconosciuto la spiritualità dello stato è il suo grande merito. I suoi problemi riprenderà al principio del secolo presente il neoidealismo italiano, rivivendoli in una esperienza affatto nuova ). Assai estesa è l’esposizione della concezione gentiliana dello Stato etico, tanto che Carlini accusa Battaglia di aver voluto accreditare la filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando invece l’originalità della dottrina fascista, non solo integrazione pratica di quella gentiliana; di avervi messo le mani due volte come la Direzione desiderava (AEI, Lettere, Battaglia). Gentile, Ideologie correnti e critiche facili, in Politica sociale. Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del fascismo cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al fascismo, taluno ci parla con grande compunzione della necessità di non lasciarsi attrarre dalla diabolica filosofia dello Stato etico. Uno spunto in questo senso era stato fornito da Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze, Sansoni, anche F. Battaglia, I/ corporativismo come essenza assoluta dello Stato, in Archivio di studi corporativi, che rinvia al capitolo sulla concezione dello Stato di Solari, Ts etica e filosofica dello Stato moderno, Torino, L'Erma, Carlini-Battaglia, Orientamenti, in Critica fascista, mai come ora, specialmente in Italia, lo stato è reale nell’intendimento speculativo. La filosofia non solo ne ha approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito a potenziarlo nella sua funzione storica, promuovendone il sentimento nel popolo e l’uomo sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio, certo di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per celebrarli ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con l’esposizione della dottrina fascista continui sono i rinvii a Fasciszzo, nell’intento di dimostrare che lo Stato fascista non è teocratico o assolutista, che, opponendosi a due posizioni tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta, e che la corporatività è la nota dominante dello stato fascista , nel quale cittadino lavoratore e soldato si convertono assolutamente. Nella delineazione di aspetti essenziali dell’ideologia e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti personali, le voci di Ugo Spirito Economia politica e Liberalismo, scritte nel periodo in cui più intensa fu la sua partecipazione al dibattito sul corporativismo, che si collegò strettamente con la direzione, assieme ad Arnaldo Volpicelli, dei Nuovi studi di diritto, economia e politica. L’importanza di queste voci è evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da Spirito nell’Enciclopedia, nella quale fu redattore per ben otto materie (filosofia, economia, statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie ecclesiastiche e, storia del culto), finché divenne segretario generale dell’opera, sempre in un rapporto strettissimo con Gentile, ciò che dovette costituire un motivo di preoccupazione per quanti temevano che la sua concezione del corporativismo, quale si era espressa al convegno di Ferrara, influenzasse Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia Santomassimo, Spirito e il corporativismo, in Studi storici. U. Spirito, Memorie. gran parte dell’opera. Echi della sua posizione si avvertono in effetti in queste due voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la proposta della corporazione proprietaria , rivendica il carattere pubblicistico della proprietà privata. Nella parte storica delle voci l’autore svolge, più che una descrizione delle concezioni precedenti quella fascista, una serrata discussione con queste, diretta a condannare l’individualismo delle teorie fisiocratiche, liberali e socialiste. Come quella fisiocratica si dice in Economia politica, la scuola classica rimase tutta informata dal principio individualistico e liberistico proprio dell’illuminismo, e anche quando l’economia nazionale o il socialismo affermavano la superiorità dell’ente nazione o classe o società su quello d’individuo, muovevano tuttavia dal presupposto illuministico e liberale che l’individuo particolare in qualche modo esistesse e avesse una realtà propria diversa da quella dell’organismo di cui faceva parte, affermavano cioè una superiorità della nazione o della società sull’individuo o una subordinazione di questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne l’essenziale identità dialettica. Solo in Italia il rinnovamento dell’economia politica ha raggiunto politicamente e scientificamente uno sviluppo d’importanza fondamentale. Proprio in Italia, infatti, la critica del pensiero illuministico era stata più perentoriamente condotta e i suoi risultati erano stati più decisivi. Né le nuove affermazioni idealistiche erano state al margine della vita politica, ché anzi questa ne ha risentito fortemente l’influsso, giungendo ad affermazioni pra [Cosf Preziosi, Spirito, in La Vita italiana, È da ricordare che nel corso dei lavori preparatori del Codice civile vastissimo fu il dibattito sulla funzione sociale della proprietà: uno dei suoi partecipanti più insigni e Pugliatti, di cui ad es. la raccolta di saggi La proprietà nel nuovo diritto, Milano, Giuffrè. Gl’economisti italiani come Galiani, aveva notato Spirito, anche quando più si discostano dalle teorie mercantilistiche e più decisamente concordano con i fisiocrati, non accettano senza riserva il dogmatismo individualistico e liberistico di questi ultimi e spesso fanno posto a considerazioni di carattere che potremmo già definire storicistico .tiche addirittura rivoluzionarie : con la Carta del lavoro, ad esempio, si dava il colpo di grazia al tradizionale liberismo individualistico. Affermato il carattere pubblicistico della proprietà privata, cadeva il fondamento dell’economia liberale -- l’homo oeconomicus guidato dall’ofelimità --, e ragione della vita economica diventava l’identità del fine statale e del fine individuale. In questa ultima formulazione si riflette il ripiegamento di Spirito rispetto alla sua primitiva proposta, che era decisamente accantonata, anche se in Mussolini continuò a manifestarsi una comprensione dei vantaggi che il regime poteva trarre dal vigilato dispiegarsi di tendenze come quella impersonata da Spirito, presentando Capitalismo e corporativismo, Spirito affermava che nessuno più ardisce di scandalizzarsi se si parla di crisi del capitalismo e di trasformazione in senso pubblicistico della proprietà. Quell’economia programmatica, che allora non si sapeva scindere dal sistema bolscevico, è ormai accettata come propria dal corporativismo . La fondazione dell’Iri dimostrava che l'iniziativa privata non è più l’idolo intangibile; rimarrebbe la terribile formula della corporazione proprietaria, quella che ha generato tanto putiferio. Ebbene, lasciamola pure da parte e non ci pensiamo pit. Io per conto mio ci ho pensato su fino ad oggi e mi son convinto che, se si accetta tutto il resto, la corporazione proprietaria può addirittura sembrare sorpassata. Analoga a quella della voce, e tutta interna alla tematica gentiliana di individuo e Stato, è la conclusione di Liberalismo, di cui è posto fin dall’inizio il problema del suo sbocco nel corporativismo. La concezione che colloca l’individuo al centro dell’universo è seguita attraverso il Rinascimento e la Riforma, il razionalismo cartesiano che è già il principio della demo[Santomassimo, Spirito, Capitalismo e corporativismo, terza edizione riveduta ed ampliata, Firenze, Sansoni, La voce era già stata pubblicata in Nuovi studi di diritto, eco nomia e politica, Nella nota bibliografica Spirito giudica libri sbagliati la Storia del liberalismo europeo di Ruggiero e la Storie d’Europa di Croce.] crazia del pensiero, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dove è il nucleo dell’individualismo liberale e insieme il limite che il liberalismo non riuscirà mai a superare davvero, con l’affermazione dell’ANTI-STATALISMO e della proprietà privata. Conseguenza del liberalismo sono considerati il dualismo tra governanti e governati, che si manifesta attraverso l’istituto della rappresentanza, trionfo materialistico del numero, e la democrazia, che in Rousseau mostra i suoi aspetti deteriori, convertendosi nel suo contrario e generando, nella sete della libertà, la peggiore schiavità . Le contraddizioni del liberalismo, sorte col riconoscimento della necessità di uno Stato e di un suo intervento soprattutto nel campo economico, impongono secondo Spirito una revisione radicale del problema, e questa è individuata nella tradizione italiana di pensiero, ricostruita secondo l’ottica gentiliana, e nel corporativismo: I precedenti di tale revisione vanno ricercati nel pensiero idealistico, che comincia a contrapporsi all’affermazione del pensiero illuministico, razionalistico ed emiristico. Il pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più profondo e spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori, in contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-inglese. Nei pubblicisti della nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo tedesco, negli spiritualisti italiani della prima metà dell'Ottocento, comincia a farsi strada un concetto di libertà politica, in cui il dualismo di libertà e autorità, e quindi di individuo e stato, è riconosciuto come il fondamento necessario della superiore sintesi in cui consiste la vera libertà. In particolare, da Spaventa a Gentile, la tradizione del pensiero italiano ed europeo viene determinata nelle sue linee essenziali, e in essa si ritrovano gli elementi della nuova e più profonda fede nella libertà, che avrà poi il suo sbocco nella rivoluzione fascista. Con il corporativismo integrale il fascismo si avvia infatti a risolvere, afferma Spirito, le antinomie del liberalismo: l’individuo deve realizzare la sua libertà e la sua iniziativa nella collaborazione, e riconoscere il carattere pubblicistico della proprietà, mentre si svuotano cosî di contenuto tutti i concetti tradizionali del liberalismo individualistico e della democrazia, da quello di rappresentanza a quello di maggioranza, da quello di eguaglianza a quello di elettoralismo; iniziativa privata e intervento statale, e in conseguenza il problema dei rispettivi limiti, diventano termini e problema senza significato. Il corporativismo di Spirito sposta cosî l’accento sulla costruzione gerarchica dello Stato, e negli anni seguenti, dopo la chiusura dei Nuovi studi, si ridurrà, in campo economico, alla difesa della economia programmatica, in cui l'affermazione del carattere pubblicistico della proprietà che come la proposta della corporazione proprietaria mostra di non collocarsi al di fuori della logica capitalistica si precisa nella richiesta dell’intervento statale reso necessario dalla crisi, A scanso di equivoci, comunque, Maroi ricordò nella voce Proprietà che alcuni filosofi (Spirito, A. Volpicelli) hanno sostenuto che in regime fascista il lavoro non può produrre una proprietà privata perché l’individuo, come tale, in regime corporativo non esiste, e che il sistema corporativo sboccherà nella corporazione proprietaria: questa concezione è però autorevolmente combattuta , concludeva, rinviando alla nota su Individuo e Stato nella quale Gentile allora impegnato a redigere le Idee fondamentali della voce Fascismo, a commento della posizione assunta da Spirito a Ferrara precisava che la socializzazione e statizzazione corporativa importa sempre un margine individualistico, in cui il processo corporativo deve operare. In , nell’Appendice, Autarchia, Capitalismo (tutta la voce è dedicata alla crisi del capitalismo), Economia programmatica. I precedenti delle nuove teorie scrive Spirito in quest’ultima voce vanno ritrovati per una parte nei postulati del socialismo e per l’altra nelle indagini circa l’organizzazione scientifica del lavoro. Sul fordismo di Spirito Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra. La ASA, corporativa di Spirito, in Belfagor questo margine, ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo stesso rispetto della corporazione: l’autolimitazione conseguente dello Stato è la sua effettiva autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse davvero l'individuo, riuscirebbe un pallone destinato subito a sgonfiarsi. Il corporativismo, sente, sia pure confusamente, questo pericolo, anzi questo destino del comunismo; e se ne vuol distinguere non annullando quella sorgente di vita economica e morale che è nell’individuo. Il timore che la posizione di sinistra di Spirito influenzasse la trattazione delle materie economiche dell’Enciclopedia, non aveva quindi ragion d’essere, come dimostrano del resto le voci di Graziani fra cui Bisogni, Capitale, Lavoro, Salario, il quale aveva sostenuto che il Capitalismo e nel rispetto della produzione e in quello della distribuzione, manifesta superiorità spiccata sugli altri sistemi che lo precedettero, e su tutti i sistemi imperniantisi sulla collettivizzazione dei mezzi produttivi, nei quali si urterebbe contro la fondamentale difficoltà dell’assegnazione rispettiva dei compiti e si dovrebbe ad ogni modo attuare una distribuzione che toglierebbe i maggiori impulsi all’operosità e all’accumulazione; se si aggiunge la forte coercizione, intollerabile in paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi necessariamente addurrebbero a decremento enorme di produzione e ad arresto di progresso economico e sociale. Può essere infine interessante notare come, almeno nell’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa corrispondenza fra le formulazioni di questi studiosi di scienze politiche e storico-economiche, e quelle di alcuni storici. Mentre ad esempio Spirito svolgeva una critica a fondo del liberalismo, nella voce Borghesia Chabod avvalorava la pretesa del fascismo di presentarsi antiborghese, negando l’esistenza, nell’età contemporanea, di quella classe che del liberalismo aveva fatto la propria bandiera politica. Come il primo utilizza Gentile, il secondo riprende, con alcune correzioni, le osservazioni di Croce intese a distinguere la borghesia in significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per metafora (e per non felice metafora) dalla bor- [Gentile, Individuo e Stato, in Giornale critico della filosofia italiana ghesia in senso economico, con la quale la prima si suole scambiare, e, peggio ancora, deplorevolmente contaminare, con danno non solo della storiografia ma del sano giudizio morale e politico. Mentre Croce respinge i termini borghese e borghesia per indicare una personalità spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in cui tale formazione spirituale domini o predomini, Chabod che in quegli anni fa sua la negazione ottokariana del criterio di classe nella storiografia, e partecipa del largo interesse che circondò nell’Italia fra le due guerre, non solo fra gli studiosi cattolici, l’opera di sociologi come Weber e Sombart che in opposizione al marxismo avevano dato la dimostrazione scientifica della priorità dello spirituale sul materiale, della religione sulla economia ritiene che storia dello spirito borghese non è altro se non storia dello spirito moderno, che ha certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli bomzines novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò alle concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et simpliciter, con un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora certi atteggiamenti spirituali e morali fondamentali paiono più strettamente connessi con la borghesia, classe sociale; in effetto sfuggono al dominio di un’etichetta sociologica, e sono atteggiamenti anche di molti di coloro che combattono la borghesia in quanto ceto sociale . A differenza di Croce, e pur distinguendo fra borghesia e capitalismo rimane, mal[Croce, Di un equivoco concetto storico. La borghesia , ora in Etica e politica, Bari, Laterza, Garosci, Sul concetto di borghesia. Verifica storica di un saggio crociano, in Miscellanea Walter Maturi, Torino, Giappichelli, Croce. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie. ZI È un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori (ora in Storici e storia, Torino, Einaudi. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber fu presentata nei Nuovi studi di Spirito e Volpicelli da Sestan, che vi notava una reazione al marxismo ( l’introduzione di Sestan alla nuova edizione, Firenze, Sansoni, Chabod recensi Der Bowrgeois di Sombart in Rivista storica italiana grado tutto, l’ideale della vita ordinata e scevra di troppo gravi turbamenti: onde i borghesi si trovarono fuori del trionfo pieno di quella stessa mentalità capitalistica, di cui pure avevano nei secoli precedenti costituito il prodromo, Chabod ammette quindi per l’età moderna l’esistenza di una mentalità borghese , proiezione spirituale della borghesia come classe (idee di tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel periodo della rivoluzione francese, idee astratte, antistoriche talora anche puerili ), ma ribadisce che di essa non è più possibile parlare nell’età contemporanea, nella quale siffatta mentalità non è più esclusiva della borghesia, come ceto sociale. Ché, anzi, proprio per l’influsso della borghesia cioè del ceto socialmente, politicamente, culturalmente dominante nell’Europa tale mentalità ha permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà, e specialmente gran parte degli strati inferiori della popolazione. Il lavoratore si è contrapposto al borghese, nell’Europa: ma quanti punti di contatto tra la mentalità dell’uno e quella dell’altro: quale influsso del secondo sul primo! I miti di progresso e d’umanità, di fratellanza e d’uguaglianza, che ai borghesi avevano servito di arma contro le vecchie classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori socialisti contro la borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con altro bersaglio. Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La forma mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato sociale; si è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva potuto costituire veramente la forma mentis caratteristica d’un determinato ceto sociale, ora si dissolve come tale, perde le sue peculiarità classiste . Dove si evidenzia l’affinità con la conclusione della voce Borghesia scritta per il Dizionario di politica del Pnf da Salvatore Valitutti: La società fascista che nello Stato totalitario ha la sua espressione ignora l’esistenza di ceti o classi a sé stanti e pertanto la parola borghesia è destituita di ogni significato attuale. La voce di Chabod dimostra quindi come la mistificazione arrivasse, per forza di cose, fino alle sfere più rarefatte di quella cultura che pure, soggettivamente, si ritene del tutto indipendente dai volgari messaggi rivolti alla massa, secondo quanto ha osservato Badaloni, e indica come molteplici fossero in questo caso Weber e Sombart, e la stessa riflessione crociana i contributi utilizzati per definire un’ideologia e una cultura del fascismo. Sempre nell’ambito delle voci politiche incontriamo due casi particolari, quelli degli antifascisti Solari e Mondolfo, utilizzati per le loro competenze specifiche argomenti di filosofia del diritto, connessi con la tematica della libertà, il primo; storia del socialismo e del movimento operaio, il secondo, e la cui presenza potrebbe confermare il giudizio di quanti hanno negato la connessione fra la vera cultura e il fascismo, ricavandone, in particolare, una valutazione assolutoria nei confronti dell’Enciclopedia. Ci sembra tuttavia azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in un’opera collettiva il carattere oggettivamente antifascista della loro collaborazione scritta, senza cercare di cogliere lo spazio dei loro contributi rispetto ad altri, e di approfondire gli eventuali punti di convergenza o di non contraddizione fra la loro produzione scientifica e quanto probabilmente lo stesso Gentile, in assenza di una specifica sezione dedicata alla Politica, chiede loro. [La partecipazione di Solari, il quale aveva accettato con entusiasmo di collaborare all’Enciclopedia, che vuol essere espressione del pensiero italiano nei suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni, pone forse più problemi di quella di MONDOLFO. Solari è infatti impegnato, in quegli stessi anni, in un’importante ed equilibrata opera di delucidazione della concezione liberale dello Stato e dei concetti di liberalismo, costituzionalismo, Badaloni -Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Solari a Gentile,(AEI, Leztere, Solari. democrazia nelle dottrine politiche, che contrasta col metodo inquisitorio con cui questi erano esaminati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia non è giusto fare il Rousseau responsabile della degenerazione in senso realistico e materialistico dell'ideale democratico, sembra rispondergli Solari ; egli oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/ concetto dello Stato in Hegel fatta da Gentile, la scoperta hegeliana della società civile la scoperta della società civile come concetto autonomo fu il grande merito di Hegel, maggiore di quello che solitamente gli si attribuisce di aver rinnovato il sentimento e la dignità dello Stato ?!, e confutando la concezione dello Stato corporativo espressa da Volpicelli osserva che il neoidealismo ha deviato dalla tradizione hegeliana (almeno quale io la intendo) circa la natura e i fini dello Stato. Il neo-hegelismo tende, a mio credete, verso un individualismo idealistico quando concepisce lo Stato non in sé e per sé, ma nelle forme e nei limiti dell’individuo concreto, singolo o associato che sia. Lo Stato è etico non perché vive in interiore homine, ma perché è esso stesso realtà e sostanza etica che non si concreta solo negli individui, ma progressivamente nella famiglia, nelle associazioni, nella nazione, nell’umanità. E tuttavia sarebbe necessario valutare come poté inse Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, DI Solari, Il concetto di società civile in Hegel, in Rivista di filosofia , ora in La filosofia politica, a cura di Firpo, Bari, Laterza, anche Solari, Lo Stato conse libertà, in Rivista di filosofia : come organo di valori universali e non solo di interessi nazionali o corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente etico, purché sia ben fermo che esso non è valore supremo e neppure esclusivo, che la sua eticità è misurata dal grado con cui realizza esteriormente, cioè coi mezzi imperfetti e limitati dal diritto, la socialità che è la forma concreta nella quale individui e popoli affermano la loro libertà. Per una riflessione sulla società civile parallela a quella di Solari Zaccaria, L'itinerario politico di Capograssi. Il problema del rapporto tra la società e lo Stato, in da Pensinto politico, Solari, Stato corporativo e Stato etico (Lettera aperta al prof. A. Volpicelti in Nuovi studi di diritto, economia e politica; anche la Risposta dl prof. Solari di Volpicelli. rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua ricerca di una filosofia sociale del diritto, fermissima sempre nel respingere l'egoismo implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate dal giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al materialismo dialettico marxiano, e vedere se ciò fu possibile solo per l’esistenza di comuni negazioni l’individualismo e il marxismo, o anche perché la sua riflessione, dopo aver abbandonato, all’inizio del secolo, i suoi presupposti positivistici (e tendenzialmente filosocialisti), sviluppandosi come idealismo sociale trova più che un semplice correttivo nel neoidealismo italiano. In questa sede si può solo propendere per la prima ipotesi, constatando come nella maggior parte delle voci di Solari vi siano con la messa in sordina del tema della società civile forti scarti rispetto a quanto scriveva contemporaneamente fuori dell’Ewciclopedia, per cui esse non turbano l’immagine generale dello Stato fornita dall'opera, anche se esprimono in maniera più equilibrata e problematica di quanto non facciano gli attualisti il problema dei rapporti fra diritti individuali, società e Stato. Una esplicita distinzione fra il proprio idealismo sociale e quello di Croce e di Gentile si ha solo in una delle prime voci, Filosofia del diritto, sottovoce di Diritto. L’idealismo del Croce e del Gentile, fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella etica dello spirito. Legittima pertanto deve apparire l’esigenza di cercare al diritto un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività giuridica come attività autonoma dello spirito. Come espressione di questa esigenza fu in ogni tempo il diritto inteso come attività dell'uomo storico e sociale, come rela- [Cosî Firpo nella Introduzione a Solari, La filosofia politica, Bobbio non vede nel passaggio di Solari all’idealismo un rivolgimento dei suoi principi (L'insegnamento di Solari, ora in Italia civile, Manduria-Bari-Perugia, Lacaita). Per una valutazione complessiva dell’opera di Solari anche AA.VV., Solari Testimonianze e bibliografia nel centenario della nascita, Torino, Memorie dell’Accademia delle scienze, in particolare il saggio di Bobbio su Lo studio di Hegel. L'Enciclopedia italiana] zione, come proporzione personale e reale, come manifestazione della coscienza collettiva. In Italia la scuola giobertiana, rivissuta dal CARLE nelle sue applicazioni al diritto, sostiene che in tal senso si affermò la costante tradizione della filosofia italiana. Il dogma della nazionalità e socialità del diritto è incompatibile con l’idealismo economico e morale, l’uno e l’altro fondati sul presupposto che il diritto è attività dello spirito individuale. Ma a liberare l’idealismo nazionale e sociale dagli elementi empirici e contingenti con i quali va congiunto, è necessario elaborare una dialettica dello spirito collettivo e riprendere la tradizione storico-romantica del periodo post-kantiano, la quale pose le condizioni di una concezione idealistica del diritto come espressione dell’Io sociale. Ma la posizione di Solari non ebbe poi modo di dispiegarsi. In alcune voci l’accento cade, come in quelle di Battaglia e di Spirito, sulla condanna delle teorie individualistiche cui viene opposto il valore supremo dello Stato: mentre il contrattualismo tende logicamente a una teorica individualista dello stato, in modo da giustificare cost l’estremo assolutismo, come l’estremo liberalismo, in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di Hegel, per dire che in lui la giustizia è libertà ma questa non esclude, anzi postula la necessità e la naturalità; essa si attua astrattamente nell’individuo e nei rapporti interindividuali, ma solo nello stato si afferma in forma concreta e universale ; in modo altrettanto conciso si sostiene che eticità per Hegel è sinonimo di socialità, e questa è il risultato di un processo dialettico che culmina nello stato (Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà, citata da Bobbio come esempio di antifascismo, è da notare che è solo una sottovoce di Libertà affidata nei suoi termini generali, ed esclusivamente filosofici (per la bibliografia si rinvia a Etica), ad Guzzo, un attualista mosso da una forte esigenza religiosa, per il quale la libertà è oggi considerata come la spiritualità stessa , e che in essa Solari non esprime un’opinione personale: pur partendo dall’affermazione che condizione di sviluppo della personalità è la libertà, vi espone infatti la teorica dei diritti di libertà elaborata da Locke e da Kant, e quindi la reazione Bobbio, Le cultura e il fascismo. da essa suscitata, prima con Hobbes, Spinoza e Rousseau, poi nel periodo postkantiano, fra gli altri da Hegel, che poneva in rilievo il processo dialettico per cui la libertà astratta dell’individuo diventa reale nello stato. Un discorso per certi versi analogo a quello di Solari può essere fatto per la collaborazione di Mondolfo, autore delle voci principali relative alla storia del socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che era stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia, dopo la sconfitta del movimento operaio ad opera del fascismo, corrisponde anche in questo caso al criterio della competenza , ma non appare in contraddizione con i motivi ispiratori dell’Enciclopedia: era lo stesso criterio che aveva suggerito a Bevione e a Salata di affidare a Bonomi la biografia di Bissolati, poi redatta dall’ex bissolatiano Cabrini, che aveva messo in risalto l'orientamento nazionale pit che quello socialista del biografato. Le voci di Mondolfo, che non sembra abbiano subîto censure, sono lontane dal taglio anonimo, anche se cor[Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi. Bevione scrive a Salata, che dirigeva allora la sezione Storia contemporanea : penso che qualcuno può scrivere l’articolo con ben maggiore ricchezza di dati e intima conoscenza del tema: ed è Bonomi né obbiezioni potranno venire alla Direzione dell’E.[nciclopedia] da alcuno per questo incarico, data la purezza e la serenità di Bonomi, da tutti riconosciuta. A Bonomi avevo pensato anch'io, fin da principio scriveva Salata a Menghini. Ma allora mi era parso di dover evitare la scelta di un uomo cosî in vista nelle vicende politiche post-belliche. Ora il giudizio su Bonomi è credo anche nelle altissime gerarchie del partito fascista più calmo (AFI, Lettere, Salata). Cabrini era stato cancellato nel 1929 dall’elenco dei sovversivi ( la voce di A. Rosada in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti). Mondolfo, da me interpellato sulla sua partecipazione all’Enciclopedia, risponde.Per la mia collaborazione ho avuto solo rapporti diretti con Gentile, che era mio amico personale, come antico condiscepolo a Firenze, e che sempre rimase tale benché io polemizzassi con lui a proposito di Feuerbach e Marx e di Bruno e Tocco. Ciò non impedî che egli m'’invitasse a collaborare alla Enciclopedia proprio su un tema (Bruno) che e oggetto di una nostra polemica.] retto, di voci come Exgels scritta da Manfredi Gravina, alto commissario per la Società delle Nazioni a Danzica, o da quello polemico del Marx di Graziani, che mette in rilievo le censure gravi cui andrebbe incontro ad esempio la teoria marxiana del valore; esse invece, mentre ambiscono ad avere un andamento espositivo ed obiettivo, riflettono al tempo stesso la concezione dell’autore de I/ materialismo storico in Engels e di Sulle orme di Marx, per cui evidenziano, al di là della competenza, la profonda consonanza di Mondolfo con l’impostazione idealistica e gentiliana. Anche se queste voci rappresentano dopo la biografia di Labriola di Dal Pane e l'edizione Croce de La concezione materialistica della storia di Labriola, l’esposizione più ampia della teoria e della prassi del socialismo e del comunismo, è quindi difficile convenire con l’opinione di chi ha affermato che esse erano le fonti più accessibili, senza suscitare sospetti, alle quali i giovani, che studiavano sul serio, potevano attingere per cercare una spiegazione e una giustificazione alle continue denigrazioni che il fascismo faceva di quelle idee e dei loro movimenti. Per chi studiava sul serio dovette. avere maggiore efficacia la diretta riproposizione crociana di Labriola, che non la valutazione mondolfiana della concezione marxista e socialista, profondamente influenzata dalla lettura di Gentile, e scissa da una positiva considerazione dei movimenti reali. Parlando dell’influenza di LABRIOLA (si veda) su Mondolfo, Garin ha osservato che in quest’ultimo. l’equilibrio della filosofia della prassi è tanto insidiato in E debbo dire che né per questa né per le altre voci si limitò affatto la mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu quello dello spazio disponibile), di giudizio e di espressione; né mai mi chiese o propose il minimo cambiamento, neppure di una virgola. Credo pertanto di dover riconoscere che Gentile si mantenne con me al di sopra dei dissensi politici e filosofici che ci dividevano, e credo che ispirò a criteri ed esigenze di carattere scientifico i rappotti con i collaboratori, nella sua direzione dell’impresa dell’Enciclopedia Bassi, Mondolfo nella vita e nel pensiero socialista, Bologna, Tamari Suggerimenti per una corretta lettura delle voci di Mondolfo ha fornito Garin, Mondolfo e la cultura italiana, in Filosofia e marxismo nell'opera di Mondolfo, Firenze, La Nuova Italia, direzione idealistica, da suscitare in lui una sintomatica interpretazione in senso deterministico della concezione dell’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione verbale, aveva ben altro valore. E non a caso, riproponendo sulle pagine della Rivista di filosofia la lettura mondolfiana del materialismo storico, Levi osserva che la gnoseologia del calunniato materialismo storico coincide in alcuni punti fondamentali con quella di una delle più celebrate correnti dell’idealismo storico, cioè con la gnoseologia di VICO (si veda), e, infine, che il concetto marxistico della umwélzende Praxis sembra convenire con quella, che io chiamerei l’orientazione storicistica del liberalismo. Come non si conosce e non s’intende se non facendo (ripete Marx con VICO), cosi non si mutano le condizioni esteriori se non mutando se stessi, e reciprocamente non si muta se stessi se non mutando le condizioni del proprio vivere, afferma Mondolfo trattando del Muaterialismo storico sottovoce di Materialismo di Allmayer, ribattezzato concezione critico-pratica della storia. Dopo aver opposto alle interpretazioni economicistiche quella di Man, Mondolfo sottolinea infatti il carattere soggettivistico, e quasi vitalistico, ma non per questo meno deterministico, del materialismo storico: Vita che è lotta, in cui né le forme e condizioni esistenti possono arrestare le forze vive che si volgono contro di esse, né le forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme e condizioni esistenti, sia pure per rovesciarle e superarle . Ne risulta un’ accentuazione gradualistica del processo storico, che si riassume nella definizione di Sorel del materialismo storico come consiglio di prudenza ai rivoluzionari . Manifestazione della continuità della storia, che non A, Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con un'introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, Nella voce Labriola Mondolfo scriveva: C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma le cose sono la praxis stessa umana Levi, Um'interpretazione del materialismo storico, in Rivista di filosofia . Anche Levi aveva considerato sbagliato il termine materialismo storico.] conosce fratture rivoluzionarie nel progresso, che è incremento, non è il caso di andar cercando assoluti cangiamenti qualitativi ossia creazioni di novità assolute e senza precedenti, aveva affermato Mondolfo sulla base del pensiero di Bruno, in discussione con Barbagallo, è la stessa storia del comunismo e del socialismo: i due termini sono dilatati cronologicamente fino a comprendere l’antichità. Ciò vale in primo luogo per il comunismo, che non è soltanto programma di rivendicazione e d’azione di una classe proletaria, ma si presenta nella storia anche come stato di fatto, dovuto sia alla primordialità indifferenziata della società umana, sia a necessità belliche (Lipari), sia ad ascetismo religioso che svaluta i beni terreni e reprime il desiderio del possesso individuale (es., comunità monastiche), e può anche essere un ideale etico-politico di società, che voglia eliminati gli interessi particolari fonte di conflitti, per la solidale ricerca del bene comune (come in utopie antiche e moderne) (Socialismo). Il comunismo, mentre è in certe forme storiche estraneo alle esigenze socialistiche di elevazione ed emancipazione di classi, nella società contemporanea rappresenta la forma estrema del socialismo, che alle altre si oppone per il radicalismo dogmatico del suo programma, per la fede nell’efficacia risolutiva della violenza, per la decisione rivoluzionaria della sua azione, e trova espressione nella dottrina più mista di bakuninismo, blanquismo e sindacalismo, che aderente al marxismo professata dai socialisti maggioritari (Comunismo).Ma anche per [Mondolfo, Razionalità e irrazionalità della storia. Per una visione realistica del problema del progresso, in Nuova rivista storica A proposito di BRUNO (si veda) Mondolfo scrivea Gentile. Vedrai dal manoscritto che le mie opinioni sulla distinzione delle fasi del pensiero bruniano, fatta da TOCCO, si sono modificate per cedere il posto allo sforzo di coglierne l’unità e continuità, pur fra le contraddizioni ed oscillazioni (AEI, Lettere, Mondolfo). La concezione critico-pratica del marxismo conclude la voce, che per ogni esperimento storico domanda la maturità delle condizioni oggettive e soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in favore della concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista del potere. E le difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della rivoluzione bolscevica, non lasciano prevedere ancora a quale porto essa sia destinata ad approdare . Per i giudizi di Mondolfo sulla Rivoluzione d’ottobre Studi sulla rivoluzione russa, Napoli, Morano, il socialismo è necessario risalire all’antichità classica e al cristianesimo, contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano il socialismo sviluppo esclusivamente moderno, prodotto della doppia rivoluzione politica e industriale con cui si passa dalla società feudale alla capitalistica (Socialismo). Già prima della duplice rivoluzione una tappa decisiva per lo sviluppo del socialismo e del comunismo moderni è costituita dal pensiero degli illuministi, Montesquieu e Turgot in primo luogo. E l’elemento costitutivo del socialismo era individuato da Mondolfo nella buzzanitas, cioè nella affermazione storica più vasta e universale di quella coscienza e dignità della persona umana in quanto tale, che è l’essenziale concetto di Rousseau, inspiratore degli immortali principi della rivoluzione francese 2%, ora la sua essenza è vista in quella esigenza morale di libertà, di affermazione e sviluppo della personalità umana nel lavoratore, che costituisce la forza viva e il valore etico del socialismo moderno, con le sue rivendicazioni di autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze di classe (Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un movimento reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi in una generica aspirazione alla giustizia che percorre, in forme diverse, tutta la storia dell'umanità: era una presentazione che, indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, poteva trovare punti di convergenza, o quanto meno di confusione, con quella fatta dalla voce Fascismo, secondo la quale, colpito il socialismo nei suoi due capisaldi del materialismo storico e della lotta di classe, di esso non resta allora che Sul rapporto di continuità-rottura fra illuminismo e storicismo quanto Mondolfo scrive nella voce Helvétius. Osserverà Marx contro Owen, discepolo di Helvétius: l’educatore stesso deve venire educato. Il coincidere del variare dell'ambiente e dell’attività umana può essere inteso razionalmente solo come praxis che si rovescia, ossia come concreto processo dialettico della storia, in cui di continuo l’effetto si converte in causa e l’uomo non è prodotto passivo, ma antitesi operosa alle condizioni esistenti. La contraddizione in cui Helvétius resta impigliato si risolve nello storicismo. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, introduzione di Bobbio, Torino, Einaudi l'aspirazione sentimentale antica come l’umanità a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della più umile gente. Il socialismo come umanesimo universalistico, già affermato in polemica con Rosselli, fino ad accettare la trasformazione della lotta di classe in collaborazione di classe, trova nell’Enciclopedia una delineazione concreta nella trattazione del movimento operaio italiano. Lo smarrimento e la confusione sorgono più gravi nell'immediato dopoguerra, per l’irruzione improvvisa di masse caotiche nelle organizzazioni a portarvi l’ondata dei malcontenti incomposti e la suggestione del mito russo: il rivoluzionarismo delle nuove reclute sopraffà d’un tratto i vecchi cauti condottieri. Ma questo sindacalismo rivoluzionario è presto sgominato dall'insorgente sindacalismo fascista; la nuova legislazione si avvia grado a grado a convertire il sindacalismo in corporativismo, che al principio della lotta di classe sostituisce quello della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e l’importanza e i diritti della classe operaia. I fini universali del movimento operaio si realizzano nel potenziamento della nazione: La stessa lotta contro il capitalismo avido di profitti è affermazione di un più alto concetto della ricchezza: non privilegio e dominio, rientrante nella sfera dell’arbitrio individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini di utilità nazionale. E nell’atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche impresso all’industria e all’agricoltura un fecondo impulso di rinnovamento, che ha significato un accrescimento della produzione e, quindi, un elevamento generale Mondolfo, Ursanismo di Marx, Sulla base di un ampio esame degli scritti di Mondolfo, Marramao ha affermato che saranno proprio le categorie di coscienza di classe e di rovesciamento della prassi i cardini teoretici della difesa ad oltranza della collaborazione, e che è sintomatico come il nostro autore trascorra dal concetto di totalità della classe a quello di collaborazione, logica conseguenza politica dell’universalismo che si realizza progressivamente nella coscienza di classe (Marxismo e revisionismo in Italia, dalla Critica sociale al dibattito sul leninismo, Bari, De Donato, delle possibilità e dei tenori di vita nazionali (Operaio movimento, In questo modo le contraddizioni sociali si annullano, e ai fini della produzione e della distribuzione della ricchezza nazionale il movimento operaio viene a svolgere una funzione analoga a quella delineata da Michels per Li LI, di equilibrato rafforzamento di tutte e classi: È evidente, in realtà, che dall’impetialismo economico possono nascere, per le classi inferiori, vantaggi effettivi anche dal lato del consumo, qualora esso abbia per effetto l’incremento dell’importazione di materie di prima necessità il cui buon mercato faccia calare i prezzi locali aumentando correlativamente la capacità d’acquisto dei salari e dei piccoli redditi. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico Se operiamo un’altra verifica nel settore storico, con particolare riguardo alla storia italiana moderna e contemporanea, troviamo confermata l’impressione che il rapporto fra gli intellettuali e le scelte politiche o politico-culturali del periodo fascista sia stato assai stretto e passasse attraverso mediazioni culturali che sono precedenti al fascismo ma che col fascismo si chiariscono, come nel caso di Volpe; e ciò vale anche per quegli intellettuali che, per abito scientifico o per temi studiati, sono stati considerati più lontani da una compromissione con l’ideologia del fascismo. Lo stesso Momigliano, che alle voci sto- [In Sindacalismo Mondolfo afferma: Del sindacalismo rivoluzionario parve per un momento allo stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli operai e contadini; ma ben presto è apparso evidente che tutto quanto il sistema sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello stato. E nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi del sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato poi dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l’esigenza dei valori eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in cui l’uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui personalità morale si riassume nello stato.] riche dell’Exciclopedia dette un larghissimo contributo e fu in stretto contatto con gli storici che vi lavoravano, ha parlato di un bilancio in perdita per tutto quel gruppo di storici, fatta eccezione per Cantimori e Chabod?: osservazione probabilmente troppo drastica, ma che invita ad un approccio alla storiografia del periodo fascista non solo in termini di pura storia delle idee; anche attenendosi a questo solo piano, comunque, da un esame di alcune voci vedremo che molteplici sono le influenze che agiscono su storici come Chabod e Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi hanno finora valorizzato esclusivamente l’insegnamento di Croce. Non è infatti possibile non tener conto del quadro complessivo di cui fa parte lo stesso settore storico dell’Erciclopedia, cioè di quella vasta opera di organizzazione della cultura storica che si ebbe durante il fascismo e che attende ancora di essere studiata. Protagonista ne fu, per la storia moderna e contemporanea, Gioacchino Volpe, che riuscî a coinvolgere pienamente nei suoi programmi di lavoro anche storici che, come Morandi, avevano già manifestato un diverso e autonomo orientamento culturale, e che sotto la sua guida, o negli istituti, nelle riviste e nelle collane da lui diretti, si dedicarono a una intensa attività di ricerca in campi diversi per poi concentrarsi attorno alla storia della politica estera italiana, in un momento in cui l’imperialismo fascista esaltava la politica di potenza dello stato , risentendo in varia misura dell’ eclettismo storiografico e di singoli giudizi di Volpe. Negando contro l’opinione di Maturi l’esistenza di una svolta nella storiografia italiana, Ottokar lamenta la persistenza dei vecchi preconcetti della scuola giuridico-economica (È illusione credere che la formula del materialismo storico sia superata nella produzione storiografica odierna), e indicava a modello Volpe, fin dall’inizio del secolo sostanzialmente immune Momigliano, Appunti su Chabod storico, le osservazioni di E. Ragionieri, Carlo Morandi, in Belfagor, da questi semplicismi materialistici, perché sembra che nel marxismo egli abbia soprattutto sentito la parte più profonda e pit feconda, vale a dire l’idea dell’unità e dell’interdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e dei contrasti che porta ad una visione isolatrice e materializzatrice. Comunque si voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità o del cambiamento, nel periodo fascista essa si propose effettivamente come modello di una storiografia politica di impronta nazionalistica ed esaltatrice dello Stato-potenza, pur mantenendo alcuni residui del precedente interesse per la storia sociale. Essa ebbe modo di imporsi attraverso gli istituti storici di cui magna pars fu Volpe, impegnato fra l’altro a dissolvere anche istituzionalmente la storia del Risorgimento nella storia secolare della nazione italiana sorta col Medioevo, pur se a questo programma fece resistenza la Società nazionale per la storia del Risorgimento: la Scuola di storia moderna e contemporanea, collegata fin dalle origini con il COMITATO NAZIONALE PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO, si propose infatti la pubblicazione delle fonti di storia italiana, programma che fu fatto proprio dal Comitato sotto la direzione di Gentile, per poi passare all’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea che assorbi il Comitato. Oggi infatti scrive Gentile riecheggiando Volpe il quadro della storia del Risorgimento italiano, malgrado la superstite specializzazione di alcuni suoi cultori, si slarga; e comprende non solo gli immediati antecedenti del secolo delle riforme, ma tutta la storia moderna d’Italia dal declinare di quella frammentaria vita comunale, che è il primo erompere della vita nazionale ancora in- [Ottokar, Osservazioni sulle condizioni presenti della storiografia in Italia, in Civiltà moderna , Interessanti notazioni sul rapporto Volpe-materialismo storico anche in Volpicelli, Volpe, in La Fiera letteraria. Cervelli, Volpe, e le mie osservazioni in Il problema Volpe, Una prima riflessione su questa complessa rete organizzativa è stata fornita da S. Soldani, Risorgimento, ne Il mondo contemporaneo, Storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia, conscia e incurante della propria unità e ignara di ogni esigenza di organizzazione, fino alla formazione del regno d’Italia e alla prima grande prova della sua volontà e della sua potenza nella guerra mondiale. Le sezioni enciclopediche su alcune delle cui voci ci soffermeremo, quella di Storia medievale e moderna diretta da Volpe, e quella di Storia del Risorgimento diretta da Menghini legato a Gentile anche per altre iniziative editoriali, come la collana Studi e documenti di storia del Risorgimento di Le Monnier, si presentano come uno dei frutti di questa vasta opera di organizzazione culturale, e videro impegnati quasi tutti gli storici che prestavano la loro opera negli istituti di ricerca del regime. Con ciò non si vuol dire che questi intellettuali si ridussero a funzionari del regime, ma solo indicare la loro relativa omogeneità raggiunta negli anni ’30 e la permeabilità di molti di loro all’ideologia nazionalistica propagandata dal fascismo e che nell’Enciclopedia si manifestò nel larghissimo spazio concesso alla storia di Roma e a quella d’Italia, pur nella varietà delle influenze sul piano del metodo e dei giudizi: per cui la presenza della lezione crociana non è di per sé un segno, in molti casi, di differenziazione ideologica dall’orientamento nazionalistico. Sul piano metodologico nell’Enciclopedia, come in quasi tutta la storiografia italiana del periodo, trionfa quella concezione idealistica, sia etico-politica alla Croce sia realistica alla Volpe, che aveva trovato un elemento unificatore nel concetto di classe politica . Sul concetto di classe politica osserva Maturi, inteso eticamente o realisticamente, sono tutti d’accordo: Croce e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad esso si riduce in fondo anche il concetto di nazione nel Volpe, Prefazione di Gentile all’Annuario del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, Bologna, Zanichelli. anche G. Gentile, Dal Comitato nazionale per la storia del Risorgimento dl R. Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea. Relazione a S.E. il Ministro della Educazione nazionale, Sancasciano Val di Pesa, Stianti, Secondo quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, ad es. a15. come si vede dal suo libro L'Italia in cammino, ove, al centro della narrazione, è l’analisi dei ceti dirigenti del Risorgimento e della nuova Italia, Non a caso alcuni anni dopo nella voce Storia Antoni annoverava fra i rinnovatori della storiografia italiana, accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È indubitabile dunque che, al di là di scuole o di parti politiche, agli storici dell’Erciclopedia fosse ben presente anche la lezione di Croce, come testimonia il fatto che Nicolini, incaricato di predisporre un piano di voci di storia della storiografia, si sentisse autorizzato a chiedere consiglio a Croce, che nell’argomento è forse lo studioso più competente di Europa , e a proporre per sé una sottosezione di storia della storiografia, in modo che le voci passerebbero sotto gli occhi di Benedetto. Ma non permette di cogliere la complessità delle influenze che si esercitarono sui maggiori storici operanti fra le due guerre, ridurre tutto il problema alla questione del metodo e privilegiare quindi l’insegnamento di Croce, per affermare che l’attualismo gentiliano nel campo degli studi storici non esercitava che un’influenza limitata, e in nessun modo tale da far sf che esso fosse accolto in prima persona dagli storici migliori della nuova generazione idealistica #. Se spesso, come nel caso di Maturi cui in particolare si ‘riferisce questa osservazione, il metodo è quello di Croce, scelte tematiche e singoli giudizi nad fonti diverse e talvolta contrastanti, e rinviano in molti casi, come vedremo, a Volpe e a Gentile. Volpe aveva del resto cercato di orientare il lavoro dei collaboratori della sua sezione suggerendo delle Norme e criteri per la redazione degli articoli di storia medioevale e moderna, in cui invitava alla valorizzazione della storia italiana, ma richiamava anche la necessità come già Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in Rivista storica italiana. AEI, Lettere, Nicolini. Cosî Salvadori, Maturi, in Nuova rivista storica. Per alcune considerazioni sugli interventi storiografici di Gentile A. Negri, L’interpretazione del Risorgimento di Gentile, in Critica storica. Non apologie, né propaganda, né polemiche. Tuttavia, poiché aveva fatto nel Programma per una storia d’Italia di combinare storia politica e storia sociale, attenzione per lo Stato e per la vita economica, e avvertiva ditener conto delle implicazioni politiche ed economiche della storia della Chiesa. Sembra che a queste indicazioni, in cui si intrecciavano le varie componenti della storiografia volpiana se pur spicca l’accento posto sulla ricerca dello Stato anche nell’età comunale, ci si sia attenuti in molti casi, ad esempio in alcune voci giudicate esemplari da Chabod nei primi volumi, come Amburgo di Luzzatto, attento alla vita economica della città, o la Storia dell’America di Doria, dove l’autore si sofferma sulle caratteristiche della colonizzazione e sulla riduzione in schiaviti degli indios, senza nascondersi gli interessi economici dei missionari, che in taluni casi furono piu spietati dei conquistatori . Pi in generale, nelle voci dedicate agli Stati non italiani che costituirono un banco di prova si tratta di una Enciclopedia Italiana, ai collaboratori incaricati di trattare la storia degli altri paesi si chiede che si compiacciano di dar rilievo a quella che può essere stata la ripercussione di avvenimenti e personaggi italiani su la vita dei paesi stessi . Le Norme sono riprodotte in Le predisposizione del lavoro in una grande impresa scientifico-editoriale. L'Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani, in L'organizza-zione scientifica del lavoro, Gli articoli sugli Stati, piccoli o grandi, medioevali e moderni, non siano il quadro delle vicende dinastiche (apposite voci sono dedicate alle dinastie e famiglie regnanti), né il mero racconto degli avvenimenti politico-militari, ma presentino la storia politica, largamente intesa, di una nazione o popolo, ne mettano in luce la struttura economica e sociale e le vicende demografiche. Un posto maggiore che non le altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla storia delle città, e in particolare di quelle italiane, specialmente nell’epoca in cui le città furono centri autonomi di energica vita, piccoli Stati di fatto, se anche giuridicamente limitati. Quindi si devono presentare queste città nel loro nascere o rinascere medioevale e anche moderno, le forze sociali che in esse si raccolgono, la loro vita economica, le loro istituzioni, i personaggi più notevoli, Negli articoli di Storia della Chiesa, che è quasi sempre anche storia civile e politica, sarà da tener conto dell’uno e dell’altro elemento, salvo i casi speciali in cui sarà espressamente avvertito che dell’elemento religioso debba trattare a parte un altro scrittore. Discorrendo di missionari, non si trascurino le finalità, i moventi e i riflessi culturali, economici, spesso politici e nazionali della loro azione. Degli ordini monastici si metta in luce l’importanza civile ed economica. Archivio storico italiano, completamente nuovo per gli storici dell’Enciclopedia si può osservare un’attenzione per i molteplici aspetti della loro storia e un notevole equilibrio di giudizio come in Stati Uniti di Sestan e in URSS (anonima), anche se, quando ci si avvicina alle vicende contemporanee (e quindi soprattutto nell’Apperndice), si avverte l'influenza della propaganda politica del fascismo: ad esempio occupandosi della Francia di Morandi che faceva cosî la sua prima esperienza di commentatore politico, nelle cui vesti sarà particolarmente attivo sulle pagine de Il Mondo minimizzerà il significato dell’esperienza del Fronte popolare. Quando invece si tratta di valutare i momenti rivoluzionari o i punti cruciali del dibattito storiografico, si tende a tacere è il caso della Comune di Parigi, cui è dedicato appena un accenno da Georges Bourgin ( governo municipale di radicali e socialisti ) sotto la voce Parigi, storia, o a evidenziare i motivi ideologici nella ricostruzione storica, come nelle voci dedicate alla Rivoluzione francese e alla storia italiana. Appare naturale che il significato della Rivoluzione francese sia sottoposto a severa critica nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica, da Croce al fascismo, contro i principi. Né stupisce, pur apparendo in un’opera scientifica, la rozzezza con la quale Francesco Ercole tratteggia la figura di Danton (La sua crescente influenza sugli elementi più torbidi e inquieti del popolo parigino era dovuta, non meno alle sue qualità fisiche, alla massiccia vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva del volto butterato dal vaiolo, alla voce stentorea, che alla suggestione morale esercitata dalla sua consueta audacia di parole e di gesti. Ciò che interessa notare è invece, da un lato, Chabod giudicò l’Enciclopedia mezzo e incentivo ad arricchire gli interessi della nostra cultura, ad ampliare lo sguardo dei nostri studiosi a determinare sia pure in pochi uomini volontà e proposito di affrontare, finalmente, problemi che non siano quelli soliti, cari alla nostra storiografia. anche Gentile, L'Enciclopedia Italiana, Eppure Bourgin era autore di vari studi sulla Comune, dall’Histoire de la Commune a Les premières journées de la Commune l'ampiezza dei giudizi negativi su di essa che sono fatti propri anche da Chabod Ma le idee, una volta messe in circolazione, sfuggono al controllo di chi le crea: e cosî fu che all’illuminismo, alienissimo dalle violente e aperte rivoluzioni politiche e sociali, s’appellassero quelli che, poco più tardi, dovevano far sorgere il novus ordo: alquanto diverso, in verità, da quello auspicato dai filosofi, e grondante di sangue (Illuminismo); e, dall’altro, la stretta interscambiabilità fra posizioni scientifiche e ideologiche, per cui tornano alla mente i contenuti di alcune voci politiche. L'importanza della Rivoluzione francese nella storia europea non è certo disconosciuta da Ghisalberti che, dopo aver analizzato le differenti posizioni delle varie classi sociali nell’89, afferma che essa recò a termine con la sua violenza l’opera condotta nei secoli dalla monarchia dell’antico regime e abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali, consacrò l’importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il governo e l’amministrazione, accelerò il già iniziato trapasso della proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla legge (Francese, rivoluzione). Anche nella voce Rivoluzione Crosa cita del resto la Rivoluzione francese accanto alla rivoluzione fascista come rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui, o direttamente o indirettamente, si produssero trasformazioni politiche di suprema importanza. Ma, come in Fascismo si era detto che il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine, cosf Ghisalberti precisa subito la sua valutazione della Rivoluzione francese affermando che mezzo secolo di dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei giacobini ; e, mentre alle critiche all’ordinamento sociale fondato sulla proprietà mosse da Morelly o Brissot contrappone, come più rivoluzionarie, le proposte dei fisiocratici, coglie il difetto della Dichiarazione dei diritti nel fatto che l’umanità è anteposta alla Francia, l’individuo alla società: un giudizio che ricorda quello espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce quando afferma che con la costituzione figlia della paura , la rivoluzione ha trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del privilegio ha sostituito quella del censo, gettando cosi i germi di futuri conflitti sociali S, Il giudizio limitativo dei principi coinvolge naturalmente l’illuminismo e i suoi esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo di Chabod, che pur ne riconosce tutta l’importanza per la storia del progresso umano: quello che non andò perduto cosî conclude la voce fu il nocciolo stesso dell’illuminismo e cioè l’aver fissato su basi puramente umane e razionali la vita dell’uomo e dell’umanità. In questa concezione d’insieme che corona e completa e sistema definitivamente le prime conquiste del Rinascimento italiano è il valore ideale dell’illuminismo . Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul collegamento col Rinascimento italiano e, mentre sulla traccia di Philosophie der Aufklirung di Cassirer trascura l’opera dei pensatori sensisti, non nasconde la sua diffidenza per l’elemento che distinguerebbe l’illuminismo dal Rinascimento, cioè l’interesse dei philosophes per la diffusione universale della cultura, anche presso quella moltitudine che doveva sentirsi facilmente e pienamente appagata dalla chiarezza e linearità delle idee che le venivano poste innanzi, da una filosofia che s’appellava alle leggi di una ragione molte volte identificabile col buon senso comune, e quindi di facilissima recezione, e che in nome di questa ragione-buon senso bandiva le sue crociate contro certa storia, vicina o remota: proprio come piace alle moltitudini, per le quali il senso storico rappresenta il più difficile e complicato del misteri, e proprio com’era necessario allora, dato il clima storico di quell’età, Ancora più evidente è il carattere ideologico della ricostruzione storiografica per cui quest’ultima si trasforma nell’ apologia che Volpe aveva invitato ad evitare Per trovare una valutazione complessiva della politica di Robe spierre bisogna ricorrere non alla voce dedicatagli da Francesco Lemmi, e ne fa il responsabile del carnaio, ma a Terrore di Maturi. Anche l’opera di Federico II di Prussia è opposta da Chabod al dottrinarismo astratto di un Giuseppe II . nella voce Italia, scritta proprio da Volpe, da Rodolico, e Ghisalberti. La voce non affronta esplicitamente, come è stato osservato, il problema dell’unità della storia d’Italia, ma riproduce tuttavia la periodizzazione posta a base del Programma, che vedeva profilarsi la nazione italiana fin dall’alto Medioevo. In essa assai più marcato è però il motivo della continuità con la storia romana alla quale, con la preistoria, è dedicata la prima parte della voce, in modo da far risaltare come l’Italia, culla della civiltà latina e sede della Chiesa cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il privilegio di essere il centro del mondo: è lo stesso Momigliano ad affermare che con la dissoluzione di L’IMPERO ROMANO l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La quale continua bensi e non dimentica quella di Roma e del suo impero, anzi, con la Chiesa, che continua l’universalità dell'impero, mantiene la sua funzione di primato spirituale; ma solo dalla caduta dell'impero la storia italiana si svolge autonoma e con propri destini: la faticosa conquista d’una forma politica per l’unità nazionale del popolo italiano. L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza nazionale e di una tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche rispetto a suoi giudizi precedenti:nella prefazione al Medioevo italiano, egli coglieva nell’età comunale uno dei momenti di più energica fecondità della storia d’Italia, anzi come l’inizio ricco e promettente di questa storia, segnato appunto dal sorgere dello Stato (Stato di città nel Nord e nel centro d’Italia, Stato monarchico e territoriale nel sud) e della borghesia italiana, e dal delineatsi di un popolo italiano che è creatura nuova e pur sente lo stimolo a crearsi una tradizione e trovarla in Roma, nella voce enciclopedica, dopo aver affermato che già con Odoacre, si ha il restringersi alla sola penisola del senso politico della parola Italia , Volpe insiste più Sestan, Per la storia di un'idea storiografica: l'idea di una unità della storia italiana, in Rivista storica italiana, Ora in Volpe, Storici e maestri, di quanto non avesse fatto Solmi sull’importanza del dominio longobardo che fondò in Italia una tradizione politica di unità . Tutta la storia successiva gli appare un progressivo disvelamento della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal secolo XI c dalla nascita dei Comuni, e quindi con ALIGHERI e Cola di RIENZO, con la crescente unificazione dello spirito ita- liano promossa dall’Umanesimo, visto come un momento del Risorgimento, che è cosa del pasato ed è cosa presente e immanente a tutta la storia italiana, dalla caduta di Roma e dalle invasioni in poi afferma Volpe che tendeva appunto a una d ilatazione e dissoluzione del concetto di Risorgimento, finché a Vittorio Amedeo II appare chiaro il fine ultimo della politica sabauda: che era quello di chiudere le porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi signori col tempo di gran parte della penisola . Accanto alla precoce affermazione di una coscienza nazionale, Volpe individua nel Comune e nel podestà il delinearsi più netto di un ente, lo stato che nasce , e sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel Programma per una storia d’Italia, la funzione italiana e quasi nazionale che assolve il papato: questa comincia ad apparire già al tempo di Carlo Magno, ritorna all’epoca di Federico II, per poi affermarsi con la Controriforma quando il pontificato romano, nella lotta al protestantesimo, si mosse nella direzione segnata dallo spirito del popolo italiano, e l’Italia, politicamente divisa, ma unita nella cultura, priva ancora come è di più intimi e propri centri, si appoggia, nel lento maturare della sua coscienza nazionale, al papato. Come aveva tratto nel suo cerchio ideale Roma antica, cosi ora Roma papale, nella quale vedeva, accanto a una funzione cattolica, anche una funzione nazionale e italiana. Molti altri aspetti potrebbero essere sottolineati nella ricostruzione volpiana come l’ampio rilievo dato alla rivolta antispagnola , mentre non mette conto Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia, soffermarsi sulle parti della voce redatte da Rodolico e Ghisalberti improntate a una storiografia puramente événémentielle e aproblematica, in cui le preoccupazioni ideologiche si fanno via via prevalenti, se non per rilevare, nel primo, l’esaltazione del sanfedismo ( pagine di fierezza di popolo) e della missione nazionale assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel secondo, la caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che si conclude con una apologia del fascismo. Due contributi, questi, che non reggono il confronto con la narrazione volpiana, capace in alcuni momenti di presentare la complessità del processo storico e di aprirsi alla considerazione di aspetti economici e sociali: con più forza nella connotazione delle origini del Comune già Ottokar aveva rilevato come esso fosse composto di elementi economicamente e socialmente assai eterogenei (Comune), ma anche nella valutazione delle basi sociali della Signoria, per cui Volpe accetta nelle linee generali la tesi di Ercole della sua origine popolare anche se poi opera delle differenziazioni fra Venezia e Firenze e tra le vatie fasi della storia fiorentina; ma sempre con un certo interesse per la correlazione tra storia politica e storia sociale, che manca invece in Giorgio Falco, il quale nella Signoria un tema su cui si concentrò l’attenzione di gran parte della storiografia italiana tra le due guerre, in cerca dell’origine dello Stato moderno e di una nuova classe dirigente sottolinea la tendenza all’affermazione di potenti individualità e la prefigurazione della futura storia d’Italia: il Principe di MACHIAVELLI, infatti, con la sua esaltazione della sovrana virt4 fondatrice di stato, liberatrice d’Italia, riassume i due motivi dell’età delle signorie: ciò che essa aveva prodotto, lo stato creazione dell’uomo; ciò che essa aveva invocato, la nazione, ed era il compito dell’avvenire Pizzetti, Chabod storico delle Signorie, Se alla radice delle signorie sta, non di rado afferma Falco, un conflitto di natura sociale ed economica e se, com'è ovvio, gl’interessi economici hanno parte in maniera generica nell’origine e nello svolgi Se infine, in questo assai rapido e incompleto esame del settore di storia moderna e contemporanea, prendiamo in considerazione alcuni contributi di storia italiana di due intellettuali, come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si è sottolineata l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro giudizi essi sono largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi, almeno indirettamente, dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con ciò non si vuole esprimere, com’è naturale, un giudizio generale sull’opera di Chabod e di Maturi nel periodo fascista che dovrebbe tener conto ad esempio, per il primo, e per limitarsi all’Exciclopedia, anche del contributo su Machiavelli, che nel suo rigore scientifico si contrappone alla presentazione decisamente nazionalistica che ne aveva fatto Ercole, ma solo contribuire a chiarire le caratteristiche complessive dell’Enciclopedia come manifestazione culturale del fascismo. Accenti nazionalistici sono presenti, infatti, in Rimascimento di Chabod, che pur qui (come nella comunicazione su Il Rinascimento nelle recenti interpretazioni) si preoccupa di negare in un periodo in cui assai accese, e non immuni da preconcetti ideologici, erano le controversie sulla periodizzazione la continuità col Medioevo, contestando la tesi di quanti, come Thode e Burdach, hanno messo in luce gli elementi storico-ideologici che ricollegano il trionfante movimento dei secoli XIV e XV ad aspirazioni, credenze, idee dell’età precedente, e di quanti, come Volpe, hanno operato un analogo allargamento del quadro cronologico mettendo in rilievomento della nuova istituzione, caratteristica di essa, quando riesce a mettere radice, è essenzialmente l’affermazione e il trionfo di una volontà politica, una dissociazione dell’esercizio del potere dalle attività della produzione e dello scambio, dalle organizzazioni di arte e di classe, una soggezione lenta e progressiva di queste e di quelle agli scopi dell’uomo di governo, infine, dello stato (Signorie e Principati,Per alcune indicazioni sul dibattito su Machiavelli nel periodo fascista M. Ciliberto, Appunti per una storia della fortuna di Macbhiavelli in Italia: Ercole e Russo, in Studi storici, Ora in Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, gli elementi storico-pratici che collegano età dei comuni e Rinascimento tradizionale, e hanno prospettato il Rinascimento come il moto stesso di ascesa del popolo italiano, nella sua coscienza di nazione, nella sua attività politica ed economica oltre che culturale e artistica, e hanno pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e storia del popolo italiano a partire dal sec. XI . In realtà il distacco da Volpe si manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione degli aspetti politici ed economici rilevati da Volpe già in Bizantinismo e Rinascenza, e ancora nella voce Italia, e nella caratterizzazione kulturgeschichtlich del periodo, per cui se il Rinascimento è divenuto una categoria storica, lo è al pari degli altri e simili concetti di Illuminismo e Romanticismo nell’unico significato possibile, e cioè di un momento storico della vita spirituale europea, di un periodo filosofico, letterario, artistico, che si origina certo da una determinata realtà politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento, si dispiega per cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il succo vivo di cui alimentarsi, lo elabora poi concettualmente e immaginativamente, ne fa un mondo a sé, mondo di idee di dottrine di creazioni artistiche che si dispiega sino ad esaurimento della sua interiore virtà. Ma nella voce enciclopedica, a differenza della comunicazione, la distinzione iniziale tra il Rinascimento e il periodo precedente, affermata nell’analisi delle interpretazioni, è contraddetta quando Chabod passa a enucleare gli elementi costitutivi dell’ epoca. Mentre nega la tesi di un rinnovamento spirituale europeo che si sarebbe verificato in Francia e nei Paesi Bassi, riprende il motivo della continuità e insiste sul carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del Rinascimento, preparato lentamente, che vide in Italia lo sviluppo dei Comuni e della borghesia: Nel Rinascimento, afferma Volpe, è come se la società italiana, la borghesia italiana nata dalle città, celebri se stessa riuscita a essere, da nulla che era, tutto o quasi tutto; come se celebri la signoria e il signore, che era pur egli, a modo suo, creatura di quella borghesia e, a modo suo, attuava quell’ideale dell’uomo che si fa da sé (Italia). E la graduale conquista di un proprio mondo spirituale da parte di chi aveva, già prima, dato nuove basi alla propria attività pratica e alla propria vita quotidiana. Era infatti una società nuova, quella ch’era venuta affermandosi nell’Italia, e specialmente nell’Italia settentrionale e centrale. Come ceio sociale, era già ben robusto e capace quello che, con termine moderno, chiameremmo borghesia, ormai differenziato nettamente dai chierici e dai feudatari. Questo gagliardo e irrompente fiotto di vita nuova trovava presso che subito una sua prima, grande espressione morale e spirituale, ma non sul terreno della cultura cosiddetta laica, bensf su terreno prettamente religioso.] ora, all’inizio del secolo XIII, era la società italiana tutta quanta che appalesava le sue rinnovate esigenze di vita morale nel movimento francescano. Che era il grande apporto della nuova nazione italiana alla storia della religiosità europea. In questo recupero dell’interpretazione volpiana anche Cantimori, sul Dizionario di politica, aveva individuato nel Rinascimento la presenza di un sentimento nazionale unitario italiano il trasferimento nell’ambito prettamente umano di idee che prima avevano trovato la loro ragion d’essere nella fede in Dio è seguito nel suo lento cammino, che dal francescanesimo porta a Dante, a Cola di Rienzo, a Petrarca e infine a Machiavelli, cioè attraverso l’erompere delle nuove, giovani forze che danno vita alla nazione italiana, con una genealogia che richiama quella proposta da Gentile nella sua ricerca della nazionalità della filosofia. Per converso, il tramonto del Rinascimento si ha, afferma Chabod in un passo finale della voce in cui già Cantimori ha colto il ripiegare sul piano della storia nazionale dell’interesse precipuo dello storico valdostano per il fenomeno europeo e cosmopolitico del Rinascimento, Cola di Rienzo e oggetto di grande attenzione nel periodo fascista in quanto espressione come afferma Falco nella voce a lui dedicata lella coscienza italiana. le osservazioni di Garin in Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, Cantimori, Chabod storico della vita religiosa italiana, ora in Storici e storia, Analizza la voce, come caratterizzazione spirituale del Rinascimento, E. Sestan, Rinascimento e crisi italiana del Cinquecento nel pensiero di Chabod, in Rivista storica italiana, in stretta connessione con l’infiacchimento della vita italiana, con la iniziantesi decadenza politica ed economica, con il venir meno delle grandi speranze e della volontà d’azione, in una parola con il tramonto delle forze creatrici che avevano dato alimento ed essere alla muova civiltà e ne avevano fatto l’espressione piena del vigoroso sorgere della nazione italiana. Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che accanto a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su cui aveva attirato l’attenzione Meinecke , si può riscontrare in alcune voci risorgimentali di Maturi, che pur Volpe giudicherà liberale, liberalissimo, come in politica, cosi in storiografia, assai aperto alle influenze di Benedetto Croce , e tra i suoi allievi forse il più distaccato, nell’intimo, dal mondo del fascismo, Tornando a valutare la sua celebre voce Risorgimento, Maturi la presentò come una decisa risposta alla tesi nazionalistica ?; tuttavia, se è vero che in essa l’autore si opponeva alla dissoluzione del Risorgimento nella secolare storia italiana, non è sufficiente limitarsi a definirla una interpretazione rigorosamente etico-politica senza precisarne le fonti ?. Assai netta appare infatti la sottolineatura delle origini autoctone del Risorgimento, L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata fatta conoscere da Chabod in un articolo (ora in Lezioni di metodo storico, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza), mentre Cosmopolitismo e Stato nazionale era stato tradotto da La Nuova Italia : sono testi probabilmente presenti a Maturi, che anche nelle voci enciclopediche avverte il contrasto tra politica e morale, tra Stato e idea di nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale si elaborano da un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro quelli di libertà e di civiltà (Restaurazione). L’opera degli Svizzeri e dei Tedeschi fu immensa per la formazione delle coscienze nazionali europee, ma fu opera essenzialmente culturale: per fare trionfare in pratica il principio ci volevano diplomatici e rivoluzionari. Alessandro fu il primo ad agitare l’idea della nazionalità (Storia del principio di nazionalità, sottovoce di Nazione di Battaglia). Volpe, Storici e maestri, Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea, in Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, La sua interpretazione è stata fatta propria da E. Sestan, Maturi, in Rivista storica italiana, (l’articolo esamina anche le altre voci di Maturi), e da Salvadori, Maturi, cSalvadori, Walter Maturi, sganciato da ogni rapporto con la Rivoluzione francese. Ma, allora, avrebbero ragione gli storici francesi, che fanno ancora risalire alla rivoluzione francese il nostro Risorgimento, si chiede Maturi una volta confutate le tesi sabaudista e diplomatica delle origini del Risorgimento: Ciò che distingue la nostra tesi da quella francese, rappresentata ancora dal Bourgin, è il valore che noi diamo all’epoca del dispotismo illuminato e al principio della lotta delle nazioni. Senza le riforme del Settecento, senza l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali pit intelligenti verso lo stato regionale, senza lo stacco che l’opera riformatrice aveva posto in Italia tra minoranze sovvettitrici di vecchi ordini statali e masse meccanicamente attaccate a quegli istituti, la rivoluzione francese non si sarebbe potuta inserire tra le lotte politiche e sociali italiane e non avrebbe trovato il germe fertile, il terreno fecondo. D'altro canto le grandi lotte settecentesche tra Francia e Inghilterra avevano insegnato agl’Italiani la fecondità delle lotte nazionali. Diversamente da quanto dirà nel saggio su Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, Maturi considera quindi il Risorgimento un movimento che affonda le sue radici nell’età delle riforme. Anche Volpe aveva sottolineato i Principi di Risorgimento italiano; ma il richiamo a Volpe si fa ancora più preciso quando Maturi coglie l'elemento propulsore del Risorgimento in un piemontese non conformista, Alfieri col quale si afferma il primo presupposto d’una nazionalità: la volontà di essere uno stato-nazione. In Problemi storici e orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di Rota, Como, Cavalleri, Romeo ha invece scritto: Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il rifiuto delle posizioni nazionalistiche e, dunque, di ogni tesi sul carattere pre-risorgimentale del Settecento o peggio, sulla funzione risorgimentale dei Savoia; e nessuna adesione, di conseguenza, al tentativo di negare il nesso Rivoluzione francese-Risorgimento (Maturi storico della storiografia ora in L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Bari, Laterza. Il pensiero riformatore fu giudicato astratto da Rota, fuorché in Italia, dove avrebbe avuto carattere autonomo e nazionale (Riforme, età delle, Rivista storica italiana (il tema dell'articolo era stato anticipato da Volpe al Congresso per la storia del Risorgimento sulla base del celebre passo di Del principe e delle lettere in cui si auspica che l’Italia, inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente, possa risorgere virtuosa, magnanima, libera e una: lo stesso passo parafrasato da Volpe per dimostre che con Alfieri il lento processo storico che da secoli veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e volontà. È questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola ampiamente, da Rodolico, che vede in Alfieri i primi albori del Risorgimento nazionale (Italia), a Manfredi Porena, per il quale il letterato piemontese ebbe con maggior chiarezza di ogni altro suo precursore il concetto dell’unità politica d’Italia fondata sull’indipendenza e sulla libertà, e con maggior ardore e fiducia la profetò (Alfieri). Ma le date e il linguaggio di queste voci ci suggeriscono che all’origine dell’interpretazione di Maturi non c’è soltanto Volpe; e se pensiamo alle: altre tappe della creazione del mito risorgimentale, tutte segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci accorgiamo che la matrice è il Gentile de L'eredità di Alfieri, I profeti del Risorgimento italiano, Vincenzo Cuoco. Cuoco scrive Maturi riprendendo la genealogia gentiliana della nuova Italia accolse tutto l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta delle plebi italiane e predicò come dovere morale l’opera di colmare l’abisso tra popolo e minoranze intellettuali. E un altro grande contributo portò il Cuoco al concetto di Risorgimento: il culto del VICO (si veda). Se Alfieri insegnò agl’Italiani ad agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in grande; se con l’Alfieri l’Italia s’individuò come volontà di essere stato tra gli stati europei, col Vico acquistò coscienza di avere una propria personalità nella cultura europea. Dalla fusione delle dottrine di questi due grandi nacque la nuova Italia, pensante e operante con una sua particolare fisionomia. nel seno dell'Europa. Può essere curioso notare che, pur polemizzando con l’interpretazione autoctona di Gentile, anche Gobetti aveva visto in Alferi l’iniziatore di un Risorgimento e un liberalismo che ben si può dire originale, e in cui si trovano le premesse della nuova cultura politica italiana (La filosofia politica di Vittorio Alfieri, tesi di laurea in filosofia del diritto discussa con Solari, ora inGobetti, Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di Spriano, con due note di Venturi e Strada, Torino, Einaudi). Anche per Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di mettere in circolazione Vico, in particolare quella posizione storicistica, che in Se quindi Maturi rifiuta la tesi sabaudistica e quella diplomatica delle origini del Risorgimento, è per costruirne un’immagine etico-politica che rinvia a Gentile, ma anche a Volpe. Non è del resto possibile dimenticare che non di vero e proprio antisabaudismo si tratta nel caso di Maturi, uno dei patiti del Piemonte ?. Nell’ampia voce Savoia, il giudizio positivo sull’opera di riorganizzazione dello Stato di Filiberto e di Emanuele I diventa entusiastico per il ’700 ( Da molteplici punti di vista lo stato sabaudo nel Settecento appariva uno stato perfetto ), mentre Carlo Alberto è definito un principe paterno modello e la sua opera prima del 1848 è qualificata come nazionale; per cui sembra corretta la critica che di lf a poco Cortese muoverà a Risorgimento di Maturi ( non crediamo che ci siano elementi che ci autorizzino a fare della classe politica piemontese della fine del Settecento la creatrice del mito del Risorgimento nazionale. Un altro motivo che torna anche in alcune voci enciclopediche di Maturi, laureatosi in filosofia con Gentile con una tesi su De Maistre, è quello della religione e dei suoi rapporti col potere politico. Proprio nell’opera di De Muistre egli coglie i primi germi di alcune eresie: del modernismo con i suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle credenze religiose; del nazionalismo francese di Ch. Maurras con la sua eccessiva Politisierung della Chiesa nel Du a , e, più in generale, in Restaurazione nota che per rendere più docili le nuove generazioni e amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro mezzo che all’educazione ecclesiastica e si commise l’errore di abbassare la Chiesa a instrumzentum regni in un’età di delicatissima sensibilità etico-religiosa, con l’unico parte si fonde con la filosofia antilluministica , e aggiungeva che l’opera sua resta nei limiti della tradizione nazionale, che egli riconquistò alla filosofia ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si ricollegarono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, Cortese, Orientamenti storiografici intorno alle origini del Risorgimento, in Problemi storici e orientamenti storiografici, frutto di provocare per reazione la genesi del cattolicesimo liberale e d’insinuare con esso il nemico nella cittadella religiosa del passato. Queste affermazioni non sono tuttavia univoche, come dimostra oltre alla valutazione positiva dei Patti lateranensi (Romana questione) il giudizio sul Neoguelfismo, che trasformò in sentimento politico nazionale il sentimento politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le culture regionali, e quindi compî, sotto certi aspetti, un’opera d’educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane e ne produceva la crisi morale. Del neoguelfismo, restò, trasformandosi ed evolvendosi, il liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo ideale d’Italia e casa Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese; restò il cattolicesimo nazicnale, che abbandonò le idee di riforma cattolica, si restrinse ad aspirare alla conciliazione tra il papato e la patria italiana e ha visto realizzato il suo sogno dalla nuova politica ecclesiastica di B. Mussolini; restò l’ideale del primato, che è stato ripreso dal fascismo Dove in quel si restrinse traspare comunque una posizione laica, alla quale fa riscontro per alcuni aspetti il giudizio su Gioberti di Saitta, il direttore di Vita nova che ospitò, come vedremo, alcune critiche alle voci religiose dell’Enciclopedia: un Gioberti a proposito del quale, in linea con l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai la funzione da lui assegnata al pontefice, ma è visto come l’esponente di una visione laica e democratica e il maggior teorico del liberalismo, che è in antitesi col mazzinianesimo antimonarchico e col guelfismo dei conservatori che consigliavano il re ad una politica di mode Di Sanctis Maturi evidenziò gentilianamente il fatto che, vichiano, senti il valore della religione per il popolo, ma criticò fino in fondo il principio della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di conserva col Mancini, per far mantenere nel sistema separatista italiano alcune cautele giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica, altamente educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesistente con quello laico.] Gentile parla di un incessante svolgimento del programma giobertiano verso quella concezione nettamente laica e democtatica, o in una parola, liberale dello Stato, innanzi alla quale i neoguelfi ricalcitrano (I profeti del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi.] razione e di prudenza, la quale si risolveva nella diserzione dalla causa nazionale , ed è esaltato per il suo tentativo di conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della chiesa . Busnelli, un critico severo dell’ attualismo che troviamo fra i collaboratori dell’Enciclopedia, recensendo su La Civiltà cattolica i primi volumi dell’opera notava con compiacimento, come abbiamo visto, che i suoi direttori, mentre lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate. Il giudizio rispecchiava il posto privilegiato riservato nell’Enciclopedia ai cattolici, l’unica voce organizzata non completamente omogenea con la cultura del fascismo quale era auspicata da Gentile, ma tale, per ampiezza e incisività, da caratterizzare nettamente l’opera nel suo complesso, che non può perciò essere qualificata solo come idealista o attualista. Questo aspetto non è stato messo nel dovuto rilievo dai testimoni di allora, nemmeno da quanti hanno ammesso la presenza della censura ecclesiastica ??; del resto nelle stesse ricostruzioni generali della cultura nel periodo fascista solo di recente se prescindiamo dalle Cronache di Garin è stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come componente es Busnelli], L’ Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. Busnelli aveva pubblicato. I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati. Cosî Vida, Fantasmi ritrovati, e Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico in La Cultura. Sulla tematica affrontata in per pagine M. De Cristofaro, Le voci di argomento religioso nel°Enciclopedia italiana, tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere e Filo sofia di Firenze, anno acc. senziale del regime, anche se in concorrenza con l’attualismo. Ma l’esistenza di una loro vasta organizzazione intellettuale e il loro incontro con altri settori conservatori della cultura laica sono forse ravvisabili già prima del Concordato. Proprio le vicende dell’Enciclopedia suggeriscono infatti una prospettiva di più lungo periodo, capace di individuare le tappe decisive della riconquista cattolica anche in campo culturale in un confronto continuo con la cultura laica contemporanea nell’iniziativa neoscolastica all’indomani della sconfitta del modernismo, nella prima guerra mondiale che offri ai cattolici numerosi spazi di intervento in tutti i settori della società, e nella soluzione della crisi Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha visto l’origine di un regime clerico-fascista Le osservazioni sul Concordato e sui neoscolastici svolte da Gramsci nel breve periodo che intercorre fin allal messa all'indice delle opere di Croce e di Gentile, possono probabilmente essere anticipate di alcuni anni, al momento in cui, nell'immediato dopoguerra, il celebre appello di Gemelli al medioevalismo Noi siamo medioevalisti; lo siamo perché riconosciamo che la cosî detta cultura moderna è il nemico pit fiero del Cristianesimo e perché riconosciamo che è vano parlare di adattamenti, di penetrazione ?° diventa prospettiva concreta di attacco in tanti interventi di cattolici, fra cui spicca per L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista Il Frontespizio , in Modernismo, fascismo, comunismo, a cura di Rossini, Bologna, Il Mulino. L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, e Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste dell'Università Cattolica negli anni del regime, Firenze, Cooperativa editrice universitaria. Su un altro aspetto, non meno importante, S. Pivato, L’organizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo , in Italia contemporanea. Scoppola, Sviluppi e differenti modalità della presenza culturale e politica dei cattolici nelle vicende italiane, in Quaderni di azione sociale Gramsci, Quaderni del carcere. L'articolo è riprodotto in A. Gemelli, Idee e battaglie per la cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero] chiarezza l’invito rivolto da don Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli: Nelle nostre file s'è troppo indugiato sulla difesa. Che fanno oggi i cattolici studiosi se non difendere dagli attacchi dei nostri nemici? Perché non occupare noi primi le scienze, le lettere? Perché non dar neppure il motivo agli avversari? Pigliamo la cultura, e studiamola e facciamola nostra: quali timori? Una università cattolica, non una chiesuola; o meglio ancora dare degli elementi vigorosi e inserirli negli istituti laici. Si assiste infatti a uno sforzo cospicuo dei cattolici di organizzare una propria cultura per il clero e per il laicato: dal rilancio del tomismo prospettato dall’enciclica Studiorum ducem che troverà una espressione organizzativa nella costituzione Deus scientiarum dominus, alle tante iniziative che come l’Università cattolica o la fondazione della casa editrice Morcelliana si ispirano al suggerimento di Gemelli, secondo il quale perché i cattolici italiani abbiano da esercitare una influenza culturale, quale la tradizione cattolica in Italia rende possibile, è necessario innanzitutto che i cattolici non siano reclutati solo nelle classi popolari, ma anche nelle classi elevate. Gentile aveva cominciato ad avvertire il pericolo della concorrenza cattolica’, che diventerà sua preoccupazione costante. Eppure proprio nell’Enciclopedia da lui diretta egli aveva dovuto accettare fin dall’inizio la presenza condizionante dei cattolici, fino a perdere ogni controllo sulle sezioni Religione e Storia del cristianesimo, e a conferire uno spazio larghissimo a Materie ecclesiastiche di Tacchi Venturi e a Geografia sacra di Luigi Gramatica. La vicenda di Omodeo, cui Luca et l’abbé dr Bremond, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Gemelli, I/ compito colturale dei SE, in Idee e battaglie, Le università cattoliche dovrebbero, secondo loro, col tempo e col favore di Dio, sostituirsi interamente alle università laiche dello Stato (discorso al Congresso di cultura fascista di Bologna, in Gentile, Che cosa è il fascismo. Gramatica, direttore della Rivi L’Enciclopedia italiana inizialmente era stata affidata la Storia del cristianesimo, è indicativa del tentativo di Gentile affiancato da altri direttori di sezione di contrastare l’offensiva ecclesiastica, ma anche della sua sconfitta. La scelta di Omodeo da parte di Gentile era coerente all'impostazione critico-storica che la direzione avrebbe voluto dare alla trattazione di tutte le voci; ben note erano del resto le aspre critiche che da parte cattolica avevano accompagnato gli studi di Omodeo sul cristianesimo antico, come il Paolo di Tarso, giudicato dalla Civiltà. cattolica opera di un compilatore di seconda o terza mano. La sua rivendicazione della storia del cristianesimo e in genere della vita religiosa come storia etico-civile, come storia della società umana, da studiare, ricercare e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confessionali di ogni genere %, non era infatti tale da accattivargli le simpatie degli studiosi cattolici; la sua impostazione idealistica e storicistica era avversata anche da Buonaiuti che, pur giudicando la Mistica giovannea un sensibile progresso sulla precedente produzione dell’Omodeo , la considerava tuttavia una mal digesta sta illustrata della esposizione missionaria vaticana , aveva chiesto a Gentile di affidargli la Geografia sacra: Per Geografia Santa o Sacra io non intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che immediatamente o mediatamente prepararono la diffusione del Cristianesimo; ma intendo parlare altresi di tutte le regioni o località del mondo in rapporto al governo della Chiesa e in quanto sono assegnate alla cosiddetta geografia sacra (AEI, Lettere, Gramatica). Sanctis scrivendo ad Antonino Pagliaro, redattore della sezione Antichità classiche, si dichiarava deluso dell’elenco di voci di Geografia sacra : mi pare che non si tratti se non di geografia ecclesiastica, cioè l’indicare Stato per Stato le circoscrizioni ecclesiastiche, il numero dei preti e dei fedeli ecc. Invece sarebbe stato bene che la geografia sacra registrasse i centri importanti di culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi famosi nella storia evangelica o nella storia della Chiesa (AEI, Lettere, De Sanctis. Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A. Omodeo, in La Civiltà. Cattolica. Di retorica romanzesca era tacciato anche il volume di Omodeo su L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie retoriche e modernistiche, in La Civiltà cattolica , Cantimori, Commemorazione di Omodeo, ora in Storici e storia, accozzaglia di elementi eterogenei ed avventizi. Le preoccupazioni cattoliche erano giustificate anche dall’orientamento che Omodeo avrebbe voluto dare alla sezione enciclopedica, puntando essenzialmente su collaboratori laici in modo da salvaguardare un approccio critico-storico ai problemi. Egli scriveva a Gentile che molte voci, anche quelle di sapore strettamente ecclesiastico non si possono neanche affidare a preti, senza il pericolo di perdere l’informazione sugli studi critici e protestanti, e per converso non si possono affidare neppure a protestanti sia italiani che stranieri , pur aggiungendo che si sarebbe rivolto al gruppo di Bilychnis per la storia protestante e a Loisy per la storia della critica e la storia del canone Gentile approvava, ma lo avvertiva che, mentre la trattazione dei papi sarebbe spettata alla sezione diretta da Volpe, dei Sanzi, salvo contrario avviso, penserei dare la cura ad ecclesiastici, con cui sono in trattative. Largo restava comunque l’intervento dei laci nelle voci di storia religiosa ®; le stesse voci riguardanti dottrine teologiche, riti e culti, aggiungeva Omodeo avrebbero bisogno d’una trattazione laica anche quando pare si riferiscano a concetti teologali o liturgici, pur, ben inteso, rispettando quelle norme di prudenza ed obiettività di cui abbiamo parlato. Il piano delle voci e dei collaboratori era completato, Omodeo poteva già presentare un abbozzo della voce Apostoli, che poi corresse seguendo il consiglio di Gentile Ricerche religiose. Gentile-A. Omodeo, Carteggio. Gentile scrive che l’altera pars [gli ecclesiastici] mi consegna in questi giorni tutte le sue proposte sulle materie ecclesiastiche. Omodeo prevedeva ad es. la partecipazione di Marchesi per la patristica latina, di Pasquali per quella greca, di Cognasso per la storia religiosa bizantina, L. F. Benedetto per il giansenismo francese, Rota e Rodolico per quello italiano, Macchioro per Lutero e la Riforma, Spampanato e Capasso per la Controriforma, e inoltre la partecipazione dei collaboratori di Bilychnis, di Caramella e Minocchi. L’Enciclopedia italiana di lasciare aperte alcune questioni; quantunque sia già molta la prudenza da te adoperata: cautele che non impediranno, una volta pubblicata, le critiche de La Civiltà cattolica. Ma, in coincidenza con la pubblicazione del Primo elenco di collaboratori, a Omodeo era giunta voce di un veto del Vaticano alla sua partecipazione, tanto da suggerirgli il proposito di tirarsi da parte. Gentile continuò tuttavia a ricercare la collaborazione di Omodeo solo tre giorni dopo il Concordato, intervenne per criticare varie voci, fra cui Apocalisse e Apocalittica, letteratura, perché alcune frasi danno come risolte definitivamente in senso che i cattolici non approvano, alcune questioni critiche, a proposito delle quali occorrerebbero almeno delle delucidazioni. La risposta di Omodeo, del 16 febbraio, è articolata nella difesa delle sue ragioni scientifiche, ma intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia, è una forma di buona creanza, ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Metter d’accordo indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come conciliare sistema tolemaico e sistema copernicano. La scienza ha il suo cursus, e un’enciclopedia deve riconoscerlo ed affermarlo. Io per conto mio nella scienza sono intransigente e non mi sento l’animo per concordati e compromessi. Mi creda, professore, a dar retta ai preti si finisce a impazzire. Nella scienza erano sono e saranno capita mortua Per la Storia delle religioni Gentile aveva fatto preparare da Pincherle le proposte dei collaboratori da incaricare per le voci, che non conviene affidare alla redazione degli ecclesiastici. Escluso solo Buonaiuti. Busnelli]. Gentile-A. Omodeo, Carteggio,365. Nel giugno 1927 anche Pincherle minacciò di abbandonare l’impresa facendo cosî, osservava Omodeo, con un’impulsiva rinuncia, il gioco dei gesuiti che lui mostra di temere. Apocalittica letteratura di Omodeo non fu pubblicata, e apparve a firma di padre Giuseppe Ricciotti, redattore di Materie ecclesiastiche . Omodeo pubblicherà due voci su Civiltà moderna. Le lettere dell’Apostolo Paolo alla Chiesa di Corinto e La lettera dell’Apostolo Paolo ai Colossesi). Sulla mutilazione di cui furono oggetto altre voci A. Omodeo, Lettere Gentile-A. Omodeo, Carzeggio, Gentile cercò di dirottarlo su argomenti di storia civile, ma Omodeo dichiarava che non avrebbe continuato la collaborazione: Son sicuro che anche nella storia civile non avrei maggior libertà che in quella religiosa, una volta ammesso il principio del controllo di una parte sul lavoro dell’altra ; se fosse stato possibile accordarsi su un principio di completa libertà , io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han fatto, Abramo quale personaggio storico, o di far l’apologia, se crederanno, del miracolo di S. Gennaro: a condizione che essi non avessero inquisito nei miei lavori. L’enciclopedia avrebbe fotografato la cultura italiana, in cui c'èVaccari, e c'è A. Omodeo ?!. Cosî le voci di Omodeo restano una delle poche testimonianze di trattazione critica dei problemi religiosi nell’Enciclopedia, in genere appiattiti dall’impostazione ‘dogmatica e apologetica degli autori cattolici. Ammiratore della scuola storica di Tubinga fondata da Ferdinand Christian Baur la cui opera era definita uno dei maggiori monumenti dello storicismo hegeliano , Omodeo cercò di attenersi ad una esposizione obiettiva dei fatti e delle diverse interpretazioni, ma senza riuscire a nascondere la sua preferenza per i risultati dell’indagine critica rispetto alle affermazioni aproblematiche degli studiosi cattolici: in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto l’opinione di quanti negavano l’apostolicità dello scritto concludeva che in opposizione a questi indirizzi critici, il cattolicesimo si mantiene saldo nell’affermare l’apostolicità dell’opera ormai abbandonata quasi da tutti nell’altro campo e nel ribadirne l’ispirazione divina, e l’esegesi spiritualizzante . Rispetto a un giudizio del genere, si può notare un vero e proprio capovolgimento di segno nella voce, esecrata da Omodeo, in cui padre Eerembeemt aveva sostenuto la storicità della figura di Abrarzo affermando la insussistenza delle teorie di chi la negava, o in Abramo è un personaggio storico? Pei credenti, si; e sotto Abramo trovi un paragrafo dove sono oggettivamente esposti gli argomenti per la storicità di Abramo, osservò Ugo Ojetti, I primzi ser volumi del- L’Enciclopedia italiana Deuteronomio voce prima affidata a Omodeo e poi respinta dalla direzione dell’Enciclopedia, in cui il. gesuita Tramontano avvalorava le tesi degli studiosi cattolici che attribuivano l’ultimo libro del Pentateuco a Mosè, confutando recisamente quelle dei critici acattolici. Omodeo avrebbe dovuto trattare anche la storia della Chiesa dalle origini al concilio di Nicea, ma il 29 giugno 1929 egli aveva avanzato delle riserve per i limiti, molto ristretti, di libertà di parola che consente l’enciclopedia, Se per le voci bibliche io arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il contenuto e narrando la storia della critica, per [questa] voce non è cosî. Non posso narrar la storia della chiesa, senza prender posizione, altrimenti la narrazione non procede. Nelle questioni spinose dell’origine dell’episcopato, del primato romano, della struttura dogmatico-disciplinare della chiesa, della prassi penitenziale, dei sacramenti ecc. non potrei non dare scandalo ai preti, divenuti cosî intolleranti, Subito dopo Gentile lo cavava d’ impaccio affidandone la stesura a don Giuseppe De Luca, che senza troppe preoccupazioni spiegava la rapida diffusione del cristianesimo con i caratteri della dottrina stessa ( per tutti che sentissero lo stimolo di una vita non solamente animale, [la dottrina cristiana significava] la formula risolutiva della propria umanità in ciò che ha di buono e di cattivo, con la tecnica della propria cultura interiore ), giustificava l’impiantarsi della gerarchia e del primato romano, e spiegava come da contaminazioni e compromissioni della dottrina cristiana, consumate per opera di menti ansiose e irrequiete, nacquero le prime eresie. Alla luce della vicenda di Omodeo è facile presumere che l’ingerenza degli ecclesiastici si sia estesa ben presto a l’Enciclopedia italiana, in Il Corriere della sera. In Pentateuco il gesuita Alberto Vaccari espose i motivi per cui la scienza [può] trovare nel Pentateuco un buon nucleo autenticamente mosaico frammezzo ad accrescimenti d’età posteriore. Né pi sembra domandare la fede cattolica, quando vuol salva la sostanziale autenticità e integrità del Pentateuco, e lascia passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni accidentali posteriori a Mosé (v. il decr. della Commissione biblica. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, c tutti i settori in cui erano presenti voci o riferimenti religiosi, vanificando l’impronta laicista che non solo Gentile e Volpe, ma anche, con particolare forza, Francesco Salata avrebbe voluto dare alla sezione Storia contemporanea , di cui perderà la direzione nel corso della preparazione dell’opera: senza invadere il campo riservato alle sezioni Filosofia, educazione, religione e Storia delle religioni , scriveva Salata in un promemoria, ritengo che la parte prevalentemente politica della storia contemporanea delle religioni e specialmente della Chiesa cattolica, e quindi, ad esempio le voci personali dei papi, dei cardinali segretari di Stato, dei nunzi, quelle dei concili, di alcune istituzioni amministrative della Chiesa, di alcune dottrine politico-religiose ecc. trovino posto più proprio nella mia sezione. Per alcune voci relative alla Chiesa cattolica ciò non può mettersi in dubbio per il periodo precedente, ma anche per il periodo successivo è troppo chiara l’importanza politica del papato non solo per l’Italia ma anche in tutta la politica internazionale, perché tali voci siano sottratte alla sezione che ha cura e responsabilità della storia politica di questo periodo Ma, quando Salata avanzava queste pretese, la presenza dei cattolici tendeva già a dilatarsi all’interno dell’Enciclopedia, favorita dalla singolare concezione dell’obiettività propria di Gentile, consistente nel rivolgersi ai competenti , ma in ultima istanza ai diretti interessati , Cosi le voci sui gesuiti furono attribuite prevalentemente a esponenti dell’ordine con un cospicuo intervento di Tacchi Venturi, Rosmini al rosminiano Caviglione, con l’interpretazione del quale Gentile aveva polemizzato, Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco Pelster e Martin Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli, allievo di Buonaiuti, voci come Gioacchino da Fiore e Modernismo. Il fatto che queste voci di storia religiosa fossero affidate a rappresentanti di vari indirizzi di pensiero AFI, Lettere, Salata. Da Barnabiti particolarmente desidererei gli articoli relativi ai Barnabiti , aveva scritto il 18 aprile 1925 Gentile a padre Semeria (AEI, Lettere, Semeria). 39 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, La voce fu riprodotta, assieme a quella Rosminiani, congregazione dei di Bozzetti, in Rivista rosminiana comportò l’esistenza di inflessioni diverse nel giudizio e nel taglio metodologico: ad esempio, presentando la figura di Gioacchino da FIORE (si veda) Niccoli non solo riprese l’interpretazione che ne dava Buonaiuti in quegli stessi anni °° una delle figure più notevoli della spiritualità cristiana durante il Medioevo , la cui opera ha un contenuto intimamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale , ma si differenziò anche da altri autori spiegando in termini economici e politici la genesi della sua profezia sull’avvento della Chiesa della realtà spirituale sostituita a quella della gerarchia e dei simboli. Tuttavia, al di là di queste distinzioni interne, l'intervento dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione dello spazio concesso alle voci religiose come dimostra anche un rapido confronto tra l’Enciclopedia britannica e l’opera diretta da Gentile, in cui voci specifiche sono attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata o a Comunione dei santi ; e, dall’altro, l’apologia del cattolicesimo più tradizionale, che non investe solo la storia della Chiesa medievale sulla quale la cultura cattolica vantava anche allora una ricca tradizione di studi il fascismo inquinò anche la storiografia medievalistica con un clericalismo nauseante nell’esaltazione in blocco di tutta la storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali vengono esaltati nell’Enciclopedia italiana) , ha osservato Gabriele Pepe , ma riguarda tutti i periodi storici. Basti pensare alla voce su S. Gerzaro in cui il gesuita Romano Fausti sostiene la veridicità del miracolo, secondo quanto aveva La voce ha molte assonanze, ad es., con E. Buonaiuti, Gioacchino da Fiore, in Rivista storica italiana , Gioacchino, con tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto al suo riscatto e alla formulazione del suo messaggio attraverso l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense, di origine e caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul terreno sociale come fattore di disgregazione dei superstiti istituti feudali anche nell'Italia Meridionale si palesa oggi sempre più evidente. Sarà infine necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di Gioacchino coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno in Italia: tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno mostrato riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino. Pepe, Gli studi di storia medioevale, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, cprevisto Omodeo, o allo sconcertante giudizio con cui Palmarocchi minimizza il ruolo di un personaggio scomodo come Savonarola, spiegandone la condanna: secondo alcuni essa ricade sui fiorentini, secondo altri sulla corte di Roma. È certo che il Savonarola stesso diede ai suoi nemici l’occasione di abbatterlo, immischiandosi e invischiandosi nelia politica e avallando con la sua autorità morale i fatti e i misfatti di una fazione. Ma la causa più profonda della sua caduta fu la sua illusione di arrestare il cammino dei tempi, il suo sforzo d’impotre agl’italiani del quattrocento una concezione di vita ormai superata. In questo quadro non mancano tuttavia delle eccezioni, costituite non solo dagli interventi di Chabod e di Cantimori su figure di protestanti e di eretici, ma anche da alcune voci di Pincherle e di Jemolo che affrontano tematiche più ampie di storia della Chiesa, con un’attenzione particolare ai collegamenti fra storia religiosa e storia politica. Questi evitano infatti di pronunciarsi sulle questioni propriamente teologiche seguendo la via proposta da Gentile quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per la compilazione di voci di storia della Chiesa, osservava che anche delle singole controversie teologiche sarà da rilevare il significato intimo, le azioni e reazioni sulla politica anche degli Stati, sull’organizzazione gerarchica, sulla pietà e le manifestazioni del sentimento religioso, pit che non l’aspetto tecnicamente teologico e le singole fasi della disputa?. A un ambito di intervento laico sono infatti riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio severo sul carattere malevolo o petsecutore del liberalismo ottocentesco che non tollera i conventi, vuol spogliare la Chiesa dei suoi beni e sottometterne tutta la vita a un regime di polizia (Chiesa), forni un’interpretazione del Ga/-licanismo che lo espose a interventi censori, Gentile a Jemolo (AEI, Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi con la direzione per le varianti apportate alla sua voce, il 22 giugno 1932 Jemolo osservava che a mio avviso non risponde al vero nascondere la decadenza del gallicanismo nel settecento, e dargli parte prevalente in quel complesso fatto europeo che fu la soppressione della Compagnia di Gesti (ibidem). E la decadenza del gallicanismo è riaffermata nella voce. cercò di distinguere aspetti religiosi e aspetti politico-culturali nella valutazione della Controriforma: Chi da un punto di vista strettamente religioso instauri raffronti tra lo spirito dei primi secoli del cristianesimo, quello della cristianità medievale, e quello della controriforma, potrà pur non preferire quest’ultima età alle due precedenti. Ma è certo che la controriforma ebbe, accanto alle sue pagine sanguinose, pagine bellissime segnate dal rapido miglioramento del costume cattolico; fu una ricca sorgente d’iniziative religiose, di opere di carità e d’intraprese culturali, che a quasi quattro secoli di distanza sono ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto diede alla Chiesa un’intima struttura che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre meglio adatta a difenderla contro ogni tentativo, esterno e interno, di disgregazione, contro ogni influenza perturbatrice che miri a deviarla dal suo cammino. Complesso e articolato appare anche il giudizio di Pincherle sulla Riforzz4, che su un piano religioso è in assoluta antitesi con la teologia umanistica nulla più della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero ; Lutero è un uomo nettamente di tipo medievale, mentre sul piano della storia politica e culturale essa preannuncia veramente il mondo moderno perché rafforza l’assolutismo dei principi e costituisce, con il calvinismo, il mondo ideale entro cui nacque e si sviluppò lo spirito capitalistico e, pertanto, il capitalismo moderno . E assai distante da toni apologetici e dogmatici si dimostra Pincherle accomunato da Civiltà cattolica a Omodeo come ugualmente di sensi non cattolicinella voce Cristianesimo, in cui giudica con simpatia l’opera dello storicismo che aveva considerato il cristianesimo come fatto storico, osservando che la mentalità storicistica ha nello stesso tempo distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il cosiddetto cristianesimo di Ges con quello praticato nel seno della sua particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in questo stesso Busnelli], aMussolini si lamentò che alla voce Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine, contro le 66 di Cotone (appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione delle idee di tolleranza e di libertà religiosa . Accanto a questi interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di obiettività dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di alcune delle voci maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o attualisti dall’altro: è il caso ad esempio di Dio, dove la dottrina cattolica è esposta dal gesuita Giuseppe Filograssi mentre Dio nelle varie concezioni filosofiche è opera di Banfi per il quale la pit totalitaria trasposizione in senso razionale dell’idea di Dio è quella compiuta da Hegel, per cui Dio è il processo eterno in cui l’idea come principio razionale del mondo giunge a coscienza della sua assoluta universalità e autonomia ; e di Religione in cui il gesuita Enrico Rosa analizza il concetto cattolico che raccoglie in sintesi, integra e chiarisce gli elementi di verità che si possono trovare sparsamente confusi anche nei concetti pagani o eterodossi , e Gentile in persona ne esamina l’aspetto filosofico per affermare la universalità e indefettibilità della religione la necessità e l'universalità della religione sono la più efficace convalidazione del suo valore, e cioè della sua verità e per ribadire, contro materialisti e mistici, che l’uomo che non si può concepire senza concepire Dio è l’uomo che attua l’esperienza della sua umanità, realizzando nella vita spirituale quella coscienza di sé ond’egli in fatti si distingue dalle cose . Significativa è, già nel primo volume, anche la voce Agostino il santo al quale saranno dedicati vari studi riservata all’agostiniano Casamassa per la vita e le opere (e La Civiltà cattolica si esprimeva positivamente per questa parte), ad Guzzo per lo sviluppo del pensiero e ad Alberto Pincherle per la critica e le edizioni. Su di essa si soffermava la Rivista di filosofia , che coglieva la notevole sproporzione tra la parte che riguarda la vita e le opere (esattissima di certo, ma utile solo allo specialista) estesissima, e quella che riguarda il pensiero e le controversie critiche sui testi agostiniani, di interesse più universale, ma molto più breve, e soprattutto alquanto disordinata e incompleta . Dopo aver notato che la voce iniziava con la strana dizione Agostino Aurelio, santo , l’autore dell’articolo sosteneva che manca del tutto la filosofia di Agostino, come manca la considerazione filosofica della teologia agostiniana , e accusava di illecita lettura attualistica un passo in cui Guzzo affermava che nel De vera religione si legge quel celebre appello: Noli foras ire; in te redi, in interiore bomine habitat veritas (De vera religione), che non sarà più dimenticato né dalla mistica medievale e moderna, né da quante filosofie, nell’età moderna e contemporanea, riterranno di dover richiamare l’uomo dalla dispersione del mondo esterno al raccoglimento dell’analisi interiore . Accusa non immotivata, se pensiamo che anche in Pedagogia Codignola, trattando di Agostino, riprenderà lo stesso concetto, che Gentile stesso aveva contribuito a diffondere: L’intuizione religiosa della filiazione divina, approfondendosi e interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del vero, con cui il cristianesimo tentava di svincolarsi, anche nell'ambito della speculazione, dall’antinomia che aveva alimentato lo scetticismo del tardo pensiero classico: ineliminabile individualità di ogni atto di conoscenza, ultra-individuale oggettività del vero. Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore bomine habitat veritas. Un’interpretazione alla quale la Rivista di filosofia poteva opporre che per Agostino la veritas presente all’io è Dio stesso, oggetto rel soggetto, mentre ciò è alieno essenzialmente dalla dottrina idealistica. Tuttavia, nonostante questi accorgimenti, Gentile non poté impedire che nell’Enciclopedia fosse assai marcata l'impronta del cattolicesimo ortodosso e che, addirittura, in alcune voci i cattolici operassero un forte ridimensionamento, o una critica aperta, del neoidealismo italiano. Gemelli, dopo aver definito la Neoscolastica la restaurazione del pensiero medievale nell’ambito della civiltà moderna, considerando il pensiero medievale non Firenzi, Note sulla storia della filosofia medioevale, in Rivista di filosofia , come espressione transitoria di una civiltà, ma, quanto alla sostanza, come definitiva conquista della ragione umana nel campo della metafisica , ne accentuava il carattere antiidealistico: La restaurazione scolastica doveva in Italia affermarsi non tanto in relazione al positivismo, quanto in relazione all’idealismo, che in Italia maturava con Croce e con Gentile. Ne sarà criticata la metafisica (immanentistica) e accettata invece quella valorizzazione della storia, che è caratteristica dell’idealismo stesso: non però come filosofia, sibbene come storia. Niccoli difendeva il Modernismo contro i suoi critici, in primo luogo i rappresentanti di quella filosofia che, negando possa conoscersi un reale fuori dell’uomo e del pensiero, non solo si è iscritta in falso contro quelli che erano stati in passato i cardini di ogni metafisica, ma ha scrollato le basi stesse della fede religiosa; e l’allievo di Buonaiuti cercava di rafforzare la sua difesa opponendo il movimento modernista al socialismo e all’idealismo: Chi avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risultati negativi ai quali la critica storica, filosofica e sociale affermava di essere giunta, non poteva avere che due alternative: o ripudiare nettamente tutto il patrimonio religioso cattolico e cristiano, sia affermando di contro ai valori cristiani i nuovi valori sociali, sia conside rando il cristianesimo e il fatto religioso in genere come un momento ormai superato della vita dello spirito (fu questo in sostanza il punto di vista difeso dall’idealismo italiano); o affermare che il cattolicesimo si raccomanda a valori più alti, non toccati dai colpi portati dalla critica moderna all’interpretazione scolastica del cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli uomini. E fu questo l’atteggiamento assunto dal movimento modernista.Nel complesso, e tenuto conto di alcune assenze significative come Clericalismo, che Carlo Morandi non accettò, o Laicismo, voce che è invece presente, a firma di Maturi, nel Dizionario di politica, si comprende quindi la soddisfazione dimostrata per il settore religioso la lettera di Morandi (AEI, Lettere, Morandi). da Civiltà cattolica quando pit forte era l’influenza di Gentile e di Omodeo, e, per converso, la preoccupazione di Vita nova del gentiliano Giuseppe Saitta che, prendendo spunto dalla critica della voce Adazzo di Ricciotti, allargava il discorso per lamentare la intrusione nell’Enciclopedia di questa pseudo-scienza teologica. I gesuiti sanno troppo bene a che cosa mirano, e qual forma ed estensione assumerà, nel loro campo, la sezione di materie ecclesiastiche. La Bibbia intera e specialmente il Nuovo Testamento, le origini del cristianesimo, la storia dei dogmi e della Chiesa, anzi dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e rappresentato dal punto di vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in contrasto e negazione con la vera scienza storica del cristianesimo, quale si insegna nelle nostre scuole universitarie. È la teologia esclusa dalle università definitivamente con la legge del Concordato, che rientra, come unica scienza della religione, nella nostra coltura nazionale. L’Enciclopedia avrebbe tutelato meglio i diritti della scienza e quelli della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo semplicemente, senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della Civiltà cattolica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi svolte con diffusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro necessario; ed entra quei limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un punto di vista. EE scientifico, evitando di accettare i presupposti della teologia. Non solo i timori di Vita nova non erano infondati,. come abbiamo visto, ma possiamo supporre che molte altre sezioni, oltre quelle direttamente interessate alle questioni religiose, furono oggetto del controllo ecclesiastico. Per la Questione Romana informati scriveva Maturi a Morghen, perché la mia polizia segreta mi ha avvertito: che essa con tutto il gruppo di voci romane è stata sottratta. alla giurisdizione della sezione storica. E Nicolini scriveva a Gentile, a proposito della voce Giannone, che si sarebbe posto da Anche Gemelli notava nel 1930 che Gentile ha chiamato a collaborare all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha affidato loro la trattazione di delicati problemi religiosi (L'Università cattolica e l’idealismo, in Idee e battaglie,391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia Italiana, in Vita nova. AEI, Lettere, Maturi. un punto di vista che non potrà piacere al certo a chi, nell’Enciclopedia, soprintende alle materie ecclesiastiche. Se dunque mi si promette formalmente piena libertà di parola, e sopra tutto che la mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta, corretta o attenuata in senso clericale, sono prontissimo a fare l’articolo. Ma se codesta promessa formale non mi può essere fatta e mantenuta, anziché sottopormi all’alea di trovare (come accadde a Omodeo) stravolto e mutilato il mio pensiero, preferisco rinunziare a scrivere l’articolo. Tu, che mi conosci, sai bene che non sono uomo da porti nell’imbarazzo facendo dell’anticlericalismo intempestivo. Ma, alla fin dei conti, debbo pur dire pane al pane e vino al vino, e presentare il Giannone quale egli fu, cioè quale un martire dell’anticurialismo. Non posso elogiare l'agguato di Vesnà come un’azione pulita o l’imposta abiura e la dodicenne prigionia come atti di carità cristiana Questi propositi non sembrano tuttavia essersi tradotti in pratica nella stesura della voce, dove le ultime vicissitudini di Giannone sono presentate in maniera anodina e, pur riconoscendo che l’Istoria civile del Regno di Napoli è stata per decenni la bibbia dell’anticurialismo un anti-curialismo lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma già volterriano nello spirito , si coglie in essa una astratta e fantastica configurazione dello stato come bene assoluto, progresso, civiltà, forza generosa, e della chiesa come male, regresso, oscurantismo, malizia frodolenta . Analogamente nella voce Romana questione Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge delle guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa elogiando i patti: Mussolini coronava con un concordato la sua nuova politica ecclesiastica, con l’ininzio della quale aveva scompigliato le file del partito popolare e assorbito nel fascismo il cattolicesimo nazionale; d’altra parte, nella politica estera egli tolse all’Italia una passività diplomatica. Da parte della Chiesa il riconoscimento dello stato nazionale italiano s’inquadra nel riconoscimento di molti stati nazionali europei avvenuto coi concordati postbellici. Dove sono ripresi alcuni dei giudizi più favorevoli di parte fascista anche per Volpe i patti erano tesi, per il fascismo, a togliere una non piccola causa di nostra debo AEI, Lettere, Nicolini. lezza internazionale, senza tuttavia i timori, pur assai diffusi, che lo Stato potesse abdicare al suo spirito laico. I patti lateranensi dovettero del resto riflettersi pesantemente sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo ecclesiastico e arrivando fino a minacciare l’esistenza di singole voci: Angelo Sraffa, che curava con Mariano D’Amelio la sottosezione Diritto privato , giunse infatti a proporre la soppressione della voce Divorzio, già in bozze, perché era cosa estremamente delicata trattarla oggi a parte, date le interferenze con l'annullamento del matrimonio, che è diventato di fondamentale importanza di fronte al trattato del Laterano, ed alla estensione che dinanzi ai Tribunali ecclesiastici l'annullamento sta prendendo. La sua proposta non fu accolta e la voce rimase, a sostenere però la particolarità dell’ordinamento italiano e a riconoscere che gli stessi contrattualisti a oltranza , cioè quanti erano favorevoli al divorzio, compresi della serietà delle contrarie obiezioni, sono d’accordo nel ridurre a un piccolo numero di casi la facoltà di ricorrere al divorzio. Dove non arrivò il diretto intervento ecclesiastico padre Gemelli non scrisse la voce Psicanalisi, che si era offerto di fare e che a sua firma apparirà invece nel Dizionario di politica ( Distruttiva della religione, della quale nega ogni valore, nel dominio politico la psicoanalisi orienta le sue speranze verso il comunismo ), giunsero puntuali le critiche dell’organo dei gesuiti. Carlo Bricarelli, collaboratore della sezione artistica dell’Enciclopedia, intervenne sull’esposizione dell’arte medievale e moderna fatta in Arte da Schlosser, al quale Gentile aveva suggerito di parlare dell’arte come conseguenza di bisogni materiali e spirituali delle varie fasi di civiltà, e quindi dei compiti e delle forme dell’arte in relazione alle mutate condizioni sociali, similmente, in un certo senso, a quanto ha fatto il Dvorak nel suo saggio sull’idealismo e Volpe, Il patto di S. Giovanni în Laterano, in Gerarchia), ora in Pagine risorgimentali, Roma, Volpe, SRAFFA (si veda) a Spirito (AEFI, Lettere, Sraffa). naturalismo nell’arte gotica. La tendenza di tutto ridurre all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso d’intenti terreni propri, oppure a lei imposti per forza, è un altro preconcetto che turba anzi sconvolge addirittura il giudizio storico , osservava Bricarelli appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un passo in cui Schlosser affermava che la crisi di questo cristianesimo primitivo cominciò nel secolo IV col suo riconoscimento ufficiale come religione di stato, sotto la forma universale del cattolicismo . L’al di qua reclamava oramai i suoi diritti. Il vecchio Impero, divenuto cristiano, rivestito di tutta la pompa della sua missione divina e di tutto il suo fasto, nella sua qualità di potenza protettrice della Chiesa, determinò anche il contenuto iconografico dell’arte che si rivela nei fastosi musaici parietali delle grandi basiliche post-costantiniane Cosî Busnelli criticava il giudizio su Leonardo dello storico della medicina Giuseppe Favaro secondo il quale di fronte alla rigida concezione teologica dell’origine del mondo, Leonardo non si peritava di confutare il racconto biblico della genesi, la storia della terra creata da seimila anni e la leggenda del diluvio universale, sostenendo invece che la fede e dottrina cattolica di Leonardo è fuori d’ogni dubbio e accusa, chi voglia scandagliarne senza preconcetti le espressioni ; e, passando a esaminare la parte della voce su Leonardo ‘filosofo che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e negava fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in lui il pensiero comincia dall’esperienza, ma per affrancarsene e tornare alla ragione , Busnelli affermava che in Leonardo l’appello all’esperienza sensibile era il frutto dell’insegnamento dei peripatetici e degli scolastici, e che la ragione che infusamente vive nella natura, come attuante la sua efficacia, non è, conforme alla dottrina dell’Aquinate, Gentile a Schlosser, (AEI, Lettere, Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile (su cui le osservazioni di Croce in La Critica , Bricarelli, L'arte nell’Enciclopedia Treccani, in La Civiltà cattolica , la ragione umana, ma la divina. Infine La Civiltà cattolica , affermando recisamente che ogni altra pedagogia, fuori della cattolica, è ampiamente divergente e dispersiva nei sistemi fino alla confusione babelica, e nei metodi è angusta, ristretta ed unilaterale , criticava che nella voce Pedagogia Codignola avesse interpretato idealisticamente, come evolutiva, la pedagogia cristiana, e all’unitarietà di questa opponeva la babilonia di antitesi e contrasti, di ideali e sistemi , imperante nel campo idealistico esaltato da Codignola, per il quale le opere di Gentile sull'educazione, accanto a quelle del Croce sui problemi dell'estetica e della storiografia, segnano il culmine cui si è sollevata la speculazione contemporanea . La durezza dell’attacco, e l’ampiezza della difesa di Codignola comprendente Croce, non necessaria per l'argomento trattato, possono forse spiegarsi con la condanna da parte del S. Ufficio, avvenuta l’anno precedente, delle opere di Croce e di Gentile. Un documento anonimo osserva come, secondo gli ambienti ecclesiastici, obiettivo principale da colpire fosse Gentile: Si nota che la condanna in ordine cronologico è stata fatta prima per la opera del noto antifascista Croce, per poter poi giustificare anche la condanna delle opere del Gentile. Si aggiunge che oramai era inutile la condanna del Croce , cui la gioventii italiana è ben lungi dal ricorrere come un tempo, come ad un oracolo indiscutibile. Oggi la gioventù italiana ha altro da fare e, c’è da scommettere, che moltissimi giovani, delle classi più acerbe ignorano l’uomo, o, se non l’uomo, almeno la quasi totalità delle sue opere. Anche questa volta la Chiesa, volendo colpire uno cioè il Gentile è andata alla ricerca di un cadavere per poter avere un alibi, nel quale nessuno crede. Pi grave è la condanna di Giovanni Gentile, che in qualche centro è giudicata come una mossa contro le teoriche accettate dallo Stato fascista. Si indica come il principale postilatore di questa condanna padre Gemelli Busnelli, Leonardo da Vinci nel vol. XX dell’ Enciclopedia italiana , in La Civiltà cattolica Barbera], Intorso dl concetto della pedagogia cattolica, in La Civiltà cattolica , ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Anche Giustizia e Libertà , dopo aver individuato in padre Gemelli l’ispiratore della condanna di Gentile, aggiungeva: bisoMolte osservazioni potrebbero farsi a questi giudizi, riprendendo le notazioni di Gramsci sulla diversa popolarità delle filosofie di Croce e di Gentile. Appare probabile comunque che la condanna del 1934 colpisse più duramente Gentile, che in qualche caso aveva cercato un accordo con i cattolici, coronando l’indebolimento della sua posizione interna al fascismo iniziato nel 1929. Consapevole di questo fatto di cui gli scontri avvenuti nell’Enciclopedia erano stati una riprova, nel 1936 Gentile concludeva un articolo su L’ideale della cultura e l’Italia presente mettendo in guardia contro il pericolo che può derivare dalla restaurazione religiosa desiderata e promossa dal fascismo come corroboratrice della coscienza civile e delle morali istituzioni. Restaurazione, che in massima parte non poteva essere che un ritorno alle tradizioni cattoliche del popolo italiano, col rischio di riassoggettare la cultura nazionale a forme praticistiche e meccaniche d’una religiosità esteriore, e a conseguenti limitazioni dell’interna libertà spirituale, dalle quali gl’italiani avevan durato secoli a riscattarsi. gna vendicarsi e fingere l’equità: sono messi all’Indice i libri non di Gentile soltanto ma anche di Croce. Croce sorride e Gentile si spaventa (Preti e fascisti. Gentile, Mezzorie italiane e problemi della filosofia e della vita. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo La parola, veicolo di fraternità universale Né ferro, né piombo, né fuoco / posson salvare la Libertà, / ma la parola soltanto. / Questa il tiranno spegne per prima, / ma il silenzio dei morti / rimbomba nel cuore dei vivi !. Cosî scrive, fra tante altre epigrafi messe a suggello della propria vita e a testimonianza degli ideali che l’avevano ispirata, Angelo Fortunato Formiggini, lucidamente deciso a chiudere con un sacrificio personale che servisse a dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti come scriveva alla moglie? un’esistenza dedicata a perseguire, primo fra tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso la forza di convinzione della parola. Se la stampa del regime mantenne il più rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese, gettatosi dall’alto della Ghirlandina il 29 novembre 1938, impedendo cosî che Formiggini potesse raggiungere lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle leggi razziali, il suo gesto fu sottolineato dagli ambienti dell’antifascismo, non solo ebraico, che ne dettero l’annuncio: Molti italiani d’Italia, costretti purtroppo a mantenere l’incognito, amici e ammiratori di A. F. Formiggini Maestro Editore annunciano, straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio. Questo annuncio non ha potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi razziste impediscono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei . E Giustizia e Libertà annunciava in una corrispondenza dall’Italia l’atto di protesta di Formiggini, Formiggini, Parole în libertà, Roma, Edizioni Roma, ricordando che egli non era mai stato un conformista e che ogni suo piano, tendente alla difesa e alla elevazione della cultura italiana, aveva trovato nel fascismo una opposizione aperta o una resistenza insidiosa. E ai posteri , perché gli orrori e le iniquità di oggi non abbiano a rinnovarsi mai più nel più lontano avvenire , Formiggini volle lasciare in eredità alcune sue Parole in libertà, testamenti spirituali indirizzati ai familiari, ai concittadini modenesi, agli ebrei d’Italia e al tiranno in persona, tutti ispirati, più che da una chiara presa di coscienza politica, da una fede quasi religiosa nell’amore fra tutti gli uomini, secondo quella visione del mondo che egli aveva condensato nel motto arzor et labor vitast. Fra i testamenti possiamo annoverare anche il bilancio del suo lavoro editoriale, Trenta anni dopo, che, seppur scritto pensando alla pubblicazione, è significativamente considerato dall’autore il suo canto del cigno , steso a giuoco finito , quando un motivo di speranza può essere visto solo al di là della tormenta . Accanto alla testimonianza delle proprie idee non poteva mancare quella della propria fatica, in un uomo in cui la scelta dell’attività editoriale si era saldata fin dall’inizio con il perseguimento di obiettivi che non esiteremmo a definire etici prima ancora che culturali o politici, ma tali da divenire punto di riferimento di indirizzi di pensiero determinati ‘. A scrivere il bilancio dei trenta anni della casa editrice e di sessanta anni della sua vita Formiggini aveva pensato da tempo, fornendo via via parziali anticipazioni. Convinto che anche lo scrit 3 L'editore Formiggini si uccide a Modena per protestare contro il razzismo, in Giustizia e Libertà (e, per l’annuncio di morte); anche Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi] censura fascista colpirà con particolare accanimento la produzione dell’editore modenese ed anche i libri della Biblioteca circolante da lui fondata a Roma, di cui qualche volume è escluso dalla lettura per motivi politici come il Capitale ; ma si atrivò perfino a impedire la diffusione di molti testi dei Classici del ridere , come il Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava dall’esemplare, conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo della biblioteca circolante Formiggini, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo tore più mediocre e più oscuro farà sempre cosa interessante scrivendo la propria autobiografia, specie se questa, anziché circoscriversi a fatti puramente personali (che avrebbero pur sempre un interesse umano e psicologico) si innesterà nella storia viva del suo tempo era stato spinto dal contrasto con Gentile a scrivere una parte dell’opera in un curioso volume che, oltre a presentarci alcune fra le più interessanti iniziative dell’editore e il suo carattere caustico seppur non intransigente, costituisce un efficace documento della marcia del fascismo alla conquista delle istituzioni culturali: da quando iniziai la mia attività editoriale scriveva proprio allora Formiggini non ho mancato di raccogliere materiale per una autobiografia che avrebbe dovuto riuscire qualche cosa di mezzo fra le Memorie di un editore di Gaspero Barbèra e il Catalogo ragionato delle edizioni Barbèra, fusi insieme i. Nel modello indicato e al quale Formiggini cercherà di mantenersi fedele in Trenta anni dopo come già in un precedente, più conciso bilancio della sua attività editoriale non vi era certo la presunzione di avere svolto un’opera di promozione della cultura nazionale paragonabile a quella dei maggiori editori ottocenteschi, da Vieusseux a Pomba, da Barbèra a Le Monnier, ma pur sempre la consapevolezza di aver reso un servizio alla cultura del proprio paese, e di essere fra i pochi editori del suo tempo che, come i grandi dell’ottocento, riunissero nella propria persona le qualità dell’imprenditore e del principale animatore delle iniziative culturali della casa editrice. Quello che fu caratterizzato, poco dopo aver tratteggiato i primi venticinque anni della sua attività, come un editore che scrive 7, non avrebbe condiviso l’opinione di un Luigi Russo, che Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini, Formiggini, Venticinque anni dopo., seconda edizione con prefazione di Giulio Bertoni, Roma, Formiggini, . Costantino, Smorfe e sorrisi. Scritti critici, Catania, Casa del libro, di una casa editrice non si fa storia. Da uomo positivo che vuole documentare il duro e contrastato lavoro da lui compiuto, Formiggini ci ha lasciato con i Trenta anni dopo una testimonianza d’eccezione, la cui lettura può risultare utile non solo per precisare il giudizio sulla cultura italiana del primo novecento alla luce anche di vicende individuali minori, ma anche per riproporre il problema della storia delle case editrici, spesso disattesa perché considerata una classificazione forzata di prodotti culturali il cui marchio di fabbrica sarebbe dato solo dalla collocazione intellettuale dei singoli autori, uniti o in maniera casuale o da vincoli ideologici tanto stretti da vanificarne le differenze. Ma, come è stato giustamente osservato, proprio perché luogo organizzato d’incontro di più generi di collaboratori, e di più fattori e interessi, una casa editrice di tipo ancora tradizionale rispecchia orientamenti e programmi di gruppi di intellettuali che verificano sul piano dell’azione pubblica la loro consistenza, e dichiarano tutti i loro sottintesi nel punto in cui, mettendo in circolazione strumenti concreti come libri e riviste, si scontrano con poteri reali, economici e politici, in situazioni di fatto, per modificarle (o per accettarle e conservarle). Per questo la responsabilità di una casa editrice di cultura, a qualsiasi livello essa operi, è grandissima. Inserita in un tessuto sociale ed economico definito, è legata ad ambienti e istituti di istruzione, e di ricerca, per attingervi, ma anche per reagire su di essi, in una trama di rapporti la cui dialettica è necessario mettere in luce quando si voglia ricostruire il corso degli eventi di un determinato periodo storico 5. È un campo, questo, per il quale assai scarse sono le nostre conoscenze, e non solo per la difficoltà a scendere concretamente su un terreno per tanti versi accidentato. In realtà, se in linea di massima può essere accettato il giudizio di Russo, che significato e valore di una casa editrice sono consegnati nei suoi cataloghi, e che in alcuni casi, come in Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività editoriale (Venezia Firenze): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo quello della Laterza, se ne può seguire la storia ripercorrendo l’opera di organizzazione della cultura sviluppata da una personalità come Croce, è da respingere quel pregiudizio idealistico che, considerando il processo storico come germinazione di idee da idee o proclamando in astratto la separazione tra cultura e politica fino a vedere la propria produzione culturale come un sistema chiuso e perfetto, per cui la storia reale può confondersi con una critica di se stessi esclude dall’oggetto privilegiato del suo interesse le istituzioni culturali. Non è un caso che proprio un’analisi che come oggi si comincia a fare abbia al suo centro il tema dell’organizzazione della cultura e della sua diffusione, permette di articolare meglio nei tempi e nei modi, per quanto riguarda il novecento, il giudizio che il neoidealismo italiano dette di sé, e che ritroviamo facilmente ripetuto come un canone interpretativo indiscusso ’, sulla rottura netta da esso operata all’inizio del secolo nei confronti delle vecchie correnti di pensiero, e sul suo deciso trionfo che non avrebbe lasciato spazio ad alcuna sacca di resistenza che non si ponesse in termini di superamento dell’idealismo stesso. In realtà ci sembra estremamente valida, tanto più ove la si riferisca non solo alla cultura di élite, ma anche al più vasto e intricato substrato ideale che percorre nei primi decenni di questo secolo tutti i settori della cultura italiana riflettendo la disgregazione sociale del paese e, insieme, le contraddizioni o le resistenze che accompagnano la rifondazione dell’egemonia borghese, l’osservazione di Garin, per il quale una delle deformazioni prospettiche più diffuse, e più dannose per un’esatta comprensione delle vicende culturali italiane di questo secolo, è quella che proietta alle origini il risultato di una battaglia non solo ideale che si concluse, almeno in una sua fase, intorno agli anni venti, dopo la prima guerra mondiale, con l’ascesa del fascismo. L’egemonia idealistica, piuttosto gentiliana che crociana, non era affatto affermata, e tanto meno scontata, prima della guerra libica. Solo se ci si liberi fino in fondo dell’eredità 9 Cosî ancora A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1 del provvidenzialismo idealistico, col suo trionfalismo storiografico, sarà possibile evitare l’appiattimento uniforme di posizioni contrastanti, e insieme una polemica sterile, forse interessata soltanto a simmetrici rovesciamenti !°, Per il periodo che dalla svolta del nuovo secolo arriva al fascismo le vicende delle case editrici, anche di quelle minori o comunque non in grado di rappresentare un intero movimento d’idee come appariva a Gobetti la Treves, simbolo di tutta la vuotezza italiana per il suo eclettismo positivistico di cosî lunga e infausta durata e memoria !", possono costituire una guida assai utile per disaggregare e ricomporre una trama culturale complessa, per stabilire accostamenti o distinzioni ideali o politiche altrimenti non sempre evidenti o per valutare la capacità di penetrazione e di orientamento di correnti di pensiero non necessariamente lineari in un pubblico colto che proprio nell’età giolittiana cresce enormemente e in parte si rinnova diversificandosi dal punto di vista sociale, con l’apparizione sulla scena di una opinione pubblica alla quale si richiede sempre più un consenso agli obiettivi politici perseguiti dalla classe dirigente. Aumentano per numero e tiratura i quotidiani, ci si rivolge a un più vasto pubblico popolare attraverso la scuola, i corsi organizzati dalle università popolari o le biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi di una classe media colta che desidera legittimare sul piano culturale il peso politico cui aspira, o al tentativo della borghesia di affinare gli strumenti del suo dominio. Fra questi piani diversi esistono connessioni e influenze, nel quadro di una lotta per l’egemonia che vede un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la crisi di fine secolo e la svolta giolittiana, che alle case editrici accademiche e a quelle di orientamento popolare o dichiaratamente socialista come Sonzogno e Nerbini !! se ne affiancano nuove e pi Garin, Intellettuali italiani, Roma, Editori Riuniti. Gobetti, La cultura e gli editori, in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura diSpriano, Torino, Einaudi. Tortorelli, Una casa editrice socialista nell'età giolittiana: agguerrite, il cui interlocutore privilegiato è un pubblico colto e medio-colto in grado di acquistare libri e riviste: da Laterza a Ricciardi a Rizzoli a Mondadori a Vallecchi editore di Lacerba . In assenza di ricerche specifiche si comprende quindi l’importanza di testimonianze come quella di Formiggini che illustra, anche se solo parzialmente, le vicende di una casa editrice fondata negli stessi anni in cui videro la luce altre destinate ad acquistare un peso ben maggiore, ma allora di dimensioni ancora ridotte. L’unico testo a cui si possa in qualche modo avvicinare sono i Ricordi e idee di un editore vivente scritti da Vallecchi, che tuttavia, pur trovando concordanze significative nella difesa di una cultura italiana intesa come strumento di rinnovamento nazionale , ripercorre lo stesso arco cronologico con l’ottica del protagonista precursore vittorioso dell’ideologia fascista in cui l’editore fiorentino si vanta di aver contribuito a convogliare nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi, vociani, cattolici. Secondo il proposito dell’autore, i Trenta anni dopo si presentano invece come una sorta di catalogo ragionato, in cui la personalità dell’editore è ridotta al minimo, e, a differenza del pamphlet, restano sullo sfondo anche i tempi in cui ha operato: spentasi la carica polemica di quindici anni prima suscitata dalle vicende della Leonardo e che si era manifestata in feroci attacchi antiattualisti (con alcuni spunti antifascisti), escluse espressamente le testimonianze morali che Formiggini veniva consegnando ai suoi scritti privati, nel volume non appaiono nemmeno - se non incidentalmente i nomi dei numi tutelari della cultura italiana del primo novecento. Accanto alla difficoltà, ma anche al rifiuto di prendere nettamente posizione !, in questo silenzio si riflettono, più che i risultati di una parabola politica, alcuni limiti di fondo di un editore la Nerbini, in Movimento operaio e socialista , Una testimonianza in questo senso in Trevisani, Le fucine dei libri. Gli editori italiani, Bologna, Barulli. che i contemporanei Prezzolini in testa! giudicarono non tanto un uomo di cultura quanto un grande arti giano e propagandista del libro, e che per primo amava presentarsi come il sostenitore dei valori universali di una cultura senza ulteriori determinazioni, quasi al di sopra della mischia, ideale morale e religioso, più che politico. Riconosco di avere avuto certe qualità che sono essenziali per rappresentare efficacemente un indirizzo, un pensiero, per portare nella fucina intellettuale del paese un non inutile soffio di ossigeno , scrive Formiggini, ma sarebbe vano cercare di identificare questo indirizzo nell’ambito della classificazione usuale delle correnti culturali italiane all’inizio del secolo. Per comprendere cosa questo fosse concretamente, o come fosse possibile che determinati indirizzi di pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro, confluissero e si riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna risalire ancora una volta ai motivi ispiratori della sua vita. Il libro mi apparve allora, e mi è apparso poi sempre scrive ricordando gli inizi della sua attività, il vincolo delle intese, il vincolo del parallelo cammino verso mete elevate e concordi. Questa mia fede di fraternità universale, alla quale s’ispirò fin dagli inizi la mia attività editoriale, era già trionfante nel mio animo fin dalla prima giovinezza 5, ed era una fede religiosamente sentita, se teneva a riaffermare ponendo a coronamento della sua fatica la collana delle Apologie delle religioni che suo intento era stato non di insidiare le fedi sentitamente professate, ma soltanto di divulgare l’intima essenza delle varie religioni, per affrettare quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione fra gli uomini che condurranno l’umanità a quell’affratellamento universale che fu il cardine massimo della dottrina del Cristo e che mi ostino a credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le aspi Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio. Formiggini ha particolarmente sviluppato, oltre le sue collezioni, il lato direi tecnico della propaganda libraria. Formiggini, Trenta anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini, razioni umane !. Ma questo ideale di fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o neutrale, se nel periodo che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla nascita de La Voce arriva fino al fascismo e alla dittatura gentiliana la casa editrice Formiggini poté rappresentare riunendo soprattutto quanti nell’idealismo non si riconoscevano un capitolo significativo e abbastanza determinato, anche se minore, della cultura italiana. Nato a Modena, dove contrasse affetti e amicizie che come quella con il futuro ministro della giustizia di Mussolini, Solmi lo accompagneranno nei successivi spostamenti della casa editrice, da Bologna a Modena, quindi a Genova e infine a Roma, Formiggini apparteneva a una famiglia ebraica di cui molti rami erano cattolici da generazioni remote; e in questa origine è forse da ricercarsi uno dei motivi della sua insistenza sulla necessaria unità tra ariani e semiti e sul tema della fratellanza universale. In gioventi aveva compiuto indagini di storia delle religioni, le quali ricorderà con parole certo immodeste, ma che testimoniano di un clima culturale intensamente vissuto mi portarono ad affermare, su dati puramente giuridici ed etici, quella identità di origine degli ariani e dei semiti che l'Ascoli aveva già riconosciuto nello stretto campo della filologia e che gli scritti del Delitzsch, in Germania, sei anni dopo di me, con grande autorità confermarono. Il suo interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla tesi di laurea in legge discussa a Modena, dal titolo programmatico (La donna nella Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo storico-giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita), e da un intervento del 1902 nel quale Formiggini lamentava l’assenza nel nostro paese di un insegnamento critico delle religioni nonostante gli sforzi di Gaetano Negri, David Castelli, Raffaele Mariano, Alessandro Chiappelli e, soprattutto, di Baldassarre Labanca, pur avvertendo che il desiFormiggini, Parole in libertà, Formiggini, Parole in libertà, derio di una ripresa degli studi storico-religiosi non deve essere interpretato come l’efflorescenza di un sentimento nostalgico verso un passato mistico per me e per altri molti ‘ormai superato. Richiamandosi cosî alla concretezza degli ideali terreni aliena, più che in uomini a lui vicini, come Buonaiuti o Quadrotta, da ascetismi medievali e da ogni forma di spiritualismo, Formiggini seguîf con interesse quel parziale sviluppo di una scienza delle religioni che si ebbe in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo, ad opera inizialmente di studiosi non cattolici e sulla base di quella identificazione fra idee teologiche e religiose e pensieroche divenne tradizionale negli studi storici italiani dai tempi del Tocco e del Labanca in poi. Frequentando i corsi di lettere e filosofia dell’università di Roma (conseguirà poi la seconda laurea in filosofia morale a Bologna), Formiggini e infatti attento soprattutto alle lezioni di storia del cristianesimo di Labanca, critico di ogni dogmatismo e almeno nelle intenzioni del misticismo, in nome di un Dio concepito come ragione e coscienza. Meno avvertibile risulta la traccia dell’insegnamento romano di Labriola, anche se proprio alla trascrizione di Formiggini dobbiamo la conoscenza del suo corso di filosofia della storia Sul materialismo storico, e se fu proprio il futuro editore a portare il saluto degli universitari italiani alla salma del buon Maestro La coltura religiosa in Italia, Modena, Forghieri e Pellequi, Cantimori, Storici e storia, Torino, Einaudi; un ‘accenno ai legami di Formiggini con Labanca e Quadrotta inScoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, il Mulino, le notazioni di G. Gentile, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, Firenze, Sansoni, Tu, buon Maestro, ti servivi della mia voce per trasmettere il tuo pensiero alla scuola ( Corda Fratres Allieva di Labriola fu anche la moglie di Formiggini, Emilia Santamaria, la cui tesi di laurea su Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel 1904 da Laterza con una breve prefazione di Labriola (ora in Labriola, Scritti politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo suoi maestri dell’università di Roma dovettero comunque contribuire a rinsaldare quello spirito democratico di matrice, ripetiamo, pit etico-religiosa che politica al quale è improntata l’attività svolta da Formiggini, come console e poi presidente della sezione italiana dell’associazione internazionale studentesca Corda Fratres, di stampo radical-massonico, che si proponeva di raggiungere amore e fratellanza fra tutti i popoli e le classi prescindendo dalla politica . All’interno dell’associazione Formiggini si batté infatti contro le tendenze che ne interpretavano le finalità in chiave nazionalistica, sviluppando le sue convinzioni soprattutto a proposito del movimento sionista: secondo me, e vorrei che cosî fosse scrive a commento del sesto congresso sionista di Basilea, molti di quelli che in Italia hanno aderito al sionismo, non furono spinti dal sentimento di solidarietà di razza, ma da quello molto più ampio e liberale di solidarietà umana. Per costoro non dovrebbero aderire al sionismo gli ebrei soltanto, ma anche tutti quelli che hanno il pensiero sufficientemente evoluto per riconoscere che ad ogni uomo, indipendentemente dalla razza cui appartenga e dalla fede che professi, deve esser riconosciuto il diritto alla vita ed alla dignità umana ?. Concetti che saranno letteralmente ripresi per negare ogni fondamento all’antisemitismo, che avrebbe potuto essere meglio combattuto e vinto ove il sionismo fosse rimasto una corrente umanitaria, senza trasformarsi in un movimento nazionalista inteso a ricostruire la potenza politica d’Israele. Questo ideale etico-umanitario veniva ribadito da Formiggini, assieme a preoccupazioni per l’insorgere delle correnti irrazionalistiche e idealiste, in una recensione a L’anarchia del modenese Ettore Zoccoli nella quale, dopo aver condiviso il giudizio dell’autore sulle teorie immorali e antigiuridiche degli anarchici, lo rimproverava di Non era ancora un'associazione puramente corpotativa , come apparirà negli anni venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita, Milano, Rizzoli). Corda Fratres Formiggini, Parole in libertà, non aver mostrato la efficacia, per quanto indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia per sospingere l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà politica e religiosa e di universale affratellamento , e aggiungeva: Dobbiamo ad ogni modo auguratci che la crisi che sta attraversando il pensiero filosofico contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla preoccupazione etica, si è già annunciato come una vivace reazione contro la filosofia della seconda metà del secolo XIX, si possa risolvere, non in un ritorno a forme mistiche, la cui inconsistenza è già stata provata dall’esperienza storica, ma in una confortante e serena consacrazione di una morale intesa come necessità imprescindibile della vita: necessità non d’ordine logico né d’ordine fisico, ma però tale da avere rispetto alla vita delle coscienze: quello stesso imperio assoluto che hanno le necessità logiche per il pensiero e le necessità fisiche per tutto l’ordine meraviglioso della natura Dove sono espressi sinteticamente non solo la concezione ottimistica del progresso e l’ideale di conciliazione di quei positivisti in crisi che graviteranno attorno alla casa editrice di Formiggini, ma anche il senso di un assedio che si andava stringendo da parte degli idealisti. Ben diverso, quasi contrapposto, era il giudizio sull'opera di Zoccoli formulato da Croce, che la considerava moralistica (mentre una teoria filosofica sarà esatta o sbagliata, ma non mai morale o immorale ) e, da osservatore apparentemente distaccato, ne traeva spunto per notare nell’affermarsi di tendenze sindacaliste rivoluzionarie contro il riformismo socialista l’influenza dell’anarchismo, che forse, considerato nel suo insieme, giova a mantenere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispensabile al progresso sociale ; lo stesso Croce che in un momento decisivo dello scontro col positivismo, bandiva dal vocabolario di coloro i quali anelano a un risveglio della filosofia e della cultura, salutare alla patria italiana , i termini di tolleranza e temperanza , sinonimo, quest’ultimo, di debolezza, incapacità di 3 Rivista italiana di sociologia, La Critica , Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo sintesi, tendenza alla combinazione e conciliazione estrinseca, che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti, ha paura delle opinioni della gente volgare, cerca di non svegliare opposizioni, e rifugge dai partiti che richiedono risolutezza e responsabilità Positivisti, modernisti, socialisti La fisionomia alla quale la casa editrice rimarrà sempre fedele venne definendosi nel giro di pochi anni, tanto che Serra, tracciando i caratteri distintivi dei due editori-tipo italiani, Laterza e Treves, espressione il primo del libro di cultura e, il secondo, di quello di bella letteratura, ma con la tendenza sempre più marcata a entrar nel campo della cultura , poteva annoverare in quest’ultima categoria le edizioni Formiggini, di cui metteva in evidenza le intenzioni brillanti e un certo decoro . Notevole rilievo ebbero infatti anche le collane letterarie, significative di una scelta e di un gusto: i Poeti italiani si apre nel 1910 con le Odi di Massimo Bontempelli uno degli autori pi cari a Formiggini, fino alla rottura , proprio in quell’anno schieratosi nella polemica carducciana con Ettore Romagnoli contro Croce e Prezzolini in difesa della critica di tipo letterario contro quella di impianto filosofico, e annovera altri poeti che inseguono il modello del grande artiere di Carducci con accenti tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco Pastonchi e Severino Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con Liolà); e grandissima fortuna ebbero i Classici del ridere cui Formiggini affiancò la raccolta Casa del ridere , che raccogliendo Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, in Cultura e vita morale, Bari, Laterza, Serra, Le lettere, in Scritti letterari, morali e politici, a cura di M. Isnenghi, Torino, Einaudi, Bontempelleide, con interventi di Formiggini e Fernando Pa. lazzi, in L’Italia che scrive, gli interventi di E. Manzini ed E. Milano in Formiggini testi italiani e stranieri, riflettono l’utopistica speranza dell’editore che l’ universale fusione di spiriti che deve essere la meta costante di ogni più alta manifestazione di civiltà, sarà affrettata di altrettanto di quanto l’affrettarono la macchina a vapore e il telegrafo ®. L’impronta culturale e civile della casa editrice è data tuttavia dal largo spazio accordato ad argomenti filosofici, pedagogici e religiosi, con un orientamento che, se difficilmente può essere definito in positivo, può essere considerato schematicamente come espressione di gruppi non-idealisti. Positivisti e modernisti di varie venature, e spesso di orientamento politico socialista e socialisteggiante, contraddistinsero le origini della casa editrice, che continuerà ad annoverarli tra i suoi collaboratori anche quando le convinzioni di alcuni si vennero modificando sensibilmente (ma altri si aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, nel momento del loro distacco dall’idealismo). I nomi di Achille Loria e Alessandro Levi, di Emilia Formiggini Santamaria e Giuseppe Tarozzi, di Ernesto Buonaiuti e Felice Momigliano, ricorrono con frequenza, anche per l’intero trentennio di vita delle edizioni Formiggini, a conferma di una scelta e di una adesione non casuali. Sui gruppi positivisti di questi anni, di filosofi e pedagogisti in particolare, come sui vari filoni modernisti e sui loro esiti, sono state scritte pagine illuminanti che hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto l'impatto del neoidealismo. Restano tuttavia da verificare le convergenze e le alleanze che, contro lo stesso nemico, si stabilirono tra correnti e uomini per vari aspetti spesso culturalmente e politicamente diversi e distanti, e che videro seguaci di Ardigò, neokantiani e fautori di un rinnovamento della chiesa laici e religiosi, mistici e razionalisti confluire insieme a combattere per la loro sopravvivenza, uniti solo, nel comune disorientamento, da condanne idealiste o pontificie. Editore. Mostra documentaria, Modena, S.T.EM. Mucchi, Formiggini, Trenta anni dopo, Garin, Cronache di filosofia Sialiona Bari, Laterza, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo Di questi e altri accostamenti, come quello tra socialismo e religione in cui si impegnarono ad esempio Alfredo Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice può essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: Profetismo, Mazzini, socialismo rimasero per Felice tre nozioni difficilmente separabili. La purificazione dell’ebraismo, il rinnovamento spirituale d’Italia e lo stabilimento della giustizia sociale in Europa erano nella sua mente tre aspetti di un problema solo. Un vivo senso della nazionalità e un vago socialismo sconfinante nel populismo borghese e inteso come prosecuzione della democrazia risorgimentale sono infatti le caratteristi-. che di uno dei più assidui collaboratori di Formiggini, Alessandro Levi , e si ritrovano in molte delle iniziative dell’editore modenese. Nelle collane di saggistica si possono comunque individuare tre filoni principali di interesse: quello religioso, presente ovunque ma che per un certo periodo ebbe il suo posto privilegiato nella Biblioteca di varia coltura dove usci il Mosé e i libri mosaici dell’ex prete modernista Salvatori Minocchi in questo momento convinto che il futuro cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del socialismo ; quello pedagogico, che vide l’intervento assiduo di Emilia Formiggini Santamaria con studi storici è didattici ispirati alle teorie di Fròbel ed ebbe un punto di riferimento costante non quando. fu pubblicata dall’editore modenese nella Rivista pedagogica , l’organo dell’Associazione nazionale per gli studi pedagogici fondato nel 1908 da Luigi Credaro e che, Momigliano, Momigliano, ora in Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Poggi Socialismo e religione. Modena, Formiggini, 1911, e, sull’autore, la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, le osservazioni di Piero Treves nel numero speciale di Critica sociale dedicato a Levi Cit. da A. Agnoletto, Minocchi, vita e opera; Brescia, Morcelliana, seppur influenzato dall’herbartismo del futuro ministro della pubblica istruzione, fu aperto ai collaboratori delle più varie tendenze (da Colozza a Calò, da Varisco alla Formiggini Santamaria) . Il terzo filone, e forse il più significativo perché comune denominatore anche degli altri, fu rappresentato da un generico interesse per i temi filosofici, mutuato dalla Società filosofica italiana e dalla Rivista di filosofia attenta, del resto, anche alle problematiche religiose e pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti strettamente connesso con la fase di riorganizzazione della Società filosofica italiana, di orientamento prevalentemente (anche se vagamente) positivista, apertasi in concomitanza con l’intensificarsi del programma culturale di Croce e di Gentile attorno alla casa editrice Laterza con il congresso di Parma della società. In questa sede fu deliberata in vista di una degna affermazione dell’attività filosofica italiana al terzo congresso internazionale di filosofia di Heidelberg la preparazione di quel Saggio di una bibliografia filosofica italiana che, compilato da Alessandro Levi con la collaborazione di Bernardino Varisco e, per la parte pedagogica, di Emilia Formiggini Santamaria, apparve nel 1908 per i tipi di Formiggini e fu giudicato da Gentile la prima manifestazione di qualche cosa di concreto e di utile agli studi di filosofia da parte della Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la Biblioteca di filosofia e di pedagogia che accolse, oltre agli atti dei congressi della società, scritti della Formiggini Santamaria, I/ materialismo storico in Federico Engels di Rodolfo Mondolfo di cui è possibile cogliere l'origine tormentata nelle lettere dell’autore all’editore , e altri testi in cui l'impronta antiidea D. Bertoni Jovine, La scuola italiana, Roma, Editori Riuniti, La Critica Attendo presentemente a un lavoro su La filosofia del comunismo critico. Una parte di questo, I/ materialismo dialettico e il materialismo storico di F. Engels spero averla pronta entro brevissimo tempo , scrive Mondolfo proponendone la pubblicazione. Ma ancora confessava: La parte che ancora rimane per il termine del lavoro io l’avevo molto tempo addietro abbozzata e in Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo lista è, almeno prima della guerra, ben documentabile. Se meno precisamente definibile è la posizione di Ludovico Limentani, assertore del metodo positivo ma aperto alle istanze idealistiche, che pubblica due volumi (I presupposti formali dell'indagine etica, e La morale della simpatia) in cui, come in tutta la sua opera, è filosoficamente argomentato e approfondito l’ideale stesso di Formiggini, in quanto l’autore fa l’ esaltazione, sul piano politico-sociale, del diritto ad esistere di ogni spinta ideale, che scenda a collaborare sul piano della concreta discussione con le altre idealità ; assai netta è, nel 1913, la posizione di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno dei più continui collaboratori della casa editrice, che presentando le Pagine scelte di Ardigò lancia un violento atto d’accusa contro idealisti e pragmatisti, in una difesa patetica di quella cultura positivista che stava scomparendo: Sinceramente, scriveva chi scorra senza spirito di parte o di setta e senza quel vanissimo orgoglio di superfilosofismo che è oggi venuto di moda, e che infuria, talora con veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqualificabile volgarità, specialmente, si capisce, contro il positivismo, le pagine che il Gentile e l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De Ruggiero hanno, bontà loro, dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire che non mai parzialità e superficialità, trivialità e accanimento hanno intessuto una trama di più fatue leggerezze e di più dolorose malizie, intorno ad un uomo e ad un pensatore che ha pur il diritto di vivere e di pensare; mentre quei critici stessi si svociano parte stesa in una forma però che, essendo stato poi da me modificato tutto il piano del lavoro, non può più affatto andare. È dunque da rifar da capo bisogna che torni a rivivere il mio tema . Finalmente 1°11 ottobre dello stesso anno poteva annunciare: Ho scritto l’ultima cartella ; ma i dubbi non erano finiti, se, approfittando della necessità di cambiare il frontespizio del volume per il trasferimento dell'editore da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva di togliere dal titolo Il materialismo dialettico lasciando le parole Il materialismo storico, che costituiscono la parte più importante e interessante del titolo. Archivio editoriale Formiggini presso la Biblioteca Estense di Modena [dora in avanti AF], Mondolfo Garin, I/ pensiero di Ludovico Limentani, in Rivista di filosofia. In/ e si sbracciano ad osannare i pretenziosi ma altrettanto inconcludenti fra professori e conferenzieri di marca tedesca e anglo-americana, e francese, i cui nomi sono ormai sulle bocche di tutti; o i più ciarlatani, tipo Sorel; o pit insulsi tra gli affiliati nostrani della congrega hegelianoide Fuori collana apparvero altri testi filosofici, di particolare rilievo i primi due volumi degli Scritti di Michaelstidter; non andò in porto, invece, la proposta di Levi di pubblicare gli scritti di Vailati, avanzata subito dopo la morte di questi. Questi contributi erano il frutto di un rapporto diretto con la Rivista di filosofia, l’organo della Società filosofica italiana, per i tipi di Formiggini, dalla fusione della Rivista di filosofia e scienze affini di Giovanni Marchesini con la Rivista filosofica fondata da Carlo Cantoni; e che non si trattasse di un rapporto puramente tecnico o commerciale, è dimostrato dalla notevole consonanza di accenti tra la rivista e tutta l’attività della casa editrice. Non costituiamo una scuola; siamo una collezione d’uomini, unit: dal comune amore della verità, ma che non abbiamo tutti lo stesso concetto di quello che la verità sia Ma tutti siamo persuasi che, per arrivare a conoscere la verità e a farla trionfare, la discussione seria de’ problemi, sotto ciascuno de’ loro aspetti, sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi, ci farà conseguire il fine desiderato £: cosi dichiaravano nel 1909 i redattori della rivista criticando il programma della Rivista di filosofia neo-scolastica che si diceva espressione dei pensamenti di una scuola determinata . Questo vago amore della verità era il segno, più che della temperanza combattuta da Croce e dai neoscolastici, di uno sbandamento e di una debolezza di fondo, appena mascherati da un ottimismo ingenuo e perdente, data l’indeterminatezza del fine da rag Ardigò, Pagine scelte, a cura di E. Troilo, Genova, Formiggini, PED 4 AF, n di filosofia, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo giungere: un amore della verità tale non solo da provocare il rapido manifestarsi di contrasti interni alla redazione tra i due gruppi di Pavia e di Padova, ma anche da permettere che già nel 1910 padre Gemelli venisse accolto fra i membri della società. E tuttavia il programma dei fondatori, inteso a dare all’Italia una rivista autorevole aperta ugualmente a tutte le opinioni e perciò adatta a chiarire le profonde ragioni ideali, da cui le scuole filosofiche traggono origine , introduceva subito sintomatiche puntualizzazioni: la patria nostra, risorta da cinquanta anni ad unità di nazione, vuole rivendicare le alte tradizioni del suo pensiero che informa tutta la cultura e la vita moderna. Infatti, dobbiamo costantemente ricordare che naturalismo ed umanismo, i due atteggiamenti fondamentali della speculazione europea, sorgono ugualmente col rinascere degli studii per opera del genio italiano, universale e concreto; sicché tutta la filosofia posteriore può rannodarsi ai nomi di Galileo e di Vico, che ne simboleggiano gli spiriti. Da questi eroi tragga incitamento ed auspicio la nuova filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza ideale degli italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle sue pagine tutti gli indirizzi del pensiero filosofico trovassero libera espressione ‘, e i passi compiuti in questo senso verso i circoli di filosofia di Roma e di Firenze di tendenze prevalentemente idealistiche , la rivista diretta da Faggi, Juvalta, Levi, Marchesini, Vailati (sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo), Valli e Varisco ai quali si aggiungeranno in seguito Pastore e Buonaiutirisultò voce di positivisti il cui eclettismo trovò un limite di fronte all’idealismo. Ci sembra assai valido ed estensibile alla casa editrice il giudizio di Santino Caramella, per il quale la rivista accoglieva I due circoli aderirono alla Società filosofica nel corso, ma quello di Firenze ritirò la propria adesione tramite il suo segretario Giovanni Amendola: fra il Circolo e la Società, dichiarava, non esiste affinità alcuna, né di scopo, né di tendenze, né di metodi d’azione ( Rivista di filosofia , I tutti, dal neopositivismo del Troilo all’hegelismo del Losacco, dal misticismo del Rensi al fichtismo del Til gher e del Ravà, dall’ardigioianesimo al neokantismo e chi più ne ha più ne metta, ogni indirizzo poté salire in tribuna. Ma non per questo cessava la intolleranza verso gli intolleranti di questa amorfa tolleranza: il Croce, Gentile restarono sempre i maligni avversari che avevano guastato l’Eden filosofico: e specialmente i positivisti ebbero cura di non lasciar mai spegnere il fuoco della battaglia . Possiamo aggiungere, a integrazione del quadro solo in negativo fornito da Caramella, l’esplicita connessione di interessi filosofici e religiosi ne è testimonianza anche l’ingresso nella redazione di Buonaiuti, subito impegnato a confutare sulle pagine della rivista la pretesa gentiliana di individuare in Vico un precursore dell’attualismo 4 e l'insistenza sul genio italiano che, pur senza assumere fin dall’inizio precisi connotati nazionalistici come cercherà invece di far intendere Troilo, era indice di una chiusura nei confronti del pensiero contemporaneo non italiano. È un aspetto, questo, che risalta con forza ove si confrontino i Classici della filosofia moderna che Croce iniziò per Laterza con l’Enciclopedia di Hegel, e l’iniziativa formigginiana dei Filosofi italiani , la collezione promossa dalla Società filosofica italiana e diretta da Felice Tocco. Le differenze, naturalmente, non sono segnate solo da confini geografici, pur importanti. Il fatto è che, come riconosceva e paventava la stessa Rivista di filosofia , il programma crociano si proponeva la valorizza Caramella, Le riviste filosofiche italiane nell'ultimo quarto di secolo, La Cultura Buonaiuti, Il carattere storico della filosofia italiana, in Rivista di filosofia In L'Italia che scrive Recensendo positivamente per l’accesso diretto alle fonti che offrivano i Classici della filosofia moderna , Michele Losacco osservava: È ben difficile creare un movimento speculativo che lasci tracce profonde, se l’ambiente in cui si lavora non è sufficientemente preparato ad intenderlo; ne fu prova non dubbia l'indirizzo idealistico, promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che non trovò il meritato seguito, perché si concentrò in alcuni pochi spiriti, solitari e incompresi. Ora ogni nuovo Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo zione di una linea di pensiero che assegnava all’Italia un ruolo centrale con Spaventa, De Sanctis, Labriola e Croce, ma era tanto pi forte in quanto riproposta attraverso una determinata lettura di Vico, di Kant e di Hegel, mentre Tocco si preoccupava di riportare alla luce soprattutto la filosofia della Rinascita che è nella maggior parte italiana, come italiano è quel movimento umanistico che la promosse. E questo periodo cosi arruffato della speculazione, che in mezzo al rifiorire della scienza e della medicina antica, in mezzo al ripullulare dell’antica magia alchimia ed astrologia prepara l’avvento della nuova scienza e della coscienza nuova, merita di essere studiato . Ben diversa da quella di Croce e Gentile fu anche la capacità di promozione della Società filosofica italiana: bastò la morte di Tocco a impedire che avesse seguito, dopo i primi due volumi del De rerum natura di Telesio curati da Vincenzo Spampanato la proposta avanzata in prima persona dall’editore modenese al terzo congresso della società (Roma, ottobre 1909), e da questa assunta in proprio con l’impegno del suo presidente di dare ogni aiuto possibile , di raccogliere in una accuratissima edizione i testi critici dei maggiori filosofi italiani, per rendere accessibili a tutti le opere meno agevolmente ostili e più importanti per la storia del pensiero nazionale , e serio conato speculativo, come fu, per esempio, quello della Rinascenza, presuppone sempre lo studio e il riconoscimento delle migliori tradizioni filosofiche, e nazionali e straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere e l’ispirazione ( Rivista di filosofia , Prefazione di Tocco al vol. I del De rerum natura di Telesio (Modena, Formiggini, anche E. Garin, Per un'edizione dei filosofi italiani, in Bollettino della Società filosofica italiana Perché la direzione dei Filosofi italiani fosse affidata a Tocco intervenne Croce, come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo commento al congresso di Roma, in cui dichiarò in piena liquidazione il positivismo (ora in Pagine sparse, Bari, Laterza, Contro le fauci ingorde di Formiggini, che per l’edizione di Telesio avrebbe cumulato i contributi finanziari del Comitato telesiano di Cosenza e dello Stato, lo sfogo di Gentile nella lettera a Croce (G. Gentile, Lettere 4 Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni Gentile scriveva a Croce degli spropositi vergognosi presenti nella prefazione di Spampanato Accanto a una cultura in varia misura positivista che si organizza sul piano accademico che è proprio della Rivista di filosofia e anche su questo terreno sarebbe da valutare la resistenza opposta dai positivisti al neoidealismo, testimoniata dalle lagnanze ricorrenti nelle lettere di Croce, Gentile, Omodeo, è da segnalare la vocazione illuministica di questi gruppi a farsi educatori di masse le più larghe possibili. Se l’idealismo incontrò forti limiti ad una sua penetrazione o traduzione popolare, ciò non si dovette solo a sue carenze originarie o élitari rifiuti, ma anche all’esistenza di una cultura media o popolare resa impermeabile alla sua influenza da precedenti incrostazioni di segno diverso o contrario, depositate lentamente attraverso periodici, università popolari o certe collane, non solo di istruzione tecnica o di letteratura d’appendice ad opera dei positivisti che avvertivano il dovere di divulgare tra il popolo quella scienza che consideravano parte integrante della realtà , fiduciosi che individui appartenenti a ogni strato sociale potessero rispondere al richiamo illuminante e liberatore della verità, la stessa verità in cui essi credevano Alla divulgazione erano appunto rivolti, come altre iniziative contemporanee e sulle orme della Biblioteca del popolo di Sonzogno, i Profili di Formiggini, nati nel 1909 con l’intento di soddisfare il più nobilmente possibile alla esigenza caratteristica del nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo . E non a caso Critica sociale la giudica una utilissima collezione Alla tendenza allora predominante di dare una immagine del passato o del presente attraverso singole figure di protagonisti gli eroi di cui parlava la Rivista di filosofia nella sua pagina d’apertura, gli uomini simboli di un’epoca su cui era costruita la prima storia del Rosada, Le università popolari in Italia, Roma, Editori Riuniti, A.F.F, Trenta anni dopo, 53 V. Osimo, ‘arlo Porta, in Critica Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo socialismo tentata da Angiolini e Ciacchi si ispirarono numerose collezioni, la più nota ed aulica di tutte, ma di breve durata, quella dei Contemporanei d’Italia intrapresa da Ricciardi sotto la direzione di Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini a preoccuparsi di divulgare i suoi Profili attraverso le biblioteche popolari, queste istituzioni scriveva presentando la collana che stanno ora sorgendo e moltiplicandosi e che saranno i focolai donde uscirà la dignità nuova e la nuova fortuna della patria , rivolgendosi in particolare al mondo della scuola. E i Profili raggiunsero un pubblico per quei tempi molto vasto: uno dei primi titoli, il Ges di Labanca, di cui nel 1918 fu stampata la terza edizione, solo nella prima ebbe una tiratura di 2.500 copie Nel capitolo de Le lettere dedicato alla critica letteraria , Serra faceva un bilancio delle collane comprendenti l’essaî dedicato a una questione o a una figura , e annotava: Ne abbiamo parecchie: i Profili, i Contemporanei, gli Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e che so io. Ma o si sono arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze da una parte, e dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non riescono a fare il libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei Profili; appunto perché il suo modulo, anche materialmente, modesto e facile da riempire, si impone alla personalità degli autori con una certa economia necessaria di notizie e di disegno, che non lascia posto a digressioni o erudizioni o analisi, come dicono, originali. Potrebbe parere un difetto; ed è, tra noi, una fortuna. Senza dire che anche in quei limiti si possono ottenere cosette buone; per un esempio, l’Esiodo del Setti o il Bodoni del Barbera . La mancanza di originalità di questa produzione non impediva tuttavia che essa avesse un taglio preciso per gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio della % Illustrando sulla Rivista di filosofia un suo progetto sull’istituzione di biblioteche per gli studenti delle scuole medie, già accennato al congresso per le biblioteche popolati di Roma nel dicembre 1908, Giovanni Crocioni affermava: Non vi mancheranno le opere d’arte, le vite di uomini insigni, le edizioni popolari; vi troveranno, ad esempio, luogo opportuno i Profili che il nostro coraggioso e geniale editore vien pubblicando con fine gusto di arteAF, Labanca. 5% Serra, competenza suggeri in un primo tempo a Formiggini di rivolgersi a Croce e poi a Gentile per il ritratto di Hegel, a Papini per quello di Sarpi o a Prezzolini per Baretti contatti che non ebbero poi esito positivo, gli autori dei Profili furono e rimarranno in maggioranza esponenti di ambienti positivisti o modernisti, e spesso toccati dal materialismo storico. Per i personaggi-chiave, dove le digressioni erano pit facili e significative, troviamo Achille Loria autore del Malthus uno dei più ricercati della mia fortunata collezione , gli scriveva Formiggini che raggiunse la quarta edizione, dei ritratti di Marx e Ricardo; Tarozzi con Rousseau, Ardigò e Socrate ed Troilo con TELESIO (si veda), Bruzo e Kaxt; Labanca con Ges# di Nazareth, Momigliano con Tolstoi e Buonaiuti con una lunga serie di ritratti: Sant'Agostino, San Girolamo, Sant'Ambrogio, AQUINO (si veda), San Paolo, Gest il Cristo (che sostituî il profilo di Labanca) e San Francesco; Barbagallo tracciò i profili di Giuliano l’Apostata e Tiberio, mentre Concetto Marchesi delineò quelli di Marziale, Giovenale e Petronio. Alcune, poche concessioni del periodo fascista non alterarono le caratteristiche originarie della collezione, che accanto alle figure principali della letteratura italiana e straniera dava largo spazio più di quanto ne concedessero la Collana biografica universale delle edizioni Quattrini di Firenze o i Pensatori celebri e i Pensatori d’oggi della milanese Athena ad esponenti del pensiero filosoficoscientifico (Telesio, Bruno, Galileo, Newton, Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari alla genealogia positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx, Lombroso, Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina di Darwin l’autore del suo ritratto, il naturalista Alberto Alberti, riteneva necessario fissare fin dall’inizio le fattezze del biograAF, Loria. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo fato ( cupola immensa il cranio. Dentro, un cervello che come quello di Volta e forse come quello di Leonardo, non pesava meno di due mila grammi), convinto, in base a un ingenuo positivismo, che i tratti fisici giovano a far intendere come per la larga, possente grandiosità del lavoro intellettuale compiuto da Darwin ben occorresse anche una struttura fisica non diversa ma più vigorosa di quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini ; l’autorevolezza delle biografie di Malthus e di Marx è affidata al loro autore, quell’Achille Loria tanto disprezzato da Labriola e da Gramsci, ma che rimane pur sempre, come è stato sottolineato di recente, una figura rappresentativa dell’età del positivismo evoluzionistico e del nascente movimento socialista alla quale si deve la diffusione in Italia della nozione di un’economia non immutabile, non governata da leggi esterne, ma mossa dalla lotta delle classi sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di là dello stadio proprietario e capitalistico . I giudizi e gli accostamenti di Loria non sono per questo meno disinvolti: la teoria della popolazione di Malthus, sorta quale teoria di regresso , se debitamente svolta ed ampliata, si torce invece nella più radicale fra le teorie sociali. Dacché essa insegna che il flutto incessante della popolazione è il fermento irresistibile di distruzione delle forme sociali successive 9; invece Marx, nonostante la grandiosità michelangiolesca del suo pensiero, sta di molto al disotto dei grandi maestri della scienza positiva : Se invero è mirabile e enorme questtuomo notava Loria, il quale riesce a contenere tutto un mondo fra le pieghe di un semplicissimo principio iniziale, e la cui vita non è pi che lo sviluppo di una equazione, che egli ha posta agli esordi quanto più onesto, più leale, più scientifico il procedere di Darwin, il quale non pone principj aprioristici, ma accoglie senza preconcetti 5 A. Alberti, Darwin, Modena, Formiggini, Faucci, Revisione del marxismo e teoria economica della proprietà in Italia, Loria (e gli altri), in Quaderni fiorentini, Loria, Malthus, Roma, Formiggini, i fenomeni nell’ordine di complessità progressiva che la vita stessa gli affaccia! La storia italiana recente era illustrata con un forte senso della nazionalità, accentuato dalla grande guerra, ma con tonalità democratiche: al ritratto dei fratelli Bandiera seguivano -16 quello di Abba, e un Cavour di Murri che presentato da una Lettera ai combattenti del capitano Formiggini come una potentissima sintesi non solo delle concezioni dello statista piemontese, ma di tutte le correnti del pensiero collettivo che portarono al trionfo della idea nazionale si preoccupava di definire valore e limiti del realismo politico del biografato per dare sbalzo alla fede mazziniana ( sollecitando, con il suo titanico ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour] disperse, in parte, quel tesoro di energie spirituali che Mazzini aveva preparato per pi lunga e profonda e dolorosa opera Cavour ha avuto ragione per il suo tempo, Mazzini torna ad aver ragione oggi. Elemento caratteristico della collezione formigginiana resta comunque l’ampio interesse per la storia religiosa, toccata sia attraverso le figure di Ges, di Savonarola £ e dei santi, sia per inciso nei profili degli imperatori romani che videro l’affermarsi del cristianesimo o nel ritratto dedicato a Tolstoj da Felice Momigliano. Pi che l’editore, tu sei il critico degli autori tuoi , scrive Marchesi a Formiggini : e il rapporto dell’editore con gli autori di profili religiosi si rivela particolarmente stretto e franco, come nel caso di Labanca e di Buonaiuti; indice della sua diretta partecipazione è ad esempio l’affettuoso rimpro A, Loria, Marx, Genova, Formiggini, Murri, Camillo di Cavour, Genova, Formiggini, Rispetto al giudizio minimizzatore di cui sarà oggetto nell’Enciclopedia italiana, come abbiamo visto, Savonarola era eroicizzato da Galletti come colui che riconciliò la libertà colla religione, ravvivò negli animi il sentimento cristiano offuscato o pervertito, ordinò un governo libero e onesto sul fondamento della dignità morale , dimostrandosi, con tutto ciò, veramente italiano (Savonarola, Roma, Formiggini, AF, Marchesi. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo vero mosso a quest’ultimo, che aveva sottolineato la continuità tra ebraismo e cristianesimo: Mi sono letto il profilo del Cristo gli scrive, contemporaneamente all’uscita di Gesz il Cristo di Buonaiuti,. un titolo che Labanca aveva esplicitamente rifiutato per il suo Gesg di Nazareth e ti confesso che non mi è piaciuto e che non piacerà. Non è il profilo del Cristo rispetto ai Farisei ma il profilo tuo rispetto a padre Gemelli e hai fatto senza volere un’apologia del fariseismo che non la meritava e hai fatto del povero Cristo uno scocciatore e tale forse non fu. Ho rimorso di aver fatto un corno al povero mio maestro Baldassarre Labanca, tu sai scrivere in modo meraviglioso, egli non sapeva scrivere ma nel suo ruvido libretto c’era pur qualche cosa che restava. in tasca a chi lo leggeva. Insomma se vieni ti parlerò di Dio, perché mi sento di poterti dare qualche utile consiglio ©. Per la loro destinazione e per lo stretto rapporto editore-autori che rivelano, i Profili risultano quindi una guida utilissima per seguire le tematiche allora più largamente diffuse e gli orientamenti politici e culturali della casa editrice: dal giudizio formulato da Felice Momigliano su Tolstoj subito dopo la sua morte che corrisponde a una diffusa lettura del romanziere e pensatore russo ( un distruttore ben pit radicale di Marx 4), a quello di FrLosini, che al presunto carattere della rivoluzione d’ottobre suppellettile d’importazione senza radici nella tradizione russa oppone l’ammonimento del suo biografato, Turgenev, a non prescindere: dalla nazionalità nella preparazione dell'avvenire della Russia ‘, fino ai mutamenti significativi che, da un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come nel Telesio di Troilo, che nella prima edizione si conclude con il rimprovero alla filosofia contemporanea di dare espressione al suo antiintellettualismo ricorrendo al pragmatismo che è solo un getto, un po’ morbido, del saldo profondo tronco antico del radicale empirismo Buonaiuti. 6 F. Momigliano, Leone Tolstoi, Modena, Formiggini, Losini, Ivan Turghenieff, Roma, Formiggini, presocratico , laddove nella seconda edizione del 1924 termina affermando che vedere nel pensiero del cosentino l’avvio del processo che sfocierà nella dialettica trascendentale kantiana è più legittimo che non fare di Bernardino Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto £. Anche in periodo fascista la collana cercò di mantenersi fedele all’ideale di equilibrio e di conciliazione di Formiggini: e se non mancarono concessioni alla retorica fascista, come nell’esaltazione del ricostruttore dello Stato sabaudo, Filiberto, fatta da Silva, Levi traccia un profilo di Romagnosi, il severo giudice dell’assolutismo il quale nella Scienza delle costituzioni ricordava Levi in pieno regime aveva affermato che la luce del vero e del giusto appartiene al genio onnipossente e beatificante della libertà, le tenebre dell’ignoranza appartengono al dèmone della tirannia, d’onde sorge la discordia e la distruzione degli Stati. Una cultura al di sopra della mischia Il breve e tormentato periodo del dopoguerra, fino al pieno affermarsi del fascismo, vide il massimo sviluppo dell’iniziativa di Formiggini, e il suo tentativo di allargare l’ambito di intervento dall’editoria a più ambiziosi programmi di organizzazione della cultura. Ma è proprio nel clima teso di questi anni, fortemente condizionato dal nazionalismo e poi dal fascismo, che egli subirà la più cocente delle sconfitte, la sconfitta di una utopia, di un ideale non ancorato a un preciso orientamento politico. Il capitano Formiggini aveva partecipato con entusiasmo alla guerra, momento di doveroso lavoro per tutti, ricorderà la moglie. Troilo, Bernardino Telesio, Modena, Formiggini; seconda edizione, Roma, Formiggini, Levi, Romagnosi, Roma, Formiggini, Formiggini Santamaria, La mia guerra, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo E la guerra non fece che rafforzare l’ideale di Formiggini di una Europa nuova , civile e fraterna , fondata sulla comunione di cultura tra i popoli, ma come presupposto per la sua piena realizzazione si fece sempre pit frequente in lui come in tanti altri intellettuali di fronte alla prima grande vittoria dello stato italiano la rivendicazione dei valori nazionali e patriottici (simboleggiati dai fregi classicheggianti di Adolfo De Karolis, già illustratore di Leonardo ed Hermes, contro il quale si scaglieranno in nome dello spirito popolaresco i giovani del Selvaggio ). L’insistenza su questi ultimi farà ben presto relegare in secondo piano l’ideale originario, e si tradurrà in un servizio reso alle forze che con maggiore coerenza puntavano ad una riscossa nazionale della borghesia italiana. Un eclettismo culturale fiduciosamente perseguito (ma di rado realizzato) e la mancanza di un netto orientamento politico furono infatti i motivi della sostanziale debolezza nonostante i successi iniziali delle ambiziose iniziative concepite da Formiggini al termine della guerra. Il suo sarà un destino analogo a quello della Rivista di filosofia , che si apriva con un Programma di lavoro in cui Bernardino Varisco rincorreva l’ideale di una suprema armonia tra gli stati le classi e le singole culture , fino a incontrare, per la sua genericità, il consenso di quel Gentile ? che poche pagine dopo, sulla stessa rivista, era duramente attaccato da Buonaiuti. Frutto del modo col quale Formiggini avverti le lacerazioni prodotte dalla guerra in campo internazionale, e della volontà di difendere e rafforzare anche sul piano spirituale l’unità nazionale pienamente conseguita sul terreno politico, sono il progetto, poi non attuato, di una collezione italiana di classici greci e latini i mostri classici Formiggini, Trenta anni dopo. Era una speranza formulata confusamente anche da Troilo, che pur non tralasciava l’occasione per lanciare una nuova accusa contro l’ idealismo assoluto, una vera e propria Metafisica di guerra (La conflagrazione. E storia dello spirito contemporaneo, Roma, Formiggini, G. Gentile, Guerra e fede, Napoli, Ricciardi, per i quali doveva finire il vassallaggio nei confronti della Germania e, soprattutto, il mensile L’Italia che scrive , forse la creatura più cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, agli albori di una età nuova , il periodico nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista bibliografica, ambizioni culturali più ampie, riproponendosi di registrare nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi nel nostro paese e di farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di quanti, in Italia o fuori, apprezzano e vogliono conoscere il lavoro intellettuale degli italiani . La struttura agile e articolata che sarà presa a modello dal Leonardo e da La Nuova Italia editoriale, profilo di un contemporaneo, inchieste su istituzioni culturali, recensioni, confidenze degli autori, spoglio di libri e articoli per argomento, libri da fare , eccetera fece ben presto affermare il mensile (che nei primi anni ebbe una tiratura non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a toccare le 30.000 ) come un esempio di quelle riviste-tipo che Gramsci catalogherà nel genere critico-storico-bibliografico : legata all’attualità e a carattere divulgativo, rivolta a quel lettore comune al quale non basta dare concetti storici, ma occorre fornire serie intiere di fatti specifici, molto individualizzati ?. E proprio Il grido del popolo segnalò la vivace, varia rivista di Formiggini uno dei più giovani ed intelligenti industriali italiani del libro come quella che prometteva di diventare un ottimo ed utilissimo strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e la cui mancanza era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del nostro paese, della Formiggini, Trenta anni dopo Sulla funzione attribuita ai classici di mantenere vivo il senso di continuità col passato e nello stesso tempo contribuire a un compito di rinnovamento nazionale , richiama l’attenzione A. La Penna a proposito di una successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi sulle letterature classiche in Italia, Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della cultura italiana, Firenze, Sansoni, Formiggini, Trenta anni dopo, Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo poca diffusione dei libri e quindi delle idee, della nostra spaventosa impreparazione spirituale . Prefiggendosi il compito di armonizzar le varie correnti della cultura nazionale perché potessero concorrere al fine comune della valorizzazione nel mondo dell’attività intellettuale italiana , Formiggini sostenne anche nel momento della sua sconfitta che un giornale editoriale nazionale non può essere che un giornale eclettico , contro il consiglio di Ettore Romagnoli di avere un partito, essere con qualcuno o contro qualcuno . Ma, nonostante l’idealizzazione della capacità unificante di una cultura al di sopra delle parti nel marzo 1917 Formiggini aveva offerto la condirezione della rivista a Prezzolini che stava per assumere un'iniziativa analoga, ma che rifiutò l'invito perché, rispondeva le nostre concezioni differiscono ancora troppo , le scelte de L’Italia che scrive furono fin dall’inizio precise: pedagogia con Emilia Formiggini Santamaria e filosofia con Tarozzi e Troilo, il quale dedica un ritratto ad Ardigò in cui riafferma la funzione storica, tutt'altro che esaurita, del positivismo con maggior convinzione di quanto non facesse nello stesso momento sulle pagine della Rivista di filosofia ; storia con Pietro Silva autore di un commosso ritratto di Salvemini mazziniano per l’alto idealismo che informa la sua propaganda, e per la sua fede nel progressivo cammino dell’umanità verso la giustizia, con Barbagallo che traccia i profili di Ferrero e di Ciccotti e informa sulla Nuova rivista storica da lui diretta, Falco ed Michel. Un largo spazio è accordato agli argomenti scientifici trattati da Mieli, Almagià, Timpanaro, Vacca, e soprattutto ai problemi religiosi, ove l'intervento di Formiggini è spesso Il grido del popolo. A.F. FOGnIEziol, La ficozza filosofica del fascismo, cdiretto ®, e di cui si occupano Turchi, Pincherle e con particolare frequenza, fino al 1926, Ernesto Buonaiuti, autore di rassegne su riviste di cultura religiosa e di inchieste su istituzioni culturali, di articoli sul neotomismo o sull’insegnamento della religione nella nuova scuola, e di recensioni tanto sferzanti da essere richiamato all'ordine dal direttore della rivista @. Ma è da notare anche, nel settore politico-culturale, la presenza dell’antigentiliano Tilgher e di un altro collaboratore de Il Mondo oltre che de La Rivoluzione liberale , Mario Ferrara, autore dei ritratti di Turati, Treves e Salandra, e quella di Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei suoi interventi: nel maggio del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel dicembre del 1922 vede in Gentile il creatore della filosofia delle filosofie e colui che ha immedesimato lo sviluppo della coscienza nazionale con lo sviluppo della speculazione nazionale . Ma questa che Formiggini defini l’apologia di Gentile che ha avuto più larga eco in tutto il mondo , non salverà l’editore modenese dall’attacco del nuovo ministro della pubblica istruzione, verso il quale la rivista aveva mantenuto fino ad allora un critico distacco. 81 Presentando sul primo numero della rivista le recensioni alle discipline critico religiose , affermava: poiché la terribile prova spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la bufera [della guerra], una revisione immancabile dei valori su cui era poggiata la nostra vecchia vita etica, noi possiamo essere sicuri che le indagini consacrate a rintracciare il corso storico della vita cristiana nel mondo avranno una fioritura insperata e diverranno fattore notevolissimo di una coltura veramente nazionale ( L'Italia che scrive Formiggini faceva rilevare a Buonaiuti che alcune sue recensioni non rispondevano né per misura né per intonazione a quell’ideale sereno a cui vorrei che si ispirasse L’Italia che scrive. Dovresti perciò, per non mettermi in un imbroglio spirituale, recensire quelle opere che si riferiscono alla storia del cristianesimo come scienza e tralasciare quelle che possono darti adito a sfogare i tuoi sentimenti politici o la tua passionalità religiosa (AF, Buonaiuti). L'Italia che scrive Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo La sconfitta di un'illusione e una tenue resistenza Il programma de L’Italia che scrive di essere specchio fedele della intellettualità italiana si scontrò infatti con l’ intolleranza gentiliana quando Formiggini cercò di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per la diffusione della cultura italiana. I suoi propositi si erano saldati con le prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la propaganda all’estero e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart: chiamato a far parte della commissione per la proganda del libro italiano all’estero nell’ambito della quale propose la pubblicazione di Guide bibliografiche per materie dove uscirono, fra l’altro, la Geografia di Roberto Almagià e i Narratori di Luigi Russo, Formiggini stabili i contatti politici necessari a lanciare un’impresa l’Istituto per la propaganda della cultura italiana, poi Fondazione Leonardo che doveva rappresentare non l’ultimo atto dell’Italia in guerra, ma il primo dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con onore vorrà, senza invidia delle altre nazioni, mettere in valore equamente il contributo non trascurabile e finora trascurato che essa ha portato, anche negli ultimi decenni, al progresso del sapere Abbiamo visto come l’iniziativa passasse nelle mani di Gentile. Invano Formiggini lodò Croce per aver denunciato la balordaggine di chi vorrebbe istituire una filosofia di stato e denunciò la marcia sulla Leonardo di Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto l’idea di una Grande enciclopedia italica l'editore modenese cercherà di realizzarla per suo conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali e, in particolare, di Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo patrimonio erano desti Formiggini, Trenta anni dopo, L’Italia che scrive , Dalle lettere Buonaiuti appare impegnato a redigere il piano generale della formigginiana Enciclopedia delle enciclopedie; ne usciranno soltanto i volumi I, Economia domestica; turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena, Formiggini e II, Pedagogia, Modena, Formiggini, quest’ultimo coordinato da Fornati ad essere assorbiti, nell’Istituto nazionale fascista di cultura, rassegna mensile della coltura italiana pubblicata sotto gli auspici della Fondazione Leonardo diventava, il Leonardo diretto da Prezzolini al quale l’anno successivo subentrerà Luigi Russo ed esemplato su L’Italia che scrive con un contornetto (si capisce) di 4ff0 puro, se no il cataclisma non avrebbe avuto ragion d’essere , osservava Formiggini che ruppe con Prezzolini riaffermando in pubblico, e in una lettera privata a lui i propri ideali: Voialtri attualisti avete innegabile dottrina, robusto ingegno, e disponete della forza formidabile di quel partito che giudicaste cosî aspramente prima che esso subisse in pieno la vostra influenza nefasta. Voi godete ormai persino di una insperata agiatezza che non vi invidio. Io non ho né dottrina, né ingegno, né forza politica. Lavoro per passione e per una esasperata volontà di bene e il lavoro mi costa tutta la sostanza e mi costringe ad una vita sobria. Ma ho qualche cosina che voi non avete: il cuore. La parola umanità vi fa ridere, e sarà l’umanità a fregarvi®9. Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa tutta la carica etica di una battaglia culturale ma anche, nella confusione del giudizio sul fascismo, i limiti di una sua traduzione sul terreno politico. Tracciando un doloroso bilancio della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia in un invito alla conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento morale di Limentani: soprattutto di pace c’è bisogno oggi. Occorre che l’uomo ritrovi nell’uomo il proprio simile e che ciascuno rispetti nell’altrui dignità la propria. Quella di Formiggini può essere considerata una vicenda esemplare, da un lato, dei modi e dei tempi con i quali il fascismo procedette all’accaparramento delle istitu miggini Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono un'impronta antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco L’Italia che scrive AF, Prezzolini. L'Italia che scrive , Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo zioni culturali esistenti per acquisire un consenso sempre più vasto e, dall’altro, delle reazioni degli intellettuali di fronte al tentativo fascista di utilizzarli. L’insidiosa politica di conciliazione affidata dal fascismo a Gentile, e la stessa dichiarata assenza di una cultura fascista , aprirono facili varchi al consenso presso molti intellettuali senza precisa collocazione politica o portati a distinguere nettamente la politica dalla cultura e, spesso, a privilegiare quest’ultima per le loro scelte. Ma, proprio per questi stessi motivi, non sarebbe nemmeno corretto considerare come incondizionato il consenso cosî estorto, o vederlo come un blocco uniforme senza incrinature fin dall’inizio, al cui interno non permanessero adesioni esteriori o ambigue capaci di ribaltarsi, attraverso maturazioni personali, dove il comportamento politico immediato era contraddetto dal legame con una cultura che voleva mantenersi in qualche modo autonoma. In questo quadro sono collocabili molti collaboratori della casa editrice e lo stesso Formiggini, che in nome del suo antico ideale di fratellanza pubblica un pungente pamphlet antigentiliano nel quale il giovane cattolico Carlo Morandi riconosceva il coraggio e la schiettezza di una difesa . Giustificando il proprio intervento polemico contro la marcia sulla Leonardo , Formiggini scriveva ne La ficozza filosofica del fascismo di avere reagito per legittima ritorsione e per il pericolo d’ordine generale che ci sarebbe per la cultura italiana se l’assurdo di una dittatura e di una tirannide dottrinale dovesse farsi piede nel nostro paese . Ma i limiti della sua impostazione non si rivelano soltanto nella contrapposizione fra il ruolo di armonizzatore di varie correnti culturali, da lui impersonato, e quello di Gentile capo partito o nella riduzione dell’attualismo a una semplice moda filosofica dai larghi consensi e di Gentile a un giocoliere di idee , bensi anche nel giudizio sulla filosofia gentiliana vista come una fortuita e non felice escrescenza [ficozza in roma 9 Studium nesco] del fascismo . La distinzione operata da Formiggini è netta: da un lato gli attualisti, sostanzialmente estranei ed equidistanti sia dal fascismo che dal nazionalismo che si sono assunti ix foto il problema culturale di un movimento puramente politico , dall’altro il fascismo che, come scriverà anche in seguito, nelle sue prime manifestazioni, non negò affatto i diritti dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento energico dell’ordine sociale che era stato scosso. Nulla di strano che dei cittadini liberi vedessero questo movimento con simpatia. Il mescolare il sapere con la politica è per noi cosa delittuosa , affermò Formiggini motivando il suo rifiuto di sottoscrivere il manifesto Croce, pur firmato da molti collaboratori della casa editrice ; l’unica condanna esplicita di fascismo e attualismo, uniti sul piano morale, fu formulata sulle pagine de L’Italia che scrive in occasione della crisi Matteotti, in un articolo significativamente intitolato La filosofia del manganello in cui, dopo aver ironizzato su Mussolini egli sa di filosofia e di pedagogia qualche cosa meno di una vacca spagnuola Formiggini affermava che per il fascismo la delusione più amara fu quella di non aver potuto trovare una teoria morale che ne giustificasse i metodi e si comprende quanta riconoscenza sentisse per il moralista di professione che, applicando il suo visto: si manganelli agli atti violenti del fascismo, dava a questi una sanatoria di incalcolabile valore . In realtà, una sia pur tenue difesa dalla scaltra politica di conciliazione di Gentile e del fascismo verso gli intellettuali poteva essere consentita da iniziative che si propoFormiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Il libro non ci sembra quindi, per la sua distinzione tra politica e cultura, uno dei primi e più caustici pamphlets contro il fascismo , come è apparso a R. De Felice (Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, c L’Italia che scrive , Formiggini, Parole in libertà, cCome è falso che gli ebrei costituiscano una razza, è anche falso che abbiano una loro forma mentis che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente alle forme politiche cosi dette totalitarie. L'Italia che scrive , L’Italia che scrive Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nessero come apolitiche, ma fossero aperte a intellettuali accomunati dall’opposizione alla filosofia del manganello . Fu questo il caso, denso di compromissioni e contraddizioni profonde, di Formiggini, che dopo la polemica antigentiliana sembra non desiderasse discostarsi dall’ideale di equidistanza e di armonia perseguito in passato. Cominciano ad apparire le Apologie che al posto delle religioni costituite intendevano valorizzare il sentimento religioso in astratto, come quello che può fare l’umanità migliore e più fraterna , e che annoverarono, accanto a quelle dell’ebraismo di Dante Lattes e del cattolicesimo di Buonaiuti (provvista ancora dell’imprimatur ecclesiastico nella seconda edizione poco prima della scomunica del marzo, quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e del positivismo di Tarozzi, il quale affermava che la posterità prossima e lontana non vedrà fra l’idealismo e il positivismo, specialmente italiani, quella divergenza assoluta e totale che oggi apparisce per la violenza della polemica. Nella collana delle Medaglie , brevi profili di contemporanei all’elogio di Mussolini ( una forza venuta nel momento storico opportuno ) scritto da Prezzolini , Levi opponeva quello di Turati, esaltato nonostante l’autore dichiarasse all’editore di essere stato molto sobrio negli accenni all’ora presente per la probità della sua coerenza, la coerenza della sua probità Con questa forza, che ignora, che sdegna i funambolismi di tutte le demagogie, ma ha il coraggio e la pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più o meno effimere fortune o dittature personali, ma si squadra almen qualche pietra per costruzioni destinate alla storia !°, Co Formiggini, Trenta anni dopo,124. anche il giudizio di Vida, Apologie religiose, in La Cultura , ITarozzi, Apologia del positivismo, Roma, Formiggini, Prezzolini, Benito Mussolini, Roma, Formiggini, Levi, Turati, Roma, Formiggini, Levi si adoperò anche per la diffusione del volumetto: duecento ne hanno prese di copie, in attesa delle immancabili bastonature gli eroici lavoratori di Molinella, che riscattano col loro contegno di fierezza la vile acquie si, accanto al D'Annunzio di Antonio Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini dedicava nel 1925 un ritratto ad Amendola che, nonostante l’elogio del suo coraggio fino al rischio della vita e le successive proteste di equanimità dell’autore !, si rivelava impietoso e cinico: costringendolo a tacere nel parlamento, restituendolo al giornalismo militante e all’opposizione attiva [il fascismo] gli ruppe quella specie di ingessamento parlamentare, che pareva averlo stretto e immobilizzato entro le formule e gli interessi di Montecitorio !. E la collana Polemiche presentava insieme alle Battaglie giornalisti che del teorico del governo dei migliori , Mussolini, Je Invettive di Marat, il teorico del governo dei molti . Con questa sorta di do uf des si parlava comunque di uomini politici e personaggi storici invisi al fascismo, pur con quell’ambiguità che è la nota caratteristica anche di molti giudizi apparsi ne L’Italia che scrive . È sintomatico ad esempio che La libertà di Stuart Mill pubblicata da Gobetti con la prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata come opportuna non solo per gli avversari della libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di oggi , o che, mentre La rivoluzione liberale era giudicata programma di ardimento morale della borghesia , come un violento spalancar d’usci all’irrompere di una nuova coscienza proletaria e il ritratto di Matteotti una vita esemplare della Rivoluzione liberale , nell’annuncio della morte di Gobetti il giudizio sul suo anelito di ritrovare e d’imporre un fondamento etico al pensiero in tutte le sue espressioni sia limitato da quello sulla sua cultura, costruita su basi filosofiche e storicistiche un po’ astratte, per quanto profonde, che lo allontanarono dal veder la vita scenza del popolo italiano , scriveva a Formiggini (AF, Levi). Prezzolini affermerà di aver scritto la biografia di Mussolini solo a patto che il Formiggini ne pubblicasse anche una dell’Amendola. Prezzolini, Amendola e La Voce , Firenze, Sansoni,Prezzolini, Giovanni Amendola, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nella sua complessa realtà effettiva e gliela fecero giudicare per schemi e teorie . E in settori più strettamente culturali, mentre Finzi divenuto collaboratore assiduo del periodico considerava interessante l’interpretazione marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e verità, dal Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli col quale finalmente anche in Italia si comincia a studiare seriamente il movimento operaio come fatto storico, all’infuori di ogni preoccupazione di propaganda politica si traeva motivo per mettere in luce l’azione insidiosa di Carlo Marx che si sarebbe servito dell’anarchico russo per gettare i primi germi malsani onde poi in Italia, unica tra le grandi nazioni, il socialismo nasceva e cresceva colorito di quell’antipatriottismo che doveva essergli fatale durante e dopo la grande guerra !°. Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi che richiederebbero tuttavia un discorso a parte di alcuni collaboratori della rivista provenienti dalle file del socialismo. Bisognerebbe poter seguire tutte queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a ex socialisti come l’Andriulli , notava Gramsci ' a proposito della recensione di quest’ultimo al volume di Bonomi su Bissolati, uscito a Milano presso ere ma originariamente proposto dall’autore a Formiggini Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto l’impressione recente della disfatta prima morale che politica del socialismo italiano scriveva l’ex collaboratore de La Difesa Andriulli, e con semplicistica generalizzazione pensa ad esso come ad una delle forme di maggiore aberrazione della vecchia Italia prebellica. Eppure, L'Italia che scrive , Gramsci. ts Il libro è... purgatissimo scriveva Bonomi Il fascismo non esisteva ancora durante l’attività politica di Bissolati, il quale gode non so se goda veramente...! le simpatie fervidissime dei fascisti cremonesi e anche quelle del Duce che inaugurò con un discorso nel 1923 una lapide in memoria di lui . Ma Formiggini, che già nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al fascismo di Bonomi, non aveva potuto accettare l'offerta anche se gli scriveva un libro scritto da lei non può essere che interessantissimo e tale da non procurare fastidi a chi lo pubblicasse (AF, Bonomi).solo che si pensi come il socialismo italiano è stato la grande matrice di tutti i movimenti rinnovatori del tempo nostro non esclusi né il nazionalismo né il fascismo si sarà tratti a sospettare che ben altro fenomeno che non quello apparso nell’ultimo ventennio deve essere stato il partito socialista italiano, e che soprattutto esso deve essere stato una grande forza ideale se ebbe tanta virtà espansiva da diffondersi rapidamente non solo nelle classi operaie ma in una gioventù intellettuale generosa e disinteressata e da permeare di sé per un quarto di secolo la vita italiana. Dove l’antica milizia politica del recensore, approdato ciecamente alla rivoluzione fascista, è rivelata dal richiamo alla forza ideale del partito e non solo all’efficacia pratica del movimento socialista, come nell’interpretazione di un Gioacchino Volpe e dalla considerazione finale sul fatto che avrebbero letto il libro con un senso di soddisfazione specialmente coloro che, avendo a quel socialismo consacrato i primi entusiasmi giovanili, anche dopo aver seguito opposte vie non sanno rinnegare la loro disinteressata giovinezza. Apparentemente pit distaccate, ma sempre puntuali e pronte a sottolineare il valore della persona umana, sono le recensioni di argomento filosofico e giuridico con un interesse precipuo per i rapporti Stato:chiesa di un altro socialista, Alfredo Poggi, che da Critica sociale e dalla Rivista di filosofia passa in questi anni al gruppo di Pietre , per poi rispuntare come responsabile del partito socialista subito dopo 1°’8 settembre, e che collabora assiduamente a L’Italia che scrive fino all’ anno in cui fu denunciato e arrestato per antifascismo. E mentre Rensi, al termine del viaggio dal socialismo idealista allo scetticismo, insiste in un profilo di Spinoza sui limiti dello stato di fronte alla libertà di pensiero dei cittadini, sul suo dovere di non comandare cose che urtino le leggi della natura umana al coordinamento perfetto di autorità e libertà, alla determinazione cioè della misura di libertà che l’autorità deve concedere appunto per poter essere e conservarsi autorità quale indicata da Spinoza, anche oggi potrebbe forse essere rivolto util L'Italia che scrive Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo mente lo sguardo !, sulla rivista faceva una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una recensione, giudicata notevole e acuta da Gramsci, che costitui una delle poche stroncature del Superamento del marxismo di De Man pubblicato da Laterza, di cui si metteva in luce lo psicologismo incapace di contrastare realmente il marxismo e di spiegare i fatti storici. Sono pochi esempi che sarebbe errato sopravvalutare, considerata anche la sempre minore incisività della casa editrice, che di lî a poco accuserà duramente i contraccolpi della grande crisi. Essi indicano tuttavia, accanto a un’estrema confusione, la esistenza di dubbi e di una prima presa di distanza non solo culturale, nella quale certezze sempre coltivate si incontrano con altre maturate di recente. Attorno a Formiggini troviamo uomini emarginati dal fascismo, come prima erano stati emarginati dall’idealismo: anche attraverso questo canale passa quindi una cultura, seppure minore, che non si riconosce in quella ufficiale del regime. Le scelte di venti anni prima dimostrano una loro tenuta anche dopo l’avvento del fascismo, pur dovendo nascondersi tra le righe di una rivista bibliografica o sotto il più antico degli espedienti mimetici. Al linguaggio degli animali ricorre infatti un amico di vecchia data dell’editore modenese, forse il più caro, Concetto Marchesi. Conosco le tue vicende: e perciò ti ho voluto bene , gli scrive Marchesi. Le lettere dell’intellettuale comunista all'editore che ha sempre aborrito la politica gettano luce sull’antifascismo del primo e sull’ironico distacco dalla realtà del secondo, non alieno tuttavia dal gioco dell’allusione politica. Le Favole esopiche il tuo più che mio, Esopo , scrive il curatore escono con una prefazione in cui Marchesi si sbizzarrisce a capriccio; e non ci sarà niente da ridire perché siamo nel mondo fantastico delle bestie !, inserendovi un ri Rensi, Spinoza, Roma, Formiggini, L’Italia che scrive , Gramsci, Marchesi. Per la figura politica di Marchesi la mia voce in F. Andreucci - T. Detti, Il movi cordo autobiografico sul periodo del primo arresto, studente socialista: ‘odiavo la macchina, l’ornamento civile del nostro tempo. La macchina era per me, allora, lo strumento maledetto onde la ricchezza dei pochi si era impadronita di tutte le povere braccia della terra: era il vortice metallico in cui la miseria del mondo precipitava per farne uscire torrenti di oro e di sangue, a ristoro della superbia e dell’avarizia. Si chiariscono cosi in tutta la loro ironia, per acquistare valore di impegno civile, le parole con le quali Formiggini si rivolgeva al lettore nella nota che apre il volume: se tu leggerai questa versione del magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre sinuosità della sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti parrà di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario !°. mento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, ed E. Franceschini, Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto, Padova, Antenore, In una lettera Rossi commentava dalla galera fascista la notizia del suicidio di Formiggini, con parole che ci sembra possano riassumere tutta la sua esperienza: Pare ci sia una vera epidemia di suicidi. Quello che a me ha fatto più impressione è stato il suicidio del vecchio Formiggini. Aveva fatto per l’incremento della cultura italiana più di quanto hanno fatto molti illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri Eterni. Lui non aveva mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative editoriali eran sempre intelligenti e di buon gusto. La collezione dei Classici del ridere era la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea, della sua serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto molto che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di chierico della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli uomini quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su cui poggiare i piedi. E lui era vecchio ed era sempre rimasto estraneo il più possibile alle lotte della politica, vivendo solo fra i suoi libri e per i suoi libri (E. Rossi, Elogio Ft ia Lettere, a cura di M. Magini, Bari, Laterza, I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi Il futuro verrà da un lungo dolore e un lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e smarrimento che sia umiltà, la scoperta insomma di nuovi valori, un nuovo mondo (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere) 1. Iniziative editoriali negli anni 30 Il problema della formazione della cultura post-fascista, quale si venne elaborando non nell’antifascismo dell'emigrazione, ma nell’Italia degli anni ’30 e a cavallo della seconda guerra mondiale, non è stato ancora affrontato con puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti in presenza di uno iato assai profondo fra le ricerche su intellettuali o riviste del ventennio, che culminano nell’esperienza di Primato , e alcuni sondaggi sulla cosiddetta ideologia della ricostruzione del dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due momenti si traduce, ovviamente, in carenze interpretative, che si manifestano in tesi troppo rigidamente contrapposte, sia che insistano ma con sempre minore frequenza sugli elementi di rottura , sia che sottolineino, in negativo o in positivo, quelli di continuità tra fascismo e post-fascismo. La questione è certo assai complessa, ma non può essere risolta dando credito a improvvise conversioni di coscienze indivi. duali, né applicando ad esempio a Cantimori il nicodemismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricorrendo alle categorie del trasformismo o del populismo degli intellettuali, senza tener conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la posizione degli intellettuali e le trasformazioni sociali e politiche del paese. La complessità del problema storiografico, è necessario riconoscerlo, corrisponde alla complessità del processo storico reale, a un aspro scontro politico e culturale insieme che non solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le varie correnti dell’antifascismo italiano, con quegli elementi di incertezza e di contraddizione di fronte all’idealismo che ricorderà anche Togliatti !. E, pur ammettendo l’esistenza di differenziazioni culturali che si vanno manifestando in particolare con l’inizio della guerra di Spagna, non possiamo prescindere dal forte condizionamento, culturale e politico, esercitato dalle istituzioni del regime, che raggiunsero il punto pit alto di consenso, almeno formalmente, nei primi anni di guerra, quando vediamo Salvatorelli e Omodeo collaborare all’ISPI, o Cantimori al Dizionario di politica del Pnf ?. Se queste collaborazioni non significavano automaticamente, da un punto di vista soggettivo, adesione alla politica del regime, non bisogna tuttavia dimenticare che come aveva osservato Volpe il loro colore era dato, agli occhi dei lettori e indipendentemente dai riposti pensieri degli intellettuali, non tanto dai contenuti, quanto dalla veste ufficiale in cui questi apparivano . Spesso, inoltre, collaborare alle iniziative del regime poteva spiegarsi con l'illusione di una apoliticità della cultura, la cui difesa può aver costituito per alcuni intellettuali una tappa importante per cominciare ad allontanarsi dal fascismo, senza essere, per questo, indice di un antifascismo già maturo politicamente. È infatti solo sotto la veste culturale che è possibile rinvenire, nell’Italia, il tentativo di differenziarsi dall’ideologia del regime, anche se con il rischio, come osservò Marchesi a proposito dell’università, di chiudersi nella indifferenza poli 1 il suo intervento alla commissione culturale nazionale inTogliatti, Le politica culturale, a cura di L. Gruppi, Roma, Editori Riuniti, Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea ,Volpe rispose in fatti a Rosselli, a proposito dei collaboratori della Rivista di storia europea vagheggiata da quest’ultimo, che bisognava essere ben certi che è la rivista a dar loro il colore desiderato, e non viceversa (cit. in Rosselli. Uno storico sotto il fascismo. Lettere e scritti vari, a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze, La Nuova Italia, Le origini della casa editrice Einaudi tica e morale ‘. Il significato politico di una scelta culturale va quindi verificato caso per caso, guardandosi dal tradurre immediatamente in consapevolezza politica una cultura che non si riconosce in quella ufficiale del fascismo. Per questo preferiamo parlare di limiti del consenso piuttosto che di antifascismo : termine e categotia che non è certo da escludere e allora occorrerà precisarne meglio le caratteristiche, ma che per singoli intellettuali o per imprese culturali collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con estrema cautela sotto il regime, può prestarsi a frettolose retrodatazioni di prese di coscienza che acquistarono spesso peso politico solo con la guerra o dopo il 25 luglio 1943, e che può comportare un giudizio altrettanto generico del termine avalutativo di afascista troppo frequentemente usato per qualificare, come fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici. Queste cautele ci paiono necessarie anche nello studio di una casa editrice come quella di Giulio Einaudi che, centro di attrazione di aderenti a Giustizia e Libertà, di azionisti e poi di comunisti, all’indomani della Liberazione potrà vantare i maggiori meriti antifascisti, tanto da fiancheggiare la politica del PCI che le affiderà la pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste sue caratteristiche di punta , comunemente accettate tanto da farne ritenere meno interessante l’analisi, in quanto anticonformista e antifascista fin dalla nascita, per la presenza di Pavese e di Ginzburg, che la scelta di studiare questa casa editrice ci è parsa particolarmente significativa per verificare al massimo , nei punti più alti, i limiti del consenso al regime, e gli elementi di continuità o di rottura tra fascismo e postfascismo. Un'indagine del genere dovrebbe tener conto, oltre che dei condizionamenti oggettivi propri di un’azienda economica e di un’iniziativa culturale rivolta al pubblico 4 C. Marchesi, Fascismo e università (1945), ora in Umanesimo e comunismo, a cura di M. Todaro-Faronda, Roma, Editori Riuniti, Cosî Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, sotto il regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa editrice si riproponeva, anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo conosciamo solo la ristretta élite dei recensori, pur assai significativa, se pensiamo che fra i giudizi favorevoli alla produzione storiografica meno conformista di Einaudi spiccano quelli della Nuova rivista storica che negli anni ’30, sotto la direzione di Luzzatto, veniva anch’essa configurandosi come centro di aggregazione di intellettuali operanti ai margini del regime. Gli obiettivi dell’editore torinese sono ricavabili, ma solo parzialmente, dal carteggio con i collaboratori, a differenza di Formiggini, che fino al 1925 poteva esporre pubblicamente i suoi programmi e le sue proteste; per le testimonianze esterne le carenze sono invece comuni, anche se su Einaudi il ricordo di Ambrogio Donini la sua attività editoriale, appena agli inizi, si andava già orientando, tra difficoltà e persecuzioni di ogni genere, verso temi nazionali e interna. zionali atti a staccare l’Italia dal disastroso clima di provincialismo in cui si esaurivano le energie dei suoi giovani studiosi concorda con il giudizio di Cantimori, che in lui vedrà l’inventore dell’editore come educatore. In assenza di un campione di lettori, bisognerà chiedersi, almeno fino alla caduta del fascismo, come un eventuale lettore poteva accogliere i messaggi culturali forniti dalla casa editrice, e se questi erano traducibili politi. camente; tenere presente, inoltre, il panorama pi generale dell’editoria italiana, o almeno delle case editrici meno aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove ciò sia possibile, data la mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di testimonianze. Pur nella loro parzialità, anche queste ultime possono essere indicative di alcune linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà come, contrario a stabilire un difficile e pericoloso collegamento con gli antifascisti all’estero, egli 6 Sulla Nuova rivista storica A. Casali, Storici italiani tra le due guerre. La Nuova rivista storica Napoli, Guida, Prefazione aRobotti, La prova, Bari, Leonardo da Vinci, Cantimori, Conversando di storia, Bari, Laterza, avesse sostenuto la necessità di alimentare la formazione ideologica dei giovani con i libri disponibili in Italia, e indicherà le case editrici più utili a questo scopo in Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli Elementi di un'esperienza religiosa (editi da Laterza), che fu in con-. tatto anche con Einaudi, citava fra i testi di Guanda un editore particolarmente attento alla tematica religiosa quelli di Martinetti, Tilgher e Rensi, espressione di un filone spiritualista, critico dell’ottimismo storicistico, che si ritagliò un ampio spazio editoriale nella crisi di valori. Le iniziative a carattere religioso ebbero certo una maggiore libertà di azione, come testimonia la fondazione della Morcelliana !°, ma probabilmente, a differenza della politica di stretto controllo usata nei confronti della stampa periodica, il fascismo lasciò un certo grado di autonomia a tutto il settore editoriale che si rivolgeva a un pubblico più ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e comportava quindi minori pericoli, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la Federazione nazionale fascista dell’industria editoriale, il cui presidente, Franco Ciarlantini, lamentando la crisi del libro, inviterà il governo a misure di controllo sulle piccole iniziative private, e a un’opera di promozione economica e morale ; ma la censura dei libri non fu condotta con criteri precisi, e rimase affidata alla discrezionalità dei prefetti anche quando essa passò, nel 1935, dalla competenza del ministero dell’Interno a quella del ministero per la Stampa e la propaganda, mentre la Commissione per la bonifica libraria, concentrò la sua attenzione sui testi di autori ebrei !!. Ed è forse questa parziale autonomia che spiega come nel corso degli Capitini, Antifascismo tra î giovani, Trapani, Célèbes, 1 Morcelliana Humanitas Brescia, Morcelliana, BaroneA. Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in Italia, Milano, Mazzotta, Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Milano, Ceschina, Cannistraro, Le fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, prefazione di R. De Felice, Bari, Laterza, tanti intellettuali tendano a divenire organizzatori di cultura attraverso l’editoria: accanto alle edizioni collegate a riviste, e agli effimeri tentativi di Domenico Petrini con la Bibliotheca editrice di Rieti o di Carlo Pellegrini con la Taddei di Ferrara, vediamo che nel 1926 viene fondata da Elda Bossi e Giuseppe Maranini La Nuova Italia, che nel 1930 passerà a Firenze sotto la direzione di Codignola, nel 1927 la Slavia dell’ex sindacalista rivoluzionario Alfredo Polledro, nel 1929 la casa editrice di Valentino Bompiani, formatosi alla Mondadori; e, mentre Gentile, già direttore di due collane, filosofica e storica, presso Le Monnier, assume la direzione della Sansoni trasformandone rapidamente il catalogo secondo il proprio orientamento culturale e politico !?, due intellettuali antifascisti di diversa matrice ideologica, Franco Antonicelli e Rodolfo Morandi, trovano nell’editoria uno strumento per tentare di allargare i sempre più stretti confini culturali del paese: il primo si associa con il tipografo Carlo Frassinelli per proporre testi della letteratura straniera contemporanea, il secondo con l’editore Corticelli per far conoscere La rivoluzione francese di Mathiez o il Napoleone di Tarlè, e far riflettere sulle esperienze di nuove realtà politiche, come la Cina e l’Unione Sovietica . È in questo contesto che si colloca, alla fine del 1933, la fondazione della Einaudi da parte di un nucleo originariamente ben definito di intellettuali, molti dei quali aderenti a Giustizia e Libertà, la cui opera culturale ha quindi larvati risvolti politici, che imporrebbero un confronto puntuale con alcune delle case editrici che si sono presentate, all'indomani della Liberazione, con una patente antifascista. Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della cultura italiana, Firenze, Sansoni, Su Antonicelli editore che nel 1942 fonderà la casa editrice De Silva ( la sua testimonianza in Rinascita, Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, Torino, Cassa di Risparmio, Fubini, Il mestiere del letterato, in AA.VV., Su Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero Gobetti; un cenno all’attività editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, Laterza, Le origini della casa editrice Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai scarse e promosse da occasioni celebrative o fornite dai diretti interessati, pur offrendo utili spunti interpretativi, avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti. È il caso, ad esempio, di Laterza, de La Nuova Italia e di Bompiani. ‘ Nella casa editrice barese, durante il periodo della difesa eroica, Croce è stato scritto accolse anche chi era da lui lontano, e contribuf a preparare non pochi che, poi, scelsero posizioni a lui avverse. Sui libri che fece leggere agli italiani, con la collaborazione di Giovanni Laterza, si formarono cosi liberali come socialisti e comunisti, cosî idealisti come materialisti ; e, riprendendo il discorso, Garin ha individuato nelle opere uscite nel ventennio nella Biblioteca di cultura moderna l’accorta opera d’informazione unita alla difesa di una vocazione umana anteriore a ogni lotta o differenza di parte. Nei libri, a volte assai mediocri, di storici, filosofi, critici, economisti, offerti con una apertura eccezionale , c'è sotteso l’invito a non dimenticare mai quella dimensione umana che, pur nel divenire temporale e nelle dislocazioni spaziali, è capace di comprendere anche l’avversario. Che fu il valore di uno storicismo e di un umanismo tutt’affatto particolari, di una difesa della razionalità e della libertà, che in un’epoca intesa a celebrare l’hbomo bomini lupus ricordò costantemente il senso dell’homo homini deus !8. Giudizio che andrebbe, a nostro parere, sfumato, in quanto, se accanto a Omodeo, Russo o De Ruggiero, Croce accolse un Rodolfo Morandi, la linea generale della casa editrice fu orientata in un senso ben determinato che non si apriva a tutti gli avversari , come testimonia nel 1938 il commento crociano alla ristampa dei saggi di Labriola, 0, nel 1929-31, l'edizione de Il superamento del marxismo e La gioia del lavoro di De Man. Un discorso analogo può essere fatto per La Nuova Italia di Codignola: se è vero che fu centro di aggregazione di esponenti di rilievo del Partito d'Azione e che, col suo 14 E. Garin, La Casa editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana (1961), ora in Id., La cultura italiana tra ‘800 e ’900. Studi e ricerche, Bari, Laterza, 1963,170, e Id., Il mestiere di editore, prefazione al Catalogo generale delle edizioni Laterza impegno, insieme, di socialismo, di liberalismo rivoluzionario, di laicismo intransigente , contributi all’organizzazione del dissenso !, è necessario tuttavia non anticipare un orientamento politico che si venne delineando, e manifestando, a fatica e non senza contraddizioni, se pensiamo al persistente legame, ancora negli anni ’30, di Codignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato in senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del regime '‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia della propria casa editrice, pur riconoscendo il suo iniziale disimpegno ideologico , valorizza giustamente la scoperta, alla fine degli anni ’30, della letteratura americana, con Uomini e topi di Steinbeck e Piccolo campo di Caldwell, tradotti rispettivamente da Pavese e Vittorini, due libri che parlavano dell’uomo, della sua condizione e miserià, con diretto impegno sociale e politico . Ma come non riflettere di fronte al fatto che, mentre la censura interveniva duramente e con particolare ottusità '" come testimonia l'editore, lo stesso Bompiani proponeva nel 1940 al Ministero della cultura popolare un accordo per lanciare una Biblioteca essenziale dell’italiano , incentrata sui temi patria, religione, cultura, famiglia, fra i cui autori dovevano comparire Bottai, Bargellini e De Luca, costituita 15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976,XII; anche, oltre al ritratto di Ernesto Codignola tracciato da Garin, Intellettuali italiani del XX. secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974,137-169, gli interventi di E. Garin, N. Bobbio e T. Codignola in occasione del cinquantenario della casa editrice, ne Il Ponte Questi elementi sono ben messi in luce da S. Giusti, La ‘casa editrice La Nuova Italia 1926-1943, di prossima pubblicazione. . 17 V. Bompiani, Via privata, Milano, Mondadori, 1973,43, 143. 18 In un rapporto anonimo al duce del 26 giugno 1943 si diceva: Proprio nei giorni dei massacri di Grosseto, di Sardegna e Sicilia, l’editore Bompiani mette sfacciatamente fuori un mattonissimo intitolato Americana, antologia di scarso valore con prefazione di un accademico e traduzione di Vittorini; antologia condotta sui modelli dell’ebreo Lewis. E lo stesso Bompiani continua nelle stampe e ristampe di Cronin, Stein‘beck, ed altri, bolscevichi puri e in ogni caso perniciosissimi (AGS, Ministero della cultura popolare, b. 27, fasc. da alcune centinaia di migliaia di volumetti da diffondere nei centri con popolazione minore a 10.000 abitanti, distribuendoli ad esempio, a partire dal Natale di Roma , a tutti coloro che si sposano nel corso dell’anno, affermando cost il principio che non si deve costituire una famiglia senza avere in casa quei pochi libri che diano a un cittadino italiano la conoscenza e la coscienza della sua Patria ? ! Condizionamenti politici, autocensure, necessità economiche proprie di ogni casa editrice in quanto azienda industriale, costituiscono quindi il quadro entro il quale deve essere valutata anche l’opera della Einaudi, verificando puntualmente senza stabilire schematiche equivalenze la traducibilità politica dei suoi messaggi culturali. Con ciò non vogliamo disconoscere, in linea generale, quanto ha ricordato Giulio Einaudi il primo modo di sfidare il fascismo era quello di non parlarne mai, di fare come se non esistesse ?, anche se in qualche caso il fascismo si affaccia nella produzione della casa, né, quindi, negare la prospettiva in cui si muoveva l’editore, che era, come ha osservato Bobbio, quella di offrire alla giovane cultura torinese lo strumento più adatto e meno pericoloso dati i tempi per esprimere la propria voce, e di non lasciare svanire nel nulla la grande esperienza gobettiana ?. Si tratta piuttosto di misurare la possibilità o capacità di attuazione di questi propositi, di vedere se sono univoci o differenziati e contraddittori e, in questo caso, quali voci culturali politicamente significative predominano, e in quale periodo; verificare, infine, quali elementi di continuità o di rinnovamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo postbellico. La decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa editrice non è comprensibile se prescindiamo dall’ambiente torinese, sia quello rappresentato dalla Slavia di Alfredo 19 Ibidem. Alcuni testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia della patria di Piero Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi (Archivio della casa editrice Einaudi (d’ora in avanti AE), G. Einaudi). © N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, Polledro, che nella collana Il genio russo presentò per la prima volta in Italia traduzioni integrali alcune opera di Leone Ginzburg di Turgheniev, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, da cui attingerà in parte la collana einaudiana dei Narratori stranieri tradotti ; sia quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di educatore di Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di Antonicelli, Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de La Cultura passata sotto la direzione di Arrigo Cajumi. Un modello che Einaudi terrà presente fu la Biblioteca europea , diretta da Antonicelli, presso il tipografo Frassinelli, dal 1932 al 1935 quando fu arrestato, dove uscirono L’armata a cavallo di Babel, e, tradotti da Pavese, Moby Dick di Melville, Riso mero di Anderson e Dedalus di Joyce 2. Ispirandosi a Gobetti, l’editore ideale #, Antonicelli raccolse per primo le forze intellettuali torinesi che si erano formate sotto il magistero di Monti, ma in una prospettiva ancora liberale: Al di là di Croce non vedevo. I marxisti non sapevo cosa fossero , ricorderà più tardi, riconoscendo che le proprie convinzioni politiche erano maturate solo dopo la Liberazione . Da un innesto tra crociana religione della libertà e tradizione gobettiana partiva anche Ginzburg, il quale ebbe gran parte nella fondazione della casa editrice Einaudi . Ai numerosi interessi culturali dalla letteratura russa alla storia egli univa, a differenza di Antonicelli, un saldo impegno politico da quando aveva aderito, nel 1932, a Giustizia e Libertà. Noi non crediamo utile ai fini della lotta antifascista che ci si debba sottoporre a una specie di rinuncia intellettuale , scriveva sul periodico del movimento clandestino, dove invitò ad approfondire la proGobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici con icoRO ehe; a cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano, Scheiwiller, 24 F. Antonicelli, Le pratica della libertà. Documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974. Con un ritratto critico di C. Stajano, Torino, Einaudi, 1976,X-XI. 25 l'importante introduzione di N. Bobbio a L. Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi pria coscienza rivoluzionaria con la meditazione, lo studio, l’attività clandestina , a riflettere sulla visione gobettiana della rivoluzione russa e a studiare Cattaneo, scrisse assieme a Croce il famoso articolo contro la centralizzazione delle istituzioni culturali operata dal ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, e rivendicò come principale ragion di vita di Giustizia e Libertà il lavoro, d’organizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i suoi auspici #. E della sua capacità di mobilitare altre intelligenze dette atto nel dicembre 1934, pochi giorni dopo il suo arresto, Giustizia e Libertà : È uno dei pochi, anzi dei pochissimi, che in regime legale di fascismo riescono ad avere un pensiero e un'influenza sul pensiero degli altri 7. Mentre già nel 1930 Cajumi aveva pensato a una casa editrice espressione de La Cultura # alla quale Ginzburg collaborava dal 1929, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra l’ambiente torinese ed esponenti dell’ambiente fiorentino tra loro vicini, Nello Rosselli e il gruppo di Solaria . Rosselli, che stava cercando di varare una Rivista di storia europea di cui Ginzburg avrebbe dovuto essere gerente responsabile e coredattore, fu contattato per preparare un volume su Mazzini per la progettata Biblioteca di cultura storica ?; Alberto Carocci, il direttore di Solaria che per le difficili condizioni finanziarie della rivista stava già cercando l’appoggio di un editore per questa e le sue edizioni, entrò in rapporto, tramite Ginzburg, con Giulio Einaudi che alla fine di novembre del 1933 quando già, il 15 del mese, si era iscritto alla Camera di commercio di Torino come editore, pur rifiu 26 Ibidem, in particolare5, 16, 29. © Leone Ginzburg, Giustizia e Libertà , 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che il 6 novembre 1934 lo condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò come l’anima di GL a Torino (ACS, Ministero della giustizia e degli affari di culto. Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, fasc. 46489). 2 Ginzburg mi ha accennato a una Sua intenzione di formare una casa editrice la Cultura , scriveva Pavese a Cajumi il 27 settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966,241). 2 Nello Rosselli. Uno storico sotto il fascismo, in partico lare139 e 143-45, e AE, N. Rosselli TI fascismo e il consenso degli intellettuali tando la proposta di Carocci di trasformare Solaria in casa editrice, fece l’offerta, poi caduta, di rilevare la sola rivista, osservando che qualche volta sarebbe bene trattare qualche argomento non puramente letterario, ma che presenti interesse dal punto di vista sociale contemporaneo °: un’indicazione di lavoro che darà anche per La Cultura , e che testimonia quella volontà di impegno civile che in quello stesso anno era avvertita anche da Carocci. La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio quando un decreto prefettizio del 1934 metteva fine a Solaria , accusata di contenuto contrario alla morale per un numero che pubblicava una puntata de I garofano rosso di Vittorini: la rivista che si era rifugiata nella repubblica delle lettere accettando di convivere col fascismo, nell’illusione di conservare intatta l’autentica superiorità dell’intelligenza borghese, l’eredità lasciata dall’attivismo barettiano e dall’attendismo rondiano , terminava la sua vita proprio quando cercava, nel 1933-34, di impegnarsi ideologicamente, trasformandosi, come era nelle intenzioni di Carocci, in rivista d’idee , e quindi di discussione anche col fascismo . Forse non fu solo una coincidenza, se si pensa che gli intellettuali fiorentini si dimostrarono per il momento incapaci, come gruppo, di trasformare la letteratura in impegno. Sarà quanto tenterà di fare quella che un rapporto della polizia del marzo 1934 definiva una nuova casa editrice torinese la quale avrà il compito di diffondere pubblicazioni antifasciste abilmente compilate e attorno alle quali da ora in avanti si andranno raggruppando gli elementi antifascisti del mondo intellettuale , fra i quali si indicavano i senatori Francesco Ruffini e Luigi Della Torre, Luigi Einaudi e Nello Rosselli . Che fisionomia ha que 30 Lettere a Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979, passizz, e, per la lettera di Einaudi a Carocci del 30 novembre 1933,461. 31 G. Luti, Cronache letterarie tra le due guerre 1920-1940, Bari, TARA: 1966, in particolare96 e 127, e Lettere a Solaria Cit. in R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso Torino, Einaudi, 1974,115 n. Bottai, che durante la guerra 204 Le origini della casa editrice Einaudi sta Casa editrice? Quale programma si propone di svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E tu fino a che punto ci sei interessato? , scriveva Rosselli a Ginzburg : ad alcune di queste domande non saremo in grado di rispondere, in particolare a quella relativa al finanziamento della casa editrice, che provenne probabilmente da Luigi Einaudi, al quale è forse da attribuire anche una funzione di copertura politica all’iniziativa del figlio, come si può dedurre dalla marcata impronta conservatrice della prima collana, Problemi contemporanei . Ci limiteremo perciò, anche in assenza, prima del 1945, di dati sulle tirature e sulle vendite, a una storia prevalentemente interna della casa editrice, dedicando tuttavia particolare attenzione alle collane, ai volumi e ai temi culturali nei quali sia più facilmente ravvisabile un orientamento politico, nell’intento, indicato all’inizio, di verificare, oltre ai limiti del consenso al fascismo, se negli anni ’30 sono rinvenibili alcune delle matrici della cultura del dopoguerra. 2. L'ideologia conservatrice di Luigi Einaudi Le prime, cospicue forze della casa editrice furono raccolte tramite le due riviste di grande prestigio rilevate da Giulio Einaudi nel 1934, La Riforma sociale e La Cultura mentre resta eccentrica rispetto al nostro discorso La Rassegna musicale , che pur testimonia come fin dall’inizio l’editore cercasse spazi culturali differenziati. La Cultura , da cui la nuova impresa editoriale riprese come proprio segno distintivo il simbolo dello struzzo, costitui nella sua pur breve esistenza in veste einaudiana, il collegamento dei giovani sarà in stretto contatto con l’ambiente della casa editrice, giudicando antifascista la posizione espressa dal crociano Francesco Flora in Civiltà del Novecento pubblicato da Laterza nel 1933, osservava che Laterza è, insieme con Giulio Finaudi della Riforma sociale, uno degli editori italiani, che ignora che siamo nell’anno XII dell’Era Fascista (G. Bottai, Appelli all'uomo, in Critica fascista , XII (1934), n. 1,4). Rosselli. Uno storico sotto il fascismo,150. allievi di Monti fra cui Giulio Einaudi con la tradizione gobettiana, ma solo in una più lunga prospettiva i suoi collaboratori e le sue curiosità culturali diverranno punto di riferimento per gli orientamenti della casa. In questa maggiore peso politico ebbe all’inizio, con La Riforma sociale , il gruppo di liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi Einaudi, nel quale si può forse ravvisare, se non l’ideatore, la forza decisiva per la nascita della casa editrice. È questo un elemento di conoscenza che pare confortato da alcuni documenti e anche da un semplice esame del catalogo editoriale, e che, finora trascurato dalle testimonianze, fornisce una caratterizzazione meno provvidenzialistica , in senso progressivo, dei primi passi della casa editrice. La rivista La Riforma sociale suona un avviso di Luigi Einaudi databile al 1933 allo scopo di contribuire alla illustrazione dei problemi sociali ed economici e specialmente di quelli determinati dallo stato presente di crisi e dai piani di ricostruzione e di regolazione sia nei rapporti nazionali che internazionali, pubblicherà accanto ai fascicoli bimestrali, destinati ad ospitare studi di mole relativamente tenue, volumi atti a trattazioni più larghe, di circa 150 pagine e con una tiratura di 1.000 copie, dal carattere rigorosamente scientifico , tuttavia accessibile al pubblico colto in generale . Votrei preparare un piano di collaborazioni , scriveva il 31 ottobre 1933, poco prima della fondazione della casa editrice, Luigi Einaudi ad Attilio Cabiati, l’amico fidato che inaugurerà nel 1934 la collana Problemi contemporanei e che si dimostrerà particolarmente attivo nel suggerire all'editore proposte di traduzioni . Problemi con 3 L'avviso dattiloscritto si trova nell’Archivio della Fondazione Luigi Einaudi di Torino, sezione 2 (d’ora in avanti AFE), nel fasc. Croce. L’intervento di Luigi Einaudi nella casa editrice è testimoniato anche da una lettera che il figlio gli scrisse il 17 novembre 1942, inviandogli il progetto di un volume di Sismondi: Per altri classici dell'economia, che possono avere un interesse vivo anche in avvenire, ti sarò grato se mi vorrai favorire i testi originali con un breve giudizio (AE, L. Einaudi). 35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi, prevalentemente rivolti al mondo anglosassone, A. Cajumi, Ricordo di Attilio Cabiati, in L'Industria Allorché capitò la faccenda del giuramento, si consultò con Francesco Ruffini e con Einaudi, e salvò il salvabile, ossia 206 Le origini della casa editrice Einaudi temporanei nasce infatti come Biblioteca della rivista La Riforma sociale , controllata e orientata personal mente da Luigi Einaudi fino al 1944, come la Collezione di scritti inediti o rari di economisti (1934), le Opere di Luigi Einaudi , la Collezione di opere scientifiche di economia e finanza (1934) e la Biblioteca di cultura economica (1939); e, nel magro bilancio dei volumi pubblicati nei primi anni solo con la guetra la casa editrice assumerà proporzioni ragguardevoli, tutti i 9 titoli del 1934, e 9 su 11 nel 1935, sono testi economici di queste collezioni, che nel periodo 1934-44 rappresenteranno sempre un quarto di tutte le pubblicazioni 55 su 212 titoli , in cui spiccano, per il peso del loro messaggio cultutale e politico, i 35 volumi di Problemi contemporanei . La presenza di Luigi Einaudi aveva un altro punto di forza nella direzione della Rivista di storia economica , pubblicata per i tipi della casa editrice, cui fu permesso di continuare sotto un titolo apparentemente accademico e asettico la battaglia liberista de La Riforma sociale , soppressa nel 1935 perché coinvolta, solo editorialmente, negli arresti di Giulio Einaudi e dei suoi amici e collaboratori appartenenti a GL, alcuni dei quali animatori de La Cultura , alla quale la censura fascista non concesse possibilità di reincarnazione, sotto nessuna veste . Appare quindi necessario analizzare l’ideologia del gruppo liberista quale si manifesta non solo nelle collane, ma anche nelle riviste dirette da Luigi Einaudi e, in parte, ne La Cultura , alla cui influenza è forse da attribuire lo stesso orientamento anglofilo di altre collane storiche o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto, la profonda conoscenza del mondo britannico di colui che durante il difese in extremis le cattedre non ancora infestate dall’economia corpo rativa (ibidem,407). 36 Secondo Francesco A. Repaci, stretto collaboratore di Einaudi, la soppressione de La Riforma sociale sarebbe invece da addebitarsi alla sua battaglia anticorporativista (Ricordo di Luigi Einaudi attraverso alcune lettere, Giornale degli economisti e annali di economia ; in realtà, come vedremo, la Rivista di storia economica non farà che riprendere la linea de La Riforma sociale , senza per questo essere soppressa. ventennio fu collaboratore stabile dell’ Economist . La funzione culturale e politica svolta da Luigi Einaudi durante il periodo fascista resta ancora da studiare, e il tema non è di poco conto se si pensa che il partito dei liberisti , dopo aver conosciuto dalla fine dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui sembrava non potesse pit risollevarsi, riusci nel secondo dopoguerra a prendersi una cosî piena rivincita , riuscendo a influenzare in misura determinante i programmi di ricostruzione e l’impostazione generale della politica economica italiana dei governi di coalizione successivi alla Liberazione ’’. Funzione che Einaudi si ascriverà a merito nei suoi risvolti anticorporativisti , ma che ebbe, più in generale, i suoi obiettivi polemici in tutte le ipotesi programmatrici o keynesiane che presero piede con la grande crisi non è un caso che a tutto ciò egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di una biblioteca de La Riforma sociale , e lo vide chiuso in una difesa ostinata della sua quasi religiosa fede nel liberismo, che gli impedî di individuare la crisi economica del ventennio tra le guerre come una prova delle fallacie neoclassiche , le quali saranno invece da lui ri 37 Cosîf V. Castronovo nell'intervento in occasione della commemorazione di Luigi Einaudi in occasione del centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974, Torino, Fondazione Luigi Einaudi La scienza economica italiana non ha da vergognarsi di quel che fece durante il cinquantennio crociano. Carità di patria vuole si dimentichi quel che fu scritto di falso e di consapevolmente falso intorno al cosidetto corporativismo. Quegli errori sono riscattati dalla resistenza dei più , affermerà Einaudi ricordando La Riforma sociale e il Giornale degli economisti (La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana 1896-1946, vol. II,313). E ancora: la Rivista di storia economica forse parve ai governanti del tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitazione a cose passate. Ma già il Sismondi, in una lettera del 1835 al Brofferio aveva avvertito i vantaggi che la censura offre agli scrittori costringendoli ad essere avveduti nel dichiarare la verità invisa ai tiranni . 1 saggi datati dal 1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato velo storico non vietò mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei (L. Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1953,VII). 39 M. De Cecco, La politica economica durante la ricostruzione 19451951, in Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart J. Woolf, Bari, Laterza, 1974,291. 208 Le origini della casa editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945, come governatore della Banca d’Italia e come ministro del bilancio nel quarto e quinto governo De Gasperi nel 1947-48. Gli unici studi che hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi anche nel periodo fascista, compiuti in occasione del centenario della nascita, si sono preoccupati di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al 1925, ad un equivoco destinato a dissiparsi quando la politica liberistica di De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corporativismo ‘, o si sono limitati ad analizzarne le indicazioni per lo studio delle dottrine e dei fatti economici, senza cogliere i presupposti ideologici della sua posizione metodologica, o arrivando ad espungere volutamente dall’analisi le sue concezioni antisocialiste e antistataliste, in quanto: non sarebbero mai state da lui proposte come formule ‘. Per meglio comprendere la linea interpretativa della collana Problemi contemporanei è invece opportuno soffermarci su questi presupposti ideologici, per i quali l’attività di Einaudi durante il fascismo ha punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce. Seguiremo i motivi di questa riflessione sulla storia e la politica economica fino al 1944, data l'omogeneità di questa tematica, che corre parallela con gli altri filoni di pensiero della casa editrice. È da rilevare in primo luogo che le indicazioni di Luigi Einaudi sul modo di fare storia economica sono esplicitamente basate sulla preoccupazione di non privilegiare il fattore economico nella ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro della Rivista di storia economica con Gino Luzzatto il direttore della Nuova rivista storica che ribadiva ancora in quegli anni la validità della storiografia economico-giuridica, egli sosteneva che allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione a L. Einaudi, Scritti econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano, Milano, Mondadori, 1973, XXXILIOXVII. 4 , per il primo appunto, R. Romeo, Luigi Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e M. Abrate, Luigi Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi Einaudi nel centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,121-141, 151-163, 39-51 (in particolare, per l’affermazione di Caffè storico era necessario solo il punto di vista economico: Punto di vista e non prevalenza né specializzazio e. Non si diventa storici dell'economia dando, come fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Cosi scrivendo, si fa buona (esistono, nonostante la cosa tenga del miracoloso, persino buoni libri di storia informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia politica, non storia economica . La storia economica non deve supporte che il fattore economico sia più importante degli altri, né accettare la tesi che le teorie economiche siano un mutevole frutto dei tempi, affermava, concludendo che per scrivere storia economica fa d’uopo che lo scrittore abbia l’occhio od il senso economico ‘. Di qui l'apprezzamento per la Storia economica e sociale dell'impero romano © Città carovaniere di Rostovzev pubblicate rispettivamente da La Nuova Italia e da Laterza, in quanto l’autore ha visto che alla radice della storia non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento tecnico, la terra arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si invece le 4 G. Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro, in Rivista di storia economica , I (1936),201. Luzzatto, che in una lettera a Einaudi del 5 novembre 1936 accettò in sostanza la sua opinione (AFE, Luzzatto), salutò con entusiasmo la nascita della Rivista di storia economica , perché può rappresentare per i giovani studiosi italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui si sentiva estremamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti di ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse, creando soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca storica, che finora è in gran parte mancato ( Nuova rivista storica , XX (1936),282). A Luigi Dal Pane dal quale non riuscirà tuttavia ad ottenere una collaborazione Luigi Einaudi spiegò il 4 luglio 1936 il tipo di articoli desiderati: 1) un problema teorico importante studiato da un economista passato; 2) un problema di fatto interessante in sé, interessante per qualche attacco al presente, su cui l’esperienza di un tempo passato dice qualcosa di rilevante (L. Dal Pane, Il mio carteggio con Luigi Einaudi, in Annali della Fondazione Einaudi, vol. VI, 1972, Torino, Fondazione Luigi Finaudi Einaudi, Lo strumento economico nella interpretazione della storia, in Rivista di storia economica (in discussione con Lucien Febvre}. Nello stesso senso T. Codignola, Esiste una storia economica ?, in Rivista di storia economica , idee che la classe politica si è fatta #: dove è evidente la polemica contro quella vulgatio del materialismo storico in cui Gramsci rinveniva uno specifico influsso loriano, presente anche nel commento a Economic planning and international order di Lionel Robbins, un autore quanto mai caro a Einaudi e alla casa editrice, lodato per la tesi che la continuità della coesistenza di diverse nazioni del mondo è incompatibile con qualunque piano diverso da quello economico liberale , e che un piano è un fatto politico: È un capovolgere la storia cercare nell’economia la spiegazione degli avvenimenti politici, sociali, intellettuali. Bisogna invece cercare nella politica la spiegazione degli avvenimenti economici 4. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, a testimoniare come l’assai vaga asserzione che allo storico economico necessiti, e sia sufficiente, l’occhio od il senso economico , si connetta con la fede nel carattere assoluto ed eterno delle leggi economiche, con la polemica nei confronti del materialismo storico e del socialismo, e con la difesa del liberismo come vero liberalismo. Rispondendo a quanti parlavano di superamento delle teorie economiche, di quella ricardiana in particolare, Einaudi affermava che una ideale storia delle dottrine economiche potrebbe semplicemente consistere nel ricordo che si facesse, nel trattare sistematicamente la dottrina oggi ricevuta, del debito da questa contratto verso le precedenti meno perfette formulazioni che via via la precedettero. Il legittimo uso della parola superamento implica l’accoglimento contemporaneo dell’idea che nulla è superato, nulla è fuor del tempo presente ed ogni teoria che visse vive 4 L. Einaudi, Il valore economico del libro del Rostovzev, in La Riforma sociale Sulla conoscenza da orecchiante del materialismo storico da parte di Einaudi mediata da Croce e Loria, A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. II,1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini economiche della grande guerra, della crisi e delle diverse specie di piani, in Rivista di storia economica, II (1937),278. Il 30 novembre 1946 Giulio Einaudi scriverà a Robbins: se durante la deprecabile ultima guerra Voi ricordavate con simpatia l’ambiente che faceva capo a mio padre, noi altri giovani durante quegli anni terribili non cessammo mai di guardare con venerazione e speranza alla Vostra Patria e ai suoi uomini più rappresentativi (AE, Robbins). ancora perfezionata ed affinata nella teoria attuale ‘. L’insistente difesa di Ricardo, di Smith, di Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson pour mieux gouverner, il faudrait gouverner moins , si accompagna a uno sprezzante giudizio su Keynes, nelle cui pagine si può trovare la esposizione pi ingegnosa e raffinata che immaginar si possa di quella qualunque tesi egli, con pieno provvisorio convincimento, sostenga in un dato momento £ all’assunzione a modello dei discorsi di Cavour, in quanto mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente con spirito non preoccupato damiti e da formule verbali, non muta ‘; o, in polemica col corporativismo fascista non molto frequente, tuttavia, sulla Rivista di storia economica , all’esaltazione delle corporazioni medievali mai configuratesi come caste chiuse : La lotta, il tumulto, le inimicizie, le cacciate e l’esilio sono i segni distintivi di quell’epoca che poi fu voluta idealizzare come tesa verso la pace sociale. Ma, perché lottava, amava ed odiava, quell’epoca partori credenti artisti e poeti grandi; ma perché era un’epoca di rivolgimenti politici economici e sociali, essa creò ricchezza potenza arte e poesia . Una difesa della necessità della lotta e del contrasto che non si traduce mai, però, nella comprensione delle novità del processo storico, cui l’ottuso conservatorismo di Einaudi oppone un’immagine statica della vita sociale, assai distante dalla stessa concezione crociana della storia etico-politica L. Einaudi, Superamento, in La Riforma sociale, Einaudi, Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti, in Rivista di storia economica. 4 Si riferisce ai s aggi di Keynes La fine del laisser faire e L’autarchia economica tradotti nella Nuova collana di economisti stranieri ed italiani diretta da G. Bottai e C. Arena ( Rivista di storia economica , II (1937),374). Per una critica agli Essays in Bibliography di Keynes anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori pubblici in Maltbus e del tipo delle sue profezie, in La Riforma sociale Einaudi, Una nuova edizione dei discorsi del conte di Cavour, in La Riforma sociale ,(a proposito dei Discorsi parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo per La Nuova Italia). 5 L. Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d'arti e mestieri, in Rivista di storia economica , VI (1941),96-97. Einaudi non riusciva ad afferrare i motivi del movimento storico , ha affermato L. Dal 212 Le origini della casa editrice Einaudi È del resto noto come, sul piano politico, il liberalismo di Einaudi non sia assimilabile a quello di Croce, tanto da spiegare come vedremo dall’analisi di alcuni volumi della collana Problemi contemporanei un maggior possibilismo del primo nei confronti del fascismo. E ciò, nonostante il rapporto personale e gli elementi di convergenza che legano i due intellettuali durante il regime. Ne è testimonianza la segnalazione simpatetica che sulla Rivista di storia economica Einaudi fa, in due occasioni, delle edizioni Laterza: valorizza ad esempio l’opera dei meridionalisti conservatori Jacini, Turiello, Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato analizzati da Enzo Tagliacozzo in Voci di realismo politico dopo il 1870; apprezza incondizionatamente a differenza di Ginzburg l’immagine fornita da Nicola Ottokar nella Breve storia della Russia, un paese la cui tragedia sarebbe stata quella di non aver mai avuto un ceto intermedio numeroso, ma solo padroni e servi, dove i primi erano una volta i nobili, ora la burocrazia sovietica . Sempre per rendere testimonianza di onore all’editore colto e tenace, il quale in tempi volti ad altri problemi persegue un alto ideale di cultura , Einaudi segnala La concezione romana dell’impero di Ernest Barker, accogliendone la distinzione fra la rivoluzione francese, da cui discendono lo stato napoleonico ed il comunismo economico , e la rivoluzione puritana inglese, da cui derivano la libertà di coscienza e di Pane, Commemorazione di Luigi Einaudi, in Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze morali, e Franco Venturi ha osservato che la storia economica, quale egli fa concepî, non produsse in Italia quel rivolgimento, quella trasformazione profonda che compirono in varie forme altrove il marxismo, la scuola delle Annales, le moderne teorie dello sviluppo e la cliometria. Personalmente sono convinto che l’elemento conservatore presente nel pensiero di Einaudi agi da freno, da remora a questa rivoluzione storiografica. Riproporre a modello Le Play nel secolo XX era un paradosso (in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII,180). 51 Le osservazioni di Ottokar sono giustapposte, e non concatenate, sf che l'avvento del bolscevismo può configurarglisi come una specie di cataclisma, che interrompa la continuità storica , notava ad esempio Ginzburg ( Nuova rivista storica (1937), ora in Scritti,111). 5 L.E., Edizioni Laterza, in Rivista di storia economica , II (1937), 196-198. pensiero, la società economica a tipo di concorrenza, l’unionismo operaio, il regime di discussione ; ma la lettura più vantaggiosa è per Einaudi la Storia d’Europa di Fisher, nella quale egli vede la dimostrazione dell’assenza di basi economiche nei diversi ordinamenti politici. Prende invece nettamente le distanze da un libro laterziano allora famoso in quanto espressione della crisi dei valori borghesi, Democrazia in crisi del laburista Harold J. Laski un autore che la casa editrice accoglierà solo nel dopoguerra, mentre nel 1936 Mario Einaudi lo aveva accusato di marxismo per l’opera The Rise of Liberalism, in quanto dalla parificazione laskiana di democrazia ad uguaglianza vien fuori un’economia comunistica a tipo termitario . Il liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor respiro ideale di quello di Croce, come dimostra la discussione tra loro intercorsa negli anni ’30 e ’40 sui rapporti tra liberismo e liberalismo: mentre Croce, pur nella comune ripulsa del comunismo, negava la necessaria identità dei due termini, Einaudi sosteneva la loro inseparabilità, in quanto l’idea della libertà vive, si, indipendente da quella norma pratica contingente che si chiamò liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti e dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di organizzazione economica adatti a quella vita libera . Data questa rigida identificazione per cui la presa di distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo di fondo nella politica protezionista e corporativa del regime, si comprende come più numerosi e acri che ne La Critica siano gli attacchi antisocialisti nella Rivista di storia economica , condotti in primo luogo dal suo direttore con accenti che dimostrano la carica politica, prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a proposito di edizioni e di alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in Rivista di storia economica , III (1938), 349-354; M. Einaudi, Di una interpretazione puramente economica del liberalismo, in Rivista di storia economica , Einaudi, Tema per gli storici dell'economia: dell’anacoretismo economico, in Rivista di storia economica , II (1937),195. I testi del dibattito sono raccolti in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura diSolari, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957. Le origini della casa editrice Einaudî che scientifica, dei suoi obiettivi. Ne è documento esemplare, nel 1934, la recensione a Socialism's New Start, traduzione di un’opera di socialisti tedeschi nascosti dall’anonimato, critici dei partiti tedeschi socialdemocratico e comunista accusati di aver consegnato le masse operaie al nazismo; con le minacce di simili untorelli , scrive Einaudi, il regime hitleriano può dormire sonni tranquilli: I socialisti del continente europeo, sia quelli dei paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria, nei quali essi sono stati spazzati via, sia quelli dei paesi come la Francia, nei quali si danno un gran da fare per farsi mandare a spasso, non hanno ancora capito che il capitalismo è una irrealtà, uno schema partorito dalla loro scarsa cultura storica e dalle loro rudimentali attitudini psicologiche; e quindi, essendo un meccanismo tecnico, una costruzione meramente amministrativa e contabile, può essere rivoluzionato o riplasmato pit o meno in meglio od in peggio, senza grandissime difficoltà. La società tollera chiacchiere socialistiche più o meno interessanti e consente talvolta che in nome di ideali socialistici si compiano ai margini sperimenti più o meno costosi intesi a tener quiete le moltitudini. Ma le chiacchiere e gli sperimenti non devono andare oltre un certo segno; non devono toccare istituti che hanno nell’animo umano radici ben più profonde del capitalismo: la proprietà della terra, della casa, dell’opificio, il risparmio, la famiglia, la eredità, la tradizione, la religione. Responsabili della nascita dei regimi totalitari sarebbero stati i socialisti, in quanto Blum in Francia, Cripps e Laski in Inghilterra appaiono a Einaudi magnifici alleati e profeti e sostenitori di nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno estendendo, sotto forme variabilmente adattate alle diverse contrade, un po’ dappertutto 5. Proprio riferendosi a questa recensione, e alla raccolta dei Nuovi saggi di Einaudi pubblicata nel 1937 dal figlio, Giustizia e Libertà espressione del movimento nel quale si riconoscevano vari collaboratori della casa editrice critica violentemente l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né antifascismo, né liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un liberale è /a page , lealista 55 L. Einaudi, Afforno ad una spiegazione della disfatta dei partiti socialistici, in La Riforma sociale , XLI (1934),713-714. verso il regime, mosso da una meschina preoccupazione di antisocialismo, che non ha a che vedere con il bisogno di libertà che ogni uomo prova, ma semplicemente con un sentimento originario, più forte di qualunque ragionamento, di disprezzo per il salariato e per il lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da solo . Ispirato da un velenoso odio di classe continua articolista, Einaudi arriva a sostenere la legittimità della reazione fascista, che non sarebbe l’avventura di un gruppo di spostati né reazione di privilegiati, ma la reazione legittima della società contro quei faccendoni dei socialisti che le impedivano di lavorare ; il suo cieco conservatorismo si spiega con la sua sfiducia totale in qualunque tentativo di miglioramento, che tolga gli individui alla classe in cui essi sono costretti a vivere . È del resto raro trovare nella seconda metà degli anni ’30, nella Rivista di storia economica o nei volumi della casa editrice ispirati da Luigi Einaudi, una coerente polemica nei confronti della politica economica del regime o dei testi economici proposti dal fascismo. La critica all’antiindividualismo della Breve storia delle teorie economiche di Othmar Spann edita da Sansoni nel 1936 resta un caso isolato , mentre già nel 1934 Einaudi trova modo di lodare Bottai promotore di iniziative feconde: come quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa di Pisa , o la Nuova collana di economisti curata da Bottai e Arena, in cui apprezza in particolare la pubblicazione dell’Economia del benessere di Arthur C. Pigou non conosco lettura più adatta a moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale e gli scritti $% Magrini [Aldo Garosci], Liberalismo?, in Giustizia e Libertà , 5 marzo 1937; per un altro attacco al fascismo di Luigi Einaudi La concezione filosofica del mondo. Di rado compaiono operai notava il corporativista Giuseppe Bruguier recensendo i Nuovi saggi . Gli è che l’Finaudi, man mano che gli anni passano, mi pare si faccia sentimentalmente sempre più vicino, piuttosto che ai lavoratori delle calate del porto di Genova o alle maestranze delle officine di Torino, ai contadini delle sue belle terre piemontesi , osservati con senso patriarcale ( Leonardo Einaudi, Una storia universalistica dell'economia, in Rivista di storia economica sulla tassazione di Wicksell, col quale Einaudi dichiara di trovarsi in ottima compagnia nella tendenza a non prendere sul serio certi cosiddetti principî di ripartizione delle imposte chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sacrificio ovverosia della capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto : la conquista definitiva teorica di Wicksell è infatti che non esiste un principio di giustizia tributaria . In una discussione in cui, accanto a nette differenziazioni, c’era posto per posizioni intermedie fra corporativismo e liberismo tipica è la figura di Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso della Nuova collana di economisti e della casa editrice Einaudi, ma anche per significativi incontri su questioni economiche di nodale importanza, Luigi Einaudi poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta progressiva: cosî nel 1934 con la pubblicazione preceduta da una sua prefazione ‘elogiativa dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti italiani nel 1880-90 dei Principi di economia finanziaria di De Viti De Marco, dalla quale Edoardo Giretti traeva spunto per un giudizio politico il cui elemento di distinzione dal fascismo era rappresentato da una /audatio temporis acti, Einaudi, Del principio della ripartizione delle imposte (a proposito di una nuova collana di economisti), in La Riforma sociale , Macchioro, Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano, Feltrinelli, e il carteggio Fanno-Finaudi in AFE, Fanno.Lo storico che potrà un giorno, all’infuori delle passioni e dei rancori dell’età contemporanea, discutere ed esaminare a fondo oggettivamente e serenamente le cause che determinarono la crisi del 1922 e la caduta di un regime politico-parlamentare che del liberalismo cavourriano aveva conservato soltanto il nome, ma non l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che l’unico tentativo serio e coerente, che si era fatto in Italia, allo scopo di prevenire la catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta, fu proprio quello del gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e l’ispiratore più autorevole e più tenace , colui che aveva osservato che i liberisti, avendo pur sempre di mira la difesa e il consolidamento dello Stato liberale democratico, avevano esercitato una critica intesa a creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del sistema rappresentativo (E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in La Cultura , XIII (1934),28-29). Con quest'opera De Viti De Marco aveva dimostrato la natura autofaga dell’imposta progressiva , dità Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, Einaudi e, con particolare forza, nei Miti e paradossi della giustizia tributaria, dove il richiamo agli economisti classici si accompagna ad accenti moralistici che mal nascondono la sostanza antidemocratica del discorso: Giova si chiedeva Einaudi togliere coll’imposta differenziata a questi pochi [monopolisti] il guadagno di eccezione che essi temporaneamente lucrano? No; poiché è vero che quel lucro è ottenuto col vendere a più basso non a più alto prezzo dei concorrenti. Se si vuole accaparrare quel lucro a vantaggio della collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento stupidamente repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare l'atmosfera nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia dall'opinione pubblica considerato con spregio se non consacri in vita e in morte parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a fondare e dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva Adam Smith, un grado assai considerevole di disuguaglianza sembra essere, ove si giudichi secondo l’esperienza universale dei popoli, un danno di pochissimo conto in paragone con un piccolissimo grado di incertezza . La preferenza accordata alla certezza rispetto alla giustizia per cui si richiamano anche gli scritti economici di Cattaneo trova infine il suo naturale corrispettivo, sul piano politico, nella critica alla democrazia: Chi, salvo gli egualitari, intenti ad aprire la via al governo dei plutocrati, mai seppe che lo stato ideale si confondesse con il governo del demo? Anche il governo di una minoranza può essere una approssimazione all’ideale, se la minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto ©; dove l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano gli aspetti più propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso di economia politica apparirà nel 1943 nella Collezione di opere scientifiche di economia e finanza . Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si presenta in Luigi Einaudi nella linea di un discorso conservatore, difficilmente assimilabile all’interpretazione illuministi ca di un Salvemini o di un Gobetti e ben distante dalla caratterizzazione democratica che come vedremo ne ®! L. Einaudi, Miti e paradossi,95, 239, 255. 218 Le origini della casa editrice Einaudi darà Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi di economia rurale curata nel 1939 da Luigi Einaudi per la Biblioteca di cultura economica ebbe tuttavia il merito di rinnovare l’interesse attorno a una figura di cui l’idealismo si era sbarazzato rapidamente. Corrente di vita giovanile , la rivista di fronda di Ernesto Treccani che prima dell’entrata in guerra dell’Italia pubblicherà il brano cattaneano Della milizia antica e moderna in cui la guerra ingiusta era considerata preludio di sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e di impegno ©, mentre su Primato Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato che la lotta politica fino al ’24 ha insistito su questo nome in tutti i toni possibili, cogliendone ogni impulso all’azione , oppose 1’ idealismo operativo di Cattaneo a quello descrittivo di Vico privilegiato da Croce: se in questi anni concludeva all’inizio del 1940, come sembra vero e necessario, alcuni pregiudizi politici ed ideologici vanno scomparendo, dovremmo acquistare alla coltura d’oggi questo nome £. La riproposizione che ne faceva Einaudi era però, anche se più puntuale, pit restrittiva, tesa a raccogliere da Cattaneo l'invito al sacrificio, alla edificazione della terra coltivata , e soprattutto il richiamo alla certezza che gli uomini debbono possedere di godere essi i frutti del proprio lavoro , attuabile attraverso i mirabili effetti del catasto: Mentre troppi dottrinari corrono dietro a false teoriche di cosidetta giustizia tributaria e vorrebbero distruggere le più belle tradizioni finanziarie italiane, fa d’uopo 62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in Corrente di vita giovanile , 31 ottobre 1939: al fondo della sua concezione politica ed economica stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e di sacrifici l’uomo può giungere a risultati positivi e fecondi {...] dalle pagine del Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni come base necessaria per affrontare la paziente e scrupolosa disamina dei problemi grossi e minuti della nostra vita nazionale . Il passo di Cattaneo riportato si concludeva cosî: Ma la vittoria stessa, destando la meraviglia delle genti e l'imitazione, nel decorso eguaglia le sorti, e riduce il popolo stesso che aveva trascese le condizioni dell’equilibrio (ibidem, 31 maggio 1940). Sulla rivista l'introduzione di Alfredo Luzi a Corrente di vita giovanile (1938-1940), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975. 63 G. Ferrata, Immagine di Cattaneo, in Primato , I (1940),27, 29; anche Id., Caztareo, in Oggi , insistere energicamente sulla virti della imposta ripartita su basi destinate a non mutare per lungo tratto di tempo Il Cattaneo einaudiano diventa quindi un’altra arma contro gli egualitari e i socialisti, contro i quali si schierano anche altri collaboratori della Rivista di storia economica . Si distingue fra questi il giovane allievo di Luigi Einaudi e Gioele Solari, Aldo Mautino, che nello studio su La formazione della filosofia politica di Benedetto Croce pubblicato postumo da Einaudi nel 1941 dopo una accurata revisione dello stesso Croce si farà partecipe espositore della critica crociana al materialismo storico di Labriola e si schiererà con Luigi Einaudi nel sostenere l’identità fra liberismo e liberalismo 9. Commentando la monografia di Dal Pane su Labriola e i Saggi labrioliani riproposti da Croce nel 1938, Mautino osservava che la grandezza del cassinate non si deve ricercare nel campo speculativo, bensi piuttosto in quello politico , in quanto gli sembrava che i Saggi tendessero ad una svalutazione progressiva di quella medesima dottrina di cui si presentano come interpretazione e commento : una costante linea spirituale di svolgimento conduce in effetti a risolvere l’opposizione persistente tra la necessità escatologica del comunismo e la libera volontà rivoluzionaria e, lasciando da un canto la trascendenza economica, la dialettica della storia e la conseguente apocalissi comunistica, a far luogo all’azione, diretta ad instaurare per convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di economia rurale, a cura di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1939,31; anche L.E., La terra è un edificio ed un arti: ficio, in Rivista di storia economica , IV (1939),246. Il richiamo di Einaudi a Cattaneo appare invece illuminista a N. Bobbio, Una flosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi le lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16 e 23 dicembre 1940 (AF, Croce). A suo agio il Mautino avrebbe potuto maggiormente far risaltare gli elementi della dottrina creduta morta da Croce in se stesso e rimasti al contrario vivi e fecondi. Se ciò non ha fatto gli è perché non aveva del materialismo storico, nelle sue affermazioni originali, e nei suoi più vitali ripensamenti, quella conoscenza che sarebbe stata necessaria , osservò F. D'Antonio, A proposito della filosofia politica crociana, in Nuova rivista storica , XXV (1941),333. 220 Le origini della casa editrice Einaudi morale, fuori da ogni attesa fatalistica, una nuova forma di vita più umana. Onde la conclusione ideale, a cui i Saggi medesimi sembrano rivolgersi, finisce per rinnegare quelle stesse strutture intellettuali di cui la passione politica aveva tentato di rivestirsi . Fatta propria la negazione crociana del materialismo storico come filosofia, e affermato che nel campo speculativo il marxismo era stato superato da Croce e Sorel, Mautino notava tuttavia la comprensione, profonda nel Labriola, del valore nazionale rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido socialista sognava un’Italia attraverso di quello rigenerata e fatta più civile . In questo augurio di una Italia nuova consiste una delle ragioni, e sicuramente non la minore, della perpetua giovinezza che l’antico e recentissimo editore riconosce nell’opera del Labriola £. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di stampo nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta da Volpe nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente liquidatorio era il giudizio sul socialismo espresso da Mautino nella recensione delle memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza (Zibordi, Rigola, Riguzzi) e dalla collana dei Problemi del lavoro (Azimonti, Zanella, Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo scientifico, il socialismo fu soprattutto una convinzione morale , ma anche cosî le memorie dei suoi militanti, annotava Mautino, lasciano trasparire del grigiore spirituale. Pare che dopo tanto trepidar di speranze e divampare di passioni e avvicendarsi di illusioni e delusioni e travagliarsi e lottare, l’animo tendesse a volgersi di preferenza a faccende organizzative, e di miglioramenti economici, e di compromessi politici . Ormai il vecchio socialismo moriva senza gloria; e anche questi suoi ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non sanno più ritrovare nei miti troppo facili della loro gioventi motivi capaci di animarli e correggerli ancora, 6 A. Mautino, Intorno a un teorico del materialismo storico, in Rivista di storia economica Mautino, Memorie di organizzatori operai italiani, in Rivista di storia economica , IV (1939),76. Recensendo il Concezto cristiano della proprietà di J. M. Palacio curato da Fanfani per le edizioni di Vita e pensiero, Mautino trovava modo di condannare anche il cattoliA sottolineare le carenze del socialismo e il primato del liberismo interveniva autorevolmente, nel 1940, Attilio Cabiati: notando come da parecchi anni a questa parte il socialismo, che pareva relegato in soffitta , fosse venuto attirando l’attenzione di studiosi tedeschi ed anglo-americani, rivolti a vagliare la possibilità teorica di un governo economico collettivista , affermava che tutti arrivavano alla conclusione che qualunque sistema economico si adotti, ove esso miri a procurare col minimo dispendio di forze il massimo benessere della collettività, deve soddisfare a quello stesso sistema di equazioni, che in libera concorrenza garantiscono l’utilità massima ai singoli operatori sul mercato ; perciò solo lottando contro l’interventismo statale, concludeva Cabiati, l'economia potrà rifiorire, dimostrando coi fatti che l’azione privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera senza paragone possibile qualsiasi forma di costituzione socialistica della società, che costituirebbe l’iperbole del burocratismo, coi suoi insostenibili difetti e con la formazione della peggiore oligarchia arrivista £. La battaglia antiprotezionistica dei liberisti raccolti attorno a Luigi Einaudi, quale si rispecchia non solo nelle sue riviste, ma anche nei volumi di economia della casa editrice che ora esamineremo, aveva quindi un’impronta ideologica conservatrice e antisocialista che, se rappresenta solo una faccia dell’iniziativa culturale di Giulio Einaudi, è forse quella che meglio spiega la capacità di quest’ultimo di aprirsi degli spazi di manovra nelle maglie del regime. cesimo sociale in quanto, al pari del socialismo democratico, la politica cattolica si volge alla plebe con le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un paradiso nel cielo , facendosi sostenitrice dell’interventismo statale (Cattolicesimo e questione sociale, in Rivista di storia economica , III (1938),79-80). 6 A. Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla teoria pura del collettivismo, in Rivista di storia economica ,{prendeva in esame, fra gli altri, saggi di R. L. Hall e M. Dobb). Di notevole interesse per valutare, non solo sul piano ideologico, il rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime è la collana Problemi contemporanei , che per dieci anni dalla fondazione della casa editrice al 1944 riflette l'opinione dei liberisti sulla politica economica italiana e internazionale, con delle valutazioni che, passando quasi sotto silenzio gli indirizzi corporativi del fascismo, non sono tali da costituire, nella maggior parte dei casi, un terreno di scontro con gli economisti del regime. Il tema di maggior rilievo della collana è la crisi del 1929 e il New Deal rooseveltiano: un punto sul quale l’attenzione dedicata ai problemi monetari anche dai liberisti permette loro di trovare un terreno di incontro con i corporativisti, dati gli indirizzi della politica del regime in questo settore ©, anche se, ovviamente, da parte fascista si cerca di assimilare l’esperimento di Roosevelt in quanto interventista al corporativismo e di ricavarne quindi un’ulteriore giustificazione di quest’ultimo come terza via tra capitalismo e socialismo; mentre l’entourage di Luigi Einaudi, nonostante uno sforzo di documentazione, manifesta dure critiche nei confronti delle analisi catastrofiche della crisi e della politica del presidente americano. La posizione dei liberisti accanto al gruppo einaudiano è da annoverare anche quello che si raccoglie attorno al Giornale degli economisti giustifica un giudizio di incomprensione e di mancanza di attrezzatura teorica idonea da parte di questi economisti rispetto ai problemi posti dalla crisi americana. È assente la coscienza del dramma di milioni di disoccupati e non esiste quel travaglio sull’adeguatezza dei propri strumenti teorici che caratterizza vari economisti americani. Vi è, soprattutto, una difesa della scienza economica e delle leggi economiche contro la politica economica e la politica in generale . Mentre il governo ® M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, in G. Spini, G. G. Migone, M. Teodori, Italia e sno dalla grande guerra a oggi, Padova, Marsilio, 1976,108. idem. fascista accentuava l’intervento dello Stato nell’economia, i liberisti cercarono di ridimensionare la portata della crisi e di attribuirne le cause, in ultima istanza, alla politica protezionistica promossa dai vari Stati dopo la prima guerra mondiale e, quindi, a errori di uomini allontanatisi dalle leggi economiche . Già nel 1931 Luigi Einaudi, svolgendo su La Riforma sociale delle riflessioni in disordine sulla crisi, aveva individuato nel crack del 1929 la manifestazione di quei cicli brevi che sono dominati dagli errori degli uomini e, in quanto tali, facilmente superabili. L’insorgere di uno squilibrio fra domanda e offerta, una delle cause della crisi, era imputato moralisticamente a una deviazione dai modelli tradizionali di vita delle classi inferiori aspiranti a salire nella scala sociale. Se in Russia, osservava, non è concepibile crisi in quanto domanda e offerta coincidevano forzatamente per l’intervento dello Stato soffocatore della libertà e delle aspirazioni individuali, il modello americano, che faceva tendere ad un alto tenore di vita tutte le classi, era un elemento perturbatore dell’equilibrio fra produzione e distribuzione del reddito: di qui la convinzione che la crisi via via si attenuerà a mano a mano che i nuovi ceti diventeranno vecchi e che il mare sociale in tempesta si acqueterà. Ogni classe ed ogni ceto ritornerà a poco a poco a pregiar se stesso, a vivere secondo i propri gusti fondamentali e tradizionali , in modo che l’industria potrà assai meglio prevedere la domanda di beni da parte di una società meno fluida, meno commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a comprendersi a vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più appariscenti della vita di ognuno di essi . E, mentre negava la novità della crisi presente e confutava i suggerimenti di Keynes cosî come l’utilità di ogni piano economico, mosso dal terrore per il gigantismo industriale ribadiva il suo arcaico ideale di un mondo economico dominato dai piccoli produttori, che si illudeva di veder realizzato in Italia, dove probabilmente il peso relativo della piccola impresa famigliare, pudicamente condotta fuori degli occhi curiosi degli statistici, è grandissimo, superiore a quanto si immagina dai più. Forse quel peso è crescente. Contro i piani internazionali, contro i consigli dei periti, la sanità fondamentale italiana ha reagito concentrandosi nella infrangibile unità famigliare : un ideale, il suo, che poteva incontrarsi con alcuni aspetti della dottrina sociale cattolica e della propaganda ruralistica del regime . Analoga era la posizione di Attilio Cabiati, che in Crisi del liberismo o errori di uomini? accompagnava l’analisi dei fenomeni economici, sufficientemente articolata, con un ferreo dogmatismo, affermando che l’abbandono dei principi economici, messi in disparte in omaggio a vere o presunte necessità politico-sociali, ha sviluppato nel mondo intero, come naturale conseguenza, una serie di disastri economici ; l’economia, aggiungeva ricordando Pareto e Barone, è una scienza precisa la quale obbedisce a leggi naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti abbandonata al self interest dei singoli, sia che venga data nelle mani dello stato sotto una forma qualsiasi, una condizione è necessaria: che i privati o il ministro della produzione agiscano secondo le leggi nazurali della scienza economica . Si comprende quindi come la domanda formulata nel titolo del volume fosse puramente retorica, e come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in atto da Roosevelt per superarla, come errori di uomini , frutto cioè dell’indebita ingerenza della politica nell’economia. A sostegno di questa tesi viene proposta l’opera di uno dei più ‘autorevoli esponenti neo-classici della London School of Economics, Lionel Robbins, che agli insegnamenti di Mar- Einaudi, Saggi, Torino, La Riforma sociale, 1933, parte II, 228, 373, 377, 405-410, 515. Il 17 marzo 1939 Einaudi inviava a Mussolini una lettera in cui considerava la proposta di introdurre nel codice civile l’ indivisibilità dei fondi rustici un freno alla piccola proprietà e allo sviluppo demografico del paese (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 528771, sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?, Torino, Einaudi, 1934,9-11. Contro il ricorso all’immutabilità delle cosf dette leggi economiche, ripiego in cui si annida il falso presupposto della naturale armonia degli interessi , espresso in un altro volume di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A. Brucculeri, Ecomozzia bellica, in La Civiltà cattolica , shall cui si rifacevano, a Cambridge, pur con posizioni diverse, Pigou e Keynes anteponeva quelli di Pareto, von Mises e Wicksteed. In Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita Robbins, nei cui riguardi i liberisti italiani dimostravano una speciale venerazione, affermava che dopo la guerra il raggruppamento delle imprese industriali in consorzi, l’accresciuta forza dei sindacati operai, il moltiplicarsi dei controlli governativi hanno creato una struttura economica che, quale che possa essere la sua superiorità etica od estetica, è certo assai meno capace di rapidi riadattamenti di quanto lo fosse il vecchio sistema pit aperto alla concorrenza . E analizzando i provvedimenti dei vari governi moneta manovrata e protezionismo scorgeva il pericolo di uno scivolamento verso il socialismo, in parte già in via di realizzazione: Il carattere nettamente socialistico della politica economica in Inghilterra, e in tutto il mondo moderno, non è determinato dagli elementi obbiettivi della situazione, o dal fatto che le masse abbian deciso di riorganizzare socialisticamente la produzione. Se la politica economica ha questo carattere è perché uomini d’intelletto e di cultura hanno creato la teoria socialistica e hanno gradualmente convertito alle loro idee le masse ?3. Le stesse preoccupazioni per il socialismo di Stato paventato dai liberisti italiani sono avvertibili nella rac 7 L. Robbins, Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi, traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo The Great Depression),10, 80, 219. Fenoaltea scriveva all’editore di aver fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di aver proposto l’opera per il desiderio, e quasi per il dovere morale, che sentivo di far conoscere agli italiani questo libro cosi bello, cosî coraggioso, e così necessario (AE, Fenoaltea). Su Robbins in italiano C. Napoleoni, I/ pensiero economico del ’900, Torino, Einaudi, 1976,35-43, e l’introduzione di V. Malagola Anziani a L. Robbins, La base economica dei conflitti di classe, Firenze, La Nuova Italia, 1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio Racca scriveva dagli Stati Uniti a Luigi Einaudi che nelle riforme rivoluzionarie presidenziali americane si fa macchina indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè vede che la recovery sta venendo in modo indiscutibile, sia perchè, come conseguenza di ciò, si rifà coraggio, sia perchè si vede che quelle riforme ritardano, invece di favorire il ritorno della vita normale, non ne vuole più sapere di socialismo di Stato (AFE, Racca). Già il discorso del 1° 226 Le origini della casa editrice Einaudi colta di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano Roosevelt: gli autori, pur dichiarandosi ben lungi dal credere che l’individualismo del secolo decimonono rappresenti l’apice della perfezione per tutti i tempi , si mostrano contrari all’ingerenza della politica nell'economia e favorevoli a un laissez faire corretto in modo tale da impedire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo senza cadere nella soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter l’unico carattere distintivo della presente crisi mondiale è il fatto che i motivi extra-economici recitano la parte principale del dramma , Overton H. Taylor, trattando esplicitamente del conflitto fra economia e politica , sostiene che l’interesse economico effettivo di ogni gruppo o frazione di popolo dev'essere riposto in una generale rinunzia o severissima limitazione della legislazione di classe e della lotta per il potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta alla base, salvo che qualche gruppo o classe possa realmente sperare di condurre a compimento una soluzione sociale secondo il modello marzistico ; tutto il suo ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il ristabilimento dell’economia di mercato e a confutare i nuovi radicali , privi di quel realismo economico il quale deve riconoscere che, nella nostra presente situazione, l’interesse comune a una generale ripresa degli affari onesti, dell’agricoltura e dell’occupazione operaia è massimamente minacciato dalla strategia del potere e delle illusioni economiche delle classi malcontente Il giudizio sul New Deal non è sostanzialmente modificato da alcune note informative sulle riviste einaudiane o dal reportage giornalistico di Amerigo Ruggiero , né dalla novembre 1934 in cui il segretario di Stato Cordell Hull si dichiarava disposto ad abbassare i dazi doganali, era salutato come L'atto di contrizione degli Stati Uniti ( La Riforma sociale). 7 J.A. Schumpeter, E. Chamberin, E. S. Mason, D. V. Brown, S.E. Harris, W.W. Leontiefi, O.H. Taylor, Il piano Roosevelt, traduzione di Mario De Bernardi, Torino, Einaudi, M. Einaudi, Dopo un anno di governo di Roosevelt, La Cultura Racca, Il New Deal rooseveltiano: in che consiste, e Il New Dedl rooseveltiano: gli effetti, in La Riforma sociale , A. Rug stessa pubblicazione di due opere di Henry A. Wallace, ministro dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt, che pur dimostrano un intento informativo da parte della casa editrice. Presentando Che cosa vuole l'America? libro nel quale Mussolini vide la conferma che anche gli Stati Uniti andavano verso l’economia corporativa , Luigi Einaudi riconosceva per la prima volta che il New Deal in fondo è un nobile tentativo di far qualcosa, non perché si sappia che quel qualcosa sarà fecondo di risultati vantaggiosi, ma perché urge il dovere di lottare contro la disperazione, di infondere coraggio, di impedire che milioni di uomini si rivoltino contro la società e distruggano, nell’impeto dell’ira, il risultato di tre secoli di sforzo laborioso ; ma si premurava al tempo stesso di mettere in evidenza la grande illusione di Wallace 7, un liberista costretto dalla realtà della crisi ad ammettere il controllo statale sull'economia, nella speranza che la nuova epoca si persuadesse che l’umanità possiede oggi tanta potenza mentale e spirituale e tanto dominio sulla natura da togliere per sempre ogni valore alla teoria della lotta per la vita e sostituirla con la legge più alta della cooperazione . Wal. lace appariva infatti combattuto fra le necessità del momento e le prospettive di più lungo periodo, prestandosi quindi anche a una lettura non distante dalla posizione dei liberisti italiani, preoccupati pur sempre delle tendenze monopolistiche del capitalismo contemporaneo: poiché l’antico sistema, affermava Wallace, era il prodotto di un’avidità e di un opportunismo sfrenati , siamo stati costretti per forza a pensare in termini non di produzione e di commercio liberi, ma di produzione e di commercio programmati dentro e tra le nazioni. Il rifiuto di Adam Smith a tracciare meschine piccole linee locali di confine attorno ai concetti di giero, L’America al bivio, Torino, Einaudi, 1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937 presso Treves un volume sugli Italiani in America, lodato da Gerarchia perchè metteva in risalto la grandiosa opera di valorizzazione dell’Italia intrapresa dal Fascismo Wallace, Che cosa vuole l’America?, introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz. originale 1934),25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso:12); L. Einaudi, La grande illusione di Wallace, in La Cultura , commercio e di civiltà può tuttavia ancora adesso giustamente incoraggiare le menti ed i cuori a compiere sforzi più grandi. Un popolo libero sente vivacemente il dolore del nazionalismo, cioè del protezionismo e dell’isolamento economico . Anche in Nuovi orizzonti, in cui pur si vide la proposizione di un programma sostanzialmente identico al sistema corporativo italiano ?, Wallace osservava la necessità di controliare quella parte del nostro individualismo che produce l’anarchia e la miseria diffusa , assicurando che affidarsi a simili espedienti di redistribuzione del reddito e delle possibilità, non ci fa cadere nel socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il metodo dei pirati capitalistici della scuola economica neomanchesteriana ; ma affermava anche la temporaneità dei centrolli statali sull'economia, per concludere con una proposta conforme agli ideali del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del corporativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i freni e i mezzi d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica, ma essa deve anche porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento delle relazioni economiche mutevoli. La democrazia economica deve trovarsi in posizione tale da resistere a sconsiderate pressioni politiche. Al tempo stesso, essa deve effettivamente rispondere ed essere prontamente ben disposta verso le necessità urgenti del popolo da cui sgorga il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi che pur si preoccupava di premettervi sue avvertenze di testi che non riflettevano soltanto le opinioni di liberisti, ma erano passibili anche di una lettura in senso corporativista, 78 H.A. Wallace, Che cosa vuole l’America?,Gazzetti osservava che il lettore fascista avrà modo leggendo il libro di vedere che le più indovinate istituzioni americane sono state imitate da analoghe iniziative del Regime, persino le migrazioni interne! { Bibliografia fascista , X (1935),495). 79 la recensione di E. Corbino in Nuova rivista storica , Wallace, Nuovi orizzonti, traduzione di M. De Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo New Frontiers è indice della consapevolezza che il dibattito mondiale sulla crisi stava assumendo negli anni ’30 tendenze sempre pit decisamente anticapitalistiche, che in Italia avevano un qualche riscontro nelle tesi del corporativismo di sinistra e dell’ economia programmatica , che ai suoi occhi apparivano, in quanto statalistiche, pericolosamente otientate verso il socialismo . Di qui la presentazione, accanto a Wallace, di un autore moderato come Arthur C. Pigou, che quanto meno salvasse l’essenza del capitalismo e desse garanzie in senso antisocialista. In Capitalismo e socialismo il successore di Marshall nella cattedra di Cambridge, al termine dell’analisi di pregi e difetti dei due sistemi economici, proponeva di mantenere la struttura generale del capitalismo modificandola però gradualmente con interventi statali al fine di ridurre le diseguaglianze più gravi nelle fortune e nelle occasioni di avanzamento che offendono la nostra presente civiltà : la proposta non era certo tale da riscuotere pienamente le simpatie di Einaudi, per il quale Pigou oggi sarebbe un New Dealer rooseveltiano negli Stati Uniti o un corporativista in Italia , e appariva ingenuo nell’assumere come verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi, consumatissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse stati nel campo scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi l’allusione era alla celebre opera sull’URSS che nel 1938 la casa editrice si rifiutò di tradurre ; ma l'intervento dell’economista inglese si giustificava come solido argine nei confronti dei detrattori del capitalismo: gli studenti di Cambridge affermava infatti Einaudi -, sceltissimo fiore del paese reputato il più aristocratico del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti. Il libretto di Pigou è una doccia fredda per codesti puri consequenziarii ®. 81 L. Dal Pane, Commemorazione di Luigi Finaudi,312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo. Critica dei due sistemi, traduzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939 (ediz. originale 1937), 137-138. 83 Ibidem,2-4 (Avvertenza di L. Einaudi). La traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da Umberto Calosso su Giustizia e Libertà 230 Le origini della casa editrice Einaudi Destinata a una maggiore risonanza e a ricevere il plauso dei recensori fascisti era la critica severa della società sovietica svolta da William H. Chamberlin in L'età del ferro della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo del primo piano quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era stato condotto. Il libro è stato scritto prima delle recenti manifestazioni di terrorismo all’interno e di aiuto dato all’estero ai movimenti sovvertitori dell’ordine sociale avvertiva nel 1937, nel corso della guerra di Spagna, l'editore italiano . Ma la potente analisi, tanto più spietata quanto più obbiettivamente contenuta, dell’abbrutimento spirituale della Russia comunista, giustifica la resistenza che l'Europa oppone vittoriosamente alla propagazione del bolscevismo . Con uno stile vivacissimo e con frequenti ma scontati e logori raffronti fra Stalin e Pietro il Grande, l’autore non si limitava a illustrare il processo di industrializzazione dell'URSS, ma dedicava ampio spazio al soffocamento delle libertà personali, civili e religiose, da parte dell’ autocrate della repubblica rossa , un paese in cui si poteva notare il realizzarsi di una teoria fanatica che arreca grandi mutamenti di vita e di pensiero ed al tempo stesso condanna alla distruzione milioni di avversari , 0 il risorgere in nuove forme, e sotto la maschera di frasi nuove, di tipiche antiche concezioni russe come il diritto assoluto dello stato a servirsi degli individui e distruggerli, se cosî vuole, per il raggiungimento dei suoi scopi . E ciò senza che si fossero raggiunti apprezzabili risultati dal punto di vista economico, perché, se con il grano, il caffè e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna come monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna non meno grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che sono state sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto di incuria e di inefficienza proprio quando la mancanza di viveri si faceva più acutamente sentire . Di qui (7 febbraio 1936), era stata consigliata da Alessandro Schiavi a Giulio Finaudi, che il 18 febbraio 1938 gli rispondeva: Ma non Le pare che gli Autori prendano troppo sul serio l’economia programmatica dei Sovieti? (AE, Schiavi). l'insegnamento di carattere generale che da questo, come da altri volumi della collana, poteva trarre il lettore: L’esperimento russo ha dimostrato all’evidenza che l’economia programmatica non è una panacea, che nel funzionamento di un sistema economico strettamente centralizzato e controllato dallo stato possono verificarsi errori non meno disastrosi delle deficienze e degli attriti di un sistema che funzioni senza il beneficio di un piano . Un giudizio che, se non poteva incontrare la piena approvazione dei liberisti, poneva sul tappeto un quesito al quale i corporativisti affermavano di aver già risposto, ma che al tempo stesso era riformulato come ancora irrisolto dalla rivista di Codignola Civiltà moderna , secondo la quale resta uno dei problemi fondamentali del regime sovietico quello di trovare quanto individualismo sia necessario pel funzionamento d’un sistema collettivista, cosî come in altri paesi il problema è quello di trovare quanto controllo collettivo debba istituirsi per far bene funzionare un sistema individualista! ®. i Il quesito verrà riproposto, addirittura con alcuni arretramenti teorici in senso liberista, nei volumi di economia pubblicati dalla casa editrice nel 1945-46. Non è quindi da stupirsi che nel 1944, dopo la caduta di Mussolini, apparisse come ultimo titolo dei Problemi contemporanei curati da Luigi Einaudi un altro volume di Robbins, Le cause economiche della guerra, dove, più che la critica 3 W.H. Chamberlin, L'età del ferro in Russia, traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1934),11-12, 21, 74, 76. L'entusiasmo è un po’ gonfiato a causa delle circostanze, ma in fondo il libro si meritava una buona accoglienza , scriveva l’editore a Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE, Fenoaltea). Chamberlin pubblicò anche, nel 1937, Collectivism, a False Utopia. 85 Recensione di A. Rapisardi Mirabelli, in Civiltà moderna , Per Felice Battaglia il libro mostrava l’organizzazione concreta, in atto, del regime, la vita dolorosa di un popolo, che ignora ogni attributo della persona e si consuma in un tono assai basso di esistenza economica e morale, senza neppure supporre che altri possa realizzare forme più soddisfacenti ( Rivista storica italiana , s. V, I (1936),103); libro di informazione onesta, spassionata , retto dall'idea che alla dinastia degli zar sia subentrata una dinastia di fanatici sacerdoti marxisti, appariva al Meridiano di Roma (II, 24 gennaio 1937). . 232 Le origini della casa editrice Einaudi svolta dall’autore nei confronti della teoria leninista dell’imperialismo e la sua proposta degli Stati Uniti d'Europa in quanto non il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del mondo è il male principale della nostra civiltà , interessa l’avvertenza dell’editore, che in Robbins vedeva l’esponente di quelle forze politiche e culturali che intendono superare gli inconvenienti e le deficienze della moderna civiltà capitalistica senza apportare nessuna vera trasformazione strutturale, nessuna modificazione profonda e rivoluzionaria all’attuale organizzazione sociale ; e, nella preoccupazione per il futuro, il lettore era invitato a giudicare ogni forma di riformismo e la validità degli apporti, che possono ancora offrire le forze conservatrici nel nuovo mondo che si prepara Mentre, nonostante questi limiti, nei testi dedicati agli aspetti internazionali della crisi poteva passare una polemica indiretta nei confronti della politica economica del regime, nei volumi della collana che affrontano i problemi economici italiani è avvertibile, nel migliore dei casi, una cautela dettata dal timore della censura fascista. Già il 28 marzo 1931, scrivendo a Luigi Einaudi a proposito dei tagli ritenuti necessari per un suo articolo, Edoardo Giretti affermava che è molto mortificante di non sapere più quello che si può dire e quello che invece bisogna tacere; ma d’altra parte è anche giustissima la preoccupazione di conservarci il mezzo di poter dire alcune delle cose che si pensano e che, forse, è ancora utile di far conoscere intorno a noi . Sempre Giretti, parlando del volume scritto in collaborazione col nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi, che esprimeva giudizi sulla politica economica del regime, scriveva di aver già fatto il possibile per non dire niente di più di quello che oggi si può dire, ma vi è sempre il peri 86 L. Robbins, Le cause economiche della guerra, traduzione di E. Rossi, Torino, Einaudi, 1944 (ediz. originale 1939),95. Il libro era stato proposto all’editore da Ernesto Rossi il 1° luglio 1942 (AE, Rossi). È meraviglioso vedere come le menti degli economisti liberali inglesi siano aperte alle idee fondamentali del fascismo , come il corporativismo e il concetto dell’ ordine nuovo europeo antisovietico , affermerà f. p.[Felice Platone] recensendo il libro su Rinascita colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti . Tuttavia, proprio questo volume è fra i più coraggiosi nella polemica: svolgeva, con frequenti citazioni da La condotta e gli effetti sociali della guerra italiana di Luigi Einaudi, una dura critica dei provvedimenti protezionistici, lodando le coraggiose riforme in senso liberista di De Stefani, il cui abbandono veniva giustificato con le difficoltà inerenti al generale disordine delle relazioni internazionali, ed ai contrasti tosto abilmente suscitati dai gruppi organizzati per la difesa dei loro particolari interessi minacciati . Ma osservava che l’isolamento economico, se poteva non danneggiare paesi con ampio mercato interno, era un assurdo per l’Italia; in particolare Luciano Giretti, dopo aver affermato che il raggiungimento dell’autarchia, portando naturalmente con sé la riduzione a zero delle esportazioni, farebbe incontrare enormi perdite agli interessi produttivi dipendenti dai mercati mondiali , sosteneva la necessità di tornare al liberismo, pur con tutti i suoi limiti . Polemico era anche il volume di De Viti De Marco che sosteneva l’erroneità della teoria secondo la quale la banca crea credito, lodato da Einaudi che notava come su questa teoria, se ben si rifletta, riposano quasi tutte le modernissime proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la suprema regolatrice del credito e della attività industriale, la leva necessaria per risanare le crisi e far uscire il mondo dalla depressione ® In altri volumi, invece, il giudizio sulla politica econo 87 AFE, E. Giretti (lettere del 28 marzo 1931 e del 14 ottobre 1934). 88 E. e L. Giretti, Il protezionismo e la crisi, Torino, Einaudi, 1935, 54-55, 77, 143; era necessario, si afferma, tornare a quel libero scambio che, se non rende possibile un alto tenor di vita in un paese, dove le risorse naturali sono misere, il lavoro poco produttivo e gli imprenditori poco geniali; se non impedisce il triste fenomeno della disoccupazione dovuta alle oscillazioni del ciclo economico; se non porta infine alla prosperità un popolo che per varie ragioni non può ottenerla, va almeno esente da tutti i mali che della protezione sono caratteristici, ed ha tuttavia influsso benefico nel far sf che ognuno sfrutti nel migliore dei modi il proprio lavoro, ottenendo la massima quantità di beni in cambio di quelli che egli stesso ha prodotto (pp. 163-164). 8 A. De Viti De Marco, La funzione della banca. Introduzione allo studio dei problemi monetari e bancari contemporanei, Torino, Einaudi, 1934; recensione di L. Einaudi ne La Cultura , XIII (1934),136. 234 Le origini della casa editrice Einaudî mica del regime risulta più favorevole di quanto ci si sarebbe immaginato sulla base dell’impostazione liberista della collana. Alcuni si presentano come contributi alla soluzione di problemi economici concreti, come La questione petrolifera italiana (1937) di Cesare Alimenti, che pur sostiene l’insufficienza dell’autarchia basata sull’uso dei succedanei del petrolio, o L'agricoltura italiana e l’autarchia (1938) il cui autore, il senatore Arturo Marescalchi, già sottosegretario all’agricoltura dal 1929 al 1935, espone una serie di consigli pratici per obbedire all’invito all’autarchia alimentare rivolto da Mussolini nel discorso alle Corporazioni del 15 maggio 1937 . Meritevole di un premio dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi Federici, teso a dimostrare che la unità di spirito di idee di volontà che oggi noi possiamo vantare è assieme all’ordinamento corporativo la migliore forza posta al servizio del paese per realizzare l’unità di azione necessaria per resistere e per spezzare il blocco . Comprensivo verso i provvedimenti governativi culminati nella istituzione dell’IRI si dimostra lo stesso Cabiati, osservando che quando le classi industriali agricole e finanziarie di un paese reclamano ad ogni difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che questo, per ben amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua sorveglianza . E fino ad un’esalta % Il 10 febbraio 1938 l’editore, annunciando a Marescalchi che il suo volume era pronto, scriveva: Ho pensato che il volume potrebbe essere distribuito, a cura del Ministero dell’Agricoltura, alle Cattedre Ambulanti, Scuole agricole, biblioteche provinciali, ecc. (AE, Marescalchi). 91 L. Federici, Sanzioni, Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936), 12; il 19 ottobre 1935 l’autore scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il volumetto secondo lo schema da Lei suggeritomi (AFE, Federici). Federici, già allievo di Einaudi, era responsabile della pagina finanziaria de L’Ambrosiano . 9 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?,173; dando notizia di un altro lavoro di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi Einaudi affermava che l’autore ammira la teoria germanica odierna, per cui la finanza è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non fa neppure più parte del Comitato della politica economica; ma pone le condizioni ed i limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la condotta della guerra. La teoria cosî continuamente si rinnova, ma non rinnega, pure perfezionandole e adattandole alle nuove esperienze, le verità antiche ( Rivista di storia economica zione retorica della politica economica del regime si spingeva Franco Ballarini, che non si limitava a lodare il discorso di Pesaro e tutta la politica monetaria del governo o l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad affermare che in un mondo brancolante fra puro comunismo alla russa, supercapitalismo dei trusts o cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce venne dall’Italia. Si chiamò corporativismo . Ancora più concretamente Francesco Repaci, uno dei più fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il riordinamento della finanza locale attuato con il testo unico del 1931 e con la legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la riduzione del 12% sulle retribuzioni del personale era stato elemento idoneo a migliorare la situazione finanziaria degli enti locali . La collana non si limitò quindi a una funzione di orientamento teorico generale, ma svolse anche una serie di interventi su temi concreti, negando quello che era stato un presupposto originario del suo ispiratore. Nel 1942, presentando l’Introduzione alla politica economica di Costantino Bresciani Turroni che dopo la Liberazione avrà anch’egli un ruolo rilevante, come presidente del Banco di Roma, Luigi Einaudi riconoscerà infatti che, dopo avere lungamente creduto anch’io che ufficio dell’economista non fosse di porre i fini al legislatore, bensi quello di ricordare, come lo schiavo assiso sul carro del trionfatore, che la Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio, che cioè, qualunque sia il fine perseguito dal politico, i mezzi adoperati debbono essere sufficienti e congrui; oggi dubito e forse finirò col concludere che l'economista non possa distinguere il suo ufficio di critico dei mezzi da quello di dichiara 9 F. Ballarini, Dal liberalismo al corporativismo, Torino, Einaudi, 1935,131. A Marco Fanno, giudicato da Giuseppe Bruguier molto vicino all’ideologia corporativa (I/ corporativismo e gli economisti italiani, Firenze, Sansoni, 1936,57-59), e autore de I trasferimenti anormali dei capitali e le crisi (Torino, Einaudi, 1935), Luigi Einaudi chiese di scrivere un volumetto di Economia Corporativa (AFE, Fanno, 30 luglio 1934). % F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle provincie e degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936,61. Come giustificazione dell’intervento italiano in guerra fu apprezzato dalla stampa fascista B. Minoletti, la marina mercantile e la seconda guerra mondiale, Torino, Einaudi, (na i Venta fascista , XIX (1940),14, e Leonardo tore di fini; che lo studio dei fini faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio dei mezzi, al quale gli economisti si restrin5 gono 9. La collana da lui diretta fino al 1944, se non giunse a porte i fini al legislatore , in alcuni casi si fece portavoce di quest’ultimo. Ma la situazione cambierà drasticamente un anno dopo. Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi proporrà al figlio di pubblicare una serie di volumi sui Problemi italiani scritti nel modo pi oggettivo possibile con l’aiuto, per la raccolta dei dati, dell'Ufficio Studi della Banca da autori di orientamento liberista, sotto la supervisione di Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa editrice, che pur dimostrerà una certa fatica a superare l'impostazione originaria sui problemi economici, non poteva più accettare le proposte di Luigi Einaudi: trincerandosi dietro il rifiuto dell’ obiettività che i liberisti non avevano certo rispettato il consiglio editoriale gli rispose che intendeva presentare al pubblico italiano non soltanto un materiale di studio e di lavoro, ma anche un’opinione ben definita, un orientamento costruttivo. Vogliamo quindi che l’aspetto strettamente economico di un problema non sia scisso dal suo aspetto politico: perciò, se chiediamo all’autore serietà e obiettività di documentazione, gli chiediamo anche di indicare la sua soluzione politica, che sarà proposta alla libera discussione del pubblico . E nella collana Problemi italiani appariranno i volumi di Dorso, Grifone, Sereni e Grieco. # C. Bresciani-Turroni, Introduzione alla politica economica, prefazione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1942,15-16. A difesa del liberismo di Bresciani Turroni, e in polemica con un articolo di Guido Carli su Civiltà fascista , anche L. Einaudi, Economia di mercato e capitalista servo sciocco, in Rivista di storia economica Su Bresciani Turroni la voce di Amedeo Gambino in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio del 31 ottobre 1945, e risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE, L. Einaudi). Le firme dei liberisti da Luigi a Mario Einaudi, a Cabiati, Giretti e De Bernardi compaiono anche su La Cultura , a segnalare i volumi della collana Problemi contemporanei , ma non sono tali da caratterizzare la rivista, centro di esperienze culturali più avanzate, che ritroveremo in altre collane della casa editrice. Quando appare nel 1934 per i tipi di Giulio Einaudi, La Cultura si presenta completamente rinnovata rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a quella che le era succeduta dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi: nuova nella veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato direttivo, accanto a Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antonicelli, Bruno Migliorini, Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e Norberto Bobbio, a dimostrazione di un legame anche fisico con la precedente tradizione della rivista ma, al tempo stesso, della volontà di un cambiamento non solo generazionale. Mentre scompaiono molti collaboratori di De Lollis, assorbiti dalle iniziative culturali del regime pensiamo ad esempio ad Alberto Pincherle, Giorgio Levi Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o Felice Battaglia, impegnati da Gentile nell’Enciclopedia italiana, fra i nuovi appaiono vari allievi, al liceo D'Azeglio, di Augusto Monti, Zino Zini e Umberto Cosmo, che si riallacciano per questa via alla tradizione gobettiana, rivissuta politicamente, da alcuni, nella militanza tra le file di Giustizia e Libertà. Novità si registrano anche nei contenuti non più % Il 27 luglio 1935, riferendo al Ministero dell’interno sugli arresti del gruppo einaudiano come aderente a Giustizia e Libertà, il prefetto di Torino scriveva: Detta setta si serviva a Torino dell’attività della Casa Editrice Einaudi la quale segnatamente con la pubblicazione della rivista pseudo letteraria La Cultura era riuscita a riunire una cerchia di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di redattori e collabotatori in maggior parte ostili al Regime Fascista e noti per aver svolto in passato attiva propaganda contro il Fascismo ; e aggiungeva che Giulio Einaudi, all’atto del suo arresto, non esitò a riconoscere la polarizzazione intorno alla rivista ‘La Cultura’ di tutto il cosidetto ambiente antifascista torinese (ACS, Casellario politico centrale, b. 1877, fasc. 52997). dibattiti sulla scuola o sulla religione, meno filosofia e più storia, interesse per i problemi contemporanei , pur nella continuità col passato, quale si manifesta nell’apertura europea con una particolare attenzione per la cultura francese e in una certa oscillazione fra crocianesimo e anticrocianesimo, anche se quest’ultimo fu presente in misura maggiore. L’idealismo dei collaboratori della rivista einaudiana, infatti, conobbe sfumature molto particolari, si atteggiò in forme proprie, cercò sempre, pit o meno lucidamente, il contatto con esperienze diverse . Pi accentuata che nella critica estetica di De Lollis è, ad esempio, l’attenzione per il metodo filologico e per la collocazione del letterato nel suo tempo, come risulta dalle recensioni di Cajumi, di Santoli o di Piero Treves !®. E decisamente anticrociano è il direttore effettivo della rivista, Cajumi, che nel 1934 si scaglia con virulenza contro la critica idealistica rappresentata dai volumi laterziani di Luigi Russo, Elogio della polemica e Giovanni Verga, richiamandosi alla battaglia contro la critica filosofica già condotta nel 1910 da erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo temporale e delle sue pretese (tanto da assumere lo stesso tono stizzoso dei contradditori), ma conservatori con un soupgon di nazionalismo; riformatori per inse diar la loro filosofia nella scuola, ma poi estraniati dalla rivoluzione 98 Mario Praz, fedele agli interessi prevalentemente letterari della vecchia serie della rivista, il 1° febbraio 1934 annunciava le sue dimissioni da condirettore a Cajumi, che gli aveva indicato le novità della serie einaudiana: Rivista mensile su due colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali (AE, Praz). Il 23 gennaio 1935 l’editore scriveva a Cabiati: mi permetto di ricordarLe l’articolo sul piano Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’ fuori ogni tanto dalla solita zuppa di critica rita ed estetica di cui il pubblico non vuol più saperne (AE, abiati). Sasso, La Cultura nella storia della cultura italiana, in La Cultura , XIV (1976) (numero speciale Per i 70 anni di Guido Calogero ),82. Un accenno a Cajumi e ai collaboratori de La Cultura come un gruppo di intellettuali ben definito nella vita culturale italiana , in A. Gramsci, Quaderni del carcere Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta pubblicato da Laterza, Piero Treves riteneva necessario inquadrare i poeti nel loro tempo: Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua poesia, che vale e che dura quanto e come la sua poesia (Storia e poesia nella Grecia arcaica, in La Cultura , in cammino; nemici tanto del letterato puro quanto di quello politicante, i seguaci dell’indirizzo propugnato dal Russo appaiono a un osservatore imparziale un curioso impasto di contraddizioni 10, Sul piano filosofico comincia a muoversi contro l’idealismo Eugenio Colorni, pur allievo del mistico Martinetti e collaboratore della Rivista di filosofia , già orientato politicamente verso il socialismo di Lelio Basso e di Rodolfo Morandi; la sua ricerca, incentrata intorno all’analisi del pensiero leibniziano, ha modo di esprimersi sulla rivista in discussione con La spiritualità dell’essere e Leibniz del cattolico Giovanni Emanuele Bariè il quale, notava Colorni, si serviva di Leibniz a scopi postkantiani e idealistici , accentuando la concezione dell’essere come spiritualità : era invece una violenza che il pensiero postkantiano fa sul nostro potere d’interpretazione e di sviluppo, di considerare tutto ciò che non è materiale nel senso comune della parola, come necessariamente svolgentesi in forma di soggettività e di pensiero. Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere questa costrizione e nell’additare altre direzioni, diverse da quella gnoseologica !2, Si manifestava cosi in Colorni, come è stato osservato, un consapevole atto di rottura [....] nei riguardi di una tradizione spiritualistica di cui l’idealismo fu l’ultima incarnazione !°, Non mancano, talvolta, anche dirette confutazioni della 101 A. Cajumi, La colpa è della critica?, in La Cultura , XIII (1934), 45-47; di questo articolo, dove vedeva la condanna sommaria di tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni , si lamentava Russo con Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo). Sull’insufficienza del fiuto filosofico per separare la poesia dalla non poesia , dello stesso Cajumi, Gustave Lanson, in La Cultura , XIV (1935),19; contrario alla sostituzione della critica filosofica alla storica si dimostra anche Enrico Carrara recensendo Il! Quattrocento di Vittorio Rossi ( La Cultura). 102 E. Colorni, Leibniz e una sua recente interpretazione, in La Cultura Cosî N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia, 1975,VI. Per l’attività politica di Colorni la voce di E. Gencarelli in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1976, e il profilo, non privo di accenti agiografici, che gli ha dedicato Leo Solari, Eugenio Colorni. Ieri e oggi, Padova, Marsilio. 1980. 240 Le origini della casa editrice Einaud? cultura ufficiale, come quando, di fronte al metodo attualizzante proposto da Gentile ne La profezia di Dante, Umberto Cosmo il docente torinese che nel 1926 era stato costretto a dimettersi dall’insegnamento per l’ incompatibilità fra il suo pensiero e la politica del regime osservava che chi voglia comprendere Dante nella sua interezza discorderà probabilmente da cotesti criteri , perché l’infinità dello Stato, la potenza sua illimitata mi paiono concetti moderni che il teologo Dante non poteva formulare a se stesso !. Ma la più evidente linea distintiva della rivista dalla cultura del regime, cosi come da Croce, è ravvisabile nel netto richiamo ai valori dell’illuminismo negati dal pensiero idealistico, e rimasti ai margini anche dell’interesse de La Cultura di De Lollis. Se ne fanno interpreti soprattutto, oltre al Antonello Gerbi !5, Cajumi e Salvatorelli, anche se con accenti molto diversi. Per Cajumi la rivalutazione del ’700 doveva essere fatta a spese dell’hegelismo e dei suoi seguaci, e ricollegando l’illuminismo all’individualismo del Rinascimento secondo la linea interpretativa esposta da Chabod nella voce IMuminismo dell’Enciclopedia italiana, attraverso il tramite del libertinismo: La nuova filosofia, sorta con facilità a cavalcioni di un positivismo sfiatato e vaniloquente, giudicava e mandava dall’alto del suo tedescheggiante idealismo, ed estranea alla cultura francese ed inglese, contribuiva al vituperio. Marxisteggiando, i nostri filosofi prendevano sotto le ali il Sorel, e covavano Bergson e Blondel. Per quei poveri sensisti ed illuministi, che disprezzo! . Il male è che un ritorno al Settecento non può farsi senza rimandar prima in soffitta Marx, Hegel e compagnia, castigare la democrazia, dissipar l’equivoco di certo neoliberalismo, non aver paura di passare per dei conservatori e miscredenti vecchio stampo. 14 u.c. [U. Cosmo], Le profezia di Dante, in La Cultura, XIV (1935),16. Sulla sua figura la testimonianza di F. Antonicelli, Un professore antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV., Trent'anni di storia italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1975?,87-90. 105 L'entusiasmo, la buona fede, lo zelo gioioso di quel tempo calunniato ci investono e sollevano , osservava Gerbi recensendo Les origines: intellectuelles de la Révolution Frangaise di Daniel Mornet (Idee del Settecento, in La Cultura , XIII (1934),41). Ma i suoi accenti élitari si riscattavano in un sentito laicismo: per salvare l'Europa malata, non solo politicamente ed economicamente, ma, ciò ch'è più grave, nella sua cultura , era necessario identificare le origini della sua civiltà, che erano colte, alla luce de La crise de la conscience européenne di Paul Hazard il volume sarà tradotto dalla casa editrice nel 1946, nell’Umanesimo e aggiungeva Cajumi riecheggiando forse Gobetti nella Riforma, dalla quale erano sorte la libertà di coscienza, la discussione del cristianesimo, delle affermazioni ateistiche. Il peccato originale, l’origine unica delle razze sono battuti in breccia; s’affaccia l’idea di progresso. La politica si laicizza, e si democratizza, l’idea di Stato si disgiunge da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una nuova economia, mercantile, capitalista !. Pi esplicita e avanzata che in Cajumi risulta, a proposito dell'Illuminismo, la coniugazione di giudizio storico e impegno civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934 La polemica sul Medio Evo di Giorgio Falco ma richiamando anche la Philosophie der Aufklirung di Cassirer, egli osservava che la valorizzazione del ’700 operata da Falco si inseriva in un processo di pensiero in pieno corso e di importanza capitale, da cui usciranno ben altro che semplici revisioni storiografiche e storico-filosofiche, come ben altro che queste revisioni è uscito dalla svalutazione del ’700 proseguita dal Romanticismo in poi . E, dopo aver ridimensionato la funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società medievale, con accenti antinazisti ci si aggiungono, adesso, le strimpellature misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori teutonici, di accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che fa capo a Vitichindo e a Wotan) , Salvato 106 A. Cajumi, La nascita della civiltà europea e I libertini del Seicento, in La Cultura, XIV (1935),41-43 e 63-67. Negli stessi anni l’opera di Hazard era accostata da E. Cione alla Storia dell'età barocca di Croce, anche per il suo taglio etico-politico ( La Nuova Italia , VIII (1937),121-123). Sul significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema della crisi anche per il momento in cui fu scritta, G. Ricuperati, Paul Hazard, in Belfagor , relli indicava lucidamente quello che poteva essere l’insegnamento dell’illuminismo: chi volesse con un solo termine riassumere le caratteristiche del per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro più adatto che quello di umanità . Ed ecco perché, nella necessità di un nuovo umanesimo per risolvere la crisi in cui il mondo civile si dibatte, il pensiero del Settecento ritorna oggi a splendere più vivo che mai. Per fare, e non subire, la storia futura occorre giudicare quella passata e non stenderci sopra il polverino 19. Non meno significativo è in Salvatorelli il legame istituito fra Risorgimento e Rivoluzione francese analogo all’interpretazione espressa negli stessi anni da Aldo Ferrari o da Baldo Peroni sulla Nuova rivista storica , e la demistificazione della leggenda di Carlo Alberto !: temi e giudizi che ritroveremo in alcune opere dello stesso Salvatorelli e di altri collaboratori di Giulio Einaudi. Attraverso il discorso culturale filtrava spesso anche un messaggio politico, che si fa talvolta esplicito sulle pagine della rivista, ma i cui toni pi avanzati sono di stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a due articoli ferocemente antisoreliani di Salvatorelli, ricordando come Sorel fosse uno dei numi tutelari del fascismo !’; ma, mentre in uno l’autore rimane sul terreno puramente culturale della difesa dell’Illuminismo !, solo nell’altro Salvatorelli espri 107 L. Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in La Cultura Salvatorelli, Napoleone, in La Cultura, e la sua recensione a G. F.H. Berkeley, Italy in the making 18151846, in cui Salvatorelli nega l’esistenza di una politica antiaustriaca di Carlo Alberto prima del 1845 ( La Cultura , XIII (1934),131). Contrario alla tesi autoctona delle origini del Risorgimento, ma anche a quella che ne legava la nascita alla Rivoluzione francese, si dimostra invece Cajumi nella recensione a H. Bédarida -Hazard, L’influence francaise en Italie au dix-buitième siècle (La Cultura, Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino,69. 110 Sorel è lo Spengler dell’anteguerra, e Spengler il Sorel del dopoguerra . L'opposizione di Spengler al secolo XVIII, reo di aver iniziato l’epoca del razionalismo, è tale e quale quella del Sorel, per cui la dottrina del progresso, fondamentale nell’epoca dell’enciclopedismo c dell’Aufklirung, non era se non la giustificazione ideale di una socictà datasi tutta alla gioia di vivere, e Diderot, Voltaire e simili non erano me un giudizio politico attaccando Sorel in nome di quel mondo prefascista verso il quale abbiamo visto volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel infatti non si rese mai conto delle realtà di primaria importanza su cui giocava, degli interessi sociali che rischiava di danneggiare, dei valori umani fondamentali che vilipendeva. Tutto questo, in un periodo storico che richiedeva la massima cautela per non contribuire, sia pure involontariamente, a scuotere le fondamenta di una civiltà grandiosa, ma tutt’altro che consolidata !!!. Un atteggiamento più arretrato, decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che nel 1934, in polemica con un uomo politico non certo progressista come André Tardieu, notava in Francia la progressiva e trionfante sostituzione della massa all’individuo, mediante la realizzazione di democrazie nazionaliste, che tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato, contro la garanzia di un’assistenza economica e sociale sempre maggiore !. Una posizione, questa, in linea con quella già esaminata dei liberisti; anche su La Cultura , del resto, recensendo gli Orientamenti di Croce del 1934 Luigi Einaudi ne accoglieva pienamente la stroncatura da filosofi veri nei confronti di Spengler e della teoria marxiana della base economica della società !5; e lo stesso ex ordinovista Zino Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre di Pierre Renouvin, osservava che nell’esame delle cause è messa abilmente in luce la sopravalutazione diventata ormai quasi un luogo comune che si ha l’abitudine di fare di quelle economiche !. Né era segno di distinzione dal fascismo, nel 1934, la critica dell’ideologia nazionalsocialista, assai diffusa nelle riviste del regime, e che ne La Cultura si manifesta nella stroncatura del Mein Karzpf stati che dei buffoni della aristocrazia (L. Salvatorelli, Spengler e Sorel, in La Cultura a proposito di Anzi decisivi di Spengler pubblicato da Bompiani). Ul L. Salvatorelli, I/ mito Sorel, in La Cultura , XIII (1934),63. 112 A. Cajumi, In punta di penna, in La Cultura , XIII (1934),30. 113 La Cultura , Zini, In margine a una storia della grande guerra, in La Cultura. Su di lui , fra i vari interventi di G. Bergami, il suo ritratto in Belfagor di Hitler tradotto da Bompiani libro pieno di contraddizioni e caratterizzato da una spiccata innocenza intellettuale , scriveva Salvatorelli 5, o nella recensione di Luigi Emery a Friedrich der Grosse und die geistige Welt Frankreichs di Werner Langer, in cui si metteva in evidenza come l’autore dimostrasse l’influenza francese su Federico II di Prussia contro l’aureola di santone del germanesimo della quale tardi agiografi vogliono citcondare lo spregiudicato Gran Re di Prussia. Dalla sua tomba nella Garnisonkirche di Potsdam trasse gli auspici con rito solenne il regime che presiede oggi alla vita della Germania 1°, Non sarebbe comunque produttivo ricercare in riviste o volumi pubblicati sotto il fascismo segni politici troppo discordanti dagli indirizzi del regime. L’analisi deve rimanere aderente ai temi culturali, per cogliere la manifestazione di eventuali dissonanze o contraddizioni, aperture ideali o non meno significativi silenzi. Per questo ci sembra necessario soffermarci, sia pur brevemente, sul letterato Pavese, che con Ginzburg fu il principale collaboratore di Giulio Einaudi nei primi anni della sua attività editoriale e il legame pit consistente fra La Cultura e le iniziative della casa editrice. Nota è, come abbiamo visto, la militanza politica di Ginzburg, che gli costò dapprima il carcere dal marzo 1934 al marzo 1936 e, dall’11 giugno 1940 al 25 luglio 1943, il confino a Pizzoli presso L'Aquila; nonostante ciò, egli poté dedicare le sue cure, assieme a Pavese, alla Biblioteca di cultura storica , ai Narratori stranieri tradotti e alla Nuova raccolta di classici 115 La Cultura Emety, Gallicanismo di Federico il Grande, in La Cultura , XIII (1934),58-59; la tesi di Langer era del resto condivisa anche da Luigi Negri sulla Rivista storica italiana , LII (1935),238-240. Recensendo Le civiltà d’Italia di Giovanni Vidari, Enrico De Michelis vi notava un eccesso di sentimento nazionalistico , pur aggiungendo che l’opera era ben lontana da quelle fantasie di metafisica antropo-etnica che, dopo un periodo di stasi apparente, son tornate oggi a predominare nella Germania di Hitler e che purtroppo costituiscono un pericolo non lieve per la pace e per la civiltà dell’Europa e del mondo ( La Cultura italiani annotati !. Non ci restano tuttavia, al di là delle testimonianze, tracce consistenti della sua attività editoriale, che invece è maggiormente documentabile e fu probabilmente pi continua per Pavese, confinato per più breve tempo, circa un anno, a Brancaleone Calabro. Parlare di Pavese, all’inizio degli anni ’30, significa soprattutto affrontare il suo interesse per la letteratura americana contemporanea, individuabile nelle traduzioni per Frassinelli e negli articoli su La Cultura soprattutto prima del 1934, e destinato a esprimersi in nuove proposte di traduzione per la Einaudi. Il tema è stato affrontato più volte, ma spesso con forzature ideologiche o con una insufficiente storicizzazione, tali da fornire un’immagine deformata, e in genere riduttiva, della figura di Pavese !. La differenza tra lui e Ginzburg, sul piano politico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente quando, coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale difensivo o scrisse dal confino ad Alberto Carocci Unico mio disinteresse 4 aeterno e parlo colla mano sul cuore la letteratura politica !. Questa affermazione, tuttavia, non può essere assolutizzata, anche se trova conferma nelle più segrete pagine del diario, in cui la politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non essendo uomo d’azione ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno letterario, di traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica civile, se non propriamente politica. La scoperta della politica avverrà in lui, come in Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione per la narrativa americana indica da tempo il suo tentativo di uscire dagli angusti 117 Pavese appare revisore dei Narratori stranieri tradotti e dei libri di carattere storico-letterario , nella lettera di Giulio Einaudi a lui del 27 aprile 1938 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966,537). 118 Tali caratteristiche hanno, rispettivamente, i lavoti di N. Catducci, Gli intellettuali e l'ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni trenta, Manduria, Lacaita, 1973, e di A. Guiducci, I{ mito Pavese, Firenze, Vallecchi, 1967. 119 Lettera del 24 ottobre 1935; anche la lettera alla sorella del 26 luglio 1935 (C. Pavese, Lettere Lajolo, Il vizio assurdo . Storia di Cesare Pavese, Milano, Mondadori, Le origini della casa editrice Einaudi limiti di una cultura nazionale provinciale e soffocante, spinto da un’ ansia di oggettività che è stata messa giustamente in evidenza, e che lo allontana dall’ermetismo per sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà popolare e contadina delle sue valli piemontesi !!, Come ricorderà dopo la Liberazione, la cultura americana divenne per noi qualcosa di molto serio e prezioso, divenne una sorta di grande laboratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con minore immediatezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perseguivano. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese, un z%ovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti !2. Nel modo in cui, già nel 1930, Pavese parlava degli scrittori americani in una lettera all'amico Chiuminatto, vi era una sorta di rovesciamento dell’ottica nazionalistica con la quale Prezzolini spiegava Come gli americani scopr:rono l’Italia, e l'individuazione degli elementi del dramma comune ', In Sherwood Anderson Pavese coglieva quella realtà industriale che intimoriva Luigi Einaudi, i centri fumosi e fragorosi, fattivi e ottimisti che il mondo conosce: Cleveland, Springfield, Detroit, Akron, Pittsburg, e, su tutti, gigantesca, la metropoli, Chicago. Le fabbriche inghiottono tutto . Dos Passos presenta le contraddizioni e gli aspetti di quotidiana tragedia di questa società, 121 E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e ideologia, Bari, De Donato Pavese, Ieri e oggi (1947), ora in La letteratura americana e altri saggi, Milano, Il Saggiatore, 1971,188-189. Sugli aspetti sociali del romanzo americano cui si rivolgeva l’attenzione di Pavese S. Perosa, Vie della narrativa americana. La tradizione del nuovo dall’Ottocento a oggi, Torino, Einaudi, la recensione di Pavese a Prezzolini ne La Cultura , XIII (1934),14 e la lettera di Pavese ad Antonio Chiuminatto del 5 aprile 1930: un buon libro europeo d’oggi è, in genere, interessante e vitale solo per la nazione che l’ha prodotto, laddove un buon libro americano parla a una folla più vasta, scaturendo, come scaturisce, da necessità più profonde e dicendo cose veramente nuove e non soltanto originali, come quelle che nel migliore dei casi produciamo noi (C. Pavese, Lettere la lotta ch’egli vede combattersi con coscienza di classe, nel nostro secolo, tra lavoro e capitale . Attraverso Walt Whitman, un gigante dalla camicia d’operaio aperta al collo e dalla barba dura , un poeta che tanta fortuna aveva avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre che mentre un artista europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di costruire un mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per sostituirla con un’altra magari più significativa, un americano delle generazioni recenti vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi vergini, di arrivare a quell’ultimzate grip of reality che solo è degno di esser conosciuto !%, Cost, attraverso l'America, è possibile la riscoperta della realtà della propria terra, espressa nel 1936 nelle poesie di Lavorare stanca. Dove era contenuto un messaggio di speranza immediatamente colto da una comunista torinese, con due figli comunisti operanti nella clandestinità, Elvira Pajetta: Credevo che la poesia fosse morta scriveva nel 1936 al maestro severo di Pavese, Augusto Monti, allora in galera . Cosî siamo noi vecchi: quando non sappiamo più godere pensiamo volentieri che la gioia di vivere se ne sia partita dal mondo e quando la prosa quotidiana ha avuto ragione di noi giuriamo tranquillamente che la poesia è defunta. Ma se il Signor Pavese scrive dei versi, se li crede pi belli del mondo, se li stampa e li fa leggere è certo che ho avuto torto e son felice di ricredermi 15. 5. Storiografia e impegno civile Giulio Einaudi seppe riprendersi abbastanza rapidamente, non solo attraverso le iniziative del padre, dai duri colpi inferti dal regime, nei primi due anni di attività della casa editrice, ai suoi collaboratori e alle sue riviste. Prima della guerra, anche se i titoli pubblicati furono 124 C. Pavese, La letteratura americana, ACS, Casellario politico centrale (Pavese). Le origini della casa editrice Einaudi pochi ancora 8 nel 1937, arriveranno a 16 nel 1938 e a 24 nel 1939, egli riusci infatti a impostare quasi tutte le collane più importanti, che caratterizzeranno le sue edizioni fin dopo la Liberazione: la Biblioteca di cultura storica (1935), i Saggi, i Narratori stranieri tradotti e la Biblioteca di cultura scientifica (1938), i Poeti e la Nuova raccolta di classici italiani annotati la rivista La Nuova Italia , espressione della casa editrice di Ernesto Codignola che stava prendendo sempre più le distanze dal fascismo, poteva lodare la consorella torinese che nel giro di pochi anni ha messo fronde e radici, e saldamente stabilita nel mercato e nel pubblico, vanta ora una varietà e una ricchezza di iniziative (opere di scienza, classici della nostra letteratura, una collezione storica, una di romanzi stranieri ecc.) che tutte concorrono ad attuare il proposito orgoglioso di riuscire centro animatore di raccolta della più viva giovane e consapevole cultura italiana 12%. Già prima del 1940, infatti, le pubblicazioni dell’editore torinese sono tali da richiamare l’attenzione di intellettuali di rilievo, e da provocare in questi significative divisioni nei giudizi, nei quali è possibile intravedere schieramenti contrapposti non solo sul piano culturale; ed è per questo che ci sembra opportuno dedicare largo spazio alle numerose recensioni ai volumi della casa editrice. Nonostante la varietà dei temi affrontati dimostri una ricerca di sempre nuovi spazi culturali che può apparire talvolta confusa e tale da rischiare il pericolo dell’eclettismo, attraverso le collane in cui è pi facilmente ravvisabile un impegno civile quella storica e i Saggi è possibile seguire gli elementi di differenziazione dall’ideologia dei liberisti e il lento, faticoso distacco dalla cultura del regime. La Biblioteca di cultura storica è la collana i cui orientamenti appaiono pit definiti fin dall’inizio, nella ricerca di una valutazione della storia italiana che si differenziasse da quella nazionalistica di Volpe e della sua scuola o dagli accenti sabaudistici presenti negli Studi e docu 126 La Nuova Italia , Xmenti di storia del Risorgimento curati da Gentile e Menghini per Le Monnier, e nel tentativo, in un secondo tempo, di aprirsi alla storiografia straniera, in particolare quella anglosassone. Né è ravvisabile in questi anni, nel quadro della cultura storiografica che non si richiama direttamente o esclusivamente alle impostazioni di Volpe e di Gentile, un’altra collana storica che abbia la stessa consistenza e un uguale prestigio di quella einaudiana: questa ha alcuni punti di contatto con la Biblioteca di cultura moderna di Laterza e con i Documenti di storia italiana de La Nuova Italia dove apparvero i Discorsi parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo e Luigi Russo, ma una ben maggiore capacità di svolgere una funzione civile, in quanto si indirizzava a un pubblico più ampio di quello degli specialisti, tenendo la via di mezzo tra la dissertazione storica meramente accademica ed erudita e la storia romanzata , ciò che costituiva una novità per l’Italia !. Dell’impostazione della Biblioteca di cultura storica si era occupato, prima dell’arresto, Ginzburg, che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Rosselli; a questo si rivolgeva il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un volume su Mazzini per la collana, dedicata per ora ad illustrare uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna , e che avrebbe dovuto essere inaugurata da uno studio su Cavour di Salvatorelli. In un primo tempo Rosselli accettò mi sorride che un mio libro esca sotto l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima , scriveva a Giulio Einaudi nel febbraio 1934, lasciando poi cadere la proposta, cosî come quella, avanzata dall’editore nel 1935, di riprendere sia pur ridimensionandolo il suo progetto di una rivista storica, che Rosselli giudicò impraticabile per la difficoltà dei tempi": il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al Mazzizi di Bonomi, in Nuova rivista storica , XX (1936),430. 128 Il 16 aprile 1935 Rosselli scriveva all’editore che molte delle ragioni che m’indussero a rinunziare al progetto in grande della rivista sussistono anche per questo progetto minore; metto in primo piano la mia personale situazione e la fifa generale. Anche metto in linea di conto la tendenza che oggi prevale, in alto, di dichiarare guerra a coltello alle riviste indipendenti (almeno a quelle storiche), per concentrare mezzi Le origini della casa editrice Einaudi regime aveva infatti provveduto da poco a un rigido controllo degli istituti storici, mentre si annunciava, anche in questo campo, la bonifica della cultura di De Vecchi. La collana si inaugurò quindi con un’opera dell’ autore per eccellenza di Einaudi in campo storico, Luigi Salvatorelli ‘’. Ne Il pensiero politico italiano che ebbe molta fortuna, testimoniata dalle numerose edizioni Salvatorelli riprendeva una tematica già affrontata su La Cultura , per dimostrare come il pensiero politico italiano fosse nato nel 700, con quello spirito di umanità già presente in Muratori, nel quale troviamo la nuova tavola di valori settecenteschi, tavola che ignora la grandezza e la trascendenza dello stato dominanti nella trattatistica anteriore, e destinata a risorgere con l’idealismo hegeliano ; sulla stessa linea si muove Beccaria, che nega ogni concetto di un interesse, di un valore statale distinto e superiore all'interesse e al valore degli e appoggi su poche rivistone ufficiali. Sa che in questi giorni anche la torinese Rivista storica ha subito una radicale trasformazione (imposta) ed è passata al Volpe? Rebus sic stantibus, ho paura che la nostra rivista raccoglierebbe tutti nomi ingrati, e ben presto puzzerebbe. Inoltre per fare una rivista occorre un gruppo omogeneo di collaboratori abituali, 1) meglio di redattori. Intorno a me questo gruppo, ora come ora, non c'è; né io mi sentirei di far tutto da me. Le assicuro che questa mia riluttanza a imbarcarmi nell’i impresa deriva non già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo in questo caso non mi difetterebbe davvero. Ma proprio perché sogno, un giorno, di dar vita a una bella e viva rivista di studi storici, esito a realizzare questo sogno in un momento cosî poco favorevole. Del resto, dovrò recarmi a Roma, fra poco; e lf tasterò di nuovo il terreno coi miei amici. Senza illusioni, però. Debbo proprio dirle che questa rinuncia tanto più mi costa da quando ho capito di poter contare su di Lei come editore? . Il 3 aprile 1935 gli aveva scritto di aver parlato della rivista con Salvatorelli, che vede molto di buon occhio il progetto . Ancora nel 1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su Montanelli (AE, Rosselli). Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a Luigi Russo proponendogli, per la collana storica, un volume di carattere sintetico sulle origini storiche e psicologiche della nostra guerra (AE, Russo). 29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno 1937 Salvatorelli scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli vissero nobilmente dediti ad alti ideali, e sono caduti combattendo come il fratello che li precedette. La loro memoria rimarrà viva e alta in molti cuori (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Nel 1938-39 l’editore fu in contatto con un altro storico di formazione liberale, Nino Valeri, e ancora nell’agosto 1945 si dimostrerà interessato alla sua proposta di un volume su Filippo Maria Visconti (AE, Valeri). individui componenti l’aggregato sociale , o Pietro Verri, per il quale stati forti sono quelli in cui vi è libertà individuale, stati deboli quelli dispotici . E, mentre si accenna all'influenza della Rivoluzione francese sull’Italia anche se l’unico giacobino preso in considerazione è Melchiorre Gioia, la genealogia gentiliana dei profeti del Risorgimento è fortemente ridimensionata e corretta nei giudizi: in Alfieri si coglie, accanto all’anelito alla libertà politica, un chiaro individualismo idealistico , e in Mazzini l’importanza del problema sociale; si mette in risalto, prima del ’48, la superiorità politica di moderati come Balbo rispetto a Gioberti, e, in Cavour, il suo debito verso la Rivoluzione francese che ha fondato le libertà costituzionali e la teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo statista piemontese profetizzava si sarebbe sempre più radicata mentre l’era del dopoguerra ha segnato finora una smentita alla profezia cavouriana . Infine, dopo aver rilevato come le antinomie di Giuseppe Ferrari fra libertà e autorità e il suo abbozzo socialisteggiante di società futura fossero miscele confuse ed informi , ma rispondessero a bisogni reali e conservano quindi ancora oggi il loro valore , il lavoro di Salvatorelli terminava coerentemente con l’inizio, con la figura di un autore caro agli einaudiani, Cattaneo, che concludeva il ciclo del pensiero politico italiano del Risorgimento. Lo concludeva ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la coscienza storica del Muratori, il riformismo giuridico del Beccaria e del Filangieri, la critica economico-politica del Verri; lo concludeva riaffermando con meditata coscienza i valori di umanità e di progresso esaltati dal pensiero del Settecento, italiano ed europeo Salvatorelli, I/ pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935,6, 11, 40, 67, 88, 130, 200, 217, 265, 303, 320, 350, 354. Giustamente Alessandro Galante Garrone ha osservato che, nella complessiva valutazione salvatorelliana del Risorgimento, è data una preponderanza forse eccessiva agli aspetti dottrinali del pensiero politico (Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli, in Rivista storica italiana , LXXVIII (1966),534). Sulla riscoperta dell’illuminismo italiano ne I/ pensiero politico concordano comunque Walter Maturi (Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni 252 Le origini della casa editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il commento di chi valutò crocianamente l’opera come un tipico esempio di storiografia senza problema storico ‘". Indicativi dell’esistenza di una precisa tesi interpretativa nel lavoro di Salvatorelli sono infatti, da un lato, i silenzi della Rivista storica italiana di Volpe e della Rassegna storica del Risorgimento di De Vecchi, cosi come la distorsione del ragionamento dell’autore che appare sulla gentiliana Leonardo !, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati nelle riviste meno conformiste. Sulla Nuova rivista storica si nota che Salvatorelli contrappone alla storia della ragion di Stato la storia dell’individualismo, e che notevole è la ricostruzione del pensiero politico del Cavour, cosa che raramente suole esser fatta; preziose le notizie sull’illuminismo giovanile del Mazzini; il Cuoco ne guadagna e diventa più modesto per la interpretazione riformistico-illuministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle esumazioni idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) !. Più cauti, ma improntati a simpatia per le idee dell’autore, sono i giudizi che compaiono sulle riviste di Codignola: Enzo Tagliacozzo si chiedeva, rilevando un limite messo in luce di storia della storiografia, prefazione di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1962, 554) e Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità d’Italia e del fascismo, in Rivista storica italiana Venturi scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile 1935: I capitoli sul tardo Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di pit, come quelli dove il pensiero ha più rapporti con la politica concreta . Ma anche per Alfieri, il suo atteggiamento verso la rivoluzione, è cosf chiaro e mi era affatto sconosciuto . Noto la tua convinzione sulla inferiorità del pensiero settecentesco. Hai ragione? Questo non so. Io sento diversamente (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Su Salvatorelli educatore antifascista nella Torino degli anni ?30 la testimonianza di Norberto Bobbio in G. Spadolini, Il mondo di Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di Salvatorelli e testimonianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L. Compagna, Firenze, Le Monnier, 1980,65-72. 131 Cosf Ezio Chichiarelli nella recensione alla seconda edizione ( La Nuova Italia Troviamo i segni del nostro moderno concetto totalitario di politica proprio in quel di solito disprezzato settecento , scriveva Raffaello Ramat ( Leonardo da VINCI Polese in Nuova rivista storica , XX (1936),449. Cri. tica è invece la recensione alla seconda edizione dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre in Nuova rivista storica anche dalla storiografia, se sia veramente possibile cogliere il senso delle dottrine politiche isolandole dal clima storico che determina il loro sorgere , ma approvava le notazioni di Salvatorelli sul fondo reazionario dell’ottimismo storicistico e sulla necessità di rivedere alcuni giudizi idealistici passati in giudicato e non più rimessi in discussione ‘4; Paolo Treves invece, dopo aver notato che è un certo vezzo attuale tentar di sminuire l’importanza del contributo francese pre e post-rivoluzionario alla speculazione filosofico-politica italiana , affermava che il saggio dimostrava quanto sia inutile la disputa recente sull’indipendenza o meno del pensiero italiano in quest'epoca, perché non si tratta di stabilire primati, che non esistono nella storia delle ideologie, ma di dimostrare invece come le idee prime tolte dal lavoro degli illuministi oltremontani fossero rivissute e concretate con la positiva esigenza della vita italiana, in una pit solida e netta visione storicistica !°. L’impegno civile dimostrato da Salvatorelli ne Il pensiero politico italiano e riaffermato nella seconda edizione del 1941, in cui l’inclusione degli esponenti del pensiero cattolico non modifica la mentalità liberale dell’autore, come notava La Civiltà cattolica evidenziando il giudizio troppo severo su Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe di Canosa e Spedalieri, sembra attenuarsi nel Sommario della storia d’Italia. In esso Salvatorelli sviluppa quella personale interpretazione dell’unità della storia italiana che aveva espresso sinteticamente nel 1934, criticando la concezione politico-statuale di Croce e quella di Volpe che indicava nell’alto Medioevo il sorgere della nazione italiana proprio al momento in cui l’Italia si risolve in una molteplicità di organismi autonomi , notava Salvatorelli, per avvicinarsi alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una linea italica presente nella penisola già prima della conquista romana, pur vedendo, a differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità nell’affermarsi di quel piano statale tendenzialmente uni 134 La Nuova Italia Civiltà moderna , La Civiltà cattolica Le origini della casa editrice Einaudi tario che, interrotto dalle dominazioni longobarda e bizantina, riprende slancio fra il IX e l'XI secolo !. La sua attenzione più allo scomporsi e ricomporsi di un’unità politicoamministrativa che a una storia del popolo italiano , come notava Gabriele Pepe !, si riflette anche nel Somzzario, nel quale comunque è difficile cogliere, dietro la fitta cronistoria dei fatti, dei giudizi caratterizzanti; questi si limitano ad alcune notazioni sulla diffusione popolare delle idee della Riforma o sull’influenza dell’Illuminismo francese, cui non segue però un collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il Risorgimento; alla valutazione positiva sulla epidemia di scioperi del primo ’900, che fu nell’insieme un fatto fisiologico e benefico, poiché una elevazione del tenor di vita delle classi operaie era urgente, e perfettamente possibile dato il grande incremento delle condizioni economiche ; per terminare con una visione sorprendentemente limitativa dell’età giolittiana l’indirizzo di governo giolittiano fu, pur con empirismo opportunistico, sostanzialmente liberale; ma non promosse una formazione organica di partito, e venne a favorire in una certa misura la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale , e con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !. Eppure il Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manualistico e asettico, poteva presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni storiografiche del fascismo, e spingere Mario Vinciguerra un intellettuale liberale già vicino a Gobetti e quindi a Luigi Einaudi a vedere in Salvatorelli l’uomo che potrebbe benissimo disegnare, se volesse, anche un programma politico come Cesare Balbo nel suo Sormzzzario, ma che, vivendo in un’epoca non di Salvatorelli, L’unità della storia italiana, in Pan. 138 La Nuova Italia , Di importanza data da Salvatorelli al popolo parla invece A. Galante Garrone, Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli,529. 139 L. Salvatorelli, Sommario della storia d'Italia dai tempi preistorici ai nostri giorni, Torino, Einaudi, 1938,635, 641. Nel 1940 il Sommario fu tradotto in inglese, e nel 1941 in tedesco dalla casa editrice Junker di Berlino (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, n. 527470). aspettative, ma di travaglio mondiale, porta necessariamente nella storia uno spirito di revisione e di nuova sistemazione !9. Accoglienze analoghe non mancheranno nel 1942, come vedremo, a un’opera dalle caratteristiche simili a quelle del Sommario, il Profilo della storia d'Europa. Frattanto l’attivissimo Salvatorelli, che nel 1937 aveva pubblicato per l’ISPI La politica della Santa Sede dopo la guerra lodata da Gerarchia per la larga e seria preparazione dell’autore !!, alla morte di Pio XI fa seguire immediatamente, nel 1939, un primo bilancio del suo pontificato, ricco di penetranti osservazioni personali e ciò nonostante giudicato da La Civiltà cattolica , pur con alcune riserve, fra tutti i libri su Pio XI uno dei pit seri per copia di informazioni e per sufficiente oggettività di presentazione !£. In esso Salvatorelli, attento, come Omodeo, alle connessioni fra storia religiosa e storia politica, notava che nel dopoguerra erano stati i turbamenti sociali, con il pericolo bolscevico, a rimettere in valore presso larghi ceti europei la Chiesa cattolica quale fattore di ordine e di conservazione sociale , con la conseguente tendenza degli Stati a cercare l'appoggio della Chiesa. È in questo clima che si sviluppa l’azione politica, non solo concordataria, di Pio XI, Segretario di Stato di sé medesimo , che ebbe come criterio direttivo di mettere al primo posto il rafforzamento dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla società facendo addirittura, come Bonifacio VIII, della regalità di Cristo il titolo giuridico per il governo della Chiesa sul mondo e qui La Civiltà cattolica replicava 140 Nuova rivista storica anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere di Einaudi e Vinciguerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra), in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino, Fondazione Luigi Einaudi Invece per Bruno Brunello, mentre il Sommario di Balbo era tutto animato da una fede nei destini della patria , quello di Salvatorelli appariva più un’esercitazione letteraria che il risultato di un’indagine appassionata ( Rassegna storica del Risorgimento , Il lavoro di Salvatorelli sarà considerato su Primato molto preciso e concettoso Gerarchia La Civiltà cattolica Le origini della casa editrice Einaudi che, al contrario, la politica concordataria aveva visto il pontefice pronto a cessioni e a sacrifici, pur di tener gli Stati almeno in qualche modo uniti alla Chiesa ! ; e, molto nettamente, Salvatorelli metteva in luce l’antisocialismo, il legame col fascismo, la lotta contro il Fronte popolare francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a Franco, il possibilismo nei confronti della Germania nazista, come elementi caratterizzanti l’attività del papa, per concludere con l’appello a un nuovo umanesimo cristiano cui avrebbero dovuto ispirarsi anche i laici !4. Il nome di Salvatorelli tornerà ancora nelle edizioni Einaudi, sempre con grande risonanza, durante la guerra. Prima di allora, un altro autore della casa che suscitò vasta eco fu Ivanoe Bonomi, che abbiamo già trovato, nel 1924, nel catalogo di Formiggini. Il suo Mazzini triumviro della Repubblica romana, pubblicato nel 1936 e ristampato nel 1940, incontrò, per la sua esaltazione di un personaggio storico eroicizzato dal fascismo, una favorevole accoglienza nelle riviste ortodosse !, ma poté prestarsi anche ad una lettura diversa, come era nelle intenzioni dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera, il fatto che le preoccupazioni di politica estera e di carattere militare non impedirono al Triumvirato di dimostrare il suo interessamento per i problemi sociali !#; Aldo Ferrari, lodando il lavoro, ricordava che la qualità di uomo politico dell’autore, il teorico pit chiaro equilibrato e sistematico della corrente riformista , era non un ostacolo bensî un 14 Ibidem. 14 L. Salvatorelli, Pio XI e la sua eredità pontificale, Torino, Einaudi, ad esempio Rassegna storica del Risorgimento Leonardo Rivista storica italiana; Meridiano di Roma Nuova rivista storica; contemporaneamente ‘Tagliacozzo, recensendo il Labriola di Dal Pane, richiamava l’insegnamento di Labriola come salutare in un momento in cui si tendeva a sopravvalutare quello che vien comunemente detto il fattore morale ( La Nuova Italia , VII (1936),261; anche E. Tagliacozzo, In memoria di Antonio Labriola nel trentennio della morte, in La Nuova Italia , aiuto alla ricerca storica !'; mentre il crociano Edmondo Cione opponeva l’esaltazione degli autentici valori morali del Risorgimento operata da Bonomi alla tendenza, impersonata da Luzio, ad una strana riabilitazione dei varii personaggi del mondo reazionario e clericale e talora persino di quello poliziesco e brigantesco , e notava che il dramma religioso dello spirito moderno rende di perenne attualità il pensiero del Mazzini , nel quale sono contenuti i fondamentali principi della religiosità laica del presente e dell’avvenire: la fede nel progresso storico, il valore educativo della libertà, l'esaltazione del senso del dovere e dello spirito di sacrificio, il senso della missione e della dignità personali ‘4: un giudizio che assumeva tutto il suo significato se confrontato con quello de La Civiltà cattolica , che coglieva nell’opera un profondo anticristianesimo spiegabile con la mentalità di antico socialista dell’autore !9, I contatti dell’editore con l’ex esponente del Partito Socialista Riformista continuarono, ma gli umori della censura fascista, come quelli dei recensori, si dimostrarono mutevoli. L’idea di avere un altro libro Suo, sulla storia politica del cinquantennio che precede la guerra mondiale, mi ha entusiasmato , scriveva Einaudi a Bonomi nel novembre 1938; il volume era pronto nel dicembre 1940 e, affermava l’autore, esso non tocca periodi... pericolosi, ma certo illustra l’età liberale di cui ricorda le benemerenze ed i pregi . Tuttavia, sebbene giudicata dall’editore opera tutta permeata di patriottismo e basata su dati inoppugnabili , La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto non ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere pubblicata nella collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del consiglio. Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937, affermando che alcune circostanze recenti mi pare abbiano reso nuovamente di attualità il Diario di guerra di Bissolati !. Il volume, pubblicato 147 La Nuova Italia La Nuova Italia La Civiltà cattolica AE, Bonomi. Da notare che, dopo una seconda edizione Le origini della casa editrice Einaudi nel 1935 in una collana subito abortita, Ricordi e documenti di guerra , era stato in un primo tempo sequestrato !, ma non incontrò nemmeno le simpatie che La Nuova Italia aveva riservato a Bonomi: il recensore della rivista presentava infatti Bissolati come uno spirito rivolto al passato, anziché un veggente delle mete future , preso da una visione umanitaristica della guerra che rendeva il Diario animato dall’innegabile patriottismo dell’autore, ma anche da idee che compromisero la condotta. della guerra nei momenti decisivi !. Il tono della collana conobbe del resto anche aspre cadute, veri e propri compromessi col fascismo, come ne I rovesci più caratteristici degli eserciti nella guerra mondiale 1914-18 teso ad esaltare la capacità di ripresa delle forze militari italiane del generale Ambrogio Bollati, direttore della Rivista coloniale , autore anche, per la casa editrice, della Enciclopedia dei nostri combattimenti coloniali, e, assieme al generale Giulio Del Bono, della Guerra di Spagna sino alla liberazione di Gijon, i cui toni anticomunisti furono apprezzati, fra gli altri, da Eugenio Passamonti '. Di impronta nettamente antidemocratica è anche il Massimo D'Azeglio politico e moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di altri mediocri studi risorgimentali: un volume che, accompagnato da un giudizio favorevole dell’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio le sue creden Bonomi chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una terza edizione del Mazzini, perché il libro usci in periodo fascista quando la sua diffusione trovava ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei molto a diffondere quel mio libro che, in questa ora, avrebbe un significato di attualità Il Diario fu sequestrato nel giugno 1934 per le sue critiche all’operato dei comandi militari (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1). Il 2 luglio 1934 Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a consegnare il manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a Mussolini (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 70). 152 Carmelo Sgroi ne La Nuova Italia Rassegna storica del Risorgimento anche Leonardo da VINCI. Il 25 gennaio 1938 l’editore scriveva a Del Bono di essere lieto che il volume sarebbe stato tradotto in tedesco (AE, Del Bono). Bollati e Del Bono saranno autori de La campagna germanica în Polonia, Roma, Unione editoriale d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa contro il bolscevismo, Roma, La Verità ziali metodologiche con la difesa della teoria élitaria sono le aristocrazie che dappertutto nella storia hanno fondato l’ordine nuovo, lo stato saldamente costruito e con la negazione di qualsiasi influenza del fattore economico nel processo storico, sostenendo che l’idea di nazione nasce molte volte come creatura puramente spirituale, non solo indipendentemente, ma anche in contrasto con precisi interessi materiali . E mentre cerca di giustificare l’ intermittenza di temperamento di Carlo Alberto, alla politica mazziniana astratta l’autore contrappone quella di D'Azeglio, del cui carattere democratico presenta un’immagine quanto mai singolare: L’Azeglio dunque respinge l’idea democratica, non solo nei casi di urgenza , ma anche come dottrina assoluta, che sarebbe assurda in teoria e inattuabile in pratica. Egli è democratico in un senso superiore e più generale, in quanto non crede a privilegi di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai bisogni del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di uguaglianza; è dunque democratico nel senso costituzionale, più nello spirito che nella lettera: la prassi democratica, essendo una specie di materialismo e prestandosi facilmente alle mistificazioni, gli è in genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a tematiche non italiane affrontate sempre con quel taglio narrativo che poteva renderne agevole la lettura anche ai non specialisti, già prima della guerra la collana acquista un maggior peso culturale e civile. Se solo con l’opera di Louis Villat su La Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico (1940) si raggiunge un solido impianto storiografico che sostanzia la narrazione dei fatti e in cui hanno largo posto, soprattutto nelle appendici sullo stato attuale delle questioni , temi 15 P.E. Santangelo, Massimo D'Azeglio politico e moralista, Torino, Einaudi. Santangelo chiedeva all'editore di poter apportare alcune correzioni al lavoro, dietro amichevole suggerimento di un alto personaggio dell’Accademia d’Italia (AE, Santangelo). Luigi Bulferetti criticò la distinzione operata dall’autore nel Risorgimento, tra idea astratta di Mazzini e azione politica dei moderati ( Rivista storica italiana , s. V, III (1938), fasc. II, n e Rassegna storica del Risorgimento , XXV (1938),1584economico-sociali tanto che Carlo Morandi vi vede dominare, e talvolta in modo troppo esclusivo , le tesi di Albert Mathiez ', si fa ricorso anche a storici non professionali, in grado tuttavia di esprimere un orientamentò politico. È il caso del Talleyrand di Alfred Duff Cooper, già ministro della guerra del gabinetto britannico, e quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal maggio 1937 all’ottobre 1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per là sua politica contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo dei giovani conservatori nella cui mentalità avvertiva l’editore italiano si bilanciano una certa spre: giudicatezza d’idee e una tendenza al positivo e al concreto nell’applicazione alla vita vissuta . Egli svolge, sotto le vesti di una biografia romanzata in cui peraltro si preoccupa di affermare la necessità che i cambiamenti nel metodo di governo siano graduali , e di notare che gli uomini di estrema, a qualsiasi partito appartengano, divengono sempre germi di dissoluzione in un organismo politico , un elogio della coerenza di Talleyrand nel porre la nazione francese al di sopra degl’interessi particolari dei regimi che in un certo momento la governano , e presenta il diplomatico francese assertore di una politica di alleanze fra le potenze capace di portare all’unificazione europea: lo considera infatti, per usare le parole dell’editore che fa propria la tesi di Cooper, come un uomo moderno, fors’anche come un nostro contemporaneo , poiché le sue idee si riportano al problema della pacifica organizzazione dell’Europa che attende ancora una vera e sicura soluzione !. Vinciguerra che pur aveva curato l’opera poteva affermare, da un punto di vista strettamente storiografico, che non si può accettare neanche con riserve la tesi della modernità democratica e pacifista nella politica estera di Talleyrand ', ma dimostrava di non cogliere il 155 Primato , I (1940), n. 5,24 (siglato CM.). 15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura di M. Vinciguerra, Torino, Einaudi. Cooper fu autore di Ceux qui osent répondre è Hitler, après Munich, Paris, Édinions Nantal, 1938. 157 Nuova rivista storica significato politico di un’opera apparsa in italiano in un anno cruciale per le sorti dell'Europa: messaggio che era assai esplicito, se da un’altra ottica ideologica il commentatore di Leonardo osservava che la vita del grande diplomatico è pretesto a ribadire la concezione diremo cosi ufficiale della politica britannica improntata ad un conservatorismo pacifista di cui sarebbe garanzia imprescindibile una stretta intesa anglo-francese !. E ancora nel corso della guerra poteva essere accolto il messaggio di pace affidato al romanzo sul conflitto russogiapponese di Frank Thiess, Tsushimza, tradotto nel 1938 sotto gli auspici dell'Ufficio storico della Marina e giunto nel 1945 all’ottava edizione, che prima dell’attacco all’ URSS suscitò accenti di umana comprensione anche sulle pagine di Critica fascista : 7 Fra quel popolo russo di martiri grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo giapponese di tenaci e sorridenti lavoratori, la simpatia umana del lettore, e fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse senza un presago significato che il libro si chiuda con la visione luminosa del porto di Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di bimbi giapponesi giocosamente s’incontrano e si sorridono pur senza capirsi ancora!, 6. Cultura della crisi e spiritualismo Nella seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più consistenti di cui comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di altro tipo, e tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e politico. Si tratta di quel filone spiritualista che si riallaccia alla cultura della crisi sviluppatasi in Europa dopo il 1929 con svariate manifestazioni, da quelle politiche dei non conformisti francesi che potevano giocare un ruolo oggettivamente pro fa 158 Sergio Martinelli in Leonardo da VINCI; come biografia romanzesca l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti ( Rassegna storica del Risorgimento , XXV (1938),1437). " ; LONGO (si veda), CRITICA FASCISTA. Le origini della casa editrice Einaudi scista ‘9, a quelle del mondo cattolico, assai più ambigue perché difficilmente si concretizzavano sul terreno politico, ma comunque decisamente anticomuniste e antidemocratiche più ancora che antinaziste, come nel caso dei cattolici italiani che individuavano nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza mettere in discussione il fascismo !. Anche in Italia questa ondata irrazionalistica, tesa a mettere in discussione i valori materiali della civiltà contemporanea, fu alimentata in particolare dagli ambienti cattolici, ma investî anche quelli laici, a indicare la presenza di un profondo disorientamento e la ricerca di nuove o antiche certezze: e l’insofferenza per l'ordine costituito poteva seminare dubbi in un mondo politico, come quello italiano, in cui il fascismo sbandierava le sue inoppugnabili verità. Il pericolo era avvertito dal regime, se nel suo ambito si poteva parlare, a proposito della Kulturkrisis, di manifestazioni patologiche della cultura contemporanea, augurandosi che allo storico futuro non abbiano a sfuggire le varie e numerose manifestazioni del genere: perderebbe con esse una delle più eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio logico e morale che imperversò in questi anni !. Motivi spiritualeggianti, talvolta a sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di Giulio Einaudi, che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo fascista annovererà anche quello di contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo e inquieto dei problemi del momento !; ed è significativo che negli stessi anni Guanda inaugurasse una collana di Testi per una religione universale , e che perfino Laterza ne dedicasse una agli Studi religiosi, iniziatici ed esoterici , dove 10 R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974,545-549. 161 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (19291937), Bologna, il Mulino, 1979, cap. IX. 1@ Cosi il Meridiano di Roma del 10 gennaio 1937, nella recensione a René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, 1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti italiani di questa tematica E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in Terzo programma (1962), n. 3,168-176. 163 AE, G. Einaudi. circolò il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner che tanto colpi il giovane Eugenio Curiel '#, Che il mondo attraversi al presente un periodo di grave scompiglio, foriero di più fosche vicende per l’avvenire, non c’è alcun dubbio fra quanti hanno un uso passibilmente normale delle proprie ‘facoltà intellettuali , osservava nel 1938 padre Brucculeri su La Civiltà cattolica passando in rassegna alcuni libri .sulla crisi odierna !9: fra questi, La crisi della civiltà di: Johan Huizinga tradotto da Einaudi nel 1937, che ebbe una seconda edizione già l’anno successivo. Il pampblet dello storico olandese, dal titolo originario Nelle ombre del domani, faceva esplicito riferimento alla crisi del ’29 cui era attribuita la sensazione della minaccia di. un tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà icome mai si era avuta nel recente passato, se non all’inizio del secolo con il pericolo di una rivoluzione sociale che il marxismo faceva balenare di tanto in tanto . Vediamo distintamente come quasi tutte le cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a vacillare: verità e. umanità, ragione e diritto , affermava accoratamente Huizinga, la cui analisi della crisi, cosî come le soluzioni indicate, presentano elementi di ambiguità che danno ra:gione delle letture diverse cui dette luogo. Da un lato si :scaglia contro il razzismo, contro Sorel padre spirituale degli odierni regimi totalitari , contro le filosofie vitalistiche, la dottrina della autonomia morale dello stato e quella dello stato-potenza privo d’ogni freno ; dall’altro la sua critica non è meno dura nei confronti del marxismo, in quanto osserva che né il secolo XVI né il principio dell'Ottocento vide mai minare con sistematica coerenza l’ordine e l’unità sociale mediante una dottrina quale quella dell’odio di classe e della lotta di classe , e a questa accomuna la dottrina della relatività della morale, insegnata ora N. Briamonte, La vita e il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, Feltrinelli, 1979,20-24. IS A, Brucculeri, La crisi odierna, in La Civiltà cattolica , 89 (1938) vol. I,326: accanto a Guénon e Huizinga esaminava Quel che o e quel che nasce del cattolico Daniel Rops (Brescia, Morcelliana, ‘264 Le origini della casa editrice Einaudi sia dal sistema scientifico del materialismo storico, come: dai sistemi psicologici che derivano da Freud ; accuse altrettanto dure sono lanciate contro il superficiale razio:' nalismo del secolo XVIII , il cui disastroso effetto fu di sradicare il concetto del servire dalla coscienza popolare , e contro il progresso in generale, aristocraticamente giudicato una ingenua illusione dell’800. Da questa analisi scaturiva la proposta di un nuovo ascetismo di cui forse era un’eco parziale il nuovo umanesimo auspicato da Salvatorelli, che non sarà un ascetismo: della negazione del mondo per amore della salvezza celeste, ma del dominio di sé e di un’attenuata stima del potere e del godimento !: un invito che non poteva trovare d’accordo La Civiltà cattolica che, pur approvando nelle linee generali la parte analitica del lavoro di Huizinga, obiettava come la ricerca di certe verità eterne non potesse fare a meno di chi ne era il depositario naturale; il papato, che con Pio XI si era dedicato alla difesa della. nostra civiltà; quindi le sue proteste contro il bolscevismo, contro il nazismo, contro il governo tirannico del Messico, contro le nefandezze dei rossi nella Spagna !. Critiche globali al volumetto dello storico olandese provennero da ambienti culturali diversi: recensendone su: Leonardo l’edizione tedesca, Cantimori, forse già semi-marxista come si dichiarerà più tardi, ma comunque attivamente impegnato nella difesa degli orientamenti politici del regime, lo considerò lo sfogo di uno: spirito d’artista individualistico, liberaleggiante, contro questo mondo moderno, che non gli va , aggiungendo : 16 J. Huizinga, La crisi della civiltà, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1935), in particolare (citiamo dall’edizione einaudiana del 1962). Gherardo Casini, direttore generale per la stampa italiana, assicurava Luigi Einaudi di aver già provveduto ad assicurare la diffusione del saggio di Huizinga (AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato che l’ideale di salvezza che Huizinga propone alla civiltà contemporanea è un ideale etico-razionale nel quale rinascono in una specie di neogiusnaturalismo le vecchie idee di Grozio. Quest’ideale finisce per fondersi con una concezione cristiana del fine della vita (Johan Huizinga, in Terzo programma Brucculeri, La crisi odierna, ma il passo sarà espunto dalla riproduzione di questo giudizio nell’introduzione che Cantimori farà alla nuova edizione einaudiana del 1962 che questa patetica laudatio temporis acti potrebbe anche interessarci, potrebbe essere utile a chi volesse rendersi conto dello stato d’animo di tanta parte della odierna cultura europea di fronte alla rivoluzione sociale che in Europa si va compiendo, se non si mischiasse di politica, e a questo modo non irritasse il lettore di un paese cosî impegnato nella lotta politica e sociale di oggi come questa nostra Italia '#. Analogo il giudizio espresso sulla Nuova rivista storica da Mario M. Rossi, che lo defini lo sfogo pit o meno poetico di un laudator temporis acti, come in mille epoche già ne abbiamo uditi , e lo avvicinò a Dawson, ad Huxley e alle ultime teorie sulla morale di Bergson !. Anche i giovani di Corrente dichiararono di non consentire con la speranza che la scienza possa divenire saggezza , in quanto non dal sapere, ma dal concreto tumulto della vita nascono i problemi e le soluzioni ‘, e quelli de La Ruota , pur vedendo nel libro il prodotto spontaneo di un cuore sincero , vi colsero opinioni superate e irrigidimenti dottrinari tutt'altro che accettabili !, D'altro lato è interessante notare come, nell’ambito di un giudizio sostanzialmente positivo, in ambienti culturali opposti si cogliesse l’occasione per polemizzare con l’idealismo e lo storicismo crociano: La Civiltà cattolica criticò infatti il plauso della filosofia tedesca fatto da Huizinga, che invece avrebbe potuto rintracciare nelle costruzioni filosofiche alemanne, nel kantismo particolarmente e nell’hegelianismo, le scaturigini principali e remote della decadenza del pensiero, dello scetticismo morale, della autonomia della politica e della statolatria e di altrettali degenerazioni, contro le quali egli scrive delle pagine brillanti e quanto 168 Leonardo Nuova rivista storica Bertin, La crisi della cultura e il problema della scienza, in Corrente di vita giovanile , 15 febbraio 1940. I7l M. Cesarini ne La Ruota , II (1938), n. 1,100 (era esaminato anche H. Keyserling, La rivoluzione mondiale e la responsabilità dello spirito, Milano, Hoepli, mai proficue !; e su La Nuova Italia Alfredo Parente, dopo aver giudicato il libro altamente pregevole come sincera espressione di un vivo travaglio e di preoccupazioni e turbamenti che sono preoccupazioni e turbamenti dell’intera umanità presente , ne traeva spunto per affermare che la ormai diffusa concezione idealistica, che il male e l’errore giustifica e redime nell’ordine della vita spirituale, e il congiunto ottimismo, che non indulge alla disperazione e ispira la più estrema fiducia nella vittoria definitiva del bene, possono essere un pretesto di fatalistica inoperosità nella coscienza degl’imbecilli e dei neghittosi, e un istrumento di malizia nelle mani dei disonesti che da quella concezione filosofica credono di poter trarre la giustificazione e l’approvazione del loro qualsiasi operare ; e, dichiarandosi d’accordo con Huizinga nel veder conculcati i valori morali, si spingeva in un invito all’azione assai distante dalla proposta di un nuovo ascetismo : sappiamo che gli animi dotati della sensibilità morale dello scrittore olandese, silenziosi custodi pure in tempo di burrasca e di travolgimenti dei valori dello spirito, son molti, nonostante le loro voci siano sommerse da un assai crudo e talora bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna adagiarsi e cullarsi in quella certezza, col rischio che il ritorno della serenità e della luce sia ritardato dall’opera di coloro, cui quella speranza non lusinga e altri meno eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, Ma l’autore non è né uno storico, né un politico, né filosofo: è, mi pare, un buon cattolico che sorvola sui problemi della politica e dello Stato, scriveva a Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il meridionalista di tradizione salveminiana Tommaso Fiore, invitando l’editore a pubblicare storia in concreto !. Accenti spiritualiBrucculeri, La crisi odierna,330. 173 La Nuova Italia AE, Fiore, 6 gennaio 1938; come esempio di storia in concreto il 26 dicembre 1937 Fiore aveva proposto la traduzione di Richard Freund, Watch Czechoslovakia! (1937): Non è un libro antifascista e non si ‘può dire una difesa della democrazia (molto meno della Cecoslovacchia), ma si capisce che la difesa della democrazia è un sottinteso e le simpatie per la borghesia ceca e pel Socrate di Praga sono naturali e profonde . Fiore, nel ’38, auspicava anche manuali di geografia politica, fatti senza aridezza, in cui il senso politico sia profondo stici, di chiaro stampo cattolico, riappaiono invece ne La formazione dell’unità europea di Christopher Dawson. L’autore di Progress and Religion (1929), di cui La Civiltà cattolica aveva fatta propria l'impressione di vedere già sorgere una nuova società, che disconoscerà ogni gerarchia di valori, ogni disciplina intellettuale, ogni tradizione sociale e religiosa, ma che vivrà per l’attimo presente in un caos fatto unicamente di sensazioni !, era stato già indicato da Mario M. Rossi, sulle pagine della Nuova rivista storica , come uno degli artefici di quelle sintesi storiche , fondate su una determinata dottrina filosofica o religiosa , che, sempre più frequenti a mano a mano che l’Europa va dissolvendosi nel caos , sono un prodotto di crisi e non dell’esame di una situazione solida e delineata !. Oppositore del progresso scientifico che gli appariva una religione laica che ha voluto sostituire la vera unità culturale europea il Cristianesimo , anche nel volume einaudiano Dawson considera la Chiesa elemento unificante della storia europea fra V e XI secolo, in linea con tutta la componente cattolica della cultura della crisi , intenta a costruire una filosofia della storia che tendeva a gettare ponti tra i secoli, ridotti ad attimi di un fluire storico di smisurato respiro attorno alla vita della Chiesa !7. Dopo aver dichiarato, con toni spengleriani, che Azio, come Maratona e Salamina, fu uno scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una finale vittoria degli ideali europei di ordine e di libertà sopra il despotismo orientale un’affermazione che ritroveremo nelle pagine iniziali del Profilo della storia d’Europa di Salvatorelli e, ancora più puntualmente, nel corso sulla Storia dell’idea di Europa tenuto da Chabod, Dawson faceva una professione di fede storiografica e ideologica insieme, sostenendo che l'influsso del cristianesimo sulla formazione dell’unità europea è un notevole esempio del modo come il corso dello sviluppo storico viene modificato e determinato dall’inter- Brucculeri, La civiltà e le sue moderne involuzioni, in La Civiltà cattolica Nuova rivista storica Moro, La formazione della classe dirigente cattolica Le origini della casa editrice Einaudi vento di nuovi influssi spirituali , in quanto esiste sempre nella storia un elemento misterioso e inspiegabile, dovuto non solo all’influsso del caso o all’iniziativa del genio individuale, ma anche alla potenza creatrice delle forze spirituali . Su questa base l’autore sviluppa il suo ragionamento, teso a dimostrare che la Chiesa non fu coinvolta nella caduta dell'impero di Occidente perché era diventata una istituzione autonoma che possedeva il suo principio d’unità e i suoi propri organi d’autorità sociale. Essa era in grado di diventare contemporaneamente l’erede e rappresentante dell’antica cultura romana, e la maestra e la guida dei nuovi popoli barbarici ; cosi all’inizio del secolo VIII, quando l’invasione musulmana aprî un’ epoca di universale rovina e distruzione , vennero gettate le fondamenta della nuova Europa, da uomini come San Gregorio, che non avevano idea di edificare un nuovo ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si travagliavano per la salvezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu proprio quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al papato l’energia di diventare, nella decadenza generale della civiltà europea, un centro di riorganizzazione delle forze della vita . Al termine di questo processo, il secolo XI vide l’incorporazione di tutta l’Europa occidentale nella cristianità , e l’inizio di un moto di progresso che dura poi quasi senza interruzione fino ai tempi moderni ; la logica conclusione del volume era perciò un invito a proiettare nel futuro la tradizione culturale ricostruita in sede storica: Ai nostri giorni l'Europa è minacciata del crollo della cultura aristocratica e laica su cui era fondata la seconda fase della sua unità. Sentiamo di nuovo il bisogno di un'unità spirituale o almeno morale. Ma è bene ricordare che l’unità della nostra civiltà non poggia soltanto sulla cultura laica e sul progresso materiale degli ultimi quattro secoli. Ci sono in Europa tradizioni più profonde di queste, e dobbiamo risalire oltre l’umanesimo e oltre i trionfi superficiali della civiltà moderna, se vogliamo scoprire le fondamentali forze sociali e spirituali che hanno lavorato alla formazione del l’Europa Dawson, La formazione dell’unità europea dal secolo V all'XI, Non ci manca che la preghiera a Notre-Dame de Lourdes, perché il Dawson ci appaia come un maresciallo Pétain della cultura , osservava sarcasticamente, nel 1940, il libertino Arrigo Cajumi, ormai distaccato dall’ambiente della casa editrice ‘, Ma sempre nel 1940, quando anche l’Italia era entrata in guerra, Mario Delle Piane riconosceva a Dawson il merito di aver fatto rivivere un’epoca lontana ed oscura e, pur tuttavia, attualissima, oggi che si assiste, pare, alla lotta di due civiltà ed alla fine di una di esse, anche se aggiungeva, idealisticamente, che la civiltà è una e imperitura, non essendo altro che il concretarsi dello sviluppo del libero spirito umano: cioè storia !®. Più nettamente si esprimeva, pur mantenendosi sul piano della discussione storiografica, Gino Luzzatto, che alla storia delle idee di Dawson contrapponeva il Maometto e Carlomagno di Henry Pirenne uscito da Laterza nel 1939, mosso dall’osservazione di un fatto economico , e, giudicando alquanto azzardato il ragionamento dello storico inglese, si chiedeva se la mirabile fioritura della vita cittadina fra il XII ed il XV secolo non abbia avuto per la formazione della moderna civiltà europea un’importanza assai maggiore dei rapporti fra Chiesa ed Impero 15. Il tema del contrasto fra civiltà materiale e aspirazioni spirituali, presente in Huizinga e Dawson, circola problematicamente anche nei romanzi dei Narratori stranieri tradotti , in particolare in quelli di autori inglesi dell’età traduzione di C. Pavese, Torino, Einaudi. Anche per Chabod ad opera del pensiero greco si era formata una Europa che rappresenta lo spirito di libertà, contro il dispotismo asiatico (Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan ed A. Saitta, Bari, Laterza Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di V. Santoli, Torino, Einaudi, 1970,183. 180 Rivista storica italiana , s. V, V (1940),425. Secondo Gabriele Pepe, per Dawson il mondo europeo sente più vivo il bisogno di un ordine culturale nuovo, fondato su un pivi intimo contatto con le civiltà dei popoli dell’Oriente e di tutto il restante mondo, che non rientrano nei quadri della nostra tradizione culturale (La nascita dell'Europa, in Oggi , 24 febbraio 1940). 181 Nuova rivista storica , XXIV (1940),262-264 (siglato G.). 270 Le origini della casa editrice Einaudi vittoriana la cui funzione, in questi anni di crisi di valori, può apparire analoga a quella svolta a cavallo del secolo dal Tolstoj fustigatore del progresso meccanico !. Di Pater, fin allora conosciuto in Italia solo come caposcuola di un estetismo immoralistico che sarebbe emerso dai suoi studi sul Rinascimento, Einaudi presenta il romanzo del 1885 MARIO DEL GIARDINO l’epicureo, in cui l’autore intende to show the necessity of religion , in un senso assai diverso dalla difesa della religione laica fatta nel 1882 dal Marc Aurèle di Renan. Il protagonista, la cui vicenda è ambientata ai tempi di Marco Aurelio espressione di una civiltà arida paragonata da Pater a quella materialistica dell’800, abbraccia dapprima un epicureismo elevato a disciplina morale, che ha per suo fine non il godimento, sia pure raffinato, ma la perfezione dell’essere intimo, culto reso alla luce dell’intelletto , per approdare infine al cristianesimo, come scrive la curatrice del volume: Il cristianesimo fervido e sereno di quei primi tempi eroici, scevri di fanatismo, l’esultanza invulnerabile dei credenti, la loro speranza serena, gli mostrano il sorgere di un’umanità dotata di quelle qualità morali di cui il mondo pagano è privo, ma che pure non rinnega l’amore alla vita e alla bellezza !. Romanzo filosofico , lo qualificherà Beniamino Dal Fabbro recensendolo positivamente su Primato , in cui tuttavia il significato dottrinario sembra soverchiato da un senso religioso inteso liricamente . Lo stesso Dal Fabbro citava le edizioni einaudiane, entrambe del 1939, de La storia di Henry Esmond di Thackeray e del David Copperfield di Dickens tradotto da Pavese, per coglierne la contemporaneità in ciò che fu chiamato il compromesso vittoriano, saggia mistura di borghesia e di cristianesimo, di calcolate ribellioni e di più comode acquiescenze !. Materia e spirito si oppongono e si confondono anche 182 G. Turi, Aspetti dell’ideologia del Psi (1890-1910), in Studi storici , XXI (1980),85 n. 102. 183 W. Pater, Mario l’epicureo, traduzione di L. Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi Primato , I (1940), n. 1,14, e Oggi in Cosi muore la carne di Samuel Butler, un romanzo in gran parte autobiografico ambientato nell’età vittoriana, in cui il curatore notava la ricerca continua e affannosa di una fede, in grado di sostituire la religione tradizionale , e l’ingenua fiducia accordata a ogni nuova teoria, la quale non tardava ad abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi in un alone religioso , la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito agli uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando il vero dio !. Dal romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio Gabrieli per presentare la figura dell’autore su Civiltà moderna , e mettere in luce che nell’età vittoriana, in un momento in cui si accentua e si propaga il dissidio tra sentimento religioso e spirito scientifico, misticismo e razionalismo , nasceva in Butler, cosî come nel protagonista del romanzo, la satira della società, della scuola, della famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo di conciliare la scienza con la religione: di qui, in lui, una curiosa mescolanza di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e fantasia suggestiva , e, in contrasto con la visione materialistica dell’universo fornita da Darwin, l’affermazione dell’attività dello spirito sulla materia, della libertà umana, del progressivo scoprirsi d’un ordine nell’universo, un principio vitalistico ed una forza creativa, sostituendo cosî al meccanismo della selezione naturale una finalità, un divenire teleologico, che effettivamente collima con una concezione religiosa !, In questo contesto si spiega come nel 1938 Aldo Capitini, esponente di un liberalsocialismo dalle forti venature religiose, si rivolgesse a Einaudi per proporgli la pubblicazione dell’epistolario di Michelstaedter, un autore che Capitini scopri negli anni ’30 e che tanta influenza ebbe sui suoi Elementi di esperienza religiosa, cosi come 185 S. Butler, Cost more la carne, prefazione e traduzione di E. GiaDio, Torino, Einaudi, 1939,VII, IX (citiamo dalla seconda edizione el 1943). 186 V. Gabrieli, Presentazione italiana di S. Butler, in Civiltà moderna. Landolfi coglieva invece nel romanzo un'impressione di triste aridità ( Oggi Le origini della casa editrice Einaudî su altri intellettuali che negli anni fra le due guerre ne. ripresero la riflessione sulla situazione umana, sui valori della morale e della fratellanza; di lui, ricorderà Capitini, lo aveva colpito l’antiretorica, quel tipo di esistenzialismo, che poteva divenire supremo impegno pratico, come poi mi è stato confermato dall’esame dell’epistolario manoscritto, dall’interesse che egli ebbe negli ultimi suoi anni per i Vangeli; insomma mi pareva esatto considerarlo. come la premessa di una tensione pratica etico-religiosa !. Carlo Michelstaedter scriveva infatti a Einaudi ha portato. nella cultura italiana un rigore insolito nell’esigenza dell’assoluto. Egli spicca in confronto di molti suoi coetanei della Voce che furono morbidi e, prima o poi, arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico difetta troppo nella nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile l’innesto. Le riserve sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter [morto suicida nel 1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli che oggi ascoltano voci perentorie e disperate per vincere la faciloneria. Cresce l’interesse per lui; sta diventando un punto di riferimento, anche per chi comprende che si deve andare oltre e ricostruire ma su serie rovine !88, Dubbi o disorientamenti, tendenze spiritualistiche ed esperienze religiose, anche se non univocamente contraddistinte, o recepite, sul piano civile, venivano cosî conferendo alla casa editrice la funzione di stimolo alla riflessione, a non affidarsi alle certezze del regime proprio nel momento in cui ci si avvicinava alla guerra. Una cultura eclettica: i Saggi Dubbi e inviti alla riflessione si accompagnano tuttavia, ancora in questi anni, alla difficoltà di attestarsi su una linea culturale ben definita, che si manifesta in una 187 A. Capitini, Antifascismo tra i giovani,53. Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due guerre E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo,102-103. 18 AE, Capitini. L'editore propose invece a Capitini di scrivere un libro su Michelstaedter; nel 1938 Capitini propose anche Ends and means di Aldous Huxley inquieta ricerca di novità : ne è testimonianza precipua la collana dei Saggi , quella di maggiore diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse, dimostrando talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura fascista ma, al tempo stesso, il persistere di un eclettismo che smorza i tentativi innovatori della casa editrice. I Saggi erano stati inaugurati nel 1937 da Voltaire politico dell’illuminismo di Raimondo Craveri, severamente giudicato da Giustizia e Libertà !° incapace di cogliere gli elementi caratteristici di un’opera che, in linea con l’interesse per il pensiero settecentesco de La Cultura e di Salvatorelli, si richiamava agli studi più recenti, in particolare a quelli di Dilthey e di Cassirer negatori della taccia di antistoricismo mossa al secolo XVIII, per svolgere una critica trasparente dell’idealismo e della concezione attualista dello Stato: Le idées claires che l’illuminismo ha amato osservava infatti l’autore, giovano forse a riportatci in più spirabil aere di quello saturo di aberrazioni mentali mascherate di hegelismo ed ammantate di dialettica d’oggigiorno . Il teorico del dispotismo illuminato diverrebbe ora il nemico d’ogni statolatria e d’ogni anarchia ed, in quanto fautore della tolleranza, l’avversario principe dello Stato provvidenzialmente onnipresente ed onniagente. Sul terreno teorico Voltaire scende in campo contro gli epigoni dell’hegelianismo L’anno successivo appariva il Profilo di Augusto di Ettore Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e attualizzazione del personaggio biografato, proprio quando la sua figura era ufficialmente celebrata dal fascismo alla ricerca di legittimazioni imperiali in occasione del bimillenario della nascita dell’imperatore romano, appariva evidente fin dalle dichiarazioni metodologiche iniziali in 189 Libro di eccellenti intenzioni, ma di esito abbastanza infelice [....] l’abuso di filosofia del Craveri lo porta a dedicare l’intero suo libro al sistema filosofico di Voltaire, che era cosa da trattare in quattro pagine . Le sole cose sensate ci paiono essere le riflessioni sul despotismo illuminato, e il suo carattere apolitico, la indifferenza di Voltaire per lo Stato e il suo ottimismo per la libera attività nella società esistente ( Giustizia e Libertà , 23 aprile 1937). 190 R. Craveri, Voltaire politico dell'illuminismo, Torino, Einaudi Le origini della casa editrice Einaudî cui l’autore, riecheggiando, anche se in forma più blanda, gli interessi economico-sociali che ne avevano caratterizzato la produzione a cavallo del secolo, affermava che gli uomini dovevano essere collocati in relazione all'ambiente e al tempo , onde non si tratta di apoteosi o condanne, di glorificazioni od esecrazioni; e piuttosto, o meglio, di cercare di comprendere come e per quali vie e tra quale varia cooperazione e con quali effetti sociali gli eventi si svolsero e si conclusero, e con quali prospettive e significato ; ma si limitava in realtà ad una narrazione puramente cronachistica, in cui spicca un solo giudizio dal trasparente significato politico, che, ancora una volta, la Nuova rivista storica non mancava di rilevare: Gli autocrati, d’ordinario, dovendo farsi perdonare la confiscata libertà e il potere assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio: quindi la guerra !. Distante dalla cultura idealistica era anche l’interpretazione psicanalitica proposta dallo psichiatra spagnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le qualità umane dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una concezione relativistica della morale, secondo la quale le cose non sono quasi mai assolutamente buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o negativa, dipende pi dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro di chi le pronuncia !, Una linea diversa prevale invece nei saggi dedicati alla letteratura italiana, nonostante la presentazione della figura inquieta e non conformista di Tommaseo, di cui Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace 191 E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi la recensione di Giovanni Costa in Nuova rivista storica anche M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, Dedalo, 1979,133. Nel giugno 1938 Ciccotti propose all’editore la ristampa de La guerra e la pace nel mondo antico del 1901, ma Einaudi gli contropropose un saggio sui Gracchi (AE, Ciccotti). 192. G. Marafion, Arziel, o della timidezza, traduzione di M. F. Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz. originale 1932),XV; Ferrata osservò che il libro manca, del tutto, di sensibilità poetica e psicologica ( Oggi rante contrasto fra il richiamo dei sensi e quello della religione, mentre, presentando la Cronichetta del Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea, accanto all’attaccamento alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine di quella critica troppo spesso genialmente e perfida mente malevola che investe in primo luogo i protagonisti piemontesi del processo di unificazione, Cavour e Vittorio Emanuele ‘, suscitando ovviamente lo sdegno della Rassegna storica del Risorgimento che giova il conoscere tanta ombra, quando alla storia si deve piuttosto chiedere tanta luce? !. Preoccupazione precipua dell’editore appare comunque la difesa del crocianesimo, testimoniata anche dal suo fitto carteggio con quel Luigi Russo che su La Cultura Cajumi aveva duramente stroncato ! Nella raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi, Antonicelli mette in evidenza la vicinanza dei giudizi espressi dall’autore e da Croce, entrambi mossi dalla preoccupazione di distinguere l’uomo dall’artista, che in Parodi si esprime nella sufficienza con cui tratta l’interesse del poeta per la tecnica filologica, cosî come la sua fase socialista e anticlericale, per concludere che Carducci è poco felice quando cerca argomento nella storia più recente, ove facilmente soverchiano in lui le passioni pratiche, e allora gli s’intorbida la serenità lirica, mancandogli lo sfondo epico della lontananza !. Il timore di non con 19 N. Tommaseo, Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1938, e Id., Cronichetta del Sessantasei, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1939,49-50, 78: Tommaseo, osservava Ciampini, vedeva e concepiva l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole, come un soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in Italia, gli appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non vuole fare l’Italia, ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia . 19 Piero Zama, in Rassegna storica del Risorgimento Russo proponeva una serie di volumi miscellanei sugli studi italiani del ’900: due sulla storia e la filologia (curati da lui), due sugli studi filosofici, giuridici ed economici (curati da De Ruggiero e Luigi Einaudi), uno sulle scienze naturali e matematiche (curato da Enriques); nel giugno 1937 accettava di scrivere un volume sul Persiero politico di Vittorio Alfieri (AE, Russo). 1% T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova Italia, saggi raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi; recensendo il volume Enrico Falqui osservava che un Le origini della casa editrice Einaudi traddire Croce è ancora pit esplicito nella vicenda della pubblicazione dei saggi sugli Scrittori francesi dell’Ottocento di De Lollis, un debito dovuto alla tradizione sulla quale si era formato il primo nucleo della casa editrice: Giulio Einaudi ne aveva inizialmente affidata la cura a Cajumi, raccomandandogli di evitare toni anticrociani tali da provocare una stroncatura da parte della Critica ; ma l’ex direttore de La Cultura aveva dichiarato di non poter accettare la censura crociana , aggiungendo che le colpe e le ipocrisie crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma anche dei vecchi delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire documentatamente in luce . Dopo aver inutilmente proposto dei tagli alla prefazione di Cajumi per togliere gli accenni più violenti all’idealismo e alla filosofia in genere , l’editore ne affidò quindi la cura al pi fidato Vittorio Santoli ', che nell’introduzione dichiarava decisivo l’incontro di De Lollis con Croce, mettendo in luce, nel primo, il riconoscimento dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la quale ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è tutto suo ; ‘e concludeva estendendo i legami fra Croce e De Lollis alle riviste da loro dirette: della Cultura si può tranquillamente dire ch’essa, insieme alla Critica, è stata la rivista che più ha contribuito ad avviare la mentalità universitaria italiana dal tecnicismo all’umanesimo, da certe angustie paesane ad una universalità di sguardo nella quale era però sempre riconoscibile il tranquillo orgoglio d’essere ah si! di gran signori !. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di linee diverse, nel 1939 la Nuova raccolta di classici italiani annotati diretta da Santorre Debenedetti costretto dalle leggi razziali ad abbandonare l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla filologia nel giudizio sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe alla critica idealistica quella aderenza al fatto artistico la quale, da ultimo, si risolve in una maggior comprensione dell’opera stessa (Oggi , 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli accettava din Einaudi l’incarico di curare un'antologia della letteratura italiana in otto volumi (AE, Antonicelli). 197 AE, Cajumi. 1% C. De Lollis, Scrittori francesi dell'Ottocento, con un saggio biogra fico di V. Santoli, Torino, Einaudi si inaugurava con le Rizze di Dante commentate, in senso non certo crociano, da Gianfranco Contini, e che pur Luigi Russo giudicò opera fondamentale che segna una data nella storia degli studi e delle interpretazioni dantesche !°. Al tempo stesso, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana cui abbiamo già accennato a proposito della Biblioteca di cultura storica , iniziava nel 1938 anche nei Saggi : l’Autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein un vivace affresco della cultura d’avanguardia europea dell’inizio del secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a Hemingway, permetteva al traduttore, Pavese, di cogliere i debiti dell’autrice verso Walt Whitman nella contemplazione ironica e insieme intenerita di un mondo reale, fuori d’ogni troppo compiaciuto interesse per i procedimenti dell’arte e in quel conturbante realismo della vita subconscia che resta a tutt’oggi il pit vitale contributo dell'America alla cultura ?°, motivi non estranei alla ricerca stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno era inaugurata la collana Narratori stranieri tradotti in cui, scriveva l’editore, dovrebbero entrare, oltre ai classici, solo scrittori universalmente riconosciuti come eccellenti ?". Nata per impulso di Ginzburg che con estremo puntiglio filologico ne seguirà le edizioni anche dal confino di Pizzoli e con l’apporto di Pavese, la celebre collana dalla copertina azzurra offrî, sulle tracce della Slavia da cui riprese alcuni titoli russi , traduzioni integrali di testi molti dei quali mai fin allora conosciuti in Italia nella loro completezza, ad opera di traduttori d’eccezione: accanto a Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto, Alberto Spaini, Pietro Paolo Trompeo, Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo Sbarbaro, per arrivare, nel 1946, alla prima traduzione di Proust a cura di 19 Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE, Russo). Sul direttore della collana ora L. De Vendittis, Santorre Debenedetti tra positivismo e idealismo, in Studi piemontesi , VIII (1979),3-25. 20 Ora in C. Pavese, La /etteratura americana Einaudi a Umberto Morra, 8 maggio 1939 (AE, Morra). 2 AE, Polledro. Le origini della casa editrice Einaudi Natalia Ginzburg. Il lettore italiano venne cosî a contatto soprattutto con i capolavori del romanzo psicologico ottocentesco, stimolo a riflessioni su vicende e passioni al di sopra delle contingenze storiche, non senza talvolta, attraverso la guida delle introduzioni, riferimenti indiretti all'attualità. Gli interessi e i suggerimenti dei curatori sono ovviamente diversi: mentre Lo Gatto antepone nell’Oblòmov di Gonciaròv il valore artistico rispetto a quello sociale ?%, Pavese coglie in Tre esistenze della Stein un primo esempio perfetto di quella che sarà ricerca costante della narrativa americana del nuovo secolo: un mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo farsi espressivo , un giudizio non solo estetico che Mario Alicata puntualizzerà evidenziando la descrizione della provincia americana nella sua grama miseria, nella sua disperata solitudine , per cui il realismo metafisico della Stein sempre volutamente si nega ad ogni illuso sentimentalismo ?. Nei romanzi di Dostojevskij pubblicati durante la guerra Ginzburg mette invece in evidenza, pur accanto alle contraddizioni della filosofia dell’autore, il messaggio umano del principe Myskin, assolutamente buono e non per questo vinto, la cui figura anima un libro consolante e vivificatore come pochi altri libri venuti dopo il Vangelo , e, nei Demoni, la critica di Dostoevskij che restò tuttavia lontano da ogni apologia dell’ordine esistente verso i risultati, e non verso le ragioni dei rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante, l’inquieta ricerca della fede ?. E, mentre nel 1942 è presentato come la tragedia d’un Amleto americano e una sofferta polemica contro l'umanità il Pierre o delle ambiguità di Melville, che Pratolini considera precursore di Meredith, James e Conrad, una filza di nomi che potrebbe continuare, prove alla mano, fino a comprendere autori che respirano l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e traduzione di E. Lo Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941),VII. 2% C. Pavese, La letteratura americana,169; recensione di Mario Alicata in Leonardo , XI (1940),174. 25 Ora in L. Ginzburg, Scritti, di questa lunga giornata di guerra, da una parte e dall’altra delle trincee ?, la difesa dei valori dell’uomo che trascendono sistemi politici o contingenze belliche, e la speranza di una fratellanza universale, traspaiono, sempre nel 1942, da Guerra e pace, dove guerra è il mondo storico, pace il mondo umano , osserva Ginzburg, quel mondo umano che interessa ed attrae particolarmente Tolstoj soprattutto perché egli è convinto che ogni uomo di ieri, di oggi, di domani valga un altro uomo , e che trova la sua esaltazione nel finale intimistico e famigliare del romanzo, dove è descritta quella felicità che può far distogliere lo sguardo di un giusto da un uomo ucciso ingiustamente 2. L’amore per la natura, i diritti del cuore, la gloria del sentimento , contrapposti alla falsità della vita sociale , erano stati messi in luce nel primo volume della collana, I dolori del giovane Werther ®; da Goethe si passa, con la caduta del fascismo, a Diderot, a Jacques il fatalista in cui Glauco Natoli identifica nel protagonista e nel padrone dei personaggi reali, nei quali s’incarna la mortale polemica fra due classi destinate ad affrontarsi, nel fatale declino l’una, nell’irresistibile ascesa l’altra, che s’affrancherà sempre più d’ogni servile retaggio per reclamare e raggiungere quella dignità umana, che troverà fra non molto la sua piena espressione nella dichiarazione dei diritti dell’uomo °°. Il commento si farà infine ancora più esplicito nel 1945, sempre attraverso Diderot, di cui Fernanda Pivano sottolineerà la passione politica dell’uomo che si pone di fronte a leggi costituite da un’autorità non riconosciuta e a norme imposte da una tradizione isterilita per abbatterle ed eliminare gli ostacoli al libero pen 26 H. Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e traduzione di L. Berti, Torino, Einaudi, 1941,VII, IX; la recensione di Pratolini in Primato , III (1942),287-288. 20 L. Ginzburg, Scritti,285, 287. 28 W. Goethe, I dolori del giovane Werther, prefazione e traduzione di A. Spaini, Torino, Einaudi Diderot, Jacques il fatalista e îl suo padrone, traduzione di G. Natoli, Torino, Einaudi, 1944,XV. 280 Le origini della casa editrice Einaudi siero, alla libera parola, alla libera morale, alla libera scienza 7°, Attraverso i classici della letteratura universale potevano cosi passare messaggi emotivi capaci di distrarre il lettore dalla realtà della vita quotidiana, e sollecitarne la fantasia, la riflessione, la critica. Un raggio d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra iniziativa della casa editrice, la Biblioteca di cultura scientifica avviata nel 1938, che trovò probabilmente un terreno di coltura già preparato nella Torino di Giuseppe Peano, e un animatore in Ludovico Geymonat: una collana che con i testi di De Broglie, Pavlov o Planck, riuscf a presentare, non senza contrasti ?!, una tematica che era rimasta estranea alla cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli epigoni del positivismo avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a partire dal 1940, la rivista Il Saggiatore , dedicata alla divulgazione dell’attualità scientifica nei campi della matematica, della biologia, della fisica fino ai problemi dello sfruttamento dell’energia nucleare e delle loro applicazioni tecniche, ma che solo in casi isolati si occupò dell’utilizzazione delle scoperte scientifiche a fini bellici, dimostrandosi severa custode dell’autonomia della scienza, fino a definire ridicola la condanna papale di Galileo Diderot, La religiosa, prefazione di F. Pivano, Torino, Einaudi Ad esempio il 14 novembre 1942 Geymonat inviò a Francesco Severi e Armando Carlini un memoriale per protestare contro il parere negativo dell’Accademia d’Italia alla traduzione di Die Grundlagen der Arithmetik di Gottlob Frege (AE, Geymonat). Dedica un breve cenno all'ambiente torinese di Peano C. Pogliano, Mondo accademico, intellettuali, professione sociale dall'Unità alla guerra mondiale, in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Pie monte, diretta da A. Agosti e G.M. Bravo, vol. I. Dall'età preindustriale alla fine dell'Ottocento, Bari, De Donato. 212 M.G. Fracastoro, Nel 3° centenario della morte di Galileo Galilei, in Il Saggiatore. La rivista era diretta da C. Frugoni, F.Mazza, A. M. Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281 8. La svolta della guerra e i collaboratori romani La seconda guerra mondiale rappresenta, per l’itinerario culturale e politico di molti giovani intellettuali formatisi negli anni ’30, quella svolta in senso antifascista che spinse Bottai a tentare con Primato di recuperarne il consenso attorno alla guerra italiana . Il 1940 è una data periodizzante anche per la casa editrice, i cui interventi se prescindiamo dalla continuazione della battaglia conservatrice dei liberisti si modificano sensibilmente: si accentuano i contatti con la cultura europea e si raccoglie attorno alla casa un numero crescente di intellettuali progressisti, cos che negli anni intercorrenti tra l’entrata in guerra dell’Italia e il 25 luglio 1943 si pongono concretamente, nelle realizzazioni o anche solo nei progetti alcuni dei quali molto coraggiosi per allora le premesse di gran parte delle iniziative editoriali del periodo postbellico. Uno dei punti nodali che è necessario mettere in luce, in questi anni, è il rapporto della casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi si proponeva di svolgere attraverso Primato . Giulio Einaudi ha ricordato che il nostro gruppo non solo non agî all’interno dello schieramento fascista, ma tentò di fare in proprio e spesso con successo quella stessa politica che il fascismo intendeva attuare con strumenti come Primato . Forme indirette di opposizione sf, com’era inevitabile a chi, producendo libri, doveva agire alla luce del giorno, e assumere di volta in volta una maschera, che fosse la più trasparente possibile; concessioni ideologiche al fascismo, o discussioni alla pari, mai 215, Queste parole rivelano una sopravvalutazione del ruolo di opposizione che sarebbe stato svolto da Bottai, e di conseguenza potrebbero essere assunte come prova di un pieno coinvolgimento della linea editoriale einaudiana nella fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva politica del ministro fascista, diretta in realtà a imbrigliare ogni opposizione. Infatti, se Primato non può essere tutto 213 AE, G. Einaudi. 282 Le origini della casa editrice Einaudi risolto nella categoria fascismo ?!, e se è necessaria una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel corso della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né dal fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della difesa della cultura , essendo ben marcato il suo carattere militante e ben netto l’obiettivo di Bottai come risulta anche dai suoi ricordi e dalle sue note di diario di far sopravvivere il fascismo al mussolinismo . Non è quindi privo di ambiguità il fatto che, dopo essere entrato in contatto con Bottai proprio nel 1940, ancora nel 1942 Einaudi si rivolgesse a lui per proporgli di pubblicare presso la casa editrice una raccolta dei suoi interventi sull’arte e la cultura non può mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella polemica che ferve per l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi meglio di Voi può difendere questo partito in un libro? , e che nello stesso anno fosse in contatto con il redattore capo della rivista Giorgio Cabella, di cui pubblica il racconto Alloggio sul golfo (1942), oltre ad affidare la cura delle Memorie di Metternich al bottaiano Gherardo Casini, direttore generale per la stampa italiana ?!9. Tuttavia, nonostante la presenza di elementi contraddittori, proprio nel rapporto con la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le intenzioni di Bottai e i risultati della sua politica, in quanto, soprattutto a partire dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori romani di Einaudi che scrivono su Primato hanno già compiuto la scelta antifascista, e sollecitano l’editore a iniziative più avanzate che reclamizzano 214 E. Garin, Cronache di filosofia italiana,527. %5 le osservazioni di Luisa Mangoni premesse all’antologia Primato 1940-1943, Bari, De Donato, Bottai. Il 24 febbraio 1942 Alicata scriveva all'editore: Vedrò domani Bottai per Primato, e gli chiederò ancora il suo volume di scritti culturali (AE, Alicata). Già il 6 ottobre 1940 l'editore aveva chiesto a Bottai di segnalare Il Saggiatore all’apposita commissione ministeriale affinché vengano sottoscritti alcuni abbonamenti per le Biblioteche degli Istituti di Istruzione tecnica ; 1°11 giugno 1942 ringraziava il ministro per l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta . anche le lettere dell’editore a Cabella del 5 si 1942, e di Casini all’editore dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella, asini). sulla rivista, usata come strumento di discussione e di apertura culturale, consentendo cosî alla casa editrice di attestarsi su posizioni che superano i confini del progetto bottaiano. A dare nuova linfa vitale alla casa editrice contribuî infatti nel 1941, con l’apertura della sede romana, l’incontro dell’originario nucleo torinese con quello romano di Mario Alicata, Giaime Pintor e Carlo Muscetta, tre giovani intellettuali che, pur con diversi orientamenti, avevano già tradotto politicamente, in senso antifascista, la loro rapida maturazione culturale; con i loro contatti, inoltre, essi allargarono il numero dei collaboratori di Einaudi, fra i quali comparvero, i che rimasero ancora i più numerosi, intellettuali già aderenti al partito comunista o che si venivano orientando verso di esso, ma tutti uniti nella comune lotta al fascismo, senza che si manifestassero fra di loro, almeno fino al 25 luglio 1943, contrasti di rilievo. Nell’aprile 1940 Alicata e Muscetta avevano contribuito a inaugurare la nuova serie de La Ruota cui collaboravano anche Pintor e Pavese , la rivista diretta da Mario Alberto Meschini che, sostituendo il sottotitolo mensile di politica e letteratura con quello apparentemente più disimpegnato di rivista mensile di letteratura e arte , assumeva in realtà la prospettiva di un’azione politica a più largo respiro ?, nella convinzione, comune a tanti giovani intellettuali che davano vita o partecipavano a iniziative di fronda, di potersi salvare ricorderà Pavese con un tuffo nella folla, un febbrone improvviso d’esperienze e d’interessi proletari e contadini, per cui la speciale e raffinata malattia che il fascismo c’iniettava, si risolvesse finalmente nell’umile e pratica salute di tutti ?!". Mentre Muscetta era attestato su posizioni liberalsocialiste, già nel 1940 Alicata aveva superato l’originaria formazione crociana per abbracciare 2 la testimonianza di Antonello Trombadori in M. Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefazione di G. Amendola, introduzione di A. Vittoria, Torino, Einaudi, Pavese, IÙ fascismo e la cultura 1945), ora in La letteratura americana Le origini della casa editrice Einaudî uno storicismo pit concreto maturato sulla conoscenza di De Sanctis e di Fortunato e sulle prime letture marziste, e aveva aderito al partito comunista segnalandosi subito per quell’intensa attività politica tesa ad allacciare rapporti con i liberalsocialisti e i cattolici comunisti che ne provocò l’arresto alla fine del 1942 ?. Ancora tutto letterato alto-borghese era invece Pintor, che tuttavia viene in contatto, nell'ambiente einaudiano, con il cattolico Felice Balbo il cui influsso sul mio modo di pensare è stato decisivo , annoterà, e viene maturando politicamente di fronte alla drammatica realtà della guerra: senza la guerra ricorderà nell’ultima lettera al fratello io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari [... .J: c’era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente letterari, i tre romani parteciparono alla diverse iniziative di Einaudi: mentre alla fine del 1941 Pintor diviene agente volante della casa editrice, con il compito di leggere libri, dare consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come rappresentante dell’editore ?!, Alicata tiene i contatti col Ministero della cultura popolare per ottenere le autorizzazioni della censura, e arriva ad occuparsi di un problema che acquista importanza decisiva nel corso della guerra, quello dell’acquisto della carta. Inoltre, Alicata e l'introduzione di R. Martinelli a M. Alicata, Intellettuali e azione politica, a cura di R. Martinelli e R. Maini, Roma, Editori Riuniti, e C. Salinari-A. Reichlin-A. Tortorella-G. Amendola, Mario Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma, Editori Riuniti, 1978. 290 G. Pintor, Doppio diario, a cura di M. Serri, Torino, Einaudi, e Id., Il sangue d'Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965,186. Di ambiguità di Pintor ha parlato F. ‘Fortini, "Vicini e distanti. A proposito del Doppio diario È Cine Pintor, in Quaderni piacentini , Pintor, Doppio diario,161. Muscetta aiutano anche dall’esterno l’attività di Einaudi collaborando a Primato , su cui entrambi, con lo pseudonimo rispettivamente di Don Ferrante e di Don Santigliano, segnalano con continuità le iniziative della casa editrice, coinvolgendo in questa opera di propaganda altri intellettuali, come Beniamino Dal Fabbro. Cosi nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un saggio sulla letteratura contemporanea, assicura l’editore che ne segnalerà i volumi tutti, via via, più o meno largamente, nel mio Cotriere delle Lettere su Primato, dove cercherò di far fare puntualmente anche le recensioni , e nello stesso anno elogia sulla rivista di Bottai la ricercata collana di narratori stranieri che Einaudi viene con grande accortezza riunendo. Poche opere, ma tutte eccezionali, tutte illuminatrici d’una personalità o d’un costume 2. Analogamente Muscetta, rispondendo all’invito di Einaudi di fare pubblicità ai suoi volumi su La Ruota cosa che farà regolarmente su Primato , affermava di aver seguito la sua attività editoriale con interesse affettuoso, e ogni libro pubblicato mi ha recato un nuovo conforto a credere nei valori della cultura che non sono da difendere soltanto nel chiuso del nostro pensatoio 2, Con la collaborazione di questi tre intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si accelerano, nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non trovano attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu incaricato di curare la Biblioteca dello Struzzo , la collana di narratori contemporanei che puntava soprattutto alla scoperta dei giovani: Dopo molte riflessioni scriveva Einaudi ad Alicata all’inizio del 1941 si è deliberato e si attende la tua approvazione AE, Alicata (23 febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22 ottobre 1941 Alicata diviene collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili; il 21 febbraio 1942 informa l’editore di aver acquistato 248 risme di carta. inoltre Primato AE, Muscetta (s.d.); io e Alicata scriveva Muscetta all’editore il 20 febbraio 1941 ci auguriamo di poter collaborare attivamente ‘all’ardita opera di cultura che la tua casa svolge con spirito giovanile e con tenacia . 286 Le origini della casa editrice Einaudî che la collezione debba accogliere romanzi brevi italiani e stranieri, di scrittori contemporanei e in genere scoperti da noi, dove, in via d’eccezione, e per alimentare la scarsa produzione italiana contemporanea, si accoglierebbero libri dimenticati o rari, di indiscusso valore artistico, tipo Mio Carso di Slataper. Quanto agli stranieri... questo è il problema, ché escludendo gli americani e gli inglesi dobbiamo per ora limitare praticamente la scelta ai russi e ai tedeschi 24. In realtà fino al 1945, venuta meno con l’attacco all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa russa contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi italiani tesi tuttavia a quell’originale ricerca della realtà, sia pur non veristica, che contrassegna il primo volume apparso nel 1941, Paesi tuoi di Pavese. Pavese sollecitava infatti Alicata a predicare l’arte narrativa, e soprattutto quella narrativa come vita morale che a voialtri ruotai deve essere in votis 5: un invito cui Alicata, per i gusti già dimostrati nella sua intensa attività di recensore letterario ?, era particolarmente sensibile, e che, preoccupato di tenersi lontano dalle piccole chiesuole di marca fiorentina , raccolse assicurando alla casa editrice Le trincee di Quarantotti Gambini, Le donne fantastiche di Arrigo Benedetti e proponendo, fra gli altri titoli, Una città dî pianura di Giorgio Bassani, da lui già recensito su La Ruota quando era uscito in edizione privata di pochi esemplari sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, e che era passato per molte ragioni quasi sotto silenzio dalla critica , scriveva Alicata alludendo alle leggi razziali ??. 24 AE, Alicata. 225 C. Pavese, Lettere 1924-1944,588 (28 aprile 1941). 226 G. Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale comunista: Mario Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e Id., Contributi alla formazione culturale e politica di Alicata, in Italia contemporanea Pavese, Lettere 1924-1944,589 (9 maggio 1941); il 21 novembre 1941 Alicata suggeriva a Einaudi la possibilità di rilevare alcuni volumi della casa editrice Ribet Buratti di Torino (Comisso, Arturo Loria, Stuparich, Sbarbaro, Slataper), e l'11 novembre 1942 la necessità di ristampare l’Ibsex di Slataper, che non solo è interessante per la personalità tutta dell’autore, del cui acuto problema morale risente, ma rimane per se stesso un documento critico prezioso sull'opera ibseniana (AE, Alicata). I toni fortemente elogiativi anche se attenuati in una lettera a Einaudi ? della recensione che di Paesi tuoi fece Alicata su Oggi ’, la vivace rivista di Arrigo Benedetti e Mario Panunzio, furono ripresi da Eugenio Galvano su Primato ogni lettore può ritrovarvi gli accenti di una sua esperienza passata e perduta, e il senso di un paese ritrovato °° ; e intensi furono i legami fra l’ambiente della rivista di Bottai, cui collaborava anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla pubblicazione in volume, presso Einaudi, de L’isola di Stuparich (1942), già apparsa su Primato . Rimase un caso isolato il giudizio negativo riservato da Alfonso Gatto a La strada che va in città di Alessandra Tornimparte #! pseudonimo di Natalia Ginzburg, e non tale comunque da essere paragonato alle forti riserve di carattere morale avanzate da La Civiltà cattolica nei confronti di Pavese e della Ginzburg, i cui racconti, osservava Einaudi, riscossero i più vivi consensi e dissensi proprio per la novità di stile e di contenuto ?: mentre in Paesi tuoi l’organo dei gesuiti vedeva ritratta una gente di campagna Ho apprezzato molto il libro di Pavese, che mi sembra soprattutto un racconto e per questo merita grandi lodi. Quantunque risenta, è chiaro, l’influenza a volte eccessiva di certi americani e nel gusto d’usare la lingua e la sintassi, e nel sapore e tono che attribuisce agli uomini e ai loro gesti (AE, Alicata, 1 giugno 1941). 29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari, introduzione di N. Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968,84-88. anche la notizia che Alicata ne dava su Primato, affermando che Pavese rompe un silenzio lungo e fruttuoso durante il quale egli sembra essere scampato alla retorica, agli schemi che affliggono certa narrativa italiana contemporanea: come prima sensazione d’una lettura che almeno prende e allaccia in un suo tempo libero e prepotente (II (1941), n. 11,16, nel Corriere delle lettere di Don Ferrante). 230 Primato; pur osservando che le reazioni psicologiche del personaggio narratore rimangono moralmente fiacche , Luigi Vigliani trovava felicissima l’utilizzazione del dialetto piemontese ( Leonardo Nel volume la realtà osservata è ferma alla crisi di una società ‘confusa. Forse questo racconto piacerà, disposti come sono oggi molti letterati, giunti in ritardo al ripensamento di un proprio compito umano, a vedersi duri e manuali. Il racconto della Tornimparte è fradicio di quest’enfasi moderna, semplicistico e blando altresi nella sua stessa ‘acrisia , osservava Gatto ( Primato). 232 Einaudi a Ginzburg (AE, Ginzburg). Le origini della casa editrice Einaudi che non è quella che noi generalmente conosciamo. Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove predominano tendenze istintive e animalesche , nella dura prosa della Ginzburg coglieva un indice di ciò che si è cominciato a raccogliere anche in Italia dall’abbondante seminagione d’una sfrontata romanzeria straniera, e specialmente americana . Alla ricerca di valori umani, laici e religiosi, si muovevano anche i nuovi titoli della collana dei Poeti , già avviata nel 1939 con la riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di Montale : accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di Pavese apparvero infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui fortuna fra i soldati era testimoniata dai reduci dalla Russia l'hanno aperto per caso e non se ne staccano più. Fare il bene con disperazione è diventato il loro motto 5, e le Poesie di Rilke nella traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata, occupandosene su Primato , vedeva l’opera di un poeta da difendere contro la sua stessa generosità di vita e contro un frequente estetismo per seguirne la grande voce umana, semplice infine come un grido ma dal fondo d’una religiosità vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite ?. In questi stessi anni gli aspetti emotivi presenti nella produzione letteraria trovano modo, come vedremo, di tradursi in un più marcato impegno civile nei volumi della Biblioteca di cultura storica e in quelli della nuova collana Universale . Persistono tuttavia, almeno fino al 1942, e in particolare nei Saggi dove pur appaiono le Memorie di madame de Rémusat, la cui critica a Napoleone era leggibile in senso antitirannico, molti dei motivi spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da elementi contraddittori, che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un sostenitore: Balbo è stato ricordato non aveva difese contro le proposte e le idee. Tutte le 233 La Civiltà cattolica , 93 Per le vicende di queste edizioni E. Ferrero, Come nacquero Le occasioni , in Libri nuovi Einaudi AE, dalla redazione romana a Jahier (9 luglio 1943). 236 Primato proposte e tutte le idee gli piacevano, lo sollecitavano, lo mettevano in fermento ?. Se non ha luogo la proposta di Balbo di tradurre The mystical elements of religion di von Hiigel, il modernista lodato da Loisy pur essendo rimasto cattolico , e Bobbio non accetta La preghiera dell’uomo di Alfredo Poggi per il suo insufficiente approfondimento teorico, pur considerando che il saggio sia ispirato ad un alto senso religioso e morale, e sviluppi una concezione razionale della vita religiosa, rifuggendo dal dilagante irrazionalismo ; o mentre resta inedito, per le vicende legate alla caduta del fascismo, L'infinito e il divino terminato da Giuseppe Tarozzi nell’aprile 1943 ?, Einaudi pubblica nel 1942 Le origini del cristianesimo di Loisy che giungerà alla terza edizione l’anno successivo e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione e fede di Piero Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice di una religione della libertà che, se potè essere accostata a quella crociana, se ne differenziava nettamente per l’importanza che l’animatore della Rivista di filosofia attribuiva all'elemento religioso, cui Martinetti aggiungeva negli ultimi anni di vita, di fronte allo spettacolo della guerra e della barbarie , la riflessione sul pessimismo di Schopenhauer tesa ad accettare la realtà del male come principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad altri 2°. Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi ripropone Huizinga con la monografia del 1924 su Erasmo che aveva già provocato forti riserve, non solo storiografiche, da parte di Cantimori, per la troppo evidente tendenza a mostrare in Erasmo il tipo classico del dotto-gentiluomo, moralista e umorista, lontano dagli interessi politici e religiosi che possono scuotere e commuovere °°; ma forse proprio per questo, per la presentazione dell’umanesimo erasmiano 23 N. Ginzburg, Lessico famigliare, Milano, Mondadori, Balbo a Bobbio, e Bobbio a Finaudi (AE, Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43 (AE, Tarozzi). 239 Bobbio a Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio}; E. Garin, Cronache di filosofia italiana,387-391; e la testimonianza di G. Mita, dee prefazione di L. Salvatorelli, Vicenza, Neri Pozza Rivista storica italiana Le origini della casa editrice Einaudî come un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende del tempo ?, Civiltà moderna poteva accogliere nel lavoro l’indicazione della originalità umanistica rispetto al Medioevo, ma con l’accordo fra l'esigenza del risorto classicismo e quella del rigenerato cristianesimo ; mentre il recensore della Rivista storica italiana , opponendo all’umanesimo negativo di Erasmo quello costruttivo del Rinascimento italiano impersonato da Giordano Bruno, prendeva le distanze dall’autore per quella tipica mentalità pacifista che, per contingenze storiche facilmente individuabili, tende a fare dell’equilibrio e della moderazione la massima espressione della civiltà umana dii x Alle immagini catastrofiche de La crisi della civiltà sembra invece richiamarsi, pur senza citare Huizinga, Uomo e valore di Luigi Bandini un allievo di Limentani che aveva pubblicato presso Laterza un saggio su Shaftesbury, che sviluppa il tema del contrasto fra progresso economico e libertà individuale con accenti indubbiamente retrivi. Il volume che sarà ristampato nel 1949 con una introduzione in cui l’autore manifesterà un atteggiamento paternalistico verso le masse popolari è un atto di accusa nei confronti del liberismo e del liberalismo dell’800 che avrebbero portato ad uno stato di cose risolventesi proprio in un massimo di serviti per una gran quantità di soggetti umani: il caso, precisamente, dell’industrialismo moderno , per cui si era avuto il rovesciamento del rapporto fra uomo e cosa , con l’ innalzamento ad ideale supremo della realtà economica . Ma la condanna del progresso si traduce nella istituzione di un preciso rapporto tra la morte del cristianesimo, la religione 2 l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga, L'autunno del Medio evo, Firenze, Sansoni A. Corsano in Civiltà moderna, ed E. Guglielmino in Rivista storica italiana. Rossi coglieva invece in Huizinga la disapprovazione per Erasmo , e giudicava l’Encbiridion militis christiani opera d’un banale bigotto ( Nuova rivista storica , della esaltazione dell’individuo , la enorme avidità di possesso e di successo che caratterizza l'umanità moderna e, soprattutto, lo sviluppo del marxismo: una tale dottrina della necessità radicale ed ineliminabile dell’odio di classe si sostituisce bruscamente e senza passaggi intermedi proprio alla concezione cristiana nell'animo degli appartenenti ai ceti sociali più umili, trovando d’altronde nelle effettive condizioni della società moderna, nel suo sempre più esasperato affarismo, gli elementi suggestivi più adatti a conferire ad essa la massima efficacia di persuasione 28, Si comprende quindi come il ragionamento di Bandini incontrasse le simpatie de La Civiltà cattolica 24, mentre offriva a Luigi Einaudi l’occasione per attribuire al capitalismo storico dell’800 la responsabilità della tendenza verso i monopoli, verso ciò che incatena ed asserve gli uomini e di cui l’ultima e più perfetta e diabolica espressione è il comunismo russo , ma anche per dissociarsi dalla tesi che la tendenza verso il colossale, distruttivo dell’uomo, come persona autonoma, sia propria dell’economia contemporanea, capitalistica o trafficante , poiché la liberazione dell’uomo dalle cose era frutto precipuo dell'economia di concorrenza’. Tesa a dimostrare la necessità della religione contro il materialismo contemporaneo è anche un’opera di Bernhard Bavink che raccoglieva alcune conferenze tenute in Germania prima della rivoluzione del 1933, la cui traduzione, uscita nel i Bandini, Uomo e valore, Torino, Einaudi, La Civiltà cattolica , Einaudi, Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, in Rivista di storia economica. Pur riconoscendo la tendenza monopolistica rilevata da Bandini, Mario Dal Pra osservava: Ciò non toglie tuttavia che i diritti e le pi profonde esigenze dell’individualità non possano essere salvaguardate, ad esempio, mediante l’attuazione di quella terza via che lo stesso Luigi Einaudi propone, fra l’individualismo da una parte e il collettivismo dall’altra ( La Nuova Italia. Nel 1946 Antonio Giolitti allora collaboratore della casa editrice criticherà Bandini per non aver saputo vedere che il problema dell’individuo è problema politico e sociale, risolvibile sul piano di quella lotta di classe che l’autore negava recisamente ( Studi filosofici , VII (1946),81-84). 292 Le origini della casa editrice Einaudi 1944, era già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore sosteneva che da scienziati assai religiosi come Galileo, Keplero e Newton, si era sviluppata una tendenza culturale approdata ad un materialismo e ad un ateismo completo ed aperto, quale è attualmente la concezione ufficiale del mondo nella Russia bolscevica alla quale era contrapposto l’esempio positivo della concezione sociale e statale fascista e nazista ; la fisica moderna, con Bohr e Planck, aveva invece definitivamente distrutto certe troppo frettolose obbiezioni contro la fede , abolendo il concetto classico di sostanza , e quindi ogni meccanicismo, per cui si poteva concludere che ormai fare della fisica non significa, in fondo, far altro che ricapitolare gli atti elementari compiuti da Dio ?4 Un richiamo ai valori dello spirito poteva comunque passare anche da altre vie meno sospette, dai grandi romanzieri ottocenteschi o da I/ problema dell’inconscio di Jung, tradotto nel 1942: l’opera infatti trova favorevole accoglienza su Primato , dove Muscetta considera merito fondamentale di Jung aver ricordato che la psicologia è scienza dell’anima e che nessuna indagine fisiopatologica potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua misteriosa e libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore delle leggi fisiche . Pagine di vent’anni fa, che per vie assai lontane dalla nostra cultura ci portano affascinanti conferme a quella fede nei valori spirituali da cui non potremo mai aberrare senza recidere le radici dell’essere nostro Bavink, La scienza naturale sulla via della religione, Torino, Einaudi; contro il bolscevismo, questa terribile filosofia sociale e storica, che distrugge ogni esistenza degna dell’uomo, il fascismo yitaliano e tedesco propugna una concezione sociale e statale " organica per la quale lo Stato non è una costruzione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura di una vera vita, della vita del proprio popolo (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi aveva chiesto ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink all’approvazione del Ministero della cultura popolare (AE, Alicata). 21 Primato , III (1942),381; la psicologia è una scienza cretina , osservava invece Pintor dopo aver letto Jung nell’ottobre 1941 (Doppio diario Alicata aveva fatto presente all’editore l’esistenza di difficoltà per l’autorizzazione della stampa di Jung, per certe idee morali e sociali dello Jung non completamente conformiste (AE, Alicata). Lo stesso Ernesto De Martino vedeva nello teoria jungiana che riteneva suscettibile di una traduzione in termini storicistici una tipica espressione del travaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni della nostra epoca. Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo viva la necessità di riprendere possesso della nostra anima, e di esplorarne le sue profondità sconosciute . Diverso, sia pure ambiguo, era il messaggio che si poteva ricavare dal pensiero degli eretici e degli utopisti, attorno al quale si assiste, durante la guerra, a un risveglio d’interesse in vari settori dell’intellettualità italiana, di cui sono testimonianza esemplare gli studi di Cantimori e la Collana degli utopisti dell’editore Colombo. Nel 1941 esce, come secondo volume della Nuova raccolta di classici italiani annotati , La città del sole di Campanella, un’edizione critica condotta sul testo italiano del 1602, quella più decisa in senso ereticale, da Norberto Bobbio: respinte come fittizie le visioni di un Campanella precursore del socialismo o dello Stato totalitario, in discussione con i recenti tentativi di rivalutazione cattolica Bobbio ricorre all’ idea della simulazione per spiegare la conversione del frate all’ortodossia, provocando le riserve de La Civiltà cattolica , che si appuntano anche sulle frasi di Bobbio che accennano con un velo di simpatia alle menti stanche ma non asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti degli eretici isolati °. A queste si potrebbe aggiungere un accenno contro la morale della potenza ; ma il discorso di Bobbio si mantiene volutamente generico, nel sottolineare il fondamentale antistoricismo del pensiero di Campanella, per cui c'è in quell’utopia qualcosa di selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le comunità degli indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di lucidamente attuale, che fa pensare ad una città operaia dell'America moderna Primato La Civiltà cattolica. CAMPANELLA (si veda), La città del sole, testo italiano e testo latino a cura di Bobbio, Torino, Einaudi. Ginzburg avvertiva Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia 294 Le origini della casa editrice Einaudi Luigi Einaudi poteva trarne spunto per sostenere che una storia delle utopie non doveva analizzare i tipi di società comunistiche immaginati dagli utopisti sulla base di una problematica economica, ma rigettare nel limbo delle cose che non furono mai scritte le esercitazioni frigide di letterati in cerca d’argomento in apparenza nuovo e mettere in luce le poche le quali risposero veramente ad un’esigenza dello spirito ?!: un modo, ancora una volta, per esorcizzare il pericolo di un richiamo eterodosso, sia pur utopistico , ai problemi concreti della società contemporanea. 9. L’anticonformismo storiografico e l’ Universale Il settore che, ancora una volta, dimostra meglio di altri e sempre più l’anticonformismo della casa editrice, è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche due laici , in diversa maniera crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il primo che, costretto dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era venuto affiancando agli originari interessi medievalistici o a quelli per l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato liberale, un’attenzione a figure significative del Risorgimento, come Pisacane si occupò in particolare fin dal 1941, assieme ad Alicata, Morra, Ginzburg, Giolitti, Benedetti e Venturi, di quel progetto della collana Scrittori di storia che avrà attuazione solo negli anni ’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura la Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esempio, fu bocciata come inopportuna nel 1942 ?. Omo di Moro che uscirà nel 1942 presso Laterza (AE, Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle utopie: a proposito della Città del sole, in R+ vista di storia economica , VI (1941),126-127. Luigi Bulferetti invitava invece a collocare l’opera di Campanella nella realtà culturale e politica del Mezzogiorno (Rivista storica italiana , LVIII (1941), 400-401). 252 Su Falco le osservazioni di A. Garosci, Una cosa non ancora del tutto chiara..., in Rivista storica italiana , Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno 1942 (AE, Alicata). deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu prodigo di suggerimenti da testi di antichistica o di religione a I/ medioevo barbarico di Gabriele Pepe o il Murat di Angela Valente, e si era assunto anche l’impegno, come ricorderà ad Einaudi, di trovare per la casa editrice collaboratori italiani, per equilibrare le traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso di collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i valvassori avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca accademica, non c’è nulla da fare 4. Un contrasto con Falco lo spinse tuttavia a passare nel 1941, con i suoi progetti di lavoro, all’ISPI5; ma aveva frattanto assicurato alla casa editrice due suoi lavori caratterizzati da una dura polemica, da un punto di vista liberale, nei confronti della corrente storiografia fascista sul Risorgimento. La leggenda di Carlo Alberto, che raccoglieva saggi già apparsi sulla Critica , viene ad affiancare la revisione della figura del sovrano piemontese condotta con spietato rigore da Guido Porzio sulla Nuova rivista storica , ed è una requisitoria feroce contro la storiografia sabaudista espressa da Alessandro Luzio, di cui è messo in luce il semplicismo del giudizio moralistico e. l’indistinzione dei valori storici , per investire anche Rodolico, rappresentante di una nuova sofistica che vuol confondere il moralismo casistico con l’intellezione etico-politica del processo umano . Tributato un caldo riconoscimento alla Storia del Risorgimento e dell'Unità d’Italia intrapresa 254 le lettere a Einaudi del 25 agosto 1939, 28 ottobre e 24 novembre 1940, 3 gennaio, 13 febbraio, 8 marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2 luglio 1941 (A. Omodeo, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963,612, 629-631, 635-636, 638-641, 644-651). 255 la lettera a Einaudi del 9 settembre 1941 (ibidem,655656) e varie lettere in AE, Falco, Pepe: il contrasto riguardava rà ntroduzione agli studi storici medievali di Pepe proposto da Omodeo; Muscetta a Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE, Muscetta); Ginzburg a Finaudi, 21 novembre 1941: Ho visto il programma della nuova Biblioteca storica dell’ISPI, che non solo nel nome, ma anche nelle opere mi sembra derivi dalla Vostra, dato che i volumi annunciati sono tutte opere rifiutate da Voi, se ben ricordo (AE, Ginzburg); Carteggio Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1978, passize. 296 Le origini della casa editrice Einaudi da Cesare Spellanzon opera che da sola riabilita i recenti studi risorgimentali, che in genere non brillano per doti superiori , Omodeo nega recisamente, contro gli apologeti di Carlo Alberto, l’esistenza di una profonda opera riformatrice nel primo decennio di regno e di un preciso e segreto disegno politico nazionale prima del 1848, e fa del sovrano il discepolo ideale di Giuseppe de Maistre , un convinto cattolico-legittimista , accusando lo stravolgimento dei veri valori del Risorgimento operato da quegli storici che non condannavano le repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione, da buon liberale, per una non necessaria puntata antisovietica . La forza delle argomentazioni critiche di Omodeo è tale da ottenere un riconoscimento anche sulla codina Rassegna storica del Risorgimento , ma il significato civile e politico del suo lavoro provoca subito sulla stessa rivista un duro intervento di De Vecchi ?. Tuttavia l’invito rivolto a Luigi Russo da Omodeo ferito da questa e da altre critiche, che si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino, Einaudi; e a16, criticando lo scarso peso dato dagli storici di tendenza nazionalista ai processi del 1833: È vero che gli odierni processi di polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno ottuso la nostra sensibilità morale, e che al confronto i processi del ’33 possono apparire cosa mitissima... . Dell’importanza di questo volume, come del Gioberti, non tiene conto A. Garosci, Adolfo Omodeo. III. Guida morale e guida politica, in Rivista storica italiana. la recensione di Paolo Romano (Paolo Alatri) in Rassegna storica del Risorgimento; ma C.M. De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo Alberto: Questo cercare di attaccarsi a forme razionalistiche della storia affermando o demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita presente, è da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al dovere di uno storico in quanto cittadino rilevando le cattive intenzioni politiche di codesti ingiusti giustizieri [di Carlo Alberto] e non rinunziando a definirli secondo i loro meriti, vogliamo astenerci dal scendere nel campo della politica cui pure saremmo chiamati dal contegno loro ( Rassegna storica del Risorgimento). Negativo il giudizio di G. Ferretti (La leggenda di Carlo Alberto, in Primato, mentre Luigi Bulferetti, pur prendendo le distanze da alcune affermazioni di Omodeo, riteneva, a proposito dello Statuto, che si avvicinasse molto più alle dottrine di Carlo Alberto (e fosse quindi più nel vero) l’interpretazione datane nel decennio dai reazionari, che non quella dei liberali di sinistra ( Rivista storica italiana prendesse da parte di persone di buona volontà posizione nelle riviste di Codignola e in qualche altra che ci fosse aperta 2, fu subito raccolto, a testimonianza dell’eco non solo storiografica suscitata dall'opera: cosi non solo La Nuova Italia con Vinciguerra o Civiltà moderna con Pieri, ma anche altre riviste ormai di fronda come Oggi , con Umberto Morra tutti intellettuali legat. in vario modo alla casa editrice, si lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad arrivare a una vera e propria difesa politica dell’autore sulla Nuova rivista storica , sempre ad opera di Pieri: dopo aver affermato riecheggiando la recensione di Edmondo Cione al Mazzini di Bonomi che certa storiografia del Risorgimento pare tenda a risolversi in un capovolgimento di valori, nell’apologia di reazionari, di capibanda, di aguzzini, e nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei nostri martiri , Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul Carso e sul Piave, prima che negli archivi e nelle biblioteche, la passione del Risorgimento italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi e alle prebende delle retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo onere e il nuovo onore. Quanto grande del resto sia oggi l’influenza dell’Omodeo, negli studi del nostro Risorgimento, presso ogni categoria di studiosi, non esclusi i suoi più illustri avversari, è ormai a tutti manifesto. Questo è il premio maggiore, per il chiaro studioso, e la migliore prova del generale consenso che le sue vedute vanno acquistando, nonché del posto preminente che oggi a lui compete nel campo della nostra cultura storica 299. Analoga risonanza ha, nelle riviste di fronda, il volumetto su Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana del profeta del Risorgimento dal pensiero in sommo grado speculativo insieme e realistico , per mettere in rilievo, accanto alle continue oscillazioni politiche, le carenze filosofiche e il sacrificio giobertiano dell’idea liberale al cattolicismo , contrapponendogli il liberalismo laico di Cavour che, ben lungi dall’essere agnostico, 258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere,628). 259 La Nuova Italia; Civiltà moderna; Oggi; Nuova rivista storica. Le origini della casa editrice Finaudi garantiva lo svolgimento autonomo delle fedi intrinseche alla cultura . E mentre Gentile vedeva nell’azione popolare di Gioberti uno degli ammonimenti tuttora più vivi della sua politica nazionale , Omodeo dichiarava la necessità di insistere sui suoi difetti ed errori per ricordare a certo neoguelfismo di cattiva lega, che va risorgendo, a certo neogiobertismo che ammicca vantandosi furbo, che l’esperienza giobertiana è irriproducibile, non ha possibilità di sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu assorbito nella sana politica del Cavour 2°. Un’interpretazione laica, questa, che proveniva dall'ambiente crociano, il cui legame con la casa editrice è attestato anche dall’attenzione che alla produzione storiografica di Einaudi riserva La Critica . Spicca in particolare la recensione al Medioevo barbarico d’Italia di Gabriele Pepe (1941) che era stato stroncato dai giudici dell’Accademia d’Italia!, ritenuto invece da Croce una delle opere più pregevoli della nuova storiografia cresciuta in Italia negli ultimi quindici anni, non cronachistica o filologica, materialistica, economica, nazionalista ed etnologica, ma semplicemente e puramente umana, cioè etica (il che non vuol dire moralistica) , trovando in ciò concorde il giudizio di Luigi Einaudi; e, con evidente allusione all’alleanza del fascismo con la Chiesa e col nazismo, Croce faceva sue le tesi principali del volume giudicate con perplessità o come troppo tendenziose da altri recensori, secondo le quali i Longobardi furono sostanzialmente un elemento negativo nella storia d’Italia, cosî come il potere temporale della Chiesa non solo fu dannoso alla moralità e alla civiltà, sî anche dannoso alla stessa azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi; per i giudizi di Gentile, quali si erano venuti configurando fin dal 1919, ora G. Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, terza edizione accresciuta, Firenze, Sansoni, 1944, 69, 125. L’anonimo recensore della Nuova rivista storica notava che il carattere di Gioberti fu piuttosto di teorico e di sognatore, anziché di politico mirante alla realtà dei fenomeni politici e nazionali ; analogo il giudizio di U. Morra, Gioberti e Garibaldi, Oggi. 261 G. Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, cdella Chiesa in quanto istituto religioso perché il potere temporale non le dava ma le toglieva forza, non le accresceva o garantiva libertà, ma la legava. Né è detto che anche ai nostri giorni essa non abbia sollecitato e accettato un dono, un piccolo dono, di Danai ?°. Sulla linea di una continuità di intervento liberale compare ancora una volta Salvatorelli col Profilo della storia d'Europa, in cui è sempre presente l’interpretazione multisecolare dell’unità della storia italiana, e torna un motivo che abbiamo già trovato in Dawson, quello di una civiltà unitaria europea la cui otigine è retrodatata rispetto all'opera dello storico inglese, con forti e attualizzati elementi di differenziazione dall’Oriente, in quanto la civiltà europea sarebbe stata preparata dai caratteri comuni che i popoli europei già all’inizio dell’età storica presentavano rispetto all’Oriente. Fin da adesso, insomma, l'Europa di fronte all’Asia rappresenta l’individualità di fronte al collettivismo, la libertà di fronte al dispotismo, il progresso di fronte all’immobilità 2°. Espressione, come il Sommario della storia d’Italia, di quel nervoso e moderno enciclopedismo di cui ha parlato Sasso °, il Profilo non esprime particolari valutazioni sulle vicende della storia europea, se non nell’unificazione, tipicamente liberale, dell’esperienza della Russia bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto la stessa etichetta di Europa autoritaria , e ciò nonostante nel volume appaiano, come novità nella storiografia di Salvatorelli, frequenti accenni alla storia economico-sociale, anche se in prevalenza relativi alla storia antica, e non senza imptoprie attualizzazioni °°. Ma, forse proprio per avere le stesse 22 La Critica Einaudi, Sui fattori (economici morali ecc.) delle variazioni storiche, in Rivista di storia economica. Una certa tendenziosità di Pepe era colta da E. Chichiarelli ( Nuova rivista storica) ed E. Farneti ( Oggi Salvatorelli, Profilo della storia d'Europa, Torino, Einaudi Ri Sasso, La Cultura nella storia della cultura italiana Ad esempio, a proposito di Atene nel VI secolo a.C.: È da 300 Le origini della casa editrice Einaudi caratteristiche del Somzzario, la fortuna dell’opera fu notevole, secondo la profezia di Ginzburg per il quale il Profilo, scriveva dal confino il 5 marzo 1942, di sicuro aumenterà considerevolmente la diffusione della vostra collezione storica #4, e non certo indifferenziata, se nel concedere il nulla osta ai volumi della casa editrice da introdurre in Germania il Ministero della cultura popolare suggeri di levar via il Salvatorelli , Infatti, pur lasciando scontenti i cattolici e i crociani lamentandosi, i primi, delle due pagine striminzite dedicate all’avvento del cristianesimo , e, i secondi, della mancanza di una superiore giustificazione ideale delle notizie raccolte a differenza della Storia d'Europa di Croce ?, il volume riscuoterà nel 1943 l’elogio appassionato di Giovanni Mira, ospitato anch'egli, già aderente al Partito d'Azione, sulle pagine della Nuova rivista storica : Nella nostra età tempestosa egli scriveva, lontani come siamo dal dogmatismo della storiografia cattolica, dall’orgoglio razionale della volteriana, dall’ottimismo progressista della ottocentesca, questo sforzo compiuto dal Salvatorelli per stringere in breve la storia del nostro continente, per far capire anche agli ignari come i fatti si sono svolti, con una narrazione cosi lucida da non aver bisogno di commento, con una parola cosî piana da essere intesa da tutti, col solo interesse di stimolare in sé e negli altri il riesame del passato, con la sola morale di ritrovare nei fatti umani il lume dell’umanità: quest’opera è forse il più sano cominciamento che si possa dare alla storiografia di domani ?9. notare come tra i grandi proprietari ed i piccoli agricoltori si fosse formato un partito medio, che potremmo chiamare della borghesia (Profilo della storia d'Europa,39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a Einaudi, 30 maggio 1942 (AE, Alicata). 268 La Civiltà cattolica , 94 (1943), vol. II,52, e la recensione di E. Chichiarelli ne La Nuova Italia. 26 Nuova rivista storica,123. L'opera di Salvatorelli era presentata da Pietro Amendola al fratello Antonio, in una lettera del 28 aprile 1941, come una cronaca , tranne che per quanto concerne le questioni religiose o dei rapporti tra gli Stati e la Chiesa, che è come sai il cavallo di battaglia del Salvatorelli: allora abbiamo della storia vera e propria (in Lettere di antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo Pajetta, Roma, Editori Riuniti, Il volume di Salvatorelli testimonia la necessità, avvertita dalla casa editrice nel corso della guerra, di confrontarsi con le vicende degli altri paesi e di ripensare grandi momenti o figure del passato, in saggi che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour e Napoleone III di Bono, accoppiano sempre alla dignità scientifica una notevole capacità narrativa, e quasi sempre si fanno portatori di un messaggio politico. Nel 1941 appaiono due studi di George Macaulay Trevelyan: la Storia dell’Inghilterra nel secolo XIX, tradotta da Umberto Morra, riscosse il plauso di intellettuali di diverso orientamento, come Curiel, che la giudicò uno dei pit bei libri di storia usciti in questi ultimi tempi per l’ acutissima indagine sociale , ed Ernesto Rossi, che la riteneva fruttuosa, per la formazione della educazione politica. Contro l’irrazionalismo, oggi tanto diffuso, mostrare gli sforzi coronati dal successo di tanti uomini egregi del secolo scorso, che si proposero di modificare l'ordinamento esistente per renderlo più adeguato ad un ideale di superiore civiltà significa fare una iniezione di ottimismo, e stimolare all’azione consapevolmente diretta al pubblico bene ?!. La rivoluzione inglese del 1688-89 era presentata da Ginzburg come quella che aveva improntato del proprio formalismo e conservatorismo tutta la vita pubblica nazionale fino ad allora, tramandando tuttavia anche il principio della tolleranza politica e religiosa e Ginzburg invitava il lettore italiano a leggere le conclusioni di Trevelyan, che vedeva nella rivoluzione una vittoria della moderazione , e valorizzava il sistema parlamentare in- Giudicato dall’editore libro magistralmente condotto (lettera del 21 ottobre 1941, in AE, Del Bono), il lavoro era negativamente recensito sulla Rassegna storica del Risorgimento (XXX (1943),511-512) da Paolo Romano (Alatri), che gli contrapponeva l’interpretazione omodeiana di Cavour. 21 CURIEL (si veda) Scritti, a cura di Frassati, Roma, Editori Riuniti (segnalazione apparsa nel Bollettino del Fronte della gioventii del febbraio 1944), e la lettera di Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE, Rossi). Salvatorelli apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine stereotipa della vita politica inglese come semplice contrapposizione di due partiti ( Nuova rivista storica. Le origini della casa editrice Einaudi glese nei confronti di poteri accentrati di un nuovo tipo e ben più formidabile che non quelli dell'Europa dell’ ancien régime , quali quelli instauratisi in Europa nel dopoguerra 7°. Il significato politico dell’opera è confermato dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il quale, di fronte alle novità del secolo XX, l'Inghilterra non era stata in grado di rivedere le sue posizioni, preferendo rinchiudersi nella difesa del passato Ora, veramente, i motivi fecondi della rivoluzione liberale del 1688 possono dirsi esauriti ??, e di Cantimori, pur già in contatto con la casa editrice, che la giudicava un saggio di apologetica costituzionale dalla visione conservatrice, dato l’ insistente paragone, a tutto detrimento di quest’ultima, con la Rivoluzione francese , e un documento della mentalità degli ambienti universitari più vicini alla classe politica attualmente dominante in Inghilterra ?. Sempre nel 1941 appare non sappiamo se prima della guerra all’URSS la Storia della rivoluzione russa di William H. Chamberlin, un’opera che l’editore aveva in preparazione fin dal 1938 opponendola, come obiettiva , a quella degli Webb proposta da Schiavi ?°, e tradotta da Mario Vinciguerra: un lavoro in cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli accenti apocalittici della prima opera per tentare una esposizione narrativa degli avvenimenti russi dal 1917 al 1921, si presta a una lettura fortemente antisovietica da parte di Omodeo, il quale osservava che, per quanto in vari punti l’autore indulga a correnti punti di vista materialistico-storici e a connessi schemi classistici , sfuggiva in realtà agli schemi generici e vuoti del marxismo , per presentare come deus ex machina della rivoluzione la non amabile persona di Vladimir Ulianov detto Lenin , uomo spregiudicato, con Trevelyan, La rivoluzione inglese, traduzione di Pavese, Torino, Einaudi Pia di L. Ginzburg. 2733 Primato , I (1940), n. 15,20 (siglato CM.). Leonardo DA VINCI (si veda); analogo il giudizio di Tullio Vecchietti { Rivista storica italiana). 215 Finaudi a Schiavi, (AE, Schiavi). UA) un legame scarsissimo col mondo circostante , caratterizzato dal doppio aspetto del fanatismo implacabile e della scaltrezza opportunistica , forgiatore di un partito che ricorda insieme il primitivo Islìm e la Compagnia di Gesù e concepisce la dittatura sugli schemi del regime zaristico: dispotismo di polizia ?°. Analoghi motivi di discussione politica sono suscitati anche dalla presentazione di grandi individualità storiche di un più lontano passato, e provocano ora incrinature all’ interno della casa editrice, e fra questa e l’ambiente di Primato o de La Critica . Il Richelieu di Carl J. Burckhardt è visto dal curatore dell’opera Bruno Revel, sulla traccia dell’interpretazione di Belloc contestata da Salvatorelli, come fondatore dell'Europa moderna e del nazionalismo, artefice di quell’ordine, che proprio ora ci sta crollando davanti cosi spettacolosamente, fino a incidere anche nell’ambito della sfera privata. Tanto più se una quasi ironica coincidenza di suoni confonda due nomi cosî ambigui come Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente e frastuonante insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi ora tali limiti, e non si spinga per avventura più addietro nei secoli, scalzando dalle basi precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era stato introdotto e legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia 27. E contrastanti sono, nel 1942, due opere che presentano la differente concezione dello Stato di rilevanti personalità della Grecia antica: da un lato l’ Alessandro il grande di Georges Radet, che percorre le vicende del biografato alla 2î6 La recensione, apparsa su La Critica del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della storia, a cura di L. Russo, Torino, Einaudi, Burckhardt, Richelieu, traduzione di B. Revel, Torino, Einaudi, 1941 (ediz. originale 1900),9. Oltre a contestare la tesi di Belloc, Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra poteri temporale e spirituale nel Medioevo: Fa della mitologia, o della fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di quella felice coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno che sarebbe esistita prima dell’età moderna (Assolutismo del Richelieu, in Primato. Notava l’analogia con la tesi di oc anche Mario M. Rossi nella recensione all’edizione tedesca del 1937 (Nuova rivista storica). Le origini della casa editrice Einaudî luce della sua ispirazione religiosa suscitando la critica di Omodeo che invitava a una più concreta analisi storicopolitica, fa dire al curatore che nell’opera di Radet si vede sorgere e progressivamente attuarsi il generoso ideale dell’eguaglianza di tutte le genti in un mondo pacificato e concorde ?; dall’altro Werner Jaeger contro gli storici tedeschi dell’800 che, come Droysen, avevano esaltato l’opera di unificazione nazionale di Filippo il Macedone e di Alessandro, visti come precutsori di Guglielmo I difende il martire della libertà greca , Demostene: ed è significativo che mentre su Primato Gennaro Perrotta valorizza la politica egemonica di Filippo e di Alessandro contro l’ angusta difesa della libertà di Atene fatta da Demostene ch'era libertà comunale, municipale , più tardi, sulla Nuova rivista storica , Giovanni Costa sosterrà la tesi di Jaeger facendone proprie le parole la lotta di Demostene è immortale, per mortale che sia stata la nazione per cui combatté . Una tesi che già dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria, prendendo spunto dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da Piero Treves presso Laterza. Non mancano quindi elementi di contraddizione all’interno della casa editrice, al di là dei limiti posti dalla censura che non permettevano di superare la linea liberale di Omodeo o quella moderata di Trevelyan. Sembra tuttavia di avvertire, al tempo stesso, una maggiore cautela verso la casa editrice da parte dell'ambiente crociano come nel caso di Chamberlin e di Primato che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il Grande, traduzione di M. Mazziotti, Torino, Einaudi, 1942 (ediz. originale 1931),XII. La recensione di Omodeo, apparsa su La Critica , è ora in A. Omodeo, Il senso della storia. Secondo Giovanni Costa Radet operava una esagerazione magnificatrice dell’opera di Alessandro, nel quale invece si sente l’autocrate, pi che l’uomo di genio ( Nuova rivista storica , Jaeger, Demostene, traduzione di A. D'Andrea, Torino, Fina di, 1942 (ediz. originale 1938); G. Perrotta, Demostene, gli antichi © i moderni, in Primato , ICosta in Nuova rivista storica, XXVIII-XXIX (1944-45),335-337; E. Cione in Nuova rivista storica , della guerra, si arrocca in una posizione di minore apertura culturale, accompagnata, alla fine del ’42, dalla cessazione della collaborazione di Alicata e dal diradarsi di quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della casa editrice in questo periodo, che riguardano in particolare il settore storico, può aiutarci a spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune proposte, in questo campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione democratica nel pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione francese, e non perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla anche per le traversie della casa editrice dopo il 25 luglio, o di essere realizzate, in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende come, in questo quadro, non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi nel 1942 ?, scarsamente innovative nella tematica e, forse, ritenute poco attraenti pet i legami di Maturi con Volpe, o quella di Vittorio Gorresio, che nel 1941 aveva terminato un saggio sulla storia del bolscevismo in Italia in cui sottolineava l’isolamento del partito comunista dal grande tronco del socialismo , ma che fu sottoposto al giudizio di Pavese che lo ritenne superficiale. Pieri, che nella Nuova rivista storica aveva segnalato con simpatia alcuni dei titoli più innovativi di Einaudi, propose una raccolta di saggi di storia militare che non furono terminati per il Volpe, perché io non volli più sottostare alle osservazioni e mutilazioni di due militari di professione messi alle costole all’Accademico , tanto da dover subire le sue basse vendette 2; e mentre Cantimori, fra gli altri progetti, avanza quello di una riedizione de La repubblica romana del 1849 del mazziniano ministro degli esteri della repubblica Carlo Rusconi ? 280 Maturi propose volumi su Lord Bentinck e i Borboni di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del Risorgimento, frutto del corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi). 281 Gorresio a Einaudi, 20 novembre 1941 (AE, Gorresio}; Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata). Pieri a Einaudi, 6 luglio 1941 (AE, Pieri). 283 Nel 1941-42 l’editore si dimostrava interessato a questa e ad altre 306 Le origini della casa editrice Einaudi Falco propone, pur con riserve legate alla tendenza materialistica dell’autore, il volume di Domenico Dematco su Il tramonto dello Stato pontificio che sarà pubblicato nel 1949, e una scelta di scritti di Giuseppe Montanelli in cui, osservava, andrebbe conservato quanto riguarda la coltura del tempo, problemi vivi anche ai nostri giorni, come la democrazia, il socialismo, la personalità del Montanelli, soprattutto in relazione coi pensatori e politici contemporanei ‘4. Alessandro Schiavi, che aveva già promosso presso Laterza la pubblicazione di alcune memorie di esponenti socialisti, con la speranza di poter continuare una battaglia politica , propone senza successo per il timore dell’editore di incorrere nella censura un saggio di Zibordi sulla Storia del partito socialista italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un proprio volume su I contadini e i socialisti italiani che si sarebbe giovato di note stese da Nullo Baldini. Il 1° settembre 1942, infine, Schiavi inviava a Einaudi tre cartelle di un suo Proezzio al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando l’interesse dell’ editore, che cercherà di avviare la pubblicazione nell'agosto 1943 perché il libro scriveva potrà riuscire sommamente opportuno e formativo, nelle prossime lotte sociali ; gli scopi politici dell’edizione erano ben chiari anche a Schiavi, per il quale la giovane generazione, che non ha avuto modo di conoscere i pionieri e gli artieri del movimento sociale in Italia trascinati via dalla morte e dall’esilio, inibita di leggerne la vita e l’opera nei libri perché arsi e sequestrati come apportatori di veleni, ignara del senso di libertà che tien deste e aperte le menti alle varie correnti del pensiero e dell’opinione e della critica che le scerne e le affina, e che non è quindi in grado di giudicare di quel movimento che fece di una plebe un popolo, proposte di Cantimori, come la traduzione di Politik als Beruf e Wissenschaft als Beruf di Max Weber (AE, Cantimori). 284 AE, Falco. Significativa la lettera inviata da Schiavi a Anzi per incoraggiarlo a scrivere le sue memorie: Non tutto sparisce colla inerzia imposta, oltreché dalle circostanze, dagli anni, e un po’ della semente gettata germoglierà, e il nostro spirito rinascerà in quelle particelle che andranno a formare la società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal senso il nostro io non morirà (ACS, Casellario politico centrale, b. 4689, fasc. 6133). attraverso lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non nelle leggende sconce e vituperose di avversari senza fede in un ideale, senza rispetti umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare da queste lettere di che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle classi lavoratrici italiane voluta, preparata ed avviata da un pugno di uomini colla sola forza della persuasione e della comprensione, della solidarietà e della educazione [sic]. Alicata, mentre rifiuta la proposta di tradurre Qu'est-ce que la proprieté? di Proudhon, perché a parte il coraggio di certe formule diventate famose, è un po’ fiacco nell’analisi dialettica , si faceva portatore della proposta di Gastone Manacorda il quale nell’ottobre dichiarava di averne già terminato la traduzione di pubblicare la Storia della congiura degli uguali di Filippo Buonarroti indicato da Venturi, su Giustizia e Libertà , come il primo egualitario italiano, e del Sistemza politico degli uguali di Babeuf. Il primo testo che sarà pubblicato nel 1946 incontrò l’approvazione di Einaudi ?, che nello stesso anno pubblicò il Saggio su la Rivoluzione di Pisacane. Dai progetti si era ormai passati alle prime realizzazioni; e la storia di questa edizione non è meno significativa delle pagine di prefazione scritte da Pintor e dell’eco che essa suscitò. Nell’estate del 1941 Aldo Romano, che nel corso degli anni ’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva proposto a Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo tempo avrebbe dovuto curare per la collana Studi e documenti di storia del Risorgimento diretta da Gentile e Menghini presso Le Monnier, e che non prevedeva il saggio sulla 286 Schiavi a Einaudi, ed Einaudi a Schiavi (AE, Schiavi). 281 Gianfranchi [F. Venturi], F. Buonarroti, primo egualitario italiano, in Giustizia e Libertà. 288 Per Proudhon Alicata a Einaudi, 18 giugno 1942 (AE, Alicata); per Babeuf e Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11 maggio 1942 (AE, Alicata); Onofri scriveva all'editore di avere esaminato assieme ad Alicata una scelta di scritti di Babeuf (AE, Onofri); nel marzo 1943 Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di un suo volume su Mazzini e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che dal giugno 1942 Gastone Manacorda era stato incaricato di tradurre la Conspiration pour l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). Le origini della casa editrice Einaudi Rivoluzione. Alle obiezioni dell'editore, che chiedeva solo quest’ultimo, Romano rispondeva che il terzo saggio era solo una parte dell’opera di Pisacane, ma non certo la più importante. Staccata dalle altre rappresenta un frammento che ora non vale la pena di pubblicare. Il terzo saggio contiene, nelle sue pagine migliori, il pensiero sulla quistione sociale, ma non certo tutto il pensiero poli- tico del Pisacane: le pagine migliori si trovano nel IV saggio che, collegate a quelle poche del secondo, rappre- sentano il pensiero del Pisacane sulla guerra, la sua filosofia della guerra come creatrice di eventi ; ma il 2 settembre 1942 Einaudi gli rispondeva di aver affidato la Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è probabilmente senza motivo o motivi che il nome del democratico meri- dionale, annoverato alla fine dell’800 fra i precursori del socialismo, ma di cui nel 1932 Nello Rosselli aveva messo in luce le contraddizioni del pensiero sociale per ricavarne l’ammonimento che il riscatto di un popolo dalla tirannia, dalla serviti, dalla cronica fiacchezza politica, è anzitutto problema morale e Ferruccio Parri non mancò di rilevare la riduttività del giudizio di Rosselli ?°, tornasse a circolare con lo scoppio della guerra: con patticolare riferimento alla Guerra combattuta ne parlarono Giansiro Ferrata su Primato e, su Argomenti , Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul pensiero politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta einau- diana trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma assumeva anche particolare rilievo, come ha ricordato Gerratana affermando che essa fu in quel periodo uno 289 AE, Romano. 29 N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con un saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977,IX, e la recensione di Parri (siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane delle rigide postulazioni di comunismo autoritario e spregiudicato, le quali sono sembra a me in qualche dissenso da Rosselli più che fredde e formali e provvisorie acquisizioni ideologiche , e suggeriva di dare maggiore spazio all’influenza di Marx su Pisacane { Nuova rivista storica). DI G. Ferrata, Strategia di Pisacane, Primato; Ramat], Per un'antologia di scritti del Pisacane, in Argomenti. dei più importanti contributi alla cultura antifascista della nostra generazione ??, Infatti nella presentazione del Saggio Pintor operava una netta rottura con l’interpreta- zione di Rosselli: pur mettendo in luce i limiti teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui l’intreccio di motivi maz- ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava come l’unico socialista intransigente dell’Italia pre-unitaria, e un socia- lista per temperamento e per metodi assai più vicino ai moderni teorici che ai vecchi dottrinari di un’utopia collettivista , in quanto l’affermazione cosi frequente in Pisacane che le idee derivano dai fatti, e non questi da quelle, corrisponde nella sua sommaria enunciazione al cosiddetto rovesciamento della dialettica hegeliana operato da Marx ?3, Era un’affermazione che, al di là della sua correttezza interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni la passarono sotto silenzio, come il recensore di Critica fascista che si limitò a sottolineare l’autonomia di pensiero e l'imperativo morale del patriota, o la contestarono, come Gabriele Pepe, che dopo aver messo in luce l’astrattezza di pensiero e la lontananza dal marxismo di Pisacane, assegnò al Saggio un significato esclusivamente patriottico ; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò su Primato la ristampa di un classico della pix schietta tradizione rivoluzionaria italiana , mentre sulla Rivista storica italiana Armando Saitta difese il valore teorico del suo pensiero, in particolare l’intuizione, a suo parere marxista e sociologica insieme, del popolo come classe politica , e più tardi, nell’inverno 1943, Paolo Alatri potrà affermare che alla base di tutto il Saggio è una convinzione che difficilmente anche oggi, a circa un secolo di distanza nel tempo da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe di rifiutare: che cioè una rivoluzione, per mutare veramente un mondo, deve Introduzione a G. Pintor, I/ sangue d'Europa,la prefazione al Saggio, del 1942, ora in G. Pintor, I/ sangue d'Europa. Nonostante la conclusione della vicenda editoriale, il 16 febbraio 1943 Pintor ammoniva Einaudi: ti ricordo l'opportunità di non buttare a mare completamente i collaboratori che ti sono antipatici: i calci in faccia dati a Romano e la distruzione del suo volume risultano ora piuttosto dannosi giacché una scelta degli scritti di Pisacane non si improvvisa e il volume è rarissimo (AE, Pintor). Le origini della casa editrice Einaudi essere sovvertimento di un ordine costituito non soltanto politico ma anche e soprattutto sociale ?. Resta l’interrogativo di come, nello stesso tempo, Pintor potesse consigliare a Einaudi la pubblicazione, avvenuta nel 1943, de I proscritti di Ernst von Salomon, uno degli assassini di Rathenau, un volume che l’editore propagandò perché vi era rievocata la guerriglia per strappare le regioni baltiche alla minaccia bolscevica , e al quale già nel 41 aveva dichiarato di tenere molto, assieme a Volk obne Raum del pangermanista Hans Grimm, per il loro tono documentario nazionalsocialista ?5; una proposta che Pin tor cercherà di riscattare nella recensione al volume pubblicata postuma, tesa ad analizzare, con moduli cantimoriani, anche se concettualmente assai più fragili, la vicenda dei reazionari di sinistra tedeschi del primo dopoguerra, vista come testimonianza del destino di un'epoca in cui la tolleranza doveva diventare una colpa e la morte fisica scendere con inaudita violenza su intere generazio ni 2, L’interrogativo posto per Pintor ci sembra valido anche per l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela a SUCCI (si veda), CRITICA FASCISTA; Pepe ne La Nuova Italia , Don Santigliano [Muscetta] in Primato; A. Saitta in Rivista storica italiana;Romano [Alatri], in Leonardo, XIV (1943),247. 295 Attività Einaudi anno XXI (ACS, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, n. 528771, sottofasc. 1); Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata); G. Pintor, Doppio diario, Pintor, Il sangue d’Europa,162, 164. Recensendo più tardi il volume Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di Rathenau e la radicale negazione della moralità dei mistici tedeschi, in questo simili ai fascisti italiani, concludeva con velata ironia: La traduzione italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo 1943, nel tempo dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il lasciapassare di quel regime: al quale è da credere che tale libro sembrasse edificante, confortante, educativo, persuasivo per gli italiani, perché dettato nello stesso spirito di talune delle nobili sentenze che allora si facevano imprimere dappertutto sui muri delle case urbane e rurali. Ma l’accorto editore, provvedendo a quella traduzione, avrà avuto di mira, crediamo, l’intento opposto (Misticismo politico tedesco (La Critica , 1944), ora in B. Croce, Pagine politiche (luglio-dicembre 1944), Bari, Laterza, Spellanzon nella cura delle Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848 di Cattaneo: poiché la materia è, a novant'anni di distanza, ancora cosi incandescente , scriveva Einaudi, era indispensabile far precedere il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva un po’ da antidoto, un’introduzione che non sia naturalmente di piaggeria carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e dell’intonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che ne formano l’ossatura . Ma all’editore di Omodeo, spietato critico della leggenda di Carlo Alberto, Spellanzon aveva risposto di non essere sicuro di poter scrivere una introduzione- antidoto , perché si sentiva meno caldo di furore di quell’uomo inesorabile e severo, vero Farinata del secolo decimonono. Ma all’infuori del toro, e all’infuori di qualche sua deduzione troppo consequenziaria, io condivido molta parte dei giudizi del fiero lombardo! ?. Infatti nella presentazione dell’opera pubblicata nel 1942 che nella ristampa del 1949 sarà dedicata a Salvemini, Spellanzon faceva sue le critiche del democratico milanese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli scritti dell’ Archivio triennale un acerbo disdegno per i subdoli maneggi di servi cortigiani e gesuitanti, un caldo amore di libertà inseparabile da ogni impresa di civile progresso. Anche in queste pagine, il Cattaneo ci appare quel che fu durante l’epico momento delle Cinque Giornate: il Farinata della rivoluzione nazionale italiana ?. Scontate appaiono quindi, da un lato, le critiche de La Civiltà cattolica e, dall’altro, la favorevole accoglienza di Pieri, per il quale con questo volume la tanto auspicata ricostruzione della storia del nostro Risorgimento è finalmente in atto, nelle sue correnti ideali, nel suo travaglio politico, nello sforzo d’elevazione morale di tutta la vita italiana ; ma anche Carlo Morandi, su Primato , invitava ad una lettura del Cattaneo democratico ben diversa da quella proposta nel ’39 da Luigi Einaudi: Nella storia, Einaudi a Spellanzon, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE, Spellanzon). 28 C. Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848, a cura di C. Spellanzon, Torino, Einaudi, 1942,XCII. 312 Le origini della casa editrice Einaudi se l’obbiettività è un’utopia, la probità è un dovere. Sarebbe eccessivo affermare che la probità del Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore a quella degli scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di no ? Ma poco prima del 25 luglio, alla vigilia di una nuova fase nella vita della casa editrice, Einaudi cercava un punto di equilibrio affidando ancora una volta a Salvatorelli il compito di riassumere in rapida sintesi una riflessione del Risorgimento che unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e quella democratica di Spellanzon, pur in una visione sempre etico-politica della storia. In Pensiero e azione del Risorgimento, individuata nella circolazione delle idee del '700 europeo la matrice del processo risorgimentale, Salvatorelli superava sue precedenti incertezze interpretative ripercorrendone le tappe attorno al nesso di pensiero e azione , che vedeva per la prima volta incarnato dai giacobini italiani, per passare poi nell’insegnamento di Mazzini e spiegare la funzione capitale svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la sottovalutazione di Cavour e l’unico punto relativo alla rivoluzione in cui l’autore accennava al problema sociale e il recensore sottolineava la difettosa impostazione etico-giutidica di tutti i moti socialistici , Omodeo poteva salutare, su La Critica del 20 luglio 1943, un’opera meritoria nella dura polemica contro certi indirizzi semi-camorristici che con la prepotenza han preteso imporre risultati prestabiliti alla ricerca storica ; e Curiel inviterà a leggere il volume, perché metteva in luce le forze progressive della democrazia, indicandone le insufficienze per cui il moto rivoluzionario per l’unità d’Italia sboccò nel compromesso monarchico e nel pseudoliberalismo antidemocratico . Infatti dalla ricostruzione La Civiltà cattolica; Pieri in Nuova rivista storica , XXVII (1943),143; Morandi in Primato , III (1942),179. anche, più tardi, la recensione di Bianca Ceva ne La Nuova Italia. La Critica; E. Curiel, Scritti (segnalazione sul Bollettino del Fronte della gioventd del febbraio 1944). Anche Carlo Morandi, pur non condividendo alcune osservazioni particolari di Salvatorelli, ne sposava comple storiografica che arrivava ad accennare alla crisi del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo Salvatorelli faceva scaturire nella pagina conclusiva un chiaro messaggio politico, invitando a non subire le deformazioni e i traviamenti delle visuali nazionalistiche ; ma a preservare la libertà di pensiero e d’azione, guardare dall’alto e lontano, ascoltare e riflettere, preparare e costruire, secondo le direttive di principio espresse dalla coscienza storico-morale dell’umanità, in cammino verso la sua meta divina: la pienezza di vita dello spirito nella fraternità universale ! A valori umani e civili non confinabili in un ambito nazionalistico intendeva ispirarsi anche la nuova collana Universale che cominciò a uscire nel 1942 sotto la direzione di Muscetta, invitato dall’editore ad accelerarne i tempi di pubblicazione di fronte alle minacce di concorrenza che si annunziano da varie parti ®, Infatti, Primato presentava con soddisfazione l'uscita di due collane universali ritenute necessarie, in quanto fra le caratteristiche di questa guerra, gli storici ricorderanno anche la fede nei valori della cultura, l'ardente bisogno di dissetarsi alle sorgenti di vita eterna ®: la Corona di Bompiani e la collana einaudiana, cui avrebbe fatto seguito, nel 1943, la Meridiana di Sansoni, con volumi il cui piccolo formato era imposto tamente la tesi generale sulle origini non autoctone del Risorgimento, legate alla Rivoluzione francese (La polemica sul Risorgimento, in Primato). %! L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino, Einaudi Einaudi a Muscetta, 23 marzo 1942 (AE, Muscetta). La discussione sulle caratteristiche della nuova collana fu assai vivace quando l’editore pensava di suddividerla in due sezioni, una Biblioteca classica universale , dove avrebbe potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una Biblioteca moderna universale : G. Pintor, Doppio diario,157, 163; Muscetta a Einaudi, 29 ottobre 1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata). Vice, Il problema delle Universali , in Primato. A proposito della nuova collana, il redattore capo della rivista, Giorgio Cabella, il 20 maggio 1942 scriveva a Einaudi: Non mancherò di farne parlare su Primato con quella cura e attenzione che abbiamo sempre usato per le Vostre pubblicazioni e che questa collezione merita (AE, Cabella). Le origini della casa editrice Einaudi anche da un dato oggettivo, la carenza di carta. Da parte fascista si cercò di cogliere in queste iniziative la prova di un sostegno della cultura alla guerra italiana , come se lo spirito affermava Lorenzo Gigli in un articolo della Gazzetta del popolo fatto proprio da Primato voglia in pieno conflitto proclamare e dimostrare il raggiunto grado della sua emancipazione e sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel processo ricostruttivo di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla conquistata indipendenza politica ed economica della Nazione come frutto della guerra vinta ®. La nuova collana di Einaudi si presentò tuttavia, fin dall’inizio, come espressione di un rinnovamento culturale della casa editrice, che intendeva ora allargare il suo pubblico con volumi agili e a basso prezzo non è un caso che dai 29 volumi si balzasse ai 53, per attestarsi sui 41 nel 1943. Anche se l’annuncio editoriale era necessariamente ambiguo la collana non vuole assecondare diffuse abitudini culturali, ma orientare il pubblico secondo un gusto italiano, aperto alle esperienze moderne, ma sempre vivamente sensibile alla nostra secolare tradizione umanistica , il giudizio espresso nel dopoguerra, nella fase di preparazione di Politecnico biblioteca , da Vittorini, al quale la vecchia Universale appariva compromessa dalle inclusioni di opere esplicitamente reazionarie , non solo prescinde dalla necessaria collocazione storica dell’iniziativa, ma risulta anche inesatto, e opportunamente contraddetto da Concetto Marchesi che, all’u 30 Vice, Calendario, in Primato. 305 Cit. da C. Cordiè in Leonardo da VINCI (si veda). Vittorini a Einaudi, in E. Vittorini, Gli anni del Politecnico . Lettere 1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino, Einaudi, 1977,8. Nella comunicazione a Einaudi di un colloquio avvenuto il 4 luglio 1945 tra Vittorini e Pavese a proposito dell’ Universale , si dirà che Vittorini intende aprire la collezione a moderna letteratura progressiva sia creativa sia polemica la quale escluderebbe naturalmente molti titoli che in passato entrarono nella collezione. Treifschke e Novalis non possono sopravvivere quando entri, cosî per dite, il teatro di Saroyan, la poesia di Toller, la polemica di un oratore sovietico. A Pavese pare che possano (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma scita dei primi volumi della collana, lodava Einaudi per aver fatto entrare la sua attività editoriale nella storia della nostra cultura italiana che tanti maltrattamenti e oscuramenti ha dovuto sopportare Ciò non significa che non siano numerosi titoli puramente letterari non inquadrabili nelle finalità di un orientamento politico, prima e dopo il 25 luglio, o che non fossero scartate proposte di testi più incisivi da questo punto di vista . Ma è bene ricordare che alcune esclusioni sono da attribuirsi alla necessità di un compromesso con la censura: Bottai potrebbe dire una parola a Pavolini scriveva l’editore a Muscetta l’8 aprile 1942, rivelando un rapporto privilegiato con il ministro dell’Educazione nazionale . Noi faremo molti italiani e quindi anche qualche straniero . Accetteremo nello svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel caso qualche volume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro collaborino con noi °. E tuttavia Einaudi poteva a buon diritto scrivere ad Arrigo Benedetti che con l’ Universale gli pareva di venire incontro a un vero bisogno della nostra cultura nazionale. Tengo molto a che questa collezione non passi per un tentativo di volgarizzamento di cui non si sentiva affatto la necessità, ma per un contributo fattivo a un riesame serio e consapevole del patrimonio culturale universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che fosse inteso l’attributo della mia collezio 30? Marchesi a Einaudi, (AE, Marchesi). 308 Per i vari progetti di pubblicazione AE, Muscetta. Fra i testi non realizzati figurano: La rivoluzione e i rivoluzionari in Italia di Ferrari, affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva e poi, nell’ottobre, a Cantimori AE, M. Ceva, Cantimori); i Pensieri politici di Vincenzo Russo scartati dall’editore che, d'accordo con Alicata, accantonò anche il progetto di pubblicazione del saggio sulla libertà di Labriola non sappiamo se quello Della libertà morale del 1873 o quello Del concetto della libertà del 1878, in quanto le osservazioni interessanti per lo sviluppo futuro del suo pensiero sono appena marginali; siamo ancora in piena disquisizione psicologistica herbartiana, priva di interesse per noi (lettere a Muscetta del 24 agosto 1942 e ad Alicata, in AE, Muscetta, Alicata). Il 25 giugno 1943 Ginzburg inviava il sommario di un’antologia di scritti di Cattaneo (AE, Ginzburg). 39 AE, Muscetta. 316 Le origini della casa editrice Einaudi ne °. In effetti, le finalità di apertura cosmopolitica della collana vennero rispettate, se dal 1942 al 1946 i titoli italiani risultano solo 17 su un totale di 69, di cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su 19 nel 1943; e le prefazioni, stringate ma spesso assai incisive, furono affidate in molti casi a intellettuali antifascisti, anche se non tutti quelli contattati, come Marchesi, poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i Canti del popolo greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio del 1943, un significato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, da tempo segnalata da Pavese che vi vedeva un meraviglioso mondo che ci parve qualcosa di più che una cultura: una promessa di vita, un richiamo del destino , suggerisce alla curatrice, Fernanda Pivano, l’osservazione che solo le anime semplici riescono a trionfare nella vita !, E Ginzburg, se ne La sonata a Kreutzer di Tolstoj indicava i motivi artistici come prevalenti su quelli sociali, terminava la prefazione a La figlia del capitano ricordando l’epigrafe di Puskin tieni da conto l’onore fin da giovane ?, mentre presentando Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda metteva in luce la statolatria reazionaria dell’autore, che trasferisce allo stato etico , nazionale e monarchico, quei compiti ideali di civiltà che l’illuminismo assegnava allo stato razionale e cosmopolitico, e, confondendo evidentemente stato e società, dà una cattiva versione romantica dell’esser cive quando afferma che il più umano dei bisogni è quello di uno stato e predica la necessità che lo stato sia dovunque visibile anche nei distintivi e nelle uniformi 313. 310 Einaudi a Benedetti, (AE, Benedetti). La scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti non ottenne il nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti la guerra del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE, Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: Facciamo subito il Maupassant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in un primo tempo (AE, Benedetti). 311 E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1943,XII; C. Pavese, La letteratura americana, 64. 32 Ora in L. Ginzburg, Scritti,153, 289. 313 Novalis, Cristianità o Europa, a cura di M. Manacorda, Torino, Einaudi, Accenti anti-gentiliani, non privi talvolta di risvolti politici, sono avvertibili anche nella presentazione di molti letterati e uomini politici italiani dell’800: accanto alla valorizzazione del cristianesimo di Capponi, ritenuto da Umberto Morra più vivo di quello manzoniano !, o all’inclusione di esponenti moderati del Risorgimento cari alla concezione liberale di un Luigi Einaudi o di un Omodeo, come Cavour di cui Cantimori cura una scelta dei Discorsi parlamentari sottolineandone il realismo politico °, appaiono autori propri della genealogia risorgimentale di Gentile Cuoco, Foscolo o Alfieri, ma profondamente rivisitati. Significativo non solo in questo senso, ma anche come una sorta di manifesto di tutta la collana, è il primo titolo pubblicato, le Ultizze lettere di Jacopo Ortis, che offriva a Muscetta l’opportunità di far proprie le affermazioni pacifiste di un commentatore di Foscolo Un popolo non deve snudare la spada se non per difendere o conquistare la propria indipendenza. Se attacca i vicini per aggiogarli, si disonora; se invade il loro territorio col pretesto di fondarvi la libertà, o è ingannato o s’inganna , e di riproporre la concezione democratica e antitirannica espressa in pagine dimenticatissime da Cattaneo, per il quale Foscolo fu il primo a gettare in Italia quella vanissima sentenza, che il rimedio vero sta nel riunire in una sola opinione tutte le sètte . È idea chinese, idea bizantina; e per essa la Grecia, sf feconda quand'era piena di sètte, giacque per mille anni nel letargo della sepolcrale ortodossia bizantina. Ogni setta che invoca questo sofisma intende solo imporre silenzio alle altre tutte, fuorché a se stessa, e regnare unica e sola3!. 314 G. Capponi, Ricordi e pensieri, a cura di U. Morra, Torino, Einaudi Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942,XII. Scrivendo a Finaudi, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori tendenziose, con un profumino di marxismo aggiornato, che dà noia (AE, Ragghianti). Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di C. Muscetta, Torino, Einaudi, 1942,XIV-XV. La Civiltà cattolica noterà che l’opera di Foscolo era posta all'Indice. Mazziotti presentava Il Congresso di Vienna di Treitschke affermando che per l’autore lo Stato era forza, 318 Le origini della casa editrice Einaudî 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura Entusiasmo e frenesia di iniziative contraddistinguono il periodo immediatamente successivo alla caduta di Mussolini, quando ai tentativi di acquisire il controllo su un giornale, quando Roma vive il primo giorno di libertà , Muscetta invitava Einaudi a metter le mani su Primato si aggiungono a ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di nuovi volumi e collane, destinate per la maggior parte ad essere definitivamente accantonate o sospese fino alla Liberazione, non solo per l’incertezza della situazione politica generale. Inizia infatti un processo di riassestamento della casa editrice di non facile soluzione tanto che si ripresenterà, aggravato, , dove ai problemi ma che una forza che calpesta ogni diritto deve finalmente andare in rovina, perché nel mondo morale nulla si regge che non abbia virtî di resistere AE, Muscetta. Intense furono le trattative per l'acquisto di altri Genta Si pensò, da parte di Muscetta e Ginzburg, a La Ruota da trasformare in settimanale sotto la direzione di Mario Vinciguerra (AE, Vinciguerra; Muscetta), anche se Pintor affermava: Resta da decidere se l’acquisto di una rivista in questo momento e con le prospettive oscure che ci attendono sia un gesto opportuno e resta da fissare l’indirizzo politico della rivista. Un uomo come Vinciguerra, degnissimo ma ufficialmente legato a un partito, non mi pare il più adatto per la direzione (AE, Pintor). Vi furono trattative anche per Il Lavoro italiano , per cui Pintor entrò in contatto con Piccardi che non voleva scriveva Pintor a Einaudi affidarlo a elementi troppo di destra, dato che si tratta del Quotidiano dei Lavoratori. Temeva che tu avessi le idee di tuo padre (AE, Pintor, 30 luglio 1943; Muscetta. Per la Gazzetta del popolo , che Einaudi avrebbe voluto affidare alla direzione di Felice Balbo, si chiese l'appoggio di Bonomi presso l’IRI, ma Pintor non riuscî a convincere Menichella che comunicava all’editore vede nerissimo, prevede il regno dei grossi capitalisti e un attacco in grande stile contro l’IRI. La Gazzetta del popolo come la faremmo noi costituirebbe una provocazione contro i pescicani e affretterebbe la catastrofe (AE, Pintor; Bonomi). Il 18 agosto 1943 Einaudi scriveva ad Alicata: Il periodico di educazione popolare che saluterei con simpatia, sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini questo dovrebbe essere il giornale spregiudicato e vivo, dei tempi nuovi qui tutte le manifestazioni della vita, politiche ma sovratutto di costume dovrebbero essere rappresentate (AE, Alicata). organizzativi si intrecciano le divergenze fra i collaboratori, che acquistano ora rilevanza politica. Einaudi riteneva necessario l’accentramento in Piemonte dei servizi relativi al funzionamento worzzale della casa editrice , mentre nell’agosto incaricava Ginzburg, liberato dal confino, di dirigere la sede romana : ed è da questa, dove nell’agosto è presente anche Franco Venturi, che scaturisce una forte pressione degli azionisti nelle loro diverse componenti, dai liberalsocialisti ai crociani che cercano di condizionare a loro favore le scelte editoriali. Il senato romano (presenti Ginzburg, Muscetta, Pintor, Giolitti, Venturi) scriveva Muscetta a Einaudi il 7 agosto 1943 ha discusso e progettato, ad unanimità, una collezione di attualità politica, a cui si darebbe il nome di Orientamenti . Suggerisce di pubblicare, preferibilmente a Roma, per ovvi motivi, una serie di volumetti formato universale. Come è chiaro dalla parola Orientamento la collana dovrebbe accogliere scritti delle pi serie tendenze odierne per illuminare il pubblico sulle condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per disegnare delle prospettive di concreta ricostruzione politica, per offrire dei contributi al chiarimento dei più urgenti problemi, non esclusi quelli ideologici, Ma le proposte concrete privilegiavano un indirizzo azionista della collana, prevedendo i saggi di Guido Calogero su Giustizia e Libertà dall’ambizioso sottotitolo breviario di politica , di Spinelli sull’unità europea, di Manlio Rossi Doria sul problema agrario in Italia, quello sul Risorgimento che Ginzburg stava preparando, e una storia del socialismo di Franco Venturi. Queste proposte di cui si fece portatore, pur con riserve su Calogero, anche Pintor? Disposizioni di Finaudi per la sede romana (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino). AE, Muscetta. AE, Pintor. Fra le altre proposte romane , Dal socialismo al fascismo di Bonomi (già edito da Formiggini), Synthèse de l'Europe di Sforza, La terreur fasciste di Salvemini, il Pisacane di Rosselli e la traduzione da affidare a Rodano de Les sources et le sens du communisme russe del pensatore religioso, ex-marxista e ora antisovietico, Nikolaj A. Berdjaev (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino), un’opera che sarà Le origini della casa editrice Einaudi furono respinte dal gruppo torinese, che invece approvò la ristampa di Nazionalfascismo di Salvatorelli, un’antologia di scritti di Gobetti che avrebbe dovuto curare Carlo Levi, un volume di Mario Vinciguerra Storia di cento anni (1848-1948), e la richiesta a Guido Dorso di preparare una biografia di Mussolini . Un netto e significativo rifiuto riceve invece, a Torino, la proposta di raccogliere gli scritti politici di De Sanctis il suggerimento, tramite Muscetta, era arrivato da Croce #, mentre viene lasciata aperta la possibilità di pubblicare Guerra e dopoguerra di Giacomo Perticone, una storia della crisi della coscienza politica italiana ritenuta interessante da Giolitti, che suggeriva l’eventuale opportunità di una collezione specifica che potrebbe presentarsi come Contributi alla storia del fascismo , intendendo naturalmente il fascismo in senso lato, come crisi, per dir cosî, della democrazia nazionale italiana; e allora rientrerebbero in quei contributi anche le indagini sulla storia dell’Italia dopo il 1870 le quali sappiano vedere il fascismo già latente in certi aspetti della vita politica dello Stato italiano, e non lo considerino soltanto come un mostro emerso improvvisamente da chissà quali profondità, o come la criminosa avventura di un gruppetto di sopraffattori: un’indicazione di ricerca che superava la visione crociana della parentesi , ma che sarebbe stata raccolta molto tardi dalla cultura storiografica italiana, anche se Einaudi si dimostrò interessato alla proposta, cui cercherà di dar seguito dopo il 1945 ®. Di fronte alle posizioni del senato romano di tradotta nel 1944 da Giacomo Perticone (Roma, Edizioni Roma); di Berdjaev Laterza aveva tradotto Il cristianesimo e la vita sociale, mentre Finaudi pubblicherà La concezione di Dostojevskij. 321 C. Pavese, Lettere; AE, Pavese, Vinciguerra. Muscetta a Pavese, 19 agosto 1943 (AE, Pavese); Qui ognuno di noi si infischia sia del Perticone, sia degli scritti politici di De Sanctis , si rispose da Torino (AE, Muscetta). Giolitti a Einaudi (AE, Giolitti); si potrà discutere la proposta di Giolitti in merito a una collezione critica sul fascismo , scriveva Einaudi a Pintor (AE, Pintor); e Pintor era favorevole: la lettera del 24 agosto a Pavese (in C. Pavese, Lettere viso al suo interno tra azionisti da un lato, Pintor e Giolitti dall’altro e di un Pavese, nauseato dall’indaffaramento politico della casa editrice ’, Pintor si dimostrava preoccupato dell’unità dell’indirizzo editoriale: scriveva a Einaudi che le possibilità di rottura si accentuano e che la crisi può intervenire da un momento all’altro , occasionata originariamente dal breviario politico di Calogero; le varie discussioni aggiunge hanno messo in evidenza un problema che doveva inevitabilmente maturare. Non si tratta pit cioè di dissensi personali che hanno sempre alimentato l’attività della casa, ma di un contrasto di posizioni, che secondo me non è insanabile, ma che deve essere chiarito se non vogliamo che diventi un elemento pericoloso di erosione ?5, Da queste preoccupazioni scaturisce il deciso intervento di Einaudi che provoca il naufragio della collana Orientamenti considerata la provvisorietà dell’iniziativa , e punta su Ginzburg liberato il 26 luglio dal confino e Alicata uscito dal carcere come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai di fronte scriveva ad Alicata una persona che ha dato prova di grande serietà morale, e di w245sima comprensione per tutte le idealità politiche degne di questo nome. Ritengo che tu possa lavorare con Ginzburg amichevolmente Pavese a Pintor, (C. Pavese, Lettere). In particolare aggiungeva Pintor, per Orientamenti, nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei diverse riserve: vorrei che si tenesse conto del programma originario di Balbo e vorrei che fosse consultato Vittorini ; e il 16 agosto scriveva a Einaudi: Il mio atteggiamento personale è molto conciliante: il clima di lotta parlamentare che si è creato a Roma mi dà parecchio fastidio e non vorrei assolutamente che si riproducesse nel lavoro della casa (AE, Pintor). 32% Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE, Alicata). La decisione di Einaudi parve discutibile a Pintor: In questo modo si sfugge al primo problema posto dal coesistere delle diverse tendenze: l’accordo deve essere ottenuto attraverso una rigorosa selezione delle proposte, ma è indispensabile che la casa editrice segni il passaggio a una nuova fase uscendo dagli schemi delle vecchie collezioni e affrontando coraggiosamente l’attualità. A questo non bastano i progetti di giornali e riviste che cominciano a diventare invadenti ma occorre che si faccia qualcosa di nuovo anche nel campo editoriale (a Einaudi, 19 agosto 1943, in AE, Pintor). Le origini della casa editrice Einaudi e con rapidità di decisione . Comunque la funzione di Ginzburg, in quanto collaboratore della casa, più che di difensore di principi diversi è quella di moderatore, anche nei riguardi della corrente che a lui può sembrare faccia capo. Tu usa con lui, collaborando alla casa, altrettanta moderazione, sia pure con intransigenza, in modo da arrivare nel nostro Senato anziché alla disgregazione temuta da Pintor, alla collaborazione spontanea ?7, In questa situazione, fatta di contrasti e di incertezze, cui si aggiungerà dopo 1’8 settembre la dispersione dei collaboratori e la sostituzione di Giulio Einaudi che si rifugerà in Svizzera con il direttore dell’ISPI Pierfranco Gaslini e il commissario prefettizio Paolo Zappa, con i quali resta in contatto Muscetta, l’attività della casa editrice conosce, nel 1943-44, una stasi, anche se viene dato esito ad alcuni progetti precedenti. Non vengono pubblicati, ovviamente, i testi più politicizzati suggeriti dalla sede romana e accettati a Torino, cosi come resta inedito E il gallo cantò di Augusto Monti che, scriveva l’autore, pur trattando di casi relativamente remoti, è della più viva attualità, tanto che potrebbe avere per sottotitolo: origini del fascismo e dell’antifascismo. Nella Biblioteca di cultura storica esce solo, nel 1944, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto di Bonomi ’, mentre nei Saggi alle Riflessioni di Montesquieu curate da Leone e Natalia Ginzburg per venire incontro a un rinnovato interessamento per certi valori umani, proclamati dagli uomini del Settecento, e poi a lungo negletti 3 AE, Alicata. Ma era necessario tener conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31 agosto 1943, che Alicata è preso da un'attività quanto mai turbinosa e che negli ultimi giorni si è occupato quasi esclusivamente di fare arrestare fascisti sediziosi (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva a Ginzburg il 4 settembre: La sua richiesta di sostituire Giolitti ad Alicata nel Comitato Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una specie di supplente al quale Alicata delega, quando è impossibilitato a partecipare alle riunioni, il mandato di voto (AE, Ginzburg). 328 Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE, Monti). 329 Di Bonomi non fu invece pubblicato Dd/ socialismo al fascismo, cui si dichiararono contrari Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg, favorevoli Pintor e Giolitti: Pavese a Muscetta (C. Pavese, Lettere, e Muscetta a Pavese, (AE, Pavese). da un troppo unilaterale storicismo °, fa da contrappunto, nel 1943, la pubblicazione delle Memorie di Metternich in cui Casini sottolinea l’ orrore del cancelliere austriaco per la Rivoluzione francese e la sua testimonianza sul sangue che è corso per le piazze di Francia, sulle violenze che hanno reso esecrabile questo evento, sulla brutalità con cui sono stati incrinati e calpestati i fondamenti dell’ordine !, Nell’unica collana che conserva una certa vitalità, anche per il minor costo che richiedeva, 1’ Universale , accanto a numerosi testi più propriamente letterari ne appaiono altri segnati da un chiaro, anche se non univoco, impegno civile: alla presentazione simpatetica del buon senso che traspare dagli Opuscoli politici di D’Azeglio fatta da Vittorio Gorresio , si accompagna il Manoscritto di un prigioniero del mazziniano Carlo Bini, di cui Goffredo Bellonci illustra la concezione del Risorgimento come rivoluzione sociale capace di eliminare le ineguaglianze materiali ; nel Della tirannide di Alfieri Massimo Rago coglie uno spirito veramente rivoluzionario che cerca di dar risalto alle forze che ostacolano l'affermazione della libertà, e questo chiarimento suona come un invito ad una più accurata osservazione delle esperienze sociali 4; mentre presentando Conquista e usurpazione di Benjamin Constant Franco Venturi osserva come soltanto Jaurès e Mathiez avessero insegnato a vedere nella Rivoluzione francese il nostro moderno problema di una rivoluzione sociale alle sue origini , come tale non compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il liberalismo che si manifesta nel chiudere la rivoluzione, ma non per negarla: per salvarne i principi rinati dall’espeCh. De Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti, a cura di Leone e Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, Metternich, Merzorie, a cura di G. Casini, Torino, Einaudi Azeglio, Opuscoli politici, a cura di V. Gortresio, Torino, Einaudi, Bini, Manoscritto di un prigioniero, prefazione di G. Bellonci, Torino, Einaudi, Alfieri, Della tirannide, a cura di M. Rago, Torino, Einaudi, Le origini della casa editrice Einaudi rienza delle assemblee e del terrore. L’unico elemento di novità, n@, è. È Collana di cultura giuridica ‘diretta da Bobbio uno dei primi collaboratori di Einaudi, la cui firma era apparsa anche ne La Cultura, che già era venuta configurandosi come distinta dal progetto di una collana filosofica. Pavese gli comunicò la proposta di Manlio Mazziotti di una collezione di classici del diritto, la quale servirebbe a svegliare il sonno dogmatico dei giuristi italiani, i quali credono che la loro scienza consista nell’interpretazione e non nella creazione della legge , e Bobbio rispose di essere anch’egli convinto che nel campo degli studi giuridici ci sia molto da fare per la diffusione di. una cultura seria e creatrice: dalla scuola del diritto naturale ai grandi giuristi tedeschi del secolo scorso; dalla moderna sociologia giuridica alla dottrina pura del Kelsen. Che io sappia non è stata mai tentata in Italia un ‘impresa del genere, che raccolga con un certo ordine e con intendimenti culturali, e non tecnici, opere d’argomento giuridico , a parte i Classici del diritto di Formiggini, fermatisi tuttavia nel 1933 al primo volume, I difetti della giurisprudenza di Muratori Coadiuvato da Antonio Giolitti, Bobbio cercò di dar vita alla collana con due opere già da lui preparate per la Biblioteca di cultura filosofica #’: nel 1943 appare il Giovazni Althusius di Gierke, il continuatore della scuola storica di Savigny che considerava il Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F. Venturi, Torino, Einaudi. Già proiettato esplicitamente nel futuro è il commento a E. Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino, Einaudi, 1944, dove si afferma che gli italiani sono arretrati d’un secolo, ché tutti i fondamentali problemi di democrazia che il Risorgimento poneva sono rimasti insoluti , e che in Italia, dopo la disfatta, che ha in comune con quella francese del 1848 solo l’immaturità politica e non l’epopea, la classe operaia va lentamente ricomponendo le sue forze e maturando l’esperienza del passato, conscia del compito ch’essa è chiamata ad assolvere. Pavese a Bobbio, e Bobbio a Einaudi, (AE, Bobbio). Bobbio a Einaudi, 15 novembre 1942 (AE, Bobbio). diritto come espressione della coscienza del popolo , e con lo studio del giurista Althusius aveva seguito la via attraverso cui il pensiero moderno è passato per elaborare quei concetti da cui è uscita la concezione dello Stato di diritto, tanto più oggi preziosa scrive Bobbio, quanto più minacciata, e tanto più viva quanto più condannata dagl’impazienti, dai fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni . Nel 1945 seguirà La fondazione della filosofia del diritto di Julius Binder, il più intransigente e fortunato assertore della rinascita hegeliana in Germania , la cui opera, osservava Bobbio, serviva a scagionare la filosofia italiana recente dall’accusa di provincialismo, qualunque sia poi il giudizio che si voglia formulare sul neohegelismo italiano, al quale peraltro non si potrà disconoscere il merito di aver tenuto il pensiero italiano lontano da quegli stessi estremi dell’intellettualismo e dell’intuizionismo contro cui combatté Binder ’, Ma dopo questi due titoli che venivano ad allargare ulteriormente i già numetosi interessi della casa editrice la collana perderà i suoi connotati per trasformarsi nel 1950 in Biblioteca di cultura politica e giuridica , nonostante gli sforzi di Bobbio di mantenerle l’identità originaria, convinto, come scriveva nel 1945, che in un momento in cui è diventato argomento di pubbliche e private discussioni il rinnovamento delle istituzioni giuridiche tradizionali, dalla proprietà allo stato, dall’eredità al sistema penale, si ridesta l’interesse per i problemi del diritto e nello stesso tempo si rivela la ignoranza degli stessi da parte dei più , per cui la collana poteva giovare anche agli specialisti, i quali, abituati a ripetere le solite formule senza ripensarle, ignari per lo più 338 O. von Gierke, Giovanni Altbusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla storia della sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi, Binder, La fondazione della filosofia del diritto, traduzione di A. Giolitti, Torino, Einaudi. In Società si nota comunque che Binder finisce, come Hegel, col fondare una metafisica dello Stato e della storia , e si ricorda che in altre sue opere lo Stato nazionalsocialista viene presentato come la pit rilevante incarnazione delTOR a etico (V. Palazzolo, in Società. Le origini della casa editrice Einaudi dei grandi movimenti giuridici stranieri, sono incapaci di cogliere il significato universale di una tecnica, di vedere in una formula il risultato di un determinato orientamento del pensiero. La breve, intensa ma caotica esperienza dei quarantacinque giorni non aveva comunque permesso di definire con precisione quella nuova collocazione culturale e politica della casa editrice sulla quale gli azionisti avevano cercato di mettere un’ipoteca. Il problema si ripresenta quindi all'indomani della Liberazione, con una intensità acuita dalla necessità di individuare una prospettiva di pit lungo periodo, non più resa precaria dalle contingenze belliche #. Il dibattito politico interno acquista ora rilevanza maggiore in quanto si intreccia con il confronto aperto e aspro fra i partiti ai quali aderiscono vari collaboratori di primo piano della casa editrice, e risente delle spinte diverse provenienti dai vari centri culturali, la cui collocazione geografica rispecchia la variegata situazione politica creata nel paese dalla lotta di Resistenza. A quelle di Torino e di Roma si aggiunge nel 1945 la nuova sede di Milano con Elio Vittorini, l’intellettuale che aderisce al partito comunista assieme a Pavese, col quale aveva condiviso l’interesse per la letteratura americana contemporanea, cogliendovi tuttavia a differenza di Pavese soprattutto quegli elementi positivi di un popolo nuovo e quella conferma della superiorità della cultura sulla politica che trasferirà ne Il Politecnico e in alcune iniziative della casa editrice. Grava sulla civiltà americana la stupidità di una frase: civiltà Appunto sulla Collana di cultura giuridica , cui seguono, numerose proposte di pubblicazione (AE, Bobbio). 31 Questa necessità era ben chiara, oltre che a Balbo, a Bobbio, che ammoniva Einaudi: Mi pare che ci stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione dell’attualità. Ti ripeto una frase memorabile: le case editrici si misurano a decenni, non a mesi (Archivio privato Bobbio). #2 le osservazioni di Garin, CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA. E. Catalano, La forma della coscienza. L'ideologia letteraria del primo Vittorini, Bari, Dedalo, materialistica. Civiltà di produttori: questo è l’orgoglio di una razza che non ha sacrificato le proprie forze a velleità ideologiche e non è caduta nel facile trabocchetto dei valori spirituali. Questa America non ha bisogno di Colombo, essa è scoperta dentro di noi, è la terra a cui si tende con la stessa speranza e la stessa fiducia dei primi emigranti e di chiunque sia deciso a difendere a prezzo di fatiche e di errori la dignità della condizione umana, aveva scritto Pintor cogliendo il messaggio di Americana di Vittorini . Caduti nella lotta di Resistenza Pintor e Ginzburg, mentre Alicata si trova assorbito dall’attività politica, accanto a Vittorini e Pavese emergono fra i collaboratori della casa editrice altri intellettuali comunisti, come Antonio Giolitti e Delio Cantimori, o l’esponente del movimento cattolico-comunista Felice Balbo. Nonostante la matrice comunista di questi intellettuali sia tutt'altro che omogenea, tale da non impedire l’insorgere di contrasti, i rapporti di forza interni tendono a spostarsi verso il PCI che, privo all’inizio di propri centri editoriali, individua in Einaudi un interlocutore privilegiato: ed è attorno al tema dell’orientamento politico della casa editrice che nelle pagine seguenti concentreremo l’attenzione, per cercare di coglierne alcune linee di tendenza nell’immediato dopoguerra, utili, nell’ambito di una ricerca che ha il suo centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente caratteristiche originarie e capacità di rinnovamento. Balbo, da Torino, scriveva preoccupato a Einaudi che anche per la Casa vale quello che vale per i partiti politici: qui la situazione è attualmente molto spostata a sinistra e molto fluida specie negli ambienti intellettuali per gran parte disorientati ed in attesa di politica concreta, di costume, di tecnica. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione favorevole perché poi le posizioni reazionarie potrebbero fissarsi nuovamente #5. Ma proposte concrete arrivavano contemporaneamente da Milano: Il nostro programma editoriale milanese si scriveva sempre il 10 maggio a Einaudi risponde ai criteri da te stabiliti: iniziare Pintor, I/ sangue d’Europa. AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Le origini della casa editrice Einaudi la pubblicazione di una rivista di punta che dovrebbe essere quella dal titolo Il nuovo politecnico , organo centrale del Fronte della Cultura, iniziativa di carattere nazionale sorta da Curiel, Banfi, Vittorini che ne costituiscono il comitato d’iniziativa nazionale, il quale a sua volta si appoggerà ai vari comitati regionali che saranno creati successivamente. Questo Fronte della Cultura è destinato a interessarsi a tutti i problemi di cultura, artistici e scientifici, per una loro rivalutazione, o superamento, da elementi appartenenti a qualsiasi ideologia o partito ma sinceramente orientati su un piano progressista: è un fronte quindi aperto a tutto il popolo italiano. Ma subito dopo si precisava che il bollettino del Fronte si sarebbe occupato dello studio alla luce del marxismo di tutti i fenomeni e le situazioni politico-culturali, avvalendosi delle collaborazioni di Vittorini, Banfi, Remo Cantoni, Giansiro Ferrata, Pietro Zveteremich, e si accennava all’iniziativa di una collana marxista. L’estrazione politica dei membri del Comitato nazionale del Fronte della Cultura ne esprimeva del resto chiaramente l’orientamento: due esponenti del partito comunista (Banfi e Vittorini), due rispettivamente di quello socialista e del partito d’azione, uno (Mario Motta) per i Lavoratori cattolici ’. Einaudi, pur convinto che a Milano si giuoca una grande partita per noi, si preoccupava tuttavia dell’insorgere di attriti fra i responsabili delle varie sedi, e suggeriva una diversificazione di funzioni fra di esse. Perciò, mentre raccomandava la necessità di una fraterna intesa fra Torino, Milano e Roma, in modo da costituire un unico fronte progressivo di cultura senza settarismi, aperto alla collaborazione di ogni sincero democratico , nell’impostare il programma delle riviste del Fronte proponeva, per Roma, Risorgimento e Cultura sovietica dal carattere, soprattutto la prima, pit aperto, una rivista di studi meridionali per Napoli, un settimanale politico-culturale per Milano Il Politecnico e, per Torino, un periodico economico, sui problemi della ricostruzione : in Aldrovandi a Einaudi (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma). Einaudi a Renata Aldrovandi, tal modo osservava alle diverse sedi si darebbe un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i problemi che più interessano le masse immediatamente circostanti, dando un pieno significato nazionale ai problemi che più sono sentiti nelle diverse regioni . Al tempo stesso, tuttavia, il contatto con l’ambiente politico romano gli suggeriva di correggere l'orientamento che si intendeva dare a Milano al Fronte della Cultura: su un piano più generale politico di lavoro scriveva a Vittorini tra gli intellettuali la linea attuale come si va definendo a Roma è quella di fronte contro i residui del fascismo, fronte nel quale si possono accogliere elementi di partiti cosiddetti conservatori, che siano però sinceramente antifascisti e quindi sostanzialmente progressivi. Questa linea è meno settaria di quella definita nell’ultima nota riunione di Milano, dove si pensava in sostanza di fare un fronte delle sinistre, Era la linea cui si ispirava il PCI, e che sarà espressa pochi giorni dopo la costituzione del primo governo De Gasperi al suo congresso, dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte le forze democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero la linea politica, indipendentemente dalla convinzione religiosa e filosofica , anche se Alicata si premurava di precisare che compito degli intellettuali doveva essere la battaglia contro l’idealismo, espressione della cristallizzazione del provincialismo della cultura italiana !, L'indirizzo sostenuto da Einaudi è rispecchiato fedelmente dalle riviste edite a Roma, in patticolare da Risorgimento , ma anche da La cultura sovietica . Questa ultima, rivista trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica, diretta nel 1945Einaudi a Renata Aldrovandi (e, per conoscenza, a Balbo e Vittorini), 16 maggio 1945 (ibidem). 350 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Togliatti, Opere scelte, a cura di G. Santomassimo, Roma, Editori Riuniti, Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958, Bari, Laterza, Le origini della casa editrice Einaudi da Gastone Manacorda, si proponeva di mettere in circolazione quegli elementi di conoscenza della realtà sovietica che erano stati impediti dal fascismo, il quale si ricorda nella Presentazione, alludendo anche all’ opposizione liberale durante il regime andò oltre la grossolana propaganda calunniatrice e, studiandosi di fuorviare gli intelletti dalla conoscenza del vero con tutti i mezzi pit subdoli, diede diritto di cittadinanza, con benevola tolleranza, a tutto ciò che fosse antisovietico anche se fuori dell’ortodossia reazionaria. E, pur svolgendo un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni sovietiche pubblicando ad esempio alcune pagine de I/ sistema finanziario dell’URSS di Michail Bogolepov che appare nelle edizioni Einaudi, o di passiva presentazione di opere come la Storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, della quale Manacorda faceva proprio anche il giudizio sui germi controrivoluzionari presenti in Trotzki anche quando egli era apparentemente rivoluzionario ®, La cultura sovietica si preoccupò soprattutto di mettere in circolazione, tramite Ettore Lo Gatto e Angelo Maria Ripellino, la letteratura russa contemporanea. Né è senza significato che l’articolo di apertura della rivista fosse affidato a un intellettuale azionista, la cui recente polemica con lo storicismo crociano non era priva di elementi retorici, come Guido De Ruggiero, teso a dimostrare la necessità di elevare la politica alla cultura per superare ogni chiusura nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione Sovietica s'è compiuta nell’ultimo trentennio la più profonda trasformazione che la storia ricordi, e dal cui contatto con Ma, si continuava, il tentativo non riusci: ognuno ricorda quale interesse quel mondo abbia sempre suscitato da noi; come avidamente si leggesse fra le righe di testimonianze settarie e antisovietiche, le sole cui fosse concesso il privilegio della pubblicazione o della traduzione; come rapidamente si esaurissero quelle poche opere, generalmente tradotte dalla produzione di altri paesi, ispirate ad obiettività d’informazione e a serenità di giudizio, che qualche editore coraggioso riusciva di tanto in so) a mettere in circolazione ( La Cultura sovietica , I (1945), La Cultura sovietica. la civiltà occidentale potranno scaturire altri mutamenti non meno profondi Sempre con l’intento di combattere la pretesa neutralità della cultura, in quanto tale ritenuta anch’essa responsabile della nascita e dello sviluppo del fascismo, usciva il 15 aprile 1945, sotto la direzione di Carlo Salinari, Risorgimento : decisa a operare dentro la mischia , la rivista voleva essere organo non di un gruppo, ma di una tendenza, organo di cultura di una società aperta e progressiva , unificante intellettuali di fedi diverse che si erano trovati uniti nella lotta antifascista °°. Risorgimento , scriveva Salinari a Vittorini il 25 maggio, vuol essere una rivista d’incontro delle correnti progressive della cultura italiana: ma, sorta fra un cumulo di diffidenze ed energicamente sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi numeri avere un carattere un po’ vago, se vuol mantenere la sua linea e non diventare una rivista di partito. Noi qui a Roma ci troviamo di fronte a difficoltà che voi forse neppure concepite! ; e, nonostante Vittorini fosse invitato a iniettare nella rivista del buon sangue del Nord, queRuggiero, Cultura e politica, in La Cultura sovietica. Su De Ruggiero, fra le pit caratteristiche espressioni delle ambiguità e delle incertezze degli intellettuali italiani della prima metà del secolo , E. Garin, Intellettuali italiani. È un fatto si aggiunge che non s'è avuta in Italia una cultura dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa impermeabilità come di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità è che di fronte al fascismo non bastava assumere un atteggiamento di distacco fra sdegnoso e prudente ma bisognava lottare apertamente in difesa di una collettività spinta sempre più verso la schiaviti e la rovina (Presentazione, in Risorgimento. AE, Vittorini: Non appena potrà prendere la sua reale figura , continuava Salinari, la rivista avrebbe dovuto, fra l’altro, sostenere la - democrazia progressiva e l’ antinazionalismo, e promuovere, per quanto è possibile, una letteratura maggiormente legata alle aspirazioni delle masse popolari. Salinari scriveva a Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi di raccogliere il materiale per il Politecnico utilizzando l’organizzazione di Risorgimento , e faceva proposte di collaboratori anche se, aggiungeva, dubito che vi sia oggi in Italia un numero d'’intellettuali tanto progressivi da poter alimentare una rivista del genere. Per lo meno nell’Italia centro-meridionale. In un verbale del 6 giugno 1945 relativo ad una riunione per Risorgimento , si dice: Onofri vorrebbe che la rivista si decidesse ad Le origini della casa editrice Einaudi sta mantenne il suo carattere vago ed eclettico che la espose alle critiche di Società : condizionata dalla realtà della lotta politica, che rendeva sempre meno efficaci gli appelli all’unità della Resistenza, la rivista finî senza poter realizzare il programma previsto per il momento in cui essa avrebbe potuto prendere la sua reale figura . Cosi, all’articolo di apertura su L'Italia e la democrazia di Sturzo, per il quale chi potrà operare la rinascita e la redenzione del proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto il popolo animato dal soffio di un ideale e dalla forza di una volontà , seguiva l’Esperienza di Spagna di Togliatti; assieme alle testimonianze sul fascismo e sulla Resistenza, apparvero articoli di Salvatorelli sui rapporti Italia-Jugoslavia o su Weimar, come di Grifone sul problema bancario. Tuttavia nelle note e nelle recensioni di Salinari, Cantimori o Giolitti le prese di posizione erano più omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra liberismo e liberalismo veniva negata l’identificazione operata da Einaudi, per affermare che la libertà politica può essere garantita anche da una economia pianificata e collettivistica °, mentre nella polemica fra De Ruggiero e Croce sullo storicismo si inter assumere un tono più polemico nei confronti delle altre tendenze e delle altre riviste (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Risorgimento ha un carattere antologico, affermavano G. Pieraccini e R. Bilenchi: manca appunto quello sforzo collettivo unitario che forma lo spirito di una rivista. Anche il carattere progressista di questo periodico non riesce ad affermarsi con un serio contributo ( Società ). Nell’Archivio privato di Felice Balbo si trovano degli Appunti per Risorgimento , senza data e non firmati, ma dove è rilevabile la mano dell’esponente cattolico-comunista: Concetto informatore: dopo l'oppressione della tirannia fascista il Risorgimento riprende il suo cammino nazionale nelle nuove condizioni obiettive sociali, cioè avendo come spina dorsale, la classe operaia nella sua storica funzione di classe di governo e classe nazionale; il Risorgimento continua veramente solo su questa strada. Funzione della nuova classe dirigente rispetto agli intellettuali ed ai tecnici. Funzione degli intellettuali con la nuova classe dirigente nella costruzione della democrazia progressiva post-fascista. In una frase il concetto è: pianificare e articolare la rivoluzione come è pianificata e articolata la reazione . Segue una esemplificazione assai puntuale del contenuto ideale della rivista. Risorgimento. Salinari], Libertà politica e liberismo economico, in Risorgimento , veniva per sostenere la necessità che la filosofia crociana fosse superata da uno storicismo che affondi le radici più profondamente nel movimento dialettico della storia degli uomini, da uno storicismo che non sia appannaggio del conservatorismo, ma potente leva di una società nuova. Ma che sia sempre storicismo, immanentismo assoluto ° E sulle pagine di Risorgimento, con la Lettera a un intellettuale del Nord Fabrizio Onofri preannunciava i termini del dibattito sulla nuova cultura che si aprirà su Il Politecnico il 29 settembre, rivolgendosi a Vittorini per affermare la necessità che un intellettuale veramente progressivo, e perciò in primo luogo antifascista, oggi come ieri debba necessariamente militare, se non in questo o in quel partito, certo al fianco di quelle forze sociali organizzate che più e meglio garantiscono l’abolizione dalla vita nazionale di tutte le forme di oppressione fascista; debba cioè necessariamente occuparsi di politica , che è ora il modo migliore di occuparsi della propria sorte di intellettuale, ossia badare a che non si ricreino sulla sua terra le condizioni di schiavità in tutti i campi che contrassegnavano il fascismo, e che si creino invece le condizioni politiche e sociali di quella libertà di cui egli ha bisogno anche e proprio come intellettuale ?9, Ci è parso opportuno accennare alle riviste meno conosciute del Fronte della cultura, per rilevare l’ampiezza delle iniziative della casa editrice tese, in accordo col PCI, a mantenere aperto, nel primo biennio post-bellico, un dialogo con tutte le forze democratiche, anche a prezzo di dissonanze e di polemiche interne; ciò vale pur con una sfasatura cronologica anche per le più note e discusse riviste edite in quel periodo da Einaudi: Società , nata con una propria fisionomia autonoma e critica tanto che l’intransigenza di Luporini o di Cantimori verso il crocianesimo creò motivi di frizione con Rinascita, e solo alla fine del 1946 sottoposta a un pi rigido controllo del partito ; e Il Politecnico che, invece, solo con la nuova Salinari], Lo storicismo. Onofri, Lettera a un intellettuale del Nord. ora, pur senza i necessari approfondimenti, Domenico, Saggio su Società . Marxismo e politica culturale nel dopoguerra e negli Le origini della casa editrice Einaudi serie mensile passerà dall’ingenuo dogmatismo del direttore a quella rivendicazione di indipendenza e apertura che fu criticata da Togliatti come ricerca astratta del nuovo, del diverso, del sorprendente #. Ma al nostro discorso interessa soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana erano presenti all’interno della stessa casa editrice, tali da investirne l'orientamento complessivo nei suoi rapporti col partito comunista. Pavese scrive a Einaudi, anche a nome di Balbo, che Vittorini e Ferrata avevano radici troppo fonde in Milano per poterli einaudizzare, cioè piemontesizzare. Vittorini sarà l’uomo del Nuovo Politecnico, edizione Einaudi, organo del Fronte della Cultura, e del relativo bollettino, stampati entrambi a Milano; Ferrata darà consigli specialmente sui libri marxisti in cui è ferratissimo. Io invece, sino a nuovo ordine, approvo l’eclettismo politico che la Casa conserva. Se mai, sulla purezza d'orientamento giudichi uno solo (per esempio Balbo, incorruttibile) non tutti i cani e porci che, muniti di tessera, salteranno fuori, anni cinquanta, Napoli, Liguori, 1979. Nello stesso senso la testimonianza di Cesare Luporini riportata da N. Ajello, Intellettuali e Pci, A Einaudi, che il 3 maggio ’45 si era offerto di diffondere Società a Roma e nell’Italia centro-settentrionale, il 22 maggio Luporini rispondeva accettando, e affermava che la rivista aveva carattere di alta cultura, anche se non strettamente tecnico, organica e decisa nella tendenza, ma del tutto aperta quanto ai problemi e agli argomenti presi in considerazione (AE, Luporini). Nelle condizioni poste da Einaudi, si diceva al punto 3: La Casa propone di stabilire un collegamento redazionale tra Società e gli altri periodici della Casa, attraverso Carlo Salinari, responsabile editoriale delle riviste della Casa (l'editore a Bianchi Bandinelli, in AE, Bianchi Bandinelli). Ora inTogliatti, La politica culturale. Su Il Politecnico come rivista del Fronte della cultura M. Zancan, Il Politecnico e il Pci tra Resistenza e dopoguerra, in Il Ponte. All’inizio Vittorini si era preoccupato di far apparire la rivista legata al PCI: Bisogna che la Casa Einaudi si faccia conoscere come casa legata al P.C., che Il Politecnico sia riconosciuto come settimanale di cultura legato al P.C., scriveva a Einaudi il 6 luglio 1945 (E. Vittorini, Gli cuni del Politecnico); si comprende come una collaboratrice di Einaudi, Garufi, cercando di diffondere le riviste della casa editrice, e in particolare Il Politecnico , in ambiente azionista, si fosse sentita rispondere che è assurdo pensare ad un interessamento anche minimo del Partito d’Azione per un giornale cosî evidentemente comunista (a Einaudi, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma.concludeva duramente Pavese dopo aver riferito il malcontento dei milanesi per la pubblicazione di Ore decisive, le memorie dell’ex sottosegretario di Stato di Roosevelt Sumner Welles che nel marzo 1940 aveva cercato un accordo con Mussolini. Einaudi, pur prendendo le difese di Vittorini e Ferrata È appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi interessano, ribadiva la sua concezione non partitica del fronte culturale: La Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta negli ambienti che ci interessano, la nostra linea di attività è stata ampiamente discussa e trovata la migliore, ed è cosa voluta l’assenza di ogni settarismo, per concorrere col nostro lavoro all’affermazione di quel fronte progressivo aperto, di quella unità, che è indispensabile raggiungere per ragioni politiche, morali e culturali. Questo fronte, ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di settarismo, comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei Sumner Welles quando tutti non sono dei Wallace ##, affermava evocando il nome di quello che si stava dimostrando uno dei più aperti esponenti democratici statunitensi. Ma a mettere in crisi il settarismo dei milanesi contribu probabilmente un intervento di Balbo, in questo momento forse il più lucido consigliere di Einaudi, interlocutore autorevole sia di Pavese che di Vittorini, e l’unico a quanto risulta capace di formulare una visione e un programma complessivi della casa editrice, non senza, tuttavia, elementi di utopia e di contraddittorietà. Riferendosi in particolare all’articolo di Remo Cantoni su Che cosa è il materialismo storico, apparso sui nu- AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945; Einaudi a Balbo. Balbo aveva scritto a Finaudi: attento a prendere delle decisioni per il Nord senza esservi presente. A Milano bisogna andare con piedi veloci ma di piombo. Vittorini è tutt'altro che acquisito (ibidem). Su di lui il saggio, assai interno e discutibile, di G. Invitto, Le idee di Balbo. Una filosofia pragmatica dello sviluppo, Bologna, il Mulino, 1979; sul movimento cattolico-comunista, cui parteciparono alcuni collaboratori della casa editrice come Motta e Rodano, Casula, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana, Bologna, il Mulino. Le origini della casa editrice Einaudi meri 2 e 3 de Il Politecnico , Balbo scriveva a Einaudi che il tutto rappresenta un tentativo un poco mistico, un tentativo di sostituire un mito vecchio con un mito nuovo e quindi è in fondo. antieducativo. Si dovrebbe, mi pare, tendere a formare in tutti i lettori quella mentalità nuova che è scientifica, critica, sperimentale e aperta mentre Politecnico presenta il materialismo storico troppo come una pietra filosofale. Se si deve fare un giornale di cultura e non di propaganda, come credo debba essere anche se prima d’ora lo era solo in parte, è necessario, proprio sui piani di cultura in senso stretto (e in questo caso del materialismo storico), affrontare le critiche, non eluderle dogmaticamente attraverso impostazioni che ripetano le formule in cui il materialismo storico è sorto. Un materialismo storico cosî affettivo soffoca ed elude lo stesso sforzo di apertura di Cantoni. A conferma dell’autorevolezza del suo intervento, queste critiche saranno fatte proprie dall’editoriale che concludeva, Il Politecnico settimanale: Noi non abbiamo avuto, col settimanale, una funzione propriamente creativa, o, comunque, formativa. L'altra funzione, la divulgativa, ci ha preso, a poco a poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo lasciati andare ad essa. Abbiamo compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto, abbiamo informato, abbiamo anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di nuovo. In quasi tutte le posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare indirizzo, ci siamo limitati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E troppo spesso abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo dovuto dare sotto forma di studio. Ci siamo trovati cosî a divulgare delle verità già conquistate mentre avremmo dovuto cooperare alla ricerca della verità. Nella stessa lettera del 20 ottobre Balbo allargava il discorso all’attività complessiva della casa editrice, individuandone la carenza di fondo nella mancanza di una precisa strategia di politica culturale: L’ottimismo non è sufficiente alla lotta. Ci vuole positività e 36 AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Remo Cantoni propose un Dizionario marxista per aggiornare il lettore su quel sapere: che è stato oggetto di ricerca e di analisi specifica da parte dei marxisti (AE, Cantoni). quindi contatto continuo con i dati veri della totale situazione italiana. Tra l’altro, Milano, ricordiamolo, è di natura troppo euforica: a Milano, come osservava Gobetti, è possibile ogni avventura, da quella di Marinetti a quella del Popolo d’Italia. Il punto di vista è, malgrado tutto, Roma. In noi c'è ancora troppa mentalità insurrezionalistica e cioè: a) precipitazione; b) estremismo anzi piuttosto avanzatismo ; c) visione asfittica o almeno semplicistica di tutti i problemi sia culturali che politici; d) mancato approfondimento del a che punto siamo sia politicamente sia, per noi, soprattutto culturalmente. Come conseguenza di una maturazione mancata o non avvenuta, si scivola, sembra impossibile ma è cosf, su modi e impostazioni ancora fascisti o almeno vecchi. Insomma Einaudi 1945 è in fondo, capiscimi, pit fascista di Einaudi 1940. Proporzionalmente siamo calati di tono invece di crescere; e concludeva individuando un arretramento di posizioni rispetto agli avversari e l’incapacità di sfruttare appieno le grandissime possibilità che abbiamo, in uomini e in possibile chiarezza di idee . Le critiche e l’apparente paradosso di Balbo avevano la loro ragion d’essere non solo in rapporto al suo ideale di cultura e al suo modello di una casa editrice criticamente progressista, ma anche, come vedremo, rispetto alle concrete iniziative di Einaudi, che riflettono, in molti casi, un'eredità difficile da superare. Ma in queste ebbe probabilmente un'influenza lo stesso Balbo, che cercava di coniugare un’analisi ispirata al marxismo con soluzioni di stampo cattolico. Il suo concetto dinamico di cultura, che ne vedeva il mutamento col mutare dei rapporti di produzione, e coglieva gramscianamente la lentezza del processo di adeguamento degli intellettuali ai nuovi stadi via via raggiunti dalla società, invitava senza i toni ingenui di un Vittorini a quell’avvicinamento fra cultura e realtà che tuttavia contraddittoriamente il cattolico Balbo riteneva raggiunto in modo esemplare nel medioevo, perché nella sua produzione, sia agricola che artigiana, architettonica o scientifica, nelle ideologie politiche come in quelle religiose, si rivela una singolare unità, superiore ai contrasti, che è quella del concetto feudale della proprietà o del nascente diritto comunale . Al contrario, la cultura contemporanea, gelosa della propria indipendenza e irresponsabilità di fronte alla classe dominante e ai processi produttivi dell’epoca industriale, aveva dato luogo, tra le due guerre, a quell’irrazionalismo che rese possibili tutte le mitologie disumane che hanno vagato e forse vagano ancora, paurose, sui continenti , mettendosi di fatto al servizio dei privilegiati , per cui la cultura del capitalismo è scritta sulle facciate delle metropoli moderne, è la grande officina, la produzione cronometrata, l’esercito motorizzato, la grande stampa, il cinema . Con un rigore e una violenza intellettuali ben maggiori dell’editoriale con cui Vittorini apri Il Politecnico e per il quale questo scritto avrebbe forse dovuto servire da traccia, l’esponente cattolico-comunista continuava: Rimproveriamo dunque all’idealismo di Croce, all’umanesimo di Thomas Mann e allo spirito non prevenuto di Gide, o meglio agli idealismi, umanesimi, cristianesimi, spiritualismi, esistenzialismi ecc. che da quelli provengono (e per quella parte almeno d’essi e dei loro discepoli che vorrebbe farci credere d’aver trionfato con la Carta Atlantica e la bomba atomica) d’essere insufficientemente critica con se stessa e perciò sterile, imbalsamata, defunta regressiva. Lottare per una nuova cultura intellettuale equivale a lottare per una nuova società e ad affermare concludeva in conformità con la propria concezione filosofico-religiosa il concetto di persona umana o di uomo obbiettivo e origine d’ogni cultura, inteso come l'individuo nella coscienza della propria correlazione col prossimo e delle proprie determinazioni storiche. Nel quadro di questo discorso, nel quale appare decisamente superato ogni residuo crociano della sua formazione originaria , Balbo presentava un abbozzo di teoria generale di una casa editrice culturale in senso stretto , in cui il notevole sforzo di chiarificazione teorica era finalizzato a Balbo, Una nuova cultura, dattiloscritto senza data ma con l'indicazione per servire alla elaborazione dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e favoriti, da falso-Cattaneo (Archivio privato). Diversamente da quanto sostiene G. Invitto, Le idee di Felice Balbo, in particolare29.trovare i mezzi necessari alla promozione degli essenziali valori dell’uomo. La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del passato Le critiche e le proposte di Balbo che ritornerà su questi temi insistentemente, fino al suo distacco dal marxismo e dalla casa editrice miravano ad un fronte critico della cultura che lasciava tuttavia ampi spazi per ritorni mistici o più propriamente tomistici, come avvertirà più tardi Bobbio. Ma, nonostante alcuni testi pubblicati portino il segno esplicito o implicito della sua presenza, fra il suo modello di casa editrice di cultura e gli indirizzi editoriali effettivamente attuati esiste un notevole scarto, non attribuibile soltanto ad una sordità dei suoi interlocutori o ad un loro consapevole rifiuto delle sue proposte, ma, soprattutto, alla situazione oggettiva. Il suo progetto editoriale si affidava infatti ai tempi lunghi e non teneva sufficientemente conto come riconoscerà alcuni anni dopo lo stesso Balbo dei contrasti ideologici e politici all’interno della casa editrice, del peso della tradizione che questa si era formata nel decennio precedente di cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni aspetti, e dei reali rapporti di forza esistenti nella vita politica italiana, o del loro rapido mutamento, che portò nel giro di due anni I compiti della casa editrice erano individuati nel puntare alla egemonia editoriale nel suo genere , e nello scegliere quelle opere che in se stesse ed in riferimento alla situazione storica che si svolge, siano realmente necessarie o utili a far maturare e sviluppare il potenziale culturale dell’intero pubblico colto ; la capacità di scelta della casa editrice si doveva misurare sul piano filosofico e su quello scientifico: La capacità filosofica significa essere in grado di giudicare i valori culturali in sé, secondo la nozione di valore e disvalore, e quindi il saper riconoscere tutti gli essenziali valori dell’uomo, ossia l’essenziale di ciò che è indispensabile alla sua pienezza. La capacità scientifica significa essere in grado di giudicare i valori culturali per riferimento al movimento storico în cui ci si trova, significa quindi comprendere le necessità della rivoluzione (Appunti sulla casa editrice, dattiloscritto senza data in Archivio privato Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi alla rottura dell’unità antifascista e alla guerra fredda, con pesanti riflessi non certo favorevoli a visioni critiche o problematiche anche negli schieramenti culturali. Oltre al difficile equilibrio politico fra le varie sedi e fra i direttori delle collane °, all’organico orientamento della casa editrice richiesto da Balbo si opponeva la sua stessa multiforme attività rilevata da Pavese e da Giolitti, per i quali essa manteneva la caratteristica originaria di eclettica officina di culturanon c'è altro editore in Italia che copra un campo cosi vasto, moltiplicando contrasti e contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione romana si oppone energicamente e con successo alla pubblicazione dei Cinquant'anni di vita intellettuale italiana in onore di Croce proposta da Carlo Antoni, l'edizione delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero vede la netta opposizione di Pavese, Balbo e Giolitti, ma l'approvazione vincente di Bobbio. Nei volumi pubblicati nell’immediato dopoguerra possiamo del resto constatare, accanto ad una notevole opera di sprovincializzazione della cultura itaEinaudi invia a Pavese un Pro-memoria della Direzione inteso a riorganizzare il lavoro editoriale: Pavese e Vittorini consulenti, Natalia Ginzburg vice-consulente per Poeti, Narratori contemporanei, Giganti, Narratori stranieri tradotti ; Pavese e Vittorini consulenti, Balbo vice-consulente per la progettata collana Corrente ; Mila consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per i Saggi; Chabod consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per Biblioteca di cultura storica e Scrittori di storia ; Bobbio consulente esterno, Balbo vice-consulente per Biblioteca di cultura filosofica ; Ceriani consulente esterno, Giolitti vice-consulente per Biblioteca di cultura economica e Problemi contemporanei ; Cantimori consulente esterno, Manacorda vice-consulente per Biblioteca marxista ; Balbo e Rodano consulenti, Giolitti vice-consulente per Problemi italiani ; Giolitti e Vittorini consulenti, Salinari vice-consulente per Testimonianze ; Vittorini consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per la Vittoriniana che avrebbe dovuto sostituire l’ Universale ; Aloisi consulente esterno, Manacorda relatore al consiglio per Biblioteca di cultura scientifica ; Ragghianti direttore della Biblioteca d’arte ; Debenedetti direttore della Nuova raccolta di classici italiani annotati (AE, Pavese: dove ci sono altre proposte di Einaudi e la risposta di Pavese del 7 settembre, con alcune osservazioni critiche.Pavese e Giolitti alla Direzione di sede di Roma (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma). Pro-memoria per la Direzione Generale della redazione romana, sulla proposta di Antoni, e sulla proposta di Calogero liana, motivi di disorientamento, schematiche attualizzazioni politiche di problemi storiografici, assieme ad eccessive cautele e perfino a tendenze conservatrici se misurate sul metro dei propositi enunciati da Einaudi nel 1945 che i giudizi delle stesse riviste einaudiane, cosi come di Rinascita , non mancano di mettere in evidenza. Senza ripetere, come in precedenza, quell’analisi a tappeto dei volumi, e delle relative recensioni, che era indispensabile per la produzione del periodo fascista, quando era importante sottolineare anche singole affermazioni sfuggite alle maglie della censura, ci soffermeremo soltanto sui testi di alcune collane i Saggi , la Biblioteca di cultura economica , la nuova serie dei Problemi contemporanei , i Problemi italiani e la Biblioteca di cultura filosofica che permettono di individuare l’orientamento generale, culturale e politico, della casa editrice all’indomani del 1945. Ciò non ci esime, tuttavia, dall’accennare al significato di alcuni titoli delle collane letterarie o storiche: nei Narratori stranieri tradotti apparvero, accanto ai classici, Kafka e Proust, mentre i Narratori contemporanei si aprirono alla produzione straniera con I/ muro di Sartre non senza contrasti e con Fiesta e Avere e non avere di Hemingway, il cui carattere rivoluzionario, rivendicato da Vittorini, era sprezzantemente negato e ridotto ad una somma di sensazioni elementari ed egoistiche da Alicata, che giudicò superficiale anche i Dieci giorni che sconvolsero il mondo di Reed con cui si 393 Il libro è indubbiamente molto bello e anche l’ultimo racconto, però può capitare che un pubblico non molto preparato caschi facilmente in equivoco. Forse libro e autore andrebbero presentati. Resta da vedere cosa ha fatto Sartre durante l'occupazione nazista pare che due o tre suoi libri siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo periodo , si scriveva da Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma). Il libro era già stato suggerito da Pintor in una lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere. Il muro fu denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile 1947 Pavese ne dava notizia a Corrado Alvaro il quale, in veste di presidente del sindacato nazionale scrittori, con lettera a Pavese si metteva a disposizione della casa editrice: se non ci difendiamo, si preparano per noi giorni assai peggiori di quelli sotto il paterno Ministero della cultura popolare (AE, Alvaro). Le origini della casa editrice Einaudi inaugurò nel 1946 la vittoriniana Politecnico biblioteca.La Biblioteca di cultura storica , posta sotto la direzione di Chabod e con l’attenta consulenza di Franco Venturi, sensibile in particolare alla produzione storiografica francese e russa , riprese le pubblicazioni con i Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli con la prefazione di Salvemini per continuare, a testimonianza di un interesse più generale della casa editrice per la democrazia americana, con America. La storia di un popolo libero di Allan Nevins e Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e Lefebvre sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle Annales con Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori 7%, Non possono tuttavia essere sottaciute alcune iniziali cadute di tono della collana, rappresentate dalla ripresa dell’oria 374 La corrente Politecnico (1946), ora in M. Alicata, Intellettuali e azione politica,63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947 la collana I Millenni , dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte a cura di Francesco Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità, di mettere in luce il carattere sociale : il libro è sempre stato frainteso come mondo delle fate e delle meraviglie, mentre, adesso che lo facciamo noi, è ora di vederlo nel suo vero carattere di straordinario documento su una medioevale società agreste, con naturale democrazia tra gli umili (fornai, mendicanti, pellegrini, mercanti, schiavi, donne conculcate ecc.) (da Roma a Renata Aldrovandi, 14 novembre 1945, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Numerose sono le proposte in AE, Chabod, Venturi. Chabod scriveva a Einaudi di assumersi la direzione della Biblioteca di cultura storica e degli Scrittori di storia , annunciando, per le traduzioni, un piano di lavoro che contemperi opportunamente biografie e studi monografici, lavori di grossa mole e studi assai più smilzi , in modo da toccare un po’ tutti i principali problemi della storia europea e nord-americana (AE, Corrispondenza editoriale TorinoRoma 1945). Parte del giudizio di Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G. Miccoli, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino, Einaudi, che ricostruisce puntualmente la collaborazione dello storico con la casa editrice; nello stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta la scuola delle Annales : non ritengo utile, anzi dannoso, diffondere, per mezzo della traduzione di un’opera cosi ben scritta brillante, affascinante anche per la sua facilità ed evasività e superficialità di riflessione e di concetti il metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica, chiamateli come credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel (AE, Cantimori). nesimo nell’Axzistoria d’Italia di Fabio Cusin ? e da Robespierre e il quarto stato di Ralph Korngold dove, come in altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di rivalutare un movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idealismo e dal fascismo si accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni Si può dire che tanto la dittatura fascista quanto quella comunista si siano servite di un metodo giacobino perfezionato , affermava Korngold, La concezione della storia come elemento costitutivo dell’educazione civile continuerà tuttavia a caratterizzare la collana: assai significativa in questo senso e degna di essere citata per esteso è l'offerta a Cantimori di scrivere una storia d’Italia dal punto di vista marxista. E altrettanto significativo è che portatore e ispiratore, assieme ad Einaudi della proposta fosse proprio quel Balbo che abbiamo visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in avanti: L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista nel senso più profondo ed esatto che dia la reale fisionomia della sua storia dall’indipendenza ai giorni nostri scriveva Balbo a Cantimori . Questa mancanza si fa duramente sentire oggi non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e addirittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti che questa mancanza è in qualche modo determinante dello stesso sviluppo democratico del nostro paese. L'azione concretamente ideologica da parte delle forze progressive sta diventando sempre più necessaria: il proletariato non ha di fronte a sé soltanto, ad esempio, il problema meridionale, ma anche il problema cattolico e il problema crociano che sono poi aspetti dello stesso problema meridionale. La proposta è questa: non sarebbe possibile rispondere ai bisogni rivoluzionari in questo campo? non sarebbe possi. bile cominciare con una Storia dell’Italia moderna o anche solo contemporanea? Potrebbe essere un nutrito Somzzario che desse l’avvio a tutti gli studi particolari e per intanto rappresentasse il la recensione di Zangheri in Società. Perplessità sulla pubblicazione del volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti, in AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma), sia Salinari (a Giolitti, s.d., in AE, Cusin). Korngold, Robespierre e il quarto stato, trad. di Papa, Torino, Einaudi. Una volta stampato il libro, ci si rese conto dell’ incongruenza storica e critica di questa e di altre affermazioni (Balbo a Giolitti, in AE, Giolitti). canovaccio, la direttiva generale per un rinnovamento dei manuali scolastici. Potrebbe essere invece una grande Storia, a largo respiro, da concretarsi attraverso un lavoro collettivo. Se pensi cosa ha rappresentato il Sommario di storia della filosofia del De Ruggiero nel senso della egemonizzazione borghese della cultura italiana, puoi pensare cosa rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te! Ma anche qui non credo che proprio io debba sottolineare a te l’importanza di questo lavoro. Voglio solo confermarti che c’è in tutti i compagni, anzi in tutta la cultura italiana, una profonda aspettativa in tal senso??, Nell'ambito della casa editrice il marxista Cantimori avrebbe dovuto sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo scrupolo scientifico del primo impedî quello che ancora ricordando un’analoga proposta di Alicata, considerata un preannuncio di Zdanovismo Cantimori titerrà un rovesciamento solo ideologico dell’interpretazione crociana, in assenza di studi preparatori. A un intento educativo immediato risponde invece prima delle altre, anche per la sua maggiore flessibilità, la collana-cardine di Einaudi, i Saggi , che assieme alla nuova collana Testimonianze affronta temi di attualità politica, da Marcia su Roma e dintorni di Lussu a Leningrado di Werth a Fascismo e anticomunismo di Radice, che inizia la riflessione su una tematica ripresa dal Lurgo viaggio di Zangrandi, e presenta uno dei best sellers del tempo, Cristo AE, Cantimori (Balbo parlava anche a nome di Einaudi); Einaudi scrive a Giolitti di una Storia d'Italia degli ultimi cento anni che noi vorremmo far fare a Cantimori inchiodandolo per uno, due, tre, dieci anni a tavolino per costruire il monumento più importante che in questo momento gli studiosi devono impostare: quello IR ST della storia d’Italia, soprattutto di quella ultima (AE, jolitti). Pro e contra, in Movimento operaio. In questo quadro Balbo propose trovando favorevoli Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese un’opera collettanea su La guerra di liberazione in Italia, con documenti, testimonianze, biografie ecc., che sarebbe servita alla nazione italiana per una migliore conoscenza del pi grande moto popolare che la sua storia ha fino ad oggi avuto; e per una esatta valutazione di quelle che sono state le vere forze della liberazione popolare e che sono le vere forze del suo avvenire (si vedranno finalmente quelli che hanno lottato e quelli che sono compatsi solo a oa alla consulta) (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma si è fermato a Eboli di Levi, denuncia efficace nonostante le riserve di Società di quella realtà che contemporaneamente, nei Problemi italiani , era argomento della Rivoluzione meridionale di Dorso, già apparsa nelle edizioni Gobetti. E mentre un volume molto caro a Cajumi, La crisi della coscienza europea di Hazard, rientra nell’interesse per l’illuminismo manifestato dalla casa editrice fin dai suoi esordi, il nuovo clima di libertà permette la realizzazione di progetti già in cantiere negli anni del fascismo, come la Congiura per l’egua glianza o di Babeuf di Filippo BUONARROTTI (Filippo, si veda), il primo, secondo Gastone Manacorda, a fornire una interpretazione classista della grande Rivoluzione , nonostante la persistenza di quegli elementi utopistici che non erano invece tenuti presenti da Giuseppe Berti nella presentazione del Filippo Buonarroti di Samuel Bernstein: tesi entrambi, autore e prefatore, ad attualizzare oltre il lecito il significato del giacobinismo Buonarroti è, con Babeuf, uno dei grandi precursori di Marx e di Engels. Ma un motivo che ci preme segnalare a testimonianza di un’altra e più profonda continuità col decennio prece- Piazzesi, pur affermando che era uno dei pochi libri dove abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla questione meridionale , nota che Levi resta sempre spettatore, intelligente quanto volete, ma di un’altra classe, rispetto a questi contadini, e non sa mai trovare il modo di farli parlare sinceramente, come si parla da pati a pari, perché manifestino le loro riposte esigenze ( Società, F. Buonarroti, Congiura per l'eguaglianza o di Babeuf, introduzione e traduzione di G. Manacorda, Torino, Einaudi. La proposta di pubblicare Buonarroti e Babeuf era stata rilanciata anche da Vittorini nella prospettiva di un rinnovamento dell’ Universale dove scrive a Einaudi potremmo includere anche autori antichi ma che segnino un punto nella evoluzione del pensiero progressista (E. Vittorini, Gli anni del Politecnico. È Bernstein, Filippo Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti, Torino, Einaudi; il saggio era apparso ne Lo Stato operaio . le critiche di Sergio Romagnoli in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, lettere, storia e filosofia. Ancora Bernstein pubblicò su Società un articolo su Buonarroti storico e teorico comunista, affermando che il giacobino italiano si avvicina di molto al socialismo scientifico (Società. Le origini della casa editrice Einaudi dente è la permanenza dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora da nuovi collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano Balbo, come Franco Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie manifestazioni: supera ogni misticismo nella riflessione di Balbo L’uomo senza miti e Il laboratorio dell’uomo, teso a indicare, in un altro momento di profonda crisi di valori, il fallimento della filosofia tradizionale e la necessità di nuove formule di liberazione dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale °; ha un’intonazione nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di Emmanuel Mounier; si presenta a sostegno di un vasto e generico affresco alla Huizinga , in cui la realtà storica è piegata alla dimostrazione di una tesi secondo la quale, nella deprecata età del progresso tecnico, il cammino della secolarizzazione della cultura non può essere percorso sino all’estremo nel Profilo d’un umanesimo cristiano di Riissel, che invitava a ricucire la frattura fra umanesimo e cristianesimo operata dalla Riforma, facendo propria quella che gli pareva la grande verità della teologia umanistica , la non antiteticità della filosofia greca e del cristianesimo: tesi non condivisa nella prefazione postuma di un intellettuale dalla tormentata vicenda culturale e politica come Rensi che pur aveva proposto e curato il volume, mentre Bobbio riconosceva la necessità e la perennità di un umanesimo cristiano per combattere la filosofia della crisi originata da Kirkegaard. Pur riconoscendo ne L’uomzo senza miti il tentativo di liberarsi dalla spiritualità dello storicismo immanentistico di Croce, Geymonat riteneva dogmatico il metodo di ricerca di Balbo ( Rivista di filosofia , terza serie, I (1946),86-88); anche le critiche di Croce, ora in Nuove pagine sparse, serie seconda, Napoli, Ricciardi. Riissel, Profilo d’un umanesimo cristiano, traduzione di G. Rensi, Torino, Einaudi. La pubblicazione del volume è impedita dalla censura. Rensi propone anche la traduzione di Platonismus und Christentum di Ritter (AE, Rensi). La recensione di Bobbio è in Rivista di filosofia. Cantimoti, in un parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento di Siro A. Nulli che sarà pubblicato da Einaudi, dichiara di condividerne le idee, tanto per quel che riguarda le interpretazioni del pensiero e della attività di Erasmo, Alla tematica religiosa si volge anche l’interesse dei laici : è del 1949 la proposta di Remo Cantoni accettata da Balbo ma poi non realizzata del volume Critiche allo spiritualismo; Nuova socialità e riforma religiosa di Capitini il cui liberalsocialismo era presentato come una concezione sociale e religiosa postcomunista, proposto da Cantimori come opera importante per la storia religiosa-politica e culturale del periodo 19261944 e oltre: come cronaca, documentazione, e storia dell’unico movimento antifascista e anticlericale autoctono espontaneo nel terreno italiano dopo il fascismo, consapevolmente diverso dal comunismo, ma mai anticomunista. Antonio Banfi, formatosi alla scuola di Martinetti, presentò inoltre il progetto di una Collana di studi religiosi , che si sarebbe proposta di far conoscere in Italia a un pubblico più vasto dei consueti centri di cultura religiosa, sia cattolici che di altre confessioni, quelle opere, per lo pi recenti, che testimonino di una problematica viva e nuova nel campo del pensiero religioso; opere che si propongono tutte un mutamento sensibile nella considerazione del rapporto fra singolo e collettività appunto in relazione con una differente valutazione dei principi della confessione di fede; opere che propongono infine, quanto per quel che riguarda la severa critica allo Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia. Si tratta di un energico richiamo alla realtà storica di quel che furono, in quanto affermazione di idee nuove e critica di una Fiserggi storica culturale, l’'Umanesimo e il Rinascimento (AE, Cantimori). Cantoni a Balbo: La critica allo spiritualismo teologico e metafisico è il grande tema culturale degli ultimi cento anni. Vorrei presentare criticamente tutte le variazioni storiche sul tema, da Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a Stirner, arrivando fino alla filosofia contemporanea. E si tratta di ricostruire le ragioni sociali per le quali muta la sensibilità metafisica (AE, Cantoni). Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi; Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949 (AE, Cantimori). Capitini aveva proposto un volume quasi pronto su Antifascismo della non violenza e della non menzogna a Pisa nel ’32 ed uno, già terminato, dal titolo Saggio sul soggetto della storia anche questo non accettato, ma preso in visione per consiglio di Cantimori, in cui conduceva un'indagine oltre lo storicismo crociano per accertare l’autentico soggetto, collettivo e corale, della storia, per fondare quella che io chiamo la compresenza di tutti alla produzione del valore; problema nel quale rientra quello sociale e quello religioso (Capitini a Giolitti, e a Einaudi, in AE, Capitini). Le origini della casa editrice Einaudi tutte, una precisa presa di posizione per il credente, in ordine alla vita politica: opere ispirate allo storicismo e si facevano i nomi di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber e che, si specificava, prevedono una rottura con le forme tradizionali di direzione politica definite dalla autorità della Chiesa come le sole possibili e conseguenti ed anzi prevedono un mutamento radicale di prospettiva in tal senso consentendo al credente la più ampia libertà di ricerca della propria prospettiva politica e la possibilità di affiancare la propria azione a quella di forze politiche progressive di ideologia differente, La presenza di queste riflessioni e di queste proposte relative a tematiche religiose, se da un lato si collegano a un filone già presente nella casa editrice, dall’altro testimoniano l’attenzione che in questo periodo i comunisti dedicano al problema cattolico. Non bisogna tuttavia dimenticare che, contemporaneamente, una visione tradizionale del cristianesimo è il punto di riferimento obbligato di quegli intellettuali che sulla falsariga di Huizinga lamentano le degenerazioni della politica e del progresso contemporanei per riproporre un assetto conservatore della società. È il caso de Le democrazie alla prova di Benda un saggio la cui edizione francese era positivamente recensita su Società , con qualche appunto sul tono aristocratico e moralistico dell’esponente della letteratura della crisi: se nel momento in cui fu scritto si giustificava nel suo assunto principale, sostenendo che le democrazie, più deboli in guerra dei totalitarismi, debbono difendersi anche a costo di limitare le libertà un popolo veramente libero è tanto più grande quanto più sa ridurre le sue libertà, si faceva poi forte delle argomentazioni di Constant, Kant e Spencer contro quelle di Bonald, De Maistre, Hegel, Nietzsche e Marx tutti accomunati come A Banfi, che accettò, Balbo chiede di fare la prefazione agli Scritti teologici giovanili di Hegel previsti per la collana filosofica (AE, Banfi). Recensione di Vezio Crisafulli, in Società antidemocratici per affermare che i principi democratici sono dei comandamenti della coscienza, e non già degli insegnamenti dell’esperienza e del costume ; di origine socratico-cristiana, la democrazia era realizzata solo in Svizzera e negli Stati Uniti, e non sopportava abusi del principio egualitario come il suffragio universale, osservava Benda, per concludere che lo sviluppo di qualsiasi organizzazione terrena importa sempre qualche violenza contro i comandamenti divini di giustizia e di libertà: il filosofo non può riporre le sue speranze se non in quei sistemi, come il cristianesimo, omogeneo in questo alla democrazia, i quali dell’uomo non glorificano altro che la sua natura divina ?!, A fini decisamente reazionari il cristianesimo era utilizzato ne La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm Ropke, l'economista teorico della terza via , in tante cose affine al Croce e dal Croce assai pregiato per il rifiuto del concetto e del termine capitalismo , come osservava Cantimori . Nel volume, uscito originariamente e già in traduzione presso Einaudi, l’autore criticava le incomparabili conquiste meccanicoquantitative della civiltà tecnica per lamentare, in una società caratterizzata dalla grande industria e dalla concentrazione delle proprietà, la decadenza del cristianesimo una delle più formidabili forze costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile e della famiglia, oppure la diserzione delle comunità rurali e la decadenza del vil. laggio a favore della città e dell’urbanizzazione e commercializzazione della campagna stessa . Una critica che ricorda il leit motiv di Einaudi difesa della piccola pro-J. Benda, Le democrazie alla prova. Saggio sui principi democratici, traduzione di Crescenzi, Torino, Einaudi, 1Cantimori, Studi sulle origini e lo spirito del capitalismo, pubblicato su Società, ora in Studi di storia, Torino, Einaudi. In una lettera alla sede romana, l’editore scriveva di iniziare la traduzione del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma); scrivendo a Pavese il 9 agosto 1943, Pintor giudicava il volume di grande attualità (AE, Pintor). Le origini della casa editrice Einaudî prietà contadina e condanna del gigantismo economico, e da cui Ropke partiva per indicare una terza via o umanesimo economico il modello era individuato nella Svizzera, che si risolveva in pratica nella riproposta del liberismo classico in opposizione al socialismo: era quanto notava Cantimori, ricordando che le lodi rivolte all'autore da Luigi Einaudi e da Croce furono uno degli ultimi episodi più notevoli, data la personalità degli autori, della lotta intellettuale condotta sotto il dominio del fascismo dal gruppo crociano e diretta da una parte contro il fascismo e dall’altra contro il comunismo °?. Un liberalismo, quello del futuro collaboratore de Il Mondo , che sarà messo in dubbio da Togliatti, per il quale era solo una mascheratura dello sconcio ghigno hitleriano. Del resto, se consideriamo i volumi pubblicati fino al 1946 nella nuova serie dei Problemi contemporanei nella quale non aveva più diretta influenza Luigi Einaudi e nella Biblioteca di cultura economica che secondo Balbo e Giolitti avrebbe dovuto avere un carattere non istituzionale e teorico, ma storico-informativo, posRopke, La crisi sociale del nostro tempo, traduzione di E. Bassan, Roma, Einaudi, Nella recensione a Civitas Humana di Répke, pubblicata su Società, ora in Studi di storia. Einaudi aveva visto rispecchiate le proprie idee di politica economica nel volume di Ropke, mosso dall’intento di salvare la civiltà occidentale dall’avvento di una democrazia livellatrice e collettivistica (Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via, Rivista. di storia economica. Il giudizio di Togliatti, è citato da N. Ajello, Intellettuali e Pci,259; già nel 1947, in una recensione di Bilancio europeo del collettivismo pubblicato nei Quaderni di Rinascita liberale , si osservava su Rinascita : se i liberali tedeschi non sono mai stati altro che questo, si capisce benissimo come la Germania sia sempre stato un paese reazionario e con tanta facilità abbia potuto Hitler prendervi e tenere il potere ( Rinascita. Dell’ assidua collaborazione di Ròpke a Il Mondo , che nei suoi primi anni si ispirava al liberismo di Luigi Einaudi, parlaBonetti, I{ Mondo 1949-66. Ragione È illusione borghese, prefazione di V. Gorresio, Bari, Laterza Balbo (anche a nome di Giolitti) alla sede di Milano, (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). È da rilevare, tuttavia, che la casa editrice assicurava Luigi Einaudi siamo notare che Ropke è soltanto la punta estrema di un ‘orientamento che non si oppone drasticamente alla linea liberista: la casa editrice non fa altro che rispecchiare l’arretratezza della sinistra nel campo della cultura economica, e la sua rinuncia, in questo momento, a porre in discussione il ruolo dell’iniziativa privata nella ricostruzione. È infatti significativo, da un lato, che nel primo biennio postbellico l’unica voce favorevole alla pianificazione sia quella di Saraceno, e, dall’altro, che gli studiosi ai quali si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi, cosî che il liberatorio mito americano di Pavese e di Vittorini temperato dalla critica dei liberisti al New Deal rooseveltiano trova ora una sua realistica traduzione nell’immagine che gli economisti e gli uomini politici americani danno del loro paese, impegnato a superare con la somma delle sue energie individuali la nuova frontiera posta dall’eredità della guerra. Cosî, mentre l’opera collettanea di Hayek, Pierson, Mises e Halm, Pianificazione economica collettivistica, è, come annuncia il sottotitolo Studi critici sulle possibilità del socialismo e il nome del prefatore, Bresciani-Turroni, una decisa esaltazione del liberismo ‘, a incarnare il nuovo mito riappareWallace, l’esponente democratico che aveva rotto con Truman a proposito della della prossima pubblicazione poi non avvenuta di The Road to Serfdom di Hayek: La nostra Casa, come Lei sa, non persegue un indirizzo politico di partito, ma pubblica opere di varie tendenze da Togliatti a Lippmann a Répke a Schumpeter secondo la linea già coraggiosamente seguita, nei limiti del possibile, sotto il fascismo (AE, L. Einaudi). È quanto osserva, anche in riferimento alle edizioni Einaudi, G. Santomassimo, Il dibattito economico, in Italia contemporanea. la prefazione di Saraceno a Bienstock, Schwarz, Yugow, La direzione delle aziende industriali e agricole nell'Unione Sovietica, traduzione diSaraceno, Torino, Einaudi. Mises tanto lodato, assieme a Robbins e Hayek, da ROSSI (si veda) nelle sue lettere del periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) sarà giudicato da Piero Sraffa un reazionario antidiluviano (a Balbo, in AE, Sraffa). Le origini della casa editrice Einaudi politica del governo americano verso l’URSS ‘!: in un’operetta dall’accattivante titolo Lavoro per tutti dichiarava che gli USA non avevano nulla da temere dal comunismo se il nostro sistema di libera iniziativa si dimostrerà all’altezza delle sue possibilità , e di fronte all’aprirsi di nuovi mercati per l'economia statunitense si mostrava fiducioso che la guida economica americana potrà recare alla regione del Pacifico un grande vantaggio materiale ed una grande benedizione al mondo ‘°; e l’esperimento di colonizzazione interna nella valle del Tennessee che Wallace proponeva a modello per il mondo intero, era puntualmente esaminato da Lilienthal in Democrazia in cammino. Un energico richiamo al liberismo, contro i pianificatori di qualsiasi colore, fossero fascisti, comunisti, o i sostenitori del collettivismo graduale degli Stati democratici, veniva da un altro esponente democratico americano, Walter Lippmann: ne La giusta società egli si dichiara debitore della critica a una economia razionalizzata svolta da von Mises e von Hayek, ma anche da Keynes la cui opera è tutta volta a dimostrare che l’economia moderna può essere regolata senza ricorrere alle dittature ed è compatibile con istituzioni libere, e cerca di dimostrare che la libertà dell'individuo era assicurata dai principi originari del liberismo depurato di quelle degenerazioni che portano a processi di concentrazione produttiva il principio basilare del liberalismo è che il mercato deve essere lasciato libero di funzionare, ed anzi perfezionato, come regolatore principe e primo della divisione del lavoro, non senza usare toni apocalittici di sapore puritano che ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosassone. Gli uomini vivono in un mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia alla provvidenza divina, quale ente regolatore delle cose umane, dove il costume ereditato ha cessato d’essere di guida e la tradizione non pi , per l’attenzione di cui era oggetto da parte comunista, Intervista con Wallace, in l’Unità. Wallace, Lavoro per tutti, traduzione di G. Olivetti, Torino, Einaudi, santifica le vie fino adesso battute. È lo stesso Lippmann che ne La politica estera degli Stati Uniti e ne Gli scopi di guerra degli Stati Uniti manifesta la sua tendenza democratica sostenendo la necessità di un accordo USA-URSS per il mantenimento della pace mondiale, ma al tempo stesso giustifica l’espansionismo americano e coglie l’occasione per ammonire l’URSS che per quanto corrette possano essere le nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle relazioni veramente buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione Sovietica non saranno state instaurate le fondamentali libertà politiche e umane. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI La spaccatura politica che si ha nel paese ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col PCI si stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento negli indirizzi culturali. Anche dopo la fine dei governi di unità antifascista, all’interno del PCI non scomparve completamente la prospettiva di una alleanza con gli intellettuali democratici: se al VI congresso Togliatti invitava a serrare le fila La nostra attività ideale non può non avere, come l’attività pratica, l'impronta di partito, nel dicembre dello stesso anno Alicata, pur notando che la borghesia del nostro paese sta compiendo un tentativo estremo per riorganizzare in senso reazionario la cultura italiana, per trasformarla ancora una volta in una efficiente barriera ideologica contro il marxismo , con la collusione di cattolici e liberali in un blocco antirazionalista , invitava a continuare a lavorare per costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann, La giusta società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi. Lippmann è autore anche di A Preface to Morals. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati Uniti, Torino, Einaudi Rapporto al VI congresso del PCI del 5-, in Togliatti, La politica culturale. Le origini della casa editrice Einaudi più possibile ampio ‘. La situazione oggettiva non rendeva tuttavia immediatamente praticabile questa indicazione, e il rapporto privilegiato che si venne istituendo fra PCI ed Einaudi provocò profonde lacerazioni di cui è esempio la vicenda de Il Politecnico e contrasti interni fra i collaboratori. La casa editrice riuscf comunque a mantenere una sua sfera di autonomia basti pensare ai settori letterario, storico e filosofico che le permise di non essere isolata e, al tempo stesso, di non istituzionalizzare il suo legame col partito. Proprio il carattere non ufficiale del suo rapporto col PCI aveva permesso che questo individuasse in Einaudi il canale più adatto, anche se non unico, per diffondere la conoscenza del marxismo nella cultura italiana. La decisione di affidare a Einaudi, piuttosto che all’editoria di partito, gli scritti di Gramsci, si situa appunto in un quadro che vedeva la pubblicazione, da parte della casa editrice, di testi di Monti, Sforza, Sturzo, Nenni, Togliatti, Grifone e Sereni, e la proposta di edizione delle opere di Salvemini o, su suggerimento anche di Togliatti, di quelle di Dorso e dei Discorsi di Giovanni Giolitti . L’uscita, nel 1947, delle Lettere di Gramsci che, come osservava 46 M. Alicata, Una linea per l’unità degli intellettuali progressivi, ora in Inzellettuali e azione politica, c In una lettera all’editore Muscetta avvertiva, a proposito di Dorso di cui curerà le opere: Bada che il Partito Comunista, appena Togliatti avrà visto i manoscritti inediti, desidera farsi promotore dell’edizione ; scriveva che Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare Dorso ( anche l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi, in AE, Togliatti), e il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i manoscritti di Dorso: Ma non era mica io a tenermeli. Era Togliatti, e ce n'è voluto per riaverli ; Giolitti avvertiva l’editore che Togliatti aveva approvato la prefazione alle opere di Dorso (AE, Muscetta, Giolitti). Il contributo di Dorso dal marxismo può essere accettato per essere sisterzato , affermò Rodano (Dorso, in Rinascita. Muscetta propone a Pavese i Discorsi di Giolitti con prefazione di Salvatorelli, e il 16 marzo 1947 gli scriveva: Giolitti è stato già da tempo gradito dal Togliatti (AE, Muscetta). Inoltre, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di scritti rari o inediti di Labriola, magari come inizio di una più ampia raccolta dell’opera filosofica e storica del Labriola (Archivio privato Bobbio). PLATONE (si veda), sono in buona parte come una introduzione generale agli scritti che verranno dopo e ambienteranno il lettore meglio di qualsiasi prefazione, costituî un inusitato successo editoriale, se nel giugno 1949 la tiratura era arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254 vendute ‘. Comincia la pubblicazione dei Quaderni del carcere, che è accompagnata tuttavia, da parte della casa editrice, da impazienze e dubbi sulle reali intenzioni del partito, se il Cantimori poteva scrivere a Einaudi che con quelli della edizione di Gramsci bisognerebbe usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla storia degli intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma dove si parla di Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di una revisione del dattiloscritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno uscire. Sembra che qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce che ci sono in quel volume. Ho protestato contro questi scrupoli, con chi voleva sentire e con chi non voleva, Ma che cosa aspettano, che Croce sia morto, per poi farsi dire da qualche stupido che non si è avuto coraggio di pubblicare le critiche Croce vivo? E lo stupido sembrerebbe aver ragione! Appena tornerò a Roma mi butterò alla carica. E gli faceva eco Einaudi che, protestando con Togliatti per il ritardo del si stampi per i quaderni su Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, invitava il dirigente comunista a evitare una temporanea battuta di arresto , essendo AE, Platone. Togliatti scrive a Einaudi: siamo perfettamente d’accordo sulle sue proposte riguardanti l’edizione completa delle opere di Gramsci. Vogliamo solo porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e note di singoli volumi che Ella vorrà pubblicare in collane particolari, debbono avere la nostra approvazione. 2) La Direzione del P.C.I., pur concedendo a Lei tutti i diritti per questa edizione e le successive ristampe, si riserva la proprietà letteraria dell’opera (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 49 Cantimori a Einaudi, 15 maggio 1947; lo stesso giorno Cantimori scriveva a Balbo: La Direzione del Partito farebbe meglio a spicciarsi a consegnarvi le opere di Gramsci invece di farle conoscere a spizzico, o di avere scrupoli perché si critica Croce ; il 30 settembre 1947 Balbo su suggerimento di Einaudi inviava a Cantimori le bozze de // materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce in via privatissima affinché tu potessi, dando una scorsa veloce, segnalarci eventuali notevoli lacune (AE, Cantimori). Le origini della casa editrice Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve ai nostri compagni per rafforzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e a porsi dei problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti per far loro misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica. Non solo, ma è dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali si avvicinano al nostro partito e, sovratutto, si creano delle alleanze. L’operazione che riusci con Gramsci non ebbe successo anche per la difficoltà di trovare i testi originali e traduttori preparati per il progetto di una Collana marxista di cui Einaudi aveva parlato a Lucio Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che nella fase di preparazione occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori, Emma Cantimori Mezzomonti, Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e Giolitti. Su questo terreno si era già impegnata, subito dopo la liberazione di Roma, l’editrice comunista Nuova Biblioteca diretta da Carlo Bernari e per la quale Cantimori era stato incaricato di dirigere la collana Pensiero sociale moderno ‘; l’iniziativa non ebbe tuttavia seguito e, prima che fosse ripresa dalle edizioni Rinascita, alcuni dei curatori previsti confluirono nel progetto einaudiano. Ma già la collana veniva definita minor ‘, e AE, Togliatti. Nell’intendimento di soddisfare un’esigenza oggi largamente diffusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di una Collana Marxista ; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura dell’Indirizzo inaugurale di Marx (AE, L. Lombardo Radice. G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, in Storia e storiografia. Studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi (Ravenna), a cura di Bandini, Roma, Editori Riuniti. Manacorda a Bobbio; i testi già in lavorazione , non esistendo più il pericolo di interferire con la Nuova Biblioteca, che non fa praticamente nulla , erano: Manifesto e scritti preparatori (Emma Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo Lapiccirella), Lotte di classe in Francia (Mario Manacorda), Ideologia tedesca (Arturo Massolo e Cesare Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca Maria Luporini) (Archivio privato Bobbio). Aldrovandi scrive da Milano a Einaudi che con Misha {Kamenetzki, che assumerà in seguito lo pseudonimo di Ugo Stille] è stata discussa una collezione di civiltà marxista raccolta di autori meno classici di quelli del tuo programma ma imperniata sui problemi pit particolari e attuali (es. il libro di Sereni sull’agricoltura in Italia, ecc.): questa collana sarebbe costituita in parte con libri che ha Vittorini, e in parte con la critica di libri italiani visti alla luce marxista (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma). una circolare editoriale annunciava testi brevi di Marx; Engels, Lenin e Stalin, col sussidio di un commento esplicativo, per orientare il lettore verso certi punti fermi del marxismo, e di introdurre allo studio del marxismo, evitando quegli accostamenti attraverso materiale di seconda mano finora tanto frequenti e tanto nocivi ‘. Il progetto naufragò definitivamente nel dicembre 1946, quando Balbo propose a Giolitti di inserire i vari testi marxisti nelle collane esistenti e di farne una scelta accurata in modo da mantenere le nostre caratteristiche di Casa editrice rivolta a un pubblico abbastanza colto o addirittura di studiosi ‘. Non mancarono le proteste del PCI per il fallimento della collana, finché nel 1948, in coincidenza con la pubblicazione del primo testo, Le lotte di classe in Francia di Marx nell’ Universale, Togliatti scrisse a Einaudi che per i classici io non sarei favorevole a passare a te l'iniziativa editoriale ‘. Si registrava cosî un pesante ritardo nella diffusione del marxismo, reso evidente, ad esempio, dal fatto che ancora nel 1947 Rinascita pubblicava elenchi di testi di Marx ed Engels, in varie lingue e Circolare s.d. (ibidem). Balbo a Giolitti, 10 dicembre ’46; nella risposta, Giolitti si dichiarava d’accordo (AE, Giolitti). Assai riduttiva era invece la proposta di Muscetta, che per il Manifesto suggeriva la classica traduzione di Pompeo Bettini e una prefazione di un tipo come Umberto Morra: proprio adatta al gran pubblico dei non marxisti (all’editore, in AE, Muscetta). Einaudi scriveva a Cantimori che, in seguito allo smistamento della ex-collana marxista , aveva proposto a Chabod di includere il volume negli Scrittori di storia ; Cantimori rispondeva di non essere d'accordo perché le Lotte di classe costituivano un grande esempio di analisi critica politico-sociale, economico-politica, ma non un libro di storia come invece può essere considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso argomento ma a svolgimento storico conchiuso ; il 13 settembre Chabod dichiarava a Einaudi di condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in quanto l’opera di Marx era un'analisi politico-sociale, che è al tempo stesso un programma d'azione. Sul genere, insomma, dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del Machiavelli (AE, Cantimori, Chabod). . 4? AE, Togliatti. Le proteste del PCI per il fallimento della Collana marxista sono registrate, ad esempio, da una lettera di Giolitti all'editore del 16 aprile 1947: Togliatti, impazientito per i ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito a pubblicare senza indugi (AE, Giolitti). in vecchie edizioni, presenti nelle biblioteche italiane. È in questo quadro, di disinformazione e disorientamento, che si colloca il caso di Gustavo Wetter,. il gesuita austriaco professore al Pontificio Istituto Orientale in Roma, autore de I/ materialismo dialettico sovietico. Il saggio è stato presentato da Balbo come opera seria ed onesta, di carattere informativo, filologicamente corretta e documentata, compiuta tutta su testi originali non accessibili agli studiosi italiani per molto tempo. Le poche osservazioni critiche, naturalmente condotte con metodo scolastico, sono però sempre intelligenti e non settarie . Bobbio ne prendeva atto, pur con qualche dubbio, e un anno dopo Cantimori particolarmente incline a presentare come opere documentarie i testi di autori spiritualeggianti, come Capitini o Toynbee esprimeva il suo parere positivo: è chiaro che è il libro d’un gesuita e non di un comunista; è un libro utile, per le discussioni e rettificazioni che provocherà ‘. Ma, se Miccoli nota opportunamente che il libro fu pubblicato un anno dopo questo parere, in un momento infelicissimo per le discussioni e rettificazioni, evidentemente pacate, alle quali pensava Cantimori ‘, è difficile non cogliere l’atteggiamento pattigiano dell’autore, che dedicherà su La Civiltà cattolica un ritratto a Giuseppe Stalin demone dell’antireligione. Nonostante l'avvertenza editoriale che presentava l’opera come informatissima e aggiornata dichiarando al tempo stesso un fondamentale dissenso dalle premesse e dalle conclusioni dell'Autore, Wetter afferma infatti che per i sovietici la filosofia era ancella della politica, coglieva una presunta affinità tra la filosofia di Lenin e la filosofia religiosa russa nell’intuizione d’un nesso e d’un’unità reali in cui fra loro si uni 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945 (Archivio privato Bobbio); Bobbio a Balbo, (Archivio privato Balbo). Balbo scrive a Giolitti che il testo era stato revisionato da Cantimori, mentre Giolitti, in una lettera a Serini, dice di aver preparato l’avvertenza al volume (AE, Giolitti). G, Miccoli, Delio Cantimori, (anche per il siind a Toynbee}. Su tutta la vicenda anche G. Manacorda, Lo storico e la politica. Cantimori e il partito comunista. scono tutte le cose del mondo, e concludeva che i materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro, invero, quella materia a cui, negato Iddio, vengono trasferite tutte le prerogative divine? Sono quindi giustificate le lodi de La Civiltà cattolica e la violenta stroncatura del volume da parte di Giuseppe Berti, che ne sottolineava gli errori, la tendenziosità antisovietica, il privilegiamento di sconosciuti intellettuali sovietici, e accusad’incredibile leggerezza quei marxisti che ‘avevano consigliato la sua pubblicazione che fu un errore , come riconoscerà più tardi lo stesso Cantimori Una riflessione sul marxismo priva di preconcetti rimase quindi limitata, in questi anni, a Ordine e vita del biologo Needham, un volume già proposto da Alicata .che conclude la sua analisi scientifica con l’accettazione del materialismo dialettico ‘4; mentre una conoscenza dell’Unione Sovietica più equilibrata di quel. la fornita dagli studiosi statunitensi fu avviata prima che fosse tradotta l’opera dei coniugi Webb respinta da Einaudi con la traduzione di saggi di altri autori inglesi, significativamente caratterizzati da un acritico confronto con l’esperienza del cristianesimo primitivo. In Un sesto del mondo è socialista l’alto prelato angli- Wetter, Il materialismo dialettico sovietico, Torino, Einaudi, Brucculeri, Scientismo marxista, in La Civiltà cattolica; anche, contro la critica di ‘ Voprosy filosofii all’edizione tedesca del volume, U.A. Floridi, Materialismo dialettico e critica sovietica, in La Civiltà cattolica, vol. Rio Società, in G. Miccoli, Delio Cantimori, Alicata a Einaudi, (AE, Alicata), e la favorevole recensione di Lucio Lombardo Radice in Rinascita. Motta scrive a Einaudi: I sondaggi sul Webb sono stati eseguiti. Tutto bene. Il libro non è mai stato attaccato nell'Unione. Tanto Togliatti che Sereni sono d'accordo sulla sua diffusione anche all’interno del Partito. Togliatti però pensa ‘che forse sarebbe bene alleggerire l’opera di tutte quelle parti documentarie che non hanno più un interesse attuale (per es. la costituzione sovietica ecc.) (AE. Motta). Le origini della casa editrice Einaudi cano Hewlett Johnson partiva infatti dalla constatazione dell’assenza di una base morale nel sistema occidentale per cogliere nell’organizzazione della società sovietica la possibilità di sviluppo di quei valori umani che sono per chi scrive indissolubilmente legati con la religione e la tradizione cristiana ‘9; un analogo afflato religioso percorre Fede, ragione e civiltà del laburista Harold J. Laski, per il quale è difficile vedere su quali basi possa essere ricostruita la tradizione della civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della rivoluzione russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi soprannaturali, con esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Occidente. Ovunque si è affermata, l’idea della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi esponenti un’aspirazione ardente alla salvezza spirituale I più stretti rapporti instaurati col PCI trovano comunque espressione soprattutto nella pubblicazione di testi di politica e di economia. Esce nel 1948 Il Mezzo-giorno all’opposizione (Dal taccuino di un ministro în congedo) di Emilio Sereni che, sollecitato nel febbraio dello stesso anno da Balbo a fornire un parere sulla traduzione di The great conspiracy in cui Michael Sayers e Albert E. Kahn analizzavano la cospirazione antisovietica dalla Rivoluzione d’ottobre al secondo dopoguerra un libro, afferma Balbo, estremamente utile in se stesso, e oggi, per la campagna elettorale, chiedeva, anche a nome di Togliatti, di accelerarne la pubblicazione perché il volume tradotto in Politecnico biblioteca è ancor nuovo e di grande interesse per il pubblico italiano e può avere ora una grande efficacia propagandi- Johnson, Un sesto del mondo è socialista, a cura di A. Tagliacozzo, Torino, Einaudi; la recensione di Mario Montagnana i in Rinascita. Laski, Fede, ragione e civiltà. Saggio di analisi storica, traduzione di È. Bedetti Aloisi Torino, Einaudi, p.. Del leader laburista fu pubblicato su l'Unità DE sai l’articolo Ux popolo veramente libero crea la nuova Cecoslovacchia. H fascismo e il consenso degli intellettualistica. In un momento in cui il problema della terra si era riacutizzato con le lotte contadine nel Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva ancora a Sereni per invitarlo a scrivere quella storia dell’agricoltura italiana di cui si avvertiva il bisogno in un paese che nella risoluzione del problema agricolo ha uno degli aspetti più delicati dell’intero problema politico del suo sviluppo legata all’attualità politica era anche l’Introduzione alla riforma agraria pubblicata nel 1949 da Ruggero Grieco, che nello stesso anno, di fronte a una palese offensiva contro la costituzione delle Regioni da parte della DC proponeva una raccolta di suoi scritti su Unità statale e decentramento regionale in Italia®, E una più stretta collaborazione fra la casa editrice e il partito veniva chiesta da Einaudi a Togliatti nel 1948 per promuovere in Italia una maggiore conoscenza della cultura sovietica, che avrebbe dovuto essere rappresentata non solo da I/ marxismo e la questione nazionale e coloniale di Stalin (1948), ma anche da un’ampia scelta di scritti di Zdanov curata personalmente da Togliatti ‘!. È inoltre in questo periodo che si intensifica il ruolo di Antonio Giolitti nell'esame e nella proposta di testi di economia, con la consulenza, da Londra, di Piero Sraffa. Ebbe 48 Balbo a Sereni, 3 febbraio 1948, e Sereni a Einaudi, 12 febbraio 1948 8 (AE, Sereni). Balbo a Sereni, e Sereni che accetta a Balbo; Sereni propone anche un'antologia intitolata Bertoldo, i canti dell’oppressione, del lavoro, della lotta (AE, Sereni). La nostra posizione sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno della creazione delle Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal fatto che noi siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo regionale (l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla Costituzione non è dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal fatto che la Costituzione deve essere applicata: se si comincia con il rivedere questo o quel punto della Costituzione, si finirà col far crollare la Repubblica , scriveva Grieco a Einaudi (AE, Grieco). 41 Einaudi a Togliatti, 15 ottobre 1948; il 19 ottobre Togliatti rispondeva di essere d’accordo anche per la scelta di scritti di Zdanov: Quella che fa il partito non uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno cacciata in una collezione che si intitola: Educazione comunista. E chi votrà farsi educare da noi? (AE, Togliatti). Le origini della casa editrice Einaudi peso il suo giudizio negativo sull’opportunità di tradurre il saggio di Sidney Hook sul marxismo accusato di trotskismo da Togliatti, cosî come la presentazione di Political economy and capitalism di Maurice Dobb, che sarà tradotto: in un parere editoriale che mette in evidenza il distacco dalla precedente produzione della casa editrice in campo economico, Giolitti attribuiva a Dobb il merito di cogliere il nesso tra Marx e l’economia classica, di cui sono dimostrati ‘il vigore scientifico e il carattere progressivo, mentre le successive teorie soggettive del valore (scuola austriaca, utilità marginale, ecc.) manifestano a un’indagine critica che sappia situarle storicamente il loro significato ideologico conservatore. La teoria marxista del valore è convalidata sul terreno sperimentale, nella sua capacità di interpretazione e di previsione di fronte ai fenomeni più moderni dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.). Un bellissimo capitolo sull’imperialismo analizza le origini economiche del fascismo. L’ultimo capitolo sulla validità delle leggi economiche nell’economia socialista risponde efficacemente alle obiezioni mosse da Hayek, von Mises e C. alla pianificazione economica collettivistica: e dimostra la perfetta coerenza dell’economia pianificata con le posizioni veramente valide e feconde dell’economia classica {la scoperta di questo nesso costituisce forse l’elemento più interessante di tutto il libro, che proprio per questo segna una data nella scienza economica) 43, Si profila cosi un orientamento che, sia pure con ritardo, pone fine all’ideologia liberista che aveva fin allora caratterizzato la casa editrice. Mentre Dami, collaboratore di Società per i problemi economici, mette a confronto in due testi del 1947 e del 1950 l’economia liberale con quella pianificata, con una chiara preferenza per quest’ultima, la Relazione su l’impiego integrale del lavoro G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista. Anche Giolitti, scrivendo a Einaudi il 29 agosto 1946, giudicava trotzkista l’autore: Ora tu sai che la tua casa è stata accusata di zoppicare un po’ da questa gamba (Reed, Franklin, Hemingway); perciò reputerei politicamente inopportuna la pubblicazione, da parte tua, di un saggio di Hook (AE, Giolitti). Si tratta, probabilmente, di From Hegel to Marx: studies in the development of Marx. AE, Giolitti. 44 C. Dami, Economia collettivista ed economia individualista (1947), ed Esperienze di economia pianificata in una società libera di Beveridge e Gli insegnamenti economici di Arndt suggeriscono l’intervento regolatore dello Stato nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa da Giulio Einaudi, di fare libri che tengano conto dell'economia dei paesi occidentali e ne facciano una critica. Non trascurare certi filoni del laburismo inglese i quali tengono conto dell’economia classica e la criticano continuamente al vaglio delle riforme richieste dalla crisi dell’imperialismo , La realizzazione di questo nuovo indirizzo apparve tuttavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur consigliando testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro editoriale come continuo suggerimento di problemi, senza la pretesa di orientare dall’alto, didatticamente, il lettore. Prendendo spunto dalla pubblicazione de La teoria del diritto nell'Unione sovietica di Schlesinger, Balbo si rivolgerà a Einaudi, in uno dei suoi ultimi interventi prima del distacco dalla casa editrice, per affermare che libri sulla linea di Schlesinger, Cole, Webb, Hook prima maniera, Wallace ecc., insomma libri anglosassoni progressivi e corretti verso URSS e comunismo sono libri utili, se vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non sono libri di vera cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà milioni di anni luce li separano da una vera comprensione. Nel loro fondo, che non tutti avvertono esplicitamente ma che tutti sentono subcoscientemente, quei libri sono oppio sottile: fanno in maniera più inavvertibile e quindi anche meno significativa culturalmente e più pericolosa, ciò che fece Croce in modo scoperto, chiaro e cosciente ‘#. Intervenendo a una riunione editoriale sulla Biblioteca di cultura economica , egli aveva affermato che il PCI non deve prendere posizione, avallando la collana; ma di volta in volta può consigliare o meno i volumi. La Casa deve svolgere la funzione di Casa editrice e 435 AE, Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950 (riunione). 4% Pro-memoria per il dott. Einaudi (AE, Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi non può fare biblioteche di partito. È una critica impietosa nel paragone con Croce e forse anacronistica, in quanto non teneva conto dei condizionamenti imposti dall’imperante clima di guerra fredda: una critica alla propaganda e al monolitismo culturale che vienne in parte a contraddire il positivo accoglimento, da parte di Balbo, del nuovo orientamento assunto dalla casa editrice. La fine dell’eclettismo e delle incertezze proprie della produzione editoriale è stata anzi auspicata da Balbo, che aveva accolto la svolta non come indice di una subordinazione al PCI, ma come l’inizio di una politica d’intervento più organica e avanzata. Già nel dicembre 1946, informando Rodano di un suo ooqui con l’editore, affermava che Einaudi aveva deciso i mettersi a fare l’editore sul serio, cioè di affidare la fabbricazione dei libri specialmente di tema politico-economico e strutturale (mi capisci!) ecc. alle forze migliori che oggi sono inserite nel processo democratico del paese. A farla breve si tratta di creare tutta una rosa di libri seri, impegnativi e urgenti sui problemi che possono concretare sul serio il nuovo corso: capitalismo di stato in concreto, permanenza amministrativa del fascismo, situazione culturale generale da un punto di vista direi di geografia culturale, problema igienico nazionale, problema agrario ecc. Si tratta naturalmente anche di dare inizio finalmente a certi temi di marxismo teorico consoni alle esigenze attuali, conclude proprio nello stesso momento in cui anche col suo avallo naufraga il progetto di una vollana marxista. Il nuovo corso della casa editrice suggerî a Balbo una serie di scritti programmatici che si collocano nel periodo immediatamente successivo alla crisi, e che hanno il loro principale obiettivo polemico nell’idealismo crociano. Egli invia a Einaudi una serie di proposte, accomunate dal titolo significativo L’Anticroce, che Giolitti fa pro- AE, Verbali delle riunioni editoriali. AE, Rodano. prie, relative al rinnovamento delle varie collane prevedendone una nuova di cultura sociale-politica, partendo dalla considerazione che la cultura idealistica, invalidando per principio le possibilità stesse degli studi sociologici e in genere degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o fenomenologici , aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in Italia. Poco dopo, in un articolo di risposta alla recensione fatta da Croce alle Lettere di Gramsci, prende spunto da una frase di Croce gli odierni intellettuali comunisti italiani troppo si discostano dall’esempio del Gramsci, dalla sua apertura verso la verità da qualsiasi parte gli giunge per affermare: Riconosciamo che in ciò vi è del vero, che molti di noi si mantengono al di sotto di quel livello sia nelle intenzioni, sia nelle realizzazioni. Ma dobbiamo anche ricordare a Croce che molti intellettuali comunisti cercano sul serio di migliorarsi e di imparare e che comunque il livello degli altri intellettuali italiani è forse ancora più basso del nostro, se non si vuole continuare a scambiare per cultura l’arcadia, la raffinatezza fine a se stessa, l’educazione ipocrita. Soprattutto dobbiamo ricordare a Croce la realtà che egli più ha dimenticato nel suo pensiero e che ne è certo stata la ragione più grave di debolezza: questa realtà è il popolo, il popolo oppresso, spesso ignorante e violento, quel volgo che egli disprezza e che è pur formato di uomini come noi e come lui. Forse allora comprende che Gramsci non può essere diviso dal suo partito, che Gramsci appartiene a tutta la cultura italiana, ma che il partito comunista italiano è parte integrante della cultura e del pensiero di Gramsci, è parte integrante della cultura italiana, Può quindi apparire tUn’ironia della storia che l’intervento più organico del Balbo militante, sulla Cultura antifascista, fosse nato come promemoria per Einaudi e che, al tempo stesso, venisse pubblicato con alcune modifiche nel numero col quale Il Politecnico, dopo le critiche di parte comunista, fu costretto a terminare le pubblicazioni. E di AE, Balbo; anche Giolitti a Einaudi, (AE, iolitti). AE, Balbo (articolo per l'Unità ); la recensione di Croce è ora in Due anni di vita politica italiana, Bari, Laterza Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce (e, nota, del Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente alle apparenze, di Gentile scrive Balbo. La mentalità papiniana, giuliottesca, prezzoliniana è rimasta come un substrato generalizzato e diffuso nel retroterra culturale di ognuno. Le categorie di giudizio, sia culturale, sia politico, si muovono ancora completamente su di un terreno che va da quello di Mussolini stesso in persona a quello della Civiltà Cattolica, a quello del più stracco spiritualismo cattolico di importazione francese e di un esistenzialismo universitario ed estrinseco. Insomma in Italia si è rimasti senza Gramsci, senza Dorso e senza Gobetti. E, rivolgendosi in particolare a Einaudi, affermava che la casa editrice per la sua struttura, per il suo passato, per i suoi quadri interni ed esterni, attuali e possibili, può svolgere un compito fondamentale nel movimento per l’abbattimento della vecchia egemonia culturale borghese e per la creazione metodica e sensibile della nuova egemonia culturale proletaria e finalmente moderna. Strumento e base per la ricerca qualificata e per la socializzazione è oggi non tanto l’università o la scuola quanto l’editoria; e, in armonia con una tradizione culturale cara all’editore torinese, concludeva insistendo per la pubblicazione delle opere di Gobetti, che avrebbero costituito uno specchio nel quale la borghesia più intelligente potrebbe scorgere la sua vera faccia e, per rivalsa, la falsa faccia di una borghesia che vuole a tutti i costi illudersi di saper sopravvivere al fascismo. Cosî, proprio quando lo scontro nel paese si faceva più duro, a Balbo sembrò giunto il momento opportuno per realizzare il suo modello di casa editrice: sotto la spinta dell’ottimismo maturarono nella sua fervida mente nuovi progetti, da quello di una rivista di ricerche e sviluppo storico-ideologico per la quale aveva già impostato il lavoro assieme a Rodano, Motta, Giolitti e Gerratana, a quello del sostitu-tivo della rivista di una collana Il nuovo politecnico assieme a Vittorini, fino alla proposta, realizzata, di trasformare la Collana di cultura giuridica in BiAE, Balbo. blioteca di cultura politica e giuridica . Ma il terreno sul quale Balbo concentrò i suoi sforzi per realizzare una cultura critica , tale tuttavia da scontrarsi duramente col laicismo di Bobbio, fu quello filosofico. Il primo progetto di una BIBLIOTECA DI CULTURA FILOSOFICA è formulato da Bobbio, che prende contatti con ABBAGNANO (si veda), dal quale vennero le proposte di tradurre la Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esistenzialismo, L'illusione della filosofia della Hersch, pubblicato nei Saggi. Dopo ulteriori contatti con Della Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne giunto il momento di annunciare l’uscita della COLLANA FILOSOFICA che, al di sopra di ogni pregiudizio d’indirizzi e al di là di una visione tecnicamente angusta della filosofia, raccoglie opere antiche e moderne, tanto più accette quanto più trascurate dagli storici della filosofia, e considera come suo principale fine e suo rigoroso dovere tener conto della infinita problematicità del pensiero filosofico attraverso le sue inesauribili incarnazioni nei diversi tempi e nei diversi campi del sapere. La collana, che si configura come una via mediana tra i classici Laterza e la Cultura dell’anima Carabba, prevede opere di Butler e di Hume per l’illuminismo, Avenarius e i Principi di una filosofia dell'avvenire di Feuerbach, Kirkegaard e Jaspers per l’esistenzialismo, JUVALTA (si veda) e MARTINETTI (si veda) come rappresentanti della filosofia italiana contemporanea. L’inizio della collana di cultura giuridica, con l’inclusione delle opere di Binder e Gierke originariamente previste per la COLLANA FILOSOFICA, fa fallire per il momento l’iniziativa, senza che per questo si fermasse l’attività di Bobbio, che in una lettera a Banfi presentava la collana progettata come una raccolta di saggi rappresentativi di quella filosofia costruttiva (contrapposta alla filosofia spe- in particolare, per questi e altri progetti, i documenti dell’Archivio privato Balbo. in particolare le lettere di Bobbio a Einaudi (A E, Bobbio). Le origini della casa editrice Einaud?] culativa) che la filosofia italiana ufficiale, e la stessa storia. della filosofia scritta dagli scrittori ufficiali quasi sempre ignora, e che è poi l’unica filosofia veramente perenne; e cita, fra gli altri, saggi di CATTANEO (si veda) e di Frege, per rafforzare la caratterizzazione neo-positivista della collana da lui voluta contro la presenza, che pur non riuscirà a evitare, di un filone esistenzialista. Sono affermazioni coraggiose nel clima culturale dell’epoca, rese più esplicite quando Bobbio, nell’atto di dare finalmente: avvio alla collana, parla di saggi rappresentativi di tutte: quelle correnti filosofiche che nel MONDO FILOSOFICO-ACCADEMICO italiano diviso tra idealisti e neo-tomisti in lotta. fra loro sono respinte con maggior o minor impeto come: filosofia non ufficiale. La collana diretta da Bobbio e Balbo inizia in tono: minore, con I limiti del razionalismo etico di JUVALTA (si eda), di cui tuttavia GEYMONAT (si veda) che lo propone mette in luce il rifiuto per le soluzioni puramente verbali, il valore impegnativo e profondo di tutta l’attività politica, sociale ed economica, e la negazione del carattere anti-individualistico del socialismo Continua con le Lezioni di filosofia di CALOGERO (si veda), caldeggiate da Bobbio, e La mia filosofia di Jaspers, un testo dal quale: Bobbio prende le distanze, ma che, afferma, puo servire ad eliminare diffidenze preconcette e altrettanto inconsulti entusiasmi, e venire incontro ad un’aspettativa talora eccessiva che è in molti. Senza pretendere: AF, Banfi; Archivio privato Bobbio (Bobbio alla sede romana). Bobbio si dichiarava d’accordo con Balbo per presentare le opere rappresentative dei principali indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in poi, senza correr dietro alla moda (Archivio privato Balbo). JUVALTA (si veda), I limziti del razionalismo etico, cur. di GEYMONAT (si veda), Torino, Einaudi. anche le lettere dell’editore alla figlia di JUVALTA (si veda), (AE, Juvalta), e di GEYMONAT (si veda) a Pavese, (AE, Geymonat). Pro-memoria per la Direzione Generale della redazione romana, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945. Sul moralismo dell’opera di Calogero cfr. le osservazioni di Nicola Badaloni in Società. Jaspers, La mia filosofia, trad. Rosa, Torino,. Einaudi (avvertenza di N. B.). di dare un giudizio complessivo sulla collana, ci sembra sufficiente accennare al suo carattere articolato, non unitario, che riflette le diverse preferenze dei suoi ispiratori. Sono ad esempio significativi i giudizi espressi da Bobbio e da Balbo sui Principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach: presentando la prima edizione dell’opera, Bobbio osserva che la filosofia di Feuerbach si colloca tra la crisi del romanticismo e la nascita del positivismo, e che dal secondo accoglieva una netta aspirazione antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invincibile ripugnanza a toccare veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un sentimentalismo un po’ facile #. In occasione della ristampa del 1948, invece, Balbo nota l’affinità tra il nostro mondo attuale in particolare italiano, e quello in cui si formò il pensiero di Feuerbach e in cui ebbe origine il grande movimento marxista. La crisi culturale apertasi con la dissoluzione della filosofia di Hegel è tutt’altro che chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase di sviluppo i motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in Italia, specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza della crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni hegeliani perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit teologico in senso feuerbacchiano c’era nella filosofia di Hegel; e osservava che la passione, il violento bisogno di aria e di luce reale, sensibile , con cui Feuerbach rompe il sistema della Teologia razionale di Hegel, l’entusiasmo di Marx e di Engels nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti e molti giovani studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi cercano di rompere l’idealismo e ritrovare il mondo, la realtà. Un giudizio, questo, da cui è ricavabile non solo la divergenza con Bobbio che sarà esplicita nel #8 L. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, a cura di Bobbio, Torino, Einaudi, Significato di una ristampa, in Archivio privato Balbo. Le origini della casa editrice Einaudî dibattito fra i due sulla Rivista di filosofia, e indica una spaccatura all’interno della casa editrice, ma anche, nello stesso Balbo, la tensione fra la necessità di proposte positive in questo caso, Feuerbach in funzione anti-idealista e l’asserita problematicità del lavoro editoriale. Mentre dimostrava con questo giudizio il suo settarismo per usare in senso non dispregiativo un termine che egli respingeva, in alcuni Appunti per l’impostazione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi Balbo lamentava il rinchiudersi del mondo accademico italiano in scuole e sette, osservava che il giudizio sulle collane filosofiche dipende in primo luogo dal decidere se si tratta di accettare, riflettere e conservare la situazione storico-sociale presente, o se si tratta di conoscerla, criticarla e mutarla e, al tempo stesso, che una casa editrice di opposizione culturale come la Einaudi manca al suo carattere se in un momento storico in cui messuno ha la soluzione dei gravissimi problemi dell’ora si schiera da una parte o partito o setta sia pure la pit intelligente 0 colta o ben educata o progressiva. Una casa editrice di opposizione culturale è una casa editrice che chiede, in tutti i modi che le sono propri, la soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle manifestazioni di bisogni, problemi aperti, prospettive nuove, fornitura di servizi per la ricerca teoretica, sensibilità alle voci degli oppressi, degli esclusi, dei dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando aperta la possibilità di un recupero di forme differenziate di speculazione filosofica: Se la situazione culturale è di crisi radicale significa che nulla più della passata filosofia ci serve per lo meno cosi come storicamente si è data. Ma quando w%/la più serve o c’è la fine assoluta o tutto serve. Ora in F. Balbo, Opere, con introduzione di Ranchetti, Torino, Boringhieri, Archivio privato Balbo. Riflettendo ancora su Senso e funzione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi, Balbo affermava che una collana filosofica andava concepita come un servizio da rendersi alla società italiana, alle minoranze rivoluzionarie (che innanzi tutto si formano con la filosofia), ma che l’idea di servizio implica la concezione dei fruitori come totalità, ed esclude quindi a priori una qualsivoglia tendenza a identificarsi con i blocchi dominanti : la collana deve mirare a completare, ad allargare e a tenere aperto, cioè a far progredire 7 va l’orizzonte problematico della situazione filosofica italiana. Quando si passò alle scelte concrete, il dissidio tra Bobbio e Balbo che intendeva riservare un settore della collana al tomismo non poté essere che profondo. Il punto su cui siamo d'accordo è questo: massima apertura gli scrive Bobbio. Il guaio è che la tua parte di chiusura (le correnti empiristiche) coincide perfettamente con la mia apertura, e la mia parte di chiusura (il misticismo medioevale e medioevalizzante) coincide altrettanto decisamente con la tua apertura. Ti dico francamente che la presenza di testi come lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana filosofica di una casa editrice che si presenta come una casa di avanguardia culturale, mi ha fatto rabbrividire. Doveva essere ben decaduta la filosofia nel medioevo se lo Pseudo-Dionigi era destinato a diventare, come tu giustamente riconosci, un fatto decisivo per il pensiero medioevale. La verità è che tutta la tua impostazione, nonostante la pretesa di essere della massima apertura, è guidata da una polemica molto chiara: la polemica contro il pensiero moderno. La cultura universitaria, aggiunge Bobbio, soffre di grande nostalgia per il pensiero teologico, perché sembra che le idee (e anche le cattedre) siano meglio garantite dalla credenza nei cori angelici di Pseudo-Dionigi che dal dubbio cartesiano. Credi, se oggi in Italia c’è un lavoro culturale da fare, è per fermare lo zelo antilluministico, non già per aiutare i zelatori della Contro-riforma a chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti tu massimamente insufficienti le posizioni più avanzate , si rischia di fare cosa non tanto nuova né tanto peregrina in Italia, dove se c'è una vecchia e persistente e sempre contagiosa passione è la passione per le posizioni più reazionarie non per quelle più avanzate, e dove le posizioni più avanzate hanno fatto di solito la nota e tragica fine che sappiamo. Le parole di Bobbio erano indice della difficoltà estrema in cui veniva a trovarsi la cultura progressista ancora nell’anno della morte di Croce, quando anche Togliatti Archivio privato Balbo. Bobbio gli aveva scritto che in un ambiente filosofico come il nostro saturo di spiritualismo sedicente cristiano (che è la filosofia della pigrizia mentale) un po’ di cultura empiristica che abitui alla analisi rigorosa e paziente farebbe molto bene. Ma già tu hai scritto contro l’empirismo e hai portato tanta acqua al mulino di tutti i reazionari della filosofia, di tutti gli spiritualisti... (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G. Invitto, Le idee di Balbo. Le origini della casa editrice Einaudi come abbiamo visto riconosce nella politica culturale del partito comunista italiano discontinuità, asprezze, capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra la pura propaganda e l’azione culturale di più ampia portata, e anche contraddizioni. La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa dopo quella quando restai letteralmente solo scrive Einaudi a Balbo al fronte antifascista chiaro e compatto del periodo fascista, che è tenuto da tutti gli strati sani della nazione, si è sostituito un fronte anti-comunista che è tenuto da strati sani ed insani della borghesia, e da irrequiete e intelligenti forze intellettuali. Ma il suo appello all’unità contro il fronte anti-comunista non puo essere più raccolto da Balbo, divenuto critico implacabile del settarismo del partito comunista italiano. Se tu davvero presentassi la linea della casa come lotta contro la cultura ufficiale insipida e decadente avresti presto o tardi attorno a te le forze sane della cultura risponde Balbo all'editore. Ma come fai a presentarti così se accetti di fatto direttamente o meno, la direzione culturale comunista? Oggi non esiste cultura più ufficiale e insipida di quella comunista: questo è un fatto. E le riflessioni amare stese da Balbo sulla casa editrice una specie di sua storia, che gli servirono per chiarire a se stesso il proprio distacco da Einaudi, cercano di spiegarne la crisi alla luce di quelle che gli sembrano le sue caratteristiche originarie: La casa editrice Einaudi è nata da profonde esigenze di rinnovamento che si manifestarono in Italia dopo l'affermarsi stabile del fascismo che rivelava il problema del male della civiltà moderna. Non è stata perciò mai definita unicamente dall’antifascismo ha sempre teso al postfascismo, alla vittoria costruttiva sul fascismo. A questo si lega anche la sua adesione al comunismo: in quanto il comunismo in Italia per opera di GRASCI (si veda)-Togliatti si presentò come la più forte garanzia e promessa di un effettivo rinnovamento, di una costruttiva vittoria sul fascismo. In tal senso era più forte dell’arbitrio dei singoli il suo tendere a congiungersi al comunismo. Togliatti, La politica culturale. Archivio privato Balbo. va anche da sé che cosi si spiega come tale adesione non sia mai stata di soggezione né di mitigazione del comunismo ma da potenza a potenza ossia da realtà a realtà. Veramente era falso dire che la casa editrice Einaudi fosse una casa editrice comunista ed era pure falso dire che fosse paracomunista. Anzi, aggiungeva, l’elemento che aveva accomunato Ginzburg, Pavese, Venturi, Muscetta, Pintor, Balbo, Giolitti, Bobbio, Alicata e Vittorini, non è il laicismo, non è il razionalismo, non è il comunismo core tale neanche per i comunisti. È la causa del rinnovamento, la causa rivoluzionaria; ma l’incontro di questi intellettuali è soggetto a fatale decomposizione su due fondamentali sollecitazioni: quella interna della crescita organizzativa e quella esterna della situazione storica generale. Con la morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo puntello dell’autonomia della casa editrice », la quale si era quindi trasformata in terza forza para-comunista incapace di costituire un servizio per la cultura italiana nel suo complesso. Il giudizio di Balbosulla cui posizione ci siamo soffermati perché emblematica dei problemi e dei difficili equilibri nei quali doveva muoversi la casa editrice conteneva alcuni elementi di verità, ma anche profonde contraddizioni, nell’individuare in un primo tempo, ad esempio, il rinnovamento col comunismo, per poi mettere in netta contrapposizione i due termini. Esso peccava inoltre, come quello di Einaudi, di una visione idillica delle tendenze originarie della casa editrice, fosse il fronte antifascista chiaro e compatto o la vittoria costruttiva sul fascismo. Senza voler nulla togliere al peso delle intenzioni, le concrete vicende della casa editrice non indicano infatti una univoca e lineare direttiva culturale e politica. Alla cultura del regime essa non rispose soltanto col silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi differenziati, che accanto a coraggiose prese di posizione de La Cultura, Dattiloscritto; ma nella lettera a Finaudi Balbo dice di aver preparato una specie di storia della casa editrice (Archivio privato Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi Einaudi, assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare punti di convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti, anche al di là del comune antisocialismo; una forte presenza di intellettuali aderenti a Giustizia e Libertà, al liberal-socialismo e quindi al Partito d’Azione, il cui scontro con i comunisti non uniti al loro interno sarà assai duro nell'immediato dopoguerra, proprio attorno al modo concreto di intendere il rinnovamento »; e infine ma è un dato rilevante fino alla decisa riaffermazione del laicismo da parte di Bobbio un filone spiritualista o religioso e cattolico che, se poté avere una funzione di stimolo alla riflessione e al dubbio di fronte alle certezze del regime, conteneva in nuce notevoli elementi di ambiguità in quanto connotato, in molti casi, da un potenziale ideologico reazionario, o, nelle voci più aperte, da una tendenziale fuga dalla realtà: una tematica religiosa che confluirà con ben altro respiro, nella Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici voluta da Pavese e da MARTINO (si veda). Può forse sorprendere che questi motivi permangano a caratterizzare la casa editrice fino, almeno, al anno che costituisce la vera data periodizzante della sua storia, tale da concluderne, a nostro avviso, il capitolo delle origini. La battuta di Balbo, secondo la quale l’Einaudi è più fascista di Einaudi, indica infatti la persistenza di un passato dal quale era difficile sbarazzarsi rapidamente: una tradizione » di cui abbiamo cercato di mettere in luce la complessità, e che la semplice categoria di antifascismo è insufficiente a contenere e a spiegare in tutte le sue articolazioni. Ideologia e cultura del fascismo: l’ Enciclopedia italiana » La ricerca del consenso. Il progetto di Martini e Formiggini. L’intervento di Treccani e Gentile. Lo « specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana ». La « politica di conciliazione » di Gentile. I collaboratori e le proteste del fascismo estremista. L’ipoteca cattolica. Il controllo del regime. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo. L’assimilazione dei « competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico. Le voci religiose: presenza e conflittualità dei cattolici. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo. La parola, veicolo di « fraternità universale. Positivisti, modernisti, socialisti. Intenti divulgativi. Una cultura al di sopra della mischia. La sconfitta di un’illusione e una tenue resistenza. I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi. Iniziative editoriali. L'ideologia conservatrice di Einaudi. L’impronta liberista sulla casa editrice. La Cultura e la tradizione gobettiana. Storiografia e impegno civile. Cultura della crisi e spiritualismo. Una cultura eclettica: i Saggi. La svolta della guerra e i collaboratori romani. L’anti-conformismo storiografico e l’Universale. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura. La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del passato. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI. Grafiche Galeati di Imola. Turi. IL FASCISMO E.IL CONSENSO: DEGLI INTELLETTUALI. Questo volume offer un contributo di grende interesse alla storia della cultura italiana, analizzando alcuni momenti. di gregazione culturale particolarmente. rilevanti, ta' iat nascita e la caduta del fascismo. La Fondazione dell’Enciclopedia-italiana. Pattività\edi‘origle di A. Formiggini, la nascita della casa editrice. Einaudi chevpetmettonò i; collegare significativamante gli Itinerar di’ singoli intellettuali con Je vicende politiche ‘delipaese e di individuare, anche negli anni. del‘ regime, accanto «a condi: zionamenti;»autocensure e compromessi, il. permanere oil inuscere di. «schieramenti » i! cui significato «non ‘è' soltanto. culturale, ma anche: politico. L'« Encicloped'a italiana»; fondata sotto la direzione di Gentile e con la collaborazione dil'intetlettuali anche antirascisti, testimonia i esistenza di-una cultura fascista; sia pur. eclettica e forlsmente condizionata dalla ‘presenza: cattolica MAttorno-alla casa. editrice. Formiggini si erano. raccolti, intellettuali di formazione. positivistache cercheranno di resisiere alla politica culturale del. regime appellandosi ad una orma l’illùsori autonomia della cultura. Nella casa editrice fondata da Einaudi, infine; ii liberalismo. Conservatore di Einaudi convive con l'orientamento di intellettuali. legati a «{iustizis © libertà» e, vin seguito, con orientamenti: di matrice azionista e comunista: che prevartranno. nettamente nel'1945 con la presenza delle forti personalità di Pavese; Vittorini, Cantimoti, Balbo, e Bobbio cercando’ di dar vita va un ampios«fronte de:'atcultura +» destinato (a. dissoiversi con la rottura dele l'unità-antifascista, Introduzione. -tIdeologia «e. cultura: del fascismo:nl-Enciclopedia. Italiana. Formiggini» un editore tra socialismo e fascismo. I limiti déell'consenso. Le origini: della casa editrice Einaudi. GTuri insegna a Firenze. Storia dell'Italia’ contemporanea nella Facoltà: di Lettere e Filosofia. Sudiato! periodo della riforme ‘setteceritesche e. dell'occupazione francese in, Italia; «pubblicanido il volume Viva Maria, La reazione alle riforme leopoldine. Su occupa della cultura italiana, ema sul auzls ha prbblicato diversi contributi. Gak labora alle riviste Studi storicì..; « Movimento onsraio e socialista» e « [talia contemtoranea (i.i.) ©0GO. Nome compiuto: Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consenzienti -- consentire, “i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum, sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property, aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice, aesthesis, sensus, senso, consensus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library. Desideri.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Diacceto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del convito -- i tre libri d’amore – scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana --filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’ – and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside. Studiò diritto continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S. Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi et Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. D. In divinis PLATONE symposium Enarratio ad Clementem VII. Pont. Max. Amorem distinguit atq, definit, antequam rei explicatio nem aggrediatur. Ntequam Symposi enarrationem aggredia mur, operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum. Secus enim fieri nequit, ut diuinú PLATONE de AMORE diſſereniem intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla sit,Amorrectèdici potest. Sinautē exacta ratione, AMOR EST DESIDERIVM perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot sunt appetitus, totidem elle amores necesse est. Atqui ue rum efficiens propter intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz seruare quodeffecerit. Vnde et diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipsum facta sunt, et feorfum ab ipso nihil, quod factum est:significans,non solùm ex Deo, ideft,ex uero efficiente res effe,uerumetiam easdem citra dei auspicia nihilfieri. Dionysius quo que Areopagita splendor Christiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor, cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſusest ipsum in seipso manere, quasisterile lit: sed ipsum impulit ad opus se, cundùm excessum omnia efficientem. Seruat autem propterea om nium causa,beneficio fupereminentis amoris: quandoquidem non fimplici prouidentia extra se procedens singulis entium immiscetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant, quaſi uehementem entium amatorem. Acuerò &res ipfæ femper in auctorem reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat, recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt, uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem,inquit,fiue diuinum, li ueangelicum,fiue intellectualem, ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam:quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem:inferiora uerò ad fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere concupiſcunt. Diuina enim a. &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex calefaciendi fa cultate calefactione cipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum lo cutus eſt PLATONE in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe ARISTOTELE,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima &fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem. piternum optimum. Quare uita &æuum continuum et æternum ineſtdeo. Ineft quod et materiæ primæ appetitus ad formam: qui quidem amordici poteft, quando quidem merito formæ boniipfius particeps fit.Eft et alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ cohæ reſcere amant, optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum aſymmetriæ, quæfitex materia, mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue ſapientiæ, ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem; habere autem originem ex intelligentia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem. Atue rò diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario, ſed euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis et naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit: et in materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ, quali pulchrū in pulchro procreari oporteat (atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales, ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem: quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo FEDRO non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu, qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem, quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem: Amorem autem eſſe Ap petitum. Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus, non puto Termi num et Infinitumelleduas ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus et Proclus:fed quod àperfe uno primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe,dici Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum: quate nus utrung ſimul complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone. er N 2 miſtumappellatur, quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud, quàm miſtumex termino ac infinito, id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur, perfectioniobnoxium. Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum, quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus per Terram. NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia,ftatu,motu,eodem, diuerſo. Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiæ deſigneturperterram, paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem,quieſt primus &intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele. mentum,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam. Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem,cuius eſt principium.Nam potentia omnis, quç cunc ſit,deſiderat appetitőz ſuum actum. Quod etiam euenitprimæ materiæ,ut Ariſtoteles ait. Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam et motū intimum, Vitæ autem appetituseſt principium, necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem. Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon: quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis (licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium, qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia:ſicuti corporum imagines et umbræ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. FC naturalium Placo in Timæodeſignat earundemingenium. Propte: reaignem et terram ac cæteraid genusex triangulis componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de. finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ, quem iuniores fextum exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc: Nempeutintelligamus, per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam. Atqui palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram, quæ ineptiſsimaeftad motum: quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem. Quodetiamex eo conijcere poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde et PLATONE in FEDRO, Sola, inquit,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat admotumineptitudinem. Verùm dehis fufius in TIMEO. Terrai: gitur firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab intellectu primo prodit, ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno, fi Plotino crédimus,ńső,qui Plotinum ſe cuciſunt, Porphyrio et Amelio, quanquam Syrianus et Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq et Origenes contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem,tum animam,tum materiam, Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem(quod ſummum eſtipſius intellectus, et quo ipſum per ſe unum attingit) ſic et animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis momento habet idearum expreſsionem, habet et facultatem intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum.Atqui intellectus etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam tamen ac primam actio. nem, quædicitur per ſe uita,cuius ope ſeipſum in ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata,per ſe animal efficitur:per in telligentiam uerò uitæ ſummum,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis. Sic &in anima, quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio, per quamfeipfam in rationes diſtinguit, ac per quam propriè animadicitur,uita eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet et tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic et primum tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus et ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ. Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua habenc affinitatem. VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem. Intellectum, quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. et tum agentem,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ,quidiui. duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The. miſtius,deſententia ARISTOTELE, unum eſſeagentem intellectum illu minantem,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum,inquam intellectum agentem,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt:complures autem, qui ſunt animarū, illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam, quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu, quibus propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in PARMENIDE DI VELIA dictüeſt, quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit racionā,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia eſt,quam Plato in Timæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam,omni no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft aliud, quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria, ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam,perquam formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum: ſicuti deus perexceſſum eſtunum.Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per defectum,eo quòd careat omni perfectione: erit etiam obnoxi generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum per defectum, et cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum, pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde et Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem cognomentum materiæ tribuit, quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm ut Themiſtio uiſumeft: cui placet,materiam eſſe earum rerum, quæ nondum faétæ aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu:quo fieri,ut materia fit cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum firmitatem, tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt, ut Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps: quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum &appetibile,ut Ariſtoteles inquit. Hisita perſpectis, patet materiam, quà eſtunum, per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia PARMENIDE DI VELIA. Nã uia generationis, priorineſtmateriæ appetitusformæ, quàm forma. Forma autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm Parmenidem, idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid Git Chaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſfimus; atqid tumin mundo intelligibili, tumin anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt, quæ ex amore nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur, neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft:quodin decimo de Rep. diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem, ſumpto potu ex Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum. Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum,miniſterio uirtutum,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex alñs, SIGNIFICANS uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo amorcauſanobis eft uirtutumomnium,quarum beneficio maxima bona conſequiinur, hoc eſt, ipſam ſapientiam. Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum.Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ, inftarauri quod igne defæca tur. Quod et Ariſtoteles quo et clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum, quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi expetibilis, Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam,Pombaiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix commo ueatur, iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti uirtu tem, (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles facit. Vnde et Plato in Theäteto, Fu. ga, inquit, hinc ad deum, iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia et ſanctitas cum prudentia præſtant. His ita perſpectis, uidere poſſumus; quomodo amor uirtutum cauſa. lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit, reuo cansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta inultans, nobis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum. Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem.Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem: Amorenimuel abiectiſsimum quemq, licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam,ut numine percitus uideatur. Amorquoq; fica mans amatúmque inſtruit, utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt, Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò adſtruendum,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes: quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile, in quo nihilconitantiæ, nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam, quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili uita, in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt,quà exuit ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur. Namexuere uitam ſenſibilem, nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat expetibilisproſequutionem. In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus enimhuiu £ modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis, quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur, neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam,ita paratuminſtructumós eſſe,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum. Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit, utumbras,hoceft,fimulachrū Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin puritatem iamredactæ. An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum, quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Nam ſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et ACCADEMIA in TIMEO (si veda) idem fermètribuitanimæ diuinæ ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium: quorum notiones in ipſa intelli gibilia excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones,ubi primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli (fabula nosadmonet. Achilles, inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium. Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia:unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit et bonum,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius. meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili, ſcientiam uerò intellectui ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones, quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas: Pen dencenim à ſenſibilibus, ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ. ACCADEMIA igitur quando dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum.Hæfanè intelligente animalongè ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim,ut rectè inquit Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſt utrunca contemplari. Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum, ſicuti etiã ſenſus, &rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit ACCADEMIA, AMANTE propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum, in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem, abijcere uitam fenfibilem,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiad ueritatem compa randam, irritæ ſint: Amatumenim ſenſiliūnotiones SIGNIFICAT. Quod exeo aſſeritur, quoddictum eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx, filieimpedimento ſenſibilis uita. Amatū uerò moriin grati amamantis, SIGNIFICAT notiones ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem intueatur: quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere notiones ſen lilium, intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem, ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit, a matū pro amante, hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia, uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt, Achilliin uitam à dis reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis fuerit.Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pausania dictum eſt, totidem eſſe AMORE, quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem, quideaſit: alioqui philoſophia AMORE (quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam, proindecaulamamoris efficientem. Sunt etiam et alij, qui aliter ſen. tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam putateſfeueritatem,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento, in Phædro dictum eſſe furorem amatorium, et optimū effe furorum omnium, et ex optimis. Exoptimis quidem, quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium, quæcunq ſenſui offeruntur: nam et exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, et ſenſui omnium perſpi caciſsimo ficobuiam.Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles inquit:præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam et in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, et in primo de Moribus adNicomachum, Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem dirigitur, huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, ut PLATONE inquit in FEDRO: quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur, pulchrorum dux puerorum, eorumſcilicet animorum, quos pulchriuehementer prouocat {pectaculü: quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in. dicari: Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt. Quod pulchritudo ſitex eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat eius qualita tis, quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem, ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft et alia qualitas uilibilis,quæ tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum,reuera eſt Pulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit, ut delicata, utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo. Eſto pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim. Quid tum poftea.Num continuò ſequitur,bonum quidem genus ef ſe, pulchrūuerò ſpeciem? Alioqui& ſapiens,& iuftum, et perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft, ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum, negiuſtum, ne s fapiens boni ſpecies ſunt, alioquieſſent quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem genus totum eſt: totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſte declaratur. Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum, neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt. Nónneignieſseignem; bonumeſt:Atquis ambigat per formam,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt: Ve rùmalterūbeneficio uitæ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias, fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis, idipſumgenus effe:contender tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem. Atque id quidem affirmat recta ra. tione. Nampulchritudo ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa rationeexploditur. Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo, reuera intima:quod ex co aſseritur, quoniam unum quod ąeſſentia conſtat. Hinc quidem uidere poſlu. mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis. Ideas enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas diſtinctumeſt: quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere, ubi nam&quo pacto lintideæ. Vtrumânt in eo,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto,uel totum in partibus, uel pars in parte, uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit. Namgenus &ſpecies totius partium (habent ingenium. An ex diuiniPlatonis fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex. Anueluti forma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando alterius beneficio noneſtactu. Sed neque tano accidens in ſubiecto. Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, et terra, et cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus, quandoquidemeſsent poteſtate. Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet? Namper feanimal uita ipfa,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam totum in toto, neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt. Non enim totum ſunt ideæ, quoniam multitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte 1 parte eſſe conMilanius, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius partes eſſe: Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali. Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundi Opifex, continentur in mundo, tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum, quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt. Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt. Ex quoli cetadmirari nõnullos: quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ. Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi (quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli, qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur, nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius, etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodum non nulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum, quodratione ac fapientia ſola comprehendi poteſt: adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè: effe, inquam, animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de Platonis fententia,id exemplar quodmundi Opifex est imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum. Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum: nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis: intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit: quis non uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe: Quomodo igitur idearu: Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt, tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus SIGNIFICET, quid ſit pulchritudo ubiſit. In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia ſitamoris,an potins finis. Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia,pulchritudinemeſſe materiam AMORE. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare, fed tanquam obiectum.AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem,efficiensuerò tanquam patrem,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum. Sed non poſſum non uehementer admirari, quihæcproferunt in medium, uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam. Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem:intelligentiuerò ineſſeſci entiam, ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem: Veritas enim ſci entiæ longè præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin undecimoRerum diuinarum, Expetibile, inquit, et intelligibile mouetnonmotum, quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur. Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc: Mouet icaqz tanquamamatum. Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis ipſius habere ingenium. Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit: At prima pulchritudo ſoli intellectui eſtobuia, quemadmodum oſtēſum eſt,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile. Poſſent &alia multa afferri in me dium,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit.Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta. Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus. Expetibile autē obiectõeſt, quo fit, ut bonum ut bonum obiectum ſit: Gaddas, obiectüeſſemateriam, bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum, bonumipſummā teriam eſſe: Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit: bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia: quo pacto Amorem exoriridicendum eſt: Anubi primumcognoſcendi facultas, pulchritudinem ut delicatam, ut iucundam,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur.Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac per frui delicato, iucundo, AMABILE, utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera AMORE eſtappellandus, hoceft, appetitus et deſideriū perfruendæ pulchritudinis. Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap. petendi:pulchritudo illud,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus, exponentes, quid nobis per Peniam fit intelligendum, quam eſſematrem AMORE affirmat ACCADEMIA. Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſe materiam AMORE. Nunquam enim dicit Plato, Venerem (quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris, ſed potius amorem co, mitari ſequio Venerem, quippe quiVenerisipſius eſt, in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ. Nonnulliſunt, quidicant, quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur (cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo fit, ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè dicent, nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint, deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit habere quodämodo poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua cognofcit. Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit. Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt. Nobisſatis erit afferre in mediū,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim, quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari: fed quę caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur. Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē. Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere. Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem. Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft,cognitionem eſſe poſſeſsionem. Adhæc, uerum et bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi. Ex ueri perceptione aſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret, uoluptatisquo particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no perficit,fed appetētem.Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum:altera uerò,hoceſtuoluptas, uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon poſsidere,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia, quòdcerto quodã tertio participent (cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim:quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus. Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, et cætera generis eiuſdem, fimilia et ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde et ARISTOTELE in undecimo Rerūdiuiuarū,Ěx petibile,inquit, et intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturno motūmoueat, deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id, quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare: Non ſunt quoqz ſimilia,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio, quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, si qua eft ſimilitu do,utdeſideras &id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés. Quã quidē fimilitudinēnemoeſt omniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse: Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur. Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem. Nã propterea effici ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem, nulla finispoſseſsio eſt: finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu: do poſseſsionēdicit. Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit, deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate: Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis pricipiūelt. Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri, acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft:Ěxhis perſpicuñeſse arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur pociūdi illius: quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt autem quam uehementiſsime ſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio. Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non ratiocinatio,non opinio, ſiue cogitatio, nõ ſenſus aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem,unde uenerunt,libieſſeproperandum, indebonumuberri mèadfequutura. Hicquidem ſenſus, quem Intimū Naturęgsappella mus, principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită intelligēciāõpro cedat. Nãuita intelligentiaõ progreſsioeftin bonū.Progreſsio aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim, quàmeft,præféntit ex auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt. Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis et ipſiusauctor eſt. Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus. Effentie, in quit,animæ ipfius ingenita quedam ineft deorum cognitio,omniiu dicio melior,antecedens electionem,ratiocinationem, demonſtrati onem omnem: quæ quidem interexordia inhærens in propriam cau fam,coniúcta eſt cumeo animæappetitu,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi, meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium, quaſi abextima intelligentia dirigantur.Namfieri nequit,utextima fit cognitio,appetitusuerò intimus. APPETITVS enim cognitionem fequitur, eiuſdemqz rei eſt cognoſcere et appetere. Huncienſum ue. teres Magiobſeruauere, hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum acline ſtrepitu appellauit. Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget ope externorum, fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat. Qua propter mea quidemfententia, quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus nitătur (alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic et cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur, neceſſe eſt. Hecquidē cognitio quéadmodūnā 1 eſtbonipoſſeſsio (alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius poſsidēdi principiū:pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem. Quo fit, ut recta rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam. Quomodoautem NON SOLVM AMOR SED APPETENTIA omnis,media ſitinter idquodbonum eſt, atquenonbonum: quidper Porum, quidper Peniam AMORE parentes diuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris finem, non materiam: declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem, quemadmodumnõnulli comminiſcuntur. In præſentia declarandum eſt,quænam, qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato, uidebimus quinam, qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit AMORE. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum. Rurſus intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet et obscurum. Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile, quod nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant firmitatis.B, rõrinus Pythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem inſcribitur, Cogitatio, inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut et cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft,citra compoſitionem, id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra compoſitionem aliorum primum. At cogitatio tummultiplex eſt, tum partibilis, id quod fe cũdo intelligit: ſcientia enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per illud, quod dictur, Scibile, demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata, non attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili: fed per rationem, et quandam,ut fic dixerim,ab ideis declinationem acdeſcenſum. Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum,quæcuque rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium, idearum imagines, ex empla ſenſibilium,eandem habentia ad ideas comparationem,quam habétumbræ et imagines in ſpeculis aduera corpora, quę& àcorpo ribus profluunt, et in eiſdem,& beneficio eorundem, ſenſui fiuntob uiam.Sicutig et mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, et i, dearum beneficio habéntfirmitatem. Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt. Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam, quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum,ut elementa, et reliqua corpora naturalia. Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ et à corporibus naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur, necſenſuifiuntobuiam. Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis ac imagines. Addunt Syneſius et Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia,ad certam intercapedinem integrum feruantia characterem.Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm et ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas TARENTO (si veda) in eo libro, cuide intellectu et ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, quibus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus. Quæom nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur. Nam ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur, noneftcurhæſitemus intelligibilis generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul, necinter diuina cõnumerabimus (quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat manus extremeratio ni: proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris ſit, media quoơſciệtiã eſſe, cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum &umeft: Intellectus fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea et illud:deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari, tan quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce ait: Naturalem philoſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe, cùm eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum (quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip. ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam,quæcunque non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur: Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud: nobis autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere. Proinde aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam, quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nim operæ precium de iis etiam fieri meditationem, quorumopus, et organum natura eſt. Huncautem eſſe diuinū opificem,diuinamą. animam, PLATONE afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius, cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis necalieno indiget adminiculo,utmaneat, et fuapte na tura intellectui fit obuiã. Eftenimuera et abſoluta participacione, quicquid per femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui ipſius,tumalterins dicatur eſſe, ut rectèin quit Proclus. Siquidem ipſius, quòd eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem, quòdin corpus propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit, utalteram quãdam animã producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur, quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum, quæ cunque cum materia commnicandæ ſunt. Hæc in præſentia de animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon. templabimur. Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus. Quod etiam PLATONE SIGNIFICAVIT IN TIMEO, appellans animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem, ideasý, hoceſtin telligibilem mundum,quamprimam quoộmentem,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibile complectiir rationalem animam, complecti et om nia corpora naturalia, cælum,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia, plantas,& cætera generis eiufdem. Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, et fiqua ſunt alia id genus. Adhęc et ea profluuia corporum naturalium,de quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines, quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem, effe quoqj et ſenſibilem. Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram. Claramquidem, tum quæ mundi intelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe, quam in mathematis contemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ, tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus: quamquidem claram appellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, et fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non elegans admiſcetur, nonconcionum, undequaqcompofita, undequaqfibi ipficonfentiens. Anime quoq rationalis pulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum naturalium,non fine materia eſſe poteſt. Anima enim irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft, ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt, cæleſte ſcilicetacplebe ium:coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis ſit, ſiue mathematum,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ pulchritudinis, plebeius et ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse appe. 1 titum. titum deſideriumộ pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile. Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor, circa primam pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret,ut pauloante dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam, in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ. Huiuſmodi autem conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt, Amoremeffe principium producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem,ni. fi et ea quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu,quòd cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio pulchritudinis,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ,cu, ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum (quam ſecundam animam appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem:fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam, in qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur, quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem, transfert in materiam pulchritudinis illius participationem, quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet et ipſaſempiternum, quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem. Anima enimquàanima,uicam alicui exhibere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum, quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus et lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. ARISTOTELE quo in fecundo libro de Generatione animalium, Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus, ſiuepotentia, corpus aliquod participare uidetur, idő magis diuinum,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere poſſumus, Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod cælo proportione reſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam et plebeius. Habet et alia ratione utrun amorem animano ſtra. Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum,proindeq pulchro illo potiri im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro nonadgenerationem, ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur, unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet: declaratum quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps: quòdpulchritu do noneſtamorismateria,fed finis: quòd nonelt idex, necin ideis: quòd amor nullam habet pulchri poſſeſsionem, ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum atque non pulchrum: quod to. tidem ſunt amorum genera, quot pulchritudinum: quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur, quo fit ut amor partim plebeius, partim cæleſtis ſit: quòd in omni ani. ma rationali utrunque amorem ſit inuenire, in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat, ut diuiniPlatonis fer e uc uc monem interpretemur. Pauſanias apud ACCADEMIA laudaturus AMORE, improbat FEDRO, quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt, oportet,inquit, declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus et àbono,& in bonum. Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum:tantum abeſtutlaudari debeat, ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum,hunc ipſum bonū effe,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò, quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor, inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita: propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter.cæleftis eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem: alter uero plebeius, qui plebeiam comitatur. Dux,inquit, Veneres ſunt, hoceft,duo pul chritudinis genera: ut Plotinum, alios omittamus. Nam Plotinus putat, Venerem eſleipſam animam. Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à ACCADEMIA dicuntur in Phædro, Venerem nihil aliud, præter pulchritudinem, SIGNIFICARE. Cui quidem sententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud Platonis, Furoris amatorñ patrociniū tributum eſſe Veneri, apertè dicit,Venerem SIGNIFICARE pulchritudinem. Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem. Quod quidem etiam obnixè contenderem, ni magnus Plotinus meremoraretur. Tantum enimei uiro tribuendű cenfeo,utexiſtimem, huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio, fiue is ſitNumenius Pythagoræus, fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag. nus Syrianus,quem Proclus non ſecus acnumen colic. Ergo dug Veneres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre: alteram louis Dionesof stirpem. Vetus est dogma (cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt, Porphyrius, Amelius Longinusadftipulantur) tria effe rerü omnium principia, Perſeunum,Mentem, Animam. Aperſeuno eſſe Mentem, quam uocant Mundum intelligibilem, à Menteeſſe Animam, ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus elargiri unitatem: Mentemſiue mundum intelligibilem elargiricon ftantiam:Animamueròmotum. Rurfus,per ſeunum quandoque Cælumappellari, Mentemuerò Satúrnum, Animam lovem. His itaqz conſtitutis, poſſumus dicere, E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem, ideſt, primam pulchritudinem, quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam,inquam,exipſo per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt. Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit enim ſecundum à primo, per fimplicem quandam proceſsionem (ſicuti lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam ab intelle ctu, et materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum, Mundumin telligibilemn,Animam ipſam,Naturam animæ inſtrumentum, Cor pusMateriam,. Infra autem noneſt deſcenſus. Vnde et Orpheus, In ſexta, inquit, progeniecantilenæ ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato. Poteft &alia ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Venerem dici Cælifiliam eſſe. Namin CRATILO dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem: Saturnum purita tem intellectus: Iouem uerò uiuentem, et perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo ſeipſum uidet, Saturnus, quali lit pura intelligentia, in ueritatem incumbens: Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum participabilem eſſe.Qui quidem dicitur mundi opifex, quandoquidem mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita, quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur, quandoquidem principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis. Pulchritudo ením uitam fequitur, ut dictumeft. Eft autem fine matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platone diſſentire,qui dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem, fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam,quæ àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere. Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré, quã Cæleſtis Venusnon habebat. Iupiter SIGNIFICAT mundi animam, quemadmodūpatet ex his,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deorum dæmon umą exercitus, per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louem eſſemundi animam. In Philæbo quoque dicit ACCADEMIA, In magno loue eſſe regium intellectum, eſſe et regiam animam: lig. nificans,mundi animam tumuninerſali intelligentia, tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun, dùm Platonem. Dione autem Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur, mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft. Vnde et Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe conſtituium: quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere debet, mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė diči poſsit: quando quidemand trüdros, hoceſt, à loue trahit originem. Eft itaque plebeia Venus, louis Dioneső filia:quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo tum pendet à mundi anima, cuius eſt inſtrumentum ad generationem, tum etiam materiam mundo ne. ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd ſuopte ingenio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia; quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria ſeiungiturubi, ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pulchritudinis Amor diuinuseſt: qui non folùm diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis, quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem: Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft: is At vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enim Hercules eſt: Herculis autem imagines complures. Vnde&illud ACCADEMIA in TIMEO (si veda) in contro uerliam trahitur, propterea, inquit, munduseft unus, quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum imitetur: Ariſtoteles cùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium, ex tota ſua materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia: non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia, femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam: ut equus,utleo, et fi quaſuntalia generis eiuſdem. At uerò quæcunqextota materia fua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam,multitudinemindicare ſingularium.Quod etiam in undeci. Mo Rerumdiuinarum clara voce dictum eſt. Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum,non ex eo oftendit, quòdmateria eſt una (quemadmodum LIZIO fecit ) nec exco, quòd mundi essentia in corpus unum occurrat,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum, acceptumre. fert exemplaricaufæ. Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft et mundum eſseunum. Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum, omnes exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur, quid prohiberet, in infinituma bire: At aſserere, ab uno opifice infinitos eſse mundos, ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum, multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent: Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum eſseu num. Acexemplareſſeunum, opificem unum, facilè oftendi poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula ualerent idem. Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio perfectiuseft,nónne in id,quod eſt præſtan tius, ſemper opifex intuebitur unde et cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum. Quapropter recte dictumeſt à diuino PLATONE, Mundum propterea unum eſſe, quòd exemplar unumimitetur. Quo fit, ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum, quòd exem plar unumimitaretur: quando uidemus, exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp perfectiſsimus: cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum, autex opificis de bilitate: autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam, opificem unum, huncés perfectiſsimum: complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, et fiqua ſunt generis eiufdem, ideam eſſe unam, complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum. Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde et animæ omnesrationales, de ACCADEMIA fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe. At intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima dicit de mente LIZIO, intellectum illuminantem eſseu num, illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter et animarum diſcurſiones, et uitæ, ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam. Soluitur et alia ratio.Nam propterealeoniseftidea una, exemplar unum, par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac perfectum,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani, et cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem. Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens, ab homine et ſole hominem generari, Hactenusdeclaratum eft, liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft, quo pacto contingitmultitudinem in cidere. Nuncuerò reſtat, ut eirationi reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines, propterea quòd concin git finemeſſeunum:complura uerò, quæ illius gratia ſunt. Nampul chritudò finiseft amoris. Dicimusigitur, id quod habetrationemfi nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximè expetibile. Qua propter quoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt finis,reuera et primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate,expetitur,eſleid,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum, ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta lint. Vbiuerò unumexpetibile, appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo, numſit, unum quoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum,quod cùm primò bonum ſit, omnibusadeſt, ſuntalia et bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī, et fi qua ſuntgeneris eiuſdem. Rectè igiturà diuino Platone dičtum eſt,totidem effè AMORE, quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium. Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo expetibilium:neceffe eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo ſunt AMORE. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem AMORE esse materiam. Ex his ratio illa facilè diffolui tur. Adftruitenim polito appetibili uno, contingere, ut complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt, non tamen continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam pulchritudo fi unafit, etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle, unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis ſententiam èffe: arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem, alterum ple bcium appellauit: quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur, altera plebeia, accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe ſitæſtimandus. Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt, ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum, ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem, ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo, intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf: cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam uiuens, ſiue cæleſtem ac dæmonicam,fiuecorpus terrenum, elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat uniuerſi facultatem, quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima omnis eft uniuerſum,. quin profuo efficiatingenio, ubicunq efficit. Hinc legas apud Platonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam diuinum,in animantium genere, fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum. In ſeptimo quoc eiuſdem operis, Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt:homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus, fuo quodam modo fit uniuerſum. Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat, hominis pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq; huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum,niſi quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem talisaggreditur, quodcunqobtigit, ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem, quoni amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli, materiçuicem gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò,quoniã quandoquſą adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur, ut credat ſeibi generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan. doquidéanimus diuina res eſt,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria exhibitură. Amatquo et potius ſinementehomines, prudentes. Quoniam non facile est prudentes decipere, qui mente ualentacnitunturratione. Non eft autem consilium, ea incommoda in præsentia recensere, quod tales AMATORES suis AMATIS adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub cogitant, niſiquo pacto valeant voluptatem explere: Vndeſiamati pauperes fuerint, sine necessarios, sine clientelis, lineamicis, adheline omnianimi cultu, cuiusmodi sunt disciplinæ bonarum artium, sine quibus nemo VIR magnus esse potest, deniam sine DIVINA PHILOSOPHIA, quæ homines facit prudentissimos, miruminmodum gaudent, quasiex calamitatibus eorum suam felici tatem auspicaturi. Qua propter improbandi, reiciendi, inſectandig ſunt, tanquam maximè pernicioſi ac noxij, quippequi genus huma num maximis detrimentis, bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirum fi legibus cautum eſt, nullo pacto vulgares AMATORES audiendos esse, quasi impudentissimi iniuſtissimiĝzlint: Huiusmodi igitur ac similium affectuum auctores tilla SENSIBILIS PULCHRITUDO, quam Venerem plebeiam appellat ACCADEMIA. Trahitenim, ut dictum eſt, rapitớs animam ad corpora (quod animæ maximum malum eſt) nisi optimi moreš diuini acobftet PHILOSOPHIA, cuius beneficio veritatis partici pamus. Atverò si PULCHRITUDO SENSIBILIS ſit instrumentum ad diuină pulchritudinem, Venus cælestis VRANIA rectè dicitur: affectus õz ille, qui cir ca hanc uersatur, AMOR quoque cælestis iure appellatur. Provocatau tem ad diuinam pulchritudinem, non fæminæ pulchritudo, ſed maris. AMATOR enim diuinus, cùm probè nofcat fæminam generationi deſeruire, in mare uero generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret) fit utiqz MASCVLÆ PVLCHRITUDINIS et fectator adeò et admirator: quippe qui pulchro uti AMET, non tanquam in quo explicet seminalem pulchritudinem (quemadmodum euenit plebeio AMATORI) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem, ac tumdeinde in diuina mattollatur. Probat autem non pueros adhuc mentis expertes, sed adoleſcentes, quimente valere iam cceperint. In certum eſt enim, an pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in primis VIRTVTEM, optimum (Banimi habitum admiratur. Ergo adolescens ubi furentem amicum contemplatur, quàm omni uirtutum genere abundet, non minus obferuare ac colere debet, in omne oble quium paratissimus, quàm deorum immortalium statuas colendas cenfet. Scit enim cumeo divinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibi cogitandum efle, niſiquo pacto ualeat omne uirtu tumgenus explicare, ut diuino AMATORE dignus AMATVS et uideatur et fit. Hactenus Pausaniæ sermonem explicasse ſatis erit. Nam quæ dicunturde Aristogitonis et Harmodñjamicitia, quæíz deuarijsa mandi legibus, tum apud græcos, tumetiam apud barbaros, explicanda alijs relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſilium eft, quæ uideantur ad Philoſophiam pertinere. Eros non è nato né immortale né mortale, ma nello stesso giorno, ora fiorisce e vive, se vi riesce, ora muore, per poi risuscitar, di nuovo. (Diotima a Socrate) Sigmund Freud, nella creazione della psicoanalisi, dette un rilievo assolutamen- te centrale alla sessualità; per essere più esatti le pulsioni sessuali, o libido, poi eros, rappresentarono uno dei cardini portanti sui quali ruotò la metapsicologia freudiana, nonché la ricostruzione delle dinamiche intrapsichiche e relazionali nelle loro manifestazioni patologiche e non. Tutto questo è risaputo. È anche noto che al riguardo Freud si richiamò ripetutamente all'eros di Platone. L'obbiettivo di questo contributo è di sondare brevemente in quali forme e con quali significati egli si riallacciò alla concezione del filosofo greco, se i richiami risultano giustificati sul piano storico e filologico, e infine se fu la lettura dei te- sti platonici a suggerire a Freud determinate valenze dell'eros; dunque se vi sia una "paternità" platonica della rinomata concezione della sessualità freudiana. Vi sono due indirizzi principali rispetto ai quali Freud si appoggiò a Platone, che segnano al contempo due delle più importanti vie della concettualizzazione della sessualità: l'una concerne la sua estensione sul piano delle dinamiche psi- chiche; l'altra la sua trasposizione sul piano biologico, a sua volta articolata in due filoni. Seguiamo la partizione freudiana. Lo scudo della divina ACCADEMIA In Massenpsychologie und Ich-Analyse, scritto e pubblicato, il concetto di libido, e con esso l'estensione della sessualità in esso presupposta, è diret- tamente ricondotto a tutto ciò che rientra nell'universo semantico della parola Liebe\ ove Liebe va dal «Geschlechts-liebe mit dem Ziel der geschlechtlichen Vereinigung» fino all'amore per le «abstrakte Ideen» Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, in Gesammelte Werke, Libido ist ein Ausdruck aus der Affektivitatslehre. Wir heifien so die als quantitative Gròfie betrachtete - wenn auch derzeit nicht meBbare - Energie solcher Triebe, welche mit ali dem zu tun haben, was man als Liebe zusammenfassen kann. Wir meinen also, dass die Spra- che mit dem Wort "Liebe" in seinen vielfàltigen Anwendungen eine durchaus berechtigte Zusammenfassung geschaffen hat, und dass wir nichts Besseres tun konnen, als dieselbe auch SOLINAS Difendendo tale operazione dallo «Sturm von EntrUstung» che sollevò, Freud si riallaccia direttamente a Platone: Und doch hat die Psychoanalyse mit dieser "erweiterten" Auffassung der Liebe nichts Originelles geschaffen. Der "Eros" des Philosophen Plato zeigt in seiner Herkunft, Leistung und Beziehung zur Geschlechtsliebe eine vollkommene Deckung mit der Liebeskraft, der Libido der Psychoanalyse, wie Nachmansohn und Pfister im Einzelnen dargelegt haben. Diese Liebestriebe werden nun in der Psychoanalyse a potiori und von ihrer Herkunft her Sexualtriebe geheifien. Il tono essenzialmente difensivo del richiamo a PLATONE emerge in modo ancor più esplicito nell'immediato prosieguo: Wer die Sexualitat fllr etwas die menschliche Natur Beschàmendes und Erniedrigendes halt, dem steht es ja frei, sich der vornehmeren Ausdrucke Eros und Erotik zu bedienen. Ich kann nicht finden, daB irgend ein Verdienst daran ist, sich der Sexualitat zu schamen; das grìechische Wort Eros, das den Schimpf lindem soli, ist doch schliefllich nichts anderes als die Obersetzung unseres deutschen Wortes Liebe. Considerazioni analoghe, e con la stessa identica intenzione difensiva, aveva svolto del resto Freud l'anno prima, nella nuova prefazione ai tanto celebri quanto discussi Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, quando ricordava a tutti coloro che lo accusavano, indignati, di "Pansexualismus": «wie nane die erwei- terte Sexualitat der Psychoanalyse mit dem Eros des gSttlichen Platon zusam- mentrifft» Per individuare i dialoghi platonici cui si riferisce qua Freud vi sono due elementi principali: i suoi precedenti richiami al Simposio e il rimando ai saggi di Nachmansohn e Pfister. Quest'ultimo, nel suo brevissimo Plato als Vorlàufer der Psychoanalyse presenta una panoramica complessiva dell'eros nel Simposio delineandone la convergenza con la libido e la sublimazione freudiane Nachmansohn nel suo Freuds Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, pubblicato fin dal 1915, aveva del resto già mostrato che unseren wissenschaftliche Erorterungen und Darstellungen zugrunde zu legen». Tutte le ope- re di Freud sono citate dai Gesammelte Werke, Chronologisch geordnet, Frankfurt am Main. Assoun, Freud, la filosofia e i filosofi, Roma [ed. or. Freud la Philosophie et les Philosophes, Paris 1976] commenta: «L'Eros platonico è la forma originaria di quella sintesi che la stessa psicoanalisi promuove attraverso il suo con- cetto di libido, Freud, Vorwort zur vierten Auflage, Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW, rimandando anche qui a Nachmansohn. 6 Cfr. O. Pfister, Plato als Vorlàufer der Psychoanlyse, «Internationale Zeitschrift Air Psychoanalyse, qui p. 267 sg.: nell'ascesa erotica descrìtta da Diotima si ritrova «ciò che Freud chiama sublimazione.nel Simposio, ma anche nel Fedro e nella Repubblica, era contenuta una conce- zione dell'eros equivalente a quella psicoanalitica, sia quanto all'estensione se- mantica sia quanto al concetto di sublimazione 7. Le coordinate testuali entro le quali si inscrivono i richiami freudiani sono dunque rappresentate da questi tre dialoghi. Quanto al Fedro, Freud stesso avrebbe di lì a poco adottato - tacitamente - la metafora del cavaliere quale emblema dell'utilizzo da parte dell'Io dell'energia erotica dell'Es 8, rielaborando così l'immagine della biga alata richiamata da Nachmansohn 9. Quanto alla Repubblica, citata da Freud in riferimento al sogno 10, è stato scritto molto rispetto alle affinità con la concezione psicoanalitica (in parte intuite da Nachmansohn) 1 a cominciare dalla idraulica dell' epithymia, alle modalità di gestione repressive e sublimanti del desiderio, all'analisi dell'emersione onirica 12 ; tale questione ci allontanerebbe però dal nostro tema perché più che di paternità sembrerebbe qui trattarsi di anticipazioni; veniamo dunque al Simposio e cerchiamo di capire se l'estensione freudiana vi trovi effettiva corrispondenza. Nel discorso di Socrate-Diotima ove è contenuta la concezione che può esser considerata rappresentare quella di Platone, l'eros si configura anzitutto quale forza sessuale in senso stretto, riproduttiva: è in virtù di eros che uomini e Cfr.Nachmansohn, Freuds Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, Zeitschrift filr Àrztliche Psychoanalyse. L’ACCADEMIA anticipa la concezione della libido e la concezione della sublimazione di Freud: l'eros copre infatti tutte quelle manifestazioni che vanno dall'istinto di conservazione alI'amore per la scienza. Freud, Das Ich und das Es, GW; Id., Nette Folge der Vorlesungen zur Einflihrung in die Psychoanalyse, GW, voi. XV, p. 83. Sulla paternità platonica dell'im- magine cfr. tra gli altri A. Kenny, Meritai Health in Plato 's Republic, in Id., The Anatomy of the Soul, Bristol and Oxford Price, Mental Conflict, London and New York Nachmansohn, si richiama alla Vernunft quale Lenker der Seele rimandando direttamente a Fedro, ovvero ai passi del mito della biga. Sui richiami a Repubblica, cfr. S. Freud, Die Traumdeutung, GW, voi. II/III, p. 70 e p. 625, entrambi aggiunti nel 1914, e Id., Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse, GW. Cfr. Nachmanoshn: «Die Sublimierungstheorie Freuds fìndet sich schon ausfuhrlicher bei Plato und "der Staat" bringt noch eine noch auszubeutende padagogische Lehre, um die Sublimierung des Eros in die Wege zu leiten». 12 Cfr. ad esempio W. Jaeger, Paideia, voi. Ili, Berlin Popper, The Open Society and its Enemies, London 1 966, voi. I, p. 313; C.H. Kahn, Plato's Theory of Desire, «Review of Metaphysics; A. Kenny, Price, Plato and Freud, in C. Gill (ed. by), The Person and the Human Mind, Oxford, soprattutto pp. 261-3; J. Lear, Open Minded, Cambridge 1998, p. 10 sg. e p. 108; M. Stella, Freud e la "Repubblica": l'anima, la società, la gerar- chia, in M. Vegetti (a cura di), Platone, La Repubblica, Napoli 1998, voi. HI, pp. 287-336. Ho cercato di affrontare alcune di tali questioni in M. Solinas, Unterdriickung, Traum und Unbewusstes in Platons «Politeia» und bei Freud, «Philosophisches Jahrbuch» 111, 2004, pp. 90-112. animali «sentono il desiderio di generare (yevvav è7tt0i)u/n,o-Tj)» (207 a). Il con- cetto viene quindi "esteso", sì da risultare il fondamento di ogni tipo di amore, come emerge nella celebre ascesa erotica: se il giovane all'inzio «deve amare (èpfiv) un determinato corpo», poi «bisogna far sì che divenga l'amante (èpaornv) di tutti i corpi belli, e che allenti la veemente passione per uno solo», in modo da poter amare «la bellezza ch'è nelle psychai», esser «indotto a con- templare il bello che è nelle istituzioni e nelle leggi», nelle scienze, fino alla contemplazione della bellezza in sé. Così, il giovane che «è stato educato nell'eros (npòq xà èpamKà naiSaycoYtiGfì) fino a questo punto» giungerà alla conoscenza; è perciò grazie alla forza dell'eros che si può giun- gere alla philo-sophia. Platone si riallaccia così alla precedente defini- zione della philosophia quale desiderio (epithymia) erotico per la sapienza di cui si è privi (200 a-e). In sintesi, l'eros, volto originariamente alla procreazione sessuale, grazie alle corrette modalità pedagogiche adottate a livello extrapsichico, mostra di po- ter essere modellato, plasmato intrapsichicamente, "sublimato" utilizzando il linguaggio freudiano, sì da trasformarsi da forza sessuale in forza amorosa, in eros-philia o Liebestrieb come potremmo dire 14. Da questo punto di vista la vollkommene Deckung quanto a Herkunft, Leistung und Beziehung zur Geschle- chtsliebe tra eros e libido individuata da Freud (come da Nachmansohn, Pfister e più tardi da molti altri commentatori) si rivela sostanzialmente corretta; sebbene la convergenza sul piano ontologico e filosofico-antropologico - non debba essere spinta oltre i confini posti dallo statuto di Eros quale «demone me- Seguo la traduzione di CALOGERO (si veda), L’ACCADEMIA, Il Simposio, Bari. Freud attribuirà paritariamente a Goethe e Platone una concezione aitine a quella della sublimazione in Freud, Goethe-Preis, GW: Den Eros hat Goethe immer hochgehalten, seine Macht nie zu verkleinern versucht, ist seinen primitiven oder selbst mutwilligen Àufierungen nicht minder achtungsvoll gefolgt wie seinen hochsublimier- ten und hat, wie mir scheint, seine Wesenseinheit durch alle seine Erscheinungsformen nicht weniger entschieden vertreten als vor Zeiten Plato». Già A.E. Taylor, Platone. L 'uomo e l'opera, trad. it., Firenze, pur accostando l'eros all'amore cristiano ne ribadiva l'originaria forma sessuale ed istintiva di «desiderio bramoso. Tra i tanti crìtici si veda ad esempio Dodds I Greci e l'Irrazionale, Firenze [ed. or. The Greeks And The Irrational, Berkeley/Los Angeles/London 1951] che commentando il Simposio scrive: Platone qui si avvicina molto al concetto freudiano di libido e sublimazione. Nello stesso senso va Tourney, Freud and the Greeks, History of the Behavioral Sciences; H. Marcuse, Eros e civiltà, Torino [ed. or. Eros and CMlisation. A Philosophical Inquiry into Freud, Boston, scrive che l'ascesa rappresenta una «sublimazione non repressiva; VEGETTI (si veda), L'etica degli antichi, Bari., senza rimandare a Freud, scrive che nel Simposio si tratta di eros sublimato. diatore, e dal legame, invero assai significativo, tra desiderio erotico e bellezza, originario in Platone, derivato in Freud. In conclusione, la paternità storica della concezione freudiana della libido quale estensione o ampliamento della sessualità spetta di diritto a Platone. Con paternità però in questo caso non si deve pensare ad una influenza diretta del pensiero platonico su Freud; la teorìa della libido infatti, sia quanto all'adozione del termine (latino), che rìsale ai primissimi testi di Freud 17, sia quanto al modello di funzionamento che ne permette la sublimazione, anch'esso di antica data 18, non sembra infatti esser stata suggerita dalla lettura dei testi platonici. Resta invece il fatto che Freud poteva legittimamente farsi scudo dell'autorità della divina ACCADEMIA, e questa era in verità la sua primaria intenzione, di fronte all'indignazione ed alle proteste sollevatesi da più parti contro la sua teoria che attribuiva all'eros si grande rilievo pressoché a tutti i livelli della vita psichica, rinvenendo nell'antico filosofo greco un precursore. Platone levava ancora una volta alta la sua voce, questa volta a difender però la potenza 'positiva' di un'energia psichica, l'eros, per tanti secoli temuta quanto bistrattata, anche in suo nome. Il discorso sulla "paternità" dell'eros assume invece un'altra direzione ove si prenda in considerazione l'estensione della libido o dell'eros al piano biologico; con ciò veniamo al secondo significato attribuito all'eros. I due suggerimenti del Simposio Jenseits des Lustprinzips segna una tappa fondamentale per la psicoanalisi perché in esso Freud inaugura la nuova concezione dualistica delle pulsioni di vita e di morte (che qui tralasciamo), attribuisce ad entrambe carattere regressivo, e adotta una concezione per cui la pulsione sessuale, o libido, o meglio Eros, riportato sul piano cellulare, viene identificato quale forza che «alles Lebende erhalt», garantendone la potenziale immortalità. Quanto al carattere regressivo o funzione di riprìstino attribuito (anche) alle pulsioni sessuali, Freud richiama esplicitamente «die Theorie, die Plato im Symposion durch Aristophanes entwickeln làBt»: l'ipotesi esposta nel mito, scrive, «leitet nàmlich einen Trieb ab von dem Bedùrjhis nach WiederherstelCfr. ad esempio Freud, Dos Unbehagen in der Kultur, GW: Einzig die Ableitung aus dem Gebiet des Sexualempfìndens scheint gesichert; es wàre ein vorbildliches Beispiel einer zielgehemmten Regung. Die "Schoneit" und der "Reiz" sind ursprttnglich Eingeschaften des Sexualobjekts». Cfr. Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della Psicoanalisi, trad. it., Bari. [ed. or. Vocabulaire de la psychanalyse, Paris], per cui il termine «lo si incontra a più riprese nelle lettere e nelle minute indirizzate a Fliess e per la prima volta nella Minuta E. lung eines fruheren Zustandes»^ 9. Egli sintetizza il mito ricordando che anticamente v'erano i tre generi del maschio, della femmina e dell'androgino, in cui tutto era doppio finché Zeus non si decise a tagliarli in due, per citare infine: Weil min das ganze Wesen entzweigeschnitten war, trieb die Sehnsucht die beiden Halften zusammen: sie umschlangen sich mit den Handen, verflochten sich ineinander im Verlangen, zusammenzuwachsen. Freud rinviene dunque nel mito arìstofaneo, legittimamente, un modello che soddisfa proprio quella condizione che egli cerca di soddisfare, ovvero la funzione della pulsione sessuale di ripristinare uno stato precedente, di raggiungere una meta antica 21. Con ciò abbiamo una dichiarata ammissione di paternità storica dell'eros quanto al suo carattere regressivo. Quanto all'eros "che conserva", Freud, sempre discutendo il Simposio, non si richiama più direttamente ad Aristofane bensì al Dichterphilosoph; questo sembra un indizio della sua consapevolezza perlomeno del fatto che nel mito aristofaneo il discorso sulla separazione originaria concerne esclusivamente la natura umana, l'eros non ha la valenza biologico-universale attribuitagli da Freud (che ora vedremo), concezione che si ritrova invece pienamente nel discorso di Socrate-Diotima. Egli sembrerebbe dunque coniugare parallelamente le sue due nuove concezioni attribuite all'eros e i due discorsi del Simposio: il ripristino grazie al mito di Aristofane, la funzione universale grazie al discorso socratico; operazione che, sebbene contravvenga in parte al dettato platonico, mostra che Freud sembra volersi riferire ad entrambi i discorsi, ed è ciò che qua conta Freud, Jenseìts des Lustprinzips, GW. Cfr. ACCADEMIA, Simposio, traduz. Wilamowitz-Moellendorf. Freud scrive che non citerebbe l'ipotesi contenuta nel mito «wenn sie nicht gerade die eine Bedingung errullen wUrde, nach deren Erfullung wir streben». Anche Gould, Platonic Love, London, riporta l'interpretazione freudiana del mito esclusivamente alla questione del «carattere regressivo»; cfr. anche P.L. Assoun, Finita la citazione prosegue Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit., p. 63: «Sollen wir, dem Wink des Dichterphilosophen folgend, die Annahme wagen, dass die lebende Substanz bei ihrer Belebung in Ideine Partikel zeirissen wurde, die seither durch die Sexualtrìebe ihre Wiedervereinigung anstreben?». Ove la liceità agli occhi di Freud di una coniugazione dei due discorsi verrebbe confermata dall'osservazione per cui rispetto al mito, Platone «sich nicht zu eigen gemacht, geschweige denn ihr eine so bedeutsame Stellung angewiesen natte, hStte sie ihm nicht selbst als wahrheitshaltig eingeleuchtet», ivi, p. 63, nota aggiunta; interpretazione che come sappiamo si scontra irrimediabilmente con la negazione da parte di Socrate della concezione del ripristino dell'unità originaria di Aristofane, cfr. Simposio. L'idea guida dell'eros quale forza che alles Lebende erhàlt, assicurata dall'estensione delle pulsioni sessuali alle singole cellule, è garantire una «potentielle Unsterblichkeit» alla materia vivente (se si vuole: mortale): das Wesentliche an den vom Sexualtrieb intendierten Vorgangen ist doch die Verschmelzung zweier Zelleiber. Erst durch diese wird bei den hoheren Lebewesen die Unsterblichkeit der lebenden Substanz gesichert. Così, con taleAusdehnung des Libidobegriffes auf die einzelne Zelle wandelte sich uns der Sexualtrieb zum Eros, der die Teile der lebenden Substanz zueinanderzudràngen und zusammenzuhalten sucht» 2 ^; la sessualità converge quindi con «den alles erhaltenden Eros», «mit dem Eros der Dichter und Philosophen. Nel corso degli anni tale concezione verrà conservata e ribadita per sempre da Freud, di contro a quella del riprìstino più tardi abbandonata, e ricondotta anche in seguito esplicitamente al Simposio: nel 1924 ad esempio scriverà che «was die Psychoanalyse Sexualitat nannte, deckt sich mit dem allumfassenden und alles erhaltenden Eros des Symposions P/atos», che le pulsioni sessuali vengono chiamate «erotische, ganz im Sinne des Eros im Symposion Piatosi 1. So wilrde also die Libido unserer Sexualtriebe mit dem Eros der Dichter und Philosophen zusammenfallen, der alles Lebende zusammenhalt. Tale concezione era esplicitamente compresa anche in Freud, Massenpsychologie und IchAnalyse, ove Eros alles in der Welt zusammenhalt; si veda anche Freud, DAS ICH und das Es, GW; Id., Hemmung, SYMPTOM und Angst, GW, voi. XIV, p. 152; Id., Das Unbehagen in der Kultur, GW; Id., Die endliche und die unendlìche Analyse, GW, (ove è ripreso Empedocle di GIRGENTI (si veda)); infine nel Abrifi der Psychoanalyse, GW, Freud ribadisce: meta dell'Eros è «immer grofierere Einheiten herzustellen und so zu erhalten, also Bindung» (Empedocle è ivi ripreso nella nota 2); egli abbandona invece esplicitamene il carattere regressivo delle pulsioni erotiche: quanto alla formula «dass ein Trieb die Rttckker zu einem fruheren Zustand anstrebt», «Fttr den Eros (oder Liebestrìeb) kònnen wir eine solche Ànwendung nicht durchfuhren». In nota chiarisce: «Dichter haben Àhnliches phantasiert, aus der Geschichte der lebende Substanz ist uns nichts Entsprechendes bekannt»; è scontato il rimando al mito aristofaneo. Freud, Die Widerstande gegen die Psychoanalyse, GW: «was die Psychoanalyse Sexualitat nannte, [deckt sich] keineswegs mit dem Drang nach Vereinigung der geschiedenen Geschlechter oder nach Erzeugung von Lustempfindung an den Genitalien, sondern weit eher mit dem allumfassenden und alles erhaltenden Eros des Symposions Piatosi.Freud, Warum Krieg?, GW: «Wir nehmen an, dass die Triebe des Menschen nur von zweierlei Art sind, entweder solche, die erhalten und vereinigen wollen, - wir Ora, l'attribuzione di Freud trova effettivamente riscontro nel discorso di Socrate-Diotima. Ad un primo livello eros si configura quale causa ultima che spinge gli uomini e «tutti gli animali della terra e del cielo dapprima ad unirsi l'uno con l'altro (av\i\iiyr\\ai àXXi\\ov;) e poi a curarsi dell'allevamento della prole» 32. Platone amplia quindi ancor più il discorso: «la natura mortale cerca, per quanto può, di divenire eterna ed athanatos. E può riuscirvi solo per questa via, la via della generazione (xfj yevéoei), perché essa lascia sempre dietro di sé un altro essere nuovo in luogo del vecchio» 33 ; ove «ogni singola creatura vivente non conserva mai in sé le medesime cose, ma si rigenera di continuo, deperendo in altra parte, nei capelli, nella carne, nelle ossa, nel sangue e in tutto quanto il corpo» 34. Conclude Platone: in virtù di tale incessante generazione «si conserva (oró^exai) tutto ciò che è mortale, non col restare sempre assolutamente identico, come il divino, ma in quanto ciò che invecchiando viene meno lascia al suo posto qualcosa di nuovo e simile a sé. Con questo espediente, o Socrate, il mortale, sia corpo sia ogni altra cosa (icori a&\ia icori zàXXa nàvxa), partecipa dell'im-mortalità» 36. Eros viene dunque esteso a forza biologica universale che "unisce" e "conserva" «ogni cosa» mortale (se si vuole: vivente) garantendone la relativa e potenziale immortalità grazie ad una sorta di macro-duplicazione, la generazione della prole, e ad una micro-duplicazione, concernente ogni singolo elemento dell'organismo; Platone dischiude così la via che nel XX secolo sarebbe stata battuta dall'estensione biologico-cellulare freudiana dell'eros (che si appoggiava anche sui risultati della giovane microbiologia di Weismann, Woodruff etc, dunque sui processi di duplicazione» cellulare). heiflen sie erotische, ganz im Sinne des Eros im Symposion Platos, oder sexuelle mit bewuBter Oberdehnung des populàren Begriffs von Sexualitat, - und andere, die zerstoren und tdten wollen. ; esordisce qui Diotima: Quale credi, o Socrate, che sia la causa di questo amore e di questo desiderio (ocinov et vai xornot) xoO epco-Eoi; Kai tt^ èjtiG'uu.iaq)?», per proseguire: «Non ti accorgi del tremendo stato di tutti gli animali, della terra e del cielo, ogni volta che sentono il desiderio di generare, ammalandosi tutti e assecondando l'impulso erotico (èpatiKcòc, Siaxi8é|XEva), che li spinge dapprima ad unirsi l'uno con l'altro e poi a curarsi dell'allevamento della prole?».: «fi 8vnxT| <pv>oic, £nxeì icona tò 8waxòv àtei xe etvai icaì àOavaxoC;. StivaTal 8è xavun uóvov, xfj •yevéaei, òxi òeì KaxaXeinei èxepov véov àvxi xoù naXaiov àXkò. véoc, àeì yiyvónevoc,, xà 8è ànoKKòq, Kai Kaxà xàc, xpixac, sai oàpKa Kai òaxà Kai atna Kai aonjiav xò oiòua», sull'apparente manchevolezza del testo cfr. PUCCI (si veda), ACCADEMIA, Opere complete, Bari: «àXXà x$ xò àitiòv Kai 7taAxtiov)ievov exepov véov è^KaTaXelneiv otov ainò fjv. Sulla natura inconscia del desiderio cfr. Comford, THE DIVISION OF THE SOUL [CF. H. P. GRICE, THE POWER STRUCTURE OF THE SOUL] The Hibbert Journal; Price, Plato and Freud; t. Gould. Cfr. Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit., pp. 46-61.Riepilogando, si deve attribuire al dialogo platonico, sia quanto al ripristino arìstofaneo sia quanto all'eros che unisce e conserva, la paternità della concezione adottata da Freud. In questi due casi però, rispetto alla prima estensione del concetto di sessualità, si tratta di una paternità in senso stretto, nel senso che Freud sembra aver ripreso direttamente da Platone le due idee. Ad avvalorare tale ipotesi vi sono i seguenti elementi. Rispetto al mito di Aristofane, va riconosciuto che esso, citato già nel 1833 in una lettera all'allora fidanzata Bernays, è attestato nel corpus fin dal lontano 1905, quando Freud vi accennava nei Drei Abhandlugen zur Sexualtheorié 39 ; si tratta dunque di una presenza (scientifica) di antica data che dopo circa quindici anni si sarebbe andata come a solidificare in una delle teorie biologico-filosofiche più ardite dell'intero edificio psicoanalitico. Quanto all'eros quale forza che conserva è degno di nota sottolineare che fin dal 1910, nel suo Leonardo, Freud aveva assunto quasi tacitamente una tale concezione ove scriveva di sfuggita che Eros «alles Lebende erhalt» 40. Ora, fa pensare il fatto che circa tre mesi prima dall'inzio di VINCI (si veda), Freud cita il Simposio nel saggio Sull 'uomo dei topi; discutendo del rapporto tra il fattore negativo dell'amore e la componente sadica, in modo a dire il vero sorprendente Freud citava in nota le parole pronunciate da Alcibiade nel dialogo platonico: «"ja oft habe ich den Wunsch, ihn nicht mehr unter den Lebenden zu sehen. Und doch wenn das je eintrafe, ich weiB, ich wtìrde noch viel unglucklicher sein, so wehrlos, so ganz wehrlos bin ich gegen ihn," sagt Alkibiades iiber den Sokrates im Symposion» 41. Se da questa citazione, per l'appunto inaspettata ed estemporanea, è lecito presumere che Freud avesse riletto o perlomeno ripreso in mano il Simposio, è altrettanto lecito inferire che l'idea di Eros quale forza che «alles Lebende erhalt» espressa appena tre mesi 38 Cfr. S Freud, Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti, Torino, lettera a Bemays, Vienna: «Ormai non riesco più a sopportare la compagnia, tanto meno quella della famiglia, sono soltanto un mezzo uomo come dice l'antica favola platonica che tu certo conosci, e la mia sezione soffre non appena sto senza far niente. Freud, Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW: «Der populàren Theorie des Geschlechtstriebes entspricht am schònsten die poetisene Fabel von der Teilung des Menschen in zwei Halften Mann und Weib -, die sich in der Liebe wieder zu vereinigen streben». 40 S. Freud, Etne Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, GW, discutendo della castità degli scritti postumi di VINCI (si veda) scrive che tali scritti weichen allem Sexuellen so entschieden aus, als w8re allein der Eros, der alles Lebende erhalt, kein wtlrdiger Stoff Air den Wissendrang des Forschers». Il termine Eros era stato utilizzato da Breuer: cfr. Breuer e Freud, Studi sull'isteria, in Opere Complete, Torino (la parte di Breuer è assente nell'edizione degli Studien iiber Hysterie edita nelle Gesammelte Werke. Freud, Bemerkungen iiber einen Fall von Zwangsneurose, GW; cfr. Simposio SOLINAS dopo gli venne suggerita proprio dalla recente rilettura del dialogo platonico. In questo caso si tratterebbe dunque di ben più di una solo eventuale "Kryptomnesie" dovuta all'ampiezza delle sue lontane letture giovanili, come quella tirata in gioco laddove Freud - rinunciando garbatamente e felicemente all'originalità riconosceva ad Empedocle la paternità storica della sua teoria dualistica 42. Sembra dunque che il Simposio, dalle sue timide comparse del 1905, del 1909 e presumibilmente del 1910, abbia poi più o meno silenziosamente, più o meno inconsciamente continuato a lavorare nella mente di Freud per riemergere infine con l'ampia revisione della concezione della sessualità di Jenseits des Lustprinzips del 1920. In questo caso però, sia quanto al carattere regressivo sia quanto alla funzione biologica, la "paternità dell'eros" non sarebbe più solo storica, né si tratterebbe più dell'utilizzo dell'autorità della divina ACCADEMIA quale scudo contro le proteste sollevate dal risalto dato alla sessualità: sembrerebbe invece trattarsi di una paternità in senso stretto, di un'influenza diretta esercitata dal Simposio, sviluppatasi e sedimentatasi col lento trascorrere degli anni. Possiamo allora concludere affermando che da una o verosimilmente più riletture del dialogo dell’ACCADEMIA sia scaturita una decisiva rielaborazione di una delle concezioni della sessualità, dell'eros, se non forse tra le più originali in assoluto, di certo tra In Die endliche und die unendliche Analyse, GW, Freud scrive della sua teoria pulsionale dualistica, che incontrava ancora resistenze: «Umsomehr musste es mieti erfreuen, als ich unlàngst unsere Theorie bei einem der groflen Denker der griechischen Frtthzeit wiederfand. Ich opfere dieser Bestàtigung gern das Prestige der Originalitat, zumai da ich bei dem Umfang meiner Lektiire in fruheren Jahren doch nie sicher werden kann, ob meine angebliche Neuschòpfung nicht eine Leistung der Kryptomnesie war». Freud procede quindi nell'accostamento: «Die beiden Grundprinzipien des EmpedoMes - cpiAla und veìkck; - sind dem Namen wie der Funktion nach das Gleiche wie unsere beiden Urtriebe Eros und Destruktion", ove philia ed Eros (come rispetto all'eros del Simposio) hanno in comune la tendenza «das Vorhandene zu immer grOfieren Einheiten zusammenzuffassen». Empedocle è ripreso anche in Abrifi der Psychoanalyse, GW. Sull'accostamento cfr. per esempio G. Tourney, Empedocles and Freud, Heraclitus and Jung, «Boullettin of the History of Medicine, e Id., Freud and the Greeks. le più discusse e significative del XX secolo. Si rivela così, ancora una volta, la forza e la fecondità di un passato antico, che, anche perché tanto amato, sembra morire solo per poi rinascere, di nuovo. D. con un panegerico all’ more ET CON LA VITA DEL DETTO filosofo,fatta daVarchi 07 ^ V H.I V I L E G IH VINEGIA AP PRESSO G A fi A 1 1 R GIOLITO DE FERRARI. fa AMORE D. O NON DVBITO douer’ eflere molti, e quali dannino me hauere IN LINGUA VOLGARE trattato de profondi rmlteni deH’amore, opponendo il decreto de gli antichi Pira» v- A ii gorici V fecondo il qua. dè cito comunicare al uulgo, come alletto, Je cole diuine, non ientendo d’effe rettamente ; il quale per non hauere feruato Hippafo Pitagorico, fu morto. Noi rifpondiamo cffer di due nature nomi: altri formati nell’animo da effe cofe, et interiori: altri fabricati dall’artifìcio humano, &efteriori. Quelli effere a placito, et però diuerfi, appreffc diuersè'nàtioni. Quelli per natura, et appreffo ciafcuno e medefimi. De nomi interiori comporli lo eloquio interiore v Delli efteriori formarli lo efteriore. Et quella crediamo effere la fententia del diuin Platone conlèntientifsima ad Arillotele, come ajtroue dichiararemo. Sendo adunque ilfermone/fteriore imagine, et « r s nota del fermone interiore: nòti tjeggo, perche cagione fi debba (bt T t’entrare a maggiore calunnia ^parlando, et fcriuendo delle cofe diuine in lingua Tofcana, che in qualunque altra lingua. Crediamo piu.tpfto, che fia da riguardare al modo del trattare. E però li Egitii fotto for me di diuerfi animali nelle colonne di Mercurio, da chi et Pittagora, de Platone imparorno la Filosofia, e Pitagorici fotto uelami Matematici, et li antichi Theologi fotto moftruofi figmenti occultorono le cofe diuine, et la natura. Noi, benché habbiamo trattato delle medefimecofe fuori di uelami, et di figmenti, non di manco ci confidiamo non douere efleregiuftamente dannati del peccato della profanatone. Tu adunque leggerai quanto c'èoccorfo al prefente dire de mifterii del lo amore: et penferai le cofe diuine tanto fuperarele menti noftre, che fpeffo ci fia neceffario altrimenti par lare d’effe, altrimenti intendere I T"' C A NATYRA corporale. nulla contenere 1 m fi dt aero, ma al tut % toeJJìreimagmaria,Q urna, chiaramente diira la perpetua uarietà s fp) m u t at iolacuale in ejfa appare. Imperoche U V 8 L I B Ti 0 uerita delle cofe fi dttermina una fermtZc za, ffi) una permanenza. Per laquale efi fa fimpre flando ferma in uno ejfire quelte medefime nel medefimo modo in natta uariate s'offerifiono,a chi le contempla, la natura corporale per un filo momen tò di tempo non conferita l'ejfer filo facendofi in ejja continua generatione, ff) cor ruttione. llche Her adito non filo attrihuìfie a tutti i corpi, che fino fitto la Luna, ma ancora al Cielo, ft) alle [Ielle: le quali fino tanto piu perfette, che gli altri corpi y quanto piu fi apropinquono alla natura dell'anima. Onde come uicini alla. rdiumitdyhanno meritato d’efier chiamati corpi diurni. Et pero riguardando alcuni fittilmente affermorono tale openione ef fire approuata dal diurno c Platone nelTi meo. Quafi ejfo uoglia non fi potere attribuire al corpo l'effere, ma piutofto il M° fife VT“1 T K I M:0. p flujjo, {fi la gener attorie. La cagione di tal fluffi, e la mattria t della quale fino compofti tutti e corpi co fi celefh come terreni. Laquale qualche uolta ci s'apprefin partecipe dello flato, permanentia: Inquanto dalla forma, che fi riceue m effd in un certo modo e contenti ta qualche uolta come del moto: inquanto per fua natura fugge l'ejfere, {fi la cognitione, hauendo firn prefica la contrarietà $ V infi abilità, la uarietà Il che forfè fi gnu ficorno li antichi Theologt per la fauola di 7 roteo: qua fi come Proteo fi mutaua in diuerfi forme, bora in fiamma, bora in acqua, bora in leone, bora in forma di qualche altro animale: cefi la materia fia atta, {fi pronta al rteeuert tutte le forme f non fi partendo pero mai dalla fua natura. Et perogli antichi Pitagorici,confiderato tal propor tione. hauer la materia 4 io L 1 2J ^ 0 corpi; quale ha la dualità a numeri non duhitorono chiamare la materia dualità. Laquale fendo la prima diuifeone, ft) principio d'ejja, ancora chiamorono l[ide, ffe Diana. 'Ter che come Diana, è flerile y fecondo dice ‘Tlatone nel Thettheto, co(i ancora la prima dualità, fendo principio della diuerfetà, della inequalitàydella dtfsimilitudine, è priuata d'otri anione; oue confifie la fecondità di tutte le cofe. Se adunque la natura corporale e partecipe di tanta imperfettione y chi non uede effeer neceffario [opra ejja ejfere un'altro principio y ilquale la regga, ffe la contenga: pendendo fempre l'imperfetto da quello y che e perfetto ? Et però Democrito, ffe) glabri y che l'hanno feguitato y cioè Leucippo y ffe) l Epicuro y fecondo il mio parere y meritano non ejjèr uditi. E quali ponendo principucorporab tndiuifìbili, ma didiuerfe > P £ 1 AÌ 0 7 / di dtuerfe figure chiamati da loro Storni, vogliono tutte le cofe efftr compofte d'unó fortuito concorfo d'e/si. "Dicono adunque di quegli, che hanno figura circutare, e fi fer compofta l'anima: de gl' altri Trian gulariy Quadrangulari, ft) fimilt efjtre compofta la uarietd delle altre cofe: nferuando ciaftuna cofa la Natura la potentia fimile a quegli atomi, di che effe fufsi compofta. Dicono ancora le cofe per tanto ffatio di tempo conftruarfì in effere, per quanto m luogo di quelli atomi, che continuamente fi partono y fàcce dono altri della medefima Telatura. ISoi al prefente pretermetteremo dichiarare efftr' impo fi ftbile il Cielo y gl' Elementi y gl' animali, le piante, ffij tutta la ‘Natura, o uuoi fecondo l'effere, o uuoi fecondo la confiruationc pendere da alcuno fortuito concorfo ; firnpre apparendo mamfeft amente per tutto 12 L IV Itoor dine y ffi ragione. Solo diremo noi uedere di tanto maggiore potentia, ffi) di tanto maggiore efficacia ejfir le co fi, quanto fino piu umte\ffi quelle effitre di mafsima poten tia,{fi di mafiima efficacia y cbe fino mafsi inamente unite: onde per quefto ejjd unità bauere infinita potentia y infinita ef ficacia: come autore, ft) principio dogni unione. Sendo adunque la moltitudine infinita al tutto oppofìtaalla fimplicifiima unità, ft) però pnuata dogni modo dat itone come potrà dire rettamente Democrito l'infinita moltitudine delli atomi e fi fir principio delle co fi: determinandofi infinita debilità: della quale nulla y e piu oppofito alla ISlaturXdd principio t p'TOi M à. ai C » * N \ M ' ' ' k* < ' rama E l numero de corpi alca 1 1 m fi muouono f er ‘Vfytura} I j$J|^ Ì come il fuoco, Varia, taci qua, ft) là terra ft) quegli, che fin compofh d'efit, de quali il fuoco, ft) l'aria, come leggieri, fi muouono in sùi dfioftandofi fimpre dal centro \V acquei, {fi la terra fi muouono in giu cercando fimpre il centro. ^Alcuni altri non filo fi muouono come quelli > ma ancora utuono ; ft) quefto per uirtù di un principio, ilquale efii hanno dentro chiamato meritamene te anima. Fra t corpi, che hanno Inulta, alcuni fin contenti della uirtù nutritiua, come fino le piante, le quali non hanno bifogno della potentia del fintire, come ne cefiaria alla loro filiate, ma fitte in terra colle radici, quali hanno in luogo di bocca tirano il fro nutrimento ; alcuni fino dotati della potentta del fintire, per la quale conofcono quello, che a fi e dilettabile, o tnfitfico \ (fi della facultà, perche efii da un luogo a un'altro fi tramutano. Imper oche hauendo a cercare l'alimento, è neceffario efii hauere unauirtù: per laquale pofimo y o fuggire, o fi giure quello, thè giudicono ejfire m fuo danno o falute. Sono ancora altri poflt in mezo delle piante ; (fidi quelli y che hanno il /enfi, (fi la facultà del tramutar fi come ricchi, (fi fimili chiamati Zoofiti y quafi fieno partecipi della natura de gli animali, (fi delle piantf: tquali contenti filo del [enfi del tatto ; fendo loro fimmintflrato competente nutrimento, Hanno fempre, come immobili y in un mede fimo luogo. Oltre a tutti quefti e thuomo grandifiimo miratolo, come dice ^Mercurio 9 animale atramente . *s r amente degno d'efèr Inonorato, ft) adorato ; tlquale aogmgne alle predette potenzile la fi acuità dell' intendere: per lacuale ripieno di dtumità JpeJJò diuenta filmile 4 gli T>ij: ma, Jenoi confedereremo rettamente, diremo wfeeme col diuin r L’ACCADEMIA il Cielo, ft) le fttUe ejfeer donate della aita, fife dell'intelletto. Quefto dtmoflra un perpetuo tenore di fare fimpre le medefeme cofe, ft) nelmedefemo modo, già incominciato per gr andi fimo fpatio di tempo per durare per l'auenir e fenza errore, fenza impedimento, quale e nel Cielo, nelle flette; le quali col fio diurno moto, quafe un batto magnificentifi. di tutti e batti, a tutti gli altri ammali donano la generatone, l'ejfeentia>{t) la aita. Oltre a qucfio ancora 1 lo dimoftra la marauighofa bellezza, ft) per fettone, laquale in efii ueggiamo affermare l'huomo, il quale ha il corpo caduco, J -t6 L 1 ® x 0 (p) fittopofto a infinite off e fé-, batter la uU ta y ft) lo intelletto ; e'I [telo, le (Ielle, onde pendono gltaltri corpi effirne pri» uo; e d'huomo al tutto ftohdo, mfinfato. Ma chi confiderà la grandezza loro, chiaramente cono fie e fiere impofitbile efii potere effère mofii pertanto tempo o dal cafi o da impeto alcuno corporale o da cagione eftrmfica ft) uiolenta: anzi mouen. do fi tanto efi/ufit amente, è necefidrto tal moto procedere dall'anima diurni fitma. Onde ficur amente fi può affermare il Qelo, q) le [ielle efier compofie di corpo, ft) d'anima ; ve da altri, che dall'anima il corpo loro efier prodott, ft) gouernatp.St però giudicheremo efii douerfi chiamare non filo cofe diurne 9 ma ancora T)ij.Ma fi noi pigliamo filamente il corpo loro y fiparandolo dall'anima, affermeremo effere statue degli Dij, fabricate da loro di materia PRIMO. n di materia prtfìantifeima, ffe con mar auigliofe artificio, legnali per effer polle in luoghi nobilifeimi fendo bellifeime, ripiene di uita.debbono effere in maggiore ue ner adone, che qualunque altra featua come efquifite imagini della diuimtà. Se adun eque il corpo animato è piu perfetto, che quello y che non ha l'anima: perche quefeo non urne, quello uiue, ffe) fra Rianimali qUello y che ha facultà di intendere è piu preflante, che gli altri ; ffe quello, che intende mafeimamente è prefìantisfimo: Viuendo, ffe intendendo il Cielo, le felle, l'huomo, faremo coferetti confejfare efei efeer piu prefi anti, che chi non uiue, ftf intende. Onde fe l'umuerfe è priua to della uita,{t) dello intelletto,gh ammali uerranno ad effer piu nobili, che l'umuerfe ; di che nulla può effere piu aJfordoSPer Lqual cofa come l'uniuerfe e prefìantifei; 2 o mo di tutti i corpi non lafciando fuori di fi corpo alcuno. Ma come fuoi membri con tenendoli tutti. Cofi è nectjjario effo haue re nobilifiima anima > capo, ft) guida di tutte le anime: per beneficio dettatale fta partecipe di prefantifima uita, q) di prefiantisfima intelligentta. St pero li antichi Teologi di Fenicia (come dice Iambkco, fp) Iultano Imperadore ) affermarono efjtr infufa per tutto una ‘Natura lu cida y pura, calda % uehiculo dell'anima diuintj?ima: per laquale dall'anima fta concejjo allo umuerfo il pretiofo dono della aita y onde efjo meritamente fìa appellato uno animale^ laqual co fa ( benché o/curamente ) fgnifìca Timeo Tittagorico, ft) ' r Fiatone nelTtmeo, ft) nel decimo della *Rtpubhca. alMa di cjuefto nella concordia fra Platone, ftf zArifotile diffufifiima. mente par laremoy ouc dimoieremo ch’ut v rumente 1 M 0. zip rumente fecondo la mente d'oArifìotile il primo motore non effer e Dio, ma l'anima diutmfeima dalla quale penda il Cielo, {0 tutta la natura. ^Adunque infeeme col diuin alatone diremo ejjere il corpo, e [fere ancora, {0 l'anima certamente molto differenti fra loro. L'anima hauer l'intelletto, il corpo nodo hauer e. L'anima, come madonna, hauer e imperio fepra il corpo ; quefìo, come feruo, effer fuddtto >{0 retto. L'anima effer fontana della ulta, {0 del fenfey {0 di tutte l' altre affettiom, quali noi ueggiamo nel corpo: quefto per flanatura effer atto a riceuere, {0 patire, di che pofeiamo conchiudere l anima, come di gran lunga piu perfetta, hauere grado migliore nell' uniuerfo. L ^ o r E l’anima non filamente dona la una, ma ancora contiene, ft) regge la natura corporale ( come difipra è dimofìrato ) e necejjario ejja battere una affinità naturale col corpo, per lacuale naturalmente l'anima pofja dare la uita: e'I corpo la pofja riceuere. L'anima pofia reggere, ft) contenere. Que fi a non . e altro 3 che una naturale ine linat ione per lacuale noi pofitamo dire l'anima ejjirt anima 3 ft) uer amente diftintada qualunque altra cofa: Di che appare mariife fi amente nell'anima eJJir due proprietà per TJatura ; una, per laquale ejjà inclini a produrre, ft) reggere i corpi ( altrimenti non farebbe chiamata meritamente, anima ) l'altra, per laquale effa non filo rp % 'iM o. it comprenda la natura, che detta effer retta, ma ancora fi medcfima, ft) le cofi frperiori:quale poco auàti fuchiamata Intelhgentia. Qutfìa intelligentia fe noi rettamente confider eremo, uedremo effer nell'anima non per fra natura, ft) inquanto anima ; ma piu tofto per benefìcio d'altri. Imperoche fi l'anima, inquanto anima, ft) fecondo la natura fra haueffi l'in telhgentia, ogni anima intenderebbe: come ogni fuoco fimpre e caldo: fendo la cahdità nel fuoco per fra naturai ffjnot ueggiamo manififìamente non ogni anima hauere facultà d'intendere. lmperoche chi direbbe gl' animali bruti hauere intelletto, equali non per altro fono chiamati bruti: fi non per effer priuatì della intelligentia? molto meno e da dire delle piante, lequali fono animate d'anima molto più im perfet ta ; che i bruti ; iti L ^0 ' ff) però come il lume è molto piu, per fettamente nel fole che nelle felle, fendo nel fòle per fua natura, nelle fi elle per dono y ffe beneficio del Sole: co fi noi diciamo la inteUigenda effer molto piu perfettamente y in cui effa fio per propria natura y che nella anima, oue è per pardeipatione ; di che noi concludiamo ancora quella fu(l arnia effer piu prefi ante che l’anima ; sendo in e (fa la fontana dello intendere y principio y ft) Idea d'ogni cornicione, imperoche la nobilifeima oper adone procede danobilifeima fubflanda, la inteL hgentia fupera tanto Poltre oper adoni: al' manco quanto il lume Poltre qualità senJibili. Quefla fuflantidnon è altro, che la datura Angelica, laquale meritamente e denominata Intelletto, hauendo per propria oper adone P intendere. Et per queflo noi concludiamo P anima effer e ordinata, fri retta % / ; M 0. > natura ^Angelica, cowie il corpo e ordinato, rmo dall'anima. Onde appartjce l'angelo tanto piu effer preftante dell'anima, quanto l'anima è piu nobile, /] corpo: ft) però l'anima non tenere il primo grado nell'uniuerfi • adunque diremo ejjere due nature neL l'anima: una per laquale rappreftnta la datura angelica > l'altra, perla quale inclina al corpo. Onde e detta dal diuin Alatone nel Timeo,fu[ìantiamez&, come quella, che pofta in mezo fra l'angelo, ft) il còrpo partecipa dell' una, {^ dell'altra natura. Quefta anima merttamen te chtamorona i ^Magi in parte lucida, in parte oftura, come pofta in mezo di quello che è al tutto lucido, e di quello che e al tutto ofeuro. L'Angelo è al tutto lucido, perche fendo la prima ejjèntia; {R iapri-, ma effèntta fendo ejfa firmità,ftmpre fi * Hij L 1 $ 7^0 mile a fi medefima e accompagnata da e fi fa uentà, laquale e efifia luce intelligibile fi) pero l'angela è tutto lucido. Il corpo findo oppofito ficondo la fua natura allo angelo, è tutto ofiuro y l'anima pofta m mezzo fiala natura corporale, ffil' angelo, inquanto partecipa dell’Angelo e ueramente lucida, inquanto inclina al corpo, fi P uo dire ofiura.Chi adunque dubiterà fipr a l'anima non effier l'angelo: fintana di ogni luce intelligibile? Aliti allo fpìendore della uerità intelligibile, quale noi chiamiamo al prefinte c, Angelo, for fi potremo cre^ dere hauer trouatoil padre dell untuerfi. lmperoche quiui ogni coja è uera ; efinzet, • fi s ogni co fa e ulta, ogni cofa e intelletto, uerìta, ft) fiientia: fendo principio dell'efjere, ft) della mta a qualunque altro fi dice ef fere,ft) utuere per quefto nella natura contiene l'uniuerfità di tutte le cofe fendo il loro effir e per fitti fimo * Imperoche, benché le cofì in effa fieno di flint e, ft) non con fufi, come dtmoflrala intelligentia opera tion fua principale, laqualt definitamente comprende tutte le cofi, nondimeno han no e fiere unitifiimo. Imperoche nulla può effir e piu unito } che quello, in chi ciaf una parte m un certo modo fia quel medefimo, cheti tutto, come e nelttAngelo\doue la uita, benché inquanto uita è dtfffinu ta, nondimeno per partecipatone è tutto lodimelo. L'intelletto ha il fuo proprio modo d' effir e: perche è detto intelletto. Ld uent à il fuo modo d' effir e particolare: per lo qual# è effa uentà: parimente adirne 26 L /2 0 ne in qualunque altra parte. FJondimanco quefto non fa che lo intelletto, la uerità per fa, non Jia tutto t Angelo per par tecipatione: in modo che nell’angelo non fi può trouar parte, laquale non conferui in fi la natura del tutto. Quejìo credo hauereintefa Parmenide ; ft) Melijfo antichi^ittagorici, quando ajfermorono tue • te le cofe effere un 'Ente: cioè, ejfere una cofa, una fufiantia, quale notai pr e fante chiamiamo Angeloinella quale tutte le cofi habbino il fùo primo ejfere, cioè pcrfettifaimo ejfere. Come adunque nelle cofe artifictate fono due ejfaeri, l'uno nella mente dell'artefice, manzi, chehabbia prodotto fuori la cofa artificiata, l'altro in effa cofa artificiata ? Verbigratia la /tatua di ifMinerua ha il primo ejfere nella mente di Fidia, l'altro m effe marmo: de quali quello che è nettamente dello artefice, è ^RIMO. 27 ce, e primo cffere\{t) p ero molto piu nobile ; che quello, che è nel marmo: co fi tutte le cofe hanno duoi ejjen: ; uno nella effen tta dell’angelo, il quale, è primo, ft) perfettifimo effere ; l’altro in effe cofe ; il quale, è participatione del uero ejfere. TDu co adunque fecondo tl loro efftr primo per fettifimo,nonfolo confhtuire una Jufìantia ; ma ancora ciafcuno d’effe efer tutta quella umuerfità ; ft) pero meritamente fi può dire una fu fsifl ernia ; fff) quefia e la fintentia di Parmenide, ft) di Mehffe della umtà dell’Ente, come io fimo. Qtie fio Ente, o uuoi Angelo e chiamato da Hi* lottilo mondo intelligibile: mondo, perche è pieno di elcgantia, hauendo tutte le cofe in effe il feto e (fere uero ; lmperoche mondo fi gm fica ornamento ; intelligibile, perche è comprefe felamente dall’intelletto, tlquale riguarda effa ucri • 28 L 1 ® ^ 0 tà. 7 ?^/ diuin Telatone e chiamato nel fi fio dilla fypublica figliuolo di Dio. Ma di quello piu diffufamente in quello, che figue y parleremo: 6. Nondtmanco fi noi con ftdereremo, che il primo principio è firn pltctfiimo, ft) potentifiimo: altrimenti non farebbe /opra ogni altra cofa: chiaramente conofieremo quefìo mondo intelligibile y o uuoi (^Angelo non potere effir primo. lmperoche nell'Angelo fendo moltitudine, ancora u'e compofitione ; ffi) per queflo imper fedone, imperoche ogni cofa compofla ha in fi una parte, comcpotentia, ma parte, come atto: la potentia ha fico imper fettone ; Patto la per fedone. Et peroogmcofacompofìaha mefiolatoin fi l'imperfetto col per fitto. La potentia non e altro, che quello, pel quale la cofa può effir e, non fendo ancora. L'atto aggtugne l effir al potere ; fg) pero la potentia è imperfetta, P % 1 M O. z 9 perfetta, lacuale gli antichi 'Pitagorici chiamarono infinita, come per fìta natura indeterminata. Inquanto adunque l'Angelo ha compofitione non è fimplicifitmo: inquanto ha tmper fetione, non è potenti fi fimo. Imperoche qualunque imperfetto uiene alla per fetione coll'aiuto et altri: però quello è piu potente, per beneficio di { chi confeguita la fua per fettone. Ter laqual coja fèndo l'cAngelo ne (empiici fimo, ne poterà fimo, non può efièr ancora primo >ft) pero Tarmenide Pittagorico afi fermo il primo Ente, qual noi al prefinte chiamiamo Angelo, efièr filmile a una sfe- ' ra » lì) P er o hauer parte, hauendo la sfera mezo, g) eftremi. T>i che ne fi gutta ejfo non patere efièr la femphci (lima Vmtà, come diurnamente dice tMeliffò ; laquale al tutto efclude ogni parte, (fi ogni moltitudine,^) ogni imperfettione ;{t) però come ueramente capo di tutte le coffe autore della per fettone dell' angelo; tignale me rit amente e chiamato uniuerfi intelligibile. S s o Iddio findo principio ff) autore d' ogni per fettione nelle cof, che fino, non è capace d'imper fettone alcuna y di (jualuncjue natura ejfa fa. Et però noi pofitamo dire fimile proportene battere alle cofe create ; eguale ha la fimplicif fima unità a numeri Tutti t numeri hanno moltitudmeybanno ancora unità. Moltitudine fecondo che noi diciamo il numero ternano hauere tre unità; il quaternario hauer quattro unità, {fi eofi gli altri numeri nel medefimo modo. Unità, perche il numero Ternario, è uno Ternario, q) una P 1 A4 0. ft) una Trinità. Il quaternario è uno quaternario, ft) una quatrinità: adunque tutti i numeri hanno moltitudine,han no ancora Vmtà. La moltitudine dice imperfetto ne, ft) diuiftone. L'unità dice coniandone ft) per fettone. Et pero tutti i numeri participano della per fettone, f0 della imper fettone, Della per fettone > inquanto ogni numero e un numero. Del l imperfettione y inquanto ogni numero ha moltitudine. L'unità ancora de numeri non e acutamente perfetta, cioè quella lenita, per laquale il numero Ternario è un Ternario i ft) il numero Quaternario è un Quaternario. Imprima, perche tale unità ha conuenientia, ft) affinità colla fua moltitudine ; come l'unità del Ternario ha affinità con le parti del Ternario. altrimenti di efifa uita 3 ft) dcde parti fik non fi farebbe un tutto ; ft) quefta è una frette et imper fettone. Dipoi perche l’unità d'ogni numero è diffimta m modo, che l’unità del numero Ternario è dtuerfa de It unità del Quaternario, ft) ciascuna di loro ha la fra potentia determinata per laquale tfro produce U fro numero. Questa non e propriamente imper fedone, Jènon perche l'unità del Ternano benché fecondo che e unita del Ternario, fra perfetta, nondtmanco non contiene la per fettone, ft) utrtù in fi delt altre unita: carne la perfetti firn a lujlitia, benché inquanto Iujhtia non ha difetto al e uno ; nondimeno non contiene infila per fi t ione della fapientia>{f) cofì la per fettone Ut terminata ha fico in un certo modo la im per fettone* Adunq; lafimpliciftma unita \n prima non ha moltitudine alcuna findo al tutto indtuiftbile. Oltre a quefio non ha afflìtta con alcuna moltitudine numerale * non . ss non potendo hauer fuo coniugio. 7/on e ancora dif finita, ftfi particolare unità,ma fimphcifiima unità, eminente unità ; ft) pero Pitt agora affermò effa contenere in fi la potentia, (tfi i fimi di tutti i numeri. Riduciamo tl numero al proceffo delle co/i dal primo principio, fecondo il coftume t ‘Ptttagorico. Nelle cofi create fi truoua potentia ; trouafi ancora atto. La poten tia, inquanto potentia, eimperfetta,l'au to, inquanto atto, e per fettone, adunque Imprima imper fettone delle cofi,nafiedaU la potentia, della quale fono partecipila fee ancora imper fettone in effe per cagione dell'atto. Imper oche l'atto fi chiama atto, inquanto è per fettone di potentia, ff) in queflo modo uiene a par deipare della imperfetto ne congiungendofi fico. La forma è atto della materia, però facendofi della forma, della materia un compo C 34 L I 2 0 fio: la forma partecipa delle condizioni della materia.. Uoperat tont i atto della potentia attiua, come la cale fattone è atto ft) per fettone della potentia calefatttua: nondimanco ha conformità colla potentia dipendendo da effa. Oltre a cjuefìo, fatto dice per fedone definita, ft) terminata. La forma del fuoco dice una per fettone terminata: cioè effa natura dclfuoco^La terra dice per fettone definita, cioè, effa natura della terra, fp) cofìe proprio d' ogni altro atto. Et pero t uno atto non include la per fittone dell'altro, adunque e [eludendo e fi fi Iddio ogni imper fittone, efiludt f imperfetione, che fi troua per cagione della potentia. Imper oche Iddio non ha potentia alcuna, fendo fimplicifiimo: Efclude ancora f imper fettone, che e per cagion dell'atto. r Ver che Iddio non ha conformità, ft) proporftone con alcuna potentia: non fendo 1 M 0. 3 s fendo per fettone di potentia attuta > nefe potendo d'effe, ff) della, potentia confettai % re un compoflo. 'ISfon è ancora di per fedone definita, ffej particolare, come ctafetì no atto, procedendo da lui ogni atto, ff) ogni potentia. c Adunque in ‘ Dio, e ogni per fedone sjclufa ogni imper fettone^ pero in lui ogni cofa, è per mododtVnità fìmplicifeima. e in lui diftinta la fapientia dalla Inflitta, non è in lui diflmt a la bontà dall'efeèntia, fjfe dalla aita. Ma è unicamente l' e fènda, la aita, la fapienda: Et pero il dtuin L’ACCADEMIA dtfee nel Parmenide di VELIA (si veda) y non efeer di Dio nome, non diffinidone y non fcienda, non fenfe, non opinione: come quelli, che dicendo per fedone determinata, attribuir ebbono a TDio imper fettone, dalla quale al tutto abborifee. Et pero *P lodino yft)gl altri c Platonici niegono Iddio ejjer ejfentia, o intelletto: ma . ì. x v fj t 7^0 tome molto piu prefilante, efifir contentò delle fue ricchezze ; ricco della /ita fimpltttfiima lenità. Solamente noto a fe mede -, fimo,filo amtratore, {fi cultore dellabtfi fi della fiua diumitd. Quefla è quella diut na caligine, laquale tanto celebraDionifio zAreopagtta fplendore della Cbrifhafia Theo logia,alla quale non dggiugne utr tu alcuna rat tonale, o intellettuale. Imperochcy come il rationabile non può efjer penetrato dal finfi: ne lo intelligibile dalla potentia rattonale: ne le cofe incorporee, {fi femplict da t corpi, {fi dalle cofe compo[ìe m y cofi quello y che eccede ogni modo d y e fiere, t (elude al tutto la intelligentia, o qualunque altra cognittone, qua fi un Profano delle cofi fiacre. ^Ma è nelle cofi create un Carattere, {fi una (ìmtlttudme di Dio, fiore, {fi capo d'effe: per benefitto della yuale fi congtungono a Dio, quafi non fila lecito i rp XI M o. r? lecito aggiugnere al fuo creatore con parte alcuna di fe>mapm tofto con tutto fi. On+ dell Profeta ratto daldiuin furore efe lama y o Signore la tua laude, è tl felentiofigmfeando ognipotentiayO uuoi r attornierò uuoi intellettuale, douer ceffare dalla fila operat ione,quado fi fa l'ultima unione del le cofe create con effe Dio. Adunque molto piu appropinqueremo a T)io procedendo per le negazioni ; che per l'affermationiipur chefempre mediamo effer meglio ^che quel by che noi neghiamo di lui. Nondimanco pofeiamo ufare ancora l'ajfcrmatioMynon derogando alla fita diuinitàpur che intera diamo effe hauere nfpetto, ft) comparatane alle cofe create. Come quando noi dittamo T>io effer principio, mezo, fp) fine. Imper oche per il principio intendiamo le Cofe da lui procedere ; per il mezo a lui conuertirfi: per il fine effer da lui donato C iij L I 3 7^0 della ultima fùa per fettone; lacuale confile nella uer a unione fico. Quefto fgntfcorono gli antichi ‘Tittagorici quando difi fonoyla Trinità ejfer mifura di tutte le co fi. Quefìo panifico ancora Orfeo quando dijfi Gioue ejfer Principio, mezj), fine, ft) pero ( come dice Diontfio Ariopagita ) in quefto modo Iddio e fplendore a gli illuminati, per fedone a perfetti ; a Tteificati diumità, a /empiici fimplicità ; lenità a quelli y che partecipano dell'uno ; uita de uiuenti \ejfentia di quelle cofi y che Jdno'ydi tutta l'effintiaydi tutta la uita principio y ftj caujà. Et pero. ogni copi creata, < o uuoi eterna, o uuoi mortale, o uuoi ra r Rionale, o uuoi Angelica, può efilamare in: peme col \Profeta,Signore lo fjlendore del la faccia tua, e fignato fipra noi. \ 1 M 0. L i antichi Pitagorici chia morono e/fo Iddio per fe uno, ffi) per fi bene > come autore della /Implicita alle co/e create, quanto di e/fa po/fono ejfer capa et: aggiungono Siriano y ft) Troclo per quefto nome efier fignificato y non efio Id- dio ; ma quanto noi di Dio participia mo 3 quaf mi crediamo hauere efprejfi ef fi Dio, quando noi efprimiamo Carattere della diurni à y col quale noi fiamo fignati. Ter fi bene, perche non filo e (fi non niega a ciafiuno il fio grado di per fettone ; ma ancora y perche, co.me fine, e de fiderato da tutte le cofi: ilquale poi che hanno configmtoficondo il modo della /ùa natura, fi quietano. c Adunque ctoche procede da lui fi fa partecipe della fua firn ' C ni/ yo L ^0 p lìcita, ft) della /ita per fettone. Ma perche qualunque cofa procede da altri, per necefiità degenera dalla per fettone di colui, da chi procede ; altrimenti l'effetto non farebbe di minore per fettone, chela cagione ; fendo effo(come dicono e Pitagorici, ft) Plotino) uer amente uno: quello che procede da lui, è non uno, ft) pero ha fico moltitudine. Onde habbiamo adire hauere ancora imper fettone. Quella tmper fedone e per la dtgrefitone, ft) partita da tffo TDio, meontrandofì fimpre nell'imperfetto quello, che parte, ft) fi allontana dal perfetto: nondimanco ritornando a quello, donde procedeua -, acqui fi a la per fedone. Per laqual cofa rettamente fi dice, ogni cofa compofia ejfir compofta di imperfetto, ft) di perfetto » Quefto intendono e Pitagorici, quado dtffono per il prò ceffo dall'uno produrfiildua ; ilquale ritornando P 1 Ad 0\ 4 tornando a l’uno, donde s’era partito, conJìituifee il tre prima figura: l’effentia di cui contempliamo nel triangolo, come dice Teone. Imperoche quello, che procede da 'Dio, partendo/! dalla infinita fua perfe tiene, cade nello imperfetto, quale è la na tura del dua; ritornando a T>io per la fua interiore anione participa del perfetto, quale é la natura del tre. Imperoche come il tre è compofìo della progreditone dell’uno 9 ft) della rtgreftone a l’uno, cofi quello 9 che procede da Dio, è compofio dell’ imperfetto, inquanto da lui procede, ffe del perfetto inquanto a lui ritorna. In fomma da Dio procede l’Angelo: ilquale nella prima mifura di fuo proceffo e imperfetto. ^Ma come imperfetto ? certamente imperfetto, perche, fendo l’angelo il primo uiuente, ft) il primo intelligente ; ffe ogni uiuente, intelligente effendo compofìo della pò 4 2 L 1 <B T^O tentia aitale, ft) della fùa operatone, cioè del uiuere ; ft) della potentia intellettuale, ft) della fua operatane, cioè dello intendere la potentia come antecedente- alla opera none fu prima prodotta, la quale ha im per fettone, fecondo che noi intendiamo efjd ancora non operare. L'angelo adunque nella prima mifura del fuo ejfere, fendo una efentia con facultà di uiuere, ft) dt intendere ; ft) non umendo, ft) non intendendo, ancora fi può dire imperfetto. £t perche la potentia attiua riguarda La fa operattone; altrimenti farebbe uana, fi non operaffiy ft) operando confeguita il fuo fine, ft) la fùa per fettone, laquale per natura intenfamente de fiderà: è necejjario nell’angelo essr naturalmente un'intentifiimo desìderio di vivere, ft) d'intendere. Que fio desiderio nondimanco antecede una certa fermezza, ft) una certa conftantia X / M 0. 4/ confi arnia, per uirtu della quale mai Vangelo parte dafe dalla fua natura y ma fempre fi a quel me de fimo. Quella ferme* z za dal dium ‘'Piatone nel Soffia e chiamata fiato. L'operattone y che feguita quel defederiofe chiamata moto, di qui poliamo uedere quello y chefegmfec a il dium Platone nel Simpofeo y nell'oratione di Fedro, quando dice l y amore cjjcr del numero degli Iddi/ antichifeimi ; affermando fecondo V opinione de Ih antichi Teologi dopo il Chaos effer la terra, ft) l'amore, im per oc he il Chaos non e altro y che la effentia dell'angelo fecondo, che e confederata nella prima mifetra del feto effer e y come imperfetta,^ come potentia y moltitudine y ft) infinito à chi meritamente fi conuiene queflo nome Chaos y fignificando indige filone, ff) confatone. L'amore non e altro, che quella ingenito defìderio y principio del u\uace y fp) L 1 V Ilo dello intendere. La terra fignifica la fermezza 3 ft) l* fi abilità, per uirtu della quale l'angelo non mai parte dalla fìta natura. Tuttamente adunque e detto l'amore ejfere antichifetmo, imperoche ejfo antecede ogni operatone fendo principio d'effe s per uirtù delle quali, le cofe diurne meritano d'ejfere chiamate lddij. * • '•[ V * \ V ; £/ni appetito, ft) ogni defiderio fi può chiamare amo re in un certo modo benché pi ghandopropriamentei l'amo re fìa felamente defiderio di bellezza > come dichiareremo tn quello, che fegue. Onde non mmeritamente ildefìderio, tlquale muoue tutte le cofe al fuo fine y ff) al fuo bene, e detto amorei ft) c Platone nel firnpofio nell'orattone di Fedro per l'amore non intende altro, che l'appetito, che e nell'angelo ; per ilquale fi muoue a con fegtiire la fua per fettone. Si che pigliando in quefto modo amore, diciamo ejjere in ogni co/a creata infino ad' ultima materia, nedaquale è ancora l'appetito alla forma laquale è co fa diurna, fgf buona, ft) appetibile, come dichiara ^rifiot eie. Adunque l'amore e cagione, che l'angelo 3 ilqua le e prodotto imperfetto, confeguiti la /ùa perfetione ma come diciamo l'amore effir cagione di tale per fedone ? certamente perche quedo ingenito appetito, quale al prefinte chiamiamo amore, quafi uno filmo lo, fpinge l'angelo a l' operatone. Impero che qualunque co fa fubtto, che ha l' effir e e inclinata adoperare, ft) quanto ha piu perfetto ejfire, tanto ha maggiore inclina tione ad' operare, onde perche i' angelo ha perfettifeimo ejfere, anzi è effe ejferefendo lo ejfere la prima cofa creata ; per quefio ha grandtfiima incltnatione adoperare, quefia oper adone fi chiama tuta: fendo la uita il primo moto interiore, ft) primo atto, ft) per fedone dell' effe nda, come dice Plotino, ft) q u ^i che l'hanno feguitato, cioè r Porfirio, ft) Amelio: benché Si riano, Proclo crediino altrimenti', tetta li al ùrefente dimetteremo. Sendoadun ~ que la uita la prima operatone dell'angelo, è manifefto efeere il primo feto atto, ff) la prima per fettone. L'angelo adunque nella prima mifura delfuo procefeo e detto tjfentia ; laquale è non uno procedendo da Dio, che è perfatifeimamente uno: pero ha moltitudine, anzi in ejfa ( come di ce il dium c Platone nel r Parmenidefe efpli tata tutta la natura de numeri, mediante iqualt procedendo nella ulta difttngue fe medefima P 1 Ai 0. 47 ntedefima ne modi particolari ffe dell' effe re ffe) come in piu efeentie, dando fecondo il feto numero a ciafeuna effentia le fete prò prietà, come y fe tu pcnfafii la Geometria per una atione interiore dtftinguere fe me defema ne Tbeoremt particolari: lacuale e una in tutti e teoremi ; perche ciafeuno è Cjeometria:nondtmanco è ancora moltitudine, fendo l'uno Theorema difemto dal l'altro, (fe però Plotino dimoftr a diurnamente dopo l'uno, cioè Dio, efJere l'efeentia ; dopo l'efeentia 1 numeri, dopo i numeri, e modi particolari dt II' efeer e, cioè le efetntie. In fiomma l'angelo mediante il numero come efattifeima regola per benefit io della feuaatione interiore, quale fi chiama primo moto, (fe prima uita, diflingue, (fe diffimjce fe me defimo in tutti 1 modi particolari dell'efeere, onde l'efeentia de II' am gelo è come un tutto. L'efeentie particolari fino le parti, non come il capo, o la mano è parte di Socrate: ma come il Leone, o il cauallo è parte dell' animale di quefio piu diffujamente habbiamo detto nel libro del *T utero: ft) diremo nella concordia fra L’ACCADEMIA, ft) zA IL LIZIO. Di qui chiaro apparifie quello, che uuolc il diuin Platone, quando dice le cofe diurne produrre fi me defime. Imptroche non figni fica altro, che le cofe diurne efier compofte dell'atto primo ft) del ficondo, cioè della potentia attiua, ft) della fila operationeilaquale pende dal « la potentia attiua, come l'angelo, ilquale e compofìo della potentia uttale, ft) della fua operatone, ft) della potentia intellettuale, ft) della fua operatane ; per benefico dellaquale l'angelo è attualmente uiuente, ft) intelligente. Onde è chiamato il primo animale, ft) il primo intelletto ; ft) chi intende altro atto, ft) altra potentia nelle cofi diurne, non intende la fintentia di f L’ACCADEMIA, ne forfè la natura di effe nel modo del procefo loro dal primo principio. Quelle e fentie, ffè quelli modi particolari dell' ef tre di finiti nell'angelo dalla ulta fino chiamati /fette, (g) Idee,lequali fino in tanto intelligibili, in quanto hanno lo efèere uiuo, (t) la ulta. Onde ildiuin Platone dice nelTimeo,che topefice del mondo fece tante forme nel mondo, quante tua telletto uide neluiuente,fègnificando l' Idee efèer nel primo animale. Et pero io mi marauiglio afai, come qualcuno habbia detto, che la forma, che effo Dio da alla materia angelica, fino efe Idee, come fi l'angelo, inquanto procede da Dio, fufii potentia pafiiua, laquale diuenti ricettacolo delle Idee. forfè maggiore errore fi può commettere nelle cofi diurne, che pen fare in efe eferpotentia pafiua fìmile al - io L 1 5 X 0 ; la materia de corpi finfibtlt: perche cioche procede da e fio Dìo immediate, procede piu fimtle a lui, fg) p M perfetto, che è paf fibtle. Onde fendo molto piu perfetta la potentia attiua, che la paffuta, ì conveniente immediate procedere da lui la po tentia attiua, ft) non pafiiua. c Adunque noi diremo da 'Dio procedere immediate un'atto primo: ilquale fi può chiamare efientia prima, fendo la prima cofa, che ha l'efiere; lacuale inquanto efientia e per fettifiima: ma bene nelfuo primo procefio ha fico congiunta potentia d'operare, non operando ancora: q) fecondo, che ancora non opera, ha fico Imperfetto: Et quello e quello, che dice il diuin Platone nel Filebo, da ‘Dioeffirt dua elementi, cioè l'infinito, ft) il Termino della mtflione',de quali fi confi ituifia unaTerza natura, cioè l'effintia.Imperoche quello, che pròcede, inquanto e atto, {fi diffinito fi può dire hauer termino: inquanto ha fico congiunta la potentia, {fi l'tmper fettone fi può dire infinito: e l'uno {fi l'altro infieme fino la Telatura della prima ejjentia ; la per fettone y {fi atto, dellaqualee la fua operatane interiore, {fi non Idee. Come dal termino proceda lo Ciato, {fi la identità: da l'infinito, il moto, {fi la diuerfitd ; Et come tutte le cofi fitto il primo fieno compofie d'ejfintia,diftato,di moto. di Identità, di dtuerlìtà altroue h abbiamo detto, {fi diremo diffufamente nella concordia fra Platone, {fi Artftotile ; oue dimena l'opinione di Siriano, {fi di e Proclo dichiareremo, come ciafiuno d'efii e elemento, {fi come e genere dell'Ente. zAl prefinte fi conuiene piu tofto accennare, che efplicare fimilt materie. sz L 13 Ito ' A# a d i particolari dell'tjjìre nell'zAngelo di [Unti per beneficio della ulta al yprefinte chiameremo ldee\ benché fecondo diuerfi confi derat iohi fi pofiino chiamare per diuerfi nomi, come è dichiarato breuemente nel primo libro del nofiro Palerò, ffi) altrotte piu dijfufamen. te fi dichiarerà. Onde fi foluono facilmente tutte le obietioni contro a l'Jdee fatte da ss4riflotile in diuerfi luoghi: ma principalmente nel primo libro dell'Etica, ft) nel fifto delle co fi diurne, Uguale comunemente fi reputa il fittimo. Quefla difìnbut ione fèndo con ordine, mi fura, proporzione, fi già quello, che da l'ordine all' altre cofi non è d'effe priuato, come le cofi diuine, le quali producono, ft) reggono, le inferiori, rp X i m o„ j ì riori, e per necefittà accompagnate da una cenar gratta-*; da un ceno splendore ;da un florido colore, tlquale fi può chiamare rettamente efia bellezza* lmperoche ( come diurnamente dice Plotino ) benché la prima bellezza non fia un'altra cofa dada ferie d'ejfi Idee, come aduentitia, q) efiranea ; nondimanco quella gratta, quello fplendore, quel fine,• che in fu la prima giunta apparifie ad'afpettto di coloro, che raguar ciano tutta la ferie dell'ldee, quafi come il colore neda fuperficie, è chiamata efia bellezza ; laquale non feguita la natura di parte alcuna 9 ma piu toflo del tutto. Onde è manifeflo la prima bedezza pròcedere dada per fedone interiore dell'Angelo > quale duerno efjere fioatto. Et pero chi dice che' l bedo e diflinto dal bene come l'eflrtnfeco dali'mtrinfico, fecondo il mio parere dice rettamente, ft) chi lo riprende r ^ -> D iij 34 l n x o fer quefto, merita ejfo piu tojlo effir riprn fi, perche fi noi compariamo il hello al bene, affolutamtnte confejjiremo il bello tjfire come fpetie ; il bene, come genere. 0 nero firfi piu rettamente, il bene ejfirt per fi, mparticipato,e'l bello cffere una certa partictpatione del bene, ma fi noi non compariamo il belìo al bene assolutamente, ma quello, che è proprio bene a eia feuno, diciamo effer il bello differente dal bene, come l'eftrinfico dall'intrinfico.Im per oche la Juftantia, diffinitione, è, il proprio, primo bene di ciafiuno ; ft) neffuno dubita la Juftantia ejfire mtrin fica. Il bello, findo per modo d'accidente, come esirinfico feguita la fuftantia, e la diffinitione. Tuttamente adunque e A dettoci bene effir fi parato dal bello, come I mtrin fico dall'eftrinftco. Ma ( per tornare onde noi partimmo ) findo la prima bellezza i ^ i / M 0: yr bellezza una gratta, uno fplendore, uh fiore della per fettone interiore,lac/uale meritamente chiamiamo bontà ; che mura T digita e fe nella potentta mtelletuak del » l'Angelo eccita un'intenfi appetito, g / 1 dd Jìdertonon filo di fruirla, d'ejfrimer la, per modo di fimi, di Telatura? On de l'Angelo fi fa tutto bello. Que fio è l'amo te, ff) la Venere celtfìe, celebrata nel fimpofio, neìloratione di Paufitnia. c Per c/0 /0 «0» poffo non mi marauigltare di cer ti per altro h uomini, Sgrani ft) grandi iquali dicono, che l'amore e cagione della per fettone della bellezza. Imperoche, fi l'amore e appetito, fjfi defiderio ; la bellez? za, e appetita, ft) defiderata,e necejfirio, che la bellezza anteceda all'amore, ante tecedendo l'appetibile all'appetito. (orno adunque dona l'amore la per fettone alla, bellezza dicono ancora co fioro, che la bef * ' 2 ? tiij 6 L 1 *B X. 0 lez&a e cagione materiale dell'amore y laqualcofa e piu marauighofaimperocbe la bellezza muoue, come cofa amata, ff) defiderata, come ancora muoue l'appetibile, ft) l'intelligibile, ft) fino cagione come fi ne, non come materia. llche apertamente afferma zAnfiotile nel undecimo libro del le co fi diurne, ft) il diuin Platone nelfiflo della %epublica. Tsle però fi può dire ancora interamente perfetto l'angelo. Im -, Per oche l'ultima per fedone di ciafiuno è la pofi fione di effo Dio, fecondo che a fi e pofiibile: Uguale da neffuno e poffeduto con parte di fi-, ma con tutto fi. Onde Iddio non può effer compre fi ne per l'intelletto, ne per la uolontà, fendo l' tino, come l'altra, par te deli' Angelo, {fi non tutto l'Ange lo. adunque l'ultima fùa per fettone, e la coniuntione di tutto fi con effo Dio, allagale procede per necefsità uno intentai -u - mo P M 0. si mo appetito. Quefìo è l'amore tanto e faitato nel Stmpo fio, nell' or aitane di Agatone; llquale è beat if imo, fendo la cagione della felicità,e ottimo, congiugnedo la creatura con Dio, che è ejfa bontà,e gtouanijsimo di tutti gli altri Dtj ; perche è t ultima co fi, che riafca nebtzAngelo. 'Ter la qual cosa Dionifio Areopagita dice, che l'amore è un circolo fempiterno dal bene nel bene al bene, fìgnificando tre fpetie d'appetiti, nell'angelo da noi dichiarati di fopra: uno fùbito, che l'efentia dell' (^Angelo procede da Dio, pel quale l'Angelo produce la prima operat ione, cioè, la ulta; tintali ro, che fi gue nell'Angelo fubtto, che è difhnto nelle Idee,oue rifflende la prima bellezz&*£t que fio e proprio Amore,cioè dtftdeno della bel lezx&.Wl terzo è quello appetito, che con • duce l'zAngclo alla comunione d'effo Dto> della cui pofftpone acquifìa la fua felicità. O me l'Angelo proeede da effo Dio, co/i l'ani feguito principalmente, cioè *7 orfino ft) zAmeho.Qutfìa incomincia a riceuer mol mudine y tmper oche fèndo principio del moto come pruoua tldiuin L’ACCADEMIA nel decimo libro delle leggi, fg) il moto feguitando SS, ' «v l infinito, è neceffario in efjd comma a regnare l'tn finito. A cjuejìo fieguita la moltitudme 9 come per fiua natura inde terminata. Et però la prima molttplicatione di fiuHantta, quafi fitto un medefimo penere 9 incomincia a effer nell'anima. Sono adunque le anime, che procedono dallan gelo molte. Conctofia che l'Angelo non fia finon uno 9 nondimeno fino tutte compre fi fiotto quella commune anima, le qua li fi no differenti luna dall'altra, fecondo,che piu fi appropinquano, o piu fono lontane da quello, da chi procedono: il capo 9 guida di tutte è l'anima mondana t da chi procede tutto quefto corpo utfìbile, che noi chiamiamo mondo, o uuoi ùniuerfò. Sot to la prima anima fono dodici anime prtn cip ah, lequah finoprepofìe a dodici parti principali dell'uniuerfe cioè, a otto sfere ce kfli 9 quattro elementi 9 ft) perche eia. L 1 B 7^0 y cuna anima ha due parti, come dimoflra Platone nel Timeo ; una, per lacuale è fimtle all'angelo, da chi procede ; l'altra perche e fimile al corpo, tlquale produce ; per queflo ha finito due nomi, per l y uno de quali e figmfìcat a la inclmatione al produrre, (fi reggere d corpo ; per l'altro, la tnchnatione alle cofi diurne. Orfeo adunque (fi i fuoi figuaci chiamano l'anima della terra, Plutone, (fi r Profirpina:l'ani ma dell'acqua, Oceano, ffi Theti: dell'aria, Cjioue fulminatore, ffi Giunone: del fuoco, Faneta, ffi Aurora: della sfera Lunare ‘Bacco Lichinto, ffi Thalia ; del file, Bacco Sileno ffi Euterpe ; di Mercurio, Bacco Lifio, ffi Prato: di Venere, Bacco Trietarico, ffi Melpomeneidi Mar te, Bacco Bajjareo, ffi Cito: di Gtoue, Bacco Sabafio, ffi Tberfìcore: di Saturno Bacco Anfiareo, ffi Polinnia: de l'ultima 6i tima sfera Bacco Pcriciomo, g) Franta: Bacco cnbromio g) Calliope di tutto l'uni uerfo. One, e da notare, che a ciafiuna Mufa, è propoflo un Bacco per figmficare, che la parte dell' anima, che melma al corpo, è retta da quella, che partecipa della mtelligentia, inquanto per tale partici pationee fatta ehria del diurno dettare. zAlle noue<iZMufi li antiqui Theologi prepofono un'Apollo, lignificando le otto anime, d'otto sfere celcfii,g) l'anima dellumuerfo, chiamata Calliope, ejjer minifi r a della diurna mtelligentia, laquale efii chiamorono apollo ; noi al preferite chiamiamo Angelo. ^Non farà forfè fluori di propofito riferire una maramghofit opinione circa il numero, g) l'ordtne dell anime intellettuali, la quale fi può attribuire a gli antichi Theologi. ( I^ot ueggiamo il numero duodenario batter grande 62 L r <B HO automa nell'uniuerfb, di che facciamo coniettura per ejjtre dodici parti principali in ejfo, cioè dodici sfere. Oltre a quefto 1 ueggiamo Uno bili filma sfera effir dtfìin - j ta m dodici figni, onde ragionevolmente habbtamo a concludere ogni altra sfera ef fer ordinata, ft) diftrtbuta nel mede fimo modo, mafiime e (fendo in ogni sfera U natura del tutto, come accenna Platone nel Timeo: ma di quefto altroue piu dijf ufimente parleremo, oue dimoieremo, che tffendo l'uniucrfì compoflo, ft) retto dalla ragione Harmonica, e neceffirio, che fa ordinato fecondo il numero duodenario, radice dell'armonia di diapafon, fappiamo ancora, che'l numero fobico dice plenitudine, ff) firmità ; ft) pero quando il m• mero procede nel fio Cubo,eJphca tutta la ua per fettone • Il cubo, e quando un numero multiphcato m fe medefimo di nuouo fi multi % 1 M 0. fimultiplica per fi. V irbigratia noi chiamiamo il dua numero lineare, perche ha fimilitudme con la linea. Se tu multiplichi tl dua in fi mede fimo,fi fa il quattro, ti (juale ha fìmilit udine con la fuperficie. Se tu di nuouo moltiplichi il quattro per dua fifa otto tlquale ha fimilitudme col corpo, piu la non ua la multtp Ite ut ione, come contenta di tre termini longitudine, latitudtne * {0 altitudine, ftf per ejuefio il cubo è ultimo proce fio y per fettone de Inume rò. Quefi a procefiione e Pitagorici diurnamente accommodano alle fufiantie cofifi par ate y ff) eterne, come corporali, ff) caduche y come altrouemofir eremo, Adunque il duodenario, tlquale e il primo nume ro fecondo, compofìo di dua finarij fiquale e tl primo numero perfetto 9 procedendo nella fuperficie y ft) nel fuo cubo fa il numero osìd. T>CC. XXVlll ilqual nume 64 1 ro contiene tutta la plenitudine, fp firmila, c/tf procede dal duodenario. Qualcuno adunque fondato in fu quefto> forfi potrà credere ejfiere dodici anime nell'umuerfo, quafi dodici principi), come è detto • Sotto ciaf una ejfir e dodici altre anime, delle quali ciaf una habbia /otto fi dodici legioni d'anime piu particolari. In modo che il numero crefie fino alla fimma di A4. D C C. XXV III. legioni, in ciafiuna delle quali fia tanto numero d'anime, quante [Ielle fino nell' ultima sfera. 4 A£e debba parere frano tanto numero d'anime y quando ff) T)aniel profeta dice migliaia delle migliaia erano fìioi mini fri. fommunque e fia, tutta la moltitudine delle anime ha per guida, ff) capo la anima del mondo prefantifiima, diuimf fima di tutte le altre. c^nima degenerando dall' Angelo, da chi procede, inclina alla natura del corpo y qual produce; nondtmanco non degenera dall'angelo tanto che ejpt non rifirui delle condittoni divine; ne inclina tanto al corpo, che effa al tutto partecipi delle [òr de matertaliSPer laqual co/a pofta in mezzo dell' una, fp) dell altra natura y ncn dimette la cura, ffi) il minifterio del corpo: q) gode le delilie del mondo intelligibile, Onde meritamente è detta nodo dell'uniuerfi. Et per quefto ilduttn Pia tone nel Timeo compofi l'anima di fitte nu meri, in modo che pofta l'unità da ciafiuno de iati, ne fegutti tre numeri ; cioè dall'uno de lati il proce fio infino al primo cubo de numeri pari. T> alt altro ilprocefti in 4 E Vi *6.OLQ/^3! X 0 5L 4/ primo cubo de numeri impari. Si 4/4 cg«/ /dta fino termini quattro, {fi tre inter uaìli, per (lenificare nella natura dell'anima ejjer dua propietà: l' una, perche effa fi congiugne fempre all'angelo, -{fi quefìa è denotata per gli numeri impari: l'altra, perche ejfa produce il corpo, denotata per li numeri pari, {fi tana, {fi l'altra è dif finita pel quattro. Et però noi pofiiamo dire la quatrmità efjir uer amente l'Idea della perfetione ; non filo perche marauigliofàmente contiene il dieci; ilquale fendo tutto tl numerose Ptttagorici chiamorno Cielo, {fi umuerfi. Ilche ancora fignificorono li antichi Theologi ofiuramen te,quando a noue mufe prepofino un' Apoi -lo. *ZMa ancora perche quando fi procede nel cubo fignificato pel quattro, fi mene ^all'ultimo termino della proctfiione;ne fi può procedere piu oltre. Onde in ogni natu rapel Cubo efignificata l'ultima perfettone di ciafi uno.‘Non e adunq; marauiglia, fi e Pittagor tci(come dice Teone)giurauano per colute he dona all'anima noflra la Quatrinità y fontana della natura, che e tmperpetuo flufjo ; Imperoche quefto non è altroché giurare y per colui, cioè per Pittagora di CROTONA; ilquale h abbia trouata L'anima e fere diffimta per la quatrinità,cioe dalla po tenda dell' intendere, dalla ragionerai fin fi, dalla ueget attua. Dalle quali potentie l'anima, che fi muouefimpre: fifa perfetta. L'anima adunque produce il corpo ;ma pel mezo d'uno in frumento proprio y ilqual chiama grande fiminario y o uuoi natura. o uuoi anima feconda ; laquale dall'anima prima, è fatta grauida de fimi di tutte le cofi y che hanno a effire prodotte nella materia. Da quefto grande fiminario pen de tffa materia: laquale è imperfettifiima., ~ È ij L I 2 TfO di tutte le cofe fendo mafimamente diflan te da effo Dio autore d'ogm per fettone ; laquale, Plotino chiama principio di tutti i mali, co[t nell'umuerfi, come nell'anima noflra. "Pendono ancora dal medefimo feminario procefiiom de femt qua fi razzi dal lume Squali non mai fino fèp arate dalla materia, anzi fino fimpre congiunte fico. "Noi le chiameremo e femi delle cofe. La prefintia de ' quali nella materia affilue la generatone: quando accompagnati da lo affetto dell'anima feconda, moffo dalla prima anima h fanno termine nel compofìo \ naturale. Imperoche il compofìo non e altro, che il fime, che pende dall'anima feconda f q) la materia, in modo intra fi uniti, che defii fi faccia uno. Quefto forfè e à Chaos dzAnaffdgora, di finto dall'affetto dell'anima feconda, ilquale pende dalt anima prima, rat tonale f uer a pa drona SECONDO. 69 drona della gener attorie. Di qui fi può uedere il fondamento di coloro, che affermano tutte le cofe qualche uolta tornare quelle mede (irne. Laquale opinione benché paia molto aliena da zA riftottle: mafiime nel fine delfecodo libro della Generazione 9 ft) corruzione ; nondimanco noi Jperiamo dimoftrare ejfirhconfenttentifiima. Ma per tornare alla co fa noftrafendo nell' anima fecondo efemi delle cofe, uere cjprefìont delle Idee, ft) per que fio fendo accompagnati da una bellezza, che ìtale a fimi, quale e la prima bellezza alle Idee, e necef fario s'accenda in effa uno appetito,ff) uno defideriodi quella bellezza ; ilquale incominciando dalla cognitione, ft) non potendo fare la fimilitudme di que da bellezza» di dentro a fejransferifee nella materia la par ticipat ione delle Idee, alle quali feguita quefea gratta, que fi a elegantia, quale noi E lij io Litico V. Aleggiamo nel corpo mondano uer amento •figliuola dell' timore. Et pero Plotino di ce, che tutte le co/e fino teoremi >quafì protedino dalla contemplatine, hauendo prin tipio dalla cognttione di quella anima. Quella bellezza, che e nell'anima feconda, et quello appetito, che fi accende in e/fa e lo Amore la Zienere uulgare nel fimpofio riferita da Pausama, laquale è detta figliuola di (fioue, {fi di Dione; perche pende dall' anima prima,ffi rationale, laquale è detta Gioue, dalla feconda, rationale, laquale ha commertio con la materia i L Cielo, o uuoi tuniuerfi è uno, procedendo da una anima, ft) fendo fatto a fimilitudme di un mondi) intelligibile -, ilquale noi dtfipra habbiamo chiamato S E V P 2 \£ 27 0. chiamato Angelo ; ffi) pero Democrito ft) Leuctppo non meritano d'effere uditi, ujuali pofono mondi infiniti. o^irtfiotik pruoua che'l mondo è uno: perche egli è fot to di tutta la fua materia: ffi) Alatone proua, che'l mondo è uno fendo fatto a fimtlitudine d'uno efemplare. W<?i hab± btamo nella r Parafrafì noftra /opra il cielo hreuemtnte dichiarato, ffi) altroue diffufamente dichiareremo in che modo della unità del mondo fia la medefìma opinione dell'uno, ft) dell'altro filo fio fo, e il mondo non filo uno, ma ancora ingenito, ft) incor r unibile, fe noi crediamo ad Ariftotile. Al diuin Platone piace il mondo fempr e effere fiato, et fempre douere effiere: nondimeno hauere cagione da cui penda, cioè dall'anima diuimfitma, principio della natura corporale. Et pero habbiamo da dire effer tre principali fu ftantie, lecitali ueramente hanno natura di principio: cioè Idèo, l'Angelo, l'anima diuinifiima. Iddio è autore dell'unità in tutte le cofi, l'Angelo della permanenza, l'anima del moto: ft) quefia è la fintentia di Plotino, ft) di Por fino; benché Siriano, ffi Proclo altrtmen ti procedmo. Sono fiati ale unicorne ^lutar co, ft) Seuero, iquah hanno affermato, fecondo Platone il mondo effere incomincia to qualche uolta, ft) qualche uolta douere finire; ft) per quefto hanno detto filo effèr dua prmcipij di tutte le cofi, cioè la mate ria, ft) Dio, non pendendo la materia da *Dio, ne Dio dalla materia. In modo che Iddio fia al tutto finza materia, ft) fimplice;la materia fia al tutto eterna, ft) fin zci participatione di Dio, ma quefta oppinone (come è conueniente ) non è ammejja dalli altri Platonici. Le parti principali del mondo fino otto sfere celefii, ft) quat. tro eie. 7 ^ tro elementi. T>e!le quali le sfere celefli fino nobihfiime. llche dmoflra la magnitudine loro e'I / ito, l'ordine, e'I moto, il lume. Plotino uuole che il Cielo Jia fuoco, ffi) c.Piatone nel Timeo uuole,che il mondo Jia compofto di quattro corpi, Fuoco, Terra t Aere, ff) oAcqua, in modo, che da que: fio nome fuoco fino comprefi i corpi celeftu os4riftottle s'ingegna dimofirare, che il Cielo non e fuoco. lmperoche il fuoco, come ejjo dice, p muoue naturalmente in uerfi la cir cunferentia,p artendofi dal centro. &l corpo celeftenon fi muoue di moto retto partendofi dal centro, ma di moto anulare, ilquale moto [i fa intorno al Centro, pero il Cielo non è fuoco, altri menti bifignerebbe dire y che il Cielo barn fi fi dua moti naturali ; uno per ilquale fi muoue intorno al centro, che e ilctr calare: l'altro, per ilquale fi parte dal centro, ff) 74 L IV Z 0 - " ua alla circunferentia, che è moto retto,Lacuale co fa pare habbia per imponibile- Quefla ragione facilmente foluono Piotino, ‘Proclo. Ilche breuemente nella no fra c Parafaf f opra il Qelo habbiamó tocco y fé) altroue piu diffuf amente dichiareremo y mofìrando, che altro è muouerfi nel proprio luogo, ft) fecondo la fua natura: altro e, fndo fuori del proprio luogo, ritornare ad cjfo > ff) nella fua naturarono alcuni, che dubitano y fe le felle hanno moto proprio. Platone dice nello Spinomide y che le lidie fono animali ignei ; ft) nel Timeo y che le lidie fi muouono intorno al proprto centro. È piu de Peripatetici oppongono zAriflotile cjuafì uogliayche le jlel le fieno continue col Cielo ; ma piu denje ; ff) però non hauere altro moto, che quello della fua sfera. ^oi diciamo z^riflottle non hauer mai quefo affermato. ^a '7f quando duce le fteUee/Jere della medefima ] fuftantia, di che è il Cielo ; intendere effe effire della medefima natura, cioè ignee ; fffi quando dice le sielle effire mfijfie nella sfera ; non fignificare pero efftr continue, ma che non mutano luogo fecondo il tutto ; ft) pero apparire effire tnfiffi ; perche fi muouono circa il proprio centro. In fomma le sfere celefh, ft) le Belle effire di natura ignea, hauere proprij moti, è ma mfeflifiimo appreffio Platone. ‘Nelle sfere celefh fin due moti, uno da Oriente 3 m occidente, tlquale ‘Platone chiama moto del la fapientia, q) della identità. L'altro da Occidente in Oriente chiamato moto della diuerfità. Quefio, è delle sfere erratiche: quello del fermamento ; ilquale inulta la intclligentia dell'anima diuintfiima, di chi è tmagtne. Quello, è chiamato deBro, e quello fimfiro. L'uno, 7 fi L I % 7^0 | .l'altro fanno la generatone, la cor rruttone;Quello del fermamente fa che firn pre fia ejja generattone, ff) corrutione, come dichiara o Ariflotik. Et pero t Pitta gorici affermarono ff) ildeflro, ft) il fini • fìro efier nel numero de' principi] pendere « do dal moto del fermamente, ffi) delle sfe - '] re erratiche tutta la generatone. L Moto da Occidente in Oriente, chiamato da ‘ Platone moto di diuerfità proprio delle sfere erratiche autore della generatone, come è detto, è diuifiin fitte, Imper oche ogni sfera ha il fuo moto. di tutti è uelocifiimo il mote della sfera di Saturno di tutti è tardifiimo il mo to della Luna. Sono alcuni, uguali affermono IL LIZIO fintire il contrario, quale 77 uogha il moto di Saturno e [fere tardiamo determinando fi longhfimo tempo perla fiia fpeditione. ‘Ter contrario il moto della Luna effer uelocftmo deter minandofi breuftmo tempo. Tsfoi crediamo e far fententia d'o^lr ifìotile le sfere fàpertorimouerji piu uelocemente,che le inferiori. Imperoche la magnitudine, che debba effer trapaffata dalla sfera di Saturno s fuper a molto piu la magnitudine, che debba effere trapaffata dalla sfera della Luna, che il tempo, che fi dttermina Saturno per il fuo moto, non fitpera quello, che fi determina la luna. Quello è uno de gli errori, che Platone imputa a greci (come è detto ) nel fettimo delle leggi, cioè credere il moto di Saturno effer tar difimo fra i pianeti, fendo ueloc fimo, può fi ancora r acorre de comentarij di ‘Porfirio J opra il Timeo e Pittagorici affermare il moto di Saturno 7S.L IV 7^0 \ effer ueloci filmo, ff) riflotile ancora dice nelle quefiioni meteorologiche il moto della Luna non fare accenfìone nell'aere fendo tardo, ft) pigro: ilche fa il moto del file per la uelocità, ff) uicimtà. Credono i Pitagorici, ff) Platone il Cielo fendo imagine dell'anima efjir e dige fio fecondo la ragione armonica ; L'anima, fecondo che pia ce a Timeo Pitagorico, pigliando le duple, ff) le triple con le fifquialtere, g) fiper ter ite, fuper ottaue, ff) fimitomi è digefla in trcntafei termini. Il primo di tutti è il numero trecento ottantaquattro. La fomma di tutto il numero, e cento quattordici migliaia, ff) fecento nouanta cinque unità. 'JSfelquat numero è contenuta tutta la ragione Armonica. Sendo adunque le sfere celefh in modo coerenti fa fesche facilmen te paiono piu tofio continue, che contigue tanto fono pulite, ftfi coequate ; ft) mo? uendofi uendofi uelocifiimamente non dubitano af fermare ; da loro mandarfì fiora un fuono di tanta gratta, quale fta conueniente a fi nobtl corpo y come e il cielo, Imperoche il fuono fi genera del moto di dua corpi,, che uelocemente mouendofi f tocchino. Il moto piu ueloce genera il Juono piu acuto ; e*l moto piu tardo genera il fuono piu grane \ ff) pero il moto del fermamepto generati fuono acutifeimoye'lmoto della Luna grauifeimo, ff} perche i moti delle 6 fere fino digeftt, fecondo la medefìma ragione harmonica, come fino ancora i loro interualli ; fecondo laqualcfe digefla l'anima: e neceffario, che tali fuoni proc eden? do da moti armonici in modo confinano fa fi, che di tutti fi confi itmfea una ar r montagna melodia di gran lunga piu fua ue, che quella, che noi pofeiamo compren? dere con le orechie elementari > Et perotl 80 L 1 <B 7{0 dtuin Platone nel decimo libro della 7{epti blica dice, che ctafc una sftra celefte ha fico congiunta la fua Sirena, laquale canta il fio tuono. Dequah fi fa una armonia. e Pittatomi affermorno il Cielo eff re la li ra di T>io: a quali acconfentifcono Aleffan dro eJ "Milefìo, ft) Eratoflene.* #vi v,.,r /r a bi l e bellezza nafcc nel corpo modano dalla unto ne, per laquale cofe tanto diuer(i,ff) fi contrarie, co me fono nel mondo, fatte fra (e amiche, con ftitui fono un grande animale. £ fegliè lecito comparare le cofe grandi alle piccole, il mondo è ftmile a l'huomo ; Il fuoco, la terr a, l'aria, l'acqua hanno fmilitudme con la collera y con la malinconia, col fin gue,con sz gue, conia flemma ; della retta mifttone, de quali fi fati temperamento radice della finità y cofi a l'huomo, come al mondo. Il fermamento fi può chiamare il capo di que fio grande animale, alquale un numero * quafi innumer abile di fielle come occhi fui genttfiimi fino grandifitmo ornamento. £ ‘Tittagorici affermano le fielle penetrare col fio lume nel centro del mondo: dout pel concorfi di tanta moltitudine di raggi uoghono accender fi unfuoco eterno quafi cele filale. c Al firmamento, come capo, obbedtfiono i pianeti: in fi a quali il Sole ha fimilitudine del cuore, e fontana della uita. ^Marauighofamente eccede il Sole tutte l' altre fielle, non filo di magnitudine y ma ancora di potentia, ff) di uirtu ; la qual cofi dtmoftra la copta del lume. (fili antichi Theologi affcrmomo, laGiufiuta, laquaky come Regina, ordmaydriz-82 JSlpXQ V qi, regge l'umuerjo, per tutto procederi dal mezo del trono del Sole. zs4riftotile attrtbuifie tutta la generatone al Sole, ft) atta Luna ; lacuale, come dice Hipparco è neramente uno Jpecchio del Sole rifletten do a noi il lume, Uguale ejja da lui pren - • de. (fiiambhco, {$) Giuliano Imperatore confhtuifiano nel Sole tutti lifDij de (gentili. Et ^Plotino affermagli antichi auere adorato il Sole > come Iddio. Confideri la muc chi dubita il Sole effer preftantif fimo di tutte l 1 altre flette ; oue ancora ciò che e di lume, e per beneficio del Sole. Gioueconla fita beneficentia, peonia fua equità raprefinta il fegato, dal quale il nu trimenioìfommmt firato a tutto il corpo ; onde da gliaftrologi, è chiamato la principale dette grafie celefti ; da «J /Marte, quafi amaritudine del fiele, e ridotta al temperamento la dulcedtne di (filone. V mere. 'I T SECO X D 0. 83 ft) la Luna, fendo miniflre della genera tione per cagione della uirtu humida, che regna in effe, hanno proportene col feme, ft) con i membri genitali: chi confiderà la deferita, ft) prontitudme di J Mercurio forfè non dubiterà a/fomigliarlo alla lingua: per tu fido dellaquale noi facciamo note le intime noflre cogit adoni. èt pero li antichi meritamente attribuirono a t jue fio Dio il patrocinio dettelo (juentta. lAttribuifcono ancora a Saturno il dono del lintelhgentia, ft) però chi ajfermaffe Saturno effer e in luogo di reni, forfè non farebbe lontano daluero. lmperoche cjuefìi fendo aridiflimi, efpurgano lo spirito di ogni cahgmofo uapore. Onde effo, e fatto atttfimo mflrumento della inteUtgentta: non è dubbio ancora effere un tenuifimo, ft) luddismo Vehtcolo della uita, fg) del fenfi corre /fondente alt elemento delle fiel v.. o. f jj u L IB \0 le: per Uguale, come per competente mezo y l'anima consunta al corpo elementare y lo fa partecipe de doni della aita. zA queflo è Jtmile quel fuoco dimmfitmo, il quale e fimpre per tutto diffufi ; ripieno della uirtìi dell'anima regia, fecondo afferma Cjiambhco, ff) (giuliano Imperatore, ilquale da ziatone nel Fedro e chiamato il carro alato del gran Cjioue. Aderitamente adunque fendo l'huomo belhfitmo di tutte le cofe, che fino in terra: ff) effendo fintile al mondo y tn modo che e fio e chia mato piccolo mondoy h abbiamo affermare il mondo, quafi un grande huomo, effr belhfitmo di tutte le cofi fenfibtlu *Noi hab • biamo dichiarato fino a qui la bellezza efi fere una gratta, un fiore, uno splendore della bontà ; ft) l'amore non ejjere altroy che uno intenfi de fiderio di fruire, ft) di •fingere la bellezza. Riabbiamo ancora dichiarato eftere àua bellezze: una prima, ft) diurna, laquale, feguita all' Idee chiamata Venere celefte ; d'altra feconda, ft) naturale, laquale e nell'anima feconda, o uuoi grande femmario detta Venere uolgare, fé) commune, ft) pero eftere duoi amori. Vno circa la bellezza celefte, ft) diurna: detto diurno e celefte: l'altro circa la bellezza feconda, ft) naturale, detto amore commune yfft) uolgare.Sendo adunque l'amore diurno circa la diurna btttezz za ; ft) effìngendo efta, è necejjario ejjere in mezzo di due bellezze > una prima, ft) impar.ticipata, laquale fendo appetibile, antecede all'appetito amat or io)' altra non prima, ft) partictpata, cioè quella prole . bella y laquale l'amore diurno effìngeneL l'angelo per modo feminale, ft) di natura a ftmilittidine della prima bellezza s ft) imparticipata, ft) quefta non antecede, > f $ SS L IH 2 io ma fegmta all'amore. L'una, {0 l'altra chiameremo Venere celefle. Medeftmamente quella bellezza, che è nel gran (eminario antecede all'amore uulgare. La beL lezz&.* che e nel corpo mondano figuita ad tfio y in modo che ancora lo amore uolga re yl collocato nel mezzo di dua bellezze, dellequaltl'unae fine dell'amore uolgare, l'altra e prole ; {0 però ancora ciafiuna di quelle può efier chiamata Venere uoL gare. Oue è da notare la prima bellezza, che antecede all'amore ejfiere nell Angelo per modo fpett abile ; la feconda cioè quella y che è prole dell'amore efier per modo (eminale. TSJel grande fiminario per contrario, perche la bellezza 9 che antecede all'amore uolgarey e meffo per modo di fi-. mt:queUa y the figuita, cioè la bellezza che è nel corpo mondano prole dell'amore, e per modoffett abile. Onde la prima, {0 ultima bellezza SECONDO, st bellezza fino in quefto fimilt,che l'una,q} l'altra, è obietto della potentia utftuaiquefi a della corporale ; quella incorporale, ft) intellettuale, ft) pero non è mar auiglia, fi dalla bellezza finfibile fiamo eccitati alla bellezza intelligibile. E ancora da intendere non filo la bellezza dell'angelo, ma quella dell anima diuina efier lignificata per quefio nome Venere cele fi e: parimente l'amore ; che nafie di tale fpett acolo, nel1 anima diurna effer figmficato per lo amore celefie. lmperocbe, fèndo nell anima la uera participatione delle Idee, e neceffario ancora in ejfa fia la uera participatione della bellezza, ft) dell amor e, come ancora in ejfa è la uera participatione della uita, ftj dello intelletto. adunque nell'anima diuina fino dua amori, fjfidua bellezzaVna uera participatione della bellezzeIdeale detta V mere celefie. L'altra detta a*v*V> ss: L 17t Jt o • V Venere uolgare > hauendo commertio con la materia, zsélla bellezza uolgare e intento l'amore uolgare. Alia bellezza celejle, è intento l'amore celcfìe, ffi) fermezza deffa alla prima, ft) uera bellezza.!} aL la cui contemplatone s'afiende al capo,{t) principio di tutto l'uniuerfo, la cut bellezj za y filo per uaticinto fi può comprendere, trapalando tutta la f acuità del conofcere d infinito inter uaRo. ^Qr. ài- * L D l v in L’ACCADEMIA dice nel TIMEO (si veda) t anima nostra essere Hata creata nel medefimo cratere, quale fu creata l'anima mondana delle reliquie de medefimi generi; uokndo SIGNIFICARE l'anima nostra auere proprietà, ft) potente simili alt anima mondana >{t) alt altre anu me diurne } ma in un certo modo piu impera fetto. Quefto uuolefegntficare che t anima nojlra, benché habbta le medefeme uirtà; nondimanconon opera nel medefimo modo: perche intenta alla gener adone, ff) cura del corpo caduco, dimette la contemplatane della uera bellezza. Per contrario intenta alla uerità intelligibile dimette la cura della gener adone ; fp) cjueflo aduiene ragioneuolmente. Imperoche non potendo adempire infieme tuno, ff) l'altro uficio, enecefeario la efeedidone dell'uno fìaac• compagnata dalla dtmefeione dell'altro, quando e intenta alla gener adone, fi dice difeendere, quando e intenta alla contemplatane yfi dice afeendere ; non perche l'anima afeenda, o difeenda fecondo il cojìume de corpi. Imperoche fendo ejfentia fepara bile y ft) non pardeipando dicondidone aU ?o cuna corporale, fecondo che piace a tr L’ACCADEMIA, ffe) adzAnflotiU, ma di fuori ft andò, è al tutto afioluta dalla natura del luogo, alcjuale filo è obligato il corpo ; di cui è proprio il fetlire ff) lo feendere ; ma diciamo afcendere > ft) difendere m quello modo. Le cofe diurne y feno prefenti fecondo y cheefee oprano. lmperoche noi diciamo la dimnità ejfere in cielo, o in terra fecondo che efea opera in cielo o in terra. £t altrimenti non puòefeere determinata^ mente in luogo alcuno. Della operatone, e principio l'affetto, corne e manifefeo\chi è quello 9 che operafei in alcun modo, fe prima non fujfe moffo da uno a: ffetto antecedente? que fio affetto non e altro che un defederio d'operare, tlquale pendendo dal’ la fognatone e principio dell'operatione.Pri ma concepe Ftdia la forma della fica ^Minerua, dipoi defederà di produrla, o nel marmo S E C 0 TSfD 0. pi marmo, o mi ramo, dipoi la produce. Se non haueffe defiderio di produrla y non mai la produrrebbe, ff) fi prima non conce pejfi la fua forma, non mai dtftderebbe di produrla. ^Adunque la cognttione è principio dell'affetto, ffi) l'affetto dell* operatane ; fff pero alatone dice nel Timeo, che l'opefice del mondo fece tante forme nel mondo, quante hauca uedute la mente nel trnente, per lignificare la produzione del mondo pendere dalla cogmtione, in fra lequali, come fra due efiremi y e mezz ZP tl defiderio di produrre. Sendo adunque l'anima no fra nel numero delle cofi diurne, diremo effer e prefinte oue effa opera ; ft) operare, oue effa e tratta dallo affetto, g •) defiderio d'operare. llquale affetto pende dalla cognitione. Imperoche glie impofiibile noi hauere defiderio d'operare quello, che al tutto c'è nafioflo. ‘Ter 92 LIBICO lagnai co fa, quando l'anima nojlra con - cepe la uita ftnfibde ; ft) la gener adone 5 ft) hauendo affetto a effa la produce, ft) efphca ; noi diciamo l'anima dcfccndere., Jmperochela natura mortale oue effa opera, e V infimo dell' uniuerfò: Ada quando <• effa concepe la tuta de gli T>ij, ft) la ulta intelligibile lontana da ogni moleflia, ft) ùgnytriflitia, ft) con l'affetto l'efplica, dir ciamo afendere, fèndo gli c Dij. il fupremo \detl' unmtrfo. ‘Rettamente adunque dice ^Porfirio nel primo libro. DeU'aftinentia de gl' ammali, f noi defi deri amo ritorna rea quello, che è proprio nofìro, f) alla ulta degli T>ij, effer di bifigno, noi al tutto diporre qualunque cofà habbiamo pre/o dalla ^Natura mortale infieme con t affetto decimante ad effa, quafi non per altro defeenda, 0 afenda l'anima no fra, che per Iq affetto. ^Tiace al dtuin r 'Platone,ft) Plotino l'anima noftra, quando uiue con la uita intelligibile, ffe) degli Dij: conferire tanto grado di degnitd, che fatta collega dell'anima mondana infieme fico regga tutto il fato, ffe) la generatone. Viue aUhora con la uita de gli Dij, quando ridotta ne peniitfeimi tefeori della feua essentia, ft) di quindi nell amemfeimo Tarato della uerità intelligibile, contempla effa luJìitia, efea bellezza, effa bontà ; Oue intendendo tutta la TSjatura di quello, che è uer amente, fp) non folo intende tutte le cofe, che di quindi procedono, ffe) tutti e gradi della procefeione mfeno all'ultima materia ; ma ancora confeguentemente ope ra fecondohe effa intende. Onde merita mente è detta collega dell'anima mondana, laquale hauendo mteUigentia^ffe) prò uidentta uniuerfale, e principio del cielo ; ffe) di tutta la generatione. Onde Telato 94 L I V 7^0 rie nel Filebo dice in Cjioue cffere intelletto ft) regia anima, fignifìcando come nettuni ma mondana è intedigentia, ft) prouidentia mtuerfale ; cofi ancora effer ulta ft) principio uniuerfale di produrr e, ma quando effa declina adageneratione, ft) al corpo mortale, dimettendo la intedigentia uni verfitle, ft) però fendo oppreffa dall' oblivione delle cofe diurne, attende alla fabrica di quello, che offerendo fi adì occhi noflri) chiamato da gli ignoranti huomo, fèndo piu tofto imagine, ft) ombra d’huomo; che vero huomo. Queda dimeffione, ft) queda oblivione) lignificata dal dtuin ‘Telatone, nel decimo libro deda 'Rgpub. quando dice 9 che l' anime, che difiendono nella generatone beono dell'acqua del fiume Amelita ft) pervengono nel campo leteo. lmperoche Amelita fignifica negligenza, ft) leteo lignifica oblivione. T^ondimeno non gli è negato la uta di patere tornare alla ulta intelligibile,/e feparandoftdal {enfi eccita il lume della ragione,per laquale finalmente tifando per inflr amento la bellezza corporale, e reuocata in ejja uerità. In fomma l'anima quando muendo con la aita intelligibile contempla la uerità atramente fi può dire integra. Imperoche fatta collega dell'anima mondana regge ilfato f {t) tutta la natura corporale noftra, quando intenta alla generatone s'ingegna effingere nel caduco corpo la natura del mondo o dimettendo al tutto la fpeculatione della uerità, gt) obltgandofi afenfì, ueramente si può dire dimidtata. Laquale e ri/litui ta nella fua integrità, quando s'accende in ejfa uno intentiamo amore, ilquale incominciando dalla corporale, finalmente la reuoca nel marauigltofo fplendorc della bellezza intelligibile. Di qui apparifce quel r V’1£> v . òè L 1 X 0 lo y che e ìnclufi nel portentofifìgmento di Ariftofane nel Simposio. lmperoche k da principio ejjire thuomo di figura circolare, ffi) co’membri addoppiati ejjer fato partito in dua >per reprenfitone del filo fafio, tentando di combattere con gli T>ij, poiché gli e cofìdiuifi cercare della fila me tàydefiderando intenfàmente ritornare nel primo flato ; Incontratolo, quafi infuriato, non concedere per un breue momento di tempo mancare d'ejfio ; onde ejjer nato l'zAmore conciliatore dell'antica forma, medico, ft) curatore della generatione humana ; non mole altro fignificar e, che da principio l'anima no fir a uiuere con la ulta intelligibile, la cui contemplatone ha fico congiunta la cura della natura corpo tqle, ft) meritamente è detta circolare, fendo la contemplatone un circolo: Randella generatone dedita do crefiendo lo ftimolo dedita al proprio opificio crede fi e fière ha \ fi ante, a fimilitudme dell'anima celtfle, effingert il mondo in e fio, perde la contem) piattone, {f) fiero uer amente come inalza « ta dalfiafto, è diuifa. Cerca della fina metà perche ejja ottimamente conojce quello, che ha per fi per la inclinatione, affetto al corpo mort alerone non trotta niente di t verità', neiquale incontrando fi, cioè in qual che imagine della divina bellezza, fubito co me da un profondo (inno /vegliata, fi rtcor da della divina bellezza ; per l'amore della quale e (purgata dalle (ordì materiali final mente recupera la perduta metà. Merita. mente adunque (amore è detto medico, et curatore dell'humanageneratione reftitu tndo l'anima alla vita diurna, laquale è la fua integrità, QuefUfino forfè i uefìtgij per che uno filerte inuefiigatore della uerità configura il fegreto (enfi d'iAristofane. Non hauédo in animo al prefinte inter pre-, tare minutamente il dium L’ACCADEMIA, a noi fa ra a bajìanza qua/ì col dito hauere accen nato il camino in fi profonda mtelligentia. L’anim a nostr azoiche e difiefia nel corpo mortale fe ufia per iftru mento la bellezza corpo rale alla diurna belltZz Z&, guidata dall' amor celefle, recupera le perdute delizi della aita intelligibile. Ma fi fatta ebbra, quafi da focali di Qrce, precipita nella generai ione, ingannata dall'amore uolgare, diuenta ferua di tutte quelle calamità, che ha feco congiuntela datura corporale. Ma innanzi, che noi dichiariamo come nafte, {fi quello, che opera l'uno, {fi l'altro c Amore, fuori di propofìto dichiarare piu particolarmente la fua diffinitione\ come quelli che di qui potremo piu facilmente conofiere gli accidenti, di chef amo partecipe. E adunque L’amore desiderio DI FR V I R E, ET GENERARE LA BELLEZZA NEL BELLO, fecondo che il diutn Platone difnifte nel simposio. ‘Ter laquale diffinitione balliamo a intendere l'amore essere l'appetito, {fi non, filo appetito, ma di bellezza, {fi di generarla nel bello. Onde per quejìa ultima parte, come per propria cùfferentia t l'amore, e difìinto da ghaltri appetiti, iejuali non fono di bellezza. Chi adunque /apra che cofa è appetito, ft) che cofa è bellezza ; faprà a fufficentia, che cofa e tumore. L'appetito q) la cogmtione non effer quel mede fimo dimofira quello, circa ilquale è tana, ff) l'altra potentia. La potentia del cono fiere è circa il nero. La potentia dell' appetire è circa il bene. Sendo adunque diftmto il aero dal bene, e ancora difintala potentia del conofiere, dalla potentia dell'appetire. Il uero e quello, che è adequato a. fuoi principij. Come il uero oro e quello, che per tutto corri fponde a principij, ft) alla effèntia dell'oro, non am mettendo in fi alcuna cofa tftranea, ft) auentitia. PI bene e quello, che per fua natura fa quiete, fp) voluttà. Sendo adunque il uero, fecondo la fua diffinitione, difinto dal bene, è necejfario, che U corninone •* < y. f . ioj tione fiadifttnta, fecondo la fua dtffinitione, dall' appetito. Ter laejualcofa la ' facoltà del conofiere e una potentia in ap r prendere il aero. Lo appetito è una potente in fruire il bene. Della apprenfìone del nero, fi fra nella corninone certit odine. ^Rel fruire del bene t fi fra nell'appetito uoluttàsAriflotile nel fi fio libro dell'Etica dice, il uero, ft) il falfò ejfir nell'intelletto ; tlbene; fp) il male nelle cofi, lS[oi 3 che diciamo la corninone effer circa il uero > affermiamo il uero y ft) il falfi effer nelle cofi fecondo notatone 9. Uguale nel fi fio libro della Republica dice nell intelligibile effer e la uer rità, nell intelletto la fiientia * llcbe non repugna ad zAriftotile, come nella noflra concordia dichiareremo. Al uero, ft) al falfò féguita il benc,fj} il male: imperoche nulla può efier uero che non partecipi del bt ne ; nulla può effer falfò, che non partecipa q tij ìo2 L 1 % 0 del male, ft) però alla cogmtione,che e circa il aero yfeguita i appetito, che è circa il bene. Prima conofiiamo, di poi appetiamo ; ft) appetiamo quello, che noi appetiamo y perche crediamo ejfer buono, ft) utile per noi. Adunque l'appetito appetifie quello, che la potentia del cono/cere giudica ejjer buono onde è manifefto l'appetito figmtare la cogmtione. Sono diuerfi gradì di uero nelle cofe: Sono ancora diuerfi gradi di bene, ft) pero fono diuerfi cognitiont, ft) diuerfi appetiti ; onde et diuerfi certitudini, ft) diuerfi uoluttà. £'l primo grado di uero è nella natura Angelica, oue tutte le co fi fino adequate a fuot principìj y ft) però fino partecipi uer amente della bontà. Circa ad effe è la prima potentia di conofiere 3 laquale e chiamata intelletto ; ft) il primo appetito, ilquale è chiamato uolon td nell' intelletto )e la pritna cer tit udine,ft) TE \Z 0. 103 nella uolontà, la prima uoluttà. Il fecondo grado del nero, ft) del bene e nell'anima: om il aero, benché non fia affolutamente aero, come quello della natura Angelica ; ilqualee per fia natura uero, e nondimeno aero, ft) bene r adottabile, circa ilquale è la feconda potentia del cogno fiere, qual' e chiamata ragione,{t) il fecondo appetito chiamato elettione, nella quale e la fia uoluttà, come nella ragione, e la fua certitudme y laquale e detta propriamente fcientia i fendo la certitudme intellettuale detta fàpienza. et l terzo grado di uero, ft) di bene, è nel gran fimmario y circa ilquale è la fua cogmtione, quale noi chiamiamo finfò intimo, ft) à fio appetito principio della bellezza corporale ; la certitudme di quella cognitione ft può dir fede, ft) quella uoluttà fi può dire tmaginaria. Il quarto grado è nella na. <3 «<j 104 L 1 3 ? \ O tura corporale, oue le cofi astutamente fono ombra di utro,q) ombra di beneinon dimeno fino uero>ft) bene fin fibile. Et pero la corninone, che è arca tal ucro s e una ombra di cogmtione; noi la chiamiamo fin fi particolare, nelquale è neceffaria certi t udrne y ma piutofto afimilitudtne 9 come, dice il dtum ^Piatone nel fi fio libro della 2{epublica ft) lo appetito 9 che è circa tal bene e un'ombra del uero appetito, nel- quale è uolutta al tutto ombratile: difcor -1 rendo adunque per tutti i gradi dell'appetito y fimpre l'appetito è circa il bene ffi) confeguente alla cogmtione. Et però io mi marauigho d'alcum che diuidendo l'appetito dicono lo appetito diuiderfi in naturale, cogmttuo, (fuafì pojfi efiere ap petito finza cogmtione 9 ile he al mio parere e afjordo: Imperoche mjfuno può appetire, quello che è al tutto incognito 9 fi noi TERZO. tot noi diciamo negli elementi efftr appetito del proprio luogo s e neceffario concedere in tfii e (fere una cogmtione antecedente allo appetito, lacuale è principio et appetire 4 tutte le cofe, che appetifiono.Est a c va dichiarar che cofa e bellez&a, potremo intendere chiaramente, che cofa e amore. La bellezza, come e detto difoprafe una gratia y uno fplendore della bontà, che in fu la prima giunta apparifce all'affetto, qua fi il colore nella fuper fiele* Oue è da notare due cose. ‘Trimala bellezza efftr obietto della jotentia uifuale: dtpoi ejìtre per modo d'oc adente, ft) eftrtnfeca. Le bellezze fon molte ; perche altra i LA BELLEZZA DELL’ANGELO, quale chiamiamo bellezza intelligibile, ftj diurna: altra la bellezza dell' anima rationale, quale al prefènte chiamiamo animale ; altra la bellezza del grande femmario, quale e detta feminarta; altra LA BELLEZZA DEL CORPO, quale è detta corporale: a tutte nondimànco è com mune ejfer un fiore della bontà, ejjer obietto della potentia uijuale, efier per modo d'accidente * Et per piu piena wtelligen aia e da intendere ejjer piu potentie uifùali, fecondo che fino piu obietti uijibili. La prima è efio intelletto, ilquale ragguarda nella uerità intelligibile, ilquale è ueramente un'occhio eterno, che uede ogni cojà Signore del mondo, temperatore delle co fi celejli, ft) terrene. La feconda potentia uifuale, è nell'anima, effa ancorale-, culatrice della uentà: Ma multipbce,ffi uaria, detta potentia rationale. La terzi j ènei TERZO, r io7 è nel grande fiminario intenta alla uarie ta de fuoi fimi. Onde nafte l'affetto, principio della bellezza corporale. V ultima è ia potentta, dallaqual fin uedute le corporali, preftanttfiima di tutte le poten tte finfualt particolari, come dice tAru fiorile, aera imagtne dell'intelletto. Auendo dichiarato che cofa è appetito, ff) che cofa, ecognitione, fffi che fino tanti modi di cognitione, ff) d'appetiti, quanti fino e modi del uero, ff) del bene: battendo ancora dichiarato, che cofa è bellezza, ft) e modi di effa, ft) che cofa è potentia ut fiale, ft) i modi di effa pienamente pofiamo intenderebbe cofa fia amo re, ft) la natura d'effo. É adunque l’amore desiderio di fr vi RE, ET D’EFFINGERE LA BEL l e 2 7 / a nel bello. Sendo l'amore, defiderio, ft) appetito pof tamo intendere effir circa il bene. Sendo di bellezza, poliamo intendere effir circa quella partir apatione di bene, che e detta bellezza ; laquale è efìrinfica, ftfi per modo dacci dente obligata alla potentia uifuale, St pero h abbiamo ad intendere l'amore effire m'appetito, che figuita la cognitione uifuale.Onde Plotino dice rettamente l'amo re hauere acquifìato il nome dalla uifìone. E detto appetito non folodi fruire la bellezza ma d' e f fingerla per lignificare l amo re effir efficace. Imperoche non glie a ballante fruire la bellezza, fi ancora affettuofifiimamente concependola non la effri me ; ft) in chi ? nel bello ; cioè in chi fia di fpofto> ft) preparato a riceuerfì tale effir e fi fione. Laqualcofia dichiara il diuin r Platone nel Simpofìo: quando dice l'amore e fi fiere del parto della generatone nel bello. £ modi dell'amore fon tanti, quanti fono e modi 1 T E % Z 0. 109 e modi della bellezza, ùjuah fi riducono a dua, cioè alla bellezza diurna, detta Venere celefte, ft) alla bellezza finfibile 9 det ta Venere uulgare, ft) commune: ft) fero diremo e modi dell'amore effir duot cele fte,{t) uulgare. L'amore celefte è appetito intellettuale circa la bellezza intelligibile. L'amore uulgare e appetito ftnjuale, circa alla bellezza finibile. L'uno, %t) l altro fa la fua efprefiione nel bellori celefte nella natura diurna per modo di fimi, ffi) di natura, come è detto ; il uulgare nella materia per modo uifibtle, fgl d'imagine ; laquale per tjuefto fi dice bella, perche e paratifiima a riceuere la ejprefitone della bel lezza fimmana, di qui fi può intendere la fententia di Alatone, quando dice Poro figliuolo di Metide ebbro di Tettare, ft) Pema hauer generato l'amore, ne natali di V mere. ^Noi perche di quefta man o L I *B 7{0 teria h abbiamo breuemtnte trattato nel primo libro del fulcro, (g) h abbiamo in animo trattarne altrove pia diffufamen te, al prefente dimetteremo piu particolare efpofitione contenti filo in queflo luogo hauere aperta la uia a quelli,c he fino fìudtofi d'intendere i profondi, fg) fegrett mi * fterij dell’ACCADEMIA > f • , « v* f ' /chiarata ladiffinitione dell'amore, fg) come gl' amori fin dua,cwè celeftc ft) uulgare, refterebbe a dichiarare m che modo nafia, fg) quello,c he operi in noi l'uno, fg) l'altro amore, ma perche dell'amore cele [le a bastanza e detto fi nel terzo libro del *7* utero, fi ancora nel panegirico nofiro all'amore ; per quefio diremo filo ft) breuemente dell'amore mi gare. TE % ZO. /// gare. Al pr e finte fuporremo in effir noi uno cor puf colo diffufi per tutto, quafì unumcolo infra l'anima, (g) il corpo elementari, detto spirito y mediante tlquale dall'anima nel corpo piu terrefìre fia trans fufa la ulta. Quefio fendo generato d 1 una fot tilifi fima efialatione di fangue, ha origine dal cuore principio, g) fontana del fangue piu puro, fi) al cuore prende la utrtu,per beneficio dellaquale noi fiamo partecipi della uita, detta uirtù uitale. Dalcerebro procede la uirtù,mediante laquale noi fintiamo, g) et mouiamo, detta uirtù unir male, dal fegato la uirtù, per laquale fi fa il nutrimento. £t la generatone, g) altre operai ioni f nuli detta uirtù naturale. Di tutte quefle operationi e mflrumento lo fpirito, ilquale ( come e detto ) ha ori gine dal cuore. Laqual co fa confidtrando zArifiotile, fecondo la mia opinione, diffi ÌÌ2 L / 2 % 0 il cuore eficr principio del uiuere, del fin W, ft) del mouerfi } fé) pero tenere infra gl' altri membri il principato > Come quefio non re pugni a Platone, ilquale afferma il capo effer prtnctpalfiimo di tutti e membri, ajjoluendofi per e fio l'intelligen ita, laquale, è nobil filma di tutte le nofire operationi, altroue a bafìanza dichiareremo, Stndo aduncjue lo fpirito mHrumen to del finfo, mafiime della fantafia, che marauigliaè fi con tanta affinità naturale infra loro fi congiungono, che una potente alter atione dell'uno fa tran/ito nell'altro ? ‘Per lacjual co fa lo fpirito potentemente alterato, e baflante a muouere la fantafia a produrre l'immaginatione filmile a quella alteratane. llche apparifie in quelli, che fino ueffati da ueemente fibre, oue tal moto dello fpirito fa tranfito nella fantafia. Mede fimamtnt e fe la fantafia interi famente opera in qualche petifiero: nello /finto fi fa una imprefiiom naturale, firmle a quella operatone. La qual co fa dimofirano le fife tmagwationi delle donne grauide, in cui ueggtamo non filo dalla fantafia far fi tmpref ione nello fpirito y ma ancora mediante lo /pirico tra pa/farene teneri cor pi del fio tenero portato. E n?ittagorici fferauano medicare le malattie con certi modi d'armonie. Imperoche l'anima dell'armonia e fi erme reuocata nella interiore, ff) naturale per grande predominio, che ha / opra il corpo, produce fimtle armonia in e/fo, in età ftà la fita finita. Ecco adunque, che dado [pirito nella imagmatione fi fa tranfito, cogitando la fantafia fecondo che efio è affetto dall' imaginat ione. niello fptrito parimente fi fa tranfito, fendo l'imagtne, come superiore, Ufi ante a muouere la uirtù naturale. Oltre a quefto hab btamo a intendere da ogni corpo generabile > ft) cor rutilale far fi una continua refi + lattone, ft) un continuo fiuffo, come aftermano Sinefio, ffi ‘Troclo; rituale pir certo /patio di tempo, ft) a certa dt/lantia si conserva integro, avendo continuatane con quel corpo, da cui procede. E magi fi gliono ofteruare cjuefto fìmulacro, per. e/Jo offendere lo fpirito, quando hanno in animo perdere alcuno • ^Mafiimamentc fi fatalflu/Jb per gl' occhi.quafi per piu aperte fineftre dell'anima, ft) dello spirito: ilche afferma o^riftotile, quando dice l affetto ciana donna, che patifta il menfiruo fpeffe uolte machiare uno Jpechio. È ancora da Jupporre nella generazione delle cofi ejfir neceffaria una cagione, che produca detta cagione efficiente, ft) una, in chi, ft) di chi fi produca detta cagione necejjaria, TET^ZO. ns necejfaria, ft) materia. Et pero Telatone nel Timeo dice, che'l mondo e fatto di niente y ft) di necefiità, cioè dt materia, ft) Arift otite chiama la materia necefiità nonjempltce, ma per fuppofitione. Impe. roche come (e fi dee far ma cafa, ft) una fatua y è necejfaria tale, o tal materia y coffe fi dee fare que fio ornamento, quale noi chiamiamo mondo, è necejfaria ta le y ft) tale materia, di che effo fìa confiti tato; ft) però la materia per fitppofitione f è necejfaria *. Oltre a (juefte due è ancora necejfaria una cagione infìrumentariayme diante lacuale fia preparata, ft) diffofta la materia a riceuere attamente il dono della cagione efficiente. TSjoi pretermetteremo come a quattro cagioni della generatione indotta da z LIZIO, cioè efficiente y fine y materia, ft) forma fieno da Platonici aggiunte le cagioni eftmpìari, fg) ^ H ij ! n6 L I 3 ^ 0 l'organica. lmperocbe alerone s' appartiene determinare di queft a materia.. Oue di chiararemo ti nero efficiente dilla generatione ejjer la parte naturale dell'anima mondana,chiamatada noi di {opra grande Seminario. Il fole, ff le fuflantie indiai due effer cagioni inftrumentarie: questi co me inftrumentt particolari,quello come in flrumeto uniuerfale. Al prefente ci bafli la generatione hauerc dibifogno della cagione efficiente, della infìrumentaria,e della ma tena.Pofìi qucfli tre fondamenti facilmen te pof iamo intender come nafea in noi que fla affett ’ionc, quale e nominata amore. Ada f imamente fe non et fiamo dimenticati eh quello, che è detto poco innanzi, l'amo ' re hauer confeguito tl nome dall'affetto. Quando adunque per lo affetto ci s'apprefenta nella fantafia qualche ff et t acolo, il quale noi appromamo, come bello ff) pieno,p ^ ' dtgratia di gratta; [àbito t anima eccitata nella col gmtione della /ita bellezza interiore v defederà non filo fruirla, ma e f finger la. Et. perche tale efirefiione ha dtbifigno della materia, ft) del fubietto, atto a quell&rk cetttone ; per quefto de fiderà ejpt merla in quello, che efid ha prouato, ft) da cui è fiata eccitata a tale ejprefiione, come piu atto a riceuere la participatione della bellezza, ft) perche quella ejprefiione non fi può far nel bello, quantunque di fra no tura atto, fi prima non e frffiaentemente preparato: per quefto mtenfamente defidera congiugner fi col bello ; Come quello j che altrimenti non può efficr preparato ; che dalla uirtìt del fime, ilquale è tnftrumento naturale ad efpr'tmer la bellezza fi minarla dall'anima. *Di qui fi può uede ; re apertamente con l*amor uulgare 3 effèr fimpre congiunto il defiderio dell'atto Zie H. iij -ni LI 3 710 nereo, fecondo Platone, Imperoche fendo l'amore defedeno defungere la bellezza nel bello, fj) non fi potendo effìngere, non fendo preparato ; ne prepar andofi fe non per quell' tnftr amento, quale ha deputato lunatura, cioè il feme y oue fiala uirtù gener attua, Imperoche la generatione y o non fi ejpcdifie fenza il seme, o per il seme piu commodamentefe necejjario fìa accom pugnato naturalmente da quel defìdeno y • qual noi chiamiamo Venereo, Et quefea c una commune difpofìtione dell 1 amor mi gare circa ogni bello. Imperoche l'anima re focata nella bellezza interiore, giudica ogni bello, degno ; in cui s'effinga il fimu lucro della bellezza. Ma quando noi approuiamo piu un bello y che un'a\tro y come piu grato apprefjo noi, penfando del continuo adejfe affettuofamente ; fi fa nello (f irito ma certa difpofìtione confeguentea TE 2? Z 0. 4 W quella cogitai ione. lmperoche y còme editto, dall' anima fi fa tranfito nello fpiritq come tn proprio y $) naturale infìrumen to. Incontrati adunque m quello, circa cui Jiamo affetti, ff) a una certa diftantia appropmquati riceuiamo nello fpirito per tutto il corpo quello efirementofilquale na u turalmente fi rifolue dal corpo dello approuato fpettacolo ; Mafiimamente fi fa tale recettione, quando noi dtr itti gli occhi nel uoltOyft) ne gli occhi dtUa co/a, che tanto ci piace, per la marauighadiuentiamo fimili a gli ftupidi • Imperoche come per gli occhi, quafi per piu patenti finefire, fi fa maggiore refolutione dello fpirito y coli ancora per efii è parata piu la uia negl'intimi penetrali dello (pirtto. Marauigliofamente opera l' efficiente È quantunque debile, nella ma teria ben preparata fupplendo alla debilità della cagione, la dtfpòjitiòne della materia, della qual co fa e mani fefto inditio in gran copta di materta da una pìccola fcintilla fiufiitarfi grandi fimo incendio. Lo Jptrito dallo affetto continuo della fifa cogttatione, quafi formentato, come prima è tocco da quello efiremento,/uhito alterato -, quafi fimu tavella natura di quello: Intanto che arriuando l'tnfettione al cuore, fontana dello jpirito, fa che, ft) effi ancora parimente patifia. Onde ft) il /angue,che in lui fi genera, ft) lo /finto, che è infi aurato dalla continua efalatione del /angue, riten gono quella medefima infettione. Di qui 'auiene, che quelli, che fino infermi dalla graue malattia dell'amore, (intono dolore principalmente nel cuor e. lmperoche la cofà amata fa uiolentta nello Jpirito', ft) per lo //ir ito nel cuore, onde ha origine'. Meramente alla maggior parte de malt(cò me dice r £ x z o. ni me dice tldium Alatone) un certo demone ha mefcolàta la uoluttà dolcifrima e/ca, l'anima inferma fi diletta dei diuin afpet -. to del fuo bello ffett acolo ; ffr) in prima del lume de' rifflcndenti occhi ; Màinganriata dalia uoluttà 3 non finte il mortifero uè ne no penetrare, per li occht entro alle uu [cere ; dalquate il grauiftmo morbo prendendo nutrimento, d'hora in bora merauigliofametiie crefce. c Adunque lo ffniito tutto infetto, mouendo uiolentemente la fdntafraja coftrmge non mai ad altro pen fare ch'ai fuo bello spettacolo ; rituale approuando l'anima, come foto derno in cui effa poffa ottimamente cfprimere una bella prole y a fmtlitudtne della bellezza interiore y eccita uno intenttfrimo dtfrder io di fruirlo. Quefìa e la generatione dell a mor uulgarc per quanto i circa alla hdlez&aparticolare d'uno, o d'm'altro. Cjli T22 L I 2 7{0 accidenti che l' accompagno™, in parte faranno dichiarati brevemente da noi in quello che fiegue. f& al Omi l' anima èia aita del corpo, co fi la cogitatone è la ulta dell' anima. £1 corpo fi dice ejftre allbora infirmo, quando l'anima /eco non confinte. Ondo l'arte della medicina non è circa altro, che in conciliare l'anima al corpo-, in che sla la finità dell'animale. L'anima e infirma quando non confinte con la fua cogitatane, ma difìratta dimenticataf, ff) « di quello, che efia è, ffi) delfuo ufficio ; non cura, come è conueniente, fi medefima. L'infermità principali dell'anima fon dua:l' una è detta ignorantia-,1' altra e detta infanta ta infima ; le quali fin unto piu gratti che le malattie del corpo, quanto i anima e piu eccellente, ft) piu nobile, Ma a che fine tjuefto ? Certamente perche la cogita tione dell'amante non mai fi parte per un filo momento di tempo dall'amato. Et pero dimettendo il fuo uffitio naturale, non confinte con l'anima di cui è ulta. Vani ma inferma, ft) affetta accompagna la fua cogitatone: lmperoche nulla può uiuer lontano dalla ulta. TDi cjui aduiene, che l'amante e detto uiuer finzlamma, untetido nell'amato. Queflo fa, che'l corpo non riceue il defiato dono dell'anima: onde, f) ejjo cerca dell' amato, q) trouatolo alcjuan to fi quieta 9 (juafi habbta trouato ìanima, ma perche ne all'anima e concejfit la cogitatone, ne al corpo l'anima, cioè ne all'uno, ne all'altro la fua ulta, è necefi fàrio, che ciafiuno incorra in grauifiime iriJf L I 2? TfO malattie ; l'anima nell'ignorantia 3 fjf) nell'infima: il corpo nella difcordia di tutte le fie parti fra fimedefime che è il mafi J Imo di tutti i mali. Di qui fi può uedert quello 3 che uolfi tl dtuin Telatone nel Simposìo 3 quando dice, l'amore ejjèr arido efier macilento 3 effer e /quando co piedi nudi uolare per terra 3 finza cafi 3 finza letto, finza coperta alcuna dormire nella ma prejjò alle porte ; ffi) quefìo per effir figliuolo della pouertà « Imperoche l'aridità 3 la macilenta, lo fquallore che 3 e ne corpi degli amanti, feguita la difcordia delle parti del corpo fi a fi) lequah non pomo adempiere il fio officio naturale 3 non fèndo l'anima intenta aidehito reggimento deleorpo. L'anima difir atta dalla potente cogitatane 3 opera de talmente nel corpo: onde conuertita la maggior parte del cibo in fiper fluita 3 fi genera poco fin gue 9 i2$ gue, ft) quello per la mede/ima cagione fin do mdigefìoy e grofjo, ft) negro. El difetto del [angue, di che fi fai alimento genera efiiccattone, ffi) configuentemente eftenua tione mi corpo. La grofiez&a,{tf ba negrez za genera affcrità, mifihiata col pallore. È adunque lamore arido, perche e cagione y che e corpi delti amanti manchino della conuemente quantità del [àngue, diche fi nutrifiono. E macilento perche il difetto del nutrimento genera in efit efienuatio ne di tutti e membri. E [quaUido perche fi nutrifiono di [àngue groffiy ntro y ilqua le genera [quallore. Tutto quefto non uuole altro (tonificare, finon che e corpi degli amanti principalmente fono obligati a ma li malinconici. Et quefto inquanto a mali del corpo. 5 S[oi h abbiamo detto quando la cogitatone y non confinte con l'animaygenerarfi in ejfà Tignorantia, t infanta ; onde hanno origine tutti glialtri fitoi ma-; li. Volendo adunque ed diuin ^Platone figmficare la ulta degli amanti e fiere affati caia dall'ignorantia, dall' infama, ff) configuentemente da glialtri mali, che le figuitano: diffi l'amore effer co' piedi nudi, per che non curando l'anima fi medefivna rettamente, come aduiene adamante, non conofie quello, che effa è, anziché e di gran lunga peggio ) crede fi effer altrimenti che effa fia. ~Di qui aduiene, che effa è priuata della cognitione della uerttà. Et pero in ogni fua anione procede finza ragione alcuna, e uer amente co' piedi nudi. Diffi uolare per terra, perche l'amante fi fa firuo della bellezza corporale. Laqual cofa nafie daefìrema tgnorantia, da cfìrema infama, fèndo l'anima noftra nel numero delle cofe diurne, lequah hanno a dominare alle cofi corporee, ffi) non fimire. Di ixà re. TDi qui naf ce, che l'amante e fòt topofio a infinite offe fi, ne mai uer amente fi. quieta in cofa alcuna, ne ancora nella cofa. amata, fendo fempre agitato da uant speranze, da uani timori, i quali fino m modo potenti, che effo non ha fatuità di poterli in alcun modo celare, quafi un fìupido, obhgato fempre alla bellezza corporale, ma alla bellezza diurna, appoggiato a [enfi, iquali fino parte dell' anu ma noflra ; mentre e congiunta col corpo mortale. 'Rittamente dunque l'amore fi può dire finza cafa, finza letto, fintai coperta, dormire all'aere nella uia appresole porte. Sendo adunque l'amante fottopoflo a tanti mali per cagione dell'amato, qual pena fi potrà trouare con ueniente, fi efio non riama ? Certamente chi priua il corpo della ulta e h omicida: chi rapifie le cofi diurne èfacrilego.L'ama ì2S L 1 3 % 0 to e fi ordendo la cogitattone all'aman. te rapifce l'anima sofà neramente diurna. ‘Priua ancora tl corpo della aita, uiuendo effo per la pre/entia dell'anima: Onde come homictda, ft) Jacrilegofe degno di cru delifiima morte. <^Ma riamando l'amato marauighofamente reHituifce l'anima all'amante. Imperoche, chi riama dona la fua cogitatone, ffi) la fu a anima, nella quale urne l'anima dell'amante. £t pero donando fe, refhtuifce all'amante la perduta anima ; ne per quefto pero abbandona fi mede fimo, battendo fmpre fico congiunta l'anima dell'amante. Oitefh ffij fi mili fono gbaccidenti, che feguitano all'amore per hauere origine dalla pouertà, come madre. Chi uuol conofiere efijufitatnente ancora quelli, che configuitano all'amore pereffer figlio di Poro, cioè della ma alla copiai legga icomcntarij foprail Simpofio Smfojto del Duca noftro ^Marfiho ; otte la natura dell'amore fecondo la intendane di ‘Platone è diurnamente ejplicata. Otrebbe alcuno dubitare > perche cagione non fìa mo parimente affetti circa ogni hello. <JMa fi ne trotta qualcuno, tlquale, henche giudichiamo efeer hello, nondimanco non eccita in noi quello intenfò affetto, quale chiamiamo amore. Qualcuno altro potentfiimamente ci commuoue ; anzi {che e di gran lunga piu forte ) fpejfi fìamo affetti a quello, che ancora noi medefimi giudichiamo effèr men hello in fa molti. Quella qui fi ione fecondo la mia fintentia, fendo difi folle, ftj) anfia y fff) ha fi ante ad affati n o L I S 7{ O care ogni buono ingegno habbtamo dedicata al fine di quefta opera, della quale al preferite breuemente tratteremo. Qualcuno forfè giudicherà la femilitudme, g) la congruente, perche noi fìamo piu. affetti ad un bello, che ad un'altro: hauere origine dal padre, g) dalla madre, quafi fia neceffariOy hauendonot di quindi l' effere, hauere ancora da mede f mi tutu l' altre ajfettioni ; Qualcuno altro crederà douerfi ridurre alla natura > g) al Cielo come autori di tutte le cofe inferiori. Tfoi che fèguitiamo il dium Alatone, affer y miamo la datura, g) il Cielo efeere indumenti della diurna inteUigentia, g) per queflo operare nelle cofi inferion y quaii eoi loro ordinato di fòpra. ‘ Diremo dunque le cofe diurne ejjereinfra fi di flint e, fecondo che s'appropinquano, o fino lontane da quel principio % onde procedono, i T B '%'Z 0. ni fa per quefio fèndo l’anime rattonah nelnu W mero delle co/e diurne, e neceffario altre efi fa fere ne primi gradi della perfettione, al$ tre ne fecondi, altre ne tertij. Quefla di { ftributione ha origine dal primo mtellet T tri to, ilquaìe difipra habbiamo apellato, tjl fff Angelo, ft) mondo intelligibile, oue l tutte le cofè hanno il loro efiere perfiettififimo. Sendo adunque l anime rattonali ì difìribuite in tanti ordini, quanto è il nu-, mero delle stelle, come dice ildiutnTlai tone nel Timeo, benché naturalmente tutte fieno in fra fi confintientt, nondimeno infra quelle è maggior confinfi, in chi è piu congruentta, ft) piu fìmihtudine: Onde l 1 anime di ciafiuno ordine piu cónfintono fico medefìme, che con quelle, che fino di dtuerfi ordini, hauendo infra fi maggior fimilitudme, ft) maggior a fi finità: fór bigratta, t anime fitto l'ad l \ V t,; Vs» i3z LIVIDO tniniftr attorie di Giove piu conuengono in fra loro ; che con quelle, che fino ordinate fitto l'amminifìr adone di «J "Marte, o di Saturno: fendo piu fìmili, ffi piu affini. et anime, che dt/cendono nella generatione tratte dall'amore delle cofe terrene formandofi i corpi, iquali reggono: in efii efprimono la natura fua per qudto la ma teria ne può effir capace. lmperochejl corpo none altro y che una imagine dell ani ma, ft) quanto i corpi fino piu perfetti tanto meglio rapprefintono l'anima. Onde il corpo celefle perfettifiimo di tuttii corpi, fèndo tanto uicmo all'anima, che tffi quafì fianon corpo, ottimamente la reprefenta: HPer laqual cofà t anime, che difiendono nella generatone sformandoli da principio un corpo di \ Natura fimileal corpo celefle ( ilche hauere affermato Arifiotde ancora confinte Temifiio ) prima in V • Jfi MI» mi ni j I tuw wh ri- tti it li fi i 9 fiin ejji fanno la fùa participatione sfattamente, dipoi negl altri o meglio, o peggio, fecondo che per la loro perfettione, o tmper fattone, fi prefi ano piu, o meno obedienti. Tutti nondimanco ritengono il Carattere dell'anima Jua r fendo adunque la bellezza corporale rnagine della bellezza dell anima, {fi per queflo riducendofia medefìmi ordini, quel bello filo è ajfettuofamente offeruato da noi., ilquale fi riduce al nojìro ordine, {fi quello è innanzi a tutti offeruato, {fi adorato, che procede da anima nel medefimo ordine di firnma preftantia, {fi di fimma degnità,{fi per queflo fi V anima noftrà e intenta alla generatione, fubito, che ci incontriamo in efja, quafì attoniti giudichiamo altro ue piu attamente non potere ef fingere la diurna bellezza. * Onde a nullo altro peniamo, m nulla altro tt udiamo >che adem I / tu fiere l'ardente defìderio nojìro. Quefta forfè effir la cagione, come io fimo' affer merebbe uno ftudiofodeldiuin ‘Tlatone, per laquale fiamo affetti pm ad uno, che ad un'altro bello. Queflo fìa tifine, o buono Amore del nojìro cercare, della tua diurna origine. Dio uolefii, che a me fufii tanto facile trouare le parole, quanto cofi grandi, ft) marauighofi di te concepiamo. Imperoche e mi farebbe un piccolo inditio, che la mia te nebricofa mente pof fa effire Ulu firata " i. dalla chiarezza della tua di ; • £v; umifitma luce. iL FIl j. Giof'^t'HX 1 conisi, e. PALLA B. VGELLA I< V ?• fN *> 1. f\ I. % v ; j. « +4 R AVE PECCATO è non fentire rettamente de gli D.ìj, molto piu grane detrarre alla loro maie(ìà,ft) pero ca± r fórni amici, non uituper atelo amore, cojà certamente diurna, acctoche nonni auenga come a Steficoro Poeta, ilquale ef PATSfEG ITTICO fendo accecato per hauer ne' fiuoi uerft pec tato contro a Helena,non mai recupero la perduta uifia fi prima fatti e uerfi incontrario fenfe non placò la offefa deità. Homero ancora perche non uolfe confejfare hauer peccato yUtffe cieco infin nell'ultima vecchiezza. V n adunque non filo ui after rete da tale uituperatione, ma celebrando ilfacratifiimo nome dello amore,lefue mirabili uirtuti infieme meco predicante y fe non come e conuemente a tanta maieftà, almeno fecondo le forzz del uofiro ingegno, di che nulla piu uttle a uoi, nulla piu accetto a gli Uij fare pofiiamo. Neffuna cofa e tanto grata quanto la bellezza, neffuna tanto mole fi a quanto la deformità. La bellezza rapifie e diletta l'anima no lira, per contrario la deformità l' affligge e la difeaccia. La cagione credo fia, che la bellezza offendo fuori alle co fi cofi create mofira la perfettione di drento % onde uiene, perche la perfettione dt qualunque cofa e accompagnata da una certa gratta ejìeriore, laquale dimoftra quella cofa non hauere di drento alcuno difetto, c pero non e merautglta fi l'anima noftra e prouocata e rapita dalla bellezza; impeto che effa naturalmente indoutna per la bellezza douerfili aprire la uiaatla infinita perfettione della diurna bontà, per laqual cofa li antichi Theologi affermano la bellezza effiere portinaia alla habitatione ficrettfitma della diurna bontà, quafi fia neceffarioa qualunque cerchi ladtuinità prima incontrar fi nella beUezza. £per quefio la bellezza non è altro, che uno fiore, una gratta, uno splendore della diurna bontà, laquale prouoca e rapifie tutte le cofi che hanno facultà di cono fiere, accioche per fuo beneficio fi faccino dteffa parte*PA^EGltTCO dpi y ou'èla aera q) ultima perfittione di c taf imo. Onde fi cofi che hanno potentia di cono/cere, fino piu perfette > che quelle che ne fino prrnate, ffi fra quelle che condfiono chi ha miglior grado di cognitione ha maggior grado ancora di per fettione, la ragione è, che chi ha miglior gra do di cogmttone, cono fendo piu perfettamente la bellezza, e intromeffo a maggior grado della participatione della diuimtà, doue conftfle la perfettione. Onde la firnma cognìtione fi fa participe di fimma perfettione, conofcendo ptrfettifiimamente la bellezza, Ma chi è al tutto priuato della cognìtione yfendoli nafìofio lo fplendo re della bellezza y è priuato ancora della ue ra participatione della diuinitdye pero meritamente fi reputa imperfettifimo fra le cofi create. Chi negherà le cofe inanimate effire piu imperfette che quelle ylequali han no anima t 1 ALVA MOltJZ.no anima t ft) fa quelle, che hanno anima molto piu imperfette e (fere le piante, e gli altri animali che Ihuomo? Le cofe inanimate no battendo cogmtione alcuna nten te guftano della bellezza, ft) pero hanno poca per fattone, perche per ft non pojjo no aggiungere alla diurna bontà. Le piante ( come dicono e c ~Ptttagorici ) hanno co gnitione, ma Hupida, ft) quaft di huomo y ilquale fubito fùeghato finte e non difierne. Gli animali irrationah fentono, e difeernono, e nondimeno perche lo fplendore della uera bellezza troppo fupera la loro f acuità del conofiere 9 e fi ancora hanno de bile perfettione. Solo l'huomo fa quelli che habitano in terra e capace della bellezz za, efiendo in lui ampli fimo grado di cognittone 9 onde efio arnua a non piccolo grado di perfettione. Ma nella natura angelica ft contiene el fommo grado di perfeitone, offendo da Dio principio, (fogni lume, in e (fa fitto infufo uno lume> Uguale congiunge la cognittone uerifiima con la uerifiima bellezza, e dalìacjuale la cogni itone è dertuata nell* alt re creature, come dal Sole fontana d'ogni lume uifibilefe deriuato ogni altro lume nelle cofi corporali. Chi dubita la bellezza fola rapprefentare la diurna bontà t confideri il Sole effere belhftmOydi tutte le cofe che fi tncontrono alti occhi nofìri, uer amente occhio eterno del mondo, come dice Orfeo, ih/uale gli antichi Theo logi chiamorono figliuolo utfibile di Dio 9 anzi diciamo effo effere nel mondo come in facratifiimo Tempio merauigltofifiima ftatua di Dio. Onde apprefio gli Sggitij ne i Tempij di Minerua fi legge ua fermo in lettere d'oro.Io sonocio CHE £, CIO CHE È STATO, C/0 che faràyil uelo mio non difìoptrfi alcuno, il fole il file futi frutto ch’io partorì di che appare il Sole bell forno, fi a le co fi uifibili uer amente rapprefintare la diurna bontà, come imagme di effa nel mondo.. Sfondo adunque la bellezza qual di /opra e dime firato,non è merauiglia effa prouocare immo rapire a fi le nature conofienti, mafiimamente quelle che hanno amplfomogra do di cognizione, c Anzi piu tofto diremo ejjè hauere in fi mio ardentifiimo defiderio, per beneficio delquale non già rapite, ma fpontaneamente cercono e configmfiono la bellezza, cagione della loro per fettone. Quello defiderio non pofjede al tutto la bellezza allaquale fi muoue, ne al tutto ne è priuato, perche fi fufii al tutto pnua to della bellezza, non harebbe di effa alcuna cognttione, onde ne la potrebbe defiderare. 2 Spi figliamo defiderar do che noi defideriamo come cofa buona f utile per i 4 z P AT^EGl^lCO noi, altrimenti mai defidereremmo mila. Chi è colui che defiden il (ito male ( fi già al tutto non è infinfitto ), fi adunque x noi fiamo priuatt della notiti a di co fa alcuna, non ci ejfindo noto, fi tal cofite t come la pofiiamo defiderare come cofa buo na ft) utile P er not • mn 6 dunque da dure che'l de fiderio della bellezza, al tutto dt e JJa fia priuato. 7S[e ancora è da dire tale defiderio pojfidere la plenitudine della, bellezza, perche chi poffide non fi muoue alla cofa quale lui pojfide, ma piu tofiola fruifce. Chi non conofce che la potenzia delmuouerfi e data alle cofe create per arriuare e configuire quel termino y che tjfi non p affiggono 1 ilquale come hanno pojfiduto fiibito ce ([ano dal mouerfu Onde elmoto e connumerato da Filofifitra le co fi imperfette. Ma colui che de fiderà fi muoue in un certo modo a quello che efio defidera, i ALL* AAf07{£. i#j\ de fiderà, e pero non lo pofiiede y percbe fi. 10 poffidefii, farebbe uano ildefiderarlo 9i godendolo finza interna filone 9 per laqual cofa il defìderio della bellezza > è poflo in mezo della pnmtione, e della pofiefiiont di e[fa\ participando tutti dua lieflremi. Quefto defiderto fi noi chiameremo amo-, re > non faremo da h h uomini ne etiam da 11 dij meritamente riprefi, perche in ogni, natura creata, o uuoi angelica, o uuoi ratinale l'amore non e altro che uno ardentifiimo defiderio di poffedere e di fruire la bellezza quanto a fi e pofiibde. Perla qual cofa, li antichi Theologi non collocarono lo amore nel numero delle cofè diurne come quelle che in fi hanno la plenitudine della bellezza, ne ancora nel numero delle co fi mortali, come quelle che in ueritàne fono [fogliate, ma nel numero di quelle che, delle mortali e delle diurne fono partiALL'AMORE. dpi, parimente, come e la natura demonica. Onde efit chiamorono lo amore non Iddio, non mortale, ma grande demone, perche la natura demonica, pofta m mezg fra gli huomini e li TDij quafì interprete, conduce a li Dij li prieghi e fàcrificij degli huomtni,alh huominila uolontà e comandamenti de Ili Dij. Qie per altro mezo li huomini,o melanti o dormienti fino mfpirati dalla diurna bontà, che per la natura demonica. Parimente lo amore pofto in mezo della cognttione, e plenitudine della bellezza, non filo prepara, e difione ottimamente alloinflufio della bellezc, le cofi che ne fino priuate, atte a participarla, ma ancora traduce della bellezr za un lume, per ilquale effe fatte belle, configuirono la loro felicità, Quefìofignificorono li antichi Theologi quando difièno lo amore efiere figliuolo di c Toro, e di Penìa gene ÀLVAMOXB. t+t nia generato ne natali di Venere, e pero e fi fere fittatore e cultore di ejfi. lmperochc Venere figmfica la bellezza, Poro [tonifica, meato e uia, Penta lignifica indigene ta, e pouertà, E adunque generato lo amore della indtgentia,come madre laquale è nel la natura,che ancora non ha participatione di belle zia, ma ha bene una certa potentia e prontitudtne adhauerla, £del meato e uia alla bellezza, come padre, cioè c imo influjfi ouuoirazp, ilquale procede dalla bellezza, e conduce ad e (fi la natura indigente. Onde l'amore uiene a par ticipare della tndtgentia,inquanto fi muoue alla bellezza, e dello influjfi o uuoi ra zp, inquanto al tutto non e priuato della cognittone di efia. Meritamente adunque lo amore è detto fittatore, e cultore di Venere; imperoche lo amore fimpre figutta la bellezza,* lei bellezza fimpre eccita la amo j ó P. A TfE G l'FJCO', ye. Sarebbe lungo a dichiarare quello che intendono li antichi Theologi quando du cono effer due V mere t una figliuola del eie lo finzetmadre^ e però effer detta cclefte,. laquale nacque de genitali del cielo cafra % lo da Saturno fuo figliuolo /àbito che fu nato. E da la fpuma del mare, oue efit genitali caddero. L'altra figliuola di Cjioue e di Dione, detta uulgaree comune. Et. pero al pre/ente ba fiera dire fidamente co*, me fino due Venerefiioè due bellezze* Mia celefìe, l'altra uolgare, cofi effer dui amoriyUno cele fi e fi altro uolgare. Lo amor ce le fi e feguitare la bellezza celefte e diurna, e'iuolgar, la uolgare e comune. <£\da forfè non farà fuori di propofito, incominciando fi da uno altro principio dichiarare m che modo fono diuerfe bellezza > e diuerfi amori, effendo fempre feguitata come è detto ciafcuna bellezza, del Juo ; amore. f ^l'ordine rALL'AMO'RE.'H: '7S(e l' ordine delle cofi il primo e capotti tutte e effi Dio infinita bontà, infinita firn piletta y principio y mez.o, e fine d'ogni cofa y bene de bem y lume de lumi. TDopo Dio ~ è lu natura angelica, laquale fi come è la prima creatura che procede daTDiò, iCofi tiene il primo grado diperfettione tra le cofi create. TDòpo l 'Angelo e la natura rationale, laquale ancora è detta anima, tanto meno perfetta dello angelo, quanto è piu lontana dal prtmo/lSfondimanco ha in fi tanto grado di perfezione, che ejja pon filo intende la natura angelica, ma ancora a fende al profondo abifio de la di uina luce. Quefla produce e regge tutte le cofi corporali, e con la fua prefentia dona loro la ulta, ft) il moto. lmperocbe qua T lunque uiue,in tanto urne, quanto dal' ani ma riceue il pretiofi dono della ulta, dalla quale effa e origine e fontana. Il quarto uogo tiene la natura corporale, lacuale al tutto digenera dalle cofi diurne, perche in ejfa nulla è di uero, nulla di certo, ma ogni co/a imagmaria e uana fimile a l'ombra de cor picche apari/ce nel continuo fluf fi dell acquaylaquale continuamente fi genera e fi corromperne mai (la ferma in uno ejfire. L'ultima ne l'uniuerfi, è la ma teria y nella natura della quale non e ordine o perfettione alcuna, molto piu uicina al non ejfire y che a l'efier e. Adunque fi può dire ejfire ne l'uniuerfi cinque gradi di cofiyCioe T)to y l' Angeloyl' animaci corpo, la materia ydequah dua ettremi fino in modo contrarijyche l’uno, cioè Dio è auttore, e cagione di tutti t beni.L'altro y ctoè la ma teria è cagione e auttore di tutti e mali. Iddio tanto eccede le cofi create, che e fio non può ejfire pienaméte intefi da alcuna crea tura. La materia ha in fi tanto difetto, che ALL* AMORFE i\ i+p che per fua natura, fi come fogge lo e (fere, cofi ancora fogge la cognitione. Et per quefio ne la materia no è bellezza alcuna, anzi piu toflo u'e fimma deformità, perche la bellez&a(come e detto)accompagna firn pre la bontà, ne fi può trouar bellezza do* 'ue non fiabontà',e noi hauiamo dichiarato nella materia non ejfire alcuno grado di bene,efiendo la materia ejfo male, e prin cipio d' ogni male. 5SS? ancora in Dio e bellezza alcuna, imperoche Dio e fimma firn plicità,ela fimma (implicita non e capace di bellezza, ma caufit di ejfa, e fendo la bellezza nelle cofi create. Onde in Dio e tan ta perfettione,che quando noi diciamo, Dio è fapiente, Dio è uiuo, D io è gtufto e bello, noi habbiamo a intendere in ‘Dio non ejfire, o uita, o fapientia, ogiuflitia, o bellezza, nel modo che uedtamo nelle cofi create, ma Dio ejfire cauja nelle creature, della fipientta, della uita,dtllagiuftu ia, della bellezza, e però Dionifìo Ariopagitafikndore della Theo logia Ghriftta «rty dice nel libro de nomi diuim, tutti e Homi che fino attribuiti a T)io, fgmfìca^ re dóni da lui nella natura angelica concefi fi. #(efla adunque la bellezza e fière nello àngelo,nella anima j nella natura cor porti k. JMa come efiafia in quefle tre natureper le fiquente fimilttudme fi potrà factU mente ( come io 'Spero ) comprendere. Fingi liner ua dtfiendere di Cielo in, terra tra mortali, fingi una statua di ?ne rauigliofi artifitio fatta a fimilit udtne co-> me quella di Ftdta, laquale facci la imagw ite fid iti uno Specchio', chi uedefit quella imagine nello Jpeccbio,non uedendo la fi a-' tua -, di cui è effavnagme, fi merauiglia rebbe affai della fia bellezza- Molto piu fi 1 merauigliarebbtfi ue defila Statua, ondc\. quella imagme d erma sterno fcmdo in efia la merauighofa mduftrta dello artefice\ <£Ma fi uedefit gli occhi, jf) il uo!to,e l y al tro basito del corpo di Minerua uiua.qua fi attonito tonfeffarebbe la fìat ua e la ima gine nello fpecchio non e fiere degna di fti\ ma alcuna, la cui bellezza, haueua poco manzi tanto commendato. Nondimanco direbbe e (fere tanto meglio la fatua, che la imagine nello fpecchio y quanto e meno lontano da Alinerua uera » 'Sfa milmentela prima, e uera bellezza è nello angelo, laquale è mi fura ffi) origine db tutte l' altre bellezze 'L'anima ancora pofi fiede la bellezza, non già per (ita natura, ma per dono dello ^Angelo, come la ceraha lempronte dal figlilo, ffi) pero fi puòdir piu tofìo e (fere uera fimilit udtne di bellezza, che uera bellezza, efiendo ne l'an fa ma, non per fua natura, ma per beneficio K ut) isi PA^EGITUCO d'altri II terze grado di bellezza * ttel corpo, neramente non fimtktudine, ma ombra dt bellezza, molto piu lontana dalla bellezza dell 9 anima, che non e l'anima dal laidi ft abile, nulla di certo,ma ogni cofi e fluffa e mutabile, e pero la bellezza cor por a le, figurando la natura del corpo, è Jempre di necefità me/colata con la deformità, fio contrario, continuamente variando fi. Fra tutti e corpi, il mondo partteipa amplifimo grado di bellezz&,percbe tl tutto è fimpre piu per fetto che le parti. Imperoebe il tutto contiene e non è contenuto,. Le parti fino contenute fjft non contengono, f0 nejfuno può dubitare ogni altro corpo ejfire parte dello untuerfi/Dopo rimondo fino e corpi cele ft i, da quali fi può ha uer mam fe fio te f limonio della bellezza de lecofi Ti lo z, Angelo. Imperoche nella natura del cor po ( come rettamente dece Her adito ) nuL f ALL' AMORE, iss le cofi dittine, Olirà quefio grande nume ro de corpi, e quali alprefente faranno da noi pretermefii. Solo diremo dello, buomo ilquale contiene tanta perfezione e tanta bellezza > che h antichi Fdofofi non hanno dubitato chiamarlo mondo piccolo, come quello che in fi piccolo loco come e il corpo humano, ha congregate tutte le utrtu del i mondo. èjfindo adunque la bellezza nello angelo, nell'anima, nella natura corpotale, noi chiameremo la bellezza dell'angelo e dell’anima, Venere celefie e diurna. Perche non può ejfire ueduta da altro oc chio che dello intelletto, cofa neramente diurna. La bellezza del corpo chiameremo Venere uolgare. Efiendo conofituta per mezo de lo occhio corporale, per laqual cofa,fe ogni bellezza è accompagnata dal fuo amore, e lo amore non e altro che uno ardente defiderto di bellezza fjnrituakdi - t m.'&rA2$E-G Wmo remo efifireamore cele fi e e diurno, g ; )ìl dejìdeno della bellezza corporale efiere amore uolgare e comune» Chi adunque non conofce quanto fi ingannano quegli il cui amore fi dirizzi alla bellezza corporale? fi già non lufino per inftrumento per /altre alla diurna bellezza, mi al prefinte dimet teremo le incommodità di che fono partecipi gli huomini, per figuire l'amore uolgare, come co fa molto aliena dal propofito no u firo. Solamente dimoftr eremo il maggior dono che fia dato a gli huomini da Uio, cffere quello amore che li conduce a contem piare la diurna bellezze, ft) pero tal amatore e/fire eccellentifiimo, e qua fi un miracolo infi a gli altrt huomini. U anima no: ilra benché fia piena di diumità, anzi neramente figliuola di T>io, nondimanco m > tanto è occupata dal corpo, alla cura e reggimento del quale naturalmente ì propofia, che r AL V~AMÒ\E. V/V fia y che rifiu delle uoltediuenta piu fiimitai tenebroso carcere dout e indù fa, che allo amore d'onde procede. Et pero ' U antichi Theologi chiamorono il corpo fifulcro de làmina y che quafi l'anima fia piu fimile alle cofi morte che alle itine, meli tre che fta mi corpo,per laquàl cofi dimen ttcata della natura fua^è della bellezza di urna e delufi da grande, e uano numero di falfi fogni y' per tutto quello Jpatló di tempo che'l cieco ft) ignorante uolgo chia > ma uita. E' Incordar fi della diurna belléz^a poiché fi amo congiunti al corpo mortale, non è facile a ogniuno y ma fino pochifitmi in chifia rima fio qualche fintilla di diurno Jplendore y per laquale po fimo ef fere eccitati à fi felice ricorranone. Quefli quando s'incontrono in qualche tmagU ne della diurna bellezza > laquale piu ma nife fi amente che in altro loco 3 appare neh r is6 corpo inumano, e maxime nel uo Ito, quando e partecipe di prettanttjsima forma in prima fono occupati da in [olita me r aut glia, me folata injìeme con horror e, di poi alquanto afiicurati, la giudicono cofa neramente diurna e degna, a cui fi conuen ga fare li facnfìcij e uoti, non altrimenti che fi foglia fare alle ftatue de li Dei immortali. Ma quando piu attentamente riguardando in ejfa, riceuono per li occhi lo influfio della bellezza, [abito per tutto alterati, fidano parimente ft) ardono. lmperoche in loro fi accende uno affetto, ilquale mirabilmente gli eccita, e lifolleua. Dipoi aggrauati dal pefo della infettione corporale in baffi ro umano, non altrimenti che fuole auenire a quegli ucce\ $ » ec j ua k P er troppo defiderio di uolare, hanno ardire di commettere inanzi al tem [o alle giouani ale il pefo del corpo loro, ma non ALL'AMORE. in ma non effendo le penne ancora ha fi unti a notare fono con ftr etti precipitare in terra y perlaqualcofain un mede fimo tempo agitati da dua contrarijfintonograuifi fima moleftia, lacuale fubito fi corner te inletitiache fiecchiatt di mono nel bellifii mo mito, riceuono drento a l'anima, il tanto defiderato fplendore. Ma quando fiparati dal diurno Jpettaculo, mancono della loro confueta e fi a, afflitti e dolenti fi riuolgono continuamente nella memoria, la imagine dello Jplendidifitmo uolto, onde sforzati dallo ardentifiimo de fiderio, fimili alti infuriati non potendo ne la notte dormire, ne' l giorno in alcun luoco quietar fi y per tutto difiorrono cercando di uede re quello fpettaculofinza la cut ufi a confumati dal dolore perirebbono, ilquale poi che hanno ueduto e rtprefi il defiderato nu tnmentojibtrati dalli acuti [ìimuli egra rff$ j?A^sai%ico \ue ànguHte y fi fentono m tanto filettare ~fipra le forzé loro confate, che dimenticandofì de padri, de fratelli, de patrij honori -dequali fi filettano. gloriare Amentic andò fi ancora di fi mede fimi, femore penfam in che modo pofimo fruire il \dmmfattaculo, come quegli che reputar (fio ogni lor ualore, m quefia uita ffi} in •quell 'altra hauere origine, ff) incremento da lui, come ottimo medico delie humane infirmiti. In prima dalla- bellezza d'un corpo non filo particulare, ma ancora caduco, falgono alla bellezza de corpi celefii, e di tutto lumuerfo, Oue oltre alla luce di che efii fino urna fontana utile cofi finfir bili y contemplano una.fuauifitma armonia caufaa da lordine e proporzione de tnouimenti loro, per la qualcofiiyapcrta ( Mete conofiono il cielo, ejfire la hr a di Dio, come dicono. gli ant ichi ^Pit t hagorici, al fano T: fuono ddlctcj naie tutte le cofe contenute da lui mtr abilmente bullono, Uopo la bellezza de lo umuerfo truouono la bellezza ridi' anima. Imperoche ejjendo il corpo una. fimilit udine de l'anima, ne ffuna partecipa itone della diurna bontà può ejjcre in efjo + lacuale non fia molto prima ft) in moltomiglior modo nell'anima, ejjendo origine e principio della natura corporale, anzi non per altro la partictpattone della diurna bel lezza e nel corpo, che per ilgrande domi hio ft) imperio quale ha l'anima in affo. Onde e Filofofi affermono quafì come coft imponibile non ejjere eccellentijsime dote m quegli, iquali fino dotati di piu egregia forma che gli altri, come qua fi l'anima di coloro fia piu predante e piu diurna, la cui forma del corpo uera fimiltt udine de l'ani ina è piu bella, cofi di grado in grado prò • cadendo, fubitofi difcuopre loro il prò fon» 160 ALL'AMORE. do pelago della diurna bellezza nello fflendor dellaquale nella prima giunta abagha ti, pojjhno fico medefimi in quefta maniera ragionare. Infino a qui balliamo piu tofto una ombra ouero fimihtudine di bellezza che nera bellezza ?Maal pr e finte o dolcifiimo amore, ilquale rtfialdi le cofi fredde jilluftr ile ofiure, dai uita alle morte groppo hai filleuate l'ale delle menti nofire, lequalt infiammafli alla chiar filma luce della diurna bellezza, e le penne già rottegli fuptrchio amore delle cofi mortali, non per fua natura, ma per tuo beneficio nnnouate,hai e fp beatole noi Molando (òpra il cielo, guidati dal diurno furo re fiamo ripieni di quelle merautghe,lequa li mai ne occhio uide,ne orecchio udirne di fiefeno in cognitione di cuore alcuno. Onde neramente pofiiamo efilamare, quefto e il di che ha fatto il Signore, rallegriamoci ffje/ulALL* AMORE. i*r ft) ejukiamo in effo. Quefta ì la uia retta; per laquale debba procedere il legittimo amatore, ilquale quando comincia a contemplare la diurna bellezza, fi può dire e fi firc uicino alfine, oue ciaf una co fa creata quietandoci acqui fi a la uera felicità, * però qualunque riguarda la uera bellezza con t occhio della mente, col quale filo può ejftre ueduta,non producendo imagtne e fi milit udine di uirtù, ma uere uirtù, fatto a Dio amicOydimoftra chiaramente ihuo mo efifere per beneficio dello amore ree ettoculo della diuinnà, per laqual co fa qualunque non ùede il uero amatore douere e fi firetnfia glihuomint in grandifitmo pregio, e mafitme appreffo della cofà amata % non intende quanto le cofe diurne fino piu eccellenti \e degne di piu ueneraimt che l y al tre, ne alcuno impetra maggior gratti, e riporta maggior doni da U T)ei, che la coU2 P/A^EGJ^taV. fa amata, quando ardentif imamente riamando èparata afitt omettere ogni per icn lo in gratta del fuo amatore. Imperoche, con lo amatore habitano gli T>ij, pero non meno accettono l'offcruanttae lattenerattone della cofa amata in uerfo l'amatore, che e uotie fàcrifìcij fatti a fi. Onde in quefta uita,{t) in quell' olir a, la ricompen fano di grandmimi premij. Ma quando, la cofa amata ha in odio il fuo amatore f ; cimenta ricetto di tanta mifiria e di tanta infelicità ; che molto meglio li farebbe effe-, re, o bruto animale, o tnfenfto faffianzi piu tofto al tutto non efjere nata.nefi fina cofa arreca maggiori incommodi a gli h uomini che l'odio delle cofe diurne, dalle quali pende ogni bene, ogni mifura nello untuerfo, perche efendo fondato in fu la difimUitudme di effe, è nectffario che fa accompagnato da tutti e mali: chi adun queha XLVAMOKZ. m que ha in odio lo amatore^ ejjendo. alieno t rebelle dalla diurna bontà ft) amico delle cofi contrarie, m prima fi fa firuo di quelle per tur bacioni y lequalt arreca Jtco l'imperio de jen fi, quando la ragione e adormcntata, come fi a gufa delle piante tenga il capo in terra, bauendo uolto e ' piedi uerfio il cielo. Z }opo ne uiene un'alt r o male y perche non conofiendo alcuna cofa rettamente, pieno di falfi opinioni diuen -, ta folto e bugiardo, non altrimenti che auenga a quelli squali da continui fogni beffati in mezp al fonno finfiono la lor uita.'Da quefie furie y mentre che e uiuo dormendo, o ueghiando y fi gite da dire effo mai ueghiare y rimordendolo la confeientia imperturbato. Ma dopo la morte JubitQ da minifiri'della diurna giuftifia menato manzi al grande giudice ode l borendo gtUr ditto, fi ejfire dato in potè fi à dicrudehfitmi demoni, dequali una parte lo affligge còl rappreftntarli nella fantafìa ogni horribtle fpecie dt paura. Vh' altra parte con intoL ler abili pene corporali lo tormenta. Ma J opra tutti e mali, dua fino grandmimi. V uno e una certa mole fi ia interiore laqua le procede dalla difeordia dell'anima in fi medefima, (ìmile a quel dolore che ènei corpo y quando per ladifiordta di tutti gli humort pefiim amente è dftofto. L'altro di gran lungha piu graue y effiaè diuinità penetrante in ogni luoco, la prefintia della quale per cagione della interiore diffenfìoneaneffunmodo può j apportare. Imper oche yCome gli occhi cifpi perla prefintia del lume fintono gran dolore i fimi fi co fortano y cofi L'anima gtufta finte gaudio e dolcezjtt,La ingiufia finte una moleftia che ninte ogni moleftia, perla prefintia della diuinità. Da quefti mah ancora ALL'AMO'KE. ics molto maggiori per uolontà diurna e afflitto chi ha in odio il (ito amatore, ilquale diuenta partecipe di altrettanti beni, fedi meffa ogni altra cura, filo penfi notte e giorno efircitarfi in ogni ffecie di uirtu,accioche fatto fimile a lui, fia degno ricetto di tanto lume. Quefte e fimih fino le laudi o dtuinifitmo amore,che noi inuolti nelle te nebre del cieco mondo di tepenfare e ragio • nave pofiiamo. Alla cuigràdezga chi non rende il debito honore,no conofie tutte le co fi cofi diurne e celefii,come terrene, per tuo benefìcio non filo effere create ma ancora unir fi al fio creatore in lui finalmente quie tarfi, piene v:. ciafi lina fecondo la fia natura della gratia divina « iS JLL MOLTO MUG%ìtìCO E S^O OS SERVANO ISSIMO BENEDETTO uandifsimoM. Bac~ do mio,che a coloro, i quali di quella prelente uita partati fono, fi porta fare beneficio maggiore, che tenere ùiua ? e frefca la loro memoria ; Perciò che il cóli fare è fecóndo il parere d alcuni poco meno., che rifufcitargli, e fecondo alcuni altri di piu perfetto giudicio, molto piu, dandoli loro non una uita fola, e quella caduca, c mancheuole, ma molte, e fempiterne,come altra uolta piu lun gamente dichiareremo. Onde fra tutti gli Scrittori antichi meritò per giudicio nostro grandilsima lode Plutarco. E quanti crediamo noi, che fuflero in tutti i fecoli, e per tutti i paeli huomini eccellenti fsi mi coli ne’ gouerni politici, come ne maneggi dell’arme, e ne gli ftudii delle lettere, de’ quali permancamento di Scrittori non li fi pure, che eglino non che altro, nafeeflerogia mai ?. La onde io ho A fempre giudicato gratiofo, e lodeuole uncio P cr i6 9 ì..per coloro adoperarli, che le uite fd icriuono di quegli huomini, iquali pio o collazioni, o colle fcritture, o a to. le lor Patrie, o all’altre Genti furoHi no, o d’onore, o d utilità cagione, e accio, che gli Altri huomini in efsi m rifguardando, e i loro o fatti, o detti à imitando, pollano o la felicità huma r na con Marta, o la beatitudine divina con Maria, o l’una e l’altra infiememente confeguire. A quello fine piu, che peraltro rifpettomi poli ( con animo di douere fe conceduto mi fuffe comporne dell’altre ) a feriuere il meglio, e con piu chiarezza c brevità, che io fapefsi, e potefsi, i • la uita di Mifer Francefco Cattani da Diacceto, parendomi, che egli foffe quali come uno fpecchio non lblamente della uitaciuile, ma etiandio, amzi molto piu della fpecofa^tiua, del quale io, fé bene il uidi nc miei gioueriili anni piuuolte, non Riebbi però, non che familiarità,© do meftichezza, conofcenza nefluna, ima tutto quello, che io ho di lui fcrit to,l’ho fcritto parte per relatione di iiuomini graui, e degni di fede,iqua 4i domefticamente e lungo tempo con lui praticarono, non eiTendo,da che egli di quefto Mondo parti, piu che trentafette annipaffati;e parte •mediante gli fcritti fuói, de quali -me flato hberalifsimo M. Francefco fuo nipote, giouane(còmefapete),detà, ma di grauità,e di prudenza^ maturo, e di quella bontà, e dottrina, che piu opere da lui Chriftianamente, come da huotno facro, ecanonico compofte, e di già mandate in luce I 7 iti luce et aIfEccell. de! IlIuftrils. SigDuca Padron noftro indritte, dimo Arare podono^Laqual uita (qualunche li lia ) ho uoluto donare a Voi,£ che nel nome uoftro apparifca, non tanto per lo eder Voi della nobilifAma famiglia de Valori, iquali funu no amati grandifsimamente, e honorati daM. MarfilioFicini., econ*leguentemente dal Diacceto ; quanto perche Voi fete degno della Nobiltà, e ne ritornate in luce il Valore de uoftri Maggiori, daquali ancora edere uerifsimo conofcereli può quello, che da me fu detto di fopra, pofcia, che Niccolo Auolo Voftro huomo di tanta prudenza, e di coli grande ftimafcride non menocopiofamente, che con ueritàla uita del Magn. Lorenzo Vecchio de Me w 2 dici, e anco per non negare il uero, tenendomi io buono della fcambieuolebeniuolenza,euerilsima amiftà noftra, m’è paruto di douerne dare, come un teftimonio, affine, che li fappia,che li come Voi per uo lira cortelia amate, e honorate me, coli io altreli per giufto debito amo, et ofleruo Voi. tCOMTOST^f D^£ VARCHI, B MANDATA A BACCIO VALORI. fn. VITA DEL primo, che ( disfatte per le parti guelfe, e ghibelline ) Diacceto, hebbe in Firenze i primi, e fòprani honor ideila Città, fi chiamo Becco di Torre di (juidalotto, tl quale fidette de' Tenori delt zArti, che cofi s'appdlauano in quel tempo i Signori, tre uolte. La primardi mille dugento no nauta quattro, diece anni, dopo che cotale Jopremo <JMagi(ìrato per abbattere la troppa potenza, e tener e. in fieno la infipportabile fuperbia de' grandi fu ordinato ; la feconda, nel mille dugento nou anta otto ; la terza nel mille trecento cinque. Di 'Becco nacquero Porcello, e ^Mugnaio, o neramente ^tignato, che cofi fatti nomi fi poneuano anticamente nella Città di Firenze ; tqualtamenduni furono non filo de ' Priori piu uolte, ma etiandio gonfalonieri di giufiitta, ilquale era il piu alto grado, e piu {limato di quella Bfpublt ca y e f I) ita ca, e T* or cello oltraglt altri uffici], e magiftrati, riccuette nel mille trecento tren » ta noue per lo comune di Firenze la terra, defila, e ne fu primo comme [fario c/wwé fi legge ancora nell' zArme, che egli fecondo ilcoftume dicotalt Fattori ui la yc/à. JD/ indignalo nacque il primo ‘Tagolo. T)el primo bagolo il primo Zanói?u T)el primo Zanobi il fecondo ‘Tagolo. f>i coftui, ilquale fu per la grandezza delle qualità fue fatto con molti priuilegij Conte da oAlfonfb 7{e di ‘Napoli, firife la uita latinamente Ai. ‘Bartolomeo Font io, huomo di ottimi coflumi, e nella fita età letterato, ffi eloquente molto. Di Pagolo nacque il fecondo Zanobi, ilquale fu padre di Francefeo. La cui Vita intendiamo al prefente di douere feriuere Noi, fi per al tre cagioni honeflifiime, e fi perche fi conofea ancora a beneficio comune, che la uu n la contemplatiti a può in uno huomo filo (il che non credono ) coll' attuta unitamente congiugner fi, e lodeuolmente efercitarfi % e di uero come egli non fi può negare s che la contemplattua non fia la piu gioconda, e la piu degna di tutte l altre mte,cofi con fejjare fi dee y cbe lattina e alle città e alle Comunanza de * popoli, come piu necefjaria co fi etiandto piu utile. Dico dunque che di JZanobijdi TP ugola Cattani da: Diacceto, e di mona Lionarda di Fracefio di Iacopo Venturi, nacque in Firenze tra la piazzi del grano, e* l canto agli cAlberti non lun ge dalla chic fa di San ‘Romeo, tanno della (hrifhàna falute mille quattrocento fi fi finta fii,il fedicefimo giorno di^ouem' bre un figliuolo mafchio, alqualt, o per rifare il fratello di Pagolo fio zArcauolo paterno, ilquale s\ra morto ] enzA figliuoli > o per.rinouare il nome del fuo Aiuolo materno % C ATT A ^10,. m materno, o piu prefto per l'una cagione, e per l'altra uoìlero,che fi ponejfi nome Fracefio.E perche egliinfino da (uoi piateneri anni daua prefagio di (ingoiare tngegno, e di (pirito molto eleuato, uolle il padre ancora, che per fina Idiota fojje, che egli fi dejfi non alla mercatura, cornei pm fanno de' giouani Fiorentini, ma alle lettere, dellccjuali tanto fidilettaua, e cotale profitto dentro ui faceua(che non uob le,tjfindo rimafi ancora fanciullo finzjt padre, e non molto agiato delle co fi c'hauendo il padre gran parte difiipato delle fue facultd) per coja, che gli fi diceffi consentire mai d' abbandonarle. oyinzfi hauen do egli,per ubbidire alla madre, deliaejuale fu fimpre offiruantifiimo, e Soddisfare a parenti, non armando ancora aldicid nouefimo anno.prefi per donna laLucre Ha di Cappone di Capponi, la M meno con efio fico a^Pifà, e quiui tanto la tenne, che forniti i fuoi fludtj, e battuto di lei figliuoli, fi ne torno a Firenze, doue in quel tempo fionua la fihcifiima Academta di Lorenzo uecchio de Atedici,nella quale tnfieme con molti altri huommi (Fogni lingua, e in tutte le faculta dottifi fimi, fi ntruoua FICINO (si veda), canonico fiorentino, tlquale oltra la finceritd de co fiumi, fu d'eccellenza d'ingegno, e di profondità di dottrine co fi grande, che io per me non credo, che Firenze habbia mai, e parmi dir poco, hauuto alcuno, defilale fi gh pofj'a non che preporre, agguagliare. Coflui effendo ( come ho detto ) Qmonico di J anta ^Maria del Fiore, haueua con incredibile s ìndio, e immortale beneficio la Filofifia Platonica per mol te centinaia d'anni piu lofio perduta, che finarrita, come piu conforme alla religton ;;• Chrifiiana, Chrtfhana, che l'zArifiotelica non folamente ritrovata, e rimeffa per la buona ma, cofd uer amente piu tofìo diurna, che humana, ma datole ancora credito, e riputatone non pkciola. La onde Ad. Fran cefo, tratto dada fama di quell'huomo fn golarifimo(Jè pur huomo chiamare fi deb be co fi alto, e nobile Spirito) e guidato dalla ‘Telatura, lacuale perche egli cjuedo facejfi, che egli fece, prodotto l'haueuajaccoflo incontanente al Ficino, tlaualt ( come gratifiimo del dono da Dio concedutogli, e delle Jue proprie fatiche ) come nero Filofofoyliberahfiimoyinfignaua, epubhca mente, e privatamente a tutti coloro, che d'apparare difiderauano ; e l'udì con tanta ingordigia, che egli in non molto tempo non pure Platonico, ma eccedentifiimo T latonico divenne. Onde egli 3 fi bene m uarij tempi, e luogi 3 diuerfi Dottori udito iso hàuea, confiejfia nondimeno tutto quello,' che fàpeua, hauerlo da <&iarfilto. filo imparato, fi in molti altri luoghi, e fi particolarmente nel proemio del libro, che egli fece, e intitolo del H utero, cioè del 3ello, doue f duellando di lui dice quefie parole proprie. Dicam firn, nec unquam me pcenite^ bit, quoniam boni airi ejse duco, cui magna beneficia debeas, eidem ipfaaccepta referre, nosidipjum, quodfiumus,fìquid Jumus ilio efie. Qoè in fintene. lo ne ramente il diro, ne mai farà, che io me ne penta, ptrcioche iopenfo ejfiere cofa da huomo da bene ilconfejjare da colui haue re i benefici] grandi riceuuto, a cui tu ne fii debitore ; Noi tutto quello, che fiamo, Je fiamo cofa alcuna, ejfiere da M* Mar fillio Ficini. / ; v v £ dall'altro lato conofeendo M. Mar fillio la 'M 1: V ì C Jto J ilio la grandezza dell ingegno y t /’ inchinaime dell'animo di lui alle co fi di Platone e ueggendo il profitto, che egli u'haucudentro in picciol tempo fatto grandifiimo, l'amaua affettuofifiimamente y e lodando v lo eccefiiuamente y lo chtamaua non filo du fiepolo y ma compagno, come fi può m malti luoghi ueder e delle opere fue, doue egli fa di lui mentione honoratifiima y e Jpe t talmente nel Parmenide al capitolo ottan taquattroefimo y neiquale fi leggono quefie parole formali. Sed dum pulchritudinem hic diuinam commemoro y commemorare fas eft Fransi fium Dtacetum y dtle£itfiimum Compiuto -ntcum noftrum y de hac ipfa pulchrit udine quotidte multaipulcherrimaq^firibentem, quem Jane utrum ad c Platontcam fapien ttam natura y geniusc £ formauijfi uidetur y leq uali fuonano co(ì. < c M iij I L 4 eZMentre cheto fornendone qui della bellezza diurna,, giufta e pia coja e, <che io faccia mentione di Francefilo da Diacceto no/lro diletti /?imo compagnone gli ftudij Platonici, tlquale di qucfla ftefi fa bellezza firiue ogni giorno molte, e belUfiime cofi,enel aero egli pare, cheda ‘Futura, e il gemo fuo formato l'hauejfono, pèrche egli la fàpitnzp, di Platone intendejfe,e imitaffe. Dellcquah còfe fi pub ageuolrnente cattare, prima quanto pojfaejfere dipanamento a una città, anz} a tutto 9 1 mondo un huomo filo colla prudenza, e liberalità sua ; poi quanto fia necefiarioa un buono ingegno abbatter fi ad hauere, o faperfi elegger e un buono precettore; conciofia co/a, che fiCofimo de <JMediculuecchio, e di mano in mano i /uoi /ucce/fin, e mafiimamente Lorenzo, non hauefiono fauorito le lettere, e coloro, aiutati, icjualt d'ejjire litterati defederanno, *fMar fello non farebbe flato Ai. Aiarfiho,e per confeguenza il Diacceto, per tacere di tan ti altri, non farebbe flato il Gbiacceto, e confeguentemente Firenze, anzi tutto il fiondo farebbe di (i chiaro lume connofero, e fuo gran danno per fempre mancato. c tfefi merauigà alcuno, che io feri ua bora D. colD.fenz# f a ff trattone, e bora Cjhiacceto col G. colta foratone y concio (ia che io cofi nella lingua latina de ^Moderni, come nel uolgare Fiorentina truoui feritto bora nell'un modo, e bora nell'altro.feleua ancora Marfìho É mentre y che egli ytrouandofi hoggimat oL tra coltetà, leggeua a fuoi dfetpoh, dire 5 io me ne uo, ma fi bene mi parto, io ut lafeio lo fiambio, intendendo di A4. Francefeo, Uguale fi chiamaua per fepr anoma tiij il r Pagonazgo: perche, mentre era gioitane, fi tùie t (atta molto, e ufaua utfiire di quel colore, ilqual cognome gli duro firnprò, mentre che uifje, a differenza diun filo cugino carnale, ilquale haueua nome 'anch'egli francefco: era del mede (imo Gufato,e di una medefìma età, e faceua la medefìma prò festone di FILOSOFO, e perche nefhua di nero, fi gli diceua per difttn guerlo dal ‘Tagonazgp, JUd. Francefco ‘Nero, raro dono de Cieli, che tnunmcdefimo tempo, in una medefìma città, e dima medefìma famiglia fiorirono due cofi gran Filofofi, benché il Pagonazzp, come auuiene ancora ne colori, molto fojfi di maggior pregio, ertputatione, che Aneto non era. Ne fu ingannato ^Mar filio, ne inganno egli altrui, quando difi fi, che lafeiaualo fiambio fuo, conciofia cofit, che dopo la morte di lui o figuendo 1*S' feguendo l'effempio, e calcando l'ormedi cofi grande, e cortefe matjìro, e compagno, oltra il fare di fi amoreuohfitma t. mente a chtunche nel ricercala gratiofifiu m amente copta, lefie molti anni, e molti pubicamente nello fludw Fiorentino, con trecento fiorini d'oro di prouifione per etàfiuno anno, egli tiro fimpre mentre uijjè, non ottante, che egli negli ultimi tre anni della Jua ulta per le cagioni, che poco appre/fi fediranno non uolejfi piu leggere. E benché i Signori Tmetiant mofii dal grido della fua fama lo fàcejfiro piu uolte in fi antemente ricercare per mezzo di À4onfignore l'f\Arciuefiouo di Cor fu, e del fyuerendifiimo Cardinale fprnaro,de' quali egli era amictfiimo, che uolejfi andare 4 leggere nello ttudio di Tadoua, con grandifiimo /alano, egli nondimeno, che fi contenta delle Juef acuita, ancoraché mol* te non fuffono,ed era lontano da ogni ambinone, e grande amatore della quiete, non uolle accettare mai partito nejjuno, per grande, e bonoreuole, che egli fojfe, e fi < refio a uiuere tranquillamente nella fio patria y e arrecare giouamento a Juot cittadini. Quegh,cbe frequentauano la {cuoiame la cafi (uà, o come dtfiepoh, o come amici, o come l'uno, e l'altro mfìeme, sono et ogni tempo molti y de quali non mi par. rà fatica, ne fuori di propofito raccontar . ne alcuni de piu fìgnalati, iquah furono quefti: P ter o Martelli: Giovanni forfii fiAdouardo ( ^tacchinotti: Bernardi: riAndrca Rmuccim: Benedetto d'zAntonto (Quaker otti: Ftcino Ficini nipote di Marfibo, Luca della Robbia: Ale fi fandro.de Paz&fT ter firance fio ‘Por tinori: ‘Palla Rufeellai, e Giouanni fio fratello, che fu poi Caflellano di Caftel fin? Agnolo ! 1 ft. ài m fini Agnolo, e Cofimo lor nipote, nelquale m ( ejfendofì egli morto ne /noi piu uer d'anni) fc fecero Firenze, t le Mufi Tori ' y cane danno, e perdita me filmabile:Ftlipfu po Strozzi » e Lorenzo fio j rateilo: Luigi or. Alamanni: Zanobi c Buondelmonte, la, v. copo da D., chiamato tl D. m no gioitane letterati fimo, e d'alto cuore: u c, /intorno trucioli: ^Maeflro zAleffandro ir da “Ripa: Filippo Carenti: Giannotti, e Vettori, iqnah ho 0 poflo nell'ultimo, non perche eglino non fof 1 /èro de’primi, e de' piu dotti, ma perche ancora uiuono amendue. c Ne uoglio tace re, che egli, tutto, che fofie fi grande Fu i lofi fo, non filo zAcademico ma ettandio ; J ^Peripatetico, oltra l'inteDigenza della lingua co fi Cjreca, come Latina, non uolle mai conuentarfì, giudicando, per quanto io fimo, che tl Dottorarle fpettalmente I in FILOSOFIA a coloro, iquah la loro fetenza 0 uendere,o farne la moftra non uogliono, fia co fa finon ridicola, almeno foperchta. E di ttero cotali ttficij, e preminenze, come rifpofi già Traiano Imper udore a uno, che gli dimandaua il prtutlegio di potere come giureconfulto auuocare, e fare de Configli, fi debbono piu tofio dare da chi fi finte da ciò, che riceuere. Afa quello, che a me pare 9 e che douerrà,s'io non m'in ganno, parere ancora a de gli altri piu marauigliofo, e di maggior loda degno è, come egli, effendo tutto occupato non fila-, mente nel leggere, e intertenere tanti cofi amici, come dtfiepoli: ma ancora nelle moke, e importanti faccende, cofi pubìice, come priuate, potefie tante opere comporre, e cofi perfette, quanto egli fice, delle quali to racconterò cofi alla rwfufa tutte quelle, che io ho parte ueduto,e parte da coloro i V ro. U9 coloro fintilo dire, che uedute l'hanno, le' quali fino quefte tutte latinamente firme. Vna'Parafrafì [opra tutti e quattro i litri del Cielo d'zArifiotilejndritta aPa pa Lione. Tre litri intitolati de Pulchro a Palla, e M. Cjiouanm T^ufiellai. Tre labri dimore a Pindaccio da 2 licafili..• v vA: H: Panegirico d'Amore a Cjìouami Cot fi y ea Palla ‘Rpfiellai Una Parafiafi fipra i quattro libri delle eJ Meteore d'zAriflotile y ma i tre ulth mi non fi ritruouano. Vna Parafrafi [opra gii otto libri della Fifica d'oAri/lotile, laquale o non è in pie y o chi l'ha la tiene guardata per fi. Una Parafrasi fipra la Politica dell’ACCADEMIA (cf. H. P. GRICE, REPUBLICA), ma tanto breue y che fipuo chiamare piu tono prefatione % thè altro, jpo Vna r Parafiafi f opra il Dialogo di Alatone chiamato ilTeage, onero della Jàptenza. una Parafiafi ne gli Amatori di Pia ione y onero della FILOSOFIA. Un comento fipra il libro di Plotino dell' efiinz& dell'anima. Vna dichiaratone fipra quei uerfidx Boetio ytqnali cominciano. Tu trtplicis medium natura cuntka mouentem, a "Bernardo Rufiellai o Alcune prefazioni [opra diuerfi ma-terie. Alcune epijlole a dluerfi amici molto dotte y ne Ile quali fi dichiarano afidi dubbi di Filofifia. L'ultima fina compofitione fu un comento yilquale egli a petttume di Monfigno re M. Giulio de medici > che fu poi Papa Clemente, fece [opra il CONVIVIO dell’ACCADEMIA; w ipi quali componimenti olir a lattarietà, e la profondità della dottrina, e mafeimamente Platonica, e Tlotimana pare a me, che due co fi fi pofjano, anzi fi debbiano confederare, mofirantt ambedue l'eccellenza, e perfettione dell'ingegno, e gtuditio feto. La prima è, che egli usò nel fuo comporre uno Hile,fe non Ciceroniano [CICERONE (si veda)]del tutto, graue nondimeno, e filofoficb molto, e tutto lontano da quelle laidezza > e barbarie, collequali Jcrtueuano in quel tempo y e feriuono ancora hoggidi per lo piuì filosofi latiniyfenza leggiadria e gratta neffema. 6 tanto è da marauigltarfi piu y quanto ancora coloro, iquali fatuano profe filone di bene, ff) eloquentemente fer luer e y dietro un co fi fatto mifitfo non imitauano ( gran fatto ) nelle loro fcrit ture la diuina candidezza, e purità di CICERONE y mao TlintOy o Valerio A4 afeimo } o altri tali non buoni c Autori della latinità, o almeno della uera, e finterà eloquenza Fumana, lacuale manzi che Afonfignore dietro 'Bembo, buomo piu toflo di nino, che bumano la dimofirajfi,fi giàceua o fiono fciuta del tutto, o dijpregiata in grandifiima parte p percioche colui, il quale piu Stortamente, e piu [curamene te firiue cua, era e da fi Sieff, e dagli altri piu facondo tenuto, e maggiormente ammirato, come fi la principale uirtà co fi dello firiuere,come delfauedare confi ftefie inalerò, che nella chiarezza, o fifauellaffi, e finuefie da gii buomini ad altro fine, che perejfire intefi. La ficondaè, chi doue quafi tutti gli altri fi faceuano beffe, o haueuano compafiione di chiunque uolgarmente fcriueua, e haueano la lingua Fiorentina per niente, egli quafi precedendo quello, che di lei mediante limedefimo BEMPO auuenire doueua, tradufje, alcune delle fue opere y e piu fi dee credere 9 che egli tradotte n'harebbe fe piu lunga mente uiuuto foffe. Lequali fue opere fi flampatcfi foffono y non ha dubbio, che la fua fama fi farebbe y e allungatale allargata molto piu, che ella forfè fatto non ha£d egli per configuenz et s' bar ebbe maggior gloria, e piu chiaro grido, e in fimma piu lunga anzi immortale uita y acquifiato. Le quali pero fino di manierale elleno lungamente Ilare nafiofi non poffono y e Fr ance fio fuo Nipote, ilqualenon ha filamento il nome di lui, m'ha piu uolte collantemente affermato y finonhauer cofa y che piu lo prema ; e laquale egli, per fioddisfare alla pietà y e debito suo, maggiormente difìderi y che di rinuemre fènon tutte y la maggior parte delle fritture dell duo lo fuo per publicark B allhora fi potrà meglio cono far e dagli intendenti chente, t quale fojjl d'ingegno, e la dottrina di cotaU, e cotanto lo uomo; e Ji marauigheranno infieme con effio meco della capacità del fuo intelletto, e come un buomo filo potè (fi cjfieretanto uniuerfikle, che m tutte le cosi, nelle quah egli fi metteua, nufiijfie non dico raro y ma qua fi filo. Ecco: egli come che fojfie amanttfiimo della quiete, e lungi da ogni ambinone, e auaritia fatico nondimeno oltr a ogni credere non fidamente ne gli ftudij delle buone lettere, e della santifiuna filofifìa, come s'è ueduto,ma ancora nell anioni humane, e nelle bisigne socolari ( come fi uedrày di maniera, che fi può ficuramente credere, e con uetita dire, che egli di rado col corpo si ripofiafie y ma colla mente non mai y e fi bene egli e da naturayefua uoluntà era più mito a gli fiudij, e al contemplare, che alle faccende, I9S faccende, e al negotiare, tutt amagli bisignaua fare, come si dice, della necefrità uirtù yper laqupl co/a e neceffario di [apere, che quando 'Pago lo fuozAuolo uenne amorte, egli come co Iucche era flato firnprèy amictfrimo, e fautore della famiglia de ^Medici, e conofceua la prudente la potenza di Co fimo, e forfè la fortuna di quella cafd, fece (come racconta il Fon no nella uita di luì)una bella diceria, nella quale fra l' altre cofe auuertii figliuoli, e comando loro, che amafrino fempre y eof firuafrmo Cofrmo,e tutti i fuoi 'Difendenti quanto fapeffiro, e poteffono il piu, e dall'altro lato pregò fìrettifrimamente Cofimoycbe glidouefie piacere cfhauere loro, t tutti i fuoi Po fieri, per raccomandati, e si coment affi di pigliare la protezione lo T ro. E di qui nacque ( penfò io ) oltra le fut fingolarifiime qualità 9 che non filamenti ? X ; jf i9(f r Papa Lione, Uguale fu Jòpra tutti gli huomini grattfiimo, e libtrahfìimo, gli porto fempre affettione ftraordmaria,e gli fece molti fauori,e prefìnti di mn picciolo, Prima e valuta, ma ancora tutti gt altri di quella famiglia,e in ijfetialità tifar dinaie, che fu poi c Tapa Clemente, colqua le ( mentre, che egli reggeua Firenzi) praticano molto familiarmente, e conmeraui gltofa dimefiichez&a. Quelle furono le cagioni, che egli, ancora, che Fdofifo,e della fitta di Platone prima entro, epoi non fi ritiro dalle faccende civili, per non dir nulla, che hauendo egli molti figliuoìi(còme diremo ) e non molte / acuità, non poteua, ne doutua fare altramente, e di quin ci ancora auuenne, che nel dodici per la guerra, e ficco di Prato, quando i Medici ritornarono in Firenze, egli con alcuni altri Cittadini, de' quali come amici delle W Palle s'baueua fefpetto, e in Palazzo, dove era 'Piero Soderini gonfaloniere a ulta ) fiftenuto. Ma non prima furono i Siedici rimefii in Firenze, che douendofi per co/e importantifiime creare uno c Ambafciadore per la Città a Mafmiano Im peradore, fu tra tutti gli altri eletto Francefco, benché poi per lo ejferjì affettate, e accomodate le cosi in quel modo, che voleuano quei, che poteuano, non facendo piu luogo d' ambafciadore, non ui fu mandato ne egli, ne altri 6 nell amo mille ctn queceto diciannoue, e [fendo morto a quattro di faggio Lorenzo de Medici Duca d ye Urbmo, e douendofigh fare filenni fiime, e magnifiche eJfiquie, ancora,che non man co chi bucherajfi dibattere l or adone, d Cardinale firijje a Francefco, ilquale fi ritrouaua in uilla, che fi trasfenjfi frittamente a Firenze, e cofi la fece, e recito iij ip t - T I T A DSL f egliil fittimogiorno, nelqualeficelebranano nella Qoiefa di S. Lorenzp con pompale honoranza incredibile, e fu tenuto tojà rara, e degna d’ammiratione che in meno di tre giorni fujfi fatta da lui latina mente e recitata alla prefenz, a d'infinita moltitudine cotale oratone. *Nel medefimo anno, hauendo prima hauuto i primi honori,e magiflrati delta città, ejfindo fta to e di Collegio, e de Signori Otto, e de Qt- j pitam diparte (guelfa, fu fatto (gonfaloniere digiufì ma per lo filo Quartiere di Santa Croce nelmefi di gennaio, e di febbraio, e doue negli altri uficij s' era fatto co no/cere per huomo non men giuflo, che pietofi, in cjuefto fi dtmoftro non men benigno, chegraue,mguifa,che come l'uniuer fiale [e ne lodaua, cofii particolari ne diceuano bene, e quanto i parenti fi ne glorianano, tanto gli amtct, e dtfiepoh Juoine prendeuano s JfH Utck I Ì0 (mà m 4 m \( 1 ir ì è C IM prendeuano piacere, e contento marauigliofi. Onde auueniua,che coloro Squali 0 per l'inuidia, che haueuano alla fitagrandezs za, 0 per Iodio, che portavano alle fue uir, tà, harebbono uoluto morder lo, nonofauano di farlo, temendo di non efjere creduti "Dopo cotale degnità trouandofieglt hoggU mai attempato, e [oprafatto dalle cure familiari, e forfè per potere 0 comporre mone opere, 0 riuedere le già compofte,nongU parue di douer piu leggere in publico ; ma non per quefto manco mai i alcuna maniera di cortefia a niuno di colora, iquali gli andauano tutto il giorno a cafa, 0 per uicitarlo come amici,o per dimandarlo co me fcolari,anzi fi tenne, che quefìa fujfe in gran parte la cagione della fua Morte: lmperocht,non fi fintando egli bene, e non uolendo mancare ne a parenti ne agli ami ci, ne a Difiepoli, cadde in una infermità, K % per la uiolenza dellaquale in poco piu et un me fi, ancora, ckefuffi fiato finiamo e molto regolato nelfuo uiuere,e con tutti gli ordinamenti, e fagr amenti della (bufa coftantemente, e Chrifiianamente moriva gli diece d'aprile delmille cinquecento uentidue, e fu alla Q loie fa di Santa (foce nella fipoltura de fuoi maggiori femplicemente, e finta alcuna popa fìraor dinar ta portato, Jotterrato. La firn morte difpiacque molto fi generalmente a tutto Firenze, e fi in ifpetie a coloro, iquali o baueuano lettere, o defiderauano d'bauerne, e mafiima mente di FILOSOFIA. È di fiatar a piu che mezzana, non di molta carne, ma offuto forte, e nerboruto, eh pelo bruno, e Sommamente pelofi ; hauca la pelli biancha, e frefia molto. Cjli occhi neri non troppo grandi, le ciglia nere,e folte. La qual co fa lodi mofirauaa riguardanti anzi brufeo e bùr bero, zor hero y che non. E niente dimeno egli fi bene era grane, e fiueroy batte a pero con quella feueritàyt granita una dolce e cortefi piace uolez&a me/colato ylaqnale lo rendena gratiofiy e amabile. £ auuenga, cheegh,come tutti gli altri huomini in qualunque o arte o fetenza eccellentifiimiyfujje di natura ma ninconico, e filetario 3 tutta uia, quando coll' altre perfine fi rttrouaua, motteggiaua uolentieri non fittamente coglihuomtni di lettere, ma ettandio co gli Idioti, e colle donne medefime y tanto che non pareva piu quel deffiy prendendofi fefla, e filazzp per fi y e dandone altrui. Spiacemi, che ejfindo egli flato yper quanto ho udito dire y trat tofiy e arguto molto, io non habbta potuto nefiuno rmuergare de firn mottiyper farne parte a coloro, cheque fi a ulta per alcuno tempo leggeranno ffi mai nejjuno la leggerà. Era e come T* latonico, e come allievo del FICINO grandtfiimo, ma Jantifiimo ama > dorè, e nell' opere, che egli firifie de amore, le quali furono molte, e molte dotte, Si utde lui ejfere flato feruenttfiimo, anzi tutto fuoco ; da queflo per auuentura piu, che v, da altro fi può prendere nero figno,e certifi fimo argomento della nobiltà, e unicttà(fia mi lecito in una persona nuoua e unica) for mare un vocabolo unico, e nuouo, dell' ani- ’ mo,e intelletto J uo,conciofia,che quanto al cuna cofa è piu degnale piu perfetta, tanto fenza dubitatione alcuna, e s'innamora piu tofto, ft) arde uta maggiormente. Fu catto beo, e religiofi in tutto il tempo, che uijfe,e da cotali huomini douerebbono imparare, e prendere ejfempio coloro, iquabfi fanno a crederei di non cffère,o di non do uere e fiere tenuti filofofifi non di (pregiano il culto diurno, e fi beffano di chi L'ojfirua, quafi ghaltri uer amente non conofcano i quello, che uogliono moflrare falfamente difapere efii, ocome fecofa alcuna piu a filofefo conuemjfe, che conoscere e contemplare e configuentemente ammirare, e ri k uerire in quel modo, che fi può la Maeftà di Dio, e l'eternità di tutte le cofi celefti. tìebbe M.Francefio della moglie, laquale non fenz& fua noia, e danno fi morì l'anno Mille cinque cento diciotto, efiendofi prt ma morta la madre nel mille cinquecento quattro, tredici figliuoà, fette mafihij, e fet femine. La prima dellequah maritò a Daniello di farlo Canigiani, laquale dopo molti anni nmafit uedoua rimarito a Ruberto di Donato Acctaiuoli, huomo no bilifiimo, e d'ine fi imabile prudenza. La feconda a Carlo di Meglio Pandolfini, tre di loro fi uoltcro far tonache, delle quali ne uiue ancora una molto uener abile, degna di tanto padre ì laquale è [fino già tot molti anni ) Hadefid del ^Munifiero del Paradtfò. L'ultima maritarono poi gli heredi Juoi a c Pierfrantefio di Ruberto de 7{tcci. I figliuoli furono Pandolfo', Agnolo : Dionigi : Theodoro : Stmone : Carlo : e Cofimo. Pandolfo fimorìhuomo fatto eJJèndo duimuto dietro le vestigia paterne filosofo eccellentissimo. e. Agnolo uiuente il padre, tlquale come amoreuole, efauio non uolle contrapporfi, ne alla uolunta del figliuolo, ne alla fpiratione dtuina,fi rende Frate nella Religione di San Dome nico, nel tomento di San sbarco, ihjuale fiate Agnolo urne ancora, prouinciale nel medesìmo ordine de predicatori, ‘Rekgiofi di buona ulta, e d'ottima fama . Stmone Carlo, e Cofimo fi morirono tutti e tre giouanetti, tra gli fedici,e i diciott 9 anni,ciafiu no, e tutti profitteuolmente, e con grande Jperanz& fludiauano > La cofioro morte dolfi, come fi dee credere, ai&ii. trancefio lor padre, come a buomo, infinitamente, e tanto piu, che effindo egli amoreuolifi fimo uerfi gli Urani, potemo pen/àre quello . che egli fujje uerfi i figliuoli, e cotali figliuoli, ma come a Ftlofifo,fetppiendo,che efiendo mortale, egli hauea coja mortale generato, tomamente ut pofi fu piede, e come Cbrifiiano,non dubitandole ne una foglia ancora fi muoua finza la voluntà di Dio, rtprefi ogni cofit per lo miglior e. On de fi agli Hiftorici fuffe quello conceduto, che a i Poeti, e a gli oratori non e difdetto, anzi mafiimamente richiefto, largbifiimo campo harei qui diffamarmi lungbifiimo tempo per le file lodi . Theodor o non men bello d'affetto, che digrandifiima affettatone, morì anch'egli dopo la morte del padre, in Francia, tale, che di fette hoggi non è uiuo al fico lo fenon TDionigi, ilquale datofì dalla faagtouent udine, alla mere atura y hoggi e per la fa f faenza y e lealtà faa in quel credito y e riputatane tra i più borre uoh, e riputati mercatanti ì che fu il padre tra i più chiari letterati \e tra i piu perfetti filofififioftui di Madonna Maria figlino la di Martino di CjugUelmo Mar tini faa dilettifiima moglie, ha undici figliuoli cinque fimine di due delle quali ha nipoti e fai mafchiyiquali fono il 'Bruendo M.France fio Qanomco di [anta Ltperata e Protono tarioAppofìohco, della cui qualità hauemo fauellato di jopra.Pandolfo ilquale di tuo no Spirito y e fludtofi delle lettere no filo Cjre che y eLatme y ma ancora Tofane fi truoua hoggi in Rpma. Agnolo : Cjwuàbatifla, Buierto e Carlo Squali fino no pur uiui y e fini tutti 3 ma in buono y e profpero fiato Jequah cofi ho uoluto non fi fi troppo largamente, otrvppo fiarfamente raccontare, perche le CATTALO. felicità di queflo modo di qua, qualunque cs4riflotile nell' Scica pare, che ne dubiti, pojfono nondimeno fecondo t Theologi chri fiumi a co loro, che fino nell'altra uita,giouare.Onde fecondo i Flofififì può, eficodo i theologi fi dee credere che M. Francefio di Zanobi Qattani da Ghiacceto cittadino fiorentino, ueggendo infìno dal piu alto cielo tanta# cofi chiara fuccefiione,figoda infiemec olle figliuole# co figliuòli morti qui e lafiù uiuijiwio quella feltafiima,{t) eterna beatitudine, che deono quegli huomini dopo la morte goder e, tquah mentre che uif fero cofi lodtuoh per la uita attiua come ho nor àbili per la conteplativa, furono non me no ottimi chriftianiyche dottissimi filosofì. Grice: “If these Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice: “It was an excellent idea of Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” Nome compiuto: Franciscus Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: i tre libri d’amore, diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Diano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errante dalla ragione – emendato – scuola di Vibo Valentia – filosofo vibese – filosofo calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vibo Valentia). Filosofo vibese. Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Vibo Valentia, Calabria. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte giovanili. Si trasfere a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Festa e Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e si laurea con 110 e lode con una tesi su Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita. Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come supplente e poi, di ruolo come vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma consegue la libera docenza. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse. Su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore presso le Lund, Copenaghen e Göteborg. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore Hedin, dei quali traduce anche alcune opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di Roma ed è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Vince il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani, interpretate da noti attori quali Zareschi, Ninchi, Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro. Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con Quasimodo, Bettini, Eliade, Otto, Spirito, Argan, Berenson, Montano, Mazzarino, Bo, Kerényi, Nilsson, Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita culturale e artistica. Tra i suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Cacciari. Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento all’Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura). Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore); Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside, Bari, Laterza; Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano,. Carlo Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. D., nel sito "Il Ramo di Corallo", di D.. IL CONVITO. ATOLLODOllO E UN AMICO. Apollpdóro. Credo di nonSmotto, P- 172 ispondere alla vostra no ues^ < . Galero, uno dei Srm^STiTp.lWo.0 , o M - Èd io mi fermai e aspettai. „i ie poc’anzi ti di 'raccontarmi la ™ pensiero filosofico greco, fu tntt ^ ” C ; u raorto ad maestro, o, stando a più fieli o devoti seguaci (l a Kliano, no ricopri o voleva un aneddoto riferitoci da t>10tcl “ teUo - Quanto allo scherzo, dm ricoprirne il cadavere col ' >r0I ’ ? “ t f, ò moUo discusso in ohe consista. Apollodoro rileva nelle pardo doli arpico, . cominciato dal ehm- Forse, oltreché nel tono nome Matteo o ohe tosso marie Falere. < So un amico nostre. clm gr Vcllotrl \ anziché nato a Vellotri noi comin^assimo col olila ar^ lnl uno scherzo, sol-rat - Matteo ’, por farlo voltale, l’allusione a uualcunu delle suo uua- tutto se col chiamarlo cosi si taccs ““ u 0 i luogo . Noi nou sappiamo. Uhi. «he si solesse attribuire gla altan rlpuUv,iono o di elio genere: se 1 Falerosl avessero unniche loi partlooi (Bonghl) . E none, a ogni modo anche sonza^uesto loA^y^ mM, naro „ i marinai mi paro, Impossibile olio, cssoni t . e u uca t 1L, la ciunlitìl di Valoroso rìi^ol qu alcuno, formano un emlecflfilllitbo. conversazione tra Agatone e Socrate e Alcibiade (2) e gb Xi, che allora presero parte al banchetto c che discorsi intorno all’amore ri si fossero temiti. Me ne accennò un tale che ne aveva udito da Fenice di Filippo è aggiunse che anche tu ne eri informato; ma non seppe dirmi nulla di preciso. Raccontamela tu dunque. Nes- M mo più di te è tenuto a riferire i discorsi del tuo amico. E prima di tutto, mi chiese, dimmi: a quella conversazione eri tu presente o no! Ed io: Si vede bene che quel tale che te la raccontò non ti deve aver raccontato nulla di preciso, se credi che quella conversazione, di cui mi chiedi, abbia avuto luogo così di recente, che anch’io avessi potuto assistervi. Ed egli: Difatti lo credevo, rispose. E come, dissi, Glaucone? Non sai che da molti anni Agatone non è più venuto tra noi; e che da quando frequento assiduamente Socrate e mi studio di seguire giorno per giorno ciò che egli dice o fa, non sono ancora tre anni? Prima andavo errando a caso di qua e di là, e pure illudendomi di fare qualcosa, ero il più infelice degli uomini, non meno che non sia ora tu, perchè pensavo che bisognasse occuparsi di qualunque altra cosa piuttosto che di filosofìa. Ed egli: Smetti di canzonare e dimmi quando ebbe luogo quella conversazione. Quando e noi eravamo ancora dei ragazzi Agatone vince il premio per la sua prima tragedia, nel li) Agatone, Ilglio di TisAmeno, ora nativo di Atene, clic tra il -10!) c il 1117 a. C. egli lasciò icr andare a vivere nella corte di Archelao di Macedonia. il cui splendore lo attirava. Bollo, elegante e ricco, fu scolaro di I ròdico e di Gorgia, dai riunii apprese Io siile protonaionoso e retorico ed ebbe imimi^^ di celebri per il successo del suo drama. intitolato ., S,, m0 : nel n al °,,sclva dagli argomenti tradizionali e dalla via c lr U tavn imEfa,l 1r ? <l0OeSSOrl - 11 Ptto Umusi muliebre .oZir a 7ì:^T a V m V0,t0 bCT8UC ° al mmi ™'e. contempi,rana. Nel Ilo aveva forse poco pii, di tronfanni. ed u n, o d stilò lm ‘ tUB dW ° ! Kli ò ta-PP- noto come generalo Òvevu,t,!,.n„?ò ° ? n e0 aVYennt0 11 Mochetti. (0 a. C.), egli $ n ^ potonzft pouuoa - Altro ignoto, da non confondere con Glaucone, fratello di Platone., omo seguente a quello in cui egli coi suoi coreuti celebrò fsacrifico nolti anni or sono, a quanto pare. Ma^te’chi té la che ne parlò ; &r-ra tota, ote ri XeK il ™ alla, conveisazioue, 1 Tutta™, interroga, amanti di feociatc a q 1 udifce da Aristodemo, anche Socrate su qualcuna delle aveva riferito, eda lui ebbi la conferma d#ò che 1 a L a Perchè dunque non t afte apposta via, che s’ha a percorrere lino alla citta, per discorrere e per udire. di que i discorsi, Così cammin facendo, rapo impreparato; sicché, come ho detto a prmcn|, nO|Soim V c se volete che io li ripeta anche a voi, ecconn^ ricchi e dediti ai guadagni, d : j ar Scesa e i^’f^nS'prSSmente anche voi dai canto vostro penserete di me che sono' u ?.^Ton lò e credo che voi crediate il vero; io pero di voi non Sei sempre lo stesso, Apoilodoro: non fai che dir male di te c degli altri, e ai tuoi echi siamo, mi pare, tutti degl’infelici, all’mhion di So f sodando da te. Perchè ti chiamino tenero, non so, Da questa indicazione si desume elio il banchetto avrebbe avuto,U0 % e ÌH. anch’egli uno scolare di Scorato. Cidatonoo, si faoova, sembra, notare per la sua smania c m anche in corte abitudini di vita, come, per esempio, in quella d andar sempi et) Tutti i testi, a cominciare dai piìi antichi, danno qui |j.a).axo; mollo • tenero ', lezione respinta dalla maggior l'arto degli editori, elle hanno accolta invece la correzione |iavixó? ‘ pazzo \ ‘ turioso ’, occorrente ir eai soniDre cosi! xccrbo con tc ma corto ncll °,[ U ' fuo rchè con Socrate, stesso e con gli alt, dunqu e indiscutibile che, se j^nso così^'di^mè e di^voi, io debba essere un pazzo e un insensato? nena 0 ra di leticare,, r 1,™5 A Fa° SS 4 bbl , Hsrtósfssis-rr £t meglio che io mi pori M .1 .1,. capo, come a me lo fece Aristodemo.,1 - Egli dunque mi disse di avere incontrato Socrate cbe usciva dal bagno e calzava delle pantofole cosa che suol fare di rado, e dovergli chiesto, dove s'incamminasse cosi rimbellito. E l'altro: A cena da Agatone. Ieri mi sottrassi al banchetto della vittoria, per paura della folla. Ma promisi che oggi non sarei mancato. E mi Ron fatto bello appunto per presentarmi bello ad un bello. Ma tu, gli dimandò, come ti senti disposto a venire a un banchetto non invitato? in parecchi codl. La lezione più antica, ripristinata dal Burnet, nonché dallo Schoenc nella sua revisione dell’edizione dell’Hug, era già stata difesa dal Ilfìckert, e con buone ragioni. Ciò che sappiamo dal Fedone, in cui Apollodoro c’ò dipinto come un carattere impressionabilissimo, clic passava facilmente dal riso al pianto c viceversa, e che negli ultimi istanti di Socrate si abbandonò a così incompostc manifestazioni di doloro da provocare un richiamo del maestro, accenna, mi pare, piuttosto a un uomo d’indole molle, che ad un furioso o pazzo. Nò la risposta dApollodoro, nella quale h’ò voluto veder la conferma della lezione |iotyiy.Ó£, ò una prova addirittura decisiva, giacché, osserva il RUekert, non dici haec, ut éxplanelur caussa cognominis, sed indignantis verbo, esse, conccdcntls, ni fit per indignalionem, atquc in maim augentis id quod arnione diadi. Qui quii in rcprchciuliseet nimiam aeveritatem, hoc ipsum, niininm ceso, arripicna, acerbe rcapondel: concedo, manifestimi est, me qui uliter sentilim atquc vos, debcrc insanire atquc delirare. Da questo disse ’ (IcpY)) dipendo nel testo tutta la narrazióne dApollodoro, che nel greco ha la forma d’uria oratio obliqua. Qui nel testo c’è sTtoóei ‘ faceva’ in conformità dell’uso greco che adopera l’imperfetto per significare uno stato clic dura tuttora nel presente, àia poiché il racconto si suppone fatto, mentre Socrate è ancora in vita, ho sostituito il presente all’imperfetto. Per me, rispose Aristodemo, sono ai tuoi ordini. Ebbene, riprese, seguimi, affinchè, mutati 1 termini, la si faccia finita col vecchio proverbio, mostrando cn anche dei buoni ai conviti vanno non invita i buoni. Omero però, se non mi sbaglio, non si conten di farla finita con esso, ma volle anche fargli oltraggio, perchè dopo d'averci rappresentato Agamennone come singolarmente prode in guerra, e Menelao come un f ia ( ° guerriero, al sacrifizio ed al banchetto, offerto < a Agamennone, fa che intervenga non invitato Menelao, un dammeno alla mensa d’un uomo che valeva di piu U fi E l'altro nell’udir ciò: Ho paura anch’io, Socrate, di non essere quel che tu dici, ma piuttosto, secondo Omero, quel dappoco che va, non invitato, al banchetto d un sapiente. Del resto, dacché vuoi condurmici, preparati a giustificare la mia presenza, perchè io per me non diro d’esserci andato senza invito, ma in vitato da te. In due andando per' via, riprese, consiglieremo su quel che ci converrà di dire. Per ora andiamo. E scambiate queste parole, s’avviarono. Socrate camminava immerso in qualche pensiero, e rimaneva indietro; e poiché egli si fermava ad attenderlo, gli disse d andai pure innanzi. Giunto a casa d'Agatone trovò la poi tu, spalancata, e lì, disse, gli capitò una cosa da ridere. C’ù nella risposta, ili Socrate un ginoco li parole che non e ^possibile rendere in italiano. 11 proverbio era. pare. BsAfflv sin Batta; taotv aOxóuatot avallo! . dogi-inferiori ai conviti vanno non invitati i buoni- O anello meglio dei vili (o dei deboli) ai conviti vanno non invitati i torti .. Sdorato, gtuòcando sulla somiglianza elle, a parto l’aceento, e'e tra aYaddW •del Paoni ’ o ’A T <W•AY'M-nm ‘ad Agatone' ri f.1 il proverbio in modo che esso si presti a (Uro tanto . dei Inumi ai conviti vanno i buoni non invitati -, quanto • da Agatone ai corniti vanno i buoni non invitati . E si noti elio anche II nomo ’Ay ec&MV corrispondo suppergiù a ‘ Oinobono '. Quanto ad Omero poi Socrate, celiando, immagina cito il poeta nel tìngere (/(. Il 108) clic Menelao 4 flocco guerriero ’ vada non invitato alla mensa d’un prode conto Agamennone, abbia voluto addirittura fare oltraggio (ti proverbio, che egli, invertendone gli estremi, avrebbe implicitamente (giacché al proverbio In Omero non s’accenna né punto né poco) rifuggiate io quest altra forma àralfiSv Èro Baita; taoiv aùti|iatoi Bs’Aoi • dei forti ai conviti vanno non invitati i vili (2) Allusione a un luogo omerico: cf. II. X ’224.Giacché gli si lece subì. 'J ?^stateti a memaano ione-e lo condusse dove g< 1 ’ Come Agatone lo quasi sul punto di niet ^ in buon punto ^e: Oh! Aristodemo f £’ y g£i per altro, rimet- pcr cenare con noi. il per rcai per invitarti senza ZSJtì Sin Ma em} hri biotto Socrate? mi volsi indietro, ma non •r in nessun luooo che Socrate mi seguisse, e dissi: S,2 •. a. lai qi 11- Ed hai fatto benone. Ma dov’è Socrate? Un momento fa mi seguiva; ma ora dov è. Sono io mire sorpreso di non vederlo. Va subito a cercarlo, ragazzo, disse Agatone, e introducilo qui. E tu, Aristodemo, prendi posto a lato ad Erissimaco . IH. E mentre un servo gli lavava i piedi, perchè potesse sdraiarsi, un altro entrò dicendo: Questo Socrate s’è ritratto nel vestibolo d una casa qui accanto, e sta li fermo. Io l’ho chiamato, ma non ha intenzione d’entrare. Strano!, disse Agatone; corri dunque a chiamarlo, e non smettere, finché non si muova. No, no. diceva d’aver soggiunto Aristodemo. Lasciatelo stare. Egli l’ha quest’abitudine. Certe volte si tira da parte e riman fermo dove gli capita. Verrà ben presto, ritengo. Voti lo disturbate; lasciatelo stare. Facciamo pure cosi, se codesto è il tuo avviso, disse Agatone. E voi, ragazzi, dateci da mangiare a noi altri, e imbanditeci tutto quel elio vi pare. Non c’è nessuno che vi sorvegli: è una bega che non mi son mai presa. Fate conto che ci abbiate voi invitati a cena, me e questi altri, e trattateci in modo da meritare i nostri elogi. Dopo ciò,'diceva, si misero a desinare, ma Socrate non compariva. Agatone aveva ordinato più volte che fi) lirlssùuaco, figlio d'Aedmeno, ora, conio il padre, un modico litui noto in Alene. 21 s’andasse a rilevarlo, ma egli non l’aveva permesso. Finalmente, men tardi però che non fosse nelle sue. altitudini. ma tuttavia quando la cena era già a mezzo, Socrate entrò. E Agatone, che occupava 1 ultimo posto, per caso da solo: Vien qua, Socrate, disse; sdraiati accanto a me, affinchè al tuo contatto m’avvantaggi anch’io di quel pensiero sapiente di cui ti sei arricchito nel vestibolo. Perchè gli è certo che 1 hai trovato e lo J possiedi: chè- prima non ti saresti mosso. Socrate si mise a sedere e rispose: Sarebbe, Agatone, una gran bella cosa, se la sapienza fosse cosiffatt a, che potesse scorrere dal più ripieno nel più vuoto di noi. al solo toccarci a vicenda, come l’acqua nei bicehien, che a traverso un fìl di lana scorre da uno più colmo in un altro più vuoto! Se lo stesso avviene anche della sapienza, son io che devo far gran conto d essere accanto a te, giacché penso che, mercè tua, mi riempirò di molta . e squisita sapienza. La mia non può essere che povera cosa o anche di dubbio valore, come un sogno;, ma la tua è luminosa e destinata ad un grande avvenire, dal momento che da te, giovane ancora, ha sfolgorato poco fa di così viva e chiara luce davanti agli occhi di piu che trentamila Elleni. Sei un gran canzonatore, Socrate, disse Agatone. Ma di questa faccenda della sapienza discuteremo fra poco tu ed io, e, ne prenderemo a giudice Dióniso , Per ora pensa a mangiare. IY. Dopo di ciò, raccontava Aristodemo, Socrate si sdraiò, e finito che ebbero di cenare, lui e gli altri, fecero lo libazioni, cantarono un inno in onore del dio, adempirono tutte le pratiche di rito (2), e quindi si vol ai Dióniso, il dio della poesia di'amatloa, por un poeta tragico era il miglior giudico al quale potesse appellarsi. (2) Questo cori inolilo orano: 1° i convitati bevono un sorso di vino puro In onoro del ‘ dèmone buono [del buon genio]; 2° i servi sparecchiano; 3° o portano acqua ^crollò i convitati si lavino le inani una seconda volta (la prima volta l’han fatto prima di mettersi a cona); 4° distribuiscono ancora corone ed unguenti; 5° poi si fanno lo libazioni di vino temperato pi prima a Zeus Olimpio (o alla Sanità), la seconda agli Eroi, la terza a • n \ oli ora fu il primo a prender la s ero al bere. iei< c he regola terremo nel parola e: Orsù, disse amie ., pel, me V1 c011 .bere per aggravarci g ^h P rabtiso di ieri, fesso che mi sente e CO sì forse la più parte e h0 bisogno d un po^ Y P edete dunque come si possa bere°con^la'maggior discrezione ^ossibUe^ . 'U, Acumeno. Ed ora non ho bisogno, che d udire come si 1 in f orz e per bere un. altro solo di voi, Agatone. no davvero, non me la sento neppnr io, rispose CO ¥a'nto meglio per noi, mi pare, disse Erisstamco per me . per Aristodemo; per Fedro e per questi altri, se ma cedete il campo voi che siete dei bevitori a tutta prova, giacché noi siamo sempre debolissimi. Quanto a Sociat % egli fa eccezione: si trova a posto in un caso e nell altro, e gli sarà indifferente comunque si beva. Bacche, dunque, nessuno dei presenti è disposto a bere rii molto, non vi rincrescerà, spero, ch’io vi dica la verità a proposito dell’ubriacarsi. Dalla pratica della medicina ho cavato questa convinzione: che per gli uomini è dannoso 1 abuso del vino: e di mia volontà non eccederei mai nel bere, nè lo consiglierei ad un altro, soprattutto se si risente ancora della sbornia del giorno prima. Per me non c'è caso, prese a dire Fedro da Mirrili unte; io lui l’abitudine di seguire i tuoi consigli, specie quando parli di medicina; ina ora, se hanno giudizio, faranno così anche gli altri. Zeus salvatore. I/ultiina tazza cho ai beveva a questo si diceva la ‘ por- lotta .; 0 spesso alle libazioni seguiva una musica di Munti c un bruciamento d’incensi; 7° con la prima libazione s’accompagnava il canto di un inno religioso. (Da Bonghi). Doveva esscro un ammiratore di rotori e sofisti, ma è noto soprattutto come amante d’Agatonc. Aristofane, è superfluo dirlo, è il famoso comediografo. (3) Su Fodro v. la nota alla mia versione del Fedro. jp£ijÌMpM h'. Udito ciò, tutti convennero che non si dovesse far del bere il passatempo di quella riunione, ma che ognuno bevesse quanto e come gli accomodava. y. _ Poiché è stata accolta la mia proposta, che ognuno beva quanto gli accomoda, disse Erissimaco, c che non ci sia nessun obbligo, ne faccio ancora un al inaurila di mandar via la suonatrice di flauto entrata dianzi, perchè suoni per conto suo o, se vuole, per le donne cu casa, e che noi oggi si passi il tempo a conversare fra no. E voglio anche, se me lo permettete, proporvi U tema discorsi. ìtì Tutti consentirono e lo esortarono a farne fa. 1 posta. E comincerò, riprese Erissimaco, come la ^ e lanippe ’ di Euripide: Miei non son questi detti che m’accingo a pronunziare, ma di Fedro qui pi sente. Non passa occasione infatti eh egli non mi up • indignato: Ma Erissimaco, non è enorme, che mentre poeti han cantato inni e peani in onore degli alto d, di Eros, un così antico e possente iddio, neppui u _ tanti poeti, che ci sono stati, abbia mai composto un eloo-io’f E se poi vuoi guardare ai buoni sofisti, essi ha Sto in prosa le lodi di Éracles e di altri, come quel valentuomo di Predico... E questo ite, esorprendente; ma c’è di peggio. A me proprio una ^oha accadde dibattermi in un libro d’un sapiente, m cui si facevano sperticate lodi del sale pei vantaggi che reca, E puoi vedere parecchie altre cose simili celebrate con lode. Spender tanta cura intorno a siffatti argomenti, e pii Eros non esserci nessuno fin oggi, che abbia osato lai ne un degno elogio: a tal punto è trascurato un cosi grande Iddio- ) E in ciò’, secondo me, Fedro ha ben ragione. 10 dunque, oltre che desidero .li pagare il mio contributo a costui e fargli cosa grata, ritengo che questo sia per noi qui radunati proprio il momento .li adornai e di lodi 11 dio. E se così pare anche a voi, ecco trovato torse un Cf. N.vuoic, Trita- Or. Fratjmm.' tramili. 181, 1. a l. è „ueUo elio si trova riferito In sunto da Senofontei nei Momo- rubili ’ 11 21, 1 sgg., o elio fu tradotto dal Loop®!! col tlt. ' I.reale . buon argomento di conversazione. In sostanza io pro- onlo che ciascuno ili noi. per turno a destra, dica le Foladi Eros, come può meglio, e sia il primo ladro, non Tolo perchè egli occupa il primo posto, ma anche uerchè egli è il padre del discorso. Nessuno, Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la proposta, Nè potrei certo oppormi io, che dichiaro di non esser competente in altro che m cose d’amore: nè vi si opporranno Agatone e Pausatila e tanto meno Aristofane, la cui vita è tutta cosi profondamente devota a Dioniso ed Afrodite, o qualche altro di quelli che vedo qui presenti. Senza dubbio, la partita non è uguale per noi che siamo negli ultimi posti: ma se quelli che ci precedono parleranno esaurientemente e bene, noi saremo sodisfatti. Dunque, con buona fortuna, inauguri Fedro la serie dei discorsi e pronunzi l'elogio di Eros. A queste parole anche gli altri fecero eco e npetet- 178 tero l'invito di Socrate. Ma di tutto ciò che ognuno disse, nè Aristodemo si rammentava con precisione, nè io, dal canto mio, di tutto quello che egli mi riferì. Vi dirò per altro le cose più degne di ricordo e i discorsi, che mi parvero tali, di ciascuno. Come dunque dicevo, stando al racconto d’Aristodemo, Ferirò fu il primo a parlare e cominciò suppergiù a questo modo: Eros è un grande iddio e ammirabile tra gli uomini e tra gli dei, oltreché per tante altre ragioni, soprattutto per la sua origine. Perchè l’essere tra gli antichi iddìi antichissimo è cagion d’onore, diceva, e ne abbiamo la prova. Difatti genitori di Eros nè vi sono, nè si rammentano da verun prosatore o poeta ; anzi Esiodo dice che dapprima fu il caos, ma dopo Oea dall’ampio seno, saldissima, eterna di tutto sede ed Eros ; Cf. Theog. e con Esiodo s’accorda Acusilao noU'afferniaro che dopo il Caos si generassero questi due, Gea ed Eros. E Parmenide dice della generazione che infra gl’iddìi tutti Eros concepì per il primo. E così da molte parti si consente che Eros fu tra gli antichi antichissimo. E perchè antichissimo, è cagione a noi dei più grandi beni. Io infatti non so dire qual maggior bene possa esservi per chi entri appena nell’età dell'adolescenza d’un amante buono, e per l’amante d’nn fanciullo amato. Giacche ciò che agli uomini deve servir di guida per tutta la vita, se vogliono nobilmente vivere, questo non valgono ad ispirarlo altrettanto bene nè la comunanza di sangue, nè gli onori, nè la ricchezza, ne alcun’altra cosa, quanto l’amore. E che è mai questo. La vergogna per ciò che è brutto, l’ambizione per ciò che ò bello, senza le quali nè ad uno Stato, nè ad un privato è possibile operare grandi c nobili opere. Ebbene io affermo che un uomo che ami, se fosse sorpreso in atto di commettere qualcosa di brutto o di soffrirla da un altro senza reagire per vigliaccheria, non s affliggerebbe tanto ad esser visto nè da suo padre, nè dai compagni, nè da nessun altro, quanto dal suo diletto fanciullo. Così del pari vediamo che anche 1 amato si vergogna soprattutto degli amanti, ove sia sorpreso a commettere qualcosa di brutto. Se dunque ci fosso modo d avere uno Stato o un esercito composto damanti e damati, non potrebbe esserci per la loro città miglior governo ì costoro, perciocché 'asterrebbero da ogni cosa turpe e gareggiherò di virtù fra loro; e combattendo gb 171 Acusilao d’Argo ora uu logografo contemporaneo delle guerre persiane, autore di ' Genealogie Questo Torso faceva parto del poema llspì cpoactofi Sulla natura del grande Hlosofo di Elea, fiorito tra la fino del vi e il principio del v s. a. 0. Cf. Dirla, Forsokr. P P- 1U2. .Lottoralmento: So dunque si trovasse modo ohe oi fosso uno stato O un esercito d’amnuti o d’amati, non potrebbero governar meglio la propria citta, elio astenendosi da tutto lo cose brutte e gareggiando fra loro eoe. £ sLo non possa animare d’un divino coraggio cosi da renderlo pari all'uomo più di sua natura vaio .roso. E QU el che Omero dice: avere un dio ispnato l'ardire in taluni eroi, questo appunto per virtù propiia Eros l’effettua negli amanti. Ed .infatti solo quelli che amano son pront i a morire in cambio d’un altro; nè soltanto gli uomini, ma anche le donne. E di questo ci offre, a noi Elioni, una testimonianza bastevole la figliuola di Pelia, Alcéstide. che fu sola a voler dare la propria ruta in cambio di quella del marito,, sebbene questi avesse e padre e madre tuttora viventi. Ma costoro per virtù d’amore ella li sopravanzo tanto nell affetto, da farli apparire degli estranei al figliuolo e legati a lui unicamente di nome. E per aver fatto ciò parve non solo agli uomini, ina anche agli dei che avesse fatto cosa tanto bella, che quantunque molti avesser compiuto molte belle azioni, a ben pochi gli dei concessero questo premio, di richiamarne l'anima dall’Ade; ma quella di lei la richiamarono, ammirati di ciò ch’ella aveva fatto; tanto altamente onorano anco gl’iddii un amore profondo e virtuoso! Invece rimandarmi via dall’Ade a mani vuote Orfeo d’Eagro, dopo (riavergli mostrato il fantasima della moglie, pei' la quale egli 'era sceso laggiù, senza per altro dargli la donna, perchè parve loro circi mancasse di coraggio, da quel citaredo ch’egli era, e non gli bastasse l’animo d’affrontare per amore la morte, come Alcéstide, ma s’ingegna da vivo di penetrare nell’Ade. E però lo punirono, fa - h un modo <11 dire elio ricorro più volto nei poemi muorici. l.u devozione di questo, eroina verso 11 marito forma il soggetto (Cuna tragedia d’Euripidc, intitolata appunto ‘ Alcéstide dolo morire per mano di donne. Al contrario, onorarono Achille, il tiglio di Tétide, e gli assegnarono un posto nell’isole dei beati, perchè, sebbene avvertito dalla madre ohe sarebbe morto come .avesse ucciso Ettore, laddove. ciò non avesse fatto, ritornato a casa, vi sarebbe finito di vecchiezza; egli, bramoso di correre alla riscossa dell’amante Patroclo e vendicarlo, osò non solo di morire ner lui ma di soprammorire a lui estinto. Ond anche, gli dei compresi di viva ammirazione, gli concessero un onore addirittura segnalato, (lacchè aveva mostrato di tenere in così alto pregio l’amante. Ed Esclnlo vaneggia, oliando afferma che Achille era L’AMANTE DI Patroclo. Achille è più bello non solo di Patroclo, ma di tutti quanti gli altr’eroi, ed è ancora imberbe, e per giunta più movane di molto, come dice Omero. Gli e che in realtà, se gli dei onorano singolarmente questa virtù dell’amare, essi tuttavia ammirano e pregiano e ricompensano più largamente la devozione dell amato pei l'amante, che non quella dell’amante per ornato L’AMANTE infatti è qualcosa di più divino dell AMATO, perchè posseduto dal dio. E perciò appunto gli dei onorarono Achille a preferenza d’Aleéstide, assegnandoci un posto nell’isole dei beati. Per conto mio, adunque, concludo che Eios e t a gli dei il più antico, il più augusto, il piu capace di rendere virtuosi e felici gli uomini, così in vita come m morte. Questo a un dipresso, disse Aristodemo, il discorso di Fedro. Altri ne seguirono (lei quali non si rammentava bene e che omise, e passo al discorso di Pansaaia, che parlò così: A me pare che non ci si sta pn- pitocon chiarezza il tema del discorso, quando se detto, così senz’altro, di pronunziare 1 elogio di Eros. s.e Eios non fosse che un solo, via, la cosa potrebbe andare, ( ìa ecco, esso, non è un solo, e non essendo un solo, e più Accenno iul una traspaia perduta, intitolata ‘I Mirmldom, nella quale talune espressioni allettilo d'Achille erano da alcun, mterpro- tate conio qui si complaco d‘interpretarle Iedro. criusfo che si fissi in precedenza quale sabbia a lodare, fo dmu e mi proverò a rimetter le cose a posto, a due aual è l’Eros che merita lode, c poi a pronunziarne 'ì’elogio in maniera degna del mime. Tutti infatti sappiamo che Afrodite non è senza Eros. Se VENERE fosse una sola, non ci sarebbe che un solo Eros; rail poiché di Afroditi ce n’è due, due devono essere di necessità anche gli Erotes. E come non sono due le dee. L’ima è più antica, non ha madre, e figliuola d Ulano, e però è detta Urania [o celeste]; l’altra è più giovane, figliuola di Zeus e di Dione e la chiamiamo Pan demos 10 volgare]. Ne consegue perciò clic l'Eros, collabora- lore di questa, si chiami a buon diritto Pandemos [o volgare] e l'altro Uranio [o celeste]. E se giusto è elle tutti gli dei si lodino, è pur necessario provarsi a dire le qualità toccate in aorte a ciascuno dei due. Perché d'ogni nostro atto può affermarsi questo: che esso di per sé non è nè hello uè brutto. Per esempio, ciò che ora Tioi facciamo: bere, cantare, discorrere, nessuna di queste cose è di per sè bella, ma nel fatto divien tale, secondo 11 modo come si fa. Fatta bene e rettamente diventa bella; non rettamente, brutta. E così anche l’amare ed Eros non è tutto bello e degno d’esser lodato, ma solo quello clic nobilmente spinge ad amare. L’Eros quindi, collaboratore delTAfrodite volgare, è veramente volgare, ed opera come gli vien fatto; e questo è l’Eros che amano gli uomini di animo basso, fòsforo innanzi l utto amano non meno le donno che i fanciulli, e poi, pur di quelli che amano, i corpi a preferenza delle anime, e poi ancora i meno intelligenti che possano, giacché essi non mirano ad altro, che a sodisfarsi, non importa se bellamente o no. Onde accade loro ili fare come capita, nello stesso modo il bene e nello stesso modo il contrario. Perocché quest’Eros trae anche origine dalla dea elio è ben più giovane dell’altra e che dal modo, onde fu generata, partecipa di femmina e di maschio. L’altro invece é dell’Afrodite celeste, la quale 1,1 P r 'mo luogo non partecipa di femmina, ma solo di maschio ed è questo L’AMORE dei giovanetti e poi intica pura (fogni lascivia.. Onde al MASCHIO pl '‘;! 8Ì volgono gl’ispirati da questo amore, perchè ;UJP u io-ono quél che è per natura più forte e piu Intel- f 11 :: ; -Ed anche nello stesso amor pei fanciulli è pos- u • discernere quei che sono sinceramente mossi da ' S nesto amore. Giacché essi non amano i fanciulli, se non ? andò questi comincino a dar segni d’intelligenza, cioè òn lo simulare sul volto della prima lanugine. Coloro infatti 'che cominciano ad AMARE da quel momento, si mostrali disposti, secondo me, a legarsi per tutta la vita Giovanotto AMATO e a viver con esso m comune, non oi-r dopoché l'abbian tratto in inganno per averlo .sorpreso nella sua inesperienza giovanile, a ridersi di lui e orrore ad altri amori. Converrebbe anzi che una le^ge vietasse l’amare i fanciulli, affinchè un grande studio non si spendesse in cosa d’esito incerto, perchè incerta e la riuscita dei fanciulli, dove vada a riuscire, quanto a vizio e virtù d’animo e di corpo. Questa legge, è vero, 1 buoni se la impongono spontaneamente a sè medesimi; nondimeno sarebbe necessario che a ciò codesti amanti vogali fossero anche costretti, come, per quanto è possibile, li costringiamo ad astenersi daU'amare le donne di libera condizione. Poiché sono essi appunto che hanno anche disonorato l’amore, tanto che alcuni osali di dire che è brutta cosa compiacere agli amanti. E dicon cosi, perchè hanno dinanzi agli occhi costoro, e vedon di questi il procedere intempestivo ed ingiusto, laddov e non c’è cosa che, fatta con decoro e in conformità del costume. possa giustamente meritar biasimo. E certo qual sia nelle altre città la norma enea l’amore, è facile intendere, chò il concetto ne è semplice. Ma da noi e a Lacedemone essa è varia. Così nell'Elide, tra’Beoti e dove non son punto esperti nel dire, e senz altio ammesso come bello il compiacere agli amanti; e nes- Il testo lui fini la pacala vó|io? ‘ leggoelio compiendo cosi In legge Boritta, la leggo in senso ristretto, corno l’oplnlou pubblica, la consuetudine, lu nonna, il costumo. Io l’ho tradotta di solito così, ma anello in qualche caso, nel quale in questo disoorso di Pausania mi son valso della parola ‘ legge s’intende olio a questa parola va dato il significato più. largo cho ha nel greco. im0 sia giovane o vecchio, oserebbe tacciarlo di turpe affinché, credo, non incontrino difficoltà nel persuadentigiovani per via di ragionamenti metta come sono al parlare. Per contro m molti luoghi della Ionia e in altri paesi, soggetti ai barbari, la cosa e ritenuta senz'altro quale una bruttura. Pei barbari, infatti, a camion delle tirannidi, è brutto questo, non meli che lo studio della sapienza e della GINNASTICA, perocché, credo, non conviene ai governanti che allignino alti sensi nei (invernati e si stringano indissolubili amicizie e intimità, che, tra tanti altri, è il più meraviglioso effetto, che si compiace di produrre l'amore. E ciò anche i nostri tiranni sperimentaron col fatto, cliè l’amore di Aristogitone e l'amicizia d'Annodio (1), divenuta salda, abbatterono la loro signoria. E, così, dov’è considerata brutta cosa compiacere agli amanti, ciò si deve alla malizia dei legislatori, alla prepotenza dei dominanti e alla viltà dei soggetti; e dove invece fu senz'alcuna eccezione considerata come cosa bella, alla pigrizia d’animo di chi fece la legge. Da noi al contrario la consuetudine è assai più bella, sebbene, come ho detto, non sia, agevole penetrarne lo spirito.Chi consideri infatti come sia opinion comune che allumare di soppiatto sia preferibile l’amare palesemente e soprattutto i più generosi e i migliori, per quanto mori leggiadri d’aspetto, e come per converso l’amante abbia da tutti mirabile incoraggiamento ad amare, non come chi faccia qualcosa di brutto, e sia tenuto in gran conto chi conquista e deriso chi si lascia sfuggire la preda, e come nel tentar di siffatte conquiste i nostri costumi abbian concesso all’amante d’aver lode, anche se l'accia cose sbalorditive e tali, che se uno osasse farlo per correr dietro a qualunque altro oggetto e per conseguire qualunque altro scopo, aH’infuori di questo, ne raccoglierebbe i maggiori biasimi se, ad esempio, per ottener danari da qualcuno o un pubblico ufficio o Ad Armodlo c Artotogitone, 1 famosi tirannicidi, l’opinione colmino degli Ateniesi attribuiva la cacciata dei Plsistratldi. Cd) Qui il lesto ha <ptXoooiplas ’ da parto della lllosolln ’. clic la maggior l'arto dogli editori, compreso il Burnct, s’accordami u considerare corno un aggiuuta arbitraria o orrore dei copiati. disiasi altro potere uno s ^J^ e Uc e con gli amati gli amputi, ^ ^ menti e dormono ° e <rano e supplicano eg ;. rosi delle servitù quali Suanzi alle porte e serron ™ dal fare BÌ ffatte cose nessun servo; ei saiebbe nnp^^ rin{accer eb-ei ' iurp n u Mi uni li rinfaccereb- e da amici e ila uenuci, cu fiU'^. )f) ammonirebbero e bere adulazioni e aU ' a .nmnte che faccia tutte arrossirebbero di ess - 11 fe permesso dal costume queste cose s’accresce grazia, de £attì oltre di farle senza biasimo, che almeno a quanto modo belli. E quel eh è pmj gU dei perdonano si dice, se anche „i eHt o amoroso, sosten- di spergiurare perche ‘ e gU nomini han ono, non esiste (1). corae la legge di qui fatto lecita ogni lieenz^ c credere che nella dice. Da questo lato, dunque, t ( l’amare e il città nostra si stmii una P b . padrii preponendo compiacere agli amanti. <1 p lascian discorrere con dei pedagoghi agli amai, nedagogo, e eoe- tanei e compagm h vitupera,^ì vituperano n on son qualcosa di simile, ne upur biasimati dai pai d'altronde nè trattenuti 11 insto. chi badi per anziani, come que che non be la s i ritenga qui l'opposto a tutto ciò, p fecondo me, invece, la la più brutta cosa del mondo. comc s ’è cosa sta a questo nioi o. J bella nè brutta; detto in principio, noi 1 ge bruttamente. I mpure stabile, come colui clic - co, mw stabile. Giacché insieme con lo sfiorire il corpo, che egli ama, v asse no via a volo, eliso È un modo proverbiale olio negli scrittori greci ricorro sotto varie formo. Reminiscenza omerica; cf. Tl norando tanti discorsi e promesse. Ma chi ama l’indole buona riman costante per la vita, come colui che s’è isi attaccato a cosa stabile. E costoro appunto il nostro costume vuol mettere a prova bene e bellamente, e che agli uni si compiaccia, dagli altri si frigga. E però appunto gli im i esorta a dar la caccia, gli altri a fuggire, istituendo una gara e mettendo a prova di qual mai sorta sia l’amante e di quale l’amato. E così, per questo motivo, in primo luogo il lasciarsi accalappiare subito è ritenuto brutto, affinchè ci sia di mezzo del tempo, il quale può, sembra, metter bellamente a prova la maggior parte delle cose; e poi l'essere accalappiato dal danaro e dalla potenza politica è brutto, sia elle uno, maltrattato, si avvilisca e non resista, sia che, beneficato di danari o agevolato nelle faccende pubbliche, non disprezzi. Che nessuna di tali cose par che sia nè ferma nè stabile; senza due che non può neppur nascere da esse una generosa amicizia. Sicché, secondo il nostro costume, una sola via rimane, se all’amante deve bellamente compiacere l’amato. È infatti legge per noi che, siccome per gli amanti il servii’ volentieri qualunque servitù agli amati non è, come s’è visto, nè adulazione nè vergogna, così appunto anche un’altra servitù sola volontaria rimane non vergognosa, e questa è quella che ha per oggetto la virtù. Perocché presso di noi è ammesso che, ove qualcuno voglia servire un altro, stimando di poter divenire per via di quello migliore o in sapienza o in qualsiasi altra parte di virtù, questa servitù volontaria non è dal canto suo brutta, e non è nemmeno adulazione, (inde conviene che queste due leggi convergano insieme al medesimo segno, e quella che ha per oggetto l’AMORE dei fanciulli e quella che ha per oggetto l’amore della sapienza e d’ogni altra virtù, se dovrà riuscire a bene il compiacere dell’amato all’amante. Perchè, quando s'incontrino l’amante e l’amato, ciascuno recando la propria ( gge, 1 uno che nel prestare qualsiasi servigio al giovanelio che gli ha compiaciuto, glielo presti secondo giu-, K lzia altro che nel concedere qualsiasi favore a chi o li nde sapiente e buono, glielo conceda secondo giusizia, e 1 uno, potente di senno e d’ogni altra virtù, n . i-altro bisognoso di educazione e d’ogni altra 1U ‘ ne acquisti; allora, queste leggi convergendo S Tmedésimo segno, in questo caso soltanto accade che nel So òhe l’amato compiaccia, all’amante-, m ogni sia n0 B in questo caso anche il trovarsi ingannato In è punto brutto; in tutti gli altri, si sia o no ingan- i norta vergogna. B cosi, se qualcuno a un amante, nat P r l ricco in vista della ricchezza avesse com- st S e si trovasse poi ingannato e non ne cavasse danari perchè l’amante s’è scoperto povero, non sarebbe d '' (,ùesto men brutto, dappoiché un amato siffatto P per quel ch’è in lui, che in vista del danaro ri kz ‘ srjtfsc ramante, divenir migliore, si 'ciò nonostante^l’inganno^bello, perchèa^e qj^per ciò SSfJS ^ H fÌT5| l r^tSenté bello' compiacere per Sefò l’amore S&i di gran pregio e l’amato a porre ogni sono TLSJL • £# m’insegnano a lare di si, ‘ Vvist0 [. ine . Senoncliè vuto. diceva Azistodemo pa aie ^stob m()tiv0, costui, o per aver mangiato tiojjo P ^ [Uscor . era stato coltoinetto a destra di lui. c’era il medico iSSSXmA Eri, .co Vaio a lUro l sofisti c i rotori. :i subito di questo singhiozzo, o di parlare invece mia, finche non mi sia cessato. Ed Erissimaco: Ma farò runa cosa e l’altra, rispose. Io parlerò ora per te. e quando ti sarà cessato il singhiozzo, parlerai tu invece mia. E mentre io patio, se, trattenendo a lungo il respiro, il singhiozzo vorrà andarsene. < tanto di guadagnato ; se no, fa dei gargarismi con l’acqua. Che se poi fosse addirittura ostinato, prendi qualche cosa da solleticarti le narici e cerca di starnutire. Basta che faccia così una o due volte, e cesserà per ostinato che sia. Affrettati dunque a parlare, disse Aristofane; io seguirò i tuoi suggerimenti. Ed Erissinmco disse: Orbene, dal momento che Pausante,, dopo d aver preso bene le mosse per il,K6 suo discorso, non l'ha compiuto a dovere, credo che a me convenga di provarmi a completare il suo discorso. Che Eros sia doppio, pare a me che egli abbia fatto benissimo a distinguere; però che esso non sia soltanto negli animi umani rispetto alle belle persone, ma che abbia molti altri obietti e sia' in altri, nei corpi di tutti gli animali e nelle piante della terra e, per dirlo in una parola, in lutti gli esseri, credo d'averlo imparato (bilia medicina, dalla nostra arte, com’egli sia un dio grande e meraviglioso, ed estenda il suo potere su tutte le cose umane e divine. E eomincerò, partendo, dalla medicina, anche per rendere omaggio all’arte. Infatti te natura dei corpi ha questo doppio Eros, giacché la sanità del corpo e la malattia sono, per consenso unanime, cosa diversa e dissimile; e il dissimile desidera ed ama cose dissimili. Altro, dunque, è l’amore che risiede nel sano, altro quello che risiede nel malato. Ed appunto, come Pausante dice or ora, clic è bello compiacere ai buoni tra gii uomini, ma brutto ai dissoluti, così anche negli stessi corpi è bello e, conviene compiacere a ciò che v'è di buono e di sano in ciascun corpo ed è ciò a cui si dà nome di medicina ma' brutto compiacere a ciò che v’è di cattivo e di morbóso, e si deve negare a questo ogni favore, se si vuol essere un medico esperto. Perchè la medicina, in sostanza, è la scienza delle TENDENZE AMOROSE DEL CORPO a riempirsi e a vuotarsi; e ohi sa distinguere in esse l’amor bello dal brutto, costui sarà il pili acuto medico; e chi ù capace di produrre tal mutamento, che i corpi acquistino l'mi amore in cambio dell'altro, e in quelli, nei quali non sia amore e dovrebbe esserci, sappia farlo nascere e da quelli nei quali sia e non dovrebbe , espellerlo, questi potrà esser davvero un medico abile. Occorre infatti che egli possegga la capa cita, di metter d’accordo gli elementi più avversi, esistenti nel corpo, e procurare che si amino l'un l'altro. K avversissimi sono gli elementi affatto contrari, il freddo e il caldo, l'amaro e il dolce, il secco e l’umido, via dicendo. TC perchè seppe ispirare in essi amore e concordia, Àsclépio, il nostro capostipite, come affermano i nostri poeti, ed io credo, fondò la nostra scienza, ha medicina, dunque, dicevo, è governata tutta intera da questo dio; e al pari di essa anche la ginnastica e l’agricoltura. Quanto alla musica poi è chiarissimo a chiunque W voglia appena riflettervi, che il caso è affatto identico, c quest o forse volle dire anche Eraclito, sebbene egli non lo esprima in forma perspicua. L'uno, egli dico, discordando con sè medesimo si accorda, come armonia d’arco c di lira. È difatti un vero assurdo affermare clic l’armonia discordi o risulti da cose tuttora discordi. Ma forse egli voleva appunto dir questo: che essa nasce da cose per l’innanzi discordi, l’acuto e il grave; ma che in seguito si sono accordate per opera del- l’arte musicale, giacche non è in alcun modo possibile, clic dall’acuto e dal grave, tuttora discordi, nasca armonia. Asciò pio o Esoulapìo ora un eroe-modico divenuto piti tardi un ilio-modico. 1 suoi discendenti, gli Asolcpiadl. tra cui Krlssimaco pone se medesimo, dovevano essere in origino limi gente congiunta da legami di sangue, in cui era tradizionale la cognizione e la pratica della medicina. 1 j0 famiglie di Asclepindi più celebri orano Quelle di Cos, a cui apparteneva, il grande lppoerate, e di ('nido. Ma in tempi più recenti tutti i medici, compiacendosi di far risalire al <Uo la propria genealogia, presero indistintamente il nomo d’Asolopiadì. (•) (’f. DllCl-s, Vorqokr. V p. S7, .1. „ ; n certo ino rio conche è consonanza, e consonanz^ da cose discordanti, senso, e U consenso non può discorda e non tinche discordino; e d altra P Così, per esempio, consente nOn può coautore ai ^ da cose clic anche il ritmo nas f ^^ consentirono poi. E in tutte discordavano prima, ma ci dalla me dicma, qui e queste cose il consenso, come 0 concor dia vicen- ! osto dalla musica, che v ispm ‘ la scienza delle devote. E però la Soffia e’di ritmo. Nella tendenze amorose m tatto e dell armonia composizione, considerata discernere le tendenze e del ritmo non e punto dime oliando occorra amorose, nè,ulvi c'6 Mggg't’SflB. con gli servirsi del ritmo e dell. c h e chiamiamo uomini, o clic si compong cbe s’adoperino melopea [creazione musicale] t _ ed è ciò acconciamente melodie • e metri gn ® usioa i e ] qui. ohe vien detto ‘ slbi ie artefice. E qui temati, e affinchè diventino pm costumati q^rni lo sono ancora, Insogna compuie p^ros celeste, volgare e questo, a coloro, a cui si somministri, s ha da sonnninistr .re con molta Cautela, affinché se ne colga il piacere) ma non ingeneri alcuna intemperata mm nell’arte nostra vai molto sapersi giovale dei desideri eccitati da una buona cucina in modo che, senza procurarsi una malattia, se ne goda il piacere. Cosi, dunque, e nella musica e nella medicina e in tutte le altre cose, umane e divine, si deve, per quanto si può, aver riguardo a ciascuno di questi due Erotes, perche ci sono. Poiché anche la costituzione delle stagioni dell’anno è piena di tutti e due questi amori; e quando gli elementi, dei quali dianzi parlavo, il caldo e il freddo, il secco e Tumido, si trovino in una scambievole e ben regolata relazione d’amore e s’accordino e si temperino saggiamente, essi vengono apportatori d’nna buona annata e di buona salute, cosi agli uomini, corno agli altri ammali e alle piante, e non soglion produrre alcun danno. .Ma quando invece, l’Eros compagno dell’intemperanza prevalga nelle stagioni dell’anno, egli suol corrompere '• danneggiare molte cose. E da tali cause derivano di solito e pestilenze e tante altre malattie diverse e negli animali e nelle piante. Infatti e le brinate e la grandine e la ruggine dei cereali sono il frutto della sopercliieria e della sregolatezza vicendevole di cosiffatte TENDENZE EROTICHE, la cui scienza rispetto al moto degli astri e alle stagioni dell’anno prende nome di astronomia. Inolt re tutti i sacrifizi e quei riti a cui presiede l'arte divinatoria ossia la scambievole comunione tra gli dei e gl' uomini non vertono intorno ad altro, se non intorno alla preservazione ed alla cura di Eros. Giacche ogni forma d’empietà suol nascere, ove non si compiaccia all’Eros ordinato e non gli si renda onore e venerazione in ogni cosa, ma si tenga in pregio quell altro, cosi nei rapporti coi genitori, vivi e morti, come nei rapporti con oli dei. Ed appunto osservare siffatti amon curarli è il compito della divinazione, e la divinazione è a sua volta, operatrice d’amicizia tra gh elei e gu uomini, perchè sa discernere, tra le inchnaziom ainc^se deo-li uomini, quante tendano alla giustizia e alla pietà, l'osi ogni Eros ha un potere esteso e grande, anzi, iu una parola, universale, ma quello che, e Pi'esso 'li noi e presso gli dei, trova il proprio compimento nel buie con temperanza e giustizia, questo ha il maggmr potere e ci assicura ogni felicità, sicché si possa viveic in pace fra noi ed essere anche amici di quelli che son ungimii di noi, degli dei. Porse, in questo elogio di Eros, anche io ho tralasciato molte cose, ma non l’ho fatto apposta. Se per altro c’è qualcosa ch’io abbia omesso, tocca a te, A stofane, di supplirvi. Ma se invece ti frulla per il capo di elogiare altrimenti il dio, fa pure a tuo modo, che anche il tuo singhiozzo è cessato. Leggo qui Iponas- :3 P= ^V5=Hf Bsfc = - s S 8 Sf 3£ iV'l.- • t d ' caso che ti sfugga qualche cosa da lai -f sawst.#r n ; ’yffes conto ch'io non abbia detto ciò che ho detto. E non stare a farmi la guardia, perchè temo di tee non g. cose da far ridere questa sarebbe una fortuna, SpSaSl fleto mm H. - ma Ufc te d Bravo. Aristofane! hai tirato il sasso e nascondi la mano. Ma bada a’ casi tuoi e parla come chi lui da render conto delle proprie parole. Quanto a me, se mi pare, ti lascerò in pace. Comunque, caro Erissimaco, disse Aristofane. io mi propongo di parlare in modo diverso da te e da Pausania. Io penso che gii uomini non abbiali sentito nè punto nè poco la potenza di Eros, perche, se la sentissero. gli dedicherebbero i maggiori tempi ed altari e gli offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa che ora non fanno per nulla, mentre è ciò clic si dovrebbe fare a preferenza di tutto. Eros è infatti tra gli dei il più amico degli uomini, perchè è il loro protettore e il medico di quei mali, la cui guarigione sarebbe per il genere umano la maggiore delle felicità, lo dunque mi studierò d’esporvi la. potenza di lui, e voi ne sarete maestri agli altri. Ma, innanzi tutto, occorre che impariate quale sia la natura umana e le sue vicende non liete. Giacché la nostra nani Il tosto ilice: hai tirato il colpo e ora ricusi di svignartela, modo proverbialo anch’esso. tura non era un tempo la stessa (li oggi, ina tuli altra. In origine c’eran tre sessi umani, non due, maschio <• femmina soltanto, come ora, ma ce n era un terzo, clic mrtecipava dell’uno e dell’altro e che, scomparso oggidì, sopravvive appena nel nome. C’era allora un terzo sesso., l’andrògino, che di fatto e di nome aveva del maschio e della femmina, e questo non esiste piu. fuorché nel nome che suona un oltraggio. Inoltre ogni uomo aveva una figura rotonda, dorso e fianchi tutt'intorno, quattro braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un collo cilindrico due visi, perfettamente simili tra loro, un unica I- testa su questi due rósi, posti l’uno in s|so con ramo all’altro, quattro orecchie, doppie F (ta e ut l resto come si può supporre da ciò che s e detto, i ari minava anche ritto come ora, in qualunque direzion volesse- e quando si mettevano a correre, quei uost progenitori, come i giocolieri che a gambe per aria an delle capriole a ruota, essi, appoggiandosi sui loro otto arti si muovevano rapidamente, tacendo la.ruota. I ^ poi eran tre e cosiffatti per questa ragione: esso maschile traeva origine dal sole il J!; rt eripà e lrindrórino dalla luna, perche anche questa paitccipa del itle e della terra. La loro figura dunque era rotonda e cofano^ il modo di muoversi, appunto^perchi- m,l ai loro genitori. Avevano vigore e gagl ardia tel i 1 c„,o -o. a; numi. XV - A mesto pH s #rt #? consiglio,,, ciò che ^ Jggg; Non sapevan risolversi ad uccido c N i la razza) fulminandoli, come i giganti, perche cosi saie - ( 1 ) Oto 1 Eflolto orano i duo glovonissluil ^lonutoto'ùcr llKliuoU di Aloco, olio dopo dover nca . (H ul)onl t,„ por opera di Erniosi tredici mesi in uu gran vaso ali von i o. . all 0sBa tentarono di dare la essi Omero accenna in 11. V sgg. Or. -„ero venuti a privarsi degli onori e dei sacriti/., umani; ^potevano tollerare che ne facessero d og... sorta, B analmente Zeus, dopo matura riflessione, disse: C redo di e -ovato la via. affinchè gli uomini continuino a esistere, ma, divenuti più deboli, smettano la loro tracotanza. Segherò . disse, ciascun di loro m due, e S mentre saranno pii. deboli, ci saranno ad un tempo S utili, perchè diverranno più numerosi. E cammineranno ritti su due gambe. Chè, ove poi seguitino a insolentire e non vogliano starsene in pace, li segherò , disse,, ili nuovo in due, cosicché cammineranno su una gamba sola, a saltelloni (1). Dette queste parole, venne segando eli uomini in due, come quelli che tagliali le sorbe per metterle in conserva, o quelli elio dividon le uova coi capelli. E a misura clic ne segava uno, ordinava ad Apollo di girargli la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio, acciocché l'uomo,' avendo sotto gli occhi il proprio taglio, fosse più modesto; e medicargli le altre ferite. B Apollo girava a ciascuno la faccia in senso opposto, e tirando d’ogni parte la pelle verso quello ohe ora chiamiamo ventre, come le borse a- nodo scorsoio, lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel mezzo del ventre, in (pie! punto preciso che chiamano ombelico. Itti Spianava poi tutte le altre grinze, che orati molte, e rassettava le costole, servendosi d’uno strumento suppergiù simile a quello che adoperano i calzolai per spianare sulla forma le rughe del cuoio; ma ne lasciò poche nel ventre e intorno all’ombelico, ricordo dell’antica pena. Orbene, poiché la creatura umana fu divisa, in due, ciascuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava incontro, e gittandole le braccia intorno e avviticchiandosi scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo, tnorivan di fame e d’inerzia, perchè l’una non voleva far nulla senza dell’altra. B quando l’una delle (I) Il greco ha àoxop.ià£<ms<; cho vuol dire propriamente ' saltumlo sminuire' (àox4f). • I.'espressione 6 tolta ila un giuoco contadinesco dell'Attica. 1 contadini dulia pollo dui hocco saorllloato a indulso facevano un otre olio riempivano di vino o ungevano d’olio. Su di usso saltavano con una sola gamba altornaUvamcnlo, o vinceva old sapova roggorvlsl. (Unir). nielli moriva e l’altra sopravviveva, quella che sopravviveva andava in cerca d'un'altra metà e le si avvinghiava, sia clic s’imbattesse nella metà d’una donna in- IL quella appunto elle ora chiamiamo donna sia che nella metà d’un uomo; e così morivano. Mosso pertanto a compassiono. Zeus no escogita un'altra: trasporta le loro pudende nella parte anteriore lino a quel momento anche queste le avevano avute al difuori, c generavano e partorivano non tra loro, ma in terra, come le cicale... gliele trasportò dunque così, sul davanti, e per tal mezzo rese possibile la generazione fra loro, per mezzo ilei MASCHIO nella femmina, con questo line, che nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in una femmina, generassero e si perpetuasse la specie; ma. ove invece un maschio s’imbattesse in un maschio, provassero sazietà dello stare insieme e smettessero e si volgessero ad operare e attendessero agli altri doveri della vita. Cosicché fin da quel momento l’amore vicendevole è innato negli nomini: esso ci riconduce al nostro essere primitivo, si sforza di fare di due creature una sola e di risanare così la natura umana. O'imn di noi, in conclusione, è una con tre mala d'uomo, in quanto che è tagliato come le sogliole, è due di uno; c però cerca sempre la propria contromarca. Quanti sono una fotta di quel sesso comune, che loia si diceva andrògino, annui le donne, e la maggmi p. dogli adulteri soli nati da esso; e cosi pure le donne. sU truggon per gli uomini, e le adultere provengo., da, u eS e m.aL4 Tl <! 1 ‘'i una fetta di donna, non corron dietro agli o, un uà sono piuttosto inclinate alle donne; e questo appartengono le tribadi. Ma quanti sono una fe la li maschio, danno la caccia al maschio; e 1 ! ut ' u ' ’ S01 \ r)j coni, fanciulli, conio parte d’un uiasciuo jpu o gli uomini e godono a giacere e a starsene abbracciata con gli uomini; e questi sono tra i fanciulli e tra po'anett i migliori, perchè i piè v ' r '' di hno na u . mancali di quelli clic li chiamano inipudent. ina uien liscino. Perchè essi non lo fanno per impudenza, ma pei baldanza. per coraggio, per virilità d animo, giacché .si attaccano a ciò che è simile a sé. Ed ecco vene ima prova decisiva: costoro, a tempo debito, sono 1 soli che negano uomini davvero, adatti alla vita politica. E pervenuti all'età virile, mettono amore al fanciulli; e al matrimonio e alla procreazione dei figliuoli non si volgono per inclinazione naturale, ma costretti dalla legge, chi anzi per conto loro soli ben contenti di viver sempre gli uni con gli altri, da scapoli. Per ciò chi è così fatto, diventa un amante di fanciulli o un amato, perche desidera sempre ciò che gli è congenere. E quando poi 1 amante dei fanciulli e chiunque altro s’incontra in quella sua propria metà d'un tempo, allora son presi d’un amicizia, d'un intimità, d'un amore meraviglioso, senza volersi separare gli uni dagli altri, per così dire, nemmeno un istante. E quelli che vivono insieme tutta la vita son questi, che non saprebbero neppur dire che cosa vogliono che avvenga loro all’uno per opera dell’altro, giacché nessuno può credere che ciò che desiderano sia l'uso dei piaceri amorosi, quasi che in questo debba cercarsi la ragione per cui provano un così vivo diletto a stare insieme; ma è evidente che c’è qualche altra cosa che l'anima di ciascun di loro desidera, qualche altra cosa che non sa esprimere, ma che sente vagamente e a cui accenna per vie coperte. E se ad essi nel momento, in cui giacciono insieme, si presentasse Efesto coi suoi strumenti alla mano e chiedesse loro. Che volete, o uomini, che avvenga di voi. alFuno per opera dell’altro 1 ? e mentre e’ sono tuttora indecisi, soggiungesse: Desiderale voi, non è vero? soprattutto essere nello stessissimo luogo l’uno con l’altro in modo da non separarvi mai né notte nè giorno? Ebbene, se è questo elio desiderate, io voglio rifondervi e riplasmarvi in un’unica natura, sicché di due diventiate uno, e finché vivrete, viviate tutti e due in comune, come un essere solo, e anche da morti, laggiù nell’Ade, non siate, invece di due, elle un morto solo... Guardate se è questo che amate e se vi basta di conseguir questo... a udir ciò sappiamo bene che nessuno, proprio nessuno, risponderebbe di no, nò mostrerebbe d'aver mai desiderato altro, ma crederebbe 103 nllit0 precisamente quello che egli desiderava da tlavei i sentirsi unito e fuso con l’amato, e divetanto ten i solo e la ragione è appunto questa: ot0, eri in origine la nostra natura, e che eravamo Cb teii 'Ebbene, al desiderio e alla caccia dell’intero si da n ° U p,-ima dunque, come dico, eravamo uno; ma ora per, . nequizia siamo stati separati di casa dalla mano ’ìV’rno còme gli Arcadi da quella dei Lacedemoni. ’ ltra che a non essere ossequenti verso gli dei.. h . 'incontro a venir segati daccapo, e a dover an- d.,re intorno come le figure scolpite a bassorilievo sulle Se spaccati per il mezzo dei nasi, divenuti come dei dirti’tagliati in due. Ma perciò conviene che ognuno esorti ogni altro alla pietà verso gli dei, affinché si evitino : m; di e si conseguano i beni, tenendo presente che Eros è nostra guida e nostro duce. A lui nessuno vada conilo c o-n va contro chiunque venga m uggia agli dei _ nerchè divenuti amici del dio e vivendo in buoni termini con lui. troveremo e incontreremo ì nostri propri AMATI, il ora capita a pochi. E non sospetti Erissimaco, mettendo L caiSonatura ì mio discorso, che io alluda a Pausami, cd Agatone oliò forse anche essi sono di quelli, e tutti c due maschi per natura - ma dico avendo di mira tutti e uomini e donne, che m questo modo il genere nostro troverebbe la sua felicità, se all’amore, e ciascun di noi, ritornato nell antica natii a, s’imbattesse nel proprio amato. E se poi qne meglio, ne segue di necessità che di quanto oiaè nostro potere, il meglio sia ciò che piu vi si avvmuia, e ciò è rincontrarsi in un amato fatto secondo d piopno 7 Aristofane accenna, secondo roplnUm.Mplfc £ . Gli Spartani, vinta Mautinea in Alca, silaggi, della città o la sciolsero, com’era precedutomene, ci sarebbe Tenuto conto elio il banchetto avrebbe avuto’ wlt0j è n u è impos- qui un anacronismo. Ma rnUnsiouo non 6 do . .inlln storia sibilo cho si accenni a qualche altro avvenimento ante, toro della arcadica. . „ uim mota, conservata l dadi talvolta si tagliavano in due, c ua.ci tessera, di ricoda duo persone legate da vincoli di ospitalità, seivna noscimeuto por loro o per lo loro famìglio. che nel presente ^maggiori affidamenti nel proprio; e per 1 prota jftà verso gli -lei, ^ -i. ei render, feUei e beati. v è p lu io discorso intorno altri due, Agatone e Socrate. Farò a modo tuo, disse Erissimaco. perchè il tuo discorso l'ho ascoltato con piacere. E se non sapessi che Socrate e Agatone sono addirittura dei maestri m cose d’amore, avrei gran paura clie non doves ®.® 10, vaisi a corto d’argomenti, tante cose si son dette e cosi svariate. Tuttavia ho fiducia in loro. 1 E Socrate: Ah, sì, Erissimaco, perche tu te la sei cavata egregiamente. Ma se fossi dove ora son io, o meglio, dove sarò, quando Agatone avrà parlato da par suo, temeresti anche di più. e saresti su tutte le spine, còme son ora io., Ammaliarmi (1) vuoi,- Socrate, disse Agatone, affinché io mi turbi, immaginandomi che il teatro deva essere in grande aspettazione, ch'io parli bene. Mio caro, dovrei esser proprio uno smemorato, rispose Socrate, se dopo di aver visto con quanto coraggio e con quanta sufficenza salisti sul palco insieme con gli attori e guardasti in faccia un teatro così affollato, in procinto di dare alla scena i tuoi componimenti (2),.senza (1) Vantarsi muove l’Invidia degli uomini; ma l’invidia ha il malocchio e può ammaliare e turbare senz’altro la persona Invidiata. Sonouohò anche la lodo esagerata d’un altro (Socrato aveva lodato Agatone) può suscitare contro costui l’invidia con tutto lo suo tristi conseguenze. (Hug). Da questo pasqo si concludo clic il poeta insieme col suol attori prima della recita si presentava in forma solenne al pubblico. E sembra del pari elio egli presentasse anche il Coro col suo corego. Questa cerimonia, detta Ttpoaywv ‘ preludio ’ o ' preparazione al certame ’ drainatico. .s ’rr^zk s f ' iS S Vuko <l<™ to P™ '’ ™ £Z?X~. ? T; Sarei, Agatone, pnrtese So bene elio a se io pensassi di te sag gi, saresti più in imbatterti m atan- la folla . Ma, bada, probabil- pensiero per loio e 1 1 buon conto, lì anche ne elici 1 ? fi So avresti vergogno, ove ,.eresse .11 fare qualcosa di male? Affatone, disse, Ma Fedro, interrompendo: .Mio de i se gli rispondi, Socrate noi basta d’aver resto, qualunque cosa qui avven et ^ )( q dovane. :tis: i? Jgs -~f n s ss avrà saldato il suo conto col dio, alloia '''of'VSto; rispose M e so,, qui pronto . „’Z, ó,, 5 monebe.it,i Mft. ,.vem,e spesso con Socrate. Or dunque io vo’ in prima dire come io deva dire, e poscia dire. Che tutti quelli, i quali han pallate precedentemente, non hanno, parmi, encomiato dio, bensì la felicità degli uomini Ivan messa m nlu pei beni, de’ quali il dio 6 ad essi cagione. Ma qual sia avveniva ncU’Odeon. teatro fatto costruirò da Pericle, e doveva, com’ò ^supporre. attirare la curiositi! del gran pubblico, ohe -interessava così vivamente agli spettacoli teatrali. egli è il più giovane (legl’iddii. E una gran prova con porge ' medesimo fuggendo di fuga la vecchiezza. che pure è così veloce: la ci raggiunge più presto che non dovria! E questa Eros per natura la detesta e non le si accosta nemmen da lungi. Egli sta e resta sempre coi giovani, poiché ben dice l'antico adagio che sciupio simile con simile s’accompagna (1). Ed io, pur consentendo con Fedro in molte altre cose, in questo non consento: che Eros sia più vecchio di Crono e di Giàpeto; affermo anzi ch'egli è tra’ numi il più giovane, e sempre giovane; e le vecchie storie che Esiodo e Parmenide (3) ci ricantano dcgl’iddii, a’ tempi d Ananke, [della Necessità] e non di Eros, risalgono, posto pure che quelli ei contino il vero. Imperocché non ci sarieno state né evirazioni, né ceppi, né tante altre violenze reciproche, se Eros fosse stato tra loro; ma amicizia e paco, come ora, dacché Eros regna sugli iddìi. Egli è dunque giovane, e perdippiù delicato. E ci vorria un poeta quale Omero per mettere in luce la delicatezza del dio. Omero infatti dice che Ale è dea e delicata e delicati almeno dovevano essere i suoi piedi dicendo egli di lei: son delicati i piedi, oliò sovra il suolo non mai muovesi, ma sul capo ella degli uomini incedo. MlK modo proverbialo e allusione,i nn verso omorlco; cf. Od. XVII ì IS. ( ) Ulro modo proverbiale per impennare alla nifi renn.l.i ....Hoi.n;. Minare alla più remota antichità. Mille abbia ipii in melile Agatone, inc sembra che della delicatezza di lei una bella,-ovu sia che ella non cammina sul duro, ma sul tenero, r -incile noi (li questa medesima prova ci varremo per dimostrare di Eros circuii è delicato, dappoiché e' non cammina sulla terra, nè sui cxanii, che non sono davvero tèneri, ma in quel che vita di più tenero al mondo e cammina e s’annida. Egli infatti e nei costumi e negli mimi degl’iddìi e degli uomini pone sua stanza, e non mica in tutti gli animi, ma ove mai s’imbatta iti qual- cuno d'indole dura, se ne diparte; ma se tenero è, vi si •umida. Or poiché adunque egli e co’ piedi e con ogni parte del corpo tocca sempre quel che ve di più tenero Jra le tenere cose, è giuocoforza che sia il piu delicato l. fri (d’iddii. Égli è così il più giovane e il più delicato-, niu 1- per dippiù flessuoso di forma, che non gli sana possibile insinuarsi dappertutto, nè penetrar tutta l’anima, entrandovi la prima volta senza lasciarsi sorprendalo t uscendone, se duro e’ fosse. Del suo aspetto proporzionato e flessuoso, argomento grande è 1 avvenenza che Eros per confession di tutti in grado eccelso possiedi. chè tra disavvenenza ed Eros è guerra sempre, ha leggiadria del colorito, il suo viver tra hon la sigillili., poiché in quel che fiorente non sia o sui n ’ o anima o qualsivoglia altra cosa, non risi, de L o . . a ovunque sia un luogo e ben fiorito e fragranti, (pi 1 e risiede e rimane. Della beltà, adunque, del dio e questo o bastante e ancora molto sopmvanzat .na; seguiia^m lei]., v i r tù di Eros mi eonvien dopo no dm. lai < ' i . h ini che nè fa nò soffre ingiustizia, ni da sano vanto (Il Pii CHI violenza. Pio nè -1 dio nò da uomo nè ad uomo. Nè già p i ' 'li nzu e so fre se qualcosa so.Vre - chè violenza noi tango, u si concede a volente, le leggi, fello Stato u D). h-n elle è ('insto. E oltreché della giustizia c partecipa della maggior temperanza. S’ammette infatti che lem- in . Molatori georgiana. evidóulomoilto una eluizioni'. (Unir). paranza sia il signoreggiar piaceri e desideri, e clic di Eros verun piacere sia più potente. Or se meno potenti, è ovvio che sien vinti da Eros, ed egli vinca; e vincendo piaceri e desideri, Eros in sommo grado temperante esser deve. E per fermo, quanto a coraggio, ad Eros neppur Ares contrasta (1). poiché non Ares possiede Eros, ma Eros Ares amor di VENERE, come è fama e ehi possiede è più possente di chi è posseduto, e chi vince l'iddio più valoroso di tutti gli altri, e’ dev’essere il più valoroso di tutti. Ho detto della giustizia, della temperanza, del coraggio del dio; a dir mi rimane della sapienza, e per quanto è possibile, m’ingegnerò di non fallire alla prova. E in primo luogo, perchè dal canto mio anch’io renda alla nostra arte omaggio, come alla sua Erissimaco, poeta è l'iddio, sapiente così, da render anco gli altri poeti. Ohè ognuno poeta diventa, quand’anche prima di ogni Musa schivo, cui Eros tocchi. Della qual virtù convienci usare a documento che Eros, a dir breve, è poeta valente in qualsivoglia genere di creazione che attenga alle Muse, dappoiché quel che non si ha o non si sa. nemmeno ad altri non si può dare o insegnare. E invero la creazion degli animali tutti chi niegherà che sia sapienza di Eros, mercè la quale tutti gli animali e nascono e si generano! E quanto alla pratica delle arti, non sappiam noi forse che colui, al quale questo iddio sia divenuto maestro, famoso diviene ed illustre; e chi per converso da Eros non sia stato mai tocco, rimansi oscuro! L’arti del saettare, del curare e del divinare ritrova Apollo, scorto dal desiderio e dall’amore, sicché anch’egli dir si può scolare d’Eros. E alle Muse fu maestro dell’arte musicale, ad Efesto di quella dei metalli, ad Atena del tessere, a Zeus di governar numi e mortali. Laonde anche nelle faccende degl’iddii si mise ordine, poiché vi si fu generato Eros, amore evidente- (Da uu verso del ‘Tlesto ’ di Sofocle; cf. Nauck, Tran. Or. Fraomm. framin. Da un verso della ‘Stonoboa’ d’Eurlpido; cf. Naucic, Tran. Or. Fraumm. framm. 063 Verso giambico probabilmente d’un tragico. meniti; di bellezza che del brutto non è amore laddove per l’innanzi, come da principio ho detto, molte e terribili cose, a quanto si narra, fra' numi awemano, pr x c i ie vi regnava Ananlce. Ma dappoiché questo iddio ebbe nascimento, dall’amore per le cose belle ogni bene nrovenne e agli iddìi e agli uomini. 1 E così panni, Fedro, che Eros, essendo egli per il minio bellissimo e ottimo, sia dipoi agli altri cagione di Stri cosiffatti doni. Ed ei mi salta in mente di aggiunger qualcosa in versi, dicendo che questi è colia il quale ivice tra gli uomini reca, nell' ampio mare bonaccia calma, riposo ai venti; nel duolo conforto di sonno. Questi (Fogni sentimento ci vuota che ci strania, d ogai sentimento ci empie che ci affratella; tali e tonti convegni lri istituito per ravvicinarci, nelle solennità, ne con. n sacìihzi facendosi nostra guida; di mitezza ispiratore di rustichezza espulsore; prodigo di benevolenza, avaro malevolenza; propizio, buono; spettabile ai sapienti, venerabile agl’iddii; segno d’invidia per chi noi possiede, cu Sosa di chi il possiede; di voluttà, di mollezza di delcatezza, di grazie, di desio, di brama padre; cmant^dc buoni non curante dei tristi; nei travagli, mu pin^n nelle brame, nei discorsi timoniere, soldato, commilitone xr„fr!ito-VSlso ...io .< L, i A •. ir-. u si poteva, di misurata serietà temperato. Quando Agatone ebbe fluito, diceva.Ariate- demo, lutti i presenti proruppero ni applausi, lasciai,n Vò snidato' nò 'marinalo equivalgono a iitlPiWQS d 1 tosto, a llanco il’un altro intendere che il giovane aveva discorso in maniera, degna- di sé e del dio. Al che Socrate, volgendosi ad Erisslmaco: O figliuolo d’Actìmeno, disse, ti pare che poco fa io temessi d'un timore da non temere, o non fossi piuttosto profeta, quando dicevo quel che dicevo poc’anzi: che Agatone avrebbe parlato mirabilmente, ed io mi sarei trovato in impaccio? Per un verso, sì, rispose Erissimaco, lo riconosco, sei stato profeta, che Agatone avrebbe parlato bene; ma quanto a-1 tuo impaccio, via, non ci credo. E come mai, beato uomo, riprese Socrate, non dovrei trovarmi ìd impaccio io e chiunque altro sul punto di parlare dopo la recita d’un discorso così bello e così varia mente adorno? Certo non tutti i punti sono stati egualmente stupendi; ma, nella chiusa chi di noi non è rimasto addirittura intontito dalla bellezza delle parole e delle frasi? Per me, considerato che non potrò dir nulla che s’avvicini appena per bellezza a ciò che egli ha detto, quasi quasi per vergogna me ne sarei scappato, se avessi potuto. Il suo discorso infatti mi ha richiamato alla mente GORGIA, tanto che m’è occorso quel che dice Omero: ho temuto, cioè, che alla fine Agatone nel discorrere non scaraventasse contro il mio discorso la testa di Gorgia, parlatore da far paura, e mi pietrificasse, ammutolendomi. E mi sono accorto allora quanto ero stato ridicolo, allorché avevo preso con voi l’impegno di fare a mia volta l’elogio di Eros e dichiarato d’esser competente in cose d’amore io, e lo vedo, che non so nemmeno come s’ha da fare l’elogio d’una cosa qualunque. Giacché io, nella mia dappocaggine, ritenevo che nell’elogio di qualsiasi cosa non si dovesse dire che il vero e che questo dovesse essere il fondo del discorso, salvo a scegliere Ira- le cose vere le più belle e metterle in mostra nel miglior modo possibile. E presumevo assai di me nella fiducia di parlar bene, convinto di saper la verità sul modo di lodare qualsiasi cosa. Ma ora credo d’accor- (1) Allusione a mi luogo dell O di seca ’ (XI 032 sg.). Ulisse, sceso nell’Ade, temo per un momento che Persofono non mandi contro di lui la testa della Gòrgóne o Gorgo. Scherzo sulla somiglianza di nome tra Gorgo e Gorgia, il famoso sofista. germi che noti è questo il modo di lodar bene una cosa, bensì l’attribuirle i maggiori e i più bei pregi possibili, li abbia o no; se poi sono falsi, che importai Dev’essersi infatti proposto, se non erro, che ciascun di noi finga di pronunziare l’elogio d’Eros, non che lo pronunzi davvero. E perciò appunto, credo, razzolando da ogni parte, avete attribuito ogni pregio ad Eros e detto ch’egli è così e così, e autore di tali e tanti beni, affinché appaia bellissimo ed ottimo, evidentemente a chi non sa non certo a chi sa e cosi l’elogio assume un aspetto bello e venerabile. Io, senza dubbio, ignoravo il modo di tesser l'elogio, e, ignorandolo, presi impegno con voi che a mia volta avrei anch’io lodato Eros. Ma la lingua promise, la mente no. Dunque, addio elogio! Io non vi seguirò su questa via perchè non potrei quésto è sicuro; ma, comunque, la verità, se volete, ve la dirò, a modo mio. senza gareggiare coi vostri discorsi, per non far ridere a mie spese. Vedi, dunque, Ecdro, se mai anche questa forma di discorso ti accomodi: sentir dire, la verità intorno ad Eros con quelle parole e con quella disposizione di frasi che mi verranno per le prime sulle labbra. Fedro e gli altri, raccontava Aristodemo, approvarono che dicesse pure come gli pareva di dover dire, Uberamente. E allora, Socrate aggiunse, Fedro mio, permettimi di rivolgere qualche interrogazioncella ad Agatone, affinchè, ottenuto il suo assenso, io cominci a parlare. Ma sì, rispose Fedro, te lo permetto; interroga pure. E dopo ciò, continuava Aristodemo. Socrate cominciò suppergiù a questo modo. Senza dubbio, mio caro Agatone, tu ti sei aperta bene, secondo me, la via nel tuo discorso, dicendo che ti conveniva prima mostrare quale è mai Eros, e dopo lo opere di lui. E questo principio nr è piaciuto assai. Orbene, via, poiché d’Eros, per tutto il resto, hai esposto in forma bella e magnifica quale egli è, dimmi ancora (1) Allusione ad un verso (612) famoso dell’Ippolito di Euripide., mosto- se eoli è tale che sia amor di qualcuno, di;qualche v r,7ui F bada non domando se è di madre o £ Bros è eros di madre o di padre D - ma fa conto, come Te a-proposito d’un padre io ti chiedessi proprio questoT s’egli è padre di qualcuno o no. A volemu risponder bene, mi diresti certo, che d padre è padre d'nn figlio o dima figlia. O no 1 Ma certo, disse Agatone. E non diresti altrettanto della madre? E Alatone consentì egualmente. Ancora, soggiunse Socrate, qualche altra risposta, affinchè tu veda meglio ciò che desidero. Se ti chiedessi, per esempio: E dimmi: un fratello, ili quanto fratello, è fratello di qualcuno, o no? Ma sì, rispose. È fratello, non è vero, d’un fratello o d una sorella. Appunto, dice. Via, provati a dirmi anche dell’amore: Eros e amore di qualche cosa o di nulla? Di qualche cosa, senza dubbio. Ebbene, questo ili che cosa tientelo dentro di te, ma rammentatene, riprese Socrate. J?er ora dimmi soltanto, se Eros, quello di cui è amore, lo desideri o no? Ma si, rispose. E ciò che egli desidera ed ama, lo desidera perche lo ha o perchè non lo ha? Perchè non lo ha, è naturale. Rifletti, disse Socrate, se, più che naturale, non sia addirittura necessario clic il desiderare sia un desiderare ciò di cui si manca, o non desiderare, ove non si manchi. Poiché in epe)£ UVÓ£ ‘amor (li qualcuno’ o ‘di qualcosa’ il •uve? può aver valore tanto soggettivo, quanto oggottlvo Socrate chiarirà con esempi che egli ha inteso darò a xtvó; il valore di genitivo oggettivo. Ma siccome d’altro lato w Epitì£ xivòg potrebbe anche ossoro scambiato con un genitivo d’origine (‘ Eros tìglio di qualcuno ’), Socrate vuole olirainaro anche quest’altro equivoco. In sostanza egli, paro, vuol dir questo: Io ti domando, non già se Eros ò amato da qualcuno o ò figlio ili qualcuno, ma se egli ama qualcuno o qualche cosa. Ma il luogo, non Tacilo, ò stato variamente discusso, e si può prestare audio a qualche altra Interpretazione. Io almeno, Agatone mio, credo fermamente che, .sia addirittura necessario. E tal Anch'io, disse. Va bene. E per conseguenza può mai esserci qualcuno che voglia essere grande, mentre è grande, c forte, mentre è forte 1 ? Non è possibile, dopo le nostre premesse. Non può infatti essere manchevole di queste doti chi già le possiede. È vero. Perchè, se chi è forte volesse esser forte, seguito Socrate e veloce chi è veloce, e sano chi è sano... poiché forse qualcuno potrebbe credere che queste qualità e tutte le altre simili coloro che son tali e le hanno, desiderino ancora quello stesse cose che già hanno, insisto su questo punto, affinchè non si sia tratti in inganno. si u rifletti, caro Agatone, costoro devono per necessita avere in quel momento ciascuna delle qualità che hanno. 1 vogliano o no; e queste olii mai potrebbe desiderarle? Ma allorché qualcuno dice: Io. essendo sano, Aesid di esser sano, ed essendo ricco, desidero d esser ricco; e desidero appunto queste cose che ho-, noi gh possiamo rispondere: Tu, amico, possedendo ricchezze, salute c forza desideri di possedere queste cose anche m a 1 ®- perchè in questo momento, che tu lo voglia o no tu le hai. Guarda dunque, se, quando tu dici: Desidero le cose presenti, tu non voglia dire altro che questo: D^deio che le cose che ora ho mi sieno conservate anche tempo avvenire. E potrebbe egli negarlo? Al che Agatone rispose assentendo. Orbene, seguitò Socrate, e questo non e appunto annue quel che non ancora si ha sotto mano, nè si possiede: il voler conservare e possedere anche nell avvenne medesime cose? Certamente, disse. E quindi costui ed ogni altro che desideri, di suit i. ciò che non ha sotto mano e non possiede m quel momento; e ciò che non ha, o che egli stesso non e e che gli manca, questo è precisamente quello di cui è il desiderici e l’amore? Niun dubbio, rispose. Suvvia dunque, disse Socrate, riassumiamo le nostre conclusioni. Prima di tutto Eros è forse altro che amore di certe cose, e poi amore di quelle cose, delle quali soffra difetto? Non è altro, rispose. Di più ricordati di che cosa nel tuo discorso hai detto che Eros fosse amore. Se vuoi, te lo rammenterò io. Credo che tu abbia detto suppergiù cosi: che nelle faccende degli dei fu messo ordine mediante 1 amore del bello, chè non può esserci amore del brutto. Non hai detto suppergiù così? Infatti, rispose Agatone, così ho detto. E sta bene, amico mio, riprese Socrate. Ma se e cosi. Eros non sarà altro che aurore di bellezza, non mai di bruttezza? Agatone rispose di sì. O non s’è convenuto che quello di cui uno è manchevole e che non ha, questo egli ama? Certo, disse. Dunque Eros è manchevole di bellezza e non l’ha? Necessariamente, rispose. Ma dunque? Ciò che è manchevole di bellezza e non possiede punto bellezza, dirai che è bello? Ah, no! E se è così, continuerai a sostenere che Eros è bello? E Agatone: Temo, Socrate, di non aver inteso nulla di ciò che ho detto poc’anzi. Eppure hai parlato splendidamente, Agatone mio. Ma dimmi un’altra cosuccia: ciò che è buono, non pare a te anche bello? A me, sì. Se per conseguenza Eros è manchevole di bellezza, e se bontà è bellezza, sarà anche manchevole di bontà. Per me, Socrate, non posso contradirti: sia puro come tu dici. Mio diletto Agatone, è la verità quella a cui non puoi contradire, chè contradire a Socrate non è punto diffìcile. Ed ora lascerò in pace te, e vi riferirò su VrnH li discorso che un giorno udii da una donna di Man- tiuea Diotima, che in questo era sapiente, come in tante' altre cose, e agli Ateniesi prima della peste suggerì saer iflzi che ritardarono di dieci anni il male, e fu iella appunto che ammaestrò me pure in cose d’amore... nuel discorso, dico, che ella mi tenne, procurerò di esporcelo movendo dai punti concordati tra me ed Agatone per conto mio, come posso. E bisogna naturalmente, Agatone, come tu hai aperto la via, chiarire per mima cosa chi sia Eros e quale, e poi le opere di lui. B mi pare che il modo più spiccio sia chiarirlo come quella forestiera fece, interrogandomi. Suppergiù anche io dicevo a lei delle cose simili a quelle che Agatone diceva a me poc’anzi: che Eros fosse un gran dio e fosse amor di bellezza. Ma ella mi convinse del contrario con quelle stesse ragioni con cui io ho convinto costui, dimostrandomi che secondo il mio discorso Eros non e nè bello nè buono. Ed io: Come dici, Diotima? Eros e dunque brutto e Ed ella: Parla, ti prego, con reverenza, disse. O credi che quello che non è bello, debba necessariamente esser brutto? Senza dubbio. . . on2 E allora anche quello che non è sapiente sarà gn Tante? E non t’avvedi che c’è qualcosa di mezzo tra sapienza e ignoranza? E che cosa?, . L’opinar rettamente, anche senza poterne rende < - gione, non sai, disse, che non è nè sapore perchè ciò È un personaggio; storino o addirittura fittalo Il non esserci di lei alcun ricordo o. per tacer d’altro, il nomo stesso, che vaio - onorata da Zeus corno la patria Mantinoa, che paro alluda alla montica, a to divinatoria escluderebbero la prima ipotesi. Ma, fu osservato, non potrebbe esser IpTtóa in Atene alcuni anni prima della guerra del Peloponneso e della pestilenza che afflisse la città, una sacerdotessa straulera <U molta reputazione (comunque chiamata), che avesse suggerito agli Ateniesi del sacrifizi o Intorno al oul nomo si fosse formata poi la leggenda, a cui accenna Platone? israrjsìs. S£ opMm ; un cbe .li mezzo t e . 6 „or,,n. Non Attingere dunque ciò die uon è bello ad esser brutto nè ciò che non è buono ad esser cattivo. E cosi aule Eros, poiché tu stesso convieni che non è ne buono nè bello, non per questo devi credere che egli sia di neces- shà brutto e cattivo, ma qualcosa di Eppure, osservai, si conviene da tutti che egli Da^tutti, vuoi dire, quelli che non sanno, o anche quelli che sanno’? Da tutti, senza eccezione, si capisce. Ed ella, ridendo: E come mai, disse, Socrate, si potrebbe convenire che egli sia un gran dio da quelli che negan perfino che egli sia dio ? E chi sono costoro? chiesi. Uno sei .tu, rispose, ed una io. Ed io: Ma come puoi affermar codesto? Ed ella: Facilmente, rispose. Dimmi: non dici tu che tutti gli dei sono beati e belli? O oseresti dire che qualcuno degli dei non è nè bello nè beato? Per Zeus, io no davvero, risposi. E non chiami tu beati quelli che posseggono bontà e bellezza? Certamente. E non hai ammesso che Eros, perchè manca di bontà e di bellezza, desidera queste qualità, delle quali è manchevole? L’ho ammesso, è vero. E come potrebbe essere un dio chi è privo di bellezza e di bontà? In nessun modo, mi pare. Vedi dunque che tu pure ritieni che Eros non è un dio. E cosi, dissi, che. cosa mai sarebbe Eros? Un mortale? Nemmen per idea. un che di mezzo tra il 2C Ma allora, che cosa f ( ’oine nel caso precedente, t „le e rimmortale. peroni tatto rii, qmloooo W- I F chiesi, qual è il suo poterei l’essere interprete e messaggero dagli uomnu agli, ó ? daS dei agh nomini, degli uni recando le preginole II nvifizi degli altri gli ordini e le ricompense dei a- e Stando nel mezzo degli uni e degli altri, lo riempie eri iz, •, | trovi collegato in sè medesimo. Atti a- i’o/lÌ 3 S l’arte Mi . 7T?.r.Sfy.nir oi tacrifltì, alle WriHtah Sol ™tl g e egei rapporto eri ogni colavo e a E Cl chS 0 8U0 padre, chiesi, e cln sua mato La storia è un po’ lunga, a rartela. Quando nacque .Afrodite, di Metia [Sa- banchetto, e tra gli altri anche ì ^l ^ occo gacia], Poh [ Ac ^® to ^'° mend icare, come avviene sr-V? èrt buttato a dormire. Allena Pema, n . ge a gìacere povertà d’avere un hglmo ° < • h,’ Q E p PV questo accanto a lui e divenne n t tl S cV Afrodite, perchè appunto egli è anche seguace e n perc hè da natura ito e bello, come generalmente si crede, e an V ilzo, senzatetto, uso a dormire sulla nuda coperte, dinanzi alle porte, a cielo aperto,, _l.vll.i no ri 11 n ini covi Q tendere insidie ai belli e ai buoni, coraggioso, temerario, impetuoso, cacciatore terribile, sempre occupato a preparar lacciuoli, avido d’intendere, ricco d espedienti, dedito a filosofare per tutta la vita, ciurmadore, mago e solista insuperabile. E di sua natura non è nè immortalo nè mortale, ma a volte, nello stesso giorno, germoglia e vive, quando tutto gli va a vele gonfie; a volte muoie e poi, data la natura del padre, rivive daccapo, e spreca sempre tutto quel che guadagna, sicché non è mai ne povero nè ricco, e d'altro lato tiene il mezzo tra la sapienza e l'ignoranza. E s’intende: degli dei nessuno lilo- soleggia o desidera di divenir sapiente perchè è già tale e se e'è altri sapiente,. non filosofeggia nemmeno. Ma, d’altronde, neppur gl’ignoranti filosofeggiano o desiderano di diventar sapienti. Giacché proprio questo è il guaio dell’ignoranza: che chi non è nè ammodo nè saggio s'illude d’essere un uomo che basti a sè medesimo. E chi non crede d’esser manchevole non desidera nemmen per sogno quello di cui non crede di mancare. E chi. Diotima, diss’io, son quelli che si volgono alla filosofia, se non sono nè i sapienti nè gl’ignoranti? Codesto, rispose, dovrebbe esser manifesto perfino ad un ragazzo: son quelli che tengono il mezzo tra gli uni e gli altri; e tra questi è anche Eros. Perchè la sapienza è tra Io cose più belle, ed Eros è amore del bello, sicché necessariamente Eros deve aspirare alla sapienza, deve esser filosofo, e come filosofo tenere il mezzo tra sapiente e ignorante. E anche questo gli vien dalla nascita, giacché egli è di padre sapiente e ricco, ma di madre nò sapiente nè ricca. Questa, mio caro Socrate, è la natura del dèmone. Che tu poi fi fossi immaginato Eros come te lo eri immaginato, nessuna meraviglia: tu avevi creduto, se non m'inganno, a giudicarne da quel che dici, che Eros fosse l’amato, non l’amante, e però penso che Eros fi paresse bellissimo, perchè difatti ciò che è degno di è il realmente bello, delicato, perfetto e tale da aU '° rsi beato Ma l’amante ba tutt’altro aspetto, e precisamente quello che t’ho ritratto. Ed io dissi: Sia pure, ospite; che infin dei conti'' tu ragioni bene. Ma se Eros è tale, che utile reca agU CodTsto, ? disse, Socrate, mi proverò d’insegnartelo fra lin00 intanto Eros è tale e nato a questo modo, ed e di bellezza, come tu dici. Ora se qualcuno ci domandasse: Che cosa vuol dire, Socrate e Diotima, Eros di bellezza? O più chiaramente: Chi ama ama il bello, e che ama? Ed io: Possederlo, risposi. Ma, soggiunse, la tua risposta chiama quest altra domanda: Che' ci guadagna chi possiede il bello ! Io dissi di non saper veramente che cosa nspondcie, così, su due piedi, a questa domanda. Ma riprese, fa conto che qualcuno, mutando 1 ter mini, sostituisse bene a bello, e ti chiedesse: Orsù, boccate, chi ama ama il bene; e che ama? Possederlo, risposi. E che ci guadagna chi possiede il bene! Ecco M’d™Tn,l Pi -finisce qui, mi pare. E onesto 1 desiderio e questo amore credi tu che sia comune a tutti gli uomini e che tutti vogliano possec ei sempre il bene? O come dici? Così è, risposi: comune a. tiitti tti diciam o E perché mai dunque, Sociale, non,i che amano, se poi tutti amali lo stessotal uni diciamo che amano e d’altri no! Me ne meraviglio anch’io, dissi. No. non meravigliartene, soggiunse, pe ’ a di aver preso a parte una delle specie d amore, diamo a rme-sta il nome dell'intero, e la chiamiamo amore, mentre per le altre ci serviamo di altri nomi. Come sarebbe a dire? chiesi. Ecco per esempio: sai bene che pohsis, [ Iattura, poesia ’] implica molti significati, giacché ogni operazione, la quale faccia che una cosa dal non essere passi all’essere è poièsis, sicché le produzioni, attinenti a tutte le arti, sono aneh esse poièseis, e i loro produttori tutti poiètai. È vero. E tuttavia, disse, sai pure che non si chiamano poteteli, poeti. ma hanno altri nomi; e una particella sola, distaccata da tutta la poièsis, quella che ha per oggetto la musica e le composizioni metriche, è chiamata col nome delimiterò. Soltanto questa infatti prende nome di poesia, e poeti quelli che posseggono questa particella della poièsis. È vero, dissi. E così, dunque, anche dell amore. La somma n è ogni desiderio del bene e delTesser felice, il massimo e ingannevole amore d'ognuno. Ma di quelli che vi si volgono per un’altra delle molte vie, o del guadagno o della ginnastica o della filosofia, non si dice che amino, nè son chiamati amanti, laddove coloro che tendono a questa sola specie, e si consacrano ad essa, prendono il nome del tutto, amoree amare e amanti. Mi pare ohe tu dica il vero, risposi. Eppure, seguitò, corre per le bocche un certo discorso: che quelli i quali vanno in cerca della propria metà, questi amano. Il mio discorso invece dice che 1 amore non è nè della metà nè dell’intero, ove, amico mio, non si creda di scorgere un bene, poiché gli uomini si lasciali volentieri amputare e piedi e mani, sempre che paia ad essi che le loro proprie membra non sieno più buone. Giacché, secondo ine, non è il proprio quello che ciascuno ha caro, se pure non si chiami proprio il bene Pare una citazione; ma la frano destò dot sospetti in parccclii interpreti, e fu addirittura considerata come un glossema dall’Hug o dal Bonghi. n male. Perchè io non vedo altra cosa che gli 206 uomini amino, all'infuori del bene. E tu? r,v Zeus, e nemmeno io. O dunque, possiamo affermare, così senz’altro, che g li uomini amano il bene? hTche?' r'iprès™non si deve anche soggiungere che essi amano d’averlo con sè, il bene l Tpcr dippiù, disse, non solo d’averlo, ma anche d’averlo sempre? Ssom Eque, concluse, l’amore è amore di aver sempre il bene con sè. Tu hai pienamente ragione, dissi. Poiché l'amore è questo sempre per imparare appunto codeste . partorire nel - 4et?-sstiS?. gli uomini, Socrate, concipn etòi i a . nostra secondo l’anima; e, S 1 ' 11 ' < partorire nel brutto natura desidera di paidon ; m. nU) infn fti deludi può; nel hello, Mi 1 fj?,p°ff rtl „. E questa è cosa l'uomo c della donna \ mor talo, questo è immortale: divina, e nel vivente, ora è impossibile che il concepimento c' a h ‘ disarmonico è il brutto ciò avvenga nel disaiic m . q iuvooc n bello. Sicché rispetto a tutto i cl ’ dea de ua nascita e della morte] Bellezza è Mona 1 . t0 ed a Ua generazione]. b srasr? & ' diventa gaia, e nella sua letizia s’effonde e partorisce e genera. Ma quando al contrario s’appressa al brutto, si abbuia, e nella sua tristezza si contrae, si volge indietro, si raggomitola e non genera; ma, trattenendo in sè il feto, si sente male. Donde appunto nella creatura, gravida e già smaniante di desiderio, l’ansia grande per ciò che è bello, giacché esso libera ehi lo possiede dalle gravi doghe del parto. Perchè, Socrate, l’amore non è amore del bello, come tu pensi. Ma e di che allora? Di generare e partorire nel bello. E sia, dissi. Mon c’è dubbio, riprese. Ma perchè poi della generazione? Perchè la generazione è un sempregenerato e immortale nel mortale. Sicché da ciò che s’è convenuto segue necessariamente che l’amore è desiderio d’immortalità nel bene, se è amore d’aver sempre il bene con sè. E un’altra conseguenza necessaria di questo ragionamento è che l’amore è anche amore dell’immortalità. Tutte queste cose ella m’insegnava ogni volta che si ragionava d’amore. E un giorno mi chiese: Che cosa mai, Socrate, credi tu che sia causa di codesto amore e di codesto desiderio? O non senti che tenibile crisi attraversino tutti gli animali, e terrestri e volatili, quando senton desiderio di generare, ammalandosi tutti e struggendosi d’amore, prima, di mescolarsi insieme; poi, di allevare la prole; e come sieno pronti per essa a combattere, i più deboli coi più forti, e a spender la propria vita in difesa di quella e a soffrire essi la fame, pur di nutrire i loro nati, e a fare qualunque altra cosa? Degli uomini, tanto, si può credere che lo facciano per effetto d’un ragionamento; ma e gli animali, che cosa può indurli a questo prodigio d’amore? Sai dirmelo? Ed io a risponder daccapo di non saperlo. Ella ripigliò: E pensi, dunque, di poter divenire esporto in cose d’amore, se non intendi questo? Ma per questo appunto, Diotima, come dianzi dicevo, vengo da te, perchè so d’aver bisogno di maestri. Ala tu dimmene la cagione, e di queste e delle altre cose relative all’amore. Ebbene, se ritieni per fermo che 1 amore sia pei tura amóre di quello di cui s’è convenuto più volte, nn te ne meravigliare: Giacché qui si torna allo stesso bscorso- la natura mortale cerca, per quanto può, di essere sempre e immortale. E può esserlo soltanto per està via per la generazione, cliè così lascia sempre dono di sé qualcos’altro di nuovo in cambio del vecchio. Poiché anche in quello spazio di tempo durante il quale di ciascun animale si dice che è vivo e che e lo stesso... „or esempio, d’un uomo, da bambino fino a che non diventi vecchio, si dice che è il medesimo; eppure costui, quantunque non conservi mai in sé stesso le stesse cose tuttavia passa per essere il medesimo, pur rifacendosi in parte incessantemente giovane, e m parte deperendo e nei capelli e nelle carni e nelle ossa e nel sangue e in tutto il corpo. E nonché per il corpo, ma anche per l’anima, i modi, i costumi, le opinioni, i desideri, i piaceri i dolori, le paure, ciascuna di queste vane cose no rimati punto la stessa in. ciascuno, ma talune nascono, dire periscono. E, quel che è ben piu sorprendente, non si le cognizioni, altre nascono, altre periscono m noi e noi non siamo, nemmen rispetto alle cognizioni, semp ghS, ma anche per ciascuna s’avvera lo stesso. Giacche ciò che si ^e meditare^ dice appunto della cognizione m quanto 1 ' ticanza infatti è uscita di cognizione etemeMaage, non con l’essere in tutto sempre lo stesso, come il <hvi, nuT col' 1 lasciare dopo di sé, in cambio di ciò che va via, . nn ni cos’altro di nuovo che gli somiglia pei e invecchia, qualcos altro | ocrat0) diss’ella, ifmortaio partecipa dell’immortalità, sia corpo, sia checché si voglia Ma l’immortale procede per altra via. Non meravigliare dunque, se ogni essere per natura oncia i proprio germoglio, giacché per desiderio d immortalità siffatta cura ed amore s’ingenera in ogni creatura. All’udire questo ragionamento ne rimasi sorpreso, è dissi: Sia pure, sapientissima Diotima; ma è tìoì realmente così? Ed ella, come i perfetti sofisti: Abbilo per fermissimo Socrate, rispose. Oliò, se vuoi guardare anche all’amore degli uomini per la gloria, ove tu non tenga presente ciò che ho detto, avresti motivo di meravigliarti della loro stoltezza, riflettendo da quale ardore sien posseduti di divenir celebri e gloria procacciarsi ne’ secoli tutti immortale, e come perciò sieno pronti a sfidare qualsiasi pericolo, anche più che per i figli, e consumar sostanze e soffrire qualsiasi sofferenza e far getto della propria vita. Poiché credi tu, disse, che Alcéstide sarebbe morta in cambio di Admeto o Achille soprammorto a Pàtroclo o Codro- vostro (3) premorto per assicurare il regno ai figliuoli, se non avesser creduto di lasciare quel ricordo di sé, che ora noi serbiamo di loro'? Pi vuole ben altro! disse. Ma per conseguire virtù immortale e siffatta fama gloriosa, tutti, a parer mio, son pronti a qualsiasi cosa, e quanto migliori, tanto più, perché amano l’immortale. Quelli dunque che son gravidi. disse, nel corpo, si volgono di preferenza alle donne, e per questa via sono amorosi, procurandosi per mezzo della generazione dei figliuoli, come pensano, immortalità, ricordo e beatitudine per tutto il tempo avvenire. 209 Coloro invece che son gravidi nell’anima... perchè, dice, c’è pure di quelli che son gravidi nell’anima, ancor più che nei corpi, di ciò che all’anima s’addice e di concepire e di partorire; e che cosa le s’addice? la saggezza c le altre virtù; e di queste sono generatori i poeti tutti, e degli artisti quanti son detti inventori. E tra le forme di saggezza, disse, la più alta di gran lunga e la più bella L’osservazione di Socrate ai riferisco al tono di sicurezza, por- dir cosi, cattedratico e dogmatico clic assumo Diotima, la quale di qui in poi abbandona la conversazione familiare per pronunziare un discorso lungo c filato. Dev’essere una citazione poetica. L’Hng osserva elio in questa parte Diotima si compiace di versi o di forme poetiche. Codro ò il leggendario re clic andò volontariamente incontro alla morte per salvare l’Attica dalla invasione dorica. che s’occupa degli ordinamenti politici e donic- Ò - q !, cui si dà nome di prudenza e di giustizia. E allor- S Ì 1C1 ™i uualcuno di costoro per esser divino sia da 1 1 gravido nell’anima, e giunta l’età desideri oramai vtnrire e generare, anche costui, credo, ricerca premurósamente quel bello nel quale possa generare, giacche 'e 1 brutto non vorrà generar mai. E quindi egli gravido r 4 si compiace dei bei corpi piu che dei bratti, e °e s’incontri in un’anima bella e generosa c d indole mona si compiace vivamente d’un tale insieme e con e òo egli è subito largo di discorsi intorno alla virtù e su miei che dev’essere l’uomo dabbene e sul tenore di vita che questi deve proporsi; e si dà a educarlo Perche,, credo a contatto della bella persona e nei colloqui con essa egli partorisce e genera quello di cui da gran tempo e ra 'gravido, ricordandosi di lei, presente o lontano, e la prole egli alleva in comune con quella, cosicché uonnn siffatti mantengon tra loro una comunanza assa P intima che non quella che avrebbero per mento dei figliuoli, e un’amicizia assai più salda, dacché ^ in comune dei figli più belli e piu mimo potinoli •per sè preferirèbbe d’aver piuttosto di sillatti h ^ . che quelli umani, guardando a Omero a Esu^ c agli altri poeti insigni, invidioso dei nati_ l lasciali di sè e che assicurano loro gioire ; uoi immortale, perchè sono essi stessi inumatali, . • disse, dei figliuoli come quelli che tediò Um 0 demone, salvatori di Lacedemone e,spù.c( i-Eliade E da voi è anche onorato Soloiu pu lì SmSSo oiÒff. ta’ove..por gli umani fin qui a nessuno. Sino a questo grado nei Socrate forse avresti potuto iniziarti da b • Ma min dottrinò perfette e contemplative, alle quali, ove si pioli) Mantengo qui la lozione ilei oodd. 9-stos lov. ceda rettamente, quelle finora esposte servono di preparazione, non so se ne saresti capace, le le esporrò dunque io, disse, e non trala scerò di metterci tutta la mia buona volontà. E tu cerca di seguirmi, se ti riesce. Perchè chi vuol incamminarsi per la via diritta a questa impresa, deve da giovane andare verso i bei corpi, e dapprima, se chi lo guida lo guida' dirittamente, amare un sol colpo c generare in esso discorsi belli; e poi intendere che la bellezza in un qualunque corpo è sorella della bellezza dim altro corpo; e se convien perseguire ciò ohe è belio d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non stimare che una sola e identica sia la bellezza in tutti I CORPI. E inteso che abbia questo, divenire AMANTE di tutti i boi corpi, e calmare quei suoi ardori per uno solo, spregiandoli o tenendoli a vile. E in seguito reputare clic, la bellezza delle anime sia di maggior pregio clic la bellezza del corpo, sicché, ove uno sia bello dell’animo, quand’anche poco leggiadro, se ne contenti e Io ami e ne prenda curii e partorisca e cerchi ragionamenti siffatti, che valgano a render migliori i giovani, affinchè sia dipoi costretto a considerare il bello clic è nelle, istituzioni e nelle leggi, e riconoscere che esfjo è tutto congenere a sè, e si persuada così che il hello corporeo non è che piccola cosa. E dopo le istituzioni < In sua guida lo conduca più in alto, alle scienze, perché veda alla loro volta la bellezzadelle scienze, e mirando all'ampia distesa del BELLO, non più, estasiandosi come uno schiavo, davanti alla bellezza d'una singola cosa, d’un giovanetto o (L’un UOMO o d’una istituzione sola, e servendo sia una abietta o meschina persona; ma volto al gran mare della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e belli e magnifici ragionamenti e pensieri in un amore sconfinalo di sapienza, fino a che, in questo rinvigorito e cresciuto, non s’elevi alla visione di queU’unica scienza, che è scienza di cosiffatta bellezza. E ora, continuava, la di aguzzare rocchio della mente quanto più puoi.Giacché colui che sia stalo educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado a grado e rettamente il bello, pervenuto al termine della via d’amore scorgerà d’improvviso una bellezza di sua mumluìi natura stupenda, e precisamente quella, Socrate, per la quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che innanzi tutto è eterna, che non diviene e non perisce, non zi 1 cresce e non scema; e poi, che non è bella per un verso e brutta per un altro, nè a volte si a volte no, nè bella rispetto a una cosa e brutta rispetto ad un’altra, nè qui bella e lì brutta, o bella per alcuni e brutta per altri. Ne, per dìppiù, la bellezza prenderà ai suoi occhi la forma come (li volto o di mano o d’alcunchè di corporeo, nè d’un discorso o d’una scienza o di qualcosa che sia in un altro, in un animale, poniamo, o in terra o in cielo o dove che sia; ma gli apparirà qual è in sè, uniforme sempre a sè medesima, e tutte le altre cose belle, partecipi (Vessa in tal modo, che, mentre queste altre e divengono e periscono, essa non divien punto nè maggioro nè minore, e non soffre nulla. E quando alcuno per aver rettamente amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di quaggiù, prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che abbia quasi toccato la meta. Perchè questo appunto è sulla via d’amore procedere o esser guidato dirittamente da un altro: muovendo dalle belle persone di quaggiù ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla bellezza di lassù, quasi montandovi per una scala, da un bel corpo a- due, e da due a- tutti i bei CORPI, e da bei corpi alle belle istituzioni e dalle istituzioni allo belle scienze per finire dalle scienze a quella scienza che non è scienza d’altro se non di quella bellezza appunto; e pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in se. Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva 1 ospite di Mantinea, è il momento della vita degno per un uomo d’esser vissuto, allorché egli può contemplare la bellezza in sè. Ed essa-, ove mai tu la veda., non ti parrà comparabile nè con oro nè con vesti nè con quei bei fanciulli e giovanetti, al cospetto dei quali rimani ora sgomento e sei pronto, e tu e molti altri, guardando codesti vostri amati c standovi con loro, se fosse possibile, sempre, a non mangiare nè bere, ma soltanto a eontem- plarveli e starci insieme. E che sarebbe, diceva, se a qualcuno riuscisse di vedere il bello in sè,' sclùetto, puro, sincero, non infarcito di carni umane e di colori e di tante altre vanità mortali, ma potesse scorgere la divina bellezza in sè medesima, uniforme? Creiti tu che sia una vita da tenere a vile quella di chi possa guardare colà e contemplare con 1 intelletto quella bellezza e starsi con essa? O non pensi, disse, che quivi soltanto, a lui che vede la bellezza con quello per cui essa è visibile, verrà fatto di partorire, non immagini di virtù, perchè non è in contatto con immagini, ma virtù vera, perchè in contatto col vero; e che, avendo generato e nutrito virtù vera, a lui solo è concesso di divenir caro agli dei, ed anche, se altri mai iu tale al mondo, immortale? Eccovi, Fedro e voi altri, quel che diceva Diotima, e io ne fui persuaso; e, persuaso, mi adopero a persuadere anche gli altri che per procacciare alla natura umana un tanto acquisto non si può facilmente trovare un collaboratore più valido d’Eros. E perciò appunto affermo che ogni uomo ha l’obbligo di rendere onore ad Eros, e io stesso onoro e coltivo in modo speciale le discipline amorose e vi esorto gli altri; ed ora e sempre, per quanto è in me, encomio la possanza e la fortezza di Eros. Questo discorso, Fedro, ritienilo detto come un elogio d’Eros, se credi; se no, chiamalo pure come ti piacerà di chiamarlo. Poiché Socrate ebbe finito, tutti, raccontava Aristodemo, gli rivolsero delle lodi, eccetto Aristofane, che s’accingeva a dire nòti so che cosa, perchè Socrate, nel parlare aveva alluso al discorso di lui, quando, a un tratto, s’ode picchiare violentemente alla porta di strada e insieme un gran chiasso, come d'i gente avvinazzata, che usciva da un banchetto, e la voce d’una suonatrice di flauto. Al che Agatone: Ragazzi, disse, andate a vedere; e se è qualcuno dei nostri, fatelo entrare; se no, dite che s’è smesso di bere e stiamo già riposando. Ed, ecco, un momento dopo, si sente noi vestibolo la voce Alla lettera: con quello con cui si convieno (contemplarlo), cioè v(p con la monte d’Alcibiade, ubriaco fradicio, che strepitava: Pov’ò Agatone? Menatemi da Agatone! Entrò, sorretto dalla suo- natrice e da alcuni dei suoi compagni, e si fermò sulla soglia dell’uscio. Aveva il capo ricinto d'una folta corona di edera e di viole e adorno d’una infinità di nastri. E disse: Salute, amici! Vorrete compiacervi di dare un posto per bere con voi a un ubriaco fradicio, o dobbiamo andar via subito dopo di aver incoronato Agatone, che è lo scopo per cui siamo qui? Ieri non mi riuscì di venire, ma ora eccomi qui, col capo coperto di nastri, per rieingerne dal mio il capo del più sapiente, del più bello, lasciatemelo dire, tra gli uomini. Iriderete voi forse, perchè sono ubriaco? Ebbene, ridete pure; ma io so di B3 dire la verità. Intanto ditemi senz’altro, se posso o no entrare a queste condizioni. Siete pronti a bere con me, o no? Tutti in coro con alte grida gli risposero che entrasse e si mettesse a giacere, e Agatone ve lo invitò. Egli venne avanti condotto dai compagni, e poiché si veniva levando que’ nastri per incoronarne l’ospite, non s’accorse di Socrate, che pure gli stava dinanzi agli occhi, ma si mise a sedere accanto ad Agatone, tra questo e Socrate, il quale, come l’aveva visto (2), s’ora tratto da parte. Sedutosi. abbracciò Agatone e gli cinse il capo. È Agatone disse: Ragazzi, slacciate i sandali ad Alci- biade, perchè possa sdraiarsi terzo fra noi. Benissimo, disse Alcibiade; ma chi è questo nostro terzo compagno? E ad un tempo, volgendo gli occhi, vide Socrate, e vistolo diè un balzo, esclamando: Per Éraeles. che roba è questa? Socrate qui? Àncora un agguato! E hai preso questo posto per apparirmi, al solito, dinanzi, dove meno me l’aspettavo? E ora, perchè sei qui? E perchè poi ti sei messo a giacere proprio in questo posto? Perchè non accanto ad Aristofane o a qualche altro, che sia o voglia parere un burlone, ma tanto ti sei destreg- i Alclbiado voniva coronato, pcrchò usciva da uu altro banchetto. Le corono, elio solovano essero di foglio di mirto, di pioppo bianco o di odora intrecciato con roso o In Atene a proferonza con violo, si distribuivano dal servi, quando, finita la cena, si passava a boro. (Hug). Leggo (1)£ éxetvov xctxstfiev secondo il pap. d’Osslrinco. g iato da venirti a sdraiare accanto al più bèllo di quanti SOn °B q Soc Agatone, disse, guarda un po’ di difendermi. perchè l'amore per me di costui non un dà poco a fare Dacché presi ad amarlo, non son pm padrone di guardare o discorrere con nessun altra bella persona senza che costui, roso dalla gelosia o daU invicha, non faccia cose dell’altro mondo, e mi copra d insulti, e per poco non mi metta le mani addosso. Guarda che anche ora non ne faccia qualcuna delle sue. Metti pace tra noi, o, se cerca d’aecopparmi, aiutami, perche io ho una paura matta dei suoi furori e delle sue smanie amorose. Pace tra me e te? ribattè Alcibiade; non è possibile. Ma di questo ti castigherò in qualche altra occasione. Per ora, Agatone, rendimi un po’ di codesti nastri, perche ne ricinga il meraviglioso capo di costui qui, e non mi accusi d’aver coronato te, e lui poi, che vince nei discorsi tutti, e non solo ier l’altro, come te, ma sempre, non 1 ho coronato. E così dicendo, prese alcuni nastri, ne cinse capo di Socrate e si mise a giacere. Dopo che si fu sdraiato, riprese: E che amici? non siete in vena di bere? Io non posso permetterlo; bisogna bere: è stato il nostro patto. Io scelgo a re del bere, finché non avrete bevuto abbastanza, me stesso. E Agatone faccia portare, se c’è, una gran tazza. No, no, non occorre. Ragazzo, a me quel bigonciolò all s’eraaccorto che conteneva più di otto colili lo riempì e bevve per il primo; poi ordinò clic si mescesse per Socrate, aggiungendo: Del resto, amici, con Socrate la mia astuzia non attacca: si può farlo bere quanto si vuole, non c’è caso che s’ubriachi. Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Ma Erisslmaco disse: Che facciamo, Alcibiade? Tracanneremo così un bicchiere sull’altro senza intramezzarvi nè un discorso nè un canto, proprio come degli assetati? Tì Alcibiade: Erissimaco, eccellente figlio d’eccellente e sennatissimo padre, salute! La eotile equivaleva a circa un quarto eli litro. E salute a te pure! rispose Erissimaco. Ma che dobbiamo fare! Quel che tu ordini: a te bisogna obbedire, Che certo un medico solo vai quanto molti uomini insieme. Ordina dunque a tuo modo. Ebbene, da’ retta, riprese Erissimaco. Prima della tua venuta s’era fissato che ciascun di noi per turno a destra pronunziasse un discorso, il meglio che si poteva, su Eros, in elogio di questo dio. Tutti noialtri abbiamo parlato. Tu che non hai parlato, ma hai bevuto, è giusto che ne faccia imo tu pure. Dopo, imponi a Socrate quel che ti piace, ed egli farà altrettanto per turno a destra con gli altri. Belle parole, Erissimaco! rispose Alcibiade. Ma non ti pare che a mettere un ubriaco in gara di discorsi con gente che ha la testa a posto, la partita non sia pari! E dimmi pure, beato amico: ci credi tu a quel che Socrate ha detto or ora di me? Non sai che è proprio il rovescio di ciò che egli diceva? Giacche costui, se in presenza sua mi permetterò di lodare un altro, dio o uomo che non sia lui, non terrà a posto le mani. Parla con più rispetto, disse Socrate. Per Poseidone, riprese Alcibiade; non contradirmi. Sai bene che in presenza tua non potrei lodare nessun altro. E tu fa' come vuoi, ripigliò Erissimaco: loda So'crate. Come dici! Ti pare, Erissimaco, che convenga? Posso dare addosso a quest’uomo e vendicarmi di lui sotto i vostri occhi? Ohe, giovanotto, che ti salta in niente? Con la scusa di lodarmi vuoi mettermi alla berlina? O che vuoi fare? Dirò la verità. Guarda però di lasciarmela dire. Ma, certo, la verità te la laseerò dire, anzi voglio che tu la dica. Son pronto, riprese Alcibiade. E tu fa’ così: se non dico la verità, interrompimi e dammi una smentita, che di proposito non dirò nessuna bugia. Ma se salterò di 21 palo in frasca, come la memoria mi suggerisce, non teue sorprendere, giacché non è facile per chi è neUgnie condizioni enumerare per filo e per seguo tutti 1 tiatti della tua originalità. Socrate, amici, comiucerò a lodarlo così, per via di paragoni. Costui crederà forse ch’io voglia farvi ridere alle sue spade; eppure il paragone mira a rappresentarvelo qual è realmente, non a metterlo in burla. Dico dunque ch’egli è similissimo a quei Sileni esposti nelle botteghe degli scultori, che gli artisti raffigurano con zampogne o flauti in mano e che, aperti in (lue, mostrano nell’interno immagini di dei. Ili dico per dippiù che somiglia al satiro Marsia. li/ che tu sia nell’aspetto simile a quelli, neanche tu, boera te, oseresti metterlo in dubbio. Che poi somigli anche nel resto, stanimi ora a sentire. Sei un gran canzonatore; o no ? Se lo neghi,, presenterò dei testimoni. E un flautista, no? Anzi più meraviglioso di Marsia. Questi, è vero?, molceva gli uòmini per via di strumenti con la potenza della sua bocca, e anche oggi chi suona le composizioni di lui perchè già quelle che Olimpo suonava appartengono senz’altro a Marsia, che gliele aveva insegnate... e a buon conto le sonato di lui, o che le esegua un abile flautista o una flautista dappoco, per essere opera divina, valgono da sole a soggiogarci e farci sentire (fili prega gli dei e chi aspira ad essere iniziato. Ma Il discorso, ohe Plutone la pronunziare ad Aloibiado, oltre ad essere l’upplioozione pratica della toorlca bandita da Socrato, ohe ci ò cosi rappresentato domo l’amanto perfetto o il tipo vivente del filosofo, è assiri probabilmente anche nn'ahilo o splendida difesa di costili contro lo maligno insinuazioni d'nn sofista. Pollerato, cho in un ili,olio contro Socrate doveva aver presentato sotto una luco tutt’altro olio favorevole lo relazioni d’AMICIZIA elio lutoroedovuno tra 11 maestro od Alclbiado. Questi Sileni orano, paro, una spedo d'armadi, riproducesti lo fattozzo dei popolarissimi compagni di Dlóniso. e dovovano esseri, d’uno certa capacita, so nell’intorno potevano contenoro parecchio statuette o simulacri di numi. E 11 modo corno v'oeconna Aloibiado fa Intenderò ohe dovessero essere assai noti o comuni !u Atene. Il satiro Murala, in origino un dio fluviale dell’Asia Minoro, inventore del flauto, flautista cccoUonte o maestro di Olimpo, a cui Alcibiade accennerà fra poco, addò ad una gara musicalo Apollo olio suonava la cetra, e, vinto dal dio, fu tratto fuori, della vagina dolio membra sue tu tu sei (li tanto superiore a lui, che senza bisogno di strumenti con semplici parole ottieni questo medesimo effetto. Difatti noi, quando udiamo qualche altro oratore sia pure eccellente, pronunziare degli altri discorsi, non'ce ne interessiamo, per così dire, nè punto nè poco. Ma ove qualcuno oda te o qualche altro, e sia pure il più inetto parlatore, che riferisca le tue parole, o che le oda una donna o un uomo o un giovanetto, no siamo rapiti ed esaltati. Ed io, amici, se non temessi di passare per ubriaco sino alle midolla, vi direi, e giurerei, che sorta d’effetti ho risentito dallo parole di costui e ne, risento tuttora. Giacche a me, quando le odo, ben più che agl’invasati d’un fluoro coribantico, il cuore ini balza nel petto e mi sgorgali le lagrime ai discorsi di costui; e anche a moltissimi altri vedo che capita lo stesso. A udir Pericle e altri oratori di grido dicevo tra me e me: parlano benissimo; ma non risentivo nulla di simile, nè la mia anima era messa a soqquadro, nè mi attristavo di menare una vita da schiavo. Ma sotto i discorsi di questo Marsia ch’è qui, ho provato spesso l’impressione che non valesse la pena di vivere, vivendo come vivo. E questo, Socrate, non dirai che non sia vero. E anche ora, non lo nego, ho coscienza che, a volergli prestare orecchio, non potrei resistere, ma risentirei gli°stessi effetti. Giacché egli mi obbliga a confessare che, con tante delìcenze che ho, trascuro ancora me stesso per occuparmi delle faccende degli Ateniesi. E por a viva forza, come dallo Sirene-, tappandomi gli orecchi, mi sottraggo, fuggendo, per non invecchiare seduto accanto a costui. E soto davanti a quest uomo ho provato quel sentimento, che nessuno sospetterebbe m me, il sentimento della vergogna. Io, sì, ini vergogno soltanto di costui. Perchè sento dentro di me di non potergli contradiro, che non si debba fare quello a cui egli mi esorta; ma poi, non appena m’allontano daini, ecco che mi lascio vincere dalle lusinghe del favor popolare. I Gorlbntltl orano 1 sacerdoti della doa asiatica l’ibelu, elio o^si 'veneravano con nn colto orgiastico, nelle ani cerimonie erau presi da un furore divino. Sicché lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo, mi vergogno d’aver# dato ragione. E spesso vedrei volentieri ch’egli non è più tra gli uomini; eppure, se ciò avverse, son certo che me ne dorrei assai dippiù, sicché di quest’uomo non so addirittura che farmi. Dunque, dalle sonate di costui, di questo satiro qui, e io e molti altri abbiamo provato questi effetti. Ora statemi a sentire com’egli e simile, anche pei altri versi, a quelli a cui lo paragonavo, e come e meraviglioso il potere che possiede. Perche, siatene certi, nessuno di voi lo conosce. Ma ve lo scoprirò io, dacché mi ci son messo. Voi vedete che Socrate si strugge di amore per i bei giovani, ed è sempre a loro dintorno, e se ne mostra fuori di sé, e del resto ignora tutto e non sa nulla. E non è da Sileno codesto? E come! Ma questa, è l'apparenza, sotto cui s’è nascosto, come il Sileno scolpito. Ma di dentro, aperto, indovinate voi, compagni bevitori, di quanta temperanza è pieno? Sappiate che se uno è bello, a lui non gliene importa nulla, ma lo disprezza, quanto nessuno lo crederebbe; nè se è ricco, nè so ha qualcuna di quelle dignità che costituiscono per la folla il colmo della beatitudine. A tutti questi beni egli non dà nessun valore, e nessuno a noi ve lo dico io e passa tutta la vita a far dell’ironia e a scherzare alle spalle degli altri. Ma quando fa sul serio ed è aperto, non so se qualcuno ha visto i simulacri di dentro; ma io li ho visti una volta, e mi parvero così divini e aurei e 21? bellissimi e mirabili da dover fare senz’altro quel che Socrate comanda. Infatti, credendolo preso davvero della mia bellezza, stimai un guadagno e una fortuna meravigliosi che mi si offrisse il destro di far cosa grata a Socrate e udire così tutto quello che egli sapeva, perchè ero orgoglioso della mia bellezza, e in che modo! Con questo in mente, mentre prima non ero solito di trovarmi da solo a solo con lui, senza qualcuno che m’accompagna, d’allora in poi mandavo via il mio accompagnatore e rimanevo solo con lui... giacché a voi devo dire tutta la verità; ma voi state attenti, e se mentisco, tu, Socrate, sbugiardami. Dunque, amici, rimanevo con 1ni solo a solo, e m’aspettavo eli egli mi tenesse subito uel discorsi che un amante suol tenere con un amato, rmattr’oeehi, e ne godevo. Eppure non avveniva nulla m mesto: com’era solito, discorreva con me, e, trascorsa tutta la giornata insieme, andava via. In seguito lo invitai ad esercitarsi con me nella ginnastica e mi esercitavo con lui, illudendomi che così avrei raggiunto il mio ‘ooo E infatti egli si esercitava e lottava con me, spesso senz’alcun testimone. Ma che! non si faceva un passo. Poiché nemmeno questa via spuntava, mi parve che con nuest'uomo si dovesse venire ai ferri corti e non dargli tregua dal momento che mi ci ero messo, ma vederci chiaro in questa faccenda. Lo invitai così a cena con me, tendendogli un tranello, proprio come un amante a un amato. E sulle prime non volle neppure accettare; tuttavia, in capo a qualche tempo, s’arrese. Quando venne la prima volta, finita la cena, volle andarsene, e pei allora, vergognandomi, lo lasciai Ubero. Ma un alti a y fatto il mio 'piano, poiché si finì di cenare, Scorsi con lui sino' a notte inoltrata; e quando egli voleva andai via, col pretesto che- fosse tardi, lo costrinsi a rimanere Egli riposava nel letto dove aveva cenato, accanto a mio, e nella stanza non dormiva nessun altro ah infuori di noi. Ein qui il racconto è tale, che si può faie in p senza d’ognuno-, ma di qui in avanti non im sentireste parlare, se in primo luogo, come dice il proverbio il i ino e senza fanciulli e con fanciulli, non fossi veritiero, e poi nascondervi un tratto cosi superbo di Socrate, ora 'che son qui per farine un’ingiustizia. Ma c’è'di più: io sento ancora 1 effetto eli prova chi è morso da una vipera. Porche, dicono, ì’ha sofferto non vuol parlare del proprioa ai morsicati, come i soli che sappiano smn chsposri a compatire tutto quello che egli e giunto a fare e dire sotto la, sferza del dolore. Sicché io, morso da tintura più dolorosa e nel punto più doloroso ni cui si possa Da du^o luogo il provo.-t.io apparisco corno presente alla mente il ’Aicibia.lo sotto lo ano formo, tra lo parecchie che so ne coniano. .1. oho £ ’ vi- e vorilA-, c olvo; xat ì8s C ™o o fanciulli sono voritlorl ’. esser morsi ferito e morso nel cuore, e nell’anima, o com’altro si voglia chiamare, dai discorsi filosofici che son più cattivi d’una vipera, quando s’attaccano all’anima non ignobile d’un giovane, e gli fan dire e fare qualsiasi cosa. E, del resto, in presenza d un Fedro, d’un Agatone, d’un Erissimaco, d’un Pausania, d un Aristodemo e d’un Aristofane Socrate stesso a che- nominarlo? e txitti voi altri? chè tutti siete posseduti dal delirio e dal furore filosofico e però tutti udrete, perchè siete tutti in grado di compatire ciò ch’io feci allora e vi dirò ora. Quanto a voi, servi, è se c’è altri profano e rozzo, tiratevi delle porte ben grandi sui vostri orecchi Poiché, dunque, amici, fu spenta la lucerna e i servi andarono a dormire, mi parve che non fosse il caso di ricorrere a raggiri con lui, ma di spiattellargli francamente quel che sentivo. E, scotendolo, gli chiesi: Socrate, dormi? No, non dormo, rispose. Ebbene, sai che cosa ho risoluto? E che cosa? mi chiese. Tu sei, ritengo, il solo degno d’esser mio amante, e vedo che esiti a farmene parola. Ora io la penso cosi: credo che sia una grande stoltezza da parte mia non compiacerti e in questo e in altro, se hai bisogno delle mie sostanze o dei miei amici. Per me, quello che soprattutto mi preme è di divenire quanto migliore io possa; e in ciò, credo, non potrei trovare un collaboratore più valente di te. Sicché a non compiacere ad un nomo come te mi vergognerei ben più agli occhi delle persone di senno, che non a compiacerlo, agli occhi dei molti e sciocchi. Egli mi stette a sentire, e poi con quella sottile ironia, che gli è propria od abituale, mi rispose: Parto Alcibiade, tu risichi realmente di non essere un dappoco, se mai è vero ciò che dici di me, e se c’è in me un potere, per il quale tu possa divenir migliore. Tu avresti così scorto in me una bellezza irresistibile e La locuzione 6 tolta dal linguaggio del misteri. ma molto superiore alla tua leggiadria. Cosicché, scorgendola, tenti d’accomunarti con me e barat- Mre beSa per bellezza, ti proponi di fare a mie spese fca in (la ano tutt’altro che insignificante, anzi in lao„o a-.o.!.™ 1. veri. del teli e luisidi scambiare veramente ferro con oro. Ma, beato amico, rifletti meglio, se non t’inganni a partito m conto mio. Bada: gli occhi della mente vanno diventando più acuti a misura che quelli del corpo perdono del loro vigore, e tu sei ancora lontano da questo momento. c iò, dissi: La mia idea è questa, e non ho detto niente di diverso da quel che penso. Quanto a te. considera quel che ti sembra il meglio nel tuo e nel mio interesse., Ma sì, ben detto! rispose. Difatti non mancherà tempo per ripensarci e fare quel che ci parrà meglio nell interesse di tutt’e due, così in questa, come in ogm altra faC Orario, dopo d’aver detto e udito queste parole e avergli tirato quelle frecciate, lo credetti ferito. E levatomi dal mio posto e senza più dargli tempo di dir nulla, gli gettai addosso il mio mantello, proprio questo qui era anche allora d’inverno e nn rannicchiai sotto la mantellina logora di costui, e gettate le braccia al collo di quest’uomo veramente divino e meraviglioso, me ne stetti a giacere accanto a lui l’intera notte. E nemmeno in questo, Socrate, dirai che mentisco. Ebbene nonostante che io avessi fatto tutto questo, egli si mos r di tanto superiore e tenne così a vile e sprezzò tanto la mia bellezza e la vilipese a tal punto eppure io credevo che qualcosa valesse, o giudici, perche voi ora siete mudici della superbia di Socrate... ebbene ve lo giuro per tutti gli dei e per tutte le dee, dopo d’aver dormito accanto a Socrate l’intera notte, mi levai, nò piu uè meno, che come se avessi dormito con mio padre o con un mio fratello maggiore. Allusione al cambio dello anni tra Glauoo e Diomede: et. sgR. E dopo ciò, quale credete che fosse il mio animo? Da un canto mi vedevo disprezzato, e dall'altro ammiravo l'indole, la temperanza e la fortezza di costui, che m’ero imbattuto iu un uomo tale, come non credevo mai di poter incontrare il simile per senno e per forza d’animo. Cosicché non riuscivo nè ad adirarmi con lui e rinunziare alla sua compagnia, nè a trovar la via per attirarmelo. Ben.sapevo che al danaro egli era. da ogni parte assai più invulnerabile che Aiace al ferro, e solo mezzo, per cui credevo di poterlo prendere, m’era sfuggito di mano. E così, a corto d’espedienti e asservito da quest’uomo, come nessuno da nessun altro al mondo, io gli giravo sempre dattorno. Questi casi m'erano già seguiti, quando più tardi facemmo insieme la campagna di Potidéa ed eravamo compagni di mensa. Ebbene, innanzi tutto, nelle fatiche egli vinceva non solo me, ma anche tutti gli altri. Allorché, in qualche luogo, come spesso capita in guerra, eravamo costretti a patir la fame, gli altri, nel resistervi, appetto a lui non valevano uno zero, mentre imi nei momenti di scialo, era il solo che sapesse goderne, e senza esser proclive al bere, quando v'era costretto, superava tutti, e, cosa anche più sorprendente, non c’è nessuno che abbia mai visto Socrate ubriaco. E di ciò penso che ne avrete ben presto la prova. Quanto poi a sopportare il freddo e lassù i freddi sono terribil faceva cose inverosimili, e perfino a volte, mentre c’eran delle gelate da non si dire, e tutti o non mettevano il naso fuori o si coprivano fino alla cima dei capelli e calzavano scarpe e 'avvolgevano le gambe in feltri e pellicce, costui, con un tempaccio di quella sorta, se n'usciva coperto della sua, mantellina abituale, e scalzo camminava sul ghiaccio meglio degli altri calzati, e i soldati lo guardava]) di traverso, perchè pensavano che egli li disprezzasse. Politica, colonia di'Corinto nella penisola ili Pallone, erti, albata tlegli Ateniesi. Ma noi, con l'aiuto dei Corinti o di Perdlccn re ili Macedonia, si ribellò, e non fu ridotta all'obbedienza, se non dopo una cam- rogna o un assedio E questi, non c’è che flire, fatti. Ma quello -che poi fece e sostenne il fortissimo uomo ima volta, durante quella spedizione, mette conto li-essere udito. Assorto in qualche pensiero stette in piedi odo stesso posto a meditare sin dalle prime ore del mattino, e poiché non ne veniva a capo, non si moveva, ma rimaneva li fermo a meditare. Era già mezzodì, la o-ente lo notava e diceva: rSocrate e li inchiodato a Lunare da stamani per tempo. Finalmente alcuni Ioni, sopravvenuta la sera, dopo d'aver cenato era d estate portaron fuori i loro pagliericci; e mentre si metteno a dormire al fresco, seguitavano a tenerlo d occino per vedere, se ci fosse rimasto anche la notte. Ed egli ci rimase fermo sino all’alba e allo spuntare del sole poi fece la sua preghiera al sole e andò via. Ora, se volete, nelle battaglie perchè è giusto rendergli questo merito quando avvenne quella battaglia, in cui 1 generali dettero a me anche il premio del valore, nessun altro mi trasse in salvo se non costui, clic non volle abbandonarmi ferito, e salvò insieme e le mie armi e me stesso. Ed io anche allora, Socrate, insistetti presso ì generali, perchè il premio fosse attribuito a te, e in questo non mi moverai rimprovero, nè dirai che mentisco, .a poiché quelli, per riguardo alla mia condizione sociale, volevano dare a me il premio, tu eri anche piu insistenti dei generali, perchè l’avessi piuttosto io che tu. E ancora, amici, degno di ammirazione fu il contegno di Socrate, quando l’esercito si ritirò in fuga da Delio. Io cero tra’cavalieri, lui tra gli opliti. Nello scompiglio generale egli S i ritirava insieme con Lachete. Io sopraggiungo, e come li vedo, li esorto a farsi animo, e di coloro che non il) È un verso omerico leggermente modificato; cf. Od. La battaglia <11 Dello in Beozia, dove gli Ateniesi lurono sconfitti dai Tolmuì, accadde noi. Era un bravo gonorate ateniese, di poco più vaccino di Scorato. olio mori In battaglia nel US a. C. Da lui prose nomo uno doi dialoghi piatonici. Soli abbandonerò. E qui ammirai Socrate anche più che a Potidea giacché io stesso avevo meno paura, perchè stavo a cavallo in prima, di quanto egli fosse superiore a Lachete per la padronanza di sè, e poi mi pareva mi servo delle tue parole, Aristofane che egli cammina lì come qui, con aria spavalda, gittando gli occhi a destra e a sinistra, squadrando calmo amici e nemici e mostrando chiaro a tutti, anche di lontano, che se qualcuno lo avesse toccato, egli si sarebbe difeso con la maggiore bravura. E così se n’anda via con gran sicurezza, egli e l’amico. Perchè quelli che in guerra mostran questo contegno, quasi quasi non li toccano neppure, ma danno addosso a chi scappa a gambe levate. ('erto, di Socrate ci sarebbero da lodare molti altri lati, e non meno ammirevoli. Però d’altre qualità si può forse dir lo stesso anche per altri, ma quel non essere simile a nessun altro uomo, così tra gli antichi come tra’ presenti, questo è soprattutto ammirevole. Ad Achille, per esempio, possiamo paragonar Bràsida e qualche altro, e Pericle a Nestore e ad Antenore e ce n’ò parecchi e così potremmo trovare dei confronti per altri. Ma un uomo che sia stato per originalità come costui, e lui e i suoi discorsi, nessuno non lo troverebbe nemmeno a un dipresso, per quanto cercasse, nè tra i presenti, nè tra gli antichi, a meno che non lo paragoni a quelli che dicevo, a nessun uomo, ma ai Sileni e ai Satiri, lui e i suoi discorsi. Giacché, a proposito, anche questo ho dimenticato di dirvi da principio, che anche i suoi discorsi sono in tutto simili ai Sileni che s’aprono. Infatti, se uno volesse prestare orecchio ai discorsi di Socrate, gli par- Allusione al v. delle ‘Nuvole’. Brasida, morto in una famosa battaglia, nella quale inflisse uno terribile rotta affli Ateniesi presso Anflpoli, colonia attica sullo Strimone in Tracia da lui tolta ai suoi fondatori, fu uno dei più eroici e maffnanimi generali spartani. Antenore, eroe troiano, che ai distingueva per la sua prudenza, come per prudenza c valore si distingueva Nestore tra Greci. rebbero addirittura ridicoli a prima giunta; tali sono le parole e le frasi di cui si rivestono, pelle di satiro burlone: non discorre che d’asini da soma e di fabbri e di calzolai e di conciapelli, e par che dica sempre le stesse cose con le stesse parole, sicché qualunque persona ignorante e sciocca può ridere dei discorsi di lui. Ma chi per caso li veda aperti e vi s’addentri, prima di tutto li troverà i soli discorsi che entro di sé abbiano una mente, e poi divinissimi e pieni d’innumerevoli simulacri di virtù, tendenti ad altissimi fini, o, per dir meglio, tendenti a tutto quello a cui deve mirare chiunque voglia essere un uomo veramente ammodo. Questo, amici, è il mio elogio di Socrate. E d’altronde, mescolandovi anche le accuse, v’ho detto in che egli mi offese. Del resto egli non s’è condotto a questo modo soltanto con me, ma e con Càrmide di Glaucone e con Eutidemo di Diocle e con moltissimi altri, dei quali si fingeva l’amante, e ne divenne piuttosto 1 amato. E perciò appunto avverto anche te, Agatone, di noli lasciarti abbindolare da. costui, ma, ammaestrato dai nostri casi, sta’ in guardia e non imparare, secondo il proverbio, come uno sciocco, a proprie spese. Quando Alcibiade finì di discorrere tutti, al dire d’Aristodemo, scoppiarono in una grande risata per la franchezza di lui, chè si mostrava tuttora innamorato di Socrate. E Socrate osservò: Alcibiade, tu non sei, mi pare, niente affatto ubriaco, altrimenti non avresti potuto, rigirando con tanta abilità il tuo discorso, nasconder lo scopo di tutto quello che hai detto, e che hai poi accennato di straforo -in fine di esso, quasi che non avessi parlato unicamente per questo: pei metter Càrmide ora zio di Platone dal lato materno. Nel dialogo intitolato da lui cl 6 dipinto corno bello dolio persona e d’animo aperto agli studi filosofici. Aristocratico o partigiano doll’orìstocrazia, cadde nel. combat- tlmonto ia seguito al quale fu rovesciato il governo del Trenta tiranni. Eutidemo di Diodo ora un giovano ammiratore di Socrato da non confonderò col solista omonimo da cui s’intitola un dialogo platonico. Aeoonno ad un proverbio olio troviamo gu\ sotto varie forme in Omero e in Esiodo. male tra ine e Agatone, perchè ti sei fitto in mente che io devo amare te e nessun altro, e Agatone dev essere amato da te e da nessun altro. Ma ti sei tradito, e tutti hanno visto a che mira codesto tuo (trama satiresco e silenico. Senonchè, caro Agatone, procuriamo che egli non se ue giovi punto, ma fa’ in modo che nessuno metta male tra me e te. E Agatone: Socrate, in fede mia, hai ben ragione, mi pare. E lo argomento dal fatto ch’egli s’è venuto a sdraiare in mezzo tra me e te per tenerci separati. Ma non ne caverà nulla, anzi io verrò a sdraiarmi accanto a te. Benissimo, rispose Socrate, vieni qui, alla mia destra. O Zeus, disse Alcibiade, che mi tocca di soffrire da quest’uomo! Vuol sempre e ad ogni costo sopraffarmi, ila, se non altro, mirabile uomo, lascia che Agatone resti almeno fra noi due. Impossibile, riprese Socrate. Tu hai lodato me, io, a mia volta, devo lodare chi mi sta a destra. Se Agatone si sdraierà dopo di te, non dovrà egli lodare nuovamente me piuttosto che esser lodato da me? Ma via, non insiste, divino amico, e non invidiare a questo giovane le lodi che voglio farne, perchè sono impaziente di tesserne l’elogio. Ahi! Ahi! Alcibiade, disse Agatone. Non c’è verso che io resti qui; cambierò posto ad ogni modo per avere le lodi di Socrate. Ed eccoci alle solite! Dov’è Socrate, è impossibile che un altro goda delle belle persone. Vedete ora che pretesto opportuno e plausibile ha saputo trovare, perchè Agatone vada a mettersi accanto a lui! A questo punto, dunque, Agatone si levò per andare a sdraiarsi a lato a Socrate. Ma, ad un tratto, ima numerosa brigata di nottambuli avvinazzati giunse davanti alla porta-, e trovatala aperta, perchè qualcuno era uscito, si cacciò nella sala e prese posto a tavola. Allora il chiasso divenne incredibile, e tutti, senz’alcuna regola, furon costretti a bere disperatamente. Erissimaco, Fedro e qualche altro, diceva Aristodemo, andarmi via; egli fu preso dal sonno, e rimase un gran perché le notti eran lunghe, ne S1 tratto a do ’ oa nto dei galli. E destatosi, TJu .o „ se no er.no andnft de elio h U ‘ ^tofane e Socrate rimanevano au- soltanto Agatone, AJq ^ ^ verg0 destra, da coni desti, So ’ ora te discorreva con loro. Di che una gran donassero, Aristofane non ricordava Costi > c qonneòchiare, e prima cadde addormen cominciarci <,, minutar del °iorno, Agatone. iiiiSBESii naia e Topo, siiinmbrunire, tornò a casa a riposare. uno dei "aeiia oitu ° 8oelto più tardi da Aristotele a sede della sua scuola. rz„thvohro. Apologià, Crito, Phneilo (Bonghi) l Mn t O i e- 0 ; 0 I ? n ^ P 0 hnni sulla vita d, Platone .> 0 I» '£..fed5sicr-.tè » n il Fellone • • • ent,; r ii, curante H. Ottino 1 20 ® e “*^®ffTni CÌr An b i •" K,l ”. SI; . . >, ' 1 . Li ber > Al Jri rimedia), curante H. Ottino.> H Institut.o Cyrt^C P c 1 q uìi i h (prossima pubblio a zwnt). 11 Gerone, e cor» Colon0i ourlHÌt e E. De March. . ® Sofocle “Tt? ì>e Marchi). 1 S°Cchtnie?curante S. Traduzioni di Autori Latini. V Enitalamio per le nozze ili 'fetide c l'eleo. Carme Catullo 0. v Ri ‘moento e traduzione poetica di 1. Gironi L. 1 20 testo latino, c.i J _ p 008ie scc lte voltate in prosa italiana, cor Catullo, libali»^ Vtoerzo i Seconda edizione o0 redato di noto da/-.. „ uorro gallica e civile volg.,nauti da CM ‘ te c-Ugoni SS bmg;.aifchc e sferiche per cura di G. Pinzi _ commentari sulla guerra gallica Commentari “ u R“XTett£e piti 'comunemente studiate negli istituti “•Soi."Traduzione di VzfcUhcorredata TnSi’eJ'rivcdut’a'mi cmeUita suil’ediz. Tei.tiiicriuna da T. Gironi Dei Doveri (gli Uiìzi) .*.> La Vecchiezza e l’Amicizia a- x g Pollini . 1 “ Scinione. Testo eversione pe cu Il «agito cU^o^iono T^to e g- - L’orazione a difesa di T. A., a Capitani ; traduz. e noto di Z. Canni Cornelio N. - De vite degli eqooULnn C 1 t ^ ^ note storiche, lllolo- Fedri). Favole voltate in lingua la"™! .1 . s, edizione gicl.e, geografiche e mitologici e da Atm rm^ Q Le favole nuovo recate in v( ;^ 1 (la o. L. Mabil: Livio T. La Storia romana, tradotta na .> l,ibri I-H riveduti da T. Gironi. da !.. Andreozzi. {In ristampa)- fji r0 „i. con note. > 1 Fasti; volgarizzamento poetico d. i. ., Ut £ UMli; . • ‘ tro ; nionotu. 'lesto latino e traduzione to^A.-Trin»mmu8V\T V sia,«nini «uiBnao scoile; ioni»» w Tibullo. Catullo e Properaio. a 0 . / Vrtw.5-C?, S?, !h SSutS"., 1 . K«1J« * «* Le imprese di AU-h-u» 1 poetico d. f. Girci,. e > viratila p m 1,11 Buoolieu ; '•o'K,n,fAf“"' i r s ., lix | 0 n>- 1 ; fllnlnma 0 dhltterpi ih rtó di' opere e ani Lm-iiif. (tradotta da Caro) coti not' • n ftr bone gariz/iuneuti di Virgilio, u cura «li * PARAVIA et C. Traduzioni di Autori Greci Aaaertonle ed Anacreontiche. Traduzione letterale con riguardo alla costruzione-o brevi note per 01. Aurenghi: Edizióne espurgata L. Demostene Le tro Orazioni contro Filippo; traduzione letterale con ri- J. guardo alla costruzione o note per Ol. Aurenghi Lo Olinticho; traduzione letterale italiana con riguardo alla costruzione o note per 01. Auronghi. Kschllo. Le Eumenidi, dramma. Traduzione letterale con riguardo alla costruzione 0 uote di 01. Aurenghi.> Esiodo. Le opere e i giorni. Traduzione di C. Mazzoni ( jìroasima pubblicazione). filala. Eo Orazioni contro Eratostene c contro Agorato; traduzione lct- teralo con riguardo alla costruzione e note poi 01. Aurenghi . j j0 Orazioni: per un cittadino uccusuto di moueoligar chiche Fer un invalido; traduzione letterale, coti riguardo alla costruzione, e note di Ul. Aurenghi. Omero.Canto VI dellTliado; colloquio di Ettore e di Andromaca. Traduzione e noto per 01. Aurenghi.> 0 60 Iliade; canto I, La peste - L’ira. Trad. letterale e noto per 01. Auronghi > 0 60 Odissea ; canto I, Concilio degli Dei - Esortazione di Atena a Telemaco. Traduzione letterale e note per Ol. Auronghi .L’Odissea tradotta da Pimientonte, con note di X. Festa.> Platone. I dialoghi. Nuovo volgarizz. di GL Me ini, con argoiuonti e note: Il Olitone, ossia dello azioni l in ristampo,). L’Eutitxom, ossia del Santo. Apologia di Socrate.> Fedone, OEsìa della immortalità dell’amiPft.> Il r elione. Ubala uuiiu mimui imiia ucii . Il Critone; traduzione letterale italiana con riguurdo alla costruzione o noto per DI. Auronghi.Apologia di Socrate; traduzione letterale, italiana con riguardo alla costruzione e noto per 01. Aurenghi.v ..Fedro,Traduzione di Martini. Il Convito. Traduzione di Martini. Senofonte. Anabasi 0 spedizione di Ciro, traduzione di Aaibrosoli Mollnori Mi; Brani scelti di poemi omerici è dólPErieide nelle migliori iitO/lllTt/ln! I Kt I r. i\ » biuuufiiuin immilli! .. 1 Oi*j “* Crestomazia degli autori grooi e latini nelle migliori traduz. italiane . lo ; Botiertl'G, La eloquenza greca. Vita ili Pericle. Epitomo, nigonmuto © noto Vita di Usila. Apologia prr l uccisione di Eratostonn, argomento e noto. Orazione contro Erntostono, argomento © noto Orazioni» contro AvÀrnth nmninanfi. 1» nnit> — vii» ft’Tsn, AUMENTO. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano. Keywords: errante dalla ragione, emendato, il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dicante: la ragione conversazionale e  la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Dicante. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dicante,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dicerco: la ragione conversazionale e  la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), a Pythagorean. Dicerco. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dicerco,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diconte: la ragione conversazioale e la setta di Caulonia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Diconte. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diconte,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dima: la ragione conversazionale e la setta degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico a Pythagorean. Dima. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dima,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diocle: la ragione conversazionale e la a setta degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean – one of those who left Italy when the Pythagorean communities there came under attack. According to Diogene Laerzio, a pupil of Filolao di Crotona and Eurito di Taranto. Diocle. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diocle,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diocle: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico. Diocle. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diocle,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice Diodoro: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Gardener. He committed suicide in a state of contentment and with a clear conscience, according to Seneca. Diodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diodoro: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes a history of the world that largely survives. The Library of Hstory is a valuable source of information about the thought of antiquity. Ed. C. H. Oldfather. Nome compiuto: Diodoro Secolo. Diodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diodoro: la ragione conversazionale e la rettorica filosofica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Suda, a philosopher and the son of Polio Valerio. He wrote on rhetoric. Nome compiuto: Diodoro Valerio. Diodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diodoto: la ragione conversazionale al portico di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Member of the Porch, tutor of Cicerone. He lives in Cicerone’s house. He dies there and leaves Cicerone all his property. Diodoto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diodoto,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diogene: la ragione conversazionale al  portico a Roma – filosofa italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. One of a deputation to Roma – with Carneade and Critolao – before the Senate. Thanks to the lectures he gives during his Roman holiday, many Romans became interested in the Porch for the first time. Diogene. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diogene,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dione: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He appears to have been a follower of The Garden with whom Cicerone was acquainted but for hom he had little time or respect. Dione. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dione: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cristostomo – Cocceiano – Taught at Rome, became a philosopher thanks to the influence of Musonio Rufo. According to Flvio Filostrato, he was acquainted with Apollonio and Eufrate. One of his pupils was Favorino. He was banished from Italy by Domiziano. Dione. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dione: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Philosopher. He was honoured by a statue in Rome. Dione. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dione: la ragione conversazionale all’isola – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A friend of Plato for years. He had an erratic political career, sometimes seeking or managing to rule Syracuse either directly or through others, sometimes in exile. During one of his periods in exile he stayed at the Accademia. He was eventually assassinated. Dione. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dionigi: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale intorno al Cratilo – scuola di Barletta – filosofia barlettese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo barlettese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Barletta, Puglia. Grice: I like Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!  Grice: In Platos Cratylo theres possibly all the vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris! -- Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheadss dictum that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato! Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto). Il processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si accost poi alla filosofia analitica e alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il Cratilo di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions  descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa stessa" della filosofia. Cocktail Dionigi e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao. Altre opere: Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia: Un filosofo tra Platone e il bar  cf. Speranza, Grice: un filosofo tra Aristotele e il pub. su ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The development of Platos Cratilo. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica. Cicerone e il Cratilo.  -- Sulla correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo  un dialogo di Platone. In esso  trattato il problema del linguaggio, o meglio, della correttezza -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi sulla correttezza  corretto  lo corretto  di una espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema del correttodi una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e per natura  physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece che lespressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos; larbitrario  thetikos --. deciso dalluso e dalla convenzione. Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in s qualcosa della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene cio una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso falso. Poich lespressione (A, B)  parte del discorso (A e B, S e P),  evidente che lespressione utilizzata nel discorso vero deve essere corretta. Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso lespressione, il legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione all' idea o concetto (implicatum) dellespressione, adattandolo poi a questa o quella necessit descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa, del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in considerazione lespressione di di come Tantalo e Giove e viene parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sullespressione delle qualit dell'uomo, come l' anima o il corpo. In seguito si passa ad analizzare il corretto dellespresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualit morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che lespressione fino ad adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost (complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, pi in generale, lelemento morfo-sintattico che forma lespressione (Fido is hairy-coated, Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated  lespressione, deve infatti riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacch  al reale che si riferisce. Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione  sempre giusta, corretta, propria, vera, perch  della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura non  una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non  possibile infatti dire che lespressione e il reale a cui si riferisce siano la stessa cosa. Lespressione Fido is hairy coated e il fatto che Fido is hairy coated e proprio hanno qualcosa in comune, cos come un ritratto di Alcebiade racchiude qualcosa dAlcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e lespressione corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista pu nelle intenzioni riprodurre Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se luomo conosce e apprende il reale attraverso lespressione,  evidente che non potrebbe esistere nessuna conoscenza se lespressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cio se lespressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene allora che un legislatore, alladopere una espressione, non  detto che avesse un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non pot apprendere attraverso lespressione, perch ancora non era stata inventata (cf. muon).  possibile allora che abbia fatto dellerrore e ci  dimostrato dal fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera  atomo, anima, ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso lespressione, ma attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre lespressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilit di una conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dellespressione risiede nella stabilit del reale. Poich la natura  stabile, e rimane sempre uguale, allora  possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire dal italico Protagora, se l'uomo  misura di tutte le cose, ogni tipo di espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. Lespressione Fido is hairy-coated  puramente arbitraria  convenzionale. E possibile che non c' nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa corretto spiegare che Fido  hairy-coated (shaggy). Tuttavia ugualmente bene andrebbe lespressione "scoiattolo" o "cicala" giacch non sussiste nessuna somiglianza tra lespressione (shaggy) e il reale (hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale (pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identit tra espressione e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza e profferito. Lespressione  vera sempre, perch racchiude in s la stessa natura che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni espressione  un indizio (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno  giusto perch il primo legislatore a segnare il segnato fu come un do che, essendo perfetto, assegna un segno (fa un segno  significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura non e un segno; Non tutto e un segno --. Platone fonda la sua concezione della communicazione sull'ontologia. Per Platone  immediatamente evidente che esista un segnato al di fuori del segno;  il segnato stesso a cui il segno si riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perch esista una segnabilita. Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacch non si dovrebbe indicare nulla con il segno, perch non ci sarebbe nulla da indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dellidea immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilit. Pi volte Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del legislatore  la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinit, secondo la concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si  visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilit del legislatore, poich egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno. Platone invece  convinto che la vera conoscenza sia al di l del segno, nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore  colui che crea il segno sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire al segnato (H2O). Tale segno (H20) sar per forza corretto. Genette, nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per argomentare l'idea di arbitrariet del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da Grice con il suo Deutero-Esperanto e il nuovo High-Way Code, il collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (A segna che p no implica p). Le idee sviluppate nel Cratilo, bench datate, storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verit (Il Melangolo), la concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley, Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia  Ademollo, The Cratylus of Plato. A Commentary, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verit, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza, Platone e il problema del linguaggio seminario. Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Universit di Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate  Critone  FedonePlato-raphael.jpg tetralogia Cratilo Teeteto Sofista Politico III tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro tetralogia Alcibiade primo  Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage  Carmide  Lachete  Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX tetralogia Minosse Leggi Epinomide Lettere Opere spurie Definizioni Sulla giustizia Sulla virt Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Dialoghi platonici CRATILO VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS FICINO (si veda) ad Petrum Medicem uirum clariimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostr et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic  Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod quid ex constitutione vocant, dum vocis su particulam quand pronunciat, sed rectam rationem aliquam nomin et grcis et barbaris eand omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam: Socratesait.Nnne cteris omnibus,inqu,id eft nomen quo quenquocamus.Illen tibi tamen ait Hermogenes nomen et,nec eti i omnes homines teita uocarint. Dumobfecro ut cicitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorus declarat, sed me ludens, simulatee aliquid uerareanimo,quali nnihil hac de re intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,ead dicere qu ipe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem, siqua ratione Cratyli uaticini potes conjce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi rem. soc. Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra ee cognit Prouerbia e difficilia.Atquiilla nomin notitia haud parua res eft.Equidem i ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demontration iam olim audiffem, in cuius traditione eti hc inerant, ut ipetetatur, nihil prohiberet quin tu tatim nomin rectitudin intelligeres. cam porr nun audiui, fed illamdrachmunius duntaxat. Quare quid in his uer it, necio,inueftigare autem tecum imul &cum Cratylo paratus um.Quodautem dicit ti bi nonee reuera nomen Hermogenes,quod  lucro dicitur, mordetteputo quai pecu niarum auidus is, et impos uoti. Verum,ut modo dicebam, dificilia hc cognicu unt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero  Socrates,licet frequenter cum hoc cr terisc permultis iam diputauerim,nondum tamen peruaderimihi poteft ali ee no minisrectitudinem, conuentionemipfam conenlionem.Mihi quid uidetur quod cungnomen quis cuig imponit, id eerect.Aci rurus comutat,aliud imponit, ni hilominus o primum, quod illi uccedit nomen rectexitere, quemadmoderuis no mina cmutare solemus: nulli quippe rei natura nom inee,fed lege &uu illorum qui fic uocare conueuerunt.Quod quidem i aliter e habet,paratus um non  Cratylo tan tum,uerumeti quouis alio dicere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conideremusitap. quodcq imponit quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ane'ita uidetur. Soc. Et iue priuatus uocet, iue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero si iperem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego equum nomin, quem'ue equum, homin: publice quidem erit eid homo nomen, pricatim equus, &priuatim rurus homo, publice equus. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifala. HER. Equidem. Soc. Nnne illa quidem uera erit orario,hcatoratio fala: HER.Ita prorus. So c.Illa uero Qu oratio oratio qu existentia dicit ut exitt, vera est,qu ut no exitt, falsa: HER.Certe. soc. uera, qu Est autem hoc,oratione,ea qu unt, et qu non unt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio qu uera et,utrum tota quidem eft uera,partes non uerrher. Im&partes uer. soc. Vtr partes magn uer,exigu uero particul fall,an uer unt omnes. HER. Omnes arbitror. soc.Habes orationispartem aliqu minornominer HER.Nequa, Orationis hce pars minima.so c. Et NOMEN quid hoc pars orationis uer.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais ipe. HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma et nos ergonomen uer, et nomen falum dicere, fiquid et orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id et cuiq; nomen eft? HER. Idipum. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam prter hanc nominis rectitudinem am rerum ipas effe dinens, ut uidelicetliceat mihi quid alio rem uocare quodipfe impouinomine,tibiay tem alio quod tuimpouifti. Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria qudam haberinomina, et Grcis ad alios Grcos, et Grcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. Mus Hermogenes,utrum resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagor minem effemenuram, ita ut qualiamihiquq uidentur,talia et mihiint: item qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius qudam ee putes, qu effenti u quand habeant firmita rm.HER.QuandogSocrates,dubitansad hc deductusfum, qu tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi peruadeo.soc. Nunquid et ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem ee hominem omnino malum: her. Non per louem.im fpenumero ita fum affectus,utexitimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, et quidem plurimos.soc. Prorus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Vii ergo unt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos ee,omnino prudtes: prorus vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eto hcipfa ueritas,ut qualia qu cuiq uidentur, talia int fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes int,imprudentes al:HER.Nequaquam.soc.Atqui hc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia qudam et imprudentia fic,Protagor baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudtiorerit,fi qucuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus ee imiliter ac emper.Nec enim ali boni, al mali effent,fiemper et  nibuselle  que omnibus et uirtus ineffet et prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo fineqom. militer, ac nia omnibus inunt emper ato imiliter,ne cuiq proprium unumquodq, ctat res femper qu effentiam quandam firmam in fe habent,ne quo ad nosne nobis per imaginationem urum deorfum ditract, fed fecundum feipras quoad ipsarum elfen tiam ut natura institut sunt permanentes. HER. Idem mihi quoq uidetur  Socrates. soc.Vtrum res ips ita natura conitunt, actiones autem illarum non ita, ed aliter: an et actiones ips similiter qudam rerum species unt: HER. Et ipf omnino. soc. Ergo actiones ipf secundum naturam uam, non ecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ic diuiddares qu que eft,utnos uolumus, et quo uolumus: an potius i unumquodqs diuidamus ecun dum naturam qua diuidere et diuidioportet, item eo quo ecundum naturam diuiio fieri debet,diuidemus utiqrecte, et aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem prternaturam,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam icomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam. hc autem et qua ratione naturaliter quode comburi debet at comburere,& quo debet. HER. Vera hcfunt. soc.Nnne eadem decteris ratio: HER. Eadem.Soc. Annon et dicere una qu dam operationet: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipa rerum natura dicere dici requiritiet fi quo natura exigit,eo et dicat,aliquid dicendo proficiet:in aliter,aberrabic:nihils efficier. HER.Ita equidem utais,exitimo.soc.An non dicendipars qudam est NOMINARE: et quinominant, loquuntur quodamodo? HER.Omnino.soc. Et nominare actio qu dam eft: quando quidem et dicere actio qudam circa res eft. HER. Prorus. soc. A. Ationes autem nobis apparuerunthaud ad nos repicere, fed propriam quandam ui ha bere naturam. Her. Est ita.so c.Nominand itaq; ea ratione qua rerum ipsarum natu. ra nominare ac nominari poftulat, et quo poftulat, n autem PRO NOSTR VOLVNTATIS ARBITRIO,liftandum est in his qu dicta sunt. HER. Sic et.s o c. Ato ita aliquid per agemus, nominabimus, aliter uero nequaquam. HER. Apparet. soc. Quod incidendum et, aliquo incidend. HER. Aliquo.soc. Et quod texend, aliquo certe texend, quodue perforandum,aliquo perforand. HER. Plane. soc. ltem quod nominand, aliquo nominandum. HER. Sic oportet. soc. Quid illud, quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum. soc. Quid quo texere: HER. Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Re HER. NOMEN. soc. Beneloqueris, ideog intrumentum aliquod nomen eft. HER Ert Eft. soc. Si qurer quod intrument et radiuspecten, reponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen et stamina confusa, radio dicernimus. HER. Ituc ipum.so c. Idem de terebro ac cteris repondebis: HER. Idem. soc. Potes et circa NOMEN similiter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipso quod intrument et, aliquid NOMINAMVS (H. P. GRICE. I name). HER. Nequeo. soc. Nquid docemus tias docen's inuicem aliquid, ac res ut sunt discernimus. HER.Nempe. soc. Nomen itaqrer ub di discernen Itantias docendi discernendig intrument et, ficut pecten et radius ipe tel. HER. Sic diinftru eft dicend. soc. Radiusporr textori et intrument. HER. Quid nir'. SOCR.Texcor mentum ica radio ac pectinerecte uterur, recte, inqu, ecund texendiration. Ille uero quido cet, nomine Pombaur, et recte, recte uidelicet ecund docendi propri ration: HER. Cer te.soc. Cuius artificis operebene Pombaurtextor, quando radio pectine Pombaur: HER. Fabrilignari. soc. Quique'nelignarius faber,an potius quiart habet? HER.Quiha. betart.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num quiqz et faberrarius an potius quihabet artem: HER.Quiart. soc. Ageergo,dic cuius opere ipe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Necio.soc. Allignare et hocnecis: quis nobis tradit nomina quibus utimur. Her. Ignoro et hoc. soc. Nnne lex tibi uidet nobis nomina statuisse HER. Videtur. soc. Ergo legislatoris Pomba opere doctor,qudo nomine ipfo Pombaur. HER. Opinor. soc. Cditor legis quilibet tibi que uidetur, an quiarte et prditus. HER. Arte prditus. soc. Quaren cuiucunq uiri et Hermogenes NOMEN IMPONERE,uer cuiudam nominautoris. hic autem etiam, ut videtur, NOMINVM INSTITVTOR, quirarior omni artifice inter homines reperit. HER. Apparet. Soc. Animaduerte obecro, qu repiciens NOMINVM INSTITVTOR, NOMINA REBVS IMPONIT:im uperior exempla djudica, qu repiciens faber radium pecteng cficit. non nead tale aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER. Prorus. soc. Siin ipo operera dius hic frangatur, utrum alium iter fabricabit ad fracti itius imaginan potius ad pe ciem ipfam repiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus et,fecerat: HER. Adipam ut arbitror, speciem.soc. Nn ne speciem ipfam merito ipius radij ration,ipum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siqudo oportet cficiend uetite nuiuelcraiori lineiue lane,iue cuiuis alteriradi apparare, radios singulosoportet peciem radj ipius habere:qualis uero cuiqznaturaliter et accmodatiimus,talem ad opus peragend, VT NATVRA POSTVLAT, adhibere. HER. Oportet an.soc.Eadem de ct ris intrumtis eftratio.Nam quod natura cui et congruit; instrumentadinueniendum et,atq id illiattribuend,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ed quale natu ra ipa exigit. Terebrum nam cui accommodatum cire oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hc unt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius tel alteri competit, et in alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor nomen Quom no natura rebus ingulis apt in uocibus et fyllabis exprimat, ad id repicis quod ipum minabit qui nomen et, ingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor et futurus. recte nomi Quod inondem yllabis quiq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum et, quod neq fabriomnesrar eodem in ferro id faciunt, quoties eiudem gratia idem fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio, et alio ferro,eatenus recte e habet intrumentum,iuehic,fiue apud Barbaros fabrict. Nnne; HER. Maxime. soc.Nnne et eodem modo cenebis,donec intitutor no minum quiapud nos et, et qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle un altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus et utrum conueniens radij species cui cunqueligno fitimprear num faber qui efficit: an textor uurus. HER. Probabile eft  Socrates,magis e quiet uurus, cognocere.soc. Quis lyr fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem intruere poteft, et opus recte'ne an ctra fact fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis ergo: HER.Citharita.soc.Quis autem opere tructo. ris naui. HER. Gubernator.soc.Quis item nomin conditoris operioptime prides, bit, et explet dijudicabit et apud Grcos et apud Barbaros: Nnne et quiute: HER. Is certe.so c.Ann is et qui interrogare it HER. Ite. $ 0 c.Idem quog repondere, HER nabic zi HER. Nempe. SOC. Eum uero qui interrogare cit ato repondere, aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita opuset temonem facere guber impofita no natore prcipiente,li bonus futuruset temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, i modo recte ponenda unt nomina. HER. Vera int, necne hc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue quiddam,utipfecenes,nominis impoitionem ee,ne id effe imperitorum &quorumuis hominum opus.NempeCra tylus ura loquitur,cum nomina dicit natura rebus competere, neg unum quemuis ea nominum autorem, sed illum duntaxat quiad nomen repicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag peciem e literis yllabisq inerere. Her. Necio Socrates qua ratione his qu dixiti,lit repugnand: forte'uero non facile et ubito fic peruaderi. Videor autem mihi hc in modumtibi potius aenurus,fi oftenderis quam dicasee natura rectano. minis rationem. soc. Equidem  beate Hermogenes,adhucnullam dico, ferme'nama  memoria excidic quod dixer supr, meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul inueftigantibus hoc duntaxat prter uperiora compertet, rectitudinem aliqu natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nnne: her.Valde.soc.Coniderandum retat, i noe deide. ras, qun ipius it nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deidero equidem.soc. Animaduerte igitur. HER. Quauia inuetigandmones. soc. Rectissima est amice, consideratio,ab his qui cit hc perquirere,oblatis pecunis, et gratjs inuper actis:hi uero ophit unt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, apis euafiffe ui detur. Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliqu et fratrem upplex ores, ut te doceat nomin rectitudinem quam  Protagora didicit. HER.Qum aburda hcel Veritas no, et petitio Socrates, fi cum illam Protagor ueritatem nullomodo recipi,ea qu ex uc men cripci,ritate illa dicuntur,alicuius prec timar.soc.Acuero i tibi hc non placent,ab Ho aut ironic mero cteris poetis est dicendum. HER. Quid de nominibus, et ubi Homerus  Socrates,tradic:so c.Paimmulta, maximauero et pulcherrimauntilla,in quibus diftin guitcirca eadem qu nomina homines, &qu d ipfi inducunt. Annoncenfes ipum in his magnificum alquid et mirandumde recta ratione nomin tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, qu natura conitunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij uocant,recte eos admodum nominare. Verum qu nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano flumine, quod ingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthdijuocant, uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenes magnificum quiddam cognitu eehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanth, quam Scamandr nominare. Item fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quida ds, Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas, ut fciat quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum itarrerum inuentio acutius ingenium quam notr exigit. Scamandrius aut &Altyanax quid ignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com prehendi,facile et percipi potet,quam rectitudinem eeHomerusuelit in his nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,qu dico: HER. Omnino.soc. Vcrum itorum nomin putasHomerum exitimae conuenire magis puero, Atyanacta'ne,an Scamandri: HER. Ignoro. soc. Sicautem conidera:liquis te interrogaret, utr putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus apien. tes,reponderes uci apientiores.HER. Sic certe. soc.Vtrmulieresin urbibus sapientiores ee tibi uiden, an uiri: quant ad genus attinet. HER. Viri.so c. Necisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a mulieribus Scamandri nuncu patum: quandoquidem uiri illum Atynacta uocare conueuert. Her. Videtur, soc. Nnne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam mulieres eor exitimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Atyanacta igiturrectius qum Scamandrium nominatum - esse cenuit, HER.Apparet.SOCR. Animaduertamusquam ipe denominationishuius cauam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipis cutatus et amplas mnia. Quapro prer decet, ut uidetur, protectoris filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, in,eius, quam pater ipiuseruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider: Soc.Quod ac hoc maxime;porr &ipfe nondum fatisintelligo,  Hermogenes. Tu vero percipis: HER. N perlouem.soc.Arqui et Hectori  boneuir,nomen ipfeHo meras impouit. HER. Quamobrem: soc.Quoni mihi uidet id nomen Hector Atya sactieequamproximum: ferme'enim idem SIGNIFICANT, putanta Grciutraq hcno mina regiaeffe. Cuiucun enim quis ava, id et rex extitit,eiufdem eft et fxTue, id et potelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderec, et habere.An forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomericientiam circa nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia qudam attingere cfidebam: HER. Nullo modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR.Decet,utmihiuidetur, leonis fili leonem imiliter nominare, equi filium equum haud certe dico, liquid tanquammontrum exequo nafcatur aliud quid dam qum equus: fed cuius generis ecundum naturam et quod nacitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum naturam filius equ gignit,non uitulus qui nacit, ed pullus equi nus et nuncupndus.Et fi equus prter naturam gignit itulum,non pullus equinus di cendus et hic,fed uitulus. Neqetiam i ex homine alia proles quam humana producit, quodnaciturhomo uocari debet.Idemg et dearboribus,decteris omnib. iudican dum.Probas hc: HER.Probo equidem. soc.Oberua me nequid defraudem. Eadem quippe ratione,fiquis exrege nacitur, rex et nominandus: in alis uero et aljs yllabis idemlignificari,nihil interet, neck referc iue addatur litera aliqua,iue eti ubtrahatur, donec ESSENTIA REI SIGNIFICAT IN IPSO NOMINE dominacur.HER. Qui itucais:'soc. Nihil mirum nouum ue dico, uer ita ut in elementis fieri cernis, cis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero elementa nequa, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonw, o fixpou et whya. Cteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras,ut Btte 4.7.c. nomina contituimus,atq;ita proferimus. Verum quo ug elementi ipius uim declarat inerimus, conuenit nomen illud uocare ipum quod nobis fignificet elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.c, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusotenderetur, cuiusnominum autor uoluit:uquea deo cite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui uideris.soc.Nnne ead derege ratio erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alter quiddam tale,nii montr fiat, eademq dicendano: mina.Variare autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,qu unteadem, ee di Gera. quemadmod pharmaca medicor coloribus &odoribusuariata pe c eadem fint,nobis diuera uidentur: Medico at uim pharmacor conideranti eadem iudican tur,ne eum additamta perturbant. Similiter forte qui et in nominibus eruditus, uim illorum coniderat,neq; eius turbaiudicium, liqua litera addita et, uel tranmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis ead uis nominisreperitur.Vteanomina qu fupr diximus, Altyanax &Hector, liceras omnino diueras,prter folum habent, idem ta menignificant. Item quod &exmolis, id et,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communion cum duobus uperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; unt alia, qu nihil aliud quam regem SIGNIFICANT. Multa prterea unt, qu exercitus du cem ignificant,ut ys, worm cedoOMG,.Alia item qu medicin profefforem declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Alia permulta reperiri poflunt,fyllabis et literis dicordantia, ui autem SIGNIFICATIONIS penitus cononantia. Sic ne et ipe putas, an alia ter: HER. Sic certe.SOCR. His profecto qu fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda untnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero prter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri, uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ortiri debet, ed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum upr diximus, i equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium,fedbo uem denominandum.HER. Sicet. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum. HER. Vera hc unt.soc.Neque igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id et Dei memorem, uel talem aliquem huiumo diuocarefilium talem decet, sed contraria SIGNIFICANTIBVS NOMINIBVS appellare, i modo recte nomina intituta effe debent.HER. Sic prorusagendum  Socrates. soc. Profe dio Oretinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoitum, fiue aliqua ors illi nomen dedit, liue poeta quid, ferinam cius natur agret &moncan nomine eo SIGNIFICANS. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ecundum naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon, utibi laborandceneat,to lerandum, &in ijs qudecreuit,per uirtutem perfeuerand. Argumentuerotoleran ti u apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prbuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ignificai Agamemnon, quali ayasos 967 oli mrovlu. Fort uero et Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, et crudelitas aduerus Thyeten,noxi perniciofumo illum demontrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, et clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti unt, atis Atrei ignificatio pater. Dicitur enim ecundum erogs, afeger's atypw, quaiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur et Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe qu prope unt uidentem,nomen itud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus ppicere quta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Qu enim antepedeserant, &ad prsentia tantum respiciebat, hoc autem et prope apicere: quod et fecit, cum Hippodami coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad uiionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipa uidetur impofitum, i uera unt qu circunferuntur. HER. Qunam ita: soc. Quoduiuentiadhuc illi aduera plurima &grauia contige runt,tandem patria eius omnis fubuera et. Defuncto prterea faxum in caput immi. net, ors certe duriffima. hcproruscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you,id eft, inteliciim uoluiffet, fed paulo locutus obcurius, pro Talancato Tantalum pouifler. Taleuti nomen fortuna eius aduera iporumore gentium pr buie uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen et indicum,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio qudam louis nomen, quod quidcm bifaij partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive, quidamdia, uocani. Qupartes in unumcpofit, naturam dei ipius oftendt, quodmaxiinedebernomen efhcere por e. Nulla enim nobis cterisomnibus uiuendimagis caua et, quam princeps, rexo omni. Quapropter decens nomen et hic Deus fortitus, per quem uita emper uiuent bus omnibus inet.Sectum autem in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in di uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium cum quis audiat, forte inolentem contumelioumpu tarit. Ver probabile eft,magn cuiudam intelligenti piolem louem elle. Quod enin Hp - dicitur,non puerum ignificat,ed puritatem mentisipfius, et fynceram integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad upera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, qui derebusiutli mibusagunt, puram mentem adeffe, et recevo, iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem, et quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq cearem oftendere tibrecte illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie pericul facerem,liquid ipa proficiat peragator, et an deficiatnecne, qu mihi tam ubito ignoro equidem unde nuper illuxit. HER. Profecto mitttiden som  Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem, Hermogenes,hanc in me apientiam ab Euclyphrone Pantij filio emanalie. Illi fiquidem atiti a matutino affiduus,aures porrexi. Patet igitur eum deo plen non modo aures meas beata apientia impleuile, uerumetiam animum occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, et reliqua qu ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conenerimus,excutiamuscam, expiemus, aliquem par crutati,iuefacerdotem, feu ophitam qui purgare hc ualeat. HER. Probo hc maxi. me Socrates. libentiime nang qu de nominibus retant, audirem. soc. Ira prorus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiend iudicas,poftquam formulam quandam prfcripfimus,ut pernocamusi eti nomina nobis ipa tetantur non cau quodama.  ata fuie,uerum rectitudinem aliquam continere: Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ecundum cognomenta maiorum pofita) unt, et fpe nequa conuenit, quemadmod in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ, Itpinoy, alia  permulta.Talia itaq ) prtermittenda ceneo.decens econentaneumg maxime reperire nos qu in rebus empio Lempiternis &natur ordine ctitutis recte unt poita. Nam circa ita in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipornonnulla diuiniore quadam poten ta humanaunt intituta. HER. Prclare mihi loqui uideris, Socrates. soc.Nonne paretabipfisdjs incipere, rationem inuetigare qua bcos uocati unt: Her.Nempe, soc.Equidem ita concio.Videnturutiq mihi Grcorum prici deos solos putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbaror plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hc omnia perpetuo in cursu esse copicerent,ab hac natura moldatu f nominalle uidentur, deinde &alios animaduerttes omneseodem nominenuncu pale. Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum: Contat de dmonibus heroibus et hominibus qurendum ee, HER. Dedmonibus primum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdmo. nun nomen animaduertenum aliquid dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit, HER. Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin principio extitie? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepot przentis uit fara fieri dmones anctos,terretres,optimos,malor expullores,& cu licdes liominum.HCR. Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex auro contitut, ed bonum atos prclarum.quod inde concio, genus noftrum fereum ee dicit. HER. Vera narras. Soc. Annon putas iquis nunc ex notris bonus fc,aureihunc generis ab Heliodo ftimari? HER. Conentaneum et.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdmones prcipuenup cupat,quia fapites d'ahuonts erant.Et ex notraitud prica lingua nomen exitit. Qua obrem &is, et cteripoet permultiprclare loquuntur, quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus et, maximam dignitatem prmium ortitur,fic et d monecundum apienti cognomentIca et ipfe affero dmuova, id et apientemom- nem efle hominem, quicung itbonus, eum dmonicum effe,id et felicem,uiuenten  acc defunct, recte dmonem ncupari.HER Videor. mihi  Socrates, in hoctecum s maxime conentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequa inuentu difficile.paur lo enim heroumnomen ab origineditac,indicans generationem illorum re WTO manae. HER.Qua rationeid ais: soc. Anignoras emideos heroas effe: HER. Quid tum: soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deor erga mulieres humanas, uel amore uirorum erga deas untgeniti.Prtereai hocfecund pricam Acticorum linguam con fideraueris, magis intelliges.reperies enim qud pauliper mutat et nominis gratia ex UTO,undeunt heroes geniti: quod'ueaut hincheroum nomen et ducium,aut ex eo qud fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, et ad interrogand dierend promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam, et diputatores et amatori uidentur. Vnderbetorum ophitarum gee nusheroica prolesexitit. Verum n itud quidem difficile cognitu,im illud obfcur, quamob cauam homines vbewmoi nominantur. habesipfe quid afferas: HER. Vndeid habebone uir: Quin i reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo qudtemo lius facilius quammereperturum pero.so c.In Euthyphronis inpiratione confider se mihiuideris. HER.Abc dubio.soc. Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac pericul et nii caueam, nehodie apitior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea qudic. Hoc in primis circa nomina animaduertere de serves cet, qud pe literas addimus, lepe ctiam demimus pro arbitrio,dum nominamus, et a cuta penumero transmutamus, ut cum dicimus dicres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, et pro acuta fyllaba media, grauem pronciamus. Jn alijs quibudam literasintererimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc. Hoc et in vegen O ctingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum et,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER. Quomodo itud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud ignificat, quod ctera quidem animalia qu uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem et uidet imul &contemu platur,animaduertito quod uider. Hincmerito solus ex omnibus animtibus homovrse @puro et nuncupatus, qualiaabeau contemplans,qu n WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquram: Anuidelicet quodlibenter perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas retatim uperioribusmihi uideturdeanima et corpore cideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis funt. HER. Sine ctroueria. soc. Conemurhc quem ad mod uperiora ditinguere. Qurendum primodeanima putas, utrecte Lux nominata fuerit deindede corpore: HER: Equidem.soc.Vtigitur ubito exprimarn quod primumm. hinunc e offert,arbitror illos qui icanimuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod  hc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, repirandi,& refrigerandi uim exhibs: 9 et cum primdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur, quai awatzov, repirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem equtur,nm iftud quidem apernarenf,ut arbitror, et dur quidd ee cenferent. ed uidean hoc ibi sit placitur.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, et utuiuat et gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagor ce dis,rerum naturam omnimente quadam et anima exornari imul et contineri: HIR. Credo equidem.soc.Paret igitur eam potentia nominare quelw.qu quan,naturan, oxa et xe, id eft uehit et continet.politius autem fux profer.HER. Sicetomninoji detur et mihiitud artificiofius effe.soc. Eft profecto.Ridiculum ac quia apparere, si ita ut pofitfuit, nominaret. Quod uero pofthoc equi corpusnonne owua ncupis: HER.Certe.soc. Atquiuidemihiin hocnominepauliper ab origine declinari. nen. pe corpushoc anim omua, sepulchr quidam ee tradunt:qualiipfa prenti in tempo se ic epulta:ac etiam quia animaper corpus omualvd,ignificat qucung ohelwa lign ficare potet.idcirco et rivec iure uocari. VidenturmihiprtereaOrpheiectatores no mhocobid potiimpouiffe,q anima in corpore hoc delictor det pnas, et hocci: cepto uallo claudatur,uelut in carcere quod,utolor ferue. Effeitac uolunthoc ita utnominat,animou ce eruandigratia clautr, quoad debita quQ expendar,neq literam aliqu adciendam putant. HER. Dehis fatis dictum  Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquor deorum poemus ne ita utdeloueactum et,coniderare,fecun dum quam rectitudinnomina lint impoica: soc. Per Iouem nos quid imentem ha beremus Hermogenes, precipurectitudinismodarbitraremur,faceri nihil nos de dijs cognofcere,ne deipis inquam, neq deipornominibus quibus iplifeuocant. Con tar enim illos quidem ueris enominibusnuncupare. Secund uero recte DENOMINATIONIS modum exitimo, ut quem ad modlex in uotis ftatuit precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita et nos ipfos uocemus,tan nihil aliud cognoctes.Recte no, utmihiuidetur,eft decret.Quare, li uis,ad hanc inuetigationpergamus,primo quid djs prfati,nosnihilde iplis conideraturos: neq; enim poe confidimus:fed de homini bus potius, qua potifim opinionecirca deosaffectinomina ipfis intituerunt. Hoce  diuina indignatione procul.HER.Modete loquiuideris  Socrates, atqita prorfusa gendum.soc. Nnne Vesta fecundum legem incipiend. HER. Sicutim decet. soc. Quaratione stav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen 9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes PRIMI NOMINAM AVTORES non hebetes quid fuisse, verum acuti fublimium rerum invetigatores HER. Quamobrem: soc. Talium quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac i quisperegrinaconlide. retnomina, nihil ominus quod ibiuult, unum quodq; reperiret.quemadmodhocquod nos das, eentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia.Primo quidem ecundum alterum nomen itorum, haud procula rationeuidetur rerum effentiam siav uocari. et quia nos quod efteffenti particeps siav uocamus,ex hocrecte st poffet denominari. Superioresnoftriquondam riav,tola uocabant.Quineti i quis facror ritusanimaduerterit, exitimabit ic eosputae quihc pouert.Etenim ante deosom nes Velt facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Vetam cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeecund Heraclitum cenfuerc fluere omnia femper, nihilo conitere.Cauam igitur et iporum originem ducem ipum wow, quod impel lit.quaproptermerito ipum wola impellentcauam nominari. Dehis hactenusitalic dict,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam at, de Rheaato Saturno conidera reconuenit, quan de Saturninomine in uperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam  Socrates: soc. O boneuir, apienti quoddam examen animaduer ti. HER. Quale itud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile. HER: Quid ais: et quo pacto probabile.so c.Infpicere mihi Heraclitum uideor, i pridem a pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem, qu et Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum iparum pro - ce greflum amnis fluxuicompars, haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou gas.HER.Vera hcunt.soc. An uidetur tibi ille ab Heraclito dientire, qui aliorum a deorum progenitoribus ineruitRheam at Saturn:Nunquid putas temere illum no mina itis impouie.Quin et Homerus Oceanum deorum originem intituit, et The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, et Heiodus.Aitprterea Orpheus, Ocean primum pulchrifluum ciugium inchoae, quicum Tethy germana eua commicuit. Vide  maximehc inuicem cfonant,omnia in opinion Heracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomhaud fatis quid ibiuelit, in telligo. soc.Hocutiidem fermeignificar:quoniam fontis nomet recondit.Nam doctons et xlsus,id et caturiens et traniliens, fontis imaginem pr e ferunt, ex utrif queuero hice nominibusnomen tudcet compoitum. HER. Hoc quidem bellii mum et  Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Sicet.soc.Fratres autem eius dicamusNeptunum atq Pluton,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorus.soc. Videtur Neptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddy uocatusfuie, quia euntem ipum marisnatura detinuit,nec pro, grediultra permitit,ed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ v uocauit, quai qosideouov, id et pedum uincul.& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Foritan n hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sids, id eftmultanofcens Deus,Fortais ab eo quod dicitur cdy, id eft quatere,okwu ideft quatiens etnominatus, cuiw et d fuitadiect. Plutonem autem quali zato, id et diuitiar datorem dicimus, quoniam diuiti ex terr uiceribus eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, trite tenebroum'ue. At hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuer quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines circa pottiam Deiiftiusmultifariam errauie,eumg exhorruieemper,cum minime deceat. Porr qui ex hocpertimecit,qud nemo poftquam defunctus et,hucredit, quod'ueanimanudata corpore, illucabit. Cterum hcomnia et regnum et nomen h ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto: soc. Dicam quod fentio. Dic age. Vtr horualidiusuincul eft ad quoduis animal alicubidetinend, neceitas'ne, an cupiditas? HER. Longe Socrates,prtat cupiditas.soc.Ann plurimi,&dw quo tidie ubterfugerent,nii fortiimo uinculo eos quiillucdecendunt, uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius  neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiimo.Her. Apparet.soc.Nnne rurus mult cupiditates funt HER. Mult.so c.Ergo uehemtilimaoi cupiditate nectit eos, fimododebet inolubilinodo conectere. HER. Certe.soc.Eft'neuehemtiorulla cupiditas,  ea qua quicrafficitur,dum alicuius conuetudine meliorem feuirperat euadere: HER.Nul.. lamehercle Socrates.so C. Hacdecaufa dicend Hermogenes, neminem hucillincuel lereuerti, nec eti Syrenesipfas, im et eas et cterosomnes uauiimis Plutonis ora tionibusdemulceri.t,utratio hctetat, deus is ophita proculdubio diertiimus et ingentia confert his quipenes ipum habittbeneficia, qui u adeo diuits affatim abundat, ut tantanobis bona uppeditet,unde et Pluto et nuncupatus. Ann philoo. phitibiuidet officium, q nolithominibus corpora habentibus adhrere, sed tc dem admittateos, canimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus: Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detentur,i uirtutis eos aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore et infania corporis untinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecum tenere. HER.Nonni hil loquiuideris Socrates. soc.Longeabeft Hermogenes utnom& dos, quali cudes id eft trifte tenebroum'uefit dict,imoab e trahiturquod eft sid qvac, id et nole omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifte nomin conditore &dys et ncupatus.HER.Quid pr terea dicimusde Cereris nomine, Iunonis, Apollinis et Minerv,Vulcanig et Martis,cterorumdeorum: soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipa alimentor largitione, quai didol pektyg,hoc est exhibensmter. Kex uero, id et Iuno, quali fat, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ublimepectans quihoc nomen intituit,aeram,spav denominauit, et obcurelocutus est, ponensin fine principi quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronciaueris. DeflQKT say,id et Proerpinam, et denmw nominare nnulliuerent, propterea qudillis ignota et nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregvlw ipsam considerant,graue id illis apparet. hocautde ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft qu resfluentes attingit,& aequi poteft.Quamobrem gegraqemerito dea hcnominaretur,propter fapientiam, et Encolu, id et contacta, qepomlis, id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhret illi apiens ipe des, quia ipa talis et.Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nomint. Idem quoq circa Apollinis nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preeferat.Ann noti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocat,utarbitror,hu ius dei potentimaxime cuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Null profecto nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiet, quod et cprehenderet omnes, et iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium, medicinam, et sagittandi peritiam. HER. Aperias iam.Mirum quidd nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoitet, cononat, utpote quod ad de um pertinet muicum. Principio purgatio purificationes et ecundum medicinam,& ecundum uaticinium,item qu medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes, lauacra, et afperiones, unum hocintendunt, purum hominem et corpore et anima reddere. HER. Sic omnino. soc. Nnnedeus qui purgat, ipse erit aro awn et sp nwy,id eft abluensa malis, solvens,q Apollo ipfe SIGNIFICAT? HER. Abque Tubio.soc. Quatenusitap diluitata soluit, uttali medicus, pnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more Thealicor nominarehunc poumus.hinempe omnes deum hunc mr uoct. Quatenusatsi Boda wy, id eft emper iaculando arcu uehemens eft,s Badawy dicipo tet,hoc et,perpetuus iaculator. Secundueromuicam, dehoc et cogitand quemad modum de eo quod dicit et nrolo et  xomis,id eftpediequus,comes, et uxor, in qui. bus& ur et in alijsmultis, idem quod imul ignificat.Hic quoq && znas ignificant uerfionem qu imul et unaperagitur, quam cuerfionem dicamus.Ea in clis eft,qu per eos fit quos snos uocamus:in cantu uero et quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia in his, uttraduntmuic et atronomi periti,harmonia quad imulomnia cuertunt. Hicatdeusharmoni prfidet omonwy,id eft fimuluertenshc omnia,& apuddeos et apud homines. Quemadmodum igitoorkeudoy et Oxxosniv, id eft imuleuntem et imul iacent,uocauimus anonovlov et KOITIY, o in ermutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto, quia quiuo cfuietduro cum no mine.quod et his temporib. upicati pleriq, ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertt, perindehocmetuunt, ac si perniciem quand SIGNIFICARET. Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires cplectitur, quemadmodupra diximus. Significat elim plicem,perpetuiaculatorem, expiator et conuertentem. Muar uero et muicno men,ab eo quod dicitpes, id eft inquirere,indagatione et ftudio apienti tractelt. agt,id et Latona, manuetudine dicit,quia fic edereuwy, id et prompta et expofita et Tibens ad id quodpetit quiqs exhibend. Forte'uero ut peregriniuoct:multinamga, t nomint, quod nomen tribuie uident,quia non rigida illi mens,ed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis et mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo qud aprejs, quali integra modetaciz sit propter uirginitatis election. Forit eti qua fiageplisoge,id eft uirtutis conci, uocauit nominis inftitutor.Fortaffis eti dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cgreum oderit uiricum muliere.Vel enim propterhor aliquid,uel propteromnia huiumodinomen et intitut. HER: Quidue ro divvoos et espositor's O.Magna petis Hipponici fili.Atqui etnomin ratio his djs inpoitor gemina,eria uidelicet et iocoa.Seri quippe ab als qure,iocofam acni hil prohibetrecenere. locoi fan et difunt: Dionyuso eft dids i ciroy id et uinida tor, qual tor, quafi nobivuosioco quod cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati, oisdocevou exay, ideftmentem habe rele putent. DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ed concedere propter ipfam ex dogo, hoc et ex puma, generation opoditlw uocari.HER.Acuero Minerua,  Socra tes,Vulcana et Martem,cum fis Athenilis,ilentio n prteribis. soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alter quidem eius nomen quamobr it impofit, haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Pallad eam uocamus.HER. Plan.soc. NOMEN hoc cenendum et  faltatione in bello ductum fuie.porro uelfefe,uel aliud  terra attolles re eu manibusaliquid efferre,dicimus cmay, et wameat,id et uibrare,agitare et agitari,& altare, et altationem perpeti. HER. Ablo controueria, Palladem hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alter eiusnom quo pacto interpretaris: so c. llwa quris: HER. Id ipsum. soc. Grauius hocamice: vident prisci  blwaw exitimare,quemad, modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus unteruditi.Nam iftorum plurimi Homer exponuntbwaw tano mentem cogitationemg finie. Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,im etiam altius eam extolls,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovu, hoc eftutens  pro y externo quodam ritu, s uero et o detrahens,fort'uero non ita, ed IGavnas, id eft,utpote qu diuina cogno cat,pr cterisomnibus deoroli, id et diuina cognocent, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluie illappellareeam klovlw, qualiipa in more intelligentia fit. Ipe pot mod,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nomint: so'c. Quidais:Num ge neroum ipum pso- isog,id et luminisprfidem quris? HER.Hc quliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft, quiso eft,& x ibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis prees etdictus.HER. Apparet: niitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte, interroga.HER. Interrogo. soc. Siplacet, pys, id eft Mars, dicitur fecund gger,id et macul, et av dogov,id et forte. Quineti fi uolueris ob na turam quand aperam, duram atq inuict,immutabilem, quod totumgby appella tur, ogy uocatum fuiffe, hoc quo et Deo penitusbellicoo cueniet. HER. Prorus.Soi Deosiam mittamus per deos obsecro.Ndehis dierere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut quales Euthyphronis equiunt, noueris. HER.Faciam utpetis,i un deme qufiuero. meliquid Cratylus Hermogen ee negat. Inuetigemus ita quid pus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. quis, id et Mercurius, adermon pertinere uidetur, quatenus gjelw rs eft, hoc et interpres et nuncius, furtius inloquendo eductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ermonis et uus.Speuero dehocHomerusait ukcal, id eft machinatuset. Ex utriq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquiet,tum ex eo quodmachinari et exco gitare dicenda, perindeac i nominis autornobis prciperet: Paret,  viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id etloquimachinatus et, sipulw uoceris. Nos atarbitratiice legan tius eloqui, guli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu, id et loqui, nomen habet, propterea quod nuncia et. HER.Probemediusfidius Hermogen elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes um.Soc. Conentane quoc amice, wow biformem filium efle Mercur.HER.Qua rationer'soc. Scis qud fermo # aw,id eftomne ignificat,circuit et uoluit emper,et geminus uerusuidelicetac falsus: HER. Equidem. soc. Annon id quod et in ermoneuerum,leue eftat diuin, u pra in dshabitans.Contr quod falum,infr in hominmultis,afper ato tragic: Hincenim fabularum comenta et falfa et plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER. Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft tot nuncians, et s monasy, id et femper uolutans,7 dezros biformisMercurij filiusdiceret, ex uperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aper atok hircinus.Eftg Panuelipe ermo,uel ermo nis frater,fiquidem et Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum: Ce teri o beate, ut et paulo ante rogab, ermonem dedshunc abrumpamus. HER. Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates, huiumodiuero qudam percurrere quid prohibet. Solem, lunam, ftellas,terram, therem,aerem,ignem, aquam, ver et annum: D soc. Multa funt acmagna qu poftulas. Sicamen gratum tibi futurum et,obfequar. HER. Pergratum plane.soc. Quid primum pocis: an utipenarrabas in primis stov, id eft folem; HER. Profecto.soc.Manifetius id fore uidetur, li Dorico nomine quis uta tur. Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ecund &nizdv, id et ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id et emper reuoluitur.Prterea quia uariat circuitu uo qu terra nacuntur. Variareautem et duo. agy idem eft. HER. Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum: soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam pr se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodluna fole lumen haurit. HER.Quo pactors o coenas idem et quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy et gvoy et id et nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam circlutranseam con tinue renouatur, Vetusautem etmenis prteritilumen. HER.Vtig. soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus emperhabet,merito uocarideberetadgurteoddam Nunc autem concio uocabulo ahavice uocatur. HER. Dithyrambicum nomen hoc et,  Socrates. Verum uave, id eftmenem:& spe quomodo interpretaris. soc. Menis quidem vrs recteab vas. atroce, id etminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero et sectic, id et corucationis co gnomentum habent.  Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uium ad fe conuer. tit, nspon  dici deberet, nunc ccinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie et idap, id eft ignis et aqua:' Soc. Ambigo equid,uideturg autMua meEuthyphronisdeeruie, authocarduum quiddam effe. Aduerte obecro qu confu giam in omnibus qucunq dubito. HER. Quonam: soc. Dicam tibi.cis ipe qua ratio ne we nominat: HER. Non hercle.soc. Vide quid dehoc upicer.Reor equidmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preertim quiub Barbaris unt, habuie. HER. Quor um hc.soc.Siquis rectam itor impoitionem fecundum grc uocem qurat,non ecundum eam qua et nomen inuent nimirum ambiget. HER. Verifimile id quidem. soc. Vide ita nenomen hoc quebarbaricum it.neo enim facile eft itud grc lin gu accomodare, contataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, et . dwg et xuas,id eft canes, alia permulta. HER. Vera hc sunt. soc. Ergo distrahereita nihil oportet, quandoquidem deipis nihil dicere quiqu potet.Quapropter nomina illa ignis et aqu huncinmodum recio kzautic eft dictus Hermogenes, quia qu circa terram unt, deed,id eteleuat.uel quia aega, hoc eft emperfluit,uel quia eiusflu xu piritusconcitatur. Poet quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTcow, agzow id et piritus fluens, uel fluens flamen, dedica prterea fic exponendum arbitror, quoni a dicirca g pwy, id eft emper currit circa aerem fluens, quocirca eddeks dicipoteft.g aut, id et terra,planius fenum exprimit,igara dicatur. yaa enim recte grkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nquod gazdan dicit, genitum in re,inquit. Quid reftat deinceps. HER. Ver et annus,  Socra tes. soc. Spore quid, id eftueris temporaprica et Attica uoce dicendaunt,i uis quod conueniens et, cognocere. Hor nanquocant, quia ief80, id et terminant hyemem atftatem uentosca et fructus ex terra nafcentes. giveau tos at et nos, id eft annus,idem effe uidet. Quod e in lumen uicilim educit,qucung nacunifiunto exterra,ipum in eipo examinat et dicernit,annus eft: et ut upra louis nomen diximus in duo ect, ab aliquibus Pav,ab alijs di uocari,ita et ann quidam giardy yocant, quia in eipo, quid quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in eipo examinat.Vndeexo ratieunanominaduo electa funt.qud e limuldicit,co giair tolov,id eft in eipo examins, ditinctum dicitur griaunos, et 70s, id est annus. HER. Atuero  Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidin philoophia uideor euagari. HER. Quinim. soc.Forte'magis ccedes. Her.Verum pofthancfpeci libentilime contplarer,qua rationerectenomina ita prclara uirtutint impofira,ut ogrkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's, iuftitia, ac reliqua huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nomin ucitas, amice. Veruntamen poto leonin pellem um in dutus,haud deterreridecet,im prclara ipfa,utais,nomina prudenti,intelligenti, cogitationis citi cterorphuiumodicliderare.HER.Quin profecto prius deitere nullo mododebemus.Soc. depolnmalemihide eo conijcere uideor, quod modo coniderabam, antiquiflimos uidelicet illos nomin autores, ut et fapienti noftrorum plurimis accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, prter ceteros in cerebri vertiginem incidie:quo factum puto utres ips proferri et vacillareil lis apparert.opinionis autem huius caufam.haud interiorem uertiginem,ed exterior? cc ipfarum rer circuitum arbitrtur:quas ita natura habere e putt, ut nihil in eis firmum. ZE et ftabile fic,fed fluantomnesferanturo,& omnifariam agitentur, emper gignantur.PC et defluant. Quod quidem in his nominibus, qu nuncrelata unt, conpicio. HERM. CC Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, et iugigenerationetranslatis impofita fuie: HERM.N atis percepi.soc.Prins cipio quod primretulimus,ad aliquid huius generis attinet. HERM. Qualeitud: soc. aprnois,id et prudtia eft,qops a govrous, id et lacionis et fluxus animaduerio. Signi ficare quog potet,recipere vnou dops,id et lationis utilitat.Tdem circa ipfam agita tionem ueratur. Quinetia liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis vrnoip,id eft gene rationis cliderationem.you c quippeciderare et. voxois autem, id eft intellectio, et rov ois,id eft nouideideri.nouas uero res ee,ignificat eas fieri emper.atq hoc dei derare et aggredi animum indicat qui nomillud inuenitvsotow. principio nang vsois, ndicebatur,fed pro,duo se proferda erant,ut rebois, quafivov, id et noui toisappe. titio et aggreio.ow poowy,id ettempertia illius quodmodo diximus Opornotus, id et prudti, falus et coneruatio eft. udtskun,id et cientia, ab eo quod inftar et fequit tra &tum et,quafi res fluentesolas animus perequatur, intet et comitetur: at negexmo tra poterior,ne prcurioneicprior.Quare& interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogimus,id eft ratiocinatio qudam ee uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur etiska. Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix, id eft fapitia, agitationis eft tactus. Obcurius autem, et alieniushoc  nobis. Verum animaduertendet in poetis, quoties uolunt aduentantem aliquem et irruen tem exprimere,ovulo.id et erupit,profiljjt,dicere.Quin et illuftricuidam apud Laced. moniosuiro nomen erat os,id et prpes.Sic enim Lacedmones ccitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia perferantur, huiusipiusagitationis, qu eo quod oos di citur,ignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aophia demontrat..yglxid et bonum cuiufqsnatur  y sy,id eft mirabile, amabile,delectabile ignificat.Enimuero potos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas inet.Eft igiturnon omneuelox, fed ipius aliquid  y  soy.Quod quidayasov ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iutitia,quod xaiov oubsou idet iuti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem ipum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod dictum et cocellum,reliquum uero dubium. Etenim quicung totum mobile arbitrantur, plurimum agitari ipum exitimt,per omnealiquid permanare quo fingula fiant, quod'ue tenuilimum fit et uelociimum.Nec enim per omniadicurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit obliterepenetrci,& adeo uelox, ut cteris quafi tancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlaov, id et dicurrens et permanans, merito dinglov eft appellat, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te dicdideiderio flagranshc omnia perfcrutatus um,& in arcanis percepiquod hoc ipum iuftum it, et caua.quo enim res ipf fiunt,hoc et caufa:proprie ita uocariitud debere quipiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex., quiro quid ipfum iuftum it, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, et caueam,utdicitur,uall upergredi.Satis enim femperrogaeme et audi- Prouerbia ferepondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coentiunt. Quidam ait iut hoc, folem effe.Sol quippe folem dicurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualiprclarum audierim, refero, ftatim ille meridet, qurito nunquid exiftimem post solis occaum iuftnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuft exitere.neqid cogni tu facile, quarealius,inquit,nignem ipum ed ipum potius innatum ignicalor.Alius hc omnia pro nihilo habet.ee enim iustamentem ill qu induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem.Hic quidem  amice in maior ambiguitat fum prolapsus, qum antea dum nihil deiutitia clcicabar.Cter utredeamus ad id cuiusgratia diputaus,nomillicale propter hc, quale diximus,eft tribuc.her. Videris  Socrates, ex aliquo audie hc, nec ex tua officinaruditer deprompiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita. soc. Atten de igitur; forte'nansin reliquis te deciperem, quali qu afferam non audierim.Potiu ftitiam quid retare avdgay, id eft fortitudinnondum peregimus.iniutitia faneobtacu lum eiuset quoddilcurrit per omnia, dvd pi in pugnauerfatur.pugna in rebus fi quid fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ubtraxerit ex nomine hocadipi,nomen quod reftat aveia, opusipum declarat. constat plan qud non flu xus cuiuqz contrarius gom id et fluxus,fortitudo eft,fed oppoficus illi quiprter iutum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eet laudabilis. ew autem,ideft mas, et civip,uir  imili quod ductorigin,cilicet ab vw gom,id et urum fluxu.pusuero,id etmulier, quafi jov, id et fcunda et generatrix,biv,id eft fmina.cn? Begrs, id et papilla dici tur,ox sacuideturHermogenes dici,quia retrac, ideft germinare pullulareg facit,ut irrigans ea qu irrigantur.HERM.Sicapparet, Socrates.SOCR.Idride,id et uirecere, adolecere, florecere, augmentum iuuenum reprentat, quai uelox quiddam et fu bicum, quod innuitille quinomen conflauit ex leiv, id et currere, et &Ma, id eft faltare. Animaduertismeuelui extra curum delat,poftquplana ac peruia nactus um: Mul ta quoqz uperunt qu ad eria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quoru num eft utuideamus quid de xuwid et ars importet. HERM. Prorus.SOCR.Nonnehoc uu v, id et habitum mentis otendit, i z demitur,intererifautomedi inter x et v,& interv et nzovn: HERM. Aridenimi Socrates et inculte. soc. Anignoras beateuir no mina uetera ditracta iam effe,atq cfua  ermonis tragicitudiois,eleganti gratia ad dentibus et fubtrahentibus literas,ac partim tporis diuturnitate, partim exornationis& ftudio undiq peruertcibus ucecce in na rw,id eft fpeculo, aburd eft ipliusaddi  tament: Talia certe,ut arbitror,facitquioris illecebras pluris timant ueritatem. Quamobr c multanominibus ipis adiecerint,tdem effecert, utnemoiam nomindu fenfum animaduertat.Quemadmoddum o qiz,id etmtrum quodd proferunt,ccl oqiya pronunciare debert,ac cteramulta. Profecto fidareturcui arbitratu uo et de mere& addere,magna utic eet licentia, et quodlibetnom cui rei unuquiq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ed enim mediocritatem quandam aros decorum eruare te decet prsidem sapitem.HERM.Outinam.soc.Atqui& ipe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium dicuione, uir felix, exquiras, neuim meam prorus exhaurias.Afcendam quippead upradictorum apicen: posto post artem cli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationexcogitationemg olertem. Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere et acdere.Componitur ergo ex his duobus, pxos, id etlonge et multum, et dvey,id eft acendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adummam dictorum perueniendum eft, qurendum quid nomina ita significant, opeta, id est uirtus, et xcxi,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere uidetur.Nam uperioribusomnibus cononar,nempetanquam eancom nia:Kards sok,id et male uadens:xari, id eft, prauitas erit. quarecum animamale adres ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihcfa. culcas inoshiq,id et timiditate patet, quam nondum declarauimus. prtermiimuse nim. Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre. Multa inuper alia pr terieuidemur. ddnc SIGNIFICAT durum anim uinculum.doms enim uinculum et.nian uero forte quiddam durumg SIGNIFICAT quare timiditasuehemensacmaximum et ani m uinculum: quemadmodum et exec,id et defectus inopia, dubium,malum quidd et,ac fummatim quodcun progreus ipfius impedimentum,id male progredi uide tur otendere,in ipa uidelicetmotione impediri at detineri. Quod cum animaubit, prauitate plena dicit. Quod i illud prauitatis nomen talibus quibudam cpecit,contra rium osti,id et uirtus ignificabit.In primis quid facil agilem progreffum, deinde folutum et expedit anim bon impetum effe oportet. Quamobrabloaz impedimto obtaculog s bov,id et emperfluens iure cognominari poffet adgftn.fort uero et  degerli uocatquis, quia litaliftas ap&TUTTys,id eftmaxime eligend. Verum collio uocabulo obetxdenominatur. Foritan mefingere dices:ego autem aero, imodo no men illud prauitatis quod retuli,recte et inductum,recte quoc et itud uirtutis nomen induci. HERM. Arranw,id eftmalum,per quod in uperioribusmulta dixiti, quid ibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac inutu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam. HERM. Quid itud: SOCR. Barbaricum quiddam et hoc esse dicam. HERM. Probeloquiuideris. soc. Cterum hciam fi placet mittamus, nominauero ita menon et degev, id et pulchrum et turpe, conideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum uperioribus conuenit. uidetur quinomi na tatuit, paim agitationis impedimentum uituperare.utecce,s igorri zion pouw, id eft femper impedientifluxum nomen dedit aegggow. Nuncuero collidentes degsw appellant.HERM. Quid nonoy, id et pulchrum: soc.Hoc cognitu difficilius, quanquam ip um ita deducitur,utharmoni duntaxat et longitudinis gratia ipum  it productum. HERM. Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum quoddam esse videtur. HERM. Quiitud ais:'soc. Quam tu cauam appellationis rei cuiu cenes: an n quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nnne causa hc cogitatio est veldeor, vel hominum,uel amborum: HERM. Nempe.soc.Ergo xaroa,ideft quoduocatres, et kxav,idem accogitatio unt. HERM.Apparet.soc. Qucunq mens et cogitatio a gunt,laudanda unt:qu non, uituperanda. HERM. Prorus.soc. Quod medicin par. ticeps,medicin opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis? HERM. Idem. soc.Pulchrum ita pulchra. HERM. Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM. Maxime. soc. Nomen ita @ hoc narv, id et pulchrum,merito erit pru denti cognomentum,talia qudam agencis, qualia affirmantes pulchra ee,diligimus. HERM. Sicapparet. SOCR. Quid ultra generis huius reftat invetigandum: HERM. Qu ad bonum et pulchrum pectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria. soc. Quid our popov,id et conferens it,ex uperioribus ip einuenies. Nam nominis illius quodad cientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim pr e ferc aliud quam qopav,id et lationem anim imul cum rebus, qu ue hinc proueniunt,uocari orredoporre et ovu qopa, id et conferentia,ex eo quod fimul circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem, id eft emolumentum: 7 koe dos, id et lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult exprimit. N bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id et micetur diffuum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud excogitauit pro vap ponens, ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id eft utile soc.Vides tur  Hermogenes,non icut cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despax, id et umptusuitat et minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem rao-, id eft finem progreionis accipere at ceffare: ed oluitfemper ab illa fugat,fi quis terminusfuperueniat, ipfams indeinentem immor talemg prbet.hac rationebonum avame18yuocat arbitror.ipum enim motionis a ou do ro, id eft foluens terminum,avandou uocari uidetur.conomoy uero, id et con ducibileperegrinum nomet, quo penumero Homerus et uus. Eftaut hocaugen difaciendio cognomtum.Her.Quid de hor contrarijs et dicendrsoc. Qu per negationem itorum dicuntur,tractarenequaquam oportet. HER. Qun itar'sOc.co.uk gogov,kiw deres davands, axopdes. HERM.Vera loqueris. soc. Sed Brabopov et yuso s, id eft noxium et damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe dicit,id et quod uult& nav, id etimpedire et coercere:pu id eft fluxum:hocautem passim uituperat:quod uultanlay gp pouw, recte bonomopou appellaret. uerum ornatus gratia Brabopn arbitrornominat. HERM.Varia tibifuboritur, Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladi legispraeludi quodd prcinuie,dum no men Bracoitopy pronunciares. so. Nego in caua um Hermogenes,fed quinomip um intituerunt. HERM. Vera loqueris. Verum Caudoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: et uide uere loquar,quoties dico quod addtes ac de mtes literas lge nomin enum uariant,adeo ut pe exigu quidmutantes, ctraria SIGNIFICATIONEM inducant quod apparethoc in nomine dear,id et opportun. uenithocnu permihiin mtem deeo quod di& urus um cogitanti.Recs et profecto uoxnobispul chra illa,coegit ctrarium onare nobis d'top et {mps&d ov, fenum ipum cfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais: soc.Dicam equi. dem.haud prteritmaiores notrosfrequentero et d utiolitos,necrariusmulieres,qu maximepricam uocem feruant.Nunc autem pro uelipfum et uelx adhibent, produe. ro (quali hcmagnificentius quiddam onent. HERM. Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores autem partim uopov,partim su'pow,co cant. HERM.Vera hc funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impouit declarari.Nam ex eo quod imeipzory, id et deiderantibus homini bus gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam arbitrantur nnullispopov dici,quod kuopa,id eftmueta qug efficiat. HERM. Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyv,id eft iugum, dvozov uocaui fe. HERM. Plan. soc. Enimuero luzw nihil aperit. at d'voyou,divoiy dywylw,id et duori conductionem ligandi imul gratia,monftrat.Idem eftdemultis alijs iudicand. HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum ctrarium nominum omni qu ad bonum pectant otendit.porro bonipecies exitens,dondeous,id eft uinculum quod dam et impedimtum proceionis effe uidet, tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet, Socrates.Soc.Verum nicin nomineueteri, quod ueriimilius etrecte intitutum fuiffe, qum noftrum. Nempe cum uperioribus bonis conenties,fi pro 4,1 uetus retituas.Nec enim deby;ed toy bonum illud ignificat,quod emper nominlaudat inuentor: At ita fecipendiidet, imad idem pectat,d'ion, quali , , , , , , , ideft facile ad pro, greffum.uniuer hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrs, omniaq pe rornans,id ubiq laudat: qd uero obftat et detinet, improbata. Quineti nominehoc {Butds,liyeter mored profpoueris,apparebit tibinomen itud disutis boy, id eft li ganti fiftenti quod pergit,impofitum.unde et Musdes cognominandum et. Herm. Quid dura,nmy, uslupia,uoluptas cilicet,dolor, cupiditas, Socrates, et huius generis reliqua: soc.Haudnimis obcura mihi uidentur Hermogenes, idbvi,id et uoluptas lir quidem actionis illiusnomen et, qu advgay, id et utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo quod et sova,dova proferatur.Ajax, id eftdolor, Stans Gews,id etdiolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiumodi paflione corpus diffol uitur.xvc, id et trititia, quod impeditigio,id eft ire,demonftrat.& aguda, id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ngdv dictum.duig,id eft dolor et afflictio,ab gdl Oews,id eft ingreionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Crigol, id eftmoe ror languor,lationis grauedinem tarditatemg ignificat. xto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero,id et ltitia gaudium, diazrews, id eft profuione, et progias, id eft facilitate,poas, id et motionis anim, dicitur. Tosalesid et delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur. Topavoy autem  trom,id eft inpiratione delectationis in anim Quaremerito uocaretur garv,id et inpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum et.cuqpoouis,id ethilaritas et alacritas, quam ob cauam dicatur,aignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod dicitur e, id et bene. oum @ opeally id eft unaequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus. Sed neg difficile est assignare quid sgutta, id etcupidi. tas ibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id est animam et iram et fu rorem oftendit. Ovus autem  loews& toews,id eft flagrantia, feruore,& impetu anim. proindeiupo,id eft fuauis et blandaperfuio,dicitur,jm,id et fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga,ideft incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum iue incitamrum fluxus.ab hac tota uiHimeros et nuncupatus.Prterea Pothos uocatur,id et deiderium, quod fane prfentem fuaui tatem n repicit, quemadmod iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturquali wvrG,id eft abentis ccupicentia.Idem ipe in id quod gratet animinixus,pr ente co quod cupitur iuopo,abente wlo denominatur. iews autem, id et amor, quia doga,id eft influit extrinecus,neg propria et habti gas,id et fluxio ilta,fed infua per oculos. Quapropterabcogar,id et influere,opo, id eft influctio, amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem pwsdicitur,wproo interpoito. Ve. rum quid deinceps coniderandum prcipis? HERM. dlf, id eft opinio, et talia qud, undenomen habentisoc.dke,uel  diwa,id etperecutione dicit, qua pergit et pro equituranima, conditionem rerum inueftigans:uel tfo Borm,id eft arcus iactu. uides turautem hinc potiusdependere. oinois, id eft exitimatio,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id et ingreum animin unumquod coniderandum, oioy,id et quale fic:qu admodum et bons,id eft uoluntas a Bor,id et iactu dicitur: et Bns, id et uelle, pro pter ipum attingendinixum ignificat etiamlis,id et cupere:& Bonbuch, id et cu lere. Omnia h copinionem fequentia,Boras ipfius, id et iactus et nixus imagines ee uidentur.quemadmodum contrarium, et boni, id et priuatio uoluntatis,defectusquid conequendiimpos apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipicatur.HERM.Frequentiora hc congerere uideris,  Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc, vyxlu et Exonoy,id et necearium et uo luntarium declarari. Nempe uperioribusilta uccedunt.socRxozoy equidem eft si noy,id etcedensneg renitens, hoc fiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id et ces denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id et necearium et obfi tens,cum prter uoluntatem it,circa errorem infcitiam uerabitur decribiturautem ex proceu ecundum neceitatem, quoniam in uia apera dena inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum et,quali per et yroscop,id et per uall uads.Quou uero uiget robur,ne deeramus. Quamobr interrogaamabo, ne deitas. HERM. Ecce rogo qu maxima unt et pulcherrima: aksaa,id eft ueritatem, et fordo,id eftmendacium, et y,id eft ens, et quareid quodehicagimus,voua,id eft nomen, dicitur. SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicurv, id et ens esse,cuiusnomen inquiitio et. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus vojasy, id et nominandum. hic enim exprimitur nomen quid it, entisuidelicet inquiitio. &ikba uero ficut et alia componiuider.Nam diuina entislatio, nomine hoc includitur, ankd, quai exitensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium motionis. Rurushic uurpatur agitationis obstaculum, quod'ue itere cogit. Nam  reboudw, id et dormio dicitur. 4 uero adiectum enum nominis occulicouuero et Xoia, id estens et essentia,cum et rx66, id etueritate, congruunt: fic apponatur.namrov, id elt uadens ignificat.Atdrv id et non ens,quidam nominant xxcov, id et non uadens. HERM. Hcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturqu fitrecta itorum interpretatio, qu di cuntur ov, id et uadens:gov, id eft fluens,doww,id et ligansac detinens, quid illi potii. mum repondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper uccurrit no bis aliquid, cuiusreponione quicquam uideamur afferre. HERM. Quale itud: soc. Viquodminime cognocimus, barbaricum ee dicamus. fort enim partim reuera talia unt: forte'uero partim, ac prertim nomina prima,temporum confuione infcru.  tabilia.Etenim cum paflim uocabula ditrahantur, nihilmirum eet i pricalingua cum  notra collatanihilo  barbarica uoce differret. HERM.haud alienum et ratione quod a dicis. Socr. Conentanea quidem affero, non tamen idcirco certamen excuationem uidetur admittere.Sed conemur hc diquirere, ato ita conideremus: fiquis femper uerbailla per qunomen dicitur, qureret,rurus illa per qu dicuntur uerba, cici taretur, pergeretob ita perquirere, non'ne qui refpondet, defatigari tandem et renuere cogeretur: HERM. Mihiane'uidetur. SOCR. Quando ita quireponum denegar, merito ceabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, qu cterorum unt& ermonum et nominum elementarHcutio fi elementa funt,ex alsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum upra et yaly,id et bon diximus, ex  y s, id etiucundo amabilio, et 805,id eftueloci compofitum.gooy rurus ex alijs conftare di cemus,illa ex alijs. ed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alisnominibusno cotituitur,merito nosad element peruenife dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina, referendum. HERM. Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina elemta funt oportet rectam illorrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hcredacta uidentur:ac i ita e res habet, ut mihiuidetur, rurusage hic unamecum conidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc. Arbitror equidem in hoc tecentire,unam efferectam et primi& ultiminominisrationem, nul lum illorum eo quod nomen est, ab alio dicrepare. HERM. Maxime.so c.Etenim om 2 nium qu upr retulimusnominum recta ratio in hoc cticit, ut qualis qu res litin 7) dicaretur. HERM. Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt. HERM. Prorus.so-c.Atquipoteriora no. minaper priora hocefficere poterant. HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia n prcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendt, i nomina effe debet: Adhoc mihireponde. iuoce et lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti, manibus capite et cterismembris ignificare tenta uiemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supern quippiam ac leue demonftraturi, clum uerusmanum extuliffemus, ipam rei naturam imitantes: inferiora uero et grauia deiectione quad humiinnuillemus. quineti currentem equuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum imilitudi nem quam proximequio finxiet. Herm. Necelari quod ais eemihiuidetur.soc. Huncinmodutarbitror his corporis partibus ostensum eet, corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postqu uero uoce, lingua, et ore declarare uoluimus, nnne ita demum per hcotenio fiet,li per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio: HERM. Necearium puto. soc.Nomen itaq et, urapparet, imitatio uocis, qua quiquis aliquid imitatur,per uocem imitat et nominat. HER. Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum existimo. HERM.Quamobr: Soc. Quoniam hos oui et gallorum cterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem qu imitantur. HERM.Vera loqueris. SOCR.Decereid cenes: HERM. Nequaquam sed qunam  Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis qu permuicam fit,quamuis uoce fiat,nec eti eorundem quorum et mu. fica imitatio et,nec enim permuicam imitationem nominare uidemur. Dico aut ic: Adetrebusuox et figura color plurimus. HERM. Omnino.soc.Videturmihiiquis hcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cfiftere. hfiquidem unt partim muica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia ee cuiq putas, quemadmod colori et cteris qu upr diximus: an n inet coloriacuocieentia qudam,& alijs omnibus qucunc essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiu eentiam imitari literisfylla. bisc ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM. Maximequidem. Soci Quem hunc ee dices: uperiores quidem partim muicum,partim pictorem cognomi nabas,hcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihi Socrates quem iamdiu qurimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc et,coniderandum iam denominibus illis qu tu exigebas, pess, idet fluxu,igra,id et ire, goews, id et detentione,utrumli teris yllabis luis reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm.Prorus. soc. Ageuidea musnunquid hcola primanominaint,an fint et alia prterhc. HER.Alia equidem arbitror. Soc. Consentaneum est cterum quis ditinguendimodusunde imitari incir pitimitator: Nnne qudoquidem literis ac yllabis eenti fit IMITATIO, prta tprimu elementa distinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam, elementorum primo uires ditinguunt, deinde syllabarum tanium, rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam. HERM. Vtiq.soc.Annon ita et nos primo oportet literas VOCALES distinguere, poftea reliquas ecundum pecies, mutas et SEMI-VOCALES. Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurus uocales quidem,non tamen emiuocales, et ipar uocalium pecies inuicem differentes. Etpoftquam bcbene omnia dicreuerimus,rurus induce, renomina,coniderareg i untin qu omnia referuntur, quemadmodum elementa,ex quibuscognocere licet& ipfa, et fi in ipis pecies continentureodem modo ficutiner lementis. His omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secdum fimilitudinem unumquod, iueunum uniit admouendum, eu mulc inuicem commicenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat color adhi bent,interdum quemuis alium colorem, quandoque multos conmiscent,ueluti cum imaginem viri quam similimam effingere volunt, vel aliud quiddam huiusmodi, quatenus ima goqueo certis coloribus indiget. haud ecus et noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur:oumbona , id et coniecta conficiemus, quas yllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eis nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam et pulchrum et integrum contrue mus:& quemadmodum totum ipum compoitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegr; orationem uel nominandi peritia,uel rhetorica fbricatam,uel alia quauis qu id efficiatarte.Imno nos itudagemus.modnam loquendo trangref fus fum, quippe ueteres ita conflarunt,fi ita et contitutum. Nosautem oportet,fimodo artificiofe conideraturiumus,ipa omnia fic ditinguentes, fiue ut conuenit primano mina et pofteriora int poita,iue non,ita excogitare.Aliter autem cnectere uidend eft amice Hermogenes,ne forte it error.Her. Forte per louem  Socrates. soc. Nun quid ipfe cfidis ita te posse ditinguere: Ego enim mepoe diffido. HE.Multo igitur magis ipe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et i pa rum quid horum noe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfupr,dis prfati:ucq illis ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones homindeillis concere:ita et ncper gamusnobiipi imiliter prdicentes, quod fi quam optime ditinguenda hc fuiffent, uel ab alio quopiam,uela nobis,ic certe ditinguereoportuiet: nuncautem,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit. Admittishc'uel quid ais.HER. Sic prorusopinor. soc. Ridiculum uium iri  Hermogenes, arbitror, quod res ipf imitatione per literas fyllabas a factamanifeta fit. Necearium tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod repicientes deueritate primorum nomin iudicemus:nii forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt, cmentiris quibudam machinamentis ad deosco fugiunt,ita et nos ocyusrem expediamus,dicentes deos prima nomina pouie, et idcir corecte intituta fuie.nunquid potiimusnobis hic fermoran ille, quod ipa a barbaris quibudam accepimus: Nobis quippe antiquiores untbarbari,uelqud ob uetuftatem ita ea dicerninequeuntut et barbara: Tergiuerationesh unt, et belliim quidem, illorum quicunq nolint derecta impoitione primorum nomin reddere rationem. Ete nim quiquis rectam primor nominum rationem ignorat, equentium cognocerene quit.hcporr ex illis declaranda unt,illa aut is ignorat. quin potius neceffe eft fequ tium peritiam profitentem,multo prius et abfolutius antecedentia comprehendiffe, por feq otendere, aliter autem ciredebet fe in sequentibus deliratur.an aliter ipe confess HER.Haud aliter Socrates. soc. Qu ego enideprimis nominibus, inolentia ridicu lag admodum ee mihiuidentur,ea tec, i uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius inueneris,mecum et ipe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipum g uelut inftrumentum omnismotusee uidetur. Curautem motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors, id eftitio ee uult.Non enim quondam, fedeutebamur.principiaut ab liay, id etire, quodperegrinum nomen eft,& igra,id etire ignificat.Quare fi pricum eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum, recte i'eois APPELLABITVR. Nc autem ab kiau nomineperegrino, et ipfiusy conmutatione, et vipius interpofitione livyoisnuncupatur. Oportebat autem sidingoy uel any dicere. sas,id eft ftatio,negatio ipfius iga, id eft ire ele uult, ed ornatuscaufa sas denomi natur.Element itaq ipum qopportunm motus intrumentum, ut modo diceb,uium et nominum autori ad ipfam lationis fimilitudin exprimend: paflim itaggad motus expreion utitur.In primo quidem ipo jau et go, id etfluere, fluxu per literampla tion imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya apero.item in uerbis huiufmodi, kdy percutere,&gaver uulnerare, ordy trahere, @ gndu frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pu du uacillare, irritare, et circumuerare. Hcomnia ut plurimperp ad similitudinem motionis effingit. Mitto enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur. Quocirca ad itor expreione iplo s potiim uus fuiffe uider. Vfus eft &, scilicetiota, ad tenuia qu per omniamaximepenetran tia.idcirco igra et icadou, id eft ireprogredi per o imitatur. Quadmod per 4.0, qu E liter uehementioris fpiritus unt, talia qudam nominum autor exprimit, fuzew frigt dum, (soy feruens, osoatare concuti, et communiter aconoy, concuion quaffationem: quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipiusd cpreionem aco, lingu et uelut ha. rentis retractionem, peropportun exitimae uideturaduinculi&ftationis potenti exprimendam. Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga, id et lenia et rcdaerah labi, et noMdeslie quidum,Ascrapov pingue, ctera huiumodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy lubricum, gauxudulce, yrdes uicoum, luculentum. Animaduertens quo&ipfius v onum imoin gutture detineri, eo nominauit so vdby et te gutos, id etd intus et, et qu intrinfecusunt, utres per literas reprentarer.Ipum uero w,meyer@,id et magno tribuit &ipum % ukus,id et longitudini, quoniamma. gnliter unt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum,ipfo o indigens, o ut pluri mummicuit. Eadem ratione ctera ecundum literas ac yllabas rebus ingulis accom modare uidetur nominum autor,ignnomenocontitus,ex his deinde pecies iamre liquas per imilitudinem contituere. Hc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio, nii quid aliud Cratylus hic afferat. HER. Etenim  Socrates, fpemeturbat Craty lus hic, uc  principio dixi,dum ee quand afferit rectam nomin rationem, qu uero sit, non explicat, utdicernere nequeam utrum de indutria, nec'ne adefit obcurus. In prentia igitur  Cratyle,coram Socrate dicas, utrum placeant ea tibi qu Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate dicas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur netibi Hermoge nes facile ee tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem tantam, qu maxi mum quid demaximis stimatur. HER. Non mihi per louem, quinim cite loquutum Heliodum arbitror, quod operprecium it paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed et Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem  Cratyle, nihil eorum qu upra comemoraui; aerer.Nem peutcunq; uiumet, cum Hermogene hoc indagavi quocirca aude fi quid melius habes, exprimere, tanqu im libenter,quod dixeris,ucepturus. Neqz enimmirarer liquid tu hicehaberesprclarius. Videris porr &ipfe talia qud conideraffe, &ab alijs di dicie. Siquid ergo prstantius dixeris, me interdiscipulos tuos circa rectam nomin rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi  Socrates,utais, cur hc fuerunt,ac forte dicipulum te efficerem.Vereortamen ne contr omnino e res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerus Aiacem in acris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populor princeps, omnia mea ex ententia protulifti.Ita cu quo que Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inpira tus, iue Mua qudam tibipridem inhrens nuncte protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quo fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido. qua re examindum quid dicam, exiftimo.Namaeipo decipi grauiimum et nimis enim 2 periculosa res eft, quum eductorabet nunquam emperdeceptum proxime comita, tur. Oportetitao superiora frequter animaduertere, et utpoeta ille ait, ante illa retros conpicere.Atqui &in prsenti videamus quid  nobis sit dictum. Rectam diximus nominis rationem, ququalis quqres fit, oftendit.Nunquid ufficienter ee dict afferi mus: CRAT. Ego quidem aero.soc. Docendi igitur gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorus. soc. Annon et artem ee hancdicimus, et ipfius artifices: CRAT. Maxime. soc. Quos. CRAT. Quos  principio tu legum &nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem imiliter at alias inee hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam deteriores unt,quidam prtantiores? CRAT. Sunt.soc. Nnne prstantiores opera sua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: ctericontra: Aedificatoresquoq imiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficit: CRAT.Sic et.soc. Nnne et legum ipsar autores partim opera suapulchriora, partim turpiora efficiunt: CRAT. Haud ampliusiftud admitto. soc. Non ergo leges alimeliores,deteriores ali tibiuidentur. CRAT. Non. soc. Nec eti nomen utapparet, aliud melius, aliud deterius impoitum ARBITRARIS. CRAT. Negitud. soc.Ergo omnia nomina recte poita unt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaunr. soc. Quid de huius Hermogenisquod upra dictum et, nomine: Vtrum dicend non effeilli iftud impoitum, niiquod quo geridews,id eft Mercurij generationis illicompe car: Animpoficum quidem, non tamen recte: CRAT. Nec impositum esse  Socrates, arbitror,fed uideri.ee autem alterius cuiusd nomen, cui natura inest qu nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem ee eum dicit:Nec enim hoc eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem ee,cum non fit. CRAT. Quaratig ne id ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere fala,ermo tuus conftat, et circa id ueracur permulci nempe amice Cratyle, et nunc PRDICANT et quondam aerue runt. CRAT.Quo pacto  Socrates,dum dicit quis quod dicit quod non et dixerit; An non hoc et falla dicere,qu n unt dicere: soc.Prclarior hic fermoamice,quam con dicio mea et tas exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui fala non poe aliquis tibi ui detur,fariaut pofle? CRAT. Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare: Quemadmodum liquis tibi obuiushopitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hopes Athenienis, micrionisfili Hermogenes. illeloqueretita,uel fari dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaret ita, non te quidem,ed hunc Hermogenem,aut nullum: CRAT.Videtur mihi  Socrates, incaum hc ite uociferare.so c.at habeo. utr uera uociferat, qui ita clamat, an fala: Anpartim uera, partim fala: Namhoc quo queufficiet. CRAT. Sonare huncego dicam feipfum frutra mouentem, ceu fiquis ra puler.soc.Animaduerte Cratyle,utrum quoquo modo conueniamus.Nne aliud no men, aliud cuius nomen et,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omni. So c. Et picturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero, force'ego quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forit recte loqueris.poffumus has imitationes utra et picturas et nomina rebus his quar imitationes unt, attribuere, nec'ne: CRAT. Poumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit aliquisuiri imagin uiro, &mulieri mulieris tri buere, et in alijs eodem pacto: CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu lieri,& mulieris uiro. CRAT. Ethoc. soc. An utrqueditributioneshuiumo direct sunt: uelpotiusaltera,qu cui proprium fimileg attribuit: CRAT. Mihi quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum imusamici, in uerbis pugnemus, aduerte quod dico. Talemego ditributionem in imitationibus utriqz tam nominibus picturis rect uo co. et in nominibus nrectam modo, fedueram. Alteramuero disimilisipius tributio nem illationem non rectam,& in nominibus prterea falam. CRAT. Atuide  Socra tes,nefort in picturis duntaxat id contingere poit,ut quis male dipertiat, in nomini bus autem minime,fed neceari it recte femper adcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri potet ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hctua figuraet, oten datk illi forte'uiri illius figuram, forte'eti mulieris: Oftendere, inquam, enibus oculo rum offerre. CRAT.Certe.soc.Nnneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est, quemadmod et figura. Dico autita.Nn ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aur idem infundere,fort'eius imi tationem dicendo quod uir et,forte' uero fmin cuiud generis humani imitation, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc aliqudo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates, licefto.soc. Recte facis amice.aci id ita fe habet, controueria iam tolletur. Porr si in his huius modi qud partitio fit, alter uereloqui,alterloqui fala uocamus.Si hocaccidit, et poumus non recte nomina ditribuere, et qunon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nomina ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio quippe,utarbitror, et uerborum &nominum cpoitio. Quid ad ita Cratyle: CRAT. Quod et tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quineti si prima nomina ad literas ipas quad imitatione referimus, ctin. gere potet in his quemadmod in picturis,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg; adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim uperaddamus,partim ubtraha mus,plura et pauciora exhibeamus. Nne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so.. Quicuenientia oia tribuit,pulchras literas et imagines reddit. Quiuero addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipe facit, fedmalas,CRAT. Nempe. soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eentiam imitatur,nnne eadem ratione fi compertia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen exitic.finautem in paucs defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed non pulchra: Quamobrem nomina qu. dam beneintituta erunt, qudam contra.CRAT. Forte. soc.Forican ergo nominum hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nnne huic nomen erat nomi numcditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmod in cteris artibus con. ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hc funt. Verum cernis  Socrates, quotiens has literas  et B et quoduis elementor nominibus per art grammaticamattribuimus, iquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem cribimus;non tamen recte, im uero id nullo modo fcribimus, quin potius tatim aliud quidd et, c primum hor aliquid patitur.soc.Vidend Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortais qucune aliquo ex numero contare uel non csta renecee et, id quod ais perpetiuntur, quemadmoddecem, autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus quoc additouel ablato, alius tatim efficitur. Fort uero qua litatis cuiuslibet et imaginis haud eadratio et, ed diuera. Neg enim omnia imago ba bere debet quc illud cuius imago et, li modoet imago futura. Animaduerte num aliquid dicam. Anduoqudam hcerunt,Cratylus uidelicet, et ipfius imago, iquis deo rum nmodo colorem tuum figuram expreerit,ut pictores olent,ed interiora qu que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem, calorem, motum,anim, fapienti; &ut breui complectar, talia prorus effinxerit omnia, qualia tibiinunt: Varum, inqu, alterum itorum Cratylus erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT. Cratyli  Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem ee qurendam, qumillorum qu paulo ante diximus ne cogendum effe liquiduel additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusit imago Annonentis quant deet ima ginibus, ut eadem habeantqu et illa quor imagines sunt: CRAT. Equidem.soc. Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina unt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrum illorutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum effe:nec cogas omnes literas continere,ade ut penitus tale fit, quale et id cuius eft nomen:ed mitte liter quoq mi nus congruam afferri qudoq:i literam, &nomen imiliter in ermone: i in fermoneno men,ermonem inuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari dici,quoad rei ipiuscuius fermo eft figura,init: quemadmod in elemento rum nominibus qu nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorus adint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap  beate,mittamus,nequemadmod qui in Aegina noctu circumuagtur, fero iter peragt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera erius qum deceat, peruenie uideamur,uelfalutem aliam quand exquiras rectam nominis rationem,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porr i ambo hc dixeris, tibi ipfe contare &conentire non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui  Socrates.at que ita pono.soc. Potquam de his conentimus, quod retat dicutiamus.Si bene no men poitum ee debet,oportere diximus literas fibi cuenientes inee. CRAT. Plane. soc. Conuenit autem ut liter rerum fimiles inint. CRAT. Omnino. soc. Quigi tur recte unt poica ita pofita unt.Siquid autem non recte poitum et ut plurimum qui demex conuenientibus imilibus literis contat, fi quidem imago et.habet aut et ali quidnon conueniens,propterquod non rect et,nerecte nomen et intitut,Sic'ne an aliter dicimus, CRAT. Nihileft  Socrates, ut arbitror, contendend: neq enim mihi placet,utomen quidem ee dicatur,non tamrecte poit. soc.Vtrum hoc tibi non placet, quod nomreiipfius declaratio lit: CRAT. Placet. soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedict putas: CRAT.Probe.soo Enimuero prima i quorund declaraciones effe debent, habes'ne mod commodiore quo id fiat, qa li talia fit,qualia illa funt qu declarari volumus:Anmodus ite pocius ei bipla. i biplacet, qu Hermogenesalij plurimi tradunt,qud uidelicet nomina conuentiones qudam lint ijs qui ita cotituerunt, acresipfa prcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in cuentioneconitat,nec interit utrum quis ita utnunc ftatut et de cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruuocatur, o magnum cognominetur, wuero quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT. Prtatomnino Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris. Nneli nomen rei imile et,necee et elemra ex qui bus prima nomina cponuntur,natura ipa rebus ee fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox pictur iz upra diximus,rei cuiuqu imilem effinxiet,nii colores ipfi qui bus ctatimago, efTentnatura reiillius imiles quam pictoris tudium mitatur: Anno impoibile: CRAT. Impoibile plane. soc. Eadem rationenomina ipanun alicuius fimilia fierent,nii illa quibus nomina cponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum reru, quarum nomina imitationes sunt. Ea vero quibus constant nomina, elementa sunt. CRAT. Sane. soc. lam tu sermonis eius esto particeps, cuius nu per Hermogenes. An recte diceretibi uili sumus, quod ipsum plationi, motui, asperitati congruit? CRAT. Rectemihi quidem. soc. Ipsum ata leni et molli, accteris qu narravimus: CRAT. Profecto.so c. Scis ne quod idem, id est asperitas ipsa nobis quid oxigptys uo icatur, Eretriensibus vero oxi spryg: CRAT.Vting.soc. Vtrambo hclp& o, eidem fimilia videntur, idemg ostendc tam illis per ipliuse determination, quam nobis pero nouissim, uel alteris nostrum nihil referunt: CRAT. Vtri plane demonstrant. soc. Vtrum quatenus similia unt peto, uel quatenus dissimilia: CRAT. Quatenus fimilia. soc. Nunquid penitus imilia unt,ad lacion que ignificand: quin et ipum a inie ctum,cur non contrari aperitatis ipius SIGNIFICAT. CRAT. Forte'non recte iniectet  Socrates, quamadmodea qu tu in superioribus cum Hermogenehoc tractabas, dum &auferebas et inferebas literas ubimaxime oportebat. Acrecte mihi facere uidebaris. et nunc forte pro 1, s apponend et. so. Probeloqueris. Quid uero nuncuc loqui nihil percipimus inuic, quando quis orangn pronunciat: nec tu quidnuncego dic, intelligis: CRAT. Intelligo equidem propter conuetudin. soc. Ouir lepidiime, cum consuetudinem dicis, quid aliud prter conuentionem dicere putas. An aliud conuetu dinem uocas, qum quodego cum id pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipe cogt percipis: Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum. soc. S; id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex diimili uidelicet eius quod ipe cogitans profero: qudoquide ipsum, dissimile eft eius quo tu ordygtym, id et aperitatem ocas. Si hoc ita e habet, profecto ipfe ad id teipfum auefacis, et ex hac CONVENTIONE rectam tibi nominis ratio nem proponis,pot tibi idem t diimiles of imiles liter reprentt propter ipfum conuetudinis et conuentionis acceum. Sin autem CONSUETUDO CONVENTIO MINIME SIT. Haudadhuc recte dici poterit imilitudin esse declarationem, im cuetudinem dicere oportebar. Siquid ex imilitudine et diimilitudine conuetudo declarat, Hisaricco ceffis, o Cratyle nempe ilenti tuum pro cceioneponam) necee et conuetudin cca aliquid CONVENTIONEM concere, conferre ad eor qu sentimus et loquimur expreio nem.Nam i uelis,optime uir,ad numeror coniderationem defcendere, quo pactope ras, ade propria repertur te nomina ut ingulis numeris imile nomen attribuas, i no permieris ccefionem tuam, CONVENTIONEM AVCTORITATE aliquam circa nomin rationem habere. Mihi quid et illud placet, ur nomina quoad fieri potet, rebus fimilia inta Coc Vereor tamen neforte, utdicebatHermogenes, tenuis quodmodoic itius imilitudi nis uurpatio, cogamurg et oneroa hacre, CONVENTIONE uidelicet uti, ad recta nominum rationem:quoni tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum uel omnino,uel maxima ex parte similibus, id et cuenientibus diceremus, turpiime uero c contr. Hocaut poft hc inuper mihi dicas: qu nobis uim habtnomina, quid'ue pulchr perhec effi. cinobis afferimus. CRAT. Doceremihi quid nomina uident, o Socrates, id fimplicia ter aerend, qud quiquis nomina cit, et res itid ciat.so. Forte  Cratyle, tale quid cuc dam dicis, q cnouerit aliquisquale itnom,et at tale qualis &res exitit, rem quoq ipam agnocet, quandoquid nominis eft res imilis. Arsatuna eadem et omniin cor ter e imili. Hac ratione inductus dixie uideris; quod quiquis nomina cognocit, res ecc quoghi quoq ipfas agnocet. CRAT. Veraloqueris. soc. Age,uideamus quismodus docenda rum rerum ite it,quem ipenuncdicis, et utrum alius prtereait,hic tamen potior ha beatur, uel alius prcerhuncnullus. utrum itorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, qud nullusuidelicet alius it,fed hic folus et optimus. soc.Vtrum uero et resipas ita reperiri ces, ut quicung nomina reperit, ea quoq quorum nomina unt,inueniat: An qurendum potiusalium modum quend,hunco dicend. CRAT.Maxime omniale cundum ita huncipfum et qurend et inueniendum. soc. Age, ita conideremus, o Cratyle: iquis dum res investigat, nomina ipsa sequitur, rimatur; quale unquod uule elle,uides maximum decepcionis pericula ubit: CRAT. Quo pacto: soc. Quoniam qui principio nomina pouit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus, effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorus. Soc. Siergo illenrecteenlit, et ut enlie intituit, nne et nos sequentes eius ueftigia deceptos iri exitimas CRAT.Haud ita elt imneceffe ciencem fuiffe illum quinomina pouit.Aliter autem, ut iamduddicebam, nomina nequa effent. Euidentilimo autem argumento id ee tibipotet, haud ueri tate aberrauisse nominum AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY), qud imale eniet, nequaq libiita omnia consonarent. An non aduertiti et ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. ne Cratyle,ualet defenio. Quid enim mirum eft, li primodeceptus nomin institutor, se quentia rurusad primum ui quad traxit,& ipfi cononare coegit:Quemadmodcirca figuras interdexiguo quodam primo ignoto falof exitente, reliqua deinceps multa Circa prin, inuicem cononant. Debetenim quio circa rei cuiu principium tatuend differere  cipium ta, multa,diligentiime conliderare, utrum recte decernat,nec ne. quo quidem fufficiens tuend di ter examinato,ctera iam principium fequidebent, Miror tamen,fi nomina libmet con i ereremulta gruunt. Conideremus iterum qu upra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ignificare qualiomnia currat,ferant et defluant. Ita'nelignificare cenes? CRAT. Ita certe. et recte quid. soc. Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes. Principio nom hocwrshug, id et scientia ambiguum et,magis a SIGNIFICARE uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam,  quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos ee uidetur, ut principium eiusutnuncdishulu dicamus, per e ipius eiectionem, et pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bbajok, id et firmum dicitur, quoniam badoows et scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Prterea igoel ad forte SIGNIFICAT quod isgor t powi, id eft itit fluxum, et ipum nisov, id et credendum, isaw, id etfira mare omnino SIGNIFICAT. Quineti uykusid etmemoria, ostendit prorus quod in anima nagitatio est, fedpovni,id eft quies, tabilise permansio. Atquifiquis nomina ipaobler ueta cueapari et ovuqoa, id eft error et ctingentia caus, idem uidebuntinferre,quod owens et ufiskur, id est intelligentia at scientia, et ctera nomina qu prclarisunt rebus impoita.ltem cualc et cronacc, id et incitia et intperantia, proxima hisui dentur icuclic quid importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreum. cronri uero omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft pere. cutionem atq cogreffum.At ita qu rerum turpiimar nominaeffe putamus,nomi num illor qu circa pulcherrimaunt, imillimauidebuntur. Arbitror et aliamultare periri poffe,fiquis ad hc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominautorno cur rentes delataso res,im ftabiles indicare. CRAT.Vertamen multa o Socrates ecundi agitationis SIGNIFICATIONEM uides illum contituiffe. soc. Quid agemus Cratyle: Nun quid suffragiorum calculorum intarnomina ipa dinumerabimus: at ad hancnorm derecta ratione nomin iudicabimus,ut ea tandem uera int,quibus significationes plu rium nominum fuffragantur: CRAT. Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his iam omiis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixitinuper, firecordaris, neceffarielle, illquinomina tatuit, prnouille ea quibus nomina tribuebat: pertasadhuc in SENTENTIA, nec ne' CRAT. Adhuc. so c. Nunquid et illum qui prima nomina pouit, nouiicais dum poneret: CRAT. Nouie. soc. Quibus ex nominibus resueldidicerat, uel invene rat, quando necd prima nomina fuert inftitutar cum dicta sit impossibile esse resuelig vuenire, vel discere, nisi qualia nominaint, didicerimus, uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil  Socrates, dicere. soc. Quo igitur PACTO dicemus eos cientes, nomina pogillexuellegum et nomin conditores ante POSITIONEM cuiuslibet nominis extitille extitiffe, eos res antea cognouiffe, fiquidem n aliter quam ex nominibus dicires por finer"CRAT. Reor equidem Socrates uerissimum eum esse sermonem quo dicitur excellentiorem quandam potentiam quam humanam primarebus nomina prbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint ditributa. soc. Nunquid putas ctraria libijpfipofuif-cc e nominum AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY) li dm aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT. Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num qu ad ftatum uerguntian qu ad motum potius Neq enim, utmodo dixi mus, multitudine iudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque dientiant contendanto de ueritate inuicem nomina, et tam hcqum illa uero propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus. Qu nos uertemus: Nec enimad alia no mina confugiemus, quia prterhcnulla. Verum alia qudam prter nomina quren da funt,qu nobis ostendantabque nominibus, utra itorum uera int, rerum uidelicet montrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hc uera unt Cratyle, pof unt,utuidetur, res line nominibus percipi. CRAT. Apparet. soc. Per quid potisi mum aliud fperas res ipfas percipere: Nnne per quod conentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem, fcilicet fiquomodo inuicem cognat sunt, et perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft ab illis, aliud quiddam non illas SIGNIFICAT. CRAT. Vera loquiuideris. soc. Dicobecro nonne iam spe concessimus, nomina qu recte posita sunt, fimilia illorum ee quorum untnomina,rero imagineseffe: CRAT. Con cesimus plan.soc.Si ergo licet res per nomina dicere, acetiam per eipfas, qu pr ftantior erit lucidior perceptio:Num si ex imagine cogitetur et imago ipa utrum re cteexprea fit, et ueritas cuiushc eftimago: Anpotiusfi ex ueritate tam ueritas ipa. qumipius imago, nunquid decenter imago ad eam fueritintitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel per inventione comprehendendint; iudicare, maioris qum meum ac tuit, ingen opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex nominibus,immoex e ipis potiusdifcend quren dg unt. ERAT. Sicapparet  Socrates. soc. Animaduertamus et hocprterea,n mulra hcnomina in idem tendentia nosdecipiant, c quiilla impofuerunt, currere om nia semper flueresputauerint,ato ea cideratione poluerint:uidenturnempemihiita exiftimaffe:quor camopinio fi talis extitit,falahabda et.profecto illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, et ipfi uacillant iactanturcs, et nosin eadem rapientes immer gunt. Clidera uir mirifice Cratyle quod ego spenumero fomnio, utrum dicend est: esse aliquid ipum pulchrum ac bonum,& unum quodas exitentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem  Socrates ee uidetur.so c.Illud igitur ipum cideremus, non i uul cus quidam aut aliquid tali pulchrum et, quippe hc omnia fluunt:ed ipum pulchr dicimus, nonne emper tale quale et perfeuerat: CRAT. Necee et.soc. Nunquid possibile eft ipum recte denominare si emper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale it dicereruelneceari et,dum loquimur aliudipum ftatim fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius ee: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo e habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo in tempore minime permutatur:fin autem emper eodmodo e habet;idemg exitit, quo modo tranfituelmouetur, cum ideam uam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Prterea nullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid it aut quale cognocinpoffet.nam cognitionulla ita rper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandet  Cratyle i deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio etnon decidit, permanebit semper, ac emper eritcognitio irautem cognitionis peciesipa dicedit,imul et in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,ne cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat, empernon erit cognitio. Aro hacra. tionenew quod.cogniturum et,nec quod cognocen lum,emper erit. Sinautem fem per et quod cognocit,eft quod cognocitur,eft pulchr,eft et bonum, et deniq exi. Itenium unquod et qu in prentia dicimus,fluxus lationis imilia non uidentur.Vtrum uero hcita int,an ut dicebantHeraclitiectatores, alijg permulti,haud facile di cerni potet.Nec hominis anmentis eft feipfum animumg lu nominibuscredere; et autorem nominum sapientem asseverare, atqz ita de eipo rebus omnibus maleen 9 ) tire,ut pPomba nihil integrum firmum exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum homines detillationibus capitisgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici iudicet, adeo ut detillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forte Cratyle ita et,forteeti aliter:forti animo &diligenti tudio inueftiganda res et.neqenm fcile aentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi fufficittas. Et liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam Socrates. Ac certe {cito meetiam in prfentia non torpere,immocogitti mihi et multa animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ee habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero. Nuncautemut contituiti in agrum perge. Atqui et Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. IL CRATILO - DELLA RETTA INVENZIONE DE' NOMI. ERMOGENE -- CRATILO  SOCRATE. A vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar nostro con Socrate? c*. Se il pare a te. ehm. O Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in qualunque degli enti per natura la retta invenzione del nome, n aia nome quello, onde convenendo alcuni il chiamavano, mentre proferiscono certa particella della sua Toce: ma sia naturalmente certa retta invenzione di nomi la medesima in tutti e Greci e Barbari. Sicch io Io addimando se daddovero sia Cratilo il nome di lui, o n: ma egli confessa esser questo il suo nome. Or Scrate dissi io, qual nome tiene egli? di Socrate disse: non hanno tutti quel nome, col quale chiunque il chiama da noi: nondimeno disse egli uon  il tuo nome Ermogene, n se ancora tutti gli uomini ti CHIAMASSERO cosi. E mentre io lo addimando, e desidero sapere, che cosa dica, non mi dichiara affatto niente: ma beffandomi, simula di aver nell animo alcuna cosa, come egli intenda non so che dintorno a questo, i! che se volesse esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che io confessassi, e dicessi lo stesse, che egli si dice. Laonde udirci da te volentieri, se in qualche maniera tu potessi congetturare il vaticnio di Cratilo. Anzi udirei molto volentieri la tua opiuione intorno alla RETTA INVENZIONE DE NOMI, se ti fosse in grado, soc. 0 Ermogene, figliuol di Jponico,  proverbio vecchio, che sia malagevole da conoscer in qual guisa se ne stiano le cose belle. Or la notizia de nomi non  picciola disciplina. In vero se io avessi udito gi molto tempo da Prodico quella ostentazione di cinquanta dramme, nella cui dottrina ancora era questo, come egli ne rende testimonianza; niuno impedimento sarebbe, che tu non conoscessi incontinente la verit intorno alla retta invenzione de nomi. Ma ora io non I . ho udita ma si ben quella d una. dramma. Per la quale cosa; non s quello che d intorno a queslavi sia di vero: ma sono prrsio ad investigar, inlteoie. con essd.tecoj.fcon Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia' versi mente nome Ermogene, io sospetto, che egli mottegg; perch egli forse pensa, che tu sia -desideroso dello acquisto de danari, e impoleule.seinjpre ad otieuerli: ma come ho detto poco, f, egli  difficile, Ite ci si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli spoetando iu meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi, come tu di o piuttosto come dice Cratilo. em. E pur o Socrate, tuttoch spesso io abbia disputato gi contostai, con altri molti tuttavia non ancora mi posso persuader, che altra ai. la rotta invenzione del nome, phe lo assenso, e il consentimento; perciocch a me pare, clic quel sia nome retto, il quale impone chiunque a ciascheduno, e se di nuovo il mutasse, e altro ne ponesse, non meno del primiero quello, che Si trasportasse sarebbe nome retto, come siamo noi soliti di cambiare i nomi a servi, non vi essendo per jialura a ninna cosa il nome! ma per legge, e secondo la usanza di coloro, che furono soliti cosi chiamarli. Il che se sia. altrimenti, io sono apparecchiate .ad impararlo, o adirlo non solamente da Cratilo; ma da qualunque altro, soc. O Ermogene peravveptora tu d alcuna cosa: ma consideriamola. Quello che porr alcuno, con cui chiama qualunque cosa, sar egli, il nome di ciascuna cosa? ehm. A me pare, soc. O se il privato, o la citt il dicesse? uh. Lo assentisco. soc. Ma che, se io chiamassi qualunque degli enti, come per esempio, se quello, che al presente chiamiamo uomo, chiamassi cavallo, e uomo quel, che cavallo: pubicamente sar egli il nome all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo privatamente uomo, cavai lo puiilicnmenle Parli cos tu? erm. Tosi mi pare. soc. Or mi d questo. Chiami tu alcuna cosa il dir il vero, e il Tabu? erm. In vero s. soc. Non lia quella vera ORAZIONE: ma questORAZIONE falsa? erm. Cos affatto, soc. Quei parlar poi, che die* le cose, che sono quali son esse ai  li h rero: ma falso quello, che non come sono? n, Cosi . soc. Adiviene egli questo, che col parlare si dicano le cose, che sono, e che non sono? ehm. Si. soc. Il parlar che  vero mi di, se  vero tutto, non vere le parti? ehm. N: ma le parti ancora, soc. Dimmi, le parti grandi saranno vere: ma le picciole n, oppur tutte? exm. Io mi stimo tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu picciola del sermone, che il nome? erm In modo nin no, essendo questa la minima parte, soc..Ed ancora si dice egli peravventura il nome parte della vera ORAZIONE? erm. - Senza dubbio, soc. Veramente parte vera, come , tu di. erm. Veramente, soc. E la parte del falso, non  ella falsa? erm.Lo dico si. soc-Dunque  lecito dir nome vero, e nome falso, se si dice ancora la orazione. erm. In che modo n? soc. Dunque quel nome, che chiunque dir, che in alcun si ritrovi, sar egli il nome di ciascheduno? erm Si. soc. Peravventura quanti nomi dice alcun, che abbia chiunque, tanti saranno essi? e allora, quando egli li dice? erm, Per certo, o Sncrate: io non ho alcuna retta invenzione di no / t me, fuor che questa, in modo, che non sia lecito a  me con altro nome chiamar la cosa, che con quello, che io ho imposto, n a te con altro, che con quello, elle le imponesti. Cosi per certo io veggo nella citt, che si hanno alcuni propri nomi delle medesime cose, e fra Greci in verso ad altri Greci,  in verso a i Barbari, oc. Or rediamo o Ermogene, se pare a te, che gli enti se ne stiano in questo modo; che ognun di loro tenga la propria essenza, come diceva Protagora, dicendo egli esser 1 uomo misura di tutte le cose in modo, che quali qualunque cose mi paiono, tali io le abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi; o pensi piuttosto che siano alcune cose, le quali tengano alcuna fermezza della sua essenza, eem. Alcuna volta, o Socrate, dubitando sono condotto a quello, che dice Protagora: per tanto non mi persuado a bastanza, che se ne stia egli cosi. soc. Ma che? set tu ancora alcuna volta condotto a questo, che non li paia in modo niuno, che alcun nomo sia cattivo? erm. Per Giove n; anzi spesse volte cosi sono disposto, che io stimo, che alcuni uomini siano al tutto cattivi, e molti, soc. Ma che? non ti  parso ancora, che siano molti uomini buoni? erm. Molto pochi, soc. Nondimeno pare a te vero? erm. A me si. soc.In che modo poni tu questo? forse cosi, che i molto buoni siano molto prudenti, e i rei al lutto molto imprudenti? ebm. In vero a me pare cosi, soc. Se Protagora diceva il vero, e se  questa la vent, che quali qualunque cose pareranno a ciascheduno, tali siano;  egli possibile, che altri di noi siano prudenti, altri imprudenti? ebm. Per certo n. soc.E come io penso ti pare ad ogni modo che Protagora non possa al tutto parlar il vero, essendovi erta prudenza, e imprudenza, perciocch non sarebbe veramente luno dell altro pi prudente, se le cose, che paiono a chiunque, le tenesse ciascheduno per vere. IBM -Cosi . Ma n ed Eutidemo ' assentisci, come io penso, che dice, che tutti abbiamo tutte le cose similmente, e sempre, perch cosi' non smeldio. no altri buoni, nitri cattivi, se sempre, e parimnte si ritrovasse in tulli e la virt, e la malvagit! ehm; Tu palli il vero, soc. Dunque se n tutte le rose si ritrovano sempre in tutti, e simiglmutciiente; u qualunque cosa  propria di ciascheduno, manifesto , rise siano le cose quelle, che tengono in su stesse certa essenza ferma, u sono in quanto a noi tirate in diverse parli, n da noi con la imaginazione e in suso, o in giuso: ma stabili secondo se stesse in quanto alla loro essenza, come sono 'ordin. ite dalla natura. uu. Cosi ini  avviso, elio se ue stia questo. *oc Dunque mi di, se le cse se ne stanno si per u-. tor, ma non nella stessa guisa lu loro azioni o eziandio esse azioni sono una certa specie degli enti? esm. Ani cora esse ad ogni modo. soc. Dunque le azioni sa tonno secondo la natura loro, non secondo la nostra opinione, come per esempio, se noi si mettessimo a divider alcuno degli enti, forse sarebbe qualunque cosa d dividersi ila noi come vorremmo, e coti che ci a gradissi.? o pi tosto, se volessimo partire quafuo/pio cosa secondo la natura, con cui fa mislieri che S I 1 al f lisca, e sia partita; parimente con cui secondo l tura ti dee fare il partiraento; invero la dividerei. *io bene, e si farebbe la noi alcun profitto, e questo si operetbbe bene; ma se cntro la natura travieremmo n si farebbe niente la noi? erm Cos mi pare. soc. E se ci mettessimo ancora d ffhbrugiiir alcuna cosa: non fa nilstieri, chieda s ablmigi secndo Ogni opinione: ma sibbene secondo la reit opinione/ Qusta  poi quella, onde qualunque cosa naturdlientc  atta ad abbrugiarsi,'  di abbruciare, e con cui nai turalmente ne era atta, erm Queste cose son vere, soc. Non si ritrova la stessa maniera dintorno alle altre cosi? ehm La medesima s. soc Anco-ra il dire non  egli forse una certa delle azioni, ehm. -r Certo si. soc. Or dir bene chi cos dice, coirne li par di dire . 5 o piuttosto dii in colai guisa dice, come ricerca la natura del dire, e che si dica? e- se eziandio dicesse con cui ricerca la natura, in dicendo farebbe alcun profitto, altrimenti 1 . travierebbe egli, n farebbe nulla? ehm. In vero io stimo cos, cometa di. soc.- Dunque il nominar " particella di dire; perciocch nominando si fanno i ragionamenti; erm Ad ogni modo. soc. Dunque e il nomina re  'certa azione, se ancora il dire era certa azione; d' intorno alle cose? erm.-Cos . soc. Or le azioni ci par vero di non risguardar a noi: ma di tener certa propria lor natura. ehm. - Cos . soc Sicch  da nominarsi in quella guisa, onde la natura delle cose ricerca di nominate, e che si nomini, con cui, ma uon secondo lo arbitrio deWolcr no-   )  ( atro, se ti ba a dire alcuna cosa concorde alle cosa dette. Ed in colai guisa facessimo noi alcun guada gno, e nominaressimo: ma altrimenti n? krm. Cos mi pare. soc. Or dimmi ci, cbe era da tagliarti, diciamo noi cbe era da tagliarsi con alcuna cosa? erm. Con alcuna si. soc. E ci, cbe si doveva tesser da tessersi con alcuna cosa? e ci, che era da forarsi, con alcuna cosa si dovea egli forare? erm.Al tutto. soc.Sim il niente ci, che nominar si dovea, era da nominarsi con alcuna cosa? ibi*. Si- soc. Ma che era quello, con cui fcea mistieri, che alcuna cosa si forasse? erm. La trivella? soc. Che  quello, con cui fa mistieri, che si tessa? erm. La navicella, soc. E che con cui si nomini? erm. Il nome, soc. Tu parli bene. Dunque e il nome  certo stromento. ss**. E si. soc. Dunque se io cercassi quale stromento  la navicella  o non sarebbe d' esso quello, con cui si tesse? erm. Cos . soc. Or tessendo, che facciam noi? o non separiamo la trama, e gli stami confasi? ehm. Questo stesso, soc.Or potrai tu dir cos della trivella, e delle altre cose? erm. Lo stesso, soc. Puoi  tu ancora dir similmente d* intorno al nome ci, che facciamo mentre col nome, che  stromento, nominiamo alcuna cosa? erm. N il posso n. soc. For se di compagnia insegniamo noi mente, c dividiamo le cose, come sono? erm. Per certo, soc. Sicch il nome  certo stromento di insegnare,  divide 1sostanza, come !a navicella della testura erm. 1 lassi a dire in colai guisa, soc La navicella  ella strumento acconcio al tesserei 1 ehm,  In che modo n. soc. Per la qual cosa il tessitore si vaier bene della navicella, dice bene, secondo la maniera del tessere: ma chi insegna, egli si vaier del nome, e bene, dico bene secondo la maniera propria dello insegnare, ehm. Per certo, soc. Dell opra di quale artefice si vaier bene il tessitore, quando si vaier della navicella? erm. Di quella del legnaiuolo, soc. E egli chiunque legnaiuolo, o piuttosto chi tiene P arte? erm. Chi tiene larte, soc. Similmente dell opera di cui il foratore si vaierebbe bene, quando si valesse della trivella? erm. Del maestro del metallo. soc. E forse chiunque maestro di metallo? o chi tiene larte? erm. Chi tiene larte, soc. ' Stiano le cose cosi. Dellopera di cui il dottor si vaierebbe, qualora si servisse del nome? erm. N ci posso dire io. soc. Ancora non puoi tu dir questo. Chi ci d i nomi, dei quali ci serviamo? erm. Per certo n, i soc. - Non pare a t peravventura, che la legge sia quella, che ci d i nomi? erm. Apparisce. soc. Dunque il dottore si vaier dell opra del legislatore, quando del nome si vaier, erm. Io penso si. soc. Pare a te, che ognuno egualmente sia facilor di leggi, o chi  dotato di arte, erm. Il dotalo delP arte. soc. Si che o Erinngene non . ufficio di qualunque uomo lo imporre i nomi; ma di certo autor di nomi e costui  come apparisce ii legislatore, il quale fra gli artefici si fa raro appresso agli uomini, ehm.  Apparisce, soc. Deh considera, ove riguardando il legislatore impone i nomi, e considera dalle cose antedette ove riguardando il legnaiuolo fa la navicella? non ad una cosa tale, che da natura sia al tesser acconcia? ehm. Al tutto, soc. Ma che? se nell opera si rompesse la navicella, mi di se fabbricher egli un altra di nuovo alla somiglianza della rotta, o piuttosto alla specie risguarder, secondo il cui esempio avr fatto la navicella,' che si ruppe? erm. Alla specie, come io stimo, soc. Dunque chiameressimo noi meritamente la specie la navicella? erm. Io penso si. soc. Se fa mestieri alcuna volta, che si apparecchi la navicella per fornir la veste, o qualunque altra cosa di filo, e di lana sottile, o grossa, bisogno , che tutte le navicelle tengano la specie della navicella; e quale naturalmente  a ciascheduna cosa accommodatissima, tale si usi al fornir lopera, come il ricerca la natura, erm. Iti vero fa mislieri. soc. La medesima ragione  d intorno agli altri stromenti conciossiach  da ritrovarsi quale stromento si confaccia per natura a qualunque cosa, ed  da darsi a lei, con clii si fa ella, uon quale vuole chi fabbricai ma quale  ella per natura. Perch fa mistieri, come appare, che si sappia accommodar a qualunque cosa ci, die naturalmente acconcia al ferro, erm. Cosi si. soc. Pi- oltre nel legno la navicella confacevole a ciascheduna. e*m. Egli  vero. soe. Perciocch. secondo la ragione della natura altra navicella si conf ad altra tela, e nell altre nella medesima guisa, ehm* Veramente, soc. Fa mistieri ancora -ottimo uomo, che il poslor dei nomi proferisca un nome per natura acconcio nelle voci, e nelle sillabe a tutte le cose, e riguardando a quello stesso di cui  nome, formi qualunque nome, e gli attribuisca, se daddovero dee esser positor proprio di nomi. Che se non con le medesime sillabe qualunque pocitor di nomi esprime il nome, fa mistieri, che noi sappiamo, che n tutti i fabri ci fanno nel ferro per la stessa ragione; qualora fabricauo il medesimo stroxnento: ma nondimeno in quanto gli attribuiscono la stessa idea, in tanto se ne sta egli bene, tutto che in altro e iu altro ferro; o qui si fabrichi egli, o fra barbari non  egli cosi? ehm. -a. Si. soc. Dunque islimerai tu ancora nel medesimo modo finch il positor dei nomi, ebe  fra noi, e fra barbari concede una specie di nome convenevole a qualunque cosa in qualunque sillaba, che 1 uno dell altro non sia punto peggiore nell imporrei nomi. ehm. In vero si. sqc. Chi  per conoscer se sia impresso in qualunque legno una specie convenevole di navicella? fpr&e il, legnaiuolo, che la fai o il tessitore, che se ne dee servire? ehm. O Socrate, gli  verisimile, die la conosca molto piu, chi se ne dee valere, soc. Dunque chi si servili dellopera del Tacitar delllira? non colui Torse, che benissimo sapr esser soprastante alla cosa Tatta, e conoscer Tatta che sia, se sia Tatta bene o no? ehm. Al tutto, soc. Chif hm.  Il citarista, soc. Chi poi dell'Opera di coloro, che Tanno le navi? erm. Il governatore, soc. Chi eziandio benissimo sar soprastante allopra del Tacitar delle leggi, e Tornita la giudicher e qui, e Tra barbari? non chi se ne dee servire? ehm. Cosi , soc, *- O non  egli d* esso chi sa interrogare? ehm. Costui si. soc, Il medesimo che sapr risponder ancora? ehm. Si certo, soc. Or chiami tu altro che dialettico chi sa interrogar, e rispondere? ehm. Non altro; ma lui. soc. Siche  Tattura di lignaiuolo il Tabbricar il timone esscndo soprastante il governatore, se  egli per dover esser buono, ehm, Apparisce, soc. Ancora come  avviso,  opra di positor di nomi il nome, cui  soprastante 1 uomo dialettico, se sono per doversi por bene i nomi. ERM.-*Que$te cose son vere. soc. Dunque, a Erraogene, corre rischio, che non Ha cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, n Tattura d uomini bassi, e vulgari. Per certo Cratilo parla il vero, dicendo, che i nomi per natura siano nelle cose; n sia chiunque autore di nomi: ma colui solamente che risguarda al nome, che  in ognuno per natura, e sia possente di por la specie di lui nelle lettere, e nelle sillabe, ehm. O Socrate, io non so in che modo sia da opporsi alle cose che tu di: ma peravventura non  cosa agevole il percadrsi cosi allo improviso: ma mi  avviso, che io ti sarei piuttosto per ubidire in questo modo, se dimostrassi quale da te si dica, esser la retta natura del nome. soc. In vero, o beato Ermogene, non dico alcuna: ma tu ti sei scordato di ci, che io diceva poco inuanzi, cio, che io non la conosceva! ma, che io la considererei insieme con esso teca. Al presente poi questo solamente si  fatto chiaro oltre alle antedette a me, e a te di compagnia investigando, che Certa retta invenzione per natura tenga nome, n chiunque sappia adattar bene esso nome a qualunque cosa, non  egli cos? rum. Grandemente, soc Dunque rimane da Considerarsi se tu desideri di conoscer quale sia la retta invenzione del nome, ehm. In vero la desidero sapere, soc. r- Dunque cobsidcra. erM. In che modo adunque fa inistier, che si consideri? soc.^O umico rottissima.  la considerasione; ricercandosi questo da coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il render loro grazie oppresso. Or dessi sono i sofisti, coi quali Calia tuo fratello pare, che sia riuscito saggio, pagati molti danari, ma poich non hai, che fare nella robba patema, rimane, che tu supplichevole preghi il fratello, che ti insegni la retta invenzione di questtll cose, che Protagora egli impar, erm. O Socrate, quanta sconvenevole sarebbe questa dimanda, se non prestando aiuto alla verit di Protagora amassi le cose, che si dicono con tal verit, quasi degne di alcuna considerazione, toc. Ma se a te non piacciono elle, si dee imparar da Omero, e dagli altri poeti. erm. O Socrate, e che  in che luogo ne dice Omero dei nomi? soc. Per tutto molte cose: ma grandissime e bellissime son quelle, onde distingue dintorno a quei nomi, che introducono gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che egli d intorno a questi dica alcuna cosa magnifica, e maravigliosa della retta maniera dei nomi? essendo manifesto, che i Dei chiamano rettamente quei, che son nomi naturalmente, o no il pensi tu? ikm. In vero io so certo, se i Dei ne dicono alcuni, che essi lr~cbiamano bene; ma quali di tu questi? soc. O non sai tu ci, che si dice del fiume troiano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia, il quale i Dei chiamano santo, gli uomini Scamandro. ehm. Il so. soc. Che dunque? non istimi tu certa cosa grave il conoscer in che modo sia meglio, che si chiami quei fiume santo piuttosto, che Scarnando? ma se vuoi considera questo, che il medesimo dice dell uccello, che i Dei chiamano Calcidei ma gli uomini Cimindi. Tu stimi vii disciplina il sapere quanto sia meglio, che si chiami il medesimo uccello Calcide, che Cimindi, o Bracia, e Mirine, e molti altri tali, detti da questo poeta, e da altrui? ma le. invenzioni di queste cose peravvenlura superano le forze nostre. Cii cbe poi signifchioo Scamandrio, e Astiane si pu comprender, come mi pare da ingegno amano, e apprendersi agevolmente qual retta invenzione vuole Omero, che sia in questi nomi, coquali chiama il figliuolo di Ettore: perciocch tu certamente sai, ove si ritrovano questi versi, che io di- v co. a**. Ad ogni modo, soc, Dimmi, pensi tu, che di questi nomi stimi Omero che peravventura pili convenisse Astianate al fanciullo, che Scamandrio? vrm. Io no il posso dire. soc. Or in colai modo considera, se alcuno ti addimantlasse, se tu pensassi che i pi saggi ponessero i nomi meglio alle cose, o i manco saggi, erm. Chiaro , che io risponderei i pi prudenti, soc. Dimmi, se le donne nelle citt pare a te, che siano pi prudenti, o gli uomini? per dir tutto il genere? erm. Gli uomini. soc. Dunque tu sai, che dice Omero, che il figliuolo di Ettore era chiamato da Troiani Astiaua. te, dalle donne Scamandro, poich gli uomini lo chiamavano Astianate. erm. Apparisce, soc.- Dunque eziandio stimava Omero, che gli uomini Troiani fossero pi saggi, che le lor donne, erm. Io lo stimo. soc. - Dunque stim, che egli si chiamasse, meglio Astianate, che Scamaudrio. ehm. - Apparisce, soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que sta denominazione, perch dice egli, che solo difese loro la citt, e le ampie muraglie. Per la qual cosa, (come pare) conviene# che si chiami il figliuolo del Salvatore, cio di colai, che il padre di lai saiva va, come disse Omero, erm. A me pars soc. Per qual cagione? perciocch o Ermogene, n io lo intendo ancora bene: ma lo intendi tu? erm. Per Giove n. soc. O uomo da bene ancora Omero pose ad Ettore il nome. erm. Perch? soc. Perch mi  avviso, che questo nome si assomigli ad Astianate; e essi nomi si assomiglino a Greci: dimostrando quasi il medesimo, cio che ambidue questi nomi siano regali; perciocch di cui sar alcuno re, dello stesso sia ancora possessore; essendo manifesto, che egli lo signoreggi, e possegga, e abbia. O peravventura non pare a te, che io dica niente? e m' inganna la opinione, onde mi confidava, come per certi vestigi, di toccare la opinione di Omero d intorno la retta invenzione dei nomi? erm. -* In modo niuno, come io penso: perch^forse tu tocchi alcuna cosa. soc. Egli conviene, come a me pare, che si chiami similmente leone il figliuol del leone, il figliuol del cavallo cavallo; non dico, se alcun altra cosa fuor che il cavallo (come mostro) nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico, del cui genere secondo la natura  ci, che nasce, se il cavallo naturale partorisse il figliuolo del bue vitello contro natura, non sarebbe da chiamarsi poliedro: ma vitello, n eziaodio se dall'uomo altra prole si producesse, che umana, ci che nascesse si dovrebbe chiamar noaio. 11 medesimo  da giudicarsi degli alberi, e delle altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm. A me par si. soc. Tu d bene-, perciocch guardati, che io non ti inganni in alcun modo; conciosia, che secondo la stessa, ragione eziandio se alcuna cosa nascesse da re, sarebbe da chiamarsi re, non importando che si significhi lo stesso in queste, e in quelle sillabe, o se vi si aggiugni alcuna lettera, o se anche la vi si levi; mentre la essenza della cosa dichiarata nel nome signoreggi./, erm Come d tu cotesto? soc. Io non dico oiuna cosa meravigliosa, o nuova: ma siccome tu sai, che diciamo i nomi degli elementi: ma non essi elementi, eccettuatine solamente quattro, cio b N E fi ma 1 rimanente, cos vocali, come mutoli, tu sai che aggiugnendovi altre lettere, li proferiamo formando i nomi: ma iinch inferiamo la forza dichiarata dell elemento conviene, che quel nome si chiami ci, che egli si dichiara, norme per esempio il B, vedi i che il T aggiunte non imped che con lo intero nome non si dimostrasse la natura di quello elemento, di cui volle il positor del nome, siffattamente non li  prestato fede di aver posto bene i nomi alle lettere, erm. Tu mi pari di parlar il vero, soc. Dunque fla la stessa ragion ancora dintorno al re. Perciocch sar alcuna volta il re dal re, il buono dal buono, dal bello il bello, e le altre cose tutte similmente da qualunque genere certa altra progenie, e sarebbono da dirsi gli stessi nomi, se non ci facesse mostro. Egli  lecito, che in modo si variino per sillabe, che sia avviso all nomo rosse, che le cose, che sono le stesse siano diverse tra loro, cos come le medicine dei medici variate con colori, ed odori spesse volte essendo le medesime, pare a noi, che siano diverse: ma dal medico considerata la virtii loro, sono giudicate le stesse; n il perturbano le cose aggiunte. Similmente peravventura chi  erudito dintorno a nomi considera la virtii loro n si perturba il giudici di lui, se vi  aggiunta alcuna lettera o trasmutata o levata, o se in altre, e motte lettere si ritrova la stessa virtii del nome. Come quei nomi, i quali di sopra abbiamo detto Astianate, e Ettore hanno le lettere ad ogni modo diverse, fuorch il sol T, non pertanto significano il medesimo... Mei medesimo modo ci che si dice prencipe di citt, qual communicanza di lettere tiene egli con li due antedetti? nulladimeno significa il medesimo, e molti altri vi sono, i quali nient altro significano, che il re. Oltre ci molti sono, che significano il capitano dellesercito, come altri ancora, che dichiarano il professor dell^medecina. E si possono ritrovar molti altri discordanti nelle sillabe, e nellj lettere: ma accordatisi al tutto nella virt, del significare, par egli che cos sia, o pur n? zrm. Cos certo, soc. Or a queste cose, che si fauno secondo la natura sono da darsi gli stessi nomi, ehm. Adognimodo, soc. Ma qualora alcuni uomini si fanno contro la natura in certa specie mostri, come quando s genera lempio dall uomo buono, k pio; ohi  generato non dee sortire il nome del genitore- ma di quel genere, nel quale ei si ritrova, come diami di centrilo; se il cavallo generasse la prole del bue, non sa rebbe da chiamarsi il figliuolo di lui cavallo: ma buemm. C osi . soc. -Dunque alluomo empio generato dal pio, bassi a dare il nome del genere. ehm. Queste cose sono vere, soc. Dunque non conviene, che si chiami un figbuol tale, amico di Dio n ricordevole di Dio, n alcuna cosa siffatta: ina con ' nomi il contrario significanti se pur i nomi deono conseguire la retta invenzione. sbm. Cosi al tutto o Socrate  da farsisoc. Come ancora Oreste, o Ermogene, corre rischio che sia ben messo, o se alcuna sorte H pose il nome, o alcun poeta; con quel nome significando la d lui natura ferina, selvaggia, e montana, erm. Cosi apparisce, o Socrate, soc. ncora  avviso, che il parere di lui tenga il nome secondo la natura, erm. Apparisce, soc. la vero tale appar egli, che sin Agamennone, quale pare che si affatica, e sopporta imponendo fine alle cose, le quali parvero da terminarsi per la virt. Argomento poi della sua toleranza ne diede il durar sotto Troia con tanto esercito. Dunque che questo uomo sia stato buono nella perseveranza, il nome di Agamennone lo significa. 1$ peravventura eziandio Atreo se ne sta bene, conciosia, che la uccisione di Crisipo, e la crudelt intoruo a Tiesse sono tutte le cose daouosc, e perniciose in verso alla virt, onde la denominazione del nome declina un tantino, ed  gelata in modo, che non dichiari .^chiunque la natura di questo nomo: ma cui som periti di nomi si mauifesta bastevolmente la significazione di Atreo; perch esso nome  posto bene in- ogni luogo secondo 1 intrepido. Ancora pare che il nome di Felope non sia dato a lui fuor di proposito, significando questo nome, che sia degno di questa denominazione chi vede le cose dappresso, zbm. In che modo? soc. Come si dice nella morte di Mirtillo contra di lui, che egli non abbia possuto proveder niente, n da lunge vedere di quanta calamit fosse ripieno il genere tutto, riguardando alle cose, che gli erano innanzi a piedi, e solamente alle presenti. Ci poi  il veder dappresso, il che ei fece avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi in matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe ognuno, che il nome Tantalo li sia stato posto bene, e secondo la natura, se sono vere le cose, che si raccontano di lui. erm. Quali sono coteste? soc. Che a lui ancora vivente moltissime cose avverse, e gravi avvennero, il fio delle quali si era, che tutta la patria di lui si vogliesse sossopra. Pi oltre, lui morto gli sta sopra la testa un sasso, per certo, durissima sorte. Tutte queste cose adognimodo si confauno col nome, non altrimenti, che se alcun lavesse volato nominar pazientissimo: ma avendo parlato alquanto oscuramente, abbia posto Tantalo per Talantato- In c vero pare, che un tal nome la fortuna di lui avversa l abbia dato col rumor della gente. Anzi che bene si applic ancora il nome a Giove padre; nondime no egli non  agevole da conoscersi essendo 1 no 1 me di Giove qual certa orazione, il quale in due parti partendo, in parte si vagliamo dnna, in parte del laltra parte, chiamandola. alcuni altri, le quali per ti in uno poste, dimostrano la natura di Pio, il che dee poter fare il nome massimamente; non avendo noi, n tutti gli altri niuna maggior cagione di viver, che il prencipe, e re di tutti- Dunque avviene, che si nomini bene in cotal guisa, essendo Dio, per cui ca gioite il viver si ritrovi sempre in tutti i viventi. Essendo poi uno il nome,  in dtfe parti partito, come io dico. Questo poi essendo fgliuol di Saturno cl all improviso l'udisse penserebbe cosa insolente. M ragionevole, ehesia prole Giove di certa grande in telligenza; perch quello, che si dice non significa fanciullo; ma purit, e incorruttibilit deliamente di lui. Egli  poi, come si dice, figliuolo del cielo; conciossiach lo aspetto alle cose di sopra meritamente sidee chiamare con questo nome, come all' alto risguardi onde, o Ermogene, affermano coloro, che trattano delle cose sublimi, cheavvegna una pura mente, e a lui si ponga bene il nome del cielo. Or se io tenessi a memoria la geneologia scritta da Esiodo: e mi ricordassi quali egli introducesse i progenitori loro, in niuu modo non cesserei di dimostrarti, che fossero scritti loro i nomi bene, finch facessi la provi di questa sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcuna cosa fornisca e se si dubiti, o n, la quale io non se certo, onde poco fa mi sia venuta cosi allo mproviso. za In vero, o Socrate, pare a me, che t alia similitudine di coloro, che sono da divinit rapiti, mandi fuori oracoli. soc. O Ermogene, io stimo, che. questa sapienza si cagionasse in me da Eutifrone figliuolo di Panzio; poich assiduo gli era instami dal matutino, e li porgeva gli orecchi. Sicch  manifesto, che egli pieno di Dio, non solamente abbia ripieni di sapienza beota gli orecchi miei? ma occupato t'animo ancora: io stimo veramente, che si abbia a fare in cotal guisa. Che si vagliamo -oggi di lei, e si investighi da noi il rimanente, che pertiene a nomi: diman poi, se in ci converremo, la manderemo fuori, e la mondaremo con diligenza, ricercando alcun o sacerdote, ovver sofista, che sia buono a purgar queste cose, bum. O Socrate, io approvo questo si, perch molto volentieri udirei ci, che rimana d'iutorno a nomi. soc. Al tutto si dee fare cosi. Dunque ove giudichi tu principalmente, clic si abbia ad incominciare; poich abbiamo prescritta Certa legge per conoscere, se eziandio gli stessi nomi ci attestino, che non siano stati fatti a uso: ma contengano alcuna invenzione? i nomi dunque degli croi* C degli uomini peravventura ci inganaerebbono, essendo molti di questi posti secondo le denominazioni de maggiori, e spesse volte non convengono in modo niuno, come abbiamo detto nel principio. Molti nomi poi pongono gli uomini quasi pelvoto, come e altri molti Per la qual cosa io stimo, che siffatti siano da tralasciarsi: ma  cosa verisimle si, che noi ritroviamo i nomi posti bene, e naturali intorno Ile cose, che son sempre, convenendosi mollo, che qui si abbia a cercare diligentemente la maniera del por i nomi: ma peravventura alcuni d loro sono stati posti ancora da certa potenza pi divina, che umana. ehm. 0 S ocrate, tn mi pari d parlar eccellentemente. soc. Non  egli cosa convenevole lo iucominciar da Dei, considerando in qual guisa sono stali chiamati i Dei bene con questo stesso nome? erm.-E verisimile. soc.-In vero cosi io sospetto; mi par certo, che i primi de Greci abbiano pensato quei soli Dei, i quali eziandio sono stimati in questi tempi da molti,!' barbari il sole, la luna, la terra, le stelle, il cielo. Dunque quasi, che essi vedessero tutte queste cose essere in un perpetuo corso, da questa natura  avviso, che ic si abbiano nominate,poscia osservandone altri; le abbiano chiamate tutto con lo stesso nome. Ci, che io mi dico tiene egli aluua verisomigliauza, oppur n? .-Appar molto, soc che si ha poscia ad investigare? ehm E ma-nifesto, che si dee cercare de demoni, e degli eroi, degli uomini. $oc.- De demoni? o Ermogene, considera veramente se ti  avviso, che io ti dica alcuna cosa intorno a ci. che si vuole inferire il nome dedemoni, ehm. DI pure. soc. Sai tu dunque quali si dica Esiodo, che siano i demoni? * km Non intendo. soc. N eziandio, che egli dica essere stato degli uomini primieramente il genere dell' oro? erm. Solio s. soc. Or dice dintorno a lui, poich la sorte copr questo genere, che altri si chiamano demoni puri, terrestri, ottimi fuggatori di mali, e guardiani di uomini mortali, erm. Che poi? soc. Per certo io stimo, che egli chiami genere d oro, non fatto d oro: ma buono ed eccellente, e di ci ne fo la congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia del ferro, ehm. Tu narri il vero, soc. O non pensi tu, se al presente alcun de nostri fosse buono, he egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro? erm. E cosa verisimile, socOr sono alcun' altra cosa i buoni, che prudenti? erm Prudenti. soc S che come io penso chiama quelli demoni principalmente; perch erano prudenti ed intelligenti, e pervenne questo nome dalla nostra lingua antica. Perlaqualcosa ed egli, e qualunque altri poeti molti parlano bene, che dicono, che poich alcun buono si parte di vita, prende in sorte grandissima dignit e premio, e si fa demone secondo la denominazione della prudenza. Cos mi afferm ancora, che sia ogni uomo prudente, il qual  buono, e sia egli demonio, e vivendo, e morendo, e si chiami demone bene. erm. Mi pare o Socrate, che io consento dintorno a questo con esso loco, soc. Poi, SIGNIFICA egli? ci non  molto malagevole da considerarsi, essendo poco distante il nome degli eroi, dimostrando che la generazione loro sia derivata dall amore. erm. In che modo d tu questo? soc. O non sai tu, che sono se-, midei gli eroi? erm. Che dunque? soc. In vero tutti sono generali, avendo o Dei portato amore a donna mortale, o mortali a Dea, oltre ci se considererai queste secondo la vecchia lingua degli Ateniesi il saprai maggiormente; perciocch ti dichiarer che si  mutato nn tantino per causa del nome, onde soo fatti gli eroi, o che egli significa gli eroi, o perch furono savi, e retori, e facondi, e al disputare acconci, essendo bastevoli allo interrogare. Sicch quello, che poco fa noi dicevamo, dicendosi gli eroi nella vece attica pare, che gli eroi siano atctmr relori, e che interrogano e amano; onde il genere degli eroi si fa genere di retori e de' sofisti: ci poi non  malagevole da intendersi: ma pi oscuro quello, per qual cagione Si chiamino gli uomini gf$pcTrol P uo tu dire il perch? ersi. Uomo dabbene dove avrei io questo? anzi se io potessi ritrovare alcuna cosa, uon 1 affermerei, pensando, che tu meglio di me saresti per ritrovarla, soc. Egli mi  avviso, che tu ti confidi nella ispirazione di Eutifrone. erm. Senza dubbio, soc. E meritamente tu ti confidi; perciocch troppo bellamente ini pare ora di aver pensato, ed  pericolo (se io non mi guardassi) che no pares-  e gg>> c h io fossi divenuto piti saggio, che non si converrebbe. Or non considera ci, che io dico; perciocch conviene primieramente, che si consideri questo intorno a nomi, che spesse volte aggiugniamo lettere, e ne leviamo, nominandole fuori della nostra inleuziope, e mutiamo le acutezze, come quando diciaroo Al bia a cercare dell Miima, come sia ella chiamala bene? poscia del corpo? erm. In vero si. soci Dunque acci io subitamente esprima quello,' che ora mi si offerisce primieramente, io : stimo che Colo-i ro, che' cosi chiamarono lanima abbiano ci pensato principalmente, che questa quante Tolte col corpo si -, cagione, che egli viva, dandoli la virt del rispirare, e rifrigerandolo; e come prima lo abhando-t nera quello, che il refrigera, eglisi scioglie, e Sene muore, onde pare, che 1 abbiamo chiamata, quasi rifrigerante: rt se, ti aggrada fermati alquanto. Mi par divedere alcuna cosa pi di questa probabile presso coloro, : i quali seguitano Eotifrooe; perciocch sprezzerebbono essi questa, come io penso, e la dimostrerebbono certa cosa molesta: ma vedi, se ci ti sia per dover piacere, erm. D pure, soc. Qual* alt+a cosa pare a te, che contegno il corpo, e il guidi, e faccia, che egli v;va, e vadi intorno* che 1? anima? eatu.ij-' JNient altro? soc. Ma che? non credi tu ad A nassa-' gpra, che la natura di tutte le cose sia lo inieMetto,e lanima che ladorna e contiene?. erm. Cos si.' soc. Dunque ben fia, che a quella potenza si applichi questo nome (pvvgyjnj, cio contenente la naturai ma si pu chiamare ancora ornatamente. ' erm. Cos  ad ogni modo, e mi pare, che questo . sia di quello' pi artificioso- soc. E verameute, anzi par. certo cosa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw Or, che dobbiamo dir api ci, che segue? soc. Tu d del corpo? brm.-S. soc. Questo a me pare in molti modi, se alcun declinasse un tantino. Perci, che alcuni dicono, che egli sia allanima sepolcro, quasi ella sia sepellita in questo tempo presente, e anco perch 1 anima col messo del corpo significa qualunque cose pu significare per questa ca gione  chiamato ancora bene. Nondimeno mi Ravviso, che gli settatori di Orfeo abbiano posto questo nome principalmente a questo fine; perch l'anima iti questo corpo dia la pena de delitti, e sia chiusa iti questa siepe, e trincea affine servi imagine di prigio ne. Per la qual cosa vogliono, che sia questo cosi; come  chiamato un chiostro per custodir l anima fin, che purghi qualunque debiti; n pensano, che vi si abbia a tralasciar pure alcuna lettera, ehm Or, O Socrate, mi pare, che dj intorno a questo si sia detto bjBstevolmetite: ma de nomi de* Dei potressimo forse noi considerare, come si  fatto di Giove, secondo qual retta invenzione fossero posti i nomi loro? soc. Per Giove s, o Ermogn; se noi avessimo intelletto sarebbe una maniera buonissima il confessare, che iton conosciamo niuna cosa d intorno a' Dei, dico n d intorno ad essi, n a nomi loro, co quali si chiamano; manifesto essendo, che essi si chiamino coi veri nomi: ma la seconda maniera della retta intenzione si , che cos come ordina la legge, che si pre-i ghino i Dei ne voli comunque aggrada loro di esser chiamati; cos ancora noi li chiamiamo, quasi da noi non si conosca niun' altra cosa. Perch si  deterrai. nato bne, come mi pare. Per la qual cosa, se ti piace, consideriamo quasi avendo detto innanzi a Dei, che da' noi non sia per conoscersi niuna cosa d intorno a loro? non confidandosi noi di esser possenti: ma pi tosto- d' intorno agli uomini oon che opinitine principalmente intorno a Dei disposti posero lro i nomi; essendo .ci lunge da riprensione. fi erm. O ' Socrate; egli  avviso, che tu parli modestamente, c facciasi da noi in cotal guisa. .Dunque incominciamo .alcuqg,co$a da Veste. secondo le legge.- bum. Cosi veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe dir alcuno, che considerasse chi la si chiam Veste? erm. -Io pon penso per Giove, bis ci siaagevole do riprovarsi. som O firnwgene buono. In vero par bene, che i. prinp autori, de, nomi non siano tati certi gr*, solqni; ma investigatori sottili di cose Sublimi. 11 Perch? sac Perch, mi pare cheil por de' stomi sia stato di . certi uomini siffatti, *' se d leu n considerasse i nomi forestieri^; non tnanbo ritroverebbe ci, che qualunque significasse, come eziandio in qaesto, il qual noi chiamiamo essenza, alcuni sono,.' che il chiamano altri di nuovo. Primieramente secondo luno di questi nomi,,,non ^ ovviso^ che si fofamrai forte lontano dalia ragione la essenza delle Icose, e perch noi chiamiamo ci, che  partecipe dS essenza; per questo si potrebbe nominar Itene; perch parte, che ancora noi anticamente,, chiamavamo gi ?r* o6(rffc- Appreso e leu* considerali* iscrifie, stimerebbe, che; c^l cqn|i derisero doloro, ( bfc .li, et posero;, perciocch  vcrisniU iunanM-4-iWtt.  i-, I>i^ che facessero i sacrifici a Veste chi denominarono la essenza di tutte le cose.- ma quanti di;, nuovo,la.fthiamarono aiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo Eratlito, che sempre scorressero tutte le cose, e Piente Don si fermasse. Danqoe la cagione, 'e la origine loro fosse, chi le spingesse. Sicch meritamente si chiami la cagione, che spinge. D intorno 1 0 questi fin qui siane detto in .colai guisa, come da coloro, Che' 'non intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si Iconstderi di Rea e di Saturno,* tuttoch de! nome di Saturno abbiamo detto di sopras-hiB forse, chef io noti died nulla. EHM.-Perch, o Socrat? soc. O uomo dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd. erm. Quale  eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa niol-U>, fiondimene 'Urn, che tenga feuno probabil cos. k*m.> Q uale n- dessa? soc. Mi prvedere; che E radilo gi. molto nani chiaramente aldune cose saggio, che si fecero nel tempo di Saturno e d Rea, fe quali eziandio si raccontavano da Omero, ehm. Come di tu cotesto soc. Eradito dice, che scorrano tuttalacose, e, non si fermi nulla; e assomigliandogli -.enti al flusso d un- fiume, dice non esser possibile, che nei medesimo, fiume tu possa entrar due volte. ehm. Q uesto A vero. soc. J O ti par egli, che colui da praclito dissentisca, il quale pose Rea e Saturno Si lX, il prencipe di questa virt, come TTOff/c/lefffiolf OVTK, cio legame di piedi: ma lE vi fu trasmesso forse per ornamento, ftla perM avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in vce di E si diceva primieramente on due LL come se dicesse fa ttoAAc bif(is dal dopare gli alimenti, crtte/loti. c , certa amata, cos come si racconta, che Giove amata lebbe. Ancora risguardqqdo allalto peravveulura chi ordini) questo nome, denomino laere e parl oscurar mente, ponendo ci principio nel fine, il che ti si far manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di Proserpina, ed enroAAtav temono alcuni 'per quello di nominare, che  ignota: loro la retta invenzione de np; mi: perciocch mutando considerano la 3U ancora adviene intorno al nome d A polline, avendo molti in orrore questo nome, come porti seco alcuna terrihil cosa, o no il conosci tu? ehm. Il Conosco ai, e tu di il vero. soc. -Ma ci, come mi  avviso,  posto benissimo rispetto alla potenea di Dio. erm. In che modo? soc. Sforzerommi di esprimere il mio parere, in vero non si avrebbe possuto ritrovare un altro nome solo pi convenevole -alle quattro potenze, di Dio, di maniera, che le tenesse tutte, e in un certo modo dichiarasse la musica, il vaticinio, la 1 I T u ' ', medicina, e 1 arte del saettare. Or di, per ch mi  avviso, chp,tu dica un nome strano,, soc. Anzi egli  conveuevolmente addattato; essendo Dio musico; perciocch la purgagioue primieramente, e le mondazioni, che si fanno colla medicina, e col vaticinio; ancora le cose, che si torniscono colle medicine  de medici, e gli incauti degli indovini, C le purificazioni, i lavacri, egli spargimenti possono questo solo, cio di. rendere 1 uomo puro, e del corpo e deUaniina; non  egli cosi? erm. Cosi ad ogni modo, soc. Dunque sar colui il Dio, il qual purga e lava chi libera da mali siffatti, ehm. Senza dubbio, soc Per la qual cosa in quanto lava, e libera come medico di tali inali;  meritamente chiamato liberatore. Ma secondo la indovinazione, e il vero, e il semplice, essendo una stessa cosa il possiamo ancora nominar bene secondo il costume de Tessali. Per l certo tutti costoro chiamauo questo Dio, semplice: ma pereh sempre imbroca il sogno con l'arte del saettare, sempre percuote-, si pu dire perpetuo percotente. Secondo la musica poi, si ha a pensar di costui come di chi si dice, che segue alcuno; e della moglie, perch 1  A dimostra, come in altri molti luoghi il congiuogimento, e qui ancora significa 1 * accompagnamento delle conversazione, e intorno o cieli, i quali chiamiamo 7 TAovff,  SIGNIFICA eziandio 1 * armonia, che  nel canto, la qual ai chiama concordanza. Perch dintorno a queste cose, come dicono i periti di mnsica e di astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia. Questo Dio poi  soprastante allarmonia volgendo insieme tutte queste cose, e appresso agli uomini, e~a'ppresso V Dei. Dunque cos come T J y o^oa/Afii/Sor, Kff opJtOv roti : ttoAAos, donde meritamente si pu chiamar obi pensa avere intelletto. D intorno a Venere non  cosa degna, che si contradica ad Esiodo: ma si conceda, che si chiami &QfOpo 7 vetrw, ci per la generazione della spama. MM.-Or, o Socrate, non trapasserai sotto silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte essendo ateniese, soc. Non conviene itKolcun modo. ehm. Per certo n. soc. Egli non  malagevole da dirsi, perch sia posto luno de nomi di lei. Kit. Quale? soc. Per certo noi l chiamiamo Pallade. ehm. Si certo. sac^-Or istimando noi, che 1 sia posto questo nome dal saltar fra le arme, lo stimeremo bene, come io penso, perciocch lo inalzar se stesso, o altra cosa in alto, o da terra, o colle mani il diciamo TrAAetif, e thxAAe adii, Xfid pX B ^*. vi v XKps, y, cio Alarle, si dice secoudo il maschio  MpetOtfjiCio forte. Pi lire sft la vorrai, che egli aia stato chiamato per certa aspra natura, dura, e invita, e immutabile, la qual si chiama ttppXTOI, questo ad ogni modo convenirli al Dio guerriero. xrm. A d ogni modo. soc. Deh per li Dei lasciamo oggimai i Dei, temendo io di disputar di loro: ma proponimi qualunque altre cose tu vuoi, affine tu conosca quali siano i cavalli di Eutifrone. un. Farollo addiinandandoti ancora una cosa di Mercurio poich Cratilo nega, che io sia Ermogene, sicch tentiamo di considerar ci che significhi ppw$, cio il nome di Mercurio: affine conosciamo, se egli dica alcuna cosa. soc. E nondimeno gpgyg, cio Mercurio pare che sia intorno al sermone in quanto  i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) t nhu'juKne, k to xTxrnXoi sr ih *  sospetto in questa tal guisa, perch sfttei, cio sempre scorre, scorrendo intorno all* aria, perci meritamente si pu chiamar fatfripo 7*  cio lanno pare che sia lo atesso; perciocch quel che a vicenda manda in luce qualunque cose nascono e si fanno, e le essamina ia se stesso, e discerne  lanno, e come di sopra dicemmo, che l nome di Giove era segato in due, e si chiamava dalcuni  daltri a/# cosi ancora chiamano qui lanno altri evi flfUTy, perch in se stesso, . f ^ altri ajoS, perch essaraina. Ma ia ragione intera , che chi .esamina se stesso, si chiami ia due maniere essendo uno dj modo che da un parlar solo si facciano dpepomi,eVl t/T, e bT-OS cio anno, ehm O Socrate, tu te ne vai luoge oggimai. soc.-In vero mi  avviso di far progresso nella sapienza, ebm. Ansi si. soc. Per avventura il concederai maggiormente, xaw. Hor dopo questa specie Volentieri contemplerei, in che rpodo questi nomi eccellenti di virili siano posti bene, come (ppvn**\L ** Troppo aridamente, o Oberate, ed incivilmente. 1 oc t-r-Q non sai tn, uomo beato, che i nomi, i quali prim|erjqjentf furono posti, siano stati celati, da cip tragicamente li vogliono narrare; aggiugnendo essi per eleganza, e levandone via lettere, e parte per lunghezza tempo,  parte per desiderio di  ornamento 'rivoltandoli" da tutte le parti, come per esempio tV TcS Hpctfaipa, c,oi nello specchio, non parola te disconvenevole che si siaframesso il pa? per certo tali cose fanno, come io stimo, chi prezzano, pih vezzi della boca, che la verit, per la qual cosa framettendo molte cose a primi nomi, alla fine fanno, che niun uomo intenda ci, che si voglia il nome, come mentre proferiscono Ty aai'yyce, cio certo li i ; .-i   f'iitij n s . T ' *17 mostro, dovendosi pronunciare /'yot, e "tolte altre ' ! "!. T I, .sose. ZBM, ci, o Socrate se ne sta veramente cosi, soc. Ma se si concedesse di nuovo ad ognuno secondo il suo volere di aggingnere e levare a borni, grande in vero sarebbe la licenza: e chiunque darebbe qualunque nome a ciascheduna cosa, za*.Tu narri il vero; ma si conviene, come io penso, che da t presidente savio, si servi certa mediocrit e decoro. irm. I o il vorrei si. soc. E ancora io, o Ermogene, il desidero con esso tco: ma no il nctncar,  Umo flice, coi troppo eSsata investigazione, affine non annichili al tutto k virt mia: perciocch io me ne vengo alla cimjt delle cose antedette, poich dopo 1 J-*! arte avremo considerato |iSJ iti, cio  scorre malamente > sari nati i/ct, cio vizio. Ed il proceder malamente che si fa nell anima inverso alle cose, ritiene massimamente la denominazione del vizio; ma il hxk)$ (Si'XI, cio il prcdere malamente ci, che egli si sia, pare a me che si dichiari ancora nel nome t/fgiA/oe, cio nella timidit, la qual non ancora abbiamo dichiarato; aveodola noi tralasciata; facendo mistieri che la si considerasse dopo la fortezza. Appresso ci  avviso di aver tralasciato molte altre cose. Dunque it/ls l A/x significa il forte legame dell* animai perciocch 7 -$ Aistf  certa forza. Si che J\ei\ix, cio la timidit  il grandissimo legame dell'anima, cos come ancora j xitopix. )>S4C cio il dubbio  male,, e, sommariamente qualunque impedimento del. progresso. Questo dunque pare, che dimostri x, K*k5s *, cio l andar male senza moversi, e con impedimento; la propriet quando lanima tiene si riempie di vizio, che $e quel nome di malvagit compatisse ad alcune cose siffatte, il contrario significher virtlt. Primieramente SIGNIFICANDO abbondanza, e poscia che il flusso dell' anima buona sia sempre sciolto. Perlaqualcosa quello- che  senza retto tiono e impedimento x C Itati KflAw/eoa, cio che sempre scorre ha avuto, come  avviso, questa denomufazine. Si che st bene, che alcun lo chiami &ipp frtf, 4*** 8em lj re fluente. Ma peravvntura lo pu chiamar alcuno oupgx&y, quasi, che qtiesto abito sia da elggersi massimamente. Ora Spezzalo il vocabolo si chiama psT. D *rai lu forse, che io finga: ma io mi affermo, che se pur quel nome d vizi, che io ho riferito  introdotto bene, che ancor bene si introduca questo nome di virt, erm Ma che si vuole T  KfltRf, cio >* raa,e i P er * quandi sopra hai detto molte cosef soc. Certa cosa strana per Giove, e malagevole da ritrovarsi. Si che ancora a questo io apporter quella machinazione. ehm. Qual macbina'zionef soc Il dire, che questo ancora sia certa cosa barbara. ERM.-EgH  avviso, che tn parli bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da parte, se il ti piace: ma tentiamo d* sedere In die modo se ne stiano bene ragionevolmente questi nomi T K*At TO edxpoi, cio di bello e di turp. Or ci, che significa oic^pat m > par manifesto, per certo egli conviene con gli antedetti: perciocch mi  avviso, che chi ha posto i nomi biadimi ci, che iropedhce e ritiene dal corso gli enti* e ora pose il nome ocel TW povv a ci, che sempre impedis*. se il flusso ocsiaryoppovt. Ma ora pezzato il nome, lo chiamano cthry^p 0. Che si vuole il kccAov, cio il bello?* soc. Ci  via pih malagevole da conoscersi, dicendosi che questo solamente per causa di armonia, e di lunghezza sia derivato, donde s trasse. rm. In che modo? soc. Questo nome pare, che sia certa denominazione di discorso. ' erm. Come di tu questo? soc. Qual cosa stirai tu, che sia stata causa della DENOMINAZIONE di qualnuqne degli enti? o non ci, che diede i nomi? erm. Ad ogni modo, soc Dunque questo sar discorso o dei Dei, o degli uomini, o di ambidue. erm. Per certo si. soc. Dunque 70 KKOV ret Trp7(jiflCTflf, cio quello, che chiama le cose, e x kA? sono lo stesso, che discorso. erm. Apparisce, soc. Dunque qualunque cose fa di nuovo la meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma quelle, che no, sono da biasimarsi. erm. Ad ogni modo. soc. Dunque ci, che  alto al medicare fa ( le opre della medicina, ci che  atto all arte del legnaiuolo quelle, che sono proprie di lei: ma tu come >1 potresti dire? ehm. Cosi. soc. Si, che eziando il bello, le cose belle? ehm. Fa certo mistieri. soc Poscia  questo egli il discorso, come diciamo noi? erm. Si certo, soc. Si che questo nome di bello, meritamente fa la denominazione della prudenza operante certe cose siffatte, le quali abbracciamo, dicendole belle, erm. Cosi apparisce. soCi-Quale altra cosa ..oltre al genere di lei rimane da investigarsi? e*m. Quelle che riguardano al buono e al bello, cio quelle, che conferiscono, e sono utili e ci giovano, e ci sono di guadagno, e le contrarie a queste. soc.-Ci, che sia quello che conferisce, tu il ritroverai considerandolo dalle cose antedette, parcndj certo germano di quel nome, che peritene alla scienza, non dimostrando egli niun altra cosa, che 7HV (piX(pQp XV TUS flBfCt T6IV '7rpOC'yjiffTOV, cio il portamento dell' anima insieme colle cose, e quelle che quinci provengono sono chiamale 1 nocivo, e il dannoso . erm, Per certo . soc. Ed il fiAxfiepov, dice sia t 0 fhAxvyov TO poD, cio ) 58 ( quello che nuoce si corso, t* J\g jSAatT'yOI, TO jSot/OfievoV cnrrei, cio quello, che vuole impedire. e cnTTBIV Reti c/leTlf, c ' impedire, e il legare di nuovo significa lo stesso, e questo biasima per tutto. Dunque ci, che vuole ecmeil K cAell T 0 >6v Aofteroi I ttntTBlV po0\ l si chiamerebbe bene fiovXonrTepOV, nia P er ornamento io stimo, che sia stato nominato /JActjSspoV. O Socrate, vari nomi se ti vanno nascendo di sotto via, e mi pare al presente, che tu abbia cantato innanzi certa quasi ricercata della legge di Pallade, mentre proferivi il nome jJot ) .1 AaTTTepoJ/V. soc.-,0 Ermogene, io non sono cagione. - ma chi posero il nome, ehm, Tu di il vero: ma che sar poi il uji/c/|ef, c ' dannoso? soc. Vedi, o Ermogeue, ci, che debba essere e vedi quahto daddovero io parli, qualora io dico, che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano d gran lungo il senso de nomi in modo, che cambiando certa picciol cosa facciano alcuna volta, che SIGNIFICHINO COSE CONTRARIE, il che. apparisce in questo nome Jisovjl, cio opportuno. Ci poco fa in pensando quello, che io sono per dire, mi e venuto in mente. In vero noi abbiamo nuova quella voce bella, e ci sforz a suonare il contrario TO c/l/o K* T confondendo il senso ma certo nome vecchio f i s 9 ( dichiara quello, che ai voglia, e i no e allro me. eem. Come di t cotesto? soc Dirolloli, tu sai che, magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del I e del A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t tengono si la voce vecchia, ma ora in vece del, vii aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo del J il o come queste suonino alcuna cosa pi magnificamente. che modof soc. Come per esempio gli uo rntm antichissimi eh, amavano T| ; y . cio il giorno: ma altri poscia il chiamano ^ p J t e  presenti ^ epxr, erm. E gli  vero. soc.-Dun- qne tu sai, che con quel vecchio nome si dichiara so. la mente la mente di colui, che pose il nome; perciocch eh, amarono il giorno S(lepxv> perch da|Ic ^ bre s, faceva il lume agli omini */ povjlt, Che,1 desideravano, e si allegravano . IZ , AP / arSCe * S0C ' ~ Ma  ra in 0* ninno non intenderesti, q ue,, cbe voglia ..tato nelle tragedie, bench stimano alcuni, che si d,c * Wpct, perch faccia egli qualunque cose,u{ po( cio mansuete, ehm. - Cos mi pare. soc. - N ti * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070 cio,1 giogo t,yQ Vt ' erm Per cert0( soo _ Ma ye raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra niente: ma j 0V70t ) fio ( dimostra s'neK# T? J\oaeu$ 65 *m 7^7*,*' cio il conducimento di due per causa di legare, e lo stesso si dee giudicar di molti altri, erm. E manifesto. soc. Nel medesimo modo il to J\&ov cosi proferito dimostra il contrario di tulli i domi; che ris guardano si bene; perch certo essendo il idea.  del bene, pare che sia c/SO'piOf, cio legame e impedimento del progresso  come certa cosa germana TO jSKjSspO, cio al nocivo. erw:  Socrate, cqs'i appar si. soc. Ma non gi incoiai guisa nel nome vecchio, il quale  yerisinaile, che meglio sia; sta-, to ordinato del nostro, per certo tu coovenirai coj beni antedetti, se per lo g renderai lo / t come anti-r ' 4 camente si diceva; non significando c/|ov : ma J\li quel bene, il quale  sempre lodato; dall/ inventore dei nomi; e in siffatta maniera non discorda egli eoa seco, anzi pare che sia lo stesso t/Isoy, KCt ( ftov, kx'i A.t/v, cio il cruciato par nome forestiro detto da oc^yeiVOV' oJlv/n poi, cio il dolore, e FaSlitione si denomina da e Vc/lu &BCo$ THS Al/TT?, c!  dall entrar del dolore, erm. Apparisce, soc. a yJtiJlV, cio il dispiacere chiaro  ad ognuno che e assomigliato il nome alla gravezza del portamento, ma ^ctpx cio lallegrezza, e la letizia par, che sia chiamata da J\ loc^vireus, c ' dallfacilit evTTOpixs cio del movimento dellanima. Si cava T } p'M St cio il diletto da Tg/>4.t?, cio dal dilettevole; maT-gp^j^ydaT rspJWoy da JtXTS pr\-e&)$, cio dalla inspirazione del diletto aellauinia. Sicch meritamente si chiamerebbe tpTrrovi, ' ) ( cio inspirante; ma dal progresso del tempo il  divenuto a t/>TTV 0. Per q ual cagione si dica cio lallegrezza e vigoria non  bisogno renderne conto, essendo manifesto a chiunque trarsi questo nome da ef, che si dice v TOS TrpxypLXXI TtV ffvp Hpepsa e certe altre si fatte cose, onde hanno esse i nomi? soc.*-Si dice J\ooc, o da cio dallinvestigazione, con la qual cambia, e segue lanima investigando la coudizion delle cose, o da -j-jy TO^OU JohSt cio da ^ scoccar dellarco: ma quinci pare pi tosto, che dipenda, | omeri J, cio la stimazione a ci consona, assomigliandosi allentrar dellanima in qualunque cosa, il qual dichiara ci che sia qualunque degli enti, cosi come e jgot/A*, cio lo volont si dice da l*Ho scoccare,  TO 0VElecr$ttl, c,o ll desi ' derare, e j?ovAst/ l la verit e t 0 cio la bugia, e to oy, c,oe lente, e 0V0fi cio il nome di cui ora trattiamo, perch tenga questo nome. soc. Chiamami tu pcc! ecrBxt, alcuna cosa? ebm. In vero chiamo lo investigar^,- soc. Egli  avviso, che questo nome sia generato da quel sermone, onde si dice esser oy, cio lente, di cui il nome  investigaiipnfc, il che, pii,, chqramat^ con^prend erai. Per cert,o In quello che, noi; t}icjw TOt voj Utr O-TOl/, cio nominato esprimendosi qui ci, che sia no es   dellente par che si dica con questo nome Qpx, w>; i.i ri   r i otatf ;oq[ no' r ft. r ql essendo quasi flst Oliffflt A, c,oe certa > div,na in',n t>. et MI scorreria: ma il >J,sV(/|o5, c  bugia,  al portamento. Perciooehdi nnovo si disprggi* quello, che vien ritenuto, e costretto; a star quieto* ed  asso migliio T cio che 'non va. sart. Q Socrate, mi  avviso, che rimilo fortemente' tu abbi ventilato questi nomi: 'ma se alesili) li addiniandass di questi t# tOV, TO peOV,KO U Tft (Httl/V tosse U retta loro interpretazione, che principalipenle 1 risponti eremo noi ? i 1 tieni tu forse? soc. Teugolo certo. In vero poco fa .tei sovvenire un non. so che, coir la cui risposta pare a noi di risponder alcuna cosa, san Qualej  cotesto? soc. Che diciamo, chesia Barbarei ci, che non conoSeijdno,- perch forse sono daddovc >( re io parte tali, e malagevoli da ritrovarsi i nomi pfimieri per. lantichit; perciocch torcendosi i nomi per tatto, non sarebbe maraviglia niuna, e la voce antica colla nostra pareggiata non fosse niente differente dalla voce Barbara, erm. Non e fuor di proposito ci, che tu db soc. Dunque io apporto cose verisimili, non per tanto perci pare, che la contesa ammetta la scasa: ma sforziamoci di investigarli, e consideriamo in colai guisa, se alcun sempre cercasse quei verbi, per li quali si dice il nom, e di nuovo procurasse di saper quelli, per li quali si dicono i verbi, n ci facendo cessasse, forse non sarebbe egli ne-, eessario, che alla fine si stancasse il. rispondente? brm.  me par si. soc. Dunque quando cesser meritamente colui, il qual nega la risposta? o non quando a quei nomi pervenir, i quali sono quasi elementi del rimanente, cio de sermoni e de nomi? in vero se in colai guisa ne stan' essi, non dee parer pi, che daltri nomi siano composti, come per esempio abbiamo detto poco fa che to otyxS OV, cio d bene fosse composto da ecyxtTTOv, cio del mirabile, e $ov, t  del veloce 3eOV P* cio il veloce, diremo noi che costi daltri, e essi da altri: ma se alcuna volta a quello perveniremo, che pi oltra non si forma daltri nomi, meritamente diremo noi di esser pervenuti allo elemento, n pi oltre faccia mistieri, chel riferiamo ad altri nomi, bum.' T u mi parj di parlar bene, soc. O non sono quei nomi elementi i quali tu ora addmandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri la retta interpretazione? sbm. Ci  verisimile, soc. Verisimile certo, o Ermogene. Per la qual cosa tutti gli antedetti pare, che siano a questi ascesi, e se ci se ne sta cosi come mi pare, or di nuovo considera con esso meco afline per avventura non impazzisca, mentre tento di dichiarare la retta inlenzion dei primi nomi. zbm. Di pure, perciocch io vi penser secondo il potere, soc. Io stimo veramente, che in questo tu assentisca, che una sia la retta invenzione di qualunque nome, e del primo, e dellultimo e niun di loro in quanto nome discordi dallaltro, ehm. Si. soc. E nondimeno la retta invenzione de nomi, i quali poco fa riferito abbiamo, voleva esser certa tale, che dichiarasse, quale si fosse qualunque degli enti, ehm. Senza dubbio, soc. Questo veramente non dee convenir manco o primieri, che agli ultimi, se sono per dover esser nomi, ebm. Al tutto, soc. Ma gli ultimi nomi, come  avviso, potevano fornir questo per li primieri. ebm. Apparisce, soc. Stiano le cose jcos. Or i primi, a quali altri ancora sottoposti non sono, in che modo secondo I possibile, ci dichiareranno gli enti, se deono esser nomi? rispondimi a questo. Se non avessimo voce, n lingua, e avessimo voluto dichiarar Vicendevolmente le cose, non avremmo tentato noi cosi, come i muli al presente, di significarle colle mani, coll* tetta, e col rimanente del corpo? ibm.- Non al i ;> i iiit k ' ci :  !>M Ili menti, o Socrate, soc. Ma, come io penso, se volessi ni o dimostrar il supremo, e il lieve inalzeremo le mani in. verso al cielo, la stessa natura delle cose imitando: ma se le inferiori, c gravi le rivoglieremo alla terra; pia oltre dovendo dimostrare un cavai corrente; o alcun altro animale, tu sai, che da noi si sarebbe finto i gesti de corpi nostri, e le figure quanto pi presso alla loro somiglianza. erm. Ci, che tu d mi pare necessario, soc. la questo modo, comio penso, con lo imitar il corpo, si sarebbe con queste parti di corpo dimostrato quello, che chiunque avesse voluto dimostrare. erm. Cos certo, soc. Ma poich vogliamo dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa cosj finalmente la dimostrazione da queste se per esse dintorno a qualunque cosa si fa la imitazione? erm. Io penso necessario, soc. Sicch, come apparisce,  il nome imitazione di voce di quella cosa, la qual imita, e nomina chi imita con la voce, erm Il medesimo mi pare ancora si sia detto bene, erm Perch? soc. Perch saremmo costretti a confessare, ohe questi imitatori di pecore, e di galli, e daltri animali nominassero le stesse cose, dequali si imitano. *hm. Tu pnrli il vero, soc. Non pare a te, che stia ben questo? erm. A men: ma o Socrate; qual imitazione sia il nome? soc. Non tal imitazione, qual  quella che si fa per la masica tutto che si faccia colla voce: n delle stesse ancora delle quali la musica eziandio  imitazione; non dicendo noi, conio  avviso, la imi tallone per la musica. Ma cos mi dico, li trova egli iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in motte color ancora? twm^kd wgnf modo.'- SOC. Dunque se alcuno queste imitasse, intorno a queste imitazioni non si ri Irorarebhe io facoltdel nominare, essendo altre desse la musica, 1 altre lo dipintura; non  egft 1 cosi? va*. Veramtfhte. soc, Che a questo? non pensi ta, che qualunque coso tenga csi la essenza, come if Colore, e le altre cose, che abbiamo detto dianri? o hon si ritrova egli* ntl colore, e nello vce certa essenza e in qualunque altre cose, che so n degne della denominazion dellessere? ehm. A me parsi, soc. Che duh" que  se alcun fosse possente di imitar con lettere, e con sillabe la essenza di qualonqd csa; non dichiarerebbe egli ci, che fosse qualunque 'Cosa, o pur n. soc. Qual diresti tu, che potesse far questo? tu gii antedetti' parte chiamavi' msici, parte dipintori:' ma costui, come il Chiamerai tu? "ew\ Mi par, o Socrate, che egli sia lautore del nominare 1,  ! il quale gi molto cerchiamo, soc. Se questo  vero, -ggimni da cnbiderarsi dintorno  quei nomi, che 1 ; tu ricercavi pouj, c io del flusso, levai dellandare, a-^e noroj primieri, se peravventura, come i tragici, qualora dubitano ricorrono alle machinazioni innalzando i Dei, cosi ancora noi non, ci . espedissinv* tosto questo dicendo; che da Dei siano posti primi nomi, perci siano stati ordinati bee. Duuqne questo parlare sar egli ottimo presso noi, Oiquello che gli abbiamo ricevuti da alcuni barbari, essendo i barbari di noi .pi antichi, o per la vecchiezza non li possiamo discernere cosi come i nomi barbari ancora. Questi sono schermi, o leggiadri al di chiunque non vogliono render la diffinizione della imppaiaiono retta de primi nomi: perciocch chiunque non tiene la retta diffinizione de'prirui nomi, non pu conoscer i seguenti. Questi per certo sono da dichiararsi da quelli,, de quali non  alcuno, che ne sappia nulla. Anzi chiaro , che chi fa professione della perizia de* seguenti, abbia compreso gli antecedenti inolio prima, e perfeltissimamente li possa dimostrare, ma altrimenti dee sapere, che egli sia per prender errore ne seguenti; c siimi tu in ultra guisa? ehm. N on altrimenti, o Socrate, soc. Le cose dunque, che io sento dintorno a' primi nomi mi  avviso, che sinno cose ingiuriose, e ridicplose, e se vorrqi con esso teco le conferir: ma se tu ritroverai cosa migliore, eziaudio tu Con esso meco la' comruunicherai. erm. Farollo; ma d oggimai con fidanza; soc. Dunque, primieramente jl p pare a me, che sia come stromento del movimento tutto: ma perch tenga questo nome non labbiamo detto: ma .phiaro , che vuol esser (eirtS", cio andata; perch non si valevamo noi, per lo- adietro del jj- ma dell' 8) egli SIGNIFICA il principio {la it/str. cio t'andare, il qual  nme forestiro;  egli' lo f e yJj : il j r r . v ' . r cio lo atiflar.- Sicch^s 41 prifnt? nme* di lu si ritrovasse iraspaptalb nella voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V nome fre stiero, e dal riiutaniento del  e' dal frammettersi il *,,  y si chiama Ma faceva bi so gii oidio qi dices-,  !'  ' ir. t>-| ii -, j se k ieiveei?, ovver eitr/j, * c/|s 080^0 il p elmento, parve come ora diceva* opportuno stromento del moto all'autore de nomi per esprimer la somiglianza del, portamento perla qual.cqsa'uso il p pec tutto alia espressione del movimento.- Primieramente T  ( p e 6 1 V K poti, cio ne Ho scorrere, e nel flusso imita il portamento per la lettera p poscia nella voce jrpoy.n cio tremore, e nel Ypxyjs.1, cio nellaspero, ancora nelle parole di colai sorte ^poveiV >1 percuoter, Spxvsiy il romper fpln$iy il tirare SpvTTT&lV rompere, xejiT t? tagliare in pezzi pspjSeiy, vacillare, tutti questi per lo pili figura per lo p conciOssiache, io la lingua nel proferir questa lettera non ritarda niente, anzi pili tosto si commove. Sicch egli  avviso, che si abbia servito del p principalmente alla espressione di queste cose. Eziandio in tutte le cose tenui penetranti massimamente per tutto si ba servito del t; laonde imita per lo / jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio  landare, e il far progresso, come ancora per lo q e ^ e e  le quali lettere sono di spirito pili veemente. Cose si fatte ci esprime l autor del nome, come per esempi 0 TO 1 C08a fredda yo ( 90V, la bogliente, 70 1 lubrico, T0 yA^KU *' doIce tt* J^Aott cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi dellinterno suono del p con lui nomin to 6dlov, Kt TO 6VT0J, cio le cose interne, qnasi assomigliando le opre alle lettere- poi diede ja fts'yotAw, cio al grande e t p*K6l, c * Ha lunghezza perch sono lettere grandi: ma ffTpq'y'yuA^ c * rotondo, avendo egli bisogno dell o, per lo pi nel nome lo mesool. E nella stessa guisa 1 autor del nome pare, che si sforzi di accommodar a qualunque ente segno, e pome secondo le lettere, e le sillabe, e da questi poscia comporre il ' rimanente delle specie secondo la somiglianza. O Ermogene, mi pare che questa sia la retta interpretazione de nomi, se non apportasse Cratilo alcunaltra cosa. ehm. E pure, o Socrate, spesse volte mi travaglia Cratilo, come ho detto da principio, mentre afferma, che vi sia alcuna retta interpretazione di nomi: ma nondimeno quale ella si sia non la dice chiaramente in guisa, che io non possa conoscere se egli volontariamente lo faccia, o pur n; cosi ne parla semprc d'intorno ad essi. Dunque, o Cratilo, dimmi ora alla presenza di Socrate, se ti piace il modo, con cui egli ne parla dintorno a nomi,' o Se tu puoi dire io altra miglior guisa, il che se puoi il dirai a line, che o da Socrate tu impari, o ammaestri nmhidue noi. ca. Ma che, o Ermogeuc? ti par egli ogevol cosa rapprender in cosi poco tempo, c lo insegnare qualunque cosa noti che una cotanta; la qual dintorno alle grandissime  stimata certa grandissima cosa? ersi. Per Giove n, anzi io stimo, che Esiodo abbia parlato bene, che utile sia laggiuguer il poco al poco. Sicch se tu sei possente al fornire alcuna cosa se ben picciola, no il ricusare: ma giova a Socrate, ed a me appresso, dovendolo tu fare, soc. In vero, o Cratilo, n io stesso affermerei niuna di quelle cose, le quali dianzi ho raccontato. Ma iu quel modo, che mi parve ho ci considerato con Ermogene. Laonde prendi ardir in esprimere, se hai alcuna cosa migliore, come io sia per ricever volentieri ci, che dirai: nondimeno n mi meraviglierei se tu potessi dire alcuna cosa di queste migliore, parendo a me, che tu abbia considerato siffatte cose, e imparatele da altrui. Duo-, que se da te si dir alcnna cosa eccellente; mi annovererai fra tuoi scolari intorno alla retta investigazione de' nomi, cr. Per certo, o Socrate, questo tu di, mi fu a cuore, e ptravvenlura ti farei scolare, nondimeno dubito, che la cosa se ne stia incontrario ad ogni modo, perch mi sovvieue di dir in certa maniera lo stesso in verso a te che disse Achille ne sacrifici in verso od Aiace. O Aiace, nato di Giove, figliuolo di Telamone, re di popoli, tu hai proferito tutte le cose secondo il mio parere. Ancora tu, o Socrate, pare che indovini secondo la mente nostra, o essendo tu inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in te alcun altra musa, il che ti era ceialo innanzi, soc. O Grati lo, uomo dabbene, ancora io ammiro gi molto la mia sapienza, n mi confidi troppo. Sicch . io stimo che sia da considerarsi da nuovo ci clic io mi dica, essendo gravissima cosa lo ingannarsi da se stesso; perch come non fia cosa grave, quando non  poco lontano: ma sempre presente chi  per ^ingannare? sicch fa mislieri, come  avviso, voglicrsi spesso alle .cose antedette, e come dice il poeta, tentar di guardar innanzi, e indietro parimente. Or al presente vediamo ancora ci che si  detto. Abbiamo detto retta int rpetrazione di nome ci, che dimostra quale sia la cosa. Mi d, dobbiamo dir noi, che qitesto si sia detto bastevolmente? in vero io l 'affermo. soc Dunque si dicono i nomi percausa dinsegnare? eh. Al lutto., soc. Dunque dobbiamo dir noi, che questa ancora sia arte, e mietici di le.? er.^S. soc. Quali? cn Quelli che da principio tu chiamavi facitori di nomi. soc. Mi di, possiamo dir noi, che questa arte sia negli uomini parimente come le altre, o altrimenti? questo  poi quello, che io voglio I dire. Sono egli alcuni dipintori peggiori, altri piti eccellenti? ce. Sono il. soc. Non fanno gli eccellenti 1 opere loro pi belle, cio gli animali? incontrario gli altri? ancora i muratori fan essi parimente le case parte pi belle, parte pi turpi? ca. Cosi . soc. Gli autori eziandio delle leggi non fanno essi l opere loro parte pi belle, parte pi turpi? ce. Questo non mi par no. soc. Dunque non pare a te, che altre leggi siano migliori, altre peggiori? ca. Per certo n. soc. N anco come apparisce stimi, che altro nome sia posto migliore, altro peggiore, cr. N questo, soc. Dunque tutti i nomi sono posti bene. cr. Quanti sono nomi, soe. Che del nome di Ermogene che si  detto di sopra? come dobbiamo dir noi, che a lui non sia posto nome, se non, cheli compatisca spfiov'yGVEO'EflJ, cio, che sia della generazione di Mercurio? o che sia posto: ma non bene? cr. O Socrate, non mi  avviso, che ancora gli sia stato posto: ma paia si: ma che sia daltrui questo nome, d cui  la natura ancora, che significa il nome. soc.-Dimmi, non mentisce chiunque dice, che egli non si diea Ermogene non essendo da dubitarsi, che egli non si dica Ermogene non essendo, cr In che modo di tu questo? soc. Forse perch non  lecito al tutto il dir il falso? e si suol SIGNIFICAR poi questo il tuo sermone? perciocch, o amico Cratilo, sono alcnni ancora, che il dicono al presente, e il dicevano gi. ca. Perch, in che modo, o Socrate, mentre dice alcuno ci, che dice, dir egli quello, che non ? o non  egli il dire il falso,, dicendo le cose, che non sono?,soc.-0 amico,questo parlar  pi eccellente di qnelche ricerca la condizione, e et mia; nondimeno dimmi se paia a te; che alena non possa parlar il falso: ma il possa dir s. ca. N dire, soc N ancora dirlo, n chiamarlo? come se alcuno fattosi incontro prendendoti per la mano iosegoo di ospitalit dicesse, Dio ti salvi, o Ospite Ateniese Ermogeoe figliuol di Smicrione; parlerebbe egli questo, o si direbbe che parlasse; a direbbe questo, o saluterebbe in colai guisa non te:, ma Erraogene, o ninno? ca* O Socrate, mi pare che costui gridi, ci in vano, soc. Questo mi basta, dimmi grida il vero chi cosi grida, o il falso? o parte il vero, parte il falso? perciocch baster eziandio questo. ca. Io direi, che questo tale strepitasse, indarno movendo se stesso, come se alcun battesse i rami. soc. Considera, o Cratilo, se in alcun modo conveniamo, non diresti tu forse; che sia altra cosa il nome, altra quello, di cui  il nome? cr. Veramente. soc. Dunque confessi tu, che 1 nome sia certa imitazione della cosa? ca. Sopra il tutto, toc Dunque e le dipinture in certo altro modo d tu, che siano imitazioni di alcune cose? ca. Per certo s. soc. Or dimmi, perciocch forse i non . intendo, quel, che tu di.- ma tu peravventura parli bene; polressiroo noi dispartire,, e portare ambedue queste imitazioni, e dipinture, e quei nomi alle cose, di cui sono imitazioni, o n? cr.~ Possiamo si . 1 soc. Or. questo considera primieramente, se potesse' alcuno attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla donna quella della donna, e le altre nel medesimo modo? cr. Cos certo, soc. Dunque iu contrario ancora la imagine delluomo alla donna, e della donna alluomo? cu. L- E questo, soc. Or ambedue questi compartimenti son forse elli, retti? ovver^ lun di essi? cn. L'uno d. soc. Quello penso io, il qual d il proprio, C simile a ciascheduno. cb, A me par s. soc. Dunque acci tu e io essendo amici, non contendiamo nelle parole, considera ci, che io djco. Io chiamo retto ( compartimento una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli animali, e nei nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma vero. Ma laltro conducimento, e portamento dal dissimile non retto, e appresso falso ne nomi. cr. O Socrate redi che ci peravventura possa solamente cader nelle dipinture, che alcuno compartisca male: ma non nei nomi: ma sia necessario che sia sempre bene. soc. In che modo di tu? dintorno a che  questo da quelle differente? non  egli forse possibile, che nd alcun uomo fallsi alcun incontro dica, questa  tua figura, e peravventura a lui dimostri la figura di lui peravventura anche di donna. Dico essfcr il dimostrare 1* offerire a sensi degli cchi.' c. 0T?. CR--Corto si. *oc. Dimmi, se questi due p e+ paiono somiglianti allo stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la determinazione del p f come a noi per lo ultimo o non significa niente agli noi di noi? cr -Anzi il significa agli uni e agli altri, boc Forse in quonto sono somiglianti il p e il o in quanto dissomigliane ti? ca In quanto somiglianti, soc. Dunque n quanto sono simili in ogni luogo? CR.-Peravventura al SIGNIFICARE almeno il portamento, soc. 0 il \ framesso ancora dimostra egli il contrario dell' asperit? CR Peravventura, o Socrate, non  framesso bene, co-me quelle cose, le quali tu trattavi dianzi con Ermogene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere ove massimamente facea mislieri. E tu mi parevi d far bene, e ora hassi a por forse il p per lo soc. Tu parli bene: ma che? al presente quando alcuno prnuncia oif, come dicevamo, non ci intendiamo tranci? n sai tu ci, che io al presente mi dica? cr,- 0 amicissimo, per usanza lo so veramente, soc. ( Quando tu d usanza, pensi tu dir cosa diversa dal componimento? chiami tu altro usanza, che quando 10 pronunciando questo, e considerando quello, tu conosci, che io considero; non d tu questo? cr. Questo stesso, 'soc. Dunque se tu conoscessi questo pronunciandolo io, li si fa per me la dichiarazione, cr. Cos . soc. Cio dal dissimile ili quello, che io pensando proferisco, poi che  dissimile il \ a quello, che tu chiami . Io penso, '0 Socrate, che Ie^etno 1 scesseroi s oc; Per certo, o amid Crtlo, non essitdo essi ignorami; cir. Non rti 2 5 sdt.-iR'itd niamo di nuoi-o col, Ond si '^iprtimriro. Perci posto fa dicesti-, se tu li raccordi'; li era teeessario,' che hi poneva' iWWii conOScts'I^'cbse/'cui 'tl penevai dimmi pare - tu ancra' ; cosV; hP 'cit.4-Eziatf* diO si; "std.' PeTavventura dllu'J'che chi pose i 'pri ini nmi, cbuoscendH 'H poness. ' cA. Conosendlk soci. Da qul homi ' avrebbe egli'imparato, o ritrovato le cose,- ! s Otti a fossero ancora 'psti i primi nomi! e di nhdVo'tfibiamD nij h si Csa impossibile di ritrovar l' Sj o impararle altrimenti, che imparando i nhii/  per noi qul siWo 1 ritrovandola CR. O SOcrte,fnf  avviso, che l~dc alcuna cosa, toc- Duriqe io che modo dirmo''%ii che essi sapendo abbiano posto ? nomi! ossiatro dati facitari dd )& te? ca. Ma chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero di questi, soc. Quali d* questi due p, ottimo uomo e^ano. es s > forse di quelli* che, si rifulgono olio sta? Io? o di quelli pi u,. tosto, che al mpviinputfe? [ilrciocch nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r do, quello chq poco^a abbianao ^ttos ;,^tf^C0si conyjenfj p ^oprate. i u ^oi e:dV cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1 .flfr fermando di so sa il^ medepi 6 &P ' .'U  , chia- ro , che non si muta niente in qui 1 tempo, die c do sta cosi: ma se sl sempre uella stessa guisa, ed  il medesimo, in che maniera si potrebbe mutare, o mo- ver non diseostaudosi punto dalla sua idea? cr. tu modo ninno, soc. Pi oltre u alcuno si conoscereb- be facendosi altro e diverso incontinente, che se no ; vico quello, che l idee conoscere. Sicch non si po- trebbe conoscer pi, che, ed  qoelio ohe si co* no sa e, d  il bello, ed anche il buono, ed oqul*iB4 qnc degli enti, non mi pare che ci che diciamo al presente sia simile al flusso ed al portamento. Or se questo se ne sl egli cosi, o come dicevano i settatori di Eraclito, e altri molti non si pu discerner agevol* mente, non  ol^jtridqaaqirfbf, jhp intelletto fidar se stesso, e lanimo suo a nomi e raffermar sapiente lootore del nome; e in colai guisa dispreggiar se stes- so e gli enti, quasi, che niuna cosa sia vera: ma scor- rano, e cadano tutte, conHMewfcne; e qual gli uomi- ni malati delle distillazioni della testa giudichi, che iimilmeule si dispongano le cose stesse in modo, che si tengano tutte dallo scorrimento, o dal flusso. Peravventura, o Cratilo, egli  cosi peravventura  altrimenti ancora. Dunque egli si dee investigar questo con aui- Mo frte, e heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen- te: perciocch ancora tu sei giovane, e ti  beetetole la et, e se ritroverai alcuna cosa iti investigante), ezian- dio la dei compartire con esso meco. ca. O Socrate, io vi attender e saprai certo, che ancor io al presente non sto senza considerazione; anzi in pensando,, e in rivolgendomi molte cose per lanimo, pere a me, che se ne stieno elle maggiormente in quel modo, che. come Eraclito' diceva, soc. Da qui innanzi o amico poich sarai ritornato, mi insegnerai: ma qra come sei. apparecchiato vattene al campo; perch ancora Ermogene ti accompagner, ci. -Si far, o Socrate, come, tu ammonisci.' ma dintorno a quello aforzati ancora tu di considerare. Nome compiuto: Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: in torno al cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dionigi  The Swimming-Pool Library. Dionigi.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dionisio: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Mentioned by Cicerone was a philosopher of the Porch who liked to quote poetry when he was teaching. Grice: “So do I: never seek to tell thy love – for love its own pleasure – the four corners. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dionisio di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A slave of Tito Pomponio Attico before being set free. Atticus and Cicerone often referred to him in their correspondence. He was evidently a man of learning who had studied philosophy. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dionisio: la ragione conversazionale all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. The ruler of Siracusa, the nephew of Dion of Siracusa. Interested in philosophy, he invited Plato to his court, but Plato’s attempts to put his political ideas into practice were thwarted. Dionisio is eventually deposed and went into exile. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisiio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dionisodoro: la ragione conversazionale e l’accademia a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Flavio Mecio Severo Dionisodoro. Dionisodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Diofan: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A tutor in philosophy and acquaintance of Plotino. He teaches that pupils should submit completely to their tutors, including sexually. Plotino was shocked by this, and asked Porfirio to come up with an argument to use against D. on this matter. Diofane. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diofane,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dionneto: la ragione conversazionale del prrincipe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He was Antonino’s tutor, who first fired the future emperor with enthusiasm for philosophy. Antonino says that he learned from hin not to be distracted by trivia, to take a sceptical attitude towards those who claim to be able to work magic, and to avoid cock fighting. Dionneto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo d Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionneto,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Luigi Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dioscoro: la ragione conversazaionale a  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. D. or Dioscuro studies philosophy in Rome. He writes a letter to Agustino seeking to discuss a number of philosophical issues. Agostino replies at length, arguing that the issues are of no real importance. Dioscoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dioscoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Disertori: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della tensione dell’arco e il volo della freccia – scuola di Trento – filosofia trentese -- filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo trentese. Filoso trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento, dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista.  Antifascista da sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale, Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento.  Pubblica più di 300 saggi di filosofia.  Per tutto il secondo dopoguerra si occupa attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa.Altre opere: “Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, La collezione si trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche scientifiche.  Coppola, Passerini, Zandonati.  SIUSA.  G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati, Un secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” D. Atti del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di D., Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al., Note biografiche, R. Bacchi et al., Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento,  Raccolta di scritti di D.   (con documentazione)  Studi scientifici del periodo svizzero  Fascicolo, carte 131, opuscoli 10  3 Raccolta di articoli e scritti di D. rilegati in volume denominata "Zibaldino" "Saggi nel cassetto" Fotocopie rilegate in 3 volumi di scritti inediti di D. "Il libro della vita"  Traduzione in inglese di alcuni capitoli de "Il libro della vita" ad opera di Nicola Lubimov. Contiene anche: alcune lettere a D. di Lubimov relative al lavoro di traduzione Fascicolo, carte 360  32    6 Scritti di D. rilegati in volumi  Minute dattiloscritte rilegate in volume. - "Scritti vari  "Scritti vari  "Scritti vari vol. "Scritti vari ; contiene anche carte sciolte  "Trattato di psichiatria"  [Minuta dattiloscritta e a stampa con ampie correzioni e integrazioni del "Trattato di psichiatria e socio-psichiatria", scritto con Marcella Piazza e pubblicato a Padova: Liviana, Bozze a stampa con correzioni dell'edizione in spagnolo, Buenos Aires: Libreria El Ateneo.  Raccolta di scritti, discorsi, relazioni ed appunti di Disertori riguardanti argomenti vari  Recensioni e documentazione relativa agli scritti di D. Unità archivistiche 30 Contenuto Raccolta di recensioni a opere di D. 1 "Gandhi"  Recensioni relative all'opera "Gandhi: pensiero ed azione" (Trento: Disertori, "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale"  Estratti e recensioni relativi al "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi); "Encefalite"   Recensioni e articoli di giornale relativi ad alcune pubblicazioni di Disertori sull'encefalite Fascicolo, "Liquor" Recensioni relative a "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi,"Sulla biologia dell'isterismo"  Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi a "Sulla biologia dell'isterismo" (Reggio Emilia: Poligrafica reggiana,  "Il libro della vita"   Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi a "Il libro della vita" (Verona: Mondadori, "Trattato delle nevrosi"  Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al "Trattato delle nevrosi" (Torino: Edizioni scientifiche Einaudi, "Itinerari pitagorici" Recensioni e documentazione varia relativa all'opera "Itinerari pitagorici" (Trento: TEMI,  "Parapscicologia e ipnosi"  Estratti di riviste e articoli di giornale riguardanti la parapsicologia e l'ipnosi Fascicolo, "De anima"  Recensioni e ritagli di giornale relativi al "De anima: saggio sulla psicologia teoretica" (Milano: Edizioni di Comunità, "Mazzini filosofo"  Recensioni e ritagli di giornale relativi a "Mazzini filosofo: nel centenario dell'Unità" (Trento: TEMI) Fascicolo, carte  "Trattato di psichiatria" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al "Trattato di psichiatria e socio-psichiatria" (Padova: Liviana) di D. e Marcella Piazza "Pellegrinaggio in Egitto"  Recensioni e documentazione varia relativa all'opera "Pellegrinaggio in Egitto" (Venezia: Pozza,  "Timeo"   Recensioni dell'opera "Il messaggio del Timeo" (Padova: "Esperienza dell'India"  Recensioni relative a "Esperienza dell'India" (Vicenza: Pozza, "Personalità caratteropatiche"  Estratti di riviste e recensioni relative alla pubblicazione di "Le personalità caratteropatiche submorbose e tetratologiche"; con Marcella Piazza (Padova: Liviana, "Cronaca di un safari"  Recensioni relative a "Cronaca di un safari" (Venezia: Pozza, "La montagna di Vishnu" Estratti, recensioni e articoli relativi a "La montagna di Vishnu: taccuini di viaggio nel sud-est asiatico e nell'Uganda" (Vicenza: Pozza,  "La sfinge olmeca"  Recensioni relative a "La sfinge olmeca: note di viaggio in Messico e Guatemala" (Vicenza: Pozza,  "Trattato di psichiatria e socio-psichiatria"   Estratti di riviste, recensioni e documentazione varia relativa a "Trattato di psichiatria e socio-psichiatria", scritto con Piazza (Padova: Liviana; Contiene anche: dispense del Convegno nazionale di psichiatria sociale (Bologna, "Parkinson" Recensioni relative a "Fisiopatologia e terapia del morbo di Parkinson e dei parkinsonismi: contributo teorico ed esperinza con l- dopa" (Padova: Liviana, "La via delle perle"  Documentazione varia, tra cui alcune lettere, relativa a "La via delle perle: note di viaggio in Birmania, Borneo, Giappone, Cina esterna, golfo del Siam" (Vicenza: Pozza,  "Sfida al secolo" Recensioni e articoli di giornale relativi a "Sfida al secolo: la natura, l'uomo, il tessitore" (Padova: Liviana; Trento: TEMI) Fascicolo, "La stagione dell'infanzia"  Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al contributo "La stagione dell'infanzia" (Forlì: Cooperativa industrie grafiche)  "Luci d'autunno"  Recensioni relative a "Luci d'autunno: diari, taccuini di viaggio, saggi, poesie" (Trento: TEMI). Contiene anche  lettere di Piccoli e Demarchi "Il monolito dei fulmini" Recensioni relative all'opera "Il monolito dei fulmini: (note di viaggio in Sud America)" (Vicenza: Pozza, Contiene anche lettere di Prò e Condini; La tensione dell'arco"  Recensioni relative all'opera "La tensione dell'arco e il volo delle frecce" (Abano Terme: Piovan). Contiene anche: lettera con recensione di Capasso "Poesie"   Recensioni di poesie di D. "L'ombra eleusina" Recensioni relative all'opera "L'ombra eleusina: studi su l'arte e la cosmovisione di Annunzio" (Abano Terme: Piovan) Contiene anche: 2 lettere a Disertori di Lidia Ratti e della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani  "Sotto il cielo di Saturno"  Recensioni relative a "Sotto il cielo di Saturno" (Trento: TEMI). Contiene anche: 1 lettera a Di. Di Graffer Documentazione raccolta a fini di studio e relativa all'attività accademica, (con documentazione)  Unità archivistiche 13 Contenuto Dispense relative a studi, scritti e ritagli di giornale  1 Documentazione varia relativa al Movimento Federalista Europeo  "Cronaca su conferenze"  Appunti di Disertori per conferenze e articoli su argomenti vari; "Psichiatria sociale"  Dispense di psichiatria sociale relative a problematiche socio-economiche  "Criminalità" Dispense relative a criminalità, obiezione di coscienza, diserzione "Riabilitazione"  Dispense riguardanti terapie di riabilitazione Fascicolo, carte  "Stupefacenti, leggi"  Testi di leggi riguardanti gli stupefacenti Fascicolo. Dispense e documentazione varia relative all'attività accademica.  La documentazione è relativa ad esami e tesi di laurea. Contiene anche: alcune lettere di studenti a Disertori riguardanti le tesi di laurea. Fascicolo, carte  Relazione di Disertori e Marcella Piazza  circa Copie della relazione presentata al seminario di neuropsichiatria, psicologia e filosofia a San Miguel de Tucuman (Argentina) Attività in Sudamerica Raccolta di scritti di Pincherle   "Lavori neurologici"  Estratti di riviste e dispense relativi a studi di neurologia; Contributi vari relativi a terapie farmacologiche e note informative di case farmaceutiche  Miscellanea   (con documentazione dal 1904) Contiene anche: autografi di Annunzio inviati a Rovetta; scritti di Marcello D. e ritagli stampa con anche articoli sulla scomparsa del padre Marcello; manoscritto "Elementi di fisica per le classi inferiori delle scuole medie", compilato dai professori Vittorio Magnago e Arcadio Emmert Fascicolo, carte, volume 1. Nome compiuto: Giuseppe Disertori. Beppino Disertori. Disertori. Keywords: la tensione dell’arco e il volo della freccia, libro della vita (why do we live?), il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione dell’arco, volo – eraclito – platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dòdaro: la ragione cconversazionale e il convito, ossia, tracce di un discorso amoroso – scuola di Bari – filosofia barisese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo barisese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Grice: Ddaro is an interesting one  totally cryptic of course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one! Recall Nowell-Smiths challenge to Austin: Donne is incomprehensible, He surely aint! Costretto a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si leg a Maglione, Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri artistici e letterari del caff-pasticceria Il Sottano (in quegli anni frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Cal ecc.), fondato da Scaturchio, e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresent per Ddaro una sorta di guida, fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Cal, Scotellaro. Abbandon presto Bari, tentando una prima fuga a Parigi, citt in cui sarebbe tornato a vivere altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe, prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi, presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attivit artistica furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto: Verri riporta in suo intervento: arriva con la novit dei colori "bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo. Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al suo arrivo a Lecce riallacci i rapporti con Bodini e Cal, oltre che con Suppressa, conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entr, inoltre, in contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici: Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e collaborazione come il "sodalizio Caruso-D.". A Leccesi rese protagonista, con Candia, di un grande fal in cui i due bruciarono tutti i quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di barca", insieme a pochi altri, si salv dal fal perch all'epoca custodito presso la casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui si dedic allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perch del linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci lorigine dellitaliano o romano nel battito materno ascoltato in et fetale, teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualit dellessere umano non un regressus ad uterum, bens la coppia, la dualit, ovvero la dimensione originaria della comunione con laltro e come lutto, annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doter di due riviste: Ghen, giornale modulare ideato da D. con sede a Lecce, e Ghen Res Extensa Ligu con sede a Genova e diretta da Mignani. Lidea del modulo come unit di misura sar alla base della struttura modulare di Ghen oltre che della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale, fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo lorizzonte. Litaliano o il romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. Lorizzonte diventa orizzonte mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e pi in l romanzi in tre cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attivit, un numero considerevole di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive, performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari, Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari, Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento di Arte Genetica, avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalit fruitive, avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima il centro di ricerca (strutturato, nel nome, sulle coordinate della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca: filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in store. La sua attivit letteraria ed editoriale  stata caratterizzata da uno spiccato senso per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento delloggetto-libro, fra queste: Scritture (Parabita, Il Laboratorio), Spagine. Scritture infinite (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato poster, spaginate, Compact Type. Nuova narrativa (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, Diapoesitive. Scritture per gli schermi (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, Mail Fiction (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, Wall Word (Lecce, Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta allHokkaido Museum of Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta, International Mail Stories (Lecce, Conte Editore), Internet Poetry (Lecce, Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, Walkman Fiction. Romanzi da ascoltare (Lecce, Argo), E 800 European Literature, in 5 lingue (Lecce, Conte Editore), Pieghe narrative (Lecce, Conte Editore), Pieghe poetiche (Lecce, Conte Editore), Pieghe della memoria (Lecce, Conte Editore), Foglie nude (Doria di Cassano Jonio), Locandine letterarie (Lecce, Il Raggio Verde), Romanzi nudi (Lecce) in unico esemplare, Carte letterarie (Lecce, Astragali), Mail Theatre (Lecce, Astragali), New Page. Narrativa in store, (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole, collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed esposti in store, nelle vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia verbo-visiva e del libro-oggetto,  presente in numerose manifestazioni di Nuova scrittura: Ma il vero scandalo  la poesia. Un salto di codice, Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strud (Lecce), Ospedale psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia, Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce; Cercare Bodini, Bari / Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro. Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari, Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta. Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L. Pignotti, La poesia visiva, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo, Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale. Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione, Archivio libri d' artista. Laboratorio, G. Gini e F. Fedi, Milano,  presente in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i pi importanti: Biblioteca Nazionale Centrale di FirenzeLibri e pagine d'artis tacon lopera Mar/e amniotico, 1983; Galleria darte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes. The word, e Processi di lutto. Notizen: dis; Museo S. Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of Literature, con la collane Wall Word, nteramente tradotta in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc. Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico (Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce); Compact Type. Nuova narrative Con Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce); Laddio alle scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 Pieghe narrative e 2 Pieghe poetiche: Pieghe narrative: Vento, vento, I colombi della clausura, Il figlio dell'anima, La Balilla, Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Cocker, All'ombra del grande vecchio, Reparto P, Il tradimento, 27 marzo, L'esame. Pieghe poetiche: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i Romanzi nudi, titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era dautunno, Il fal, LObjet trouv, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole. Dincanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti (Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce) interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dellanima (lecce, ), Di un solstizio damore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce), Teresa. LAltrove, (Lecce), La mer. Ma mre (Lecce), Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno daccademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La tromba dellaltrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); Operatori culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); Ambivalenze genetiche, Ghen (Lecce) ora in Genetic Ambivalencie, Art Communication Edition, Toronto-Canada) Links, Ghen (Lecce), Il complesso di Edipo e quello di Caino, Quotidiano (Lecce); I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica in, La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, Codice yem: le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia, Ghen (Lecce) (ora in Regione Puglia, Creativit e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); Dis-astro, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, Larea inter-media, in F. Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; Ipotesi interpretativa del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della scissione. Della prevenzione in Tossico-dipendenza: progetto di lotta Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; Mater externata, in L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dellacqua, Lecce; Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nellarte contemporanea, Roma-Bari); La letterariet di Caruso, in E. Giann, Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; La poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure, On Board, Lecce; Wall Word: parole da muro, romanzo da muro, in F.S. Ddaro, Street stories, Lecce; Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento, in E. Coriano, A tre deserti dallultimo sorriso meccanico. Three deserts from the shadow of the last mechanical smile, Lecce; Una pagina diversa, up to date, in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; Lampliamento della flessione, in Archivio libri dartista. Laboratorio 66, Milano; Le anime narranti di Alberto Tallone, in Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano (Torino), New Page (Lecce); L'ortografia  morta. L'apparato pausativo, in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Gi cos tenera di folla, in Intrecci, Napoli, Odipus, Edoardo, un cavaliere senza terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06: Unaltra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di teoria letteraria/editoriale, su utsanga. Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in Europe, su imagomundiart.com. Antonio Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un cavaliere senza terra, SudPuglia, Aprile, Gi cos tenera di folla, Napoli, Odipus, Francesco Aprile, La parola intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C., La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Aprile, Fra parola e new media, in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Visual poetry: A short anthology, in utsanga, L'ortografia  morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria letteraria/editoriale, Codice Yem, le origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga, Letterariet di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto D.-Verri attraverso la critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in utsanga, Aprile, LArte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa, Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR, Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga, Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in D., in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Ddaro. L'ultimo mentore, in utsanga Omaggio, in utsanga Cantata plurale, materiali 01, Caprarica di Lecce, Utsanga. AP01-L0T30R0 g lift rhe mi domandate, U- [U quello che  svista, mi Inon son pre molto chio mi trovavo a risali Filer, in citt-, ed ecco, . j.^^-jania da staimi riaonosctoo J d.=o ^ ^ H,,e- 1 fu/rirt 't-irrT,t punto poco fa, che ^ guita tra Agatone contarmi la conversazione seg e Socrate e Alcibiade  j discorsi, sai, di allora parte al convito ^S)> ^ perch me gli Amore; o che vi si disse C ^ ggntiti da Fe- rapportati un altro che g detto che nice, figliuol di Filippo (7)> B Convito li conoscevi anche tu. Ora, egli non nii dir nulla di chiaro. Sicch ridimmeli tu tu sei proprio quello a cui si conviene rifr' discorsi deir amico tuo. E per prima cosa, mi domand a quella conversazione t-r; Ed io gli risposi : Si vede davvero, che dite ne ha fatto il racconto, non tha rapporta/' nulla di chiaro, se tu credi che la conversazine della quale mi chiedi, sia succeduta da poco tanto che io ci avessi potuto essere. Ma si. 0 come mai, Glaucone, dissi io ; o non lo sai, che sono anni parecchi che Agatone non  pi tornato qui? Mentre da quando io ho dimestichezza con Socrate,' e ho fatto mia cura di sapere giorno per giorno ci chegli fa o dice, non sono ancora passati tre anni: Prima giravo a caso di qua e di l, e immaginandomi di far qualcosa, ero luomo pi misero del mondo, non meno di te ora che credi di dover fare qualunque altra cosa piuttosto che filosofare. E lui Non celiare, disse: ma dimmi: quando ebbe luogo quella conversazione? Ed io Mentre eravamo ancora ragazzi risposi quando Agatone vinse per la prima solta nella gara della tragedia, il giorno dopo e ie egli e i coristi celebrarono il sacrifizio di ringraziamento. Un gran pezzo, dunque, si vede. Ma chi 'Socrate stesso? B niVff-'1 cl medesimo che a Fe- un certo Aristodemo, Cidateneo, un omet !h adatta a a s _ in t^'^''   ai auei discorsi, C '?'cosi '! > '' ' rircipio, O P ?. f. com 'i' ' t nUssario che io h siccit Se duirque ta ^, >50 quanto alla sprovvista. Cli 'O.! fuor di misura; ment q gente 1 discorsi, e in ispecie a e, me. e ; acca e daffari, e 1. ne ru, 1 sento compassione,,uUa. E forse, pare di far qualcosa 1 gtimate me uno sforc> -.- jtrc-cdi e il vero-,,e lunato; e credo, c do ma lo so. non die io di voi non lo credo, ni amico dici Sei sempre lo stesso, Apollodor ^ sempre male e di te nic esimo ^^iseri, da par propriamente, die tu  di dove :ratciii fuori, conlinciando io ti sia venuto il soptamm ^osi dnvvero ; ma cer ne discorsi; aspro con te e coa-1! .fu con Socrate. 'o fuorci,(, APOLLODORO E Gi sintende, carissimo; perch ia e di me e di voi, sono furioso e deUro^ AMICO Non mette conto, Apollodoro, qugsj- ora di ci; per, quello di cui tabbjan chiesto, flio e non altrimenti, ma raccontac'i T discorsi si fecero. APOLLODORO Furon su per gi di questo tenore. Ma piuttosto (9) mi prover a raccontarvi ogni cosa dal principio, come quello fece a me. Egli, dunque, mi raccont, dessersi incontrato con Socrate, lavato (io), e anche calzato, cosa che a Socrate non succedeva spesso; e d avergli domandato dove savviasse cos rimbellito; e quello gli rispondesse: A cena da Aga- Olle. oiche ieri a sacrifizi del ringraziamento 0 scansai, per paura della gente; ma gli proson ^ d un bello Ma'em'  il tur, r- disse, che sentimento tato? (12) mudare a una cena non invi^d m disse vuoi. ' sposi: Quello che tu perch noisi mm? fiFtese anche proverbio, sicch dica che buono P^r guerriero, C ? aue o ' ,otet il r ' ' ^ ^he io, Socrate, cor presentarmi, f '' i,. Tcinvu di un,a r;. ona di P . ,- Guarda tu d,e m. D uomo, non mvi^ ^h;, quanto a 0^,6 rveici non inviuro, bens italo da te. ^^nsuUerem V ,::t:;tdi'ci6 he . 0,0, dire, su, anScambiate che si furono queste narono. ' Ora, Socrate ^soenava, siero, fermandosi per istrada, ^  che gli ordinava di andar pure innanzi. trov quando fu giunto alla casa di Aga o, aperta la porta, e gli venne incontro caso ridicolo. Perch gh Un ragazzo e lo condusse dove e Convito i giacere, e ii colse, che stavano per nf- cenare (17). E appena Agatone T j disse : O Aristodemo, tu arrivi in punt ^ ' 'sto nare, sintende, insieme con noi. venuto per qualche altra cosa, rimettila Anche ieri tho cercato per invitarti ^ m riuscito di vederti in nessun luogo (st come mai non ci conduci Socrate? ' Ed io disse mi voltai addietro e non in nessun luogo Socrate che mi seguisse; Si risposi che io ero venuto appunto con Socrate invitato qui a cena da lui. Hai fatto bene ripigli Agatone, ~ lui dov  ? Dianzi, egli era per entrare dietro a me - 0 dov? Son tutto stupito. Ragazzo, o non taffretti a guardare, riprese Agatone e non ci meni qui Socrate? e tu, Aristodemo, dice, sdraiati accanto a Erissimaco, E, mentre il ragazzo gli lavava i piedi, perch si mettesse a giacere, un altro dei ragazzi, raccontava, torn annunziando, che questo Socrate, ritiratosi nel vestibolo della casia accanto, se ne stava li fermo, e per quanto lui lo chiamasse, non era voluto entrare (20). 0 che strana cosa tu dicil disse Agatone. 0, dunque, non lo chiami da capo e non seguiti? Ma nientaffatto lasciatelo stare. riferiva daver detto; anzi Perch lui ha questusanza-; dovunque si trovi, ira (  Ja las ripresa 1 fs - 1 dStnoUsi. iP : M 'bbePe. Sf he vi volete, gi e tg ' ' 7urittura ?rleervi-, il dte io on siedili fate COMO SSU^ . epoi mai invitati da voi, 'Cppe 'T S ve 11- eSble a l to'ttateci iti ssi principiarono a c, raccontava, ess p ^atone pm ^ m Socrate ^X' socrate, ma Aristo 'r^r hft.ie.ilopo hmd S .oaonlope' ,a,emte; s era tanto lungo, con ^ Aratone- si. che a mezzo della . Qua, Sopiva solo a giacere ti ^ e _ disse idea sapiente, che vXlo; giacchi. ^ ?::rhtv.a,euti-ip' mosso. ^ S.,rebbe pur bene, dis- Socrate sede, e Sa V -Agatone, se la saptc . rete dal pi P'' t,ei Wechtol l l i'r tdo ci tocchiamo; come p,u  filo di latta, scotte ^ P' ^ j rosi, io 0 . Chi, se 1' : forchi di molta ;o molto lo starti a  ^jj,|,j,pito da te. Ila sapienza io sar, pcn sarebbe tti, la mia, quando j. siccome un so-hina c disputabile, g'^c rigoglio la mentre  splcmhda e pien, ^ 1., ITONE, Voi. /-Vt Convito tua, che da te ancor giovine ha sfi COSI gran Juce ed ha brillato diana^' co pm d. trentantila Elleni per testiSo?' Tu sei un impertinente, Socrat ^ 5 ). Agatone; se non che questa dell^. f'^Ose . quistione che decideremo anchessr qui a poco, prendendo Dioniso^ ce (27); ora, per prima cosa, mettif^'^'^ a cena. Dopo ci, raccontava, Socrate si mettessi- giacere ; e quando lui e gli altri ebber finito a - cenare, facessero le libarioui, e cantato linn all Iddio, e compita ogni altra cerimonia ('28') si voltassero al bere; ma qui Pausania principisi a parlare in questo tenore: Bene sta, amici disse come faremo a bere fi p,u a comodo? Io vi so dire in ve- it che mi sento molto aggravato dal bere di cri. ' POSO, e cosi, vate   g'^^ch jeri ci erabere ! in che modo potremmo bere fi pm a comodo. bene rispose : Di ci tu dici certo nel bere . comodit li jeri ' vocile io sono degli annaffiati ^euiiieno ^^ tito Erissimaco figliuolo di ua cfsf ~ bene davvero; si sente in fnr,,' f gna sapere da voi, come per bere Agatone? c neanclie io ^rispos^^' ^ f ^oC..--rep '>Srep (tra per me e po ne una . ^3tra, P .entissrmt ne rci''^ se v '  ' } ntianto a nor >  ci alto. perche, q^t^n ^i m t strac '''Socrate e aUaltra, >:rradatto ^'7:,n. to, delP-i, si chiamer dunque, li arante^ o 1 altra. g-i senta vogha ? a eh nessuno tiefcse^ Olfo vi. , ? r sia vai.- ^ aire la medicina La ta o %5lS'3sri- giorno innanzi. j^pse Fedro acanto a me, di obbedirti, prendendola parola massime, in . ;';^bediranno anche gh altri, medicina; ma ora ti odo se si consigliano bene. unti di non Sentite queste della lor rmfare dellubriacarsi il ^ piacere  nionc, ma di bere cos ^ poich se Or bene, - ripigliai Jo^.pole, e non a deciso che ciascuno beva q _ pp altri sia nulla di forzato, fo dopo proposta; cd  che si congedi la son trata or ora; lei suoni per conto suo ^'' piace, alle donne di dentro, e noi si n il nostro tempo a conversare. E su qn^p getti, se siete contenti, ve lo proporrei  AI che tutti diceva acconsentissero c 1 ' tasser a fare la sua proposta; sicch Eriss' riprendesse: II principio del mio disco^r! conforme alla Menalippe di Euripide h > non  mia, bens di questo Fedro qui, la / che son per dire. Fedro, di fatti, se'ne lag sempre meco. Non  intollerabile, dice, 0 Eris'' siraaco, che ad altri Dii si sian composti da poeti inni e peani, e allAmore, che  cosi antico e cotanto Iddio, nessun poeta mai, di tanti che B ce n stati, abbia composto un elogio; aiui se vuoi guardie a quei bravi sofisti, scrivano si, gli elogi di Ercole e di altri eroi in prosa per esempio leccellentissimo Prodico ;  questa  anche meno da stupire, ma io stesso mi sono g. imbattuto in un libro dun sapien- lmTfA lodato soprammodo per c drpcV simili cose tu ne veconto 'Tiolte. Fare un cosi gran al mond ^ lAmore, nessun uomo nchca voi, cintratterremo Erissi '^ ' ;rLrto l^on ti direi di  .ri ' ^ di niente sostengo di ot j, Agatone c ,U amore U?- .-^fone. t,e sostengo u. . . ^gaiuL^v- '  fi di cose di Vende, Aristofane, ! e neanche, /,, n alcun altro E Mutto Dioniso e A to 1 ^^unque la parafa io vedo qui. f Jo l'ultimo CsiaP-VP-ritrimi avranno detto,.tiPlU Clic . Ug auDiuiiw ;n. rie peri P iranno detto nsto- se non che, _, Su via, con bbastanz oa (S),uona fortuna C39;> P 'Amore. . assentirono tutti, e feA ci anche gh Per, di tutte cero lo stesso invito di Aristodemo si rile cose che omscun > ,ia, di cordava appuntino, t P_^ P^^ tutte quelle che npet _ ' ehe a me parve di memoria e i discorsi d quelli c fossero tali, un per uno (.qOA VII discorso di FEDRO, a-,co raccontava che E per il primo, come dm, Fedro cominciasse a un n maravighoso tra grande Iddio fosse lAmore, e mar  r Convito gli uomini e tra d;: 7 ' B 1 essere tra i pi antichi T la- gAMORE ni vi sono, ni si citano j, ''S' itot di n prosatore n poeta; Est prima fosse il Caos, dice, nni I ^ terra Dal largo petto, d'ogni cosa sede' In eterno sicura e Amor. Afferma, che dopo il Caos queste dn. nascessero, Terra e Amore. Pannenide che la Generazione Pnraissimo lAmor di tuttiquanti Iddi pens. con Esiodo saccorda Acusileo ; da tante i'chiss antichissimo. Antichissimo, poi, comegli . ci  causa dei nulfa^dr Op eli certo, non so di un appena giovine giovi pi diunorr !-^^' ^ allamante viro di tri ^^PPoich ci che deve ser'ene Qiip f intera vita a chi sia per viverla la ricchezza Parentela, n gli onori, n benencllnn ^ 'ont altro pu insinuarlo cosi tiuesto? La' come lAmore. Ora, che  egli 'azione nei brutti, lemu n privato qualit n C tl n privato ' v .. u,. ijuam.i > c belle Opere pui S^ado di compiere grandi i o ' ac  trv affermo che un uomo ^ crarla da ^ qualche brutta cosa ti senza difendersi per vi hcri .'' ^ dagU amici nc n^cche egli soprattutto da E li^,/da ^i-Uamato, che ^ Q^to vediamo neh, d esser feria' Pantano, n.i Sechi:, se aie vi ( f ts. P Ji ;. iiez^a esercito si c P modo di reg T^non ci i-orc di quello di con uS tre I Sauendo gli 11 ' i;c r;bbcro, s.o pe, dire, li accanto a ^mjni tutti quanti ( 44 )- Idre in ponW S'' esser sdsro disertsre i, un nonio che /.e' lo ammetterebbe Vsr he eWrrrrriue nitro i 1.,,. persoir direbbe morire pi volre^ ; prima che questo, ^ in un pencolo I serro, bbnmlo r^   ehe aon dargli ajuto, no .^g^be dun divino lAmore di per se P di pm vaspirito di virt da che Omero B lorosa indole (46). E, coraggio m dice, nvere un Idd P^ ^p,,ato taluni croi, questo 1 An da lui negli amanti. Vili fi sono disposti a E si, che soli . 8 Xe uomini, r morire per sli-^i ?''^'testimonianza, quanto le donne. E di ci,-,inla di Pelio, che basta, agli Elleui Alceste Sglmola C sola consenti a morire per il marito s pure aveva padre e madre; i quali essa, pe f damore, tanto super nellaffetto da farl- rere estranei al figliuolo, e non appartenen lui che per il nome. E per aver compiuto a ^ statto, parve navesse compiuto un cosi bei[' agli uomini e agli Dei, che, avendo pur niohi compiuto molti e belli atti, ad assai ben pochi det tero gli Dei questonore, di ricondurne quass laninia daHInferno, ma la sua la ricondussero D compiaciuti dellatto suo. Tanto anche gli Dg; pregiano sopra ogni altra losservanza e la virt di Amore (49). Invece, Orfeo, figliuolo di lagro, lo rimandarono via dallinferno a mani vuote mostrandogli un fantasma della donna per la quale era disceso, anzich dargli questa stessa, poich, come un citaredo che era, sera chiarito di animo molle, e gli era mancato lardire di morire di amore come Alceste, anzi sera ingegnato dentrare vivo nellinferno. Sicch per questo glinflissero una pena, e lo fecero mo- E rirc per mano di donne; in quella vece Achille, figliuolo di Tetide, onorarono e mandarono alle isole de beati; perch egli, saputo dalla madre, che, se avesse ucciso Ettore, sarebbe morto, dove, non uccidendolo, avrebbe, tornato a casa, finito vecchio i suoi giorni, 80 os prescegliere, andando in ajuto a Patroclo amante suo e traendone vendetta, non solo morire per lui, ma soprammorire(53) ^ lui gi uscito causa gli Dei, soprammodo anci essi compiaciuti di lui, lonorarono partico- rmente, perch egli aveva tenuto in cosi gran Conv    non solo -j^n. :!^oi^^\fdcgy^ ^ZXo^to, come dice %eUe> giovi  ^Lhe -llE>cio o'^: AMARE ; per6 0 n arato >1 uage dellamante, an :.3 '' mv 0 a f r '' ri 17) E P ? Setok debeati. - S^te^idS ret ato e in morte W). Di questo tenore / ssero termi altri ehe ., dopo im ei li saltando recr-,srieordav.gran ta m. .j^,l, dicesse, a il discorso di t'ausa oisoonsQ m DlSCUiv \ e ci si sin lon bene, o Eetoo- ^ P-'J,ssere,osto il soggetto f ^ i,re Amore. Foi plicemcnte invitati ad elog^^^^^e bene, ma %e lAmore fosse uno^^^,gU uno, 0, e non  uno. or, n lSi Convito coiivieii meglio dire prima qual^ i amndi io ,i sforzer a corregge^ cloanrc quale Aurore bisogna lodare P-i ;,n erodo degno dell'Iddio. Perche,m,f d. che Afrodite non  senza Amore PP' ''^o fosse una, uno sarebbe Amore- due C6o), anche due  necessit che ^ siano ( 60 . E come non son due le De ? pi antica e senza madre, figliuola di Ciel appunto nominiamo celeste - laltra da Giove e Dione, che appunt chiamTainr^l gare (62). Quindi,  necessario, lAmore J deUuna, chiamarlo a buona ragione volcrare ^1 leste laltro. ^ Ora, gli Dei si devono bens lodare tutti (6A- pure, ci si deve provare a dire le qualit sortite da ciascuno dei due. Imperocch (64) ogni azione ha questa natura; di per s n buona  ne cattiva. Ci per esempio che noi facciamo o il bere 0 il cantare o il discorrere, son cose di cui buona non  per s stessa nessuna; ma ne -tra, per il modo com fatta, riesce tale; perche fatta bene e rettamente diventa buona, cos appunto lamare im ^ buono c degno delogio; quello che bene incita ad amare. LAmore, veracemente icello con cui veracenii quello CC IL X adunque dellAfrodite volgare  vo gare, e opera a caso; ed esso  amano gli uomini abbietti. Amano cUc i S'O'. iricoo 1 ^ ^ piuttosto I costo^ ''%i che pi stoUac P '^ ^rdavtdo che a sod- o non ng^'^^'^Xinten. Onde Dtr' i,e P ^^ \orc, se V occasione, sen'- ' '^,cUo di cn' ' il contrafa  //>! ^Perocch es ^p\\altra, e p.A' . '%Tfe ,mto, .00 t'p tsi 0 poi cruna e ,aschio > P appunto si rivol 5 ' ' li lascivia ( 69 ) prediligendo dtscl.io 8Vispi. ^Tme8'lo lofo, fc per natura pw forte iigenaa. ^ ^l'^^^^rnte riconoscere jelh T afooo i,c oaiotcn- 1> t ' Scindono gii ' ?'lata.'>r> Sfitto,SO g.-J ;jSrrro pcch q o i. frisoUtto 0 ot ad amare, sono P ,e lintera '.to. col tancinllo e vvere n co orto e non gii,dopo 'f ; ; ra di senno,0. come giovine, co P uotsi di corsa prendersi beffe di 1 . 'ol,,,o, fan altro. Vi dovrebbe '' on fosse i cMli non si amino r afffncbl n^^,,^ ^ a cosa spesa di mo ta cuta^ P .poanto a ' 0 fine dei tandnlli dove 6  ora. > e virt danimo e d. corpo Convito mettono essi questa legge a s proprio volere; se non che bi sogneS lor cotesti amanti volgari, come appunta,82 il pm che per noi si possa, a non . libere (73). Ch essi son quelli volto lamore in vituperio, tanto che tal dire che turpe cosa sia il gratificare T ti C74). E dicon cos, avendo locchio V di cui vedono lintempestivit ed poich, di certo, nessun atto compiuto ordin mente e conforme alla legge potrebbe co.rrT gione arrecare biasimo. E appunto la legge, che governa 1 amore nelle altre citt,  Exdle ad intendersi poich nei! concetto uno solo ; ma qui varia. Dappoich nellElide e nella Beozia e dove non sanno ragionare, unica legge  questa che  bene gratificare gli amanti, e nessuno^ n giovine n vecchio, direbbe che sia male ; affinch, credo, non abbiano a durar fatica a persuadere i giovani con ragioni, inabili come'sono ^ ragionare; invece, in molti luoghi di Ionia, c m molti altri  riputata cosa turpe, tra quelli lutti che son soggetti a barbari (80). Di fatti, Ira 1 arbari, per ragione delle tirannidi, si reputa ^ turpe questo, e cos ancora ogni studio di sapienza e di GINNASTICA. Poich quivi, mim- giova a chi governa, che si gene- o alterigie grandi n amicizie doffnt g^giiarde, quello che, non meno prattuttn lAmore so^sperienzrfirr^^^' ii^parato per ini anche di qui; ch lamore di -.rnona- Cosi dove disciolse la lor sig ^^^^fjcare gli salda, di cosa sia il g ^,.^,,c7.^a r SSo delUsoverchlena jiriaa^' ' lhanno effemminatezza dei dei quella vece, dov^_ a sia in ^n n V.cposto hanno (84) fo di quelli che cosi dispo^ p., bella, e com XI I,uperocch (85) chi nJii bello r amare aper ottimi, :s!esop o>frs -. e ancorch sieno pm cabile incoraggia altra parte, chi -a nqualcosa mento da tutti,un innamodibrutto; c che il co brutto, e la rato par bello, non cO q lode, legge ha dato licenza a chi j quah, ;?ndo sia per conquistar^ ; ^\,que altra chi osasse fare per correr raccoglierebbe ca da ' 'dfppoUt, s P ''^ i maggiori biasimi,- , q q averne u di cavar denaro a qualc^'^J^ ^solvesse fido (90) o un altro g^Jo I 9 amati, 1 a fare quello che g > un quali nelle lor richieste dormite sulle implorazioni e giuramenti C i) ), e servono ' servo tollererebbe serv,v ^ dagli ann-ci edaC,''' sua adulazione e abL ^ elli vJ monendolo e arr^ ^ '^'ezione fq.x ' Petatid! f-- li cosrreT '' .? > li i- P rn.  Sr,^ me a qdIo che effetti L ' ^ to. E il pii, tecribile r' ' S a meno dice )a geme, s,o J,,? ' 'l , co . gli_ Dei perdonano, se trasgredisci poich giuramento Afrodisio i f^. CosihannoefhDefri, licenza accordato a chi ama ogni legge di qui. Da questo lato terrebbe, che nella citf\ nn t 1  o ne lamore7- ' '' simo e amore e il mostrarsi amici agli amanti. Ma Jlh VV P^dri, preponendo pedaS g I 3 gh amati, non permettono che discorrano cogli amanti, e i coetanei e gli amici ) \ itnperano quando vedano succedere qualcosa di simile, e i vecchi, daltronde, non inter icono cotesti censori, n Ji biasimano, come se non dicessero giusto, uno, che per opposto ^ardi^ a tutto ci, stimerebbe che qui una simile cosa si reputi bruttissima. Ebbene, la cosa, credo IO, sta cos ; non  a mi solo modo ; eh  ci e ie s  appunto detto in principio, ehessa non sia bella n brutta; ma fatta bellamente bella, ruttaniente brutta (100). Ora, bruttamente , belT^ gratifichi un malvagio e in malo modo; niodo^'^'^p'^ quando un uomo probo e in probo malvagio  quellamante volgare, che Convi 0 on L i r' ^^' ;, la ia. P '' '^ ' 1 /Ilfscors f fprmo Ip IpfTffC l> ' nresto, perch s' L' r esser preso p crrutinitore, truuo 1 esse p scruti tempo Aprp da denari e ua- P l ' l il lasciarsi prendere da s, sgo;;Ucii  brutto, sia eh (loa) non menti e non resista, s^ e par disprezzi. senza dire che da cJ sia n ferma n stabile, s .^^Ha i sauna nobile rbellan.entc deve leiTge nostra una sola y Dappoich a noi Saio gratificale n.i d questa  la legge; ^'f Vrervit verso lamato servire spontanei qualunq ^^ulazione, cosi s concluso, che non,est non vitupeun altra servit sola spon oggettorcvole, quella che ha la v'rtn p Ch appunto  ammesso n quando uno si risolva a niH ^ ii noi, perch egli creda di diventa^r^m i',''di lui o in sapienza o in qualun virt, questa servit spontanea no pur essa brutta, n sia piaggeria ? ? Pqueste due leggi, - quelf ch^ regf/? dei fanciulli e quella che regge Pai sapienza e di ogni altra virt (foj) IT4 correre al medesimo, chi voglia che to^?' Il compiacere lamato allamante. Ch qual? insieme sincontrino lamante e lamato, ree nt ciascuno la sua legge - quello che qualunque servizio egli renda agli amati che lolompTc! ciono, giustamente lo renda, questo, che a chi sapiente lo faccia e buono, qualunque ufficio egli presti, giustamente lo presti, e luno, potente dintelligenza e dogni altra virt, ne dia, a tro manchevole in coltura e in ogni altra sapienza, ne acquisti, allora si, queste due concorrendo in uno, egli accade, e sol- tamo cosi, che bello sia il compiacere lamato all amante, ma in altro caso no. In questo, persino il trovarsi ingannato non  punto i ogni altro, o che tu sia ingannato 0 ^,0. ti porta bruttura. Perch, se uno che a\- ricco avesse per ragion di ricchezza perto i?' '^  ^vasse deluso per essersi sco- n^en brutto^-^'^^ Povero, non perci gli sarebbe  perch un siffatto uomo d a di B I anin .0 suo. a>ep perch buono c P .jy;ore egU stesso, dilu diventare Lll ' '^ ' poi deluso, P bello lBga anche questi da a divede^ I,t 0 V P ^T'r^ ''^.1 diventare mighore 5 .^ontro, e la ter chicchessia; e quest . bello per '. ?ella cosa di tutte. Cosi,  di virt comptacere ^ Celeste, I ' Questi  r Autore della D 1 di gran pregio alla \ amante ' i .Uri - sopra d st q volgare. E qaesK sono dellultra Deu.d ^ allimprovviso sono, 0 Fedro, le  ^ er la mia parte. intorno alla\more IO t arreco p  aiacch i sapienti Fatto pausa assonanze - avrebbe minsegnano a fare di q a. ^ere Aristofane; dovuto, disse Aristodemo discorre ^ se non che gli era o per _ p ^ altra causa venuto il ^aco il medico: -di parlare, sicch disse ^ ^^i O EriSsiquesti giaceva nel letto op cessare (m) maco, il dover tuo e ^nai il singhiozzo, o di P^^' Erissimaco rispose; non mi sia cessato ..rch parler m E io far tutteddue le cose, l n' cc, c sato, in vece mia, p pi, SP'onao li . guarda se il f P che  jg r . nendo,1 fiato per  peaaetto .t S' E gargarismi collacqua. Se o. fa'^ lascia vincere, e letichi il naso e starnutisci ; e quando olqiiesto una volta o due, ti cesser molto forte. _ O parla d,re Stofane io far cos. ^n- Ed Erissimaco principi a dire : Dunque, siccome Pausania, prese bene le mosse del di- i86 scorso suo, non lba compiuto a dovere, mi par necessario che io mi deva provare a metter la fine al discorso. Di fatti, che lAmore sia duplice, pare a me si sia distinto bene; per, ehesso non risieda soltanto negli animi umani n abbia soltanto i belli per oggetto, ma molti altri siano gli oggetti suoi, e risieda anche altrove, nei corpi, cio, di tutti quanti gli animali, e nelle piante della terra, e per dir cosi, in ogni cosa che viva, a me pare averlo appreso dalla medicina, 1 arte nostra, come grande e maraviglioso Iddio egli sia, c a tutto si distenda e per le umane e le divine cose(ii2). E comincier a dire dalla medicina, anche per fare onore allarte. La natura dei corpi ha il duplice amore aneliessa, cd  questo: il sano nel corpo e lammalato Convito 5 .-no per consenso di tutti, cosa diversa e dissi- rnile- e il dissimile desidera ed ama cose dissidi i sicch altro  lamore che ha sede nel sano. -Itr t quello che nellammalato. Siccome, dunque, secondo ha detto or ora Pausama e bene gratificare i buoni tra gli uomini, male i Snaiosi; e cosi anche necorpi  bene gratificare quanto v di buono e di sano in ciascun Spo e si deve, - e questo fe ci che si chiama arte medica - e invece male il gratificare quanto v di cattivo e di morboso, e gli si ^^ ve far brS 0 amore, questi  luomo sopra tutu intenderne d medicina. E chi sa farli mutare, in modo dm in ricambio di un amore si acquisti J Mi; ;n cui lamore non sia, ma bi- tro, e in farcelo nascere, o, quando sogni generarlo., -uesti sarebbe davvero un valente artenc i,- ip rose che vi sono di f7^ ^n-unaan laltra nemicissime, e la -nnnste il freddo 0 U  ' , 'vi vi. -sr aX tra tali asti(ii7) PO^ti ed pio, secondo la L credo, dico io,  T,.a\rco. r gnnaSca O'ii e lagricoltura. La musica poi. Convito' per poco che ci si badi, si vede chi. stesso tenore, come forse anche p deiu .87 dire;ch, quanto alle parole, egh^n me bene. Giacch dice che luno si accorda con s, come armonia lira. Ora,  grande assurdit 17 i' unarmonia discordi n rieri,,: j. c, che B discordanti. tuttora derivi da cose tu Se non che forse voleva dir sto, ehessa nasca dall acuto e grave discordi; priiTiii e dopo consenzienti per opera dell musicale; ch, certo, armonia non nascerebb ^ dallacuto e grave discordanti tuttora; ch armonia  consonanza, e consonanza  un consenso; ora, consenso  impossibile che provenga da cose discordanti, finch discordano; e quello daltra parte, che discorda e non consente,  impossibile che armonizzi : appunto come il ritmo nasce dal veloce e dal lento, discordanti da prima e poi consenzienti. In tutte queste cose  la musica quella che mette il consenso, come in quelle altre la medicina, generandovi un amore e concordia vicendevole. Sicch la musica, alla sua volta,  scienza dellamoroso nellarmonia enei ritmo. E nella composizione stessa dellarmonia e del ritmo non  punto difficile discernere lamoroso, n cost v il duplice amore : ma quando bisogni usare del ritmo e dellarmonia cogli uomini, sia componendo, che e quello che chiamano niclopea sia usando rettamente di melodie e metri composti ci che s detto educniione qui c  la difficolt e c  bisogno di buono artefice. Poich torna da capo lo stesso discorso, che gl> Convito fine che diventino pi uomini J non son tali in tutto, perbene quelli che tenerlo caro, e bisogna_ gffceleste, lamore della ce- E invece quello di Polimnia leste Musa Ci 7 j> jj deve amministrar con t il volgare, n qnm ci col, le piade; c 1 tanto negli aiiiniali c _g miscono dal brinato 1 '';  Labpr0PP V accesso e disordine risp amorose, la cui scienza de' jielle stagioni degli anni si' c1h; as^i ^ Di pu. ancora, ci sacrili.! tutti e presiede I arte divinatoria, p  a cui vicendevole comunione degli dei'oar'a non hanno altro oggetto, se non Pose. risanamento di Amore. Ch >' suol generarsi, quando uno non grati ordinato, e onora e venera in ogni suo questo, ma laltro, si rispetto o VIVI 0 morti, si rispetto agli Dei; dove aT punto  commesso allarte divinatoria di vigilare gli amori e sanare; sicch, da capo, 1>arie divinatoria  operatrice di amicizia tra gli Dj! c gli uomini mediante la scienza di quali tra le propensioni amorose di questi tendono al lecito e quali allempiet. Cosi molteplice e grande, anzi, in breve, una universale potenza ha ogni Amore; per la maggior potenza la possiede, si presso noi e si presso gli Dei, quello la cui sodisfazione  nel bene accompagnato di sapienza e giustizia; esso appresta ogni felicit, e ci mette in grado di convivere gli uni cogli altri e diventare anche amici agli Dei, migliori di noi. Ora, ancor io (136) forse nel lodare Amore tralascio molte cose, non per di proposito. Ma se ho tralasciato qualcosa, spetta a te, Aristofane, di supplire; o se tu hai in mente delogiare lIddio in qualche altro modo, e tu 1 elogia ; ch ti  anche cessato il singhiozzo. Q.U, Aristofane, presa la parola, cominci) raccontava, a dire: Si,  appunto cessato, non file io ali abbia applicato lo star: richiedi iili roihoti e ptent, quii l tr ; Lrnu.0 . Pd W' ho dppliccto lo su, . c nW - g p 1 d ' '; ';'i  rl sV 'per cominci  P ' > ' Tu burli, man ^ ^j^ella al discorso tuo, ^ioTcX Vdire' qualcosa di ridicolo, mentre ^ avresti potuto parlare bene, E Aristofane, ridendo, P istare Erissimaco, e sia per non a farmi che me n esca SI stanno per . che sarebbe un guarg o toS;. >i ' _ e or cedi di f p 'dj (' > r:.:orpdrrr.rm-.p .Mn. d stare. Discorso di Aristofake cominci a dire E in vero, mnte di discorrere in Aristofane lO q^jella che tu e una maniera diversa ^ pare che gh Pansini die fitto. pottor uomini non abbiano pu Convito di Amore, ch. se lavessero con, mnakato in onorsuo i maggiori ' fcbbcf, e celebrato i maggiori sacdi, noS che di tutto questo non gli si fa SI dovrebbe fare pi che altra cosa D Perch , tra gli Dei, il pi amico dcel essendo soccorritore loro, e medico di ^ dalla cui guarigione deriverebbe la felicur giore al genere umano. Io, adunque, mi sCf^ . a dimostrarvi la potenza di lui, e voi ne sarct maestri agli altri. Ma vi bisogna per prima cosi intendere la natura umana, e i casi di essa. Ab antico, di fatti, la natura nostra non era quella medesima dora, bens diversa. Ch da prima E erano tre i sessi umani, non due, come ora, maschio e femmina; ma vi se ne aggiungeva un terzo, partecipante di tutteddue questi, del quale resta oggi il nome, ma esso stesso  scomparso. Allora, di fatti, vera e la specie e il nome uomo-donna che partecipava di tutteddue, maschio e femmina ; ora non ne resta che il nome a vituperio. Di poi, lintera figura di ciascuna persona era rotonda, colle spalle e i fianchi tuttintorno, e di mani naveva quattro, c gambe quante le mani, e sul collo tondo due visi, simili da ogni parte ; su ciascuno poi de due visi posti 1 uno di rincontro all altro una 90 sola testa, e quattro orecchi, e due membri, e il rimanente, quale da ci si pu congetturare. Camminava poi si ritto, come ora, per il verso che voleva, e si quando si metteva a correre, reggendosi sulle sue otto membra andava via lesto facendo la rota, a modo di 57 Convito quelli che, \MssT,'poi. ^ ^ s  Xch il Maschio fu in origine protre e siffatti, p, della terra, e il terzo genie del sole, ^ ^^eddue, della luna, giacche partecipava di quello e di questa)- ^^gVianza coloro progenitori, cammino, per   terribili per forza e per Sicch in principio grandi e assalirono gli Dei. r .litri Dei si consultarono Sicch Giove e g i ^ stavano che cosa occorresse loro^dj in dubbio ; che nc a fulminarla nt di farne J P^^^bhero scomparsi insieme come t celebrati dagli uomim; e gli onori, e 1 imoerversare. Infine, ead, volevano If f 'X ,4 E' mi pa- Giove si form a fan. uomini esire disse avere un LholffU?). cessino stano e insieme, P ra - disse - H spardalla petulanza. Giacdr tir ciascuno m dtie, ^ noi perranno pib deboli, e mstenmj^diritti ch cresciuti di nunier^, . ^j^e contisopra due gambe. Ght P luiino a imperversare, e non vogliano stare quilli, e io, disse, li segher da capo ''' due, sicch cammineranno sopra una gamba s 7 saltellando. E detto questo, tagli gli  mini per il mezzo, come quelli che tagliano ] sorbe per salarle 0 quelli che tagliati le povj E col capello (149): e a quelli che tagliava, comanda ad Apollo di girargli il viso, c met del collo dalla parte del taglio, perh r uomo, guardando il taglio fatto di lui, si conducesse con pili misura; il resto lo medicasse. E Apollo gir il viso, c col tirare da ogni parte la pelle verso il ventre, come si chiama ora, vi fece, a modo delle borse a nodo scorsoio, una sola bocca, c la leg nel mezzo del ventre, tgi quello che si dice ora lombelico. E le altre grinze ve n era rimaste tante le spian, e rassett le costole, servendosi di un istrumento, su per gi come quello dei calzolai nello spianare sulla forma le grinze delle pelli, e ne lasci alcune poche, nel ventre e nellombelico, per ricordo dellantica jattura. Or bene, quando la creatura umana fu tagliata per il mezzo, ciascuna met desiderando laltra le si faceva incon- gittandole attorno le braccia, e avviticchiandosi runa allaltra, poich si strugge- H vano di risaldarsi, morivano di fame e dogni altra sorta dozio per non voler fare nulla lunO senza dellaltro. E ogni volta che una delle met morisse, e laltra sopravvivesse, la sopravvissuta ne ricercava unaltra c le si avviticchiava) 0 che simbattesse in una met duna intera onna, quella ^i^g chiamiamo donna Mio,. Giove, omo; 0 I o '' ^ li oerchc sino avendo  oonip pudende, pej rfn terra, come le che meSin^e, cos sul negli nlm, diante quelle la femmina niediame .tllabbraccio. se un uomo con questo fine, eh onerasse, e la specie s> imbatteva J^ttesse maschio con esistesse, e se im ^^are insieme, maschio, venisse 1 ' ^ a operare.eprene smettessero, e si rnolg dulia vita. \\ Tini  un contrasse Ciascuno, dunque, come le gno dun uomo, ulte eiasogliole; uno due. S inten scuno cerca il contrassegno insieme uomini che sono come un taglio di qu che allora si chiamava i(omo-ioM a, son di donne e i piti degli adulteri da questo sess son proveiiun; e cos q^- sesso, Convito 6o sono taglio di donna, le non badano di molto a^Ii uomini queste, ma hanno piuttosto il cuore alle donne ed il sesso loro  quello da cui pr. vengono le tribadi, aitanti poi sono taglio di maschio, vanno dietro al masclo ; e sinch sono ftnciulli, come particelle che sono di maschio, amano gli uomini e si compiacciono di giacere - con questi e tenerli abbracciati, e son costoro  i migliori fanciulli e giovinetti, ch non v nature pi virili di loro. E v chi afferma, che questi sieno degli svergognati! bugiardi; non  gi per svergognatezza che cosi fanno, ma per ispirito di,baldanza e virilit e ma- sciiiezza, appetendo il simile a s. Una gran prova n questa; soltanto costoro fatti giovani riescono uomini da attendere agli affari pubblici E diventati maturi, mettono amore ai fan- li ciulli, c di nozze o di far figliuoli non si danno pensiero di per loro, ma la legge ve li costringe; quanto ad essi, son contenti di vivere gli uni cogli altri senza ammogliarsi. Sicch un siffatto uomo diventa addirittura amante (i i) di fanciulli od amato, appetendo sempre nei due casi quello che gli  congenere. Ora, poi, quando C un amante di fanciulli, o chiunque altro s ini colla sua propria met di prima, allora  una maraviglia come si struggano di amicizia e m trinsichezza ed amore, tanto da non volere, per cosi dire, separarsi gli uni dagli altri neancie per un minuto. E questi son coloro, che riman gono insieme lintera vita, e non saprebbero neppur dire, che cosa mai vogliono che per opera delluno succeda allaltro. Giacch non pn' t Sin rinsien'' . .v, ciascuno dei esprimere, Lm ^ralcos altro, cbe tjo ^ ^-ee ^ 'Tl nrc%ti ^ /' eoelinstr'if^'' ia ha  se Elesto, cogl in cnimm sopra di > {. rnai, niano, si domandasse onera delI.icceda allaltro? ^dasse da incerti della risposta, ^.^^nreluno nello stessissimo luogo n nt notte - potervi lasciare lun liqnefarvi e eoach se desiderate nhe siete, diven^ilarvi insieme,,n tiate uno, e sinch > morti, comune come uno \i,m invece di due anche laggi nei reg ^^^^^date. se  questo morti uno solo (i6 ^^ddisfatti, quando lo che  inmo bene, che, sentito ci, nessuno, proprio nessun darebbe di avere strerebbe di volere altro, . ^ desiderava pure propriamente sentito qu,j, ^to diventare da un penzo, unito e fuso coll ^to di due uno. E la causa n questa, cne, nostra natura era si desiderio, adunque, e all. d;\ nome amore. eravamo uno; E prima dora, come dico, i ora, poi, per la malizia nostra, sia paniti di casa dalla mano di Dio, come i- Arcadi da quella dei Lacedemoni. Sicchfc^ ' cogli Dii non ci si conduce come si conviene ^ v da temere, che si possa essere segati da capo e si vada attorno, come le figure delineate dj rilievo sulle tombe, tagliate per il me^o dei nasi, diventati a modo di dadi cotisunti. Anzi per questa cagione bisogna che ogni uomo esorti B ogni altro a condursi piamente verso gli Dei, perch alcune si sfuggano, altre si conseguano delle cose, a cui Amore  guida e capitano. A cui nessuno faccia nulla in contrario; e fa in contrario chi sinimica gli Dei giacch diventati amici dellIddio e rimpaciati con lui, ci succeder di ritrovare- e incontrare i propri amati nostri, il che ora accade a pochi. Ed Erissimaco non mi simmagini, per canzonare il mio discorso, che io parlo di Pausania e di C Agatone; forse, anche loro sono di quelli, e tutteddue maschi da natura ; se non che io parlo di tutti, e uomini e donne; ch cos la stirpe nostra diventerebbe felice, se dessimo perfezione allamore, e ciascuno sincontrasse nel proprio suo amato, tornando nellantica natura. E se lottimo 6 questo,  necessario, che di quanto  oggi in poter nostro, ottimo sia quello che pi vi si avvicina. E ci  il ritrovare un amato, fatto secondo il proprio cuore. Del che, se sinneggia autore un Iddio, Amore  quello a cui a ragione spetterebbe linno. Amore che ci  di moltissimo giovamento nel presente, poich ci riconduce nel proprio, e ci d le maggiori speranze per lavvenire, se per noi,i .-.et v W sii a S-'r-' xvin j il mio discorso tr.rno ad Amore, di'crs ^ ^ canzonatura, t %c p- g ; . r, ' ir.d,c a pari P' quelli che rimangono P ^ Socrate, rimangono, di fatti, , racconta che Ma io taro a tuo n do^ j,,,1 o rispondesse Enssimaco ^P ^^p^ss, discorso sono valenti in cose che Socrate e A^a dovessero esdamore, temerei g' ^ ^-ose oramai si sere impacciati a  ^ro fiducia, son dette e cosi perch E Socrate rispose; dve sono 94 tu te la sei quando avr discorso,ira..uraro, perch io mi turbi, che il teatro sia in grande aspettazion me, che io debba discorrer bene. Sarei d^avvero uno smemorato, Agatone, soggiunse Socrate, se, avendo visto 1 raggio e Palterczza con cui tu sali su pa^ co insieme cogli attori, e guardi in accia ^ gran teatro, quando tu devi rappresentare 1 componimenti, e non ti mostri sgomento un poco, ora credessi, che tu ti debba a cagione di questi pochi che siamo Ma che !, riprese Agatone, non mi cred Socrate, cosi pieno del teatro, da ignorare ne che a un uomo di mente fanno pi paura n persone di senno che molte senza. Certo, Agatone, non farei bene, ripigli Socrate, se pensassi di te nulla men che gentile Anzi io so bene, che se tu timbattessi in-persone che tu reputassi sapienti, ne saresti in maggior pensiero che della folla. Ma, bada, che noi non si sia gi di quelle; perch noi ed eravamo in teatro e facevamo parte della folla. Per, se tu timbattessi in altri sapienti davvero, ne sentiresti tu rossore, quando tu credessi di fare qualcosa di brutto? (170) o come lintendi? Dici il vero rispose laltro. E della folla tu non ti vergogneresti, se tu credessi di fare qualcosa di brutto? Dove Fedro, raccontava, interloquendo Caro Agatone mio, dicesse quando tu risponda a Socrate, non glimporter pi nulla di nulla, di quello che qui succeda comunque succeda, purch abbia soltanto con chi conversare lui, specie con un bell omo. Ora, Socrate io lo sento conversare volentieri ; ma a me  necessario aver cura dellelogio di Amore, e riscuotere da ciascun di voi il suo discorso. Dopo sodisfatto ddio ciascuno conversi poi quanto vuole. Ma tu parli bene, Fedro, disse Agatone c niente m impedisce di parlare ; non mancher poi occasione di conversare con Socrate. .v mpon!n,tntt, c non li mostri T pocoi ohi credessi, chr f. r ,, ^ ''.ihr rt \ ^ P'I Jf m Futdjo che: molte-ci Jo. A.-atc-uc, nonfiiiti htne, - nv'l,> -.MJ.S - se p s I di :c nalla uicn ch - t so bc ^, cho se tu limbattessi fe?:tB r.epntf. -i rapanti, ne Sare.sti inV,.-1 r^ero che deiia folla. M.s, bada- die .UU fiJ, d! c, parchi noi cl tuati-0 e fflceaamo parte della folla. Pet,fc.,r ^ tiaib.ittcss M :iln-it;. p{cnti davvero-, nc scw.h - tu t-o$.sore, quando in crcdtssi di -fare qua. -li brullo? o come rintendi? rtk'ci 11 Tcro rispose Taltro. . il j- . .in f>>}lii tu non ti vergognerusti, t ti i di f.)ro qualcosa d! brutta? 4 - l odro, raccontava, inierioquetido->~ opc? C^ ^ l'Iddio clascuuci conversi poi qyaj 4 l? J Ma in p,i. li bene,.Fedro, c niente mimpedsfc di parlarci nph-manv:, poi occasione di cons etsare cori .Socrate.  ni AGVrONE Discorso o priwa ha? discorso Tc'ct > P^'^ ^%arabbiano lldd\o poi dire Cn ^ non,. .. ^o dei beni, pvand gli uomini nup\e essendo i -- 'Chiusi lIddio; r/ntsuno lba di n tutti cotesti beni ^% ure, dogGi lode go quale di quali cose E cosi  g^Jf egli u discorso sia 075; stesso quale eg bello, egli ^^/osiff^to. D P^ ge d pi giovine degli Dei, g foggu di 'quesm suo tratto eg smsso, P,e,oce b fuga la vecchiaia, P dovere ci arrii almeno assai pih pres p aver a a fianchi. Ora, P neanche di lontano, iu odio e non le si acco, ^ ^ ^^^6) ; -b E sempre co giovani usa e sempre bene sta 1 antica oute - . consen col simile saccompagna ( questa non ziente con phio in conscio, che lui gc di lapeto O? )- C vanissimo tra gl Iddii c gio\ gli antichi fatti intorno agh Parmenide dicono (179), esse di Necessit, e non di Amore, se pur sero il vero; ch non si sarebbero viste tazioni e legamenti vicendevoli ed altri violenti atti, se Amore fosse stato tra lor^b^  amicizia e pace, come ora, dal di che sopra i Numi regna. Dunque giovine eguT P e oltrech giovine, delicato: solo un poet gli fa difetto quale Omero, che mostri la delicatezza di lui. Ch Omero afferma, che Dea Ate sia e delicata, almeno delicati sieno i piedi di lei, poetando: I pi di lei son delicati; e il suolo Non tocca; dei mortali ella sui capi Cammina. Ora,  buono argomento a mostrare la delicatezza sua, chella non sul duro cammini, ma E sul tenero. E lo stesso useremo noi argomento a provare di Amore che delicato egli . Che n cammina sul suolo, n sui crani i quali punto teneri non sono, ma nelle pi tenere cose e cammina e dimora. Perocch nelle indoli e negli animi degli Dei e degli uomini la dimora pone, e n in tutti gli animi del pari, ma dove in uno simbatta dindole dura, va via; dove di tenera, vi saccasa. Poich egli, dunque, e copiedi e con ogni sua parte  a contatto delle pi tenere g(5 tra le tenere cose,  necessario che delicatissimo sia. Sicch giovanissimo  e delicatissimo, e di giunta fluido di forma. Ch non sarebbe neUenU ' ( !?'. C o s p o^. iorf , M , l ''?Si AmP pos ' '',jvveoen '^ nso di ^ guerra sempre. .! P T Wer. d irM ch f del colore, ad anima e ct.a So.e o cta ' K' I soggetto la Amore; e dove f ner, non saccoppa A, Todoroso loco sia, 1 P fiorito c ou pernianej iiMddio e basta sin Orbene, della 0' Jella vlrt dA ore qui e molto resta a g U principaltsconviensi dopo quella P ^ offesa nt sinio . cito Amore ^ ^,84> di Dio o a Dto nc -tUre eo'U stesso, s Perch nfc per violenza non tocca ^ qualcosa patisce; - eh ^ volontario i; in tutti il servigio ' ^ jj^ reme (t 5) > assente a volente, h legSh, giustizia, affermano che giusto sm- ^ ^i^sinaa. Peroc;  provvisto di temperanza ora^^ ^ ^esidern ch si consente che vince P non sia temperanza, e che p g sono da me, vabbia piacere essuno- O questi  forza che sien soverchiati soverchi : ma se piaceri e desidp t.(. E quanto a coraggio adr^ P^^tut pure Are contrasta. Chi n (, Amore, ma Amore Are possied^'^am^ Afrodite, secondo  fama (188) or l di tiene in poter suo il posseduto  pi coraggioso dogni altro, debbe esli certo il pi coraggioso di tutti ^'?5' della giustizia e temperanza e coraggio dS'r? d.o s toto; resta ddk sapiens,; SI pu, bisogna provarsi a non ometterla (looT E da prima, perch io per la mia parte lodi lL nostra, come Erissimaco la sua, poeta  lIddio sapiente per modo che rende tale altrui; almeno diventa poeta, ancorch pria fosse di Mm privo, quello cui tocchi Amore. Il qual suo tratto ci si addice usare a testimonianza che Amore, in somma,  artista buono in ogni creazione che attiene alle Muse (192); dappoich le cose, che uno o non ha o non sa, non mai le darebbe ad altri, n le insegnerebbe ad alcuno. Oltrech la creazione degli animali tutti, chi vorr contradire, che non sia sapienza dAmore, quella per cui opera gli animali tutti e nascono e crescono? Ma nel magistero delle arti, non sappiamo, che quello di cui questo Iddio si sia fatto maestro, rinomato  riescito ed illustre; quello, cui Amore toccato non abbia, oscuro  rimasto? Larti del saettare e del sanare e del divinare Apollo trova, guidato da desiderio e da amore sicch anche questi discepolo saria dAmore, c le Muse ne appresero musica, ed Efesto larte Zi ^^  le cose dCo' amore, s m c ' onpoirto 1 ft-i generer, vive d'.C ''chfe^rn brutte..^  jf di bellez5-a. priircipro ^ o;ndc>,onzi, _An SI narra (, ai bellez^-' ', principro u- - inna'. si ^ ; terribili eventi, -t^ecessit % i nsi s ; / ts -s ' Vantare Amore, es-o Fedro, a \ ^ e ottimo, dipoi 1 sr: Ji ,. ., mar cairn , ai,caco, . s> D attesti  tore dei beni, timoniere, ' paure, in pencoli, m ^ ^tore ottmm, di I marinaro, commilitone quanti gli Dii c uomini adorm bellissimo e ottimo, che ad ogni'?,? ' seguire innepiando e prendendo pa?? canzone, eh egli, molcendo ]intellel gli Dn e degli uomini, canta (203) 'ti auesto discorso, dice, o Fedrh sia parte offerto in voto allIddio, dove di s^T dove di misurata seriet.^, in quanto ir, perato. duando ebbe finito Agatone, tutti, disse Aristodemo gli astanti esclamassero, che il giovi- netto avesse discorso in maniera degna e di s e dellIddio. Sicch Socrate, volto ad Erissi- maco, dicesse : O figliuol dAcumeno, ti par egli che un timore da non intimorire mintimorisse poco fa e non fossi invece profeta nel dire quello che io ho detto dianzi, che Agatone avrebbe parlato mirabilmente ed io mi sarei trovato nellimbarazzo ? DeUuna cosa rispondesse Erissimaco mi pare che tu labbia indovinata, che Agatone par- B lerebbe bene; ma che tu ti troveresti imbarazzato, non lo credo. E come, beatuomo ripigliasse Socrate non mi troverei imbarazzato cosi io come chiunque altro, che dovesse prendere la parola dopo la recita di un cosi bello e svariato discorso ? E il rimanente non  stato altrettanto maraviglioso; tua sulla fine, quella tanta leggiadria di vocaboli  __ me. di clrdo di dir nulla, scndr'^- non sar ^^^i^zza, per poco - s> ^-Cia ^lla vergogna, se C sono t'^g? Vaiscorso mha rrchu- \ia. Giacchi-_ occorso 1 caso d Omero (ao/b Agatone lanciasse^ e nu faGORGIA, E ho capito > ''X s. ->^r: '?dS ^ 1 stato davvero ndmo, q p^^te rSHiSSi che D Sa ; S S lualunQue cosa. biso'^ni dire il ' , _ mimmaginavo, che o ila cosa, quale si s-^nto; pd, scelto del ; che questo fosse 11 ^ia acconcio vero il meglio, pot ^,He avrei di E presumevo gran c del ino scorso bene, ). Invece, si vede d di lodare ogni cosa ^ era gcose Vha 1 VVt 'nenzognere, et cosa^^a mila. Giaccnc s - f., v Amore, o dascuno di noi paia di lo razzolando a che lo lodi, n 1'P X cono ed A . ogni patte, e tale, e aotote i c affermate eh egli :rj.r ^ T' n b |,.S i-l. M io nonco c;:o'rn, H'' ' ch non lo conoscevo, mi so no i! '' 'P ! r I ? ''io all, M ,S V 3 (zio), questo modo; non nma ch la lingua ha promesl la Adunque, addio elogio; che  odare a questo modo ; non potrei. plT lete, il vero, si, non ricuso di dirlo di nr^' e non rispetto ai discorsi vostri perch S. rida dietro. Ora, tu, o Fedr^'^guarjf discorso COSI ti fa pr ; sentir dire il vero di Amore c n quei vocaboli e quella giacitura di senteme che mi verr per prima alla bocca. E a questo, raccontava, Fedro e gli altri Pili- virassero a parlar pure nel modo, che a lui paresse di dover fare. Ebbene, Fedro Socrate riprendesse permettimi anche, che io faccia qualche piccola interrogazione ad Agatone, affinch prima io mi abbia C alcune concessioni da lui, e poi, cos, discorra. Ma si, lo permetto; rispondesse Fedro interroga pure. Dopo di che oramai Socrate avesse cominciato, su per gi, di qui. Di certo, Agatone caro, tu ti sei introdotto bene, m parso, nel tuo discorso col dire che prima bisogni mostrare quale egli , lAmore, poi E 7 ^ . . vi va a gen'O . Q^^^sto in ogni altra,re Ji . via, esposto qnaW HS - 'Se.WB '^ Teg'''r? D up questo t- ^8 ^ nulla ^ D f ' . L> ' di q0 ' d,c o di ma ada^f jj padre e cgir P. ondere a dolere. fp^rfi' 5 t ma'drd del pat> p anche a questo. jjspondinti Assentiss ^ . y^^sse gallo ci I Or bene, -- tu intenda me poche altre cose^ P ^^^. dassi : O 'r;srid^c;.-o.t-e,,o,.tr 'qualcuno o no? Rispondesse, c Dun fratello oDicesse di si. domandasse dis^SSSaSrsulVatttore.^^ Di^qualcosI ciottissimo- .^gesse Sotanto questo. 1 lo desidera o O Di certo r'sp'^ Ora, desidera egli e ai sesso della cosa che desidera ^ j. sedendola? ^ nr,-,-. ama;, 'aoti Pos. B V D Non possedendola, par naturale Guarda-riprendesse Socrate natura e, non sia necessario, che dera desideri ci di cui  manchevoI ^ desidena dirittura, quando non ne l ''o role. Tu non puoi, Agatone, immagiare ' '- 5 aia necessario a mw ^ Quanto grande, es paia necessario a me; o a te pare? E anche a me dicesse. Dici bene : vorrebbe forse chi  ser grande, o forte chi  forte? Impossibile, dietro lintesa. Perch, appunto, non sarebbe-manchevole di tali qualit chi le ha. Dici il vero. Percli, se uno che  gi forte, volesse esser forte ripigliasse Socrate, e veloce uno eh veloce, e sano uno eh sano... giacch qualcuno potrebbe credere, che queste e simili qualit, quelli che son tali e le hanno, desiderano quelle stesse che hanno; sicch questo io lo dico, peich non ci lasci trarre in inganno or bene, costoro, Agatone, se tu la intendi, devono pure avere nel presente ciascuna delle qualit che hanno, o le vogliano, o no, e queste, oh citi mai le desidererebbe?. Per, quando uno dicesse : Io che son sano, voglio anche esser sano; ed io che son ricco, voglio anche esser ricco, c desidero appunto queste cose che ho, noi gli risponderemmo Tu, amico, che possiedi ricchezza e sanit e forza, vuoi possederle anche o tu le l^'- .,,,o qtiello eh e ^JpSesse ' V untare ^ ^ O non t in proi^  Z che non si ^ ancora t P^ a l^!^ il inantenerntt pe r ksic^ j presente? ' 0 no -- ' 'Tchi nque altro il 1 '' ^ E questi, Lello che non tiene desUeri tuttavia, desi J on ha e t mano e al cui h manchevole. .e egli d i desiderio e Vamotc n Sr- -tSse. ^,cr.te-ri.ssu^LLvia.-coimlnd-Socm^^ mianio quello d. OT poi, di co in primo luogo, e u di cui patisca difetto Si - affermasse. ^ente, Jt che Ora, per ^etto che lAmore sia. tu nel tuo discorso hai ,ente im Anzi, se vuoi, te gi questo; che Tu hai detto, credo,assetto per via d agli Dei le cose ^ ^i bruttezza non amore di bellezza-, g a detto su p potrebb essere amore. gi cosi? rispondesse AgatoneSi che lho detto - risp par]: da galantuomo . e, ora, se  rnci,>^ 4 ) Socrate; ora e 0 Acconsentisse. ' on s rimasti darr a CI di cui  in difetto, e che 0 am Si - dicesse. >ia?  in difetto, dunque, di bellezza a non lha? ^aiore, ^ Necessariamente affermasse Che dunque? quello che  in difetto di 1,, lezza, e non possiede bellezza per ness^^ ' oh lo dici tu bello? ^ ^sunmodo^ No davvero. Ebbene convieni tu ancora, che Amore sia bello, segh  cosi? E Agatone Risico, dicesse - 0 Socrate, di non avere inteso nulla di ci che ho dett dianzi. Eppure hai squisitamente parlato, Agatone - C Socrate ripigliasse. Ma dimmi ancora una piccola cosa: il bono a te non pare anche bello? A me si. Se, adunque, Amore difetta di bellezza e se bont  bellezza, anche di bont, dunque, esso difetterebbe? Io rispondesse non saprei come contradirti; sicch sia pure come tu dici. Alla verit, amato Agatone concludesse ^ tu non puoi contradire; ch a Socrate non i punto difficile. e U discorso in- ^ io giorno d Dio ora  r-he sentii nn ^ ^,rno iteXe cose, e una Tdeila peste, fece, col P ^''\gli Ateniesi, pt'ttj ^tardasse loro di olia agli _ .ricrifizio. cbe la_n^e m quella appunto cit ^ g, ehessa jgcianni,qu ^ ^ discorso, outi fra ose dantore, punti cou tenne, lo, rover a ripetervel, p Agatone, nu P c gintende, Ag ' e il #> ' impano la via. teogo .1 modo che tu hai ape VTcorrere chi lAmore J facile  fcriiua discor ^ che P . ?! lco.,amo si. quello,^ -t iroono,e,io-og ^'^ ,es.^ Tma Agaldno a me, '^ lei, cose che ora Ag bellezza. f' 'do me'clle stesse ragioni con cui^t^^^^ sSo cosmi, ., ne n d^o. come l'inmo^ ;r tinta;  brutto, adunque, ^.^p^tto? D lei-'' o - /;Sp cir non s.a belio, rese o credi, clte 4 brutto? Icbba necessariamente esser Certissimo. O anche quello che rante? o non senti, che tra sapienza e ignoranza Coni E che mai? Lopinar rettamente e senzessere di dar ragione, non sai, dice, V sapere; poich come sarebbe mai coV^- ' naie la scienza? E neanche  ignoranz' '' ' che apporsi al vero, come mai sarebbe ranza? Lopinione retta  appunto cosi',?' cosa di mezzo tra intendere e ignorare  Dici il vero risposi io. B Non forzare, dunque, ci che non  bello a esser brutto, o ci che non  buono, cattivo. E ! cos anche lAmore, poich tu stesso convieni che non  buono n bello, non credere per ci che deva essere brutto e cattivo, ma una cosa di mezzo, dice, tra questi. Eppure, dissio si conviene da tutti, che  un grande Iddio. Da tutti quelli, intendi tu, che non sanno o da quelli che sanno? Da tutti quanti a dirittura. E lei ridendo O come, Socrate, disse converrebbero che  un Iddio grande coloro, i 0 quali dicono chegli non  neanche un Iddio? Chi costoro? dissi io. Uno tu, risponde, e uno io. E io domandai : Come mai dici tu questo ? E lei Facilmente rispose : perch, dimmi ; tutti gli Dei non dici tu die sono felici? O che ardiresti tu dire, che alcuno degli Dei non sia felice? io no possiedono 'A' oo v.n to, Di non to desidera, appunto, a'^ ,4 e boto '' eoo t in dite  0 come Tni^ r^nt: oto aneto A To'^aedi un Dio? . dissi .sarebbe maiVa^more? Che, dunque, tortale? r f; '''ltpto''e-un eto di metto Come prima V rti! to,Dio.i >^ inno B il demoniaco e un il mortale. - diss^E quale possanza ^gU ^ei Dintetpmte '. f oni, degU um, nomini, agli uomn ^ n^^jjjjii, deg^ smettendo preghi ^^rrifizh . . pgr mandi e rieambii de. a fb,,i, nenipm pe t nel meato tra gl n Convito modo che il tutto resti colleentr. simo. Attraverso di lui pasfa 'r? I na tutta quanta e quella de sacS saenfizu c le iniziazioni. Dio non si ^  uomo; per ogni conversazione e coll Dei cogli uomini, sia desti, sia addorm per mezzo del demoniaco che la si fa p > ^ i che  sapiente in simili cose,  uomo d ^ ^ chi  sapiente in ogni altra cosa o dUrr'^' ' mestiere,  un manuale. ^ urte 0 (li 0^a,di questi demoni, 1 Amore  un, 1 ~ ^ CS^i  suo padre - dissi io - e chi su ve ne son molti e diversi : E chi madre ?  lunghetta, risponde, a narrare; pure te 10 dir. Quando nacque Afrodite, gli Dei celebrarono un banchetto, e vera cogli altri Poro 11 figliuolo di Meti (218). Quando ebber cenato, ecco che arriva Penia per accattare, perch era luogo di scialo; e girava attorno alle porte. Ora, Poro briaco di nettare, ch il vino non cera peranche, era entrato nellorto di Giove, e vi sera, sopraffatto dal sonno,-addormentato; sic- C ch Penia, macchinando per la miseria sua di avere un figliuolo da Poro, gli si mette a giacere accanto e concepisce Amore. Ed  per questo che lAmore divent seguace e ministro di Afrodite, perch fu concepito nel giorno natalizio di lei, e insieme  di sua natura amante del bello, poich anche Afrodite  bella. Perci come figliuolo di Poro c di Penia, lAmore sebbe questa sorte ; prima eh egli  sempre povero, c tutt altro che delicato c belio, come i pi credono, anzi duro, e squallido e scalzo, e senza 8i D dormendo avan | r n oi i-sofist  ^ e\io stesso g' mudre e p Inta ^ada bene del padre, ' T rVa e''' Chi h t  ret e -- ^TXSn: Se.' tr fi S>s; . sri'S- Sf' :.,.eh..o.e.0 _ disse - ^ V e -li ole raBSs . q e ^ apP ' ^jd't '! um e altri, e d q cose pmbell ^rio clic Amore sla filosofo, Convito egli sia un che di mezzo tra sapiente e rante. E di ci gli  causa anche la sua; perch lui viene, si, da padre sapiente' ^'!? molti ripieghi, ma da madre non sapiente e se ripieghi. Questa, dunque, , amico SocrateT natura del demone; e laver tu ritenuto Amore fosse quello che tu hai detto,  stata una C svista da non doverne fare le maraviglie. credevi, come a me pare congetturando dalle tue parole, che Amore fosse lamato, non gii lamante. Perci, credo io, lAmore ti appariva bellissimo. Ch di fatti loggetto dell amore  il veramente bello e il delicato e il perfetto e il beato ; invece, quello che ama, presenta un altra idea, quale lho discorsa. Ed io ripigliai Sia pur cos, forestiera: ch tu parli bene. Ma se  tale lAmore, di che uso  agli uomini? D Q.uesto, Socrate rispose mi sforzer dinsegnartelo ora. Dunque  tale lAmore, e nato a questo modo, ed , come tu dici, amore di bellezza. Ora, se uno ci domandasse O Socrate e Diotima, che  egli mai lAmore di bellezza? Ma lo dir pi chiaro cosi: Chi ama la bellezza, che ama egli mai? Ed io risposi Che la diventi sua. La risposta dice desidera quest altra interrogazione : Qjuello, a cui la bellezza diventa sua, che navr egli? Io A rispondo'' 1' uundo, si sei- ^ i. 8' ' f p s ' ' ! S bello e li down'.rd;ioo>d,' rs. Socrate, su. diventi suo ^ Snti suo, che navr,.,,nriparpihage- aos 3 sar felice. possesso del bene Di fatti. -- dtsse domandare son feli  taesto .mote e iel deM- : sia causa di 0 violenta disposiit' , O non  jllorch deside ' 1 enttano gU .t 'ti q . i olaf''. ^ S8rlSm reomotosamenm^ ;' ifcoSattere i per proprio . . p si a venir meno aeiw qualunquealtro atto? ^ facciano per virt di ';' ''-o' S # animali, qoale d c raziocinio, o g rnsi? Lo sai tu dire ^ struggersi damor saprei. Ed io da capo diss ^ ^ai diin cose dimore, se non mteod, J'^Ma^ppunto per J^j 2 so''chrho bisogno or ora, io vengo da te, peretso ^ di maestri. Ma dimmela m e di tutt altro nelle cos amor Ebbene, se tu credi eh P ^ pib vohe sia di quello che abbiamo c ^^.^a il non te ne ^ale cerca essere, P L discorso, la natura m gitale - quanto pu, sempre pu solo per questa via, per la via dell razione, perch lascia sempre un n'^ '^' invece del vecchio ; giacch anche nel tratt'o '^ tempo che ciascun animale si dice vivere e rare il medesimo, come, per esempio uno T fanciullo insino a che sia diventato vecchio t detto il medesimo ; per  cliiamato il desimo, quantunque non conservi mai b st ig stesse cose, ma parte si rifaccia sempre giovine parte alcune cose le perda e nei capelli c nella, carne e nelle ossa e nel sangue e in tutto quanto il corpo. E non solo nel corpo ; ma anche nel- lanima il tratto, i costumi, opinioni, desiderii, piaceri, dolori, paure, tutte le disposizioni siffatte non sono mai presenti le stesse in ciascuno, ma quale nasce e quale muore. E, cosa pi bizzarra ancora, le cognizioni non solo alcune nascono c altre muoiono, e non siamo mai neppur rispetto alle cognizioni i medesimi, ma anche ogni singola cognizione  soggetta allo stesso. Giacch quello che si dice meditare, ha luogo perch la cognizione va via; dimenticanza, di fatti,  dipartita della cognizione : meditazione, invece, ingenerando una cognizione nuova in luogo di quella che se n ita, salva la cognizione tanto da parere la stessa. Ch a questo modo tutto il mortale si salva, non col restare sempre in tutto e per tutto lo stesso, come il divino, ma col lasciare quello che se ne va e invecchia, qualcos altro nuovo, quale esso era. Con questo mezzo o Socrate dice il mortale partecipa della immortalit, cos il corpo come ogni altra cosa: impossibile in altro modo.,  r n. ' 08 r,o siacch per .8 xxvn me nc . ito q ! I! ;dio-s pi dubi ^ . j^.dare all amor stupore, '?irfagio'^ -h aie io ho uoiuim . ^ niente ci i>j.jnore del di- o come si struggono d amor concependo ccn^^ e di ventare rin eterno, lasciar di se g ^gnl pericolo e son pronti per e consumar le sonorto a PATROCLO ^f^no, se non avessero figliuoli per salvar loro il reg creduto, die una immorta ppuiito conser a; loro, come apF _anzi> rimasta memoria ^j^vvero  viamo noi oraf i io credo. per imniortal virt Convito e per siffatta gloriosa fama,,, cosa, tanto pi, quanto mieiin sono dellimmortale innamorar pS Ora quelli disse, che so ^ poralmente, si voltano piuttosto allff^ diventano amorosi a questo modo e diante la generazione dei figliuoli, Immortai vita, insin che il tem, Procurando , ^ur, secondo credono, e felice e ricordata; i pregni invece nellanima... giacch vi sonopu, quelli, dice, che concepiscono nelle anime anche pi che nei corpi, le cose che allanima s addice e concepire e partorire. E oh! che le SI addice? La sapienza e ogni altra virt, cose appunto di cui sono generatori i poeti tutti, e quanti v ha artisti che si dicono inventivi: per d ogni intendere dice il maggiore e il pi bello  quello il cui oggetto sono gli ordini delle citt e delle case, a cui si d nome di temperanza e di giustizia. E quando poi uno, essendo divino, sia da giovine pregno di tali cose nel- 1 anima, e, giunta let, desideri oramai di partorire e di generare, cerca, credo io, anche lui, girando attorno, il bello in cui generare ; giacch uel brutto non generer mai. Sicch, come pregno eh egli , si compiace de corpi belli piuttosto che de brutti; e quando sincontri in una Della anima e generosa e di buona natura, si compiace, e di molto, dellinsieme, e subito con, honda in  ^he studii pr- ^ ersona poomo buon venuto ^ette a educarlo.^ ^,ersando con della beila ^15 di cui era ^ntan credo, e gener {a.pa^^;\cnin> ^'^to insieme con quella, %' CV' >VTeS cWto,n con coi C il W' >  n immagini di  Ti Tjo che fu W So parli bene; per bad, non hanno di fronte a discorsi ^ aguale. E insieme, bevuto, pu non esser p S gocrate ha b-ruomo. appunto addosso., disse Socrate? Ti vuoi chetare Alcibiade -, non Aff di Posidone - P P^ f non v  ci metter bocca; che io in faccia a te, no nessuno al mondo che o crei. Ebbene, tu fa cosi, riprese i. se tu vuoi, loda de_? Sha a fare. Come dici -ripet Alcibiade Erissimaco ? Che io dia lo gastighi davanti a ^ che hai tu O tu interruppe Socrate ^ per il capo? Mi loderai per canzo farai? r\ir s r- %A rhe son levai'- ^rp e noi altri Ma quapi canzonare la erto, io non so se si mette sul seno ed t p jo gl qualcuno ha visto t s'rnulaar ho visti una volta, doversi far m aurei e bellissimi e m ^;,enendo tutto 50 della mia bellezza, che sul seno si fo^s^ ^ inaspettato c una mia lo giudicai un guada S P . modo, a tS,.; d' pptendera . .o ci 6 : compiacendo Socrate ore i che costui sapeva, gi ^ Sicch, con ! ne tenevo non vi so g-avo. Ebbene fece ginnasdcrt lott spesse volte, senza che ci fo nessuno. E che sha a dire? No un passo avanti. Poich non venivo nessuna di queste vie, mi parve cheV ^dovesse assalirlo alla gagliarda, e una voir u nn ci ero messo, non smettere, ma oramai che affare  questo. Sicch lo inlv a cenare meco, tendendogli un agguato propri! come un innamorato all amato. E neanche 0 diede retta subito; pure col tempo sarrese. Ora la prima volta eheci venne, volle, finito d cenare, andar via. E per quella volta io ebbi vergogna e lo lasciai andare; ma la seconda, fatto il mio piano, dopo che ebbe cenato, conversai con lui molto avanti nella notte, e siccome voleva andar via, col pretesto che fosse tardi, lo forzai a rimanere. Ora egli si mise a riposare sul letto vicino al mio, su cui aveva cenato, e nella stanza non v erano altri a dormire, fuori di noi. E, sin qui,  un discorso da potersi fare a chiunque; ma di qui avanti non mi sentireste parlare, se, prima, dice il proverbio, il vino non fosse veritiero coi fanciulli e senza 1 fanciulli: e poi mi pare ingiusto, una volta che mi son messo a far lelogio di Socrate, di nascondere un suo superbissimo atto. E per di pi leffetto del morso della vipera ha luogo anche in me. Giacch raccontano, che la persona che lha provato, non vuol dire com egh k stato, se non amorsicati, poich questi soli Convito _ j -inno e compatiranno, 'siccht i -r.  o- doite s to'fare e dire doloroso (jorso fl P potesse essere fTX . e'-e'morso da discorsi me gli s ^ ' no neggio duna vipera, ffamio operare Agatoni, Ens-, rte vedendomt davmi Aristofamsimachi, Pausami, ^nsto ^jj^inarlo, e Socrate stesso, che ^ e dal delirio tanti altri? Che sen. della filosofia siete m voi B Poich, dunque, amici, p^^ve^ che io ; i ragazzi furono usciti, a P lon dovessi pigliarla larga con ^jgsi; libera quello ^^tto - quello rispoSocrate, dormi? ^ Che cosa?se - Sai tu che cosa ho ^ciso disse. A me diss to g ti vedo esitare innamorato o degno ' questa dia farmene parola. tJr, grande il sposizione-, io ritengo . g y altro che non compiacerti anche mel e se ti faccia bisogno della sostane-, amici miei. A me nulla  di . deei: quanto diventare il migliore che iT'' '' 4 CI io credo, che nessuno mi sa aium  di te. Ora, a non compiacere un tua fatta io mi vergognerei assai pi dav persone di senno, che non davanti alla ge stolidi a compiacerlo. E lui ebbe ascoltato, con aperta ironia, e proL io'  solito, risponde: O caro Alcibiade rTw m realt di essere un uomo non dappoco: cade che sieno vere le cose che tu dici di v in me una potenza per cui tu potresti diventare migliore ; una infinita bellezza tu avresti scorto in me, e superiore di molto alla venust eh  attorno a te. Sicch se tu, avendola vista, tenti di accomunarti con me e barattare bellezza con bellezza, non  piccolo il vantaggio che tu pensi di prendere sopra di me, anzi in cambio dell apparenza tu cerchi di acquistare la realt del bello, e pensi di barattare davvero oro con ferro. Ma, beatuomo, guarda meglio; che io non sia nulla e tu tinganni. Appunto, la vista della mente comincia a vedere acuto, quanto quella degli occhi prende a scemare del vigor suo; ora tu sei ancora lontano da questo. E io, sentito ci. Quanto a me ripigliai, le mie disposizioni son quelle, n se n  detto nulla diversamente di come penso : decidi poi tu come tu credi meglio per te e per me. Ma di ci riprese tu dici bene ; sicch a suo tempo ci consiglieremo insieme e faremo quello che ci parr il meglio cosi in questa, come in ogni Convito cpntite e Ora io. P'' 'lomTsaW'.'  loi ' reaovo aver lanca ni lafi' ' /' Vr iu. 5o rti C Latori' P jJ era ' rebbero da ridere, tal propriamente di I So i 1 S i t Satiro petulante, p sempre e calzolai e  ^lodo, sicch ogni perstesse cose nello smss aerebbe sona inesperw e priva 3, beffa dei suoi discon . rima le vede aperti e p j^^nno l ov  i soli .<!?' ' in s pia poi dmnn ' .i,o an di simulacri di Virt, conviene meditare con mira a tutto per bene, a chi voglia essere una p lodo Queste, o amici, son . quelle di Socrate; e in <^he egli mha cui lo biasimo, v ho questo sol- B offeso. E, in fede nnn.non .^ne tanto a me, ma anche tantissimi e ad Eutidemo di Diocle ^ altri, ai quali lui dando ad intendere di v 1 essere ramante, se n fatto lamato in camk-'^ damante.  appunto quello che dico anche te, Agatone; non ti lasciare ingannare da lup ma ammaestrato da casi nostri, tienti in guardia e non imparare, secondo il proverbio, come un ragazzo, a tue spese. Quando Alcibiade ebbe finito di parlare, si fece, raccontava, un gran ridere della franchezza con cui egli si dava a divedere tuttora innamorato di Socrate. E Socrate O Alcibiade dice, tu non sei per niente briaco, mi pare; altrimenti non ti saresti provato, rigirando il discorso con tanta finezza, ad occultare la causa per cui hai detto tutte queste cose ; e lhai messo poi come di passaggio, in fine, quasi non D avessi detto ogni cosa per metter male fra me e Agatone, giacch, a parer tuo, io devo amar te e nessun altro, e Agatone deve esser amato da te, e da nessun altro al mondo. Ma ti sei fatto capire; ch cotesto tuo dramma satirico e Silenico s scoperto. Ma, caro Agatone, chegli non ne profitti punto; anzi, fa proposito, che te e me non ci separi nessuno. E Agatone risponde: Certo, o Socrate, tu risichi di dire il E vero: e lo argomento anche da questo chegli s messo a giacere fra te e me, appunto per separarci. Or bene, egli non ne profitter niente affatto; anzi, ecco, mi levo e mi metto a giacere, dice Alcibiade, q proposto Jmba a dare lascia, to ' Iffarnii in wtto. Ma se ^ d' lomo che Agatone si lodato niirabd u^'!: Socrate u capo nie, in uomo, lascia ria me? (^9 onesto giovinetto che sia re e non invidiare f^pto desiderio di lodato da me; ch . y, -soggiunse Agatone -, no^ mai. di mutar posto, risoluto, ora P siamo alle sohte esser lodato da g^^ate, b mtposrispose Alcibiade, P belle per sibila a chiunque altro di g persuasivo sene. E ' p^cUi stm ha trovato e con clie u giaccia vicino a lui 1 Agatone, dunque dar a sdraiarsi accanto S ^ue .ir improvviso s i, uscita di uno, si [ porte; e trovatele aper P ^ ^ g,^eerc, l fecero avanti m ver . ^i a bere vino I c tutto and sossopra e SI tu o quello che dicessero, Aristodemo dichiarasse? non ricordarsene nel resto; poich non vaveS D assistito da principio, e sonnecchia ; ma la som? ma, diceva, era, che Socrate li costringeva a convenire, che appartenga allo stesso uomo il saper fare tragedia e commedia, e chi per virt darte sia autor tragico, sia anche comico; del che costretti a consentire, senza seguire gran fatto, prendessero sonno, e prima si fosse addormentato Aristofane, poi, a giorno fatto, Agatone. Quanto a Socrate, dopo averli messi a dormire, si levasse e se ne andasse via, e lui, comera solito, lo seguisse; e andato al Liceo, lavatosi, vi si trattenesse come altre volte, il rimanente della giornata, e trattenutosi cosi, andasse poi la sera a riposare a casa. Nome compiuto: Francesco Saverio Dodaro. Dodaro. Keywords: tracce di un discorso amoroso, mappatura, signature, segnatura, cantata duale, cantata plurale, cantata duale, origine del romano, edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione inter-mediale e luto, immagine e segno, senso, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, silenzo silenzo silenzo silenzo Catullo poema rima ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of altro  Hegel on conscience of ego and conscience of alter, Sartre on nous and love affair  infinito  lingua a codice  codice come ripetizione  ripetizione dei suoni del cuore  ontogenesi ripete filogenesi  commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita emica come classe di unita etica  criterio: un accordo o codice di relevanza  lintenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dodaro  The Swimming-Pool Library. Dodaro.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dolabella: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.Publio A follower of the philosophy of the Garden, and the son-in-law of Cicerone. The achieved the distinction of being pronounced a public enemy by the Roman Senate. He ordered one of his soldiers to kill him. Nome compiuto: Publio Cornelio Dolabella. Dolabella. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dolabella,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dommazio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A  philosopher, known only from a surviving bust. Dogmatius. Dommatio. Dommazio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dommazio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Donà: la ragione conversazionale e la sessualità – scuola di Venezia — filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “Well, Donà has philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta, a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine degli anni ottanta, collabora con Cacciari presso la cattedra di Estetica a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Cacciari e Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Gasparotti e Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Emo. Dirige per la casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e "Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale "L'Espresso".  Attività musicale In qualità di musicista, dopo aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera. Nasce così il D.  Sextet. Suona con musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Gillespie, Brown, Gordon e Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo gruppo: il D. Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il 'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “L' Uno, i molti: Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani, Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte” (Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio, Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia” (Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere” (AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano; Non avrai altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile. Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine  PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia. Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa” (il Mulino, Bologna  Abitare la soglia. Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio, Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti, Reggio Emilia  Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide. Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova)  Misterio grande. Filosofia di Giacomo Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte trinitario” (Città Nuova, Roma  Erranze (Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione” (Moretti et Vitali, Bergamo  J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di Shakespeare” (Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti, Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale. Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo. Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle mani di Dio, Caligola Records  Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati, in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Wikipedia Ricerca Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a ragazzi o uomini La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La mascolinità è costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni comportamenti considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente influenzati. Fino a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o socialmente è oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla definizione del sesso biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine possono esibire caratteristiche maschili.   Nella mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità. Gli standard di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi storici. Le caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente considerate maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza, coraggio, indipendenza, leadership e assertività. Il machismo è una forma di mascolinità che enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le conseguenze e la responsabilità.  Il suo opposto può esser espresso dal termine effeminatezza. Uno dei sinonimi maggiormente usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche significa uomo.  Contesti storici e culturali L'interpretazione ed il riconoscimento della mascolinità variano all'interno dei diversi contesti storici e culturali. Nell'antichità era prevalente prendere a modello l'uomo d'arme; la figura del dandy, tanto per fare solo un esempio, è stato considerato un ideale di mascolinità nel XIX secolo, mentre è considerato al limite dell'effeminato per gli standard moderni.  Le norme tradizionali maschili, così come vengono descritte nel saggio di Levant intitolato "Mascolinità ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità, non mostrare le proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore, perseguire il successo e raggiungere uno status sociale più elevato, l'autonomia (il non aver mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e l'aggressività, infine l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio). Queste norme servono a riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando gli attributi e le caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al genere maschile.  Lo studio accademico della mascolinità ha subito una massiccia espansione d'interesse, con corsi universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad oltre 300 negli Stati Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere.  Natura ed educazioneModifica  Competizione sportiva, scontro fisico e militarismo sono caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme analoghe in quasi tutte le culture del mondo. La misura in cui l'espressione della propria mascolinità possa esser un fatto di natura o il risultato di un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del condizionamento sociale) è stato oggetto di molte discussioni.  La ricerca sul genoma umano ha dato importanti informazioni circa lo sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di differenziazione sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri umani: il TDF sul cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale maschile, attiva la proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9" la quale aumenta l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile nell'embrione.  Vi è ampio dibattito poi su come i bambini sviluppino a partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi la considera un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente collegata al corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è legato al sesso maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il quale diviene così l'aspetto fondamentale della mascolinità.  Altri invece suggeriscono che, mentre la mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a radersi.  Mascolinità egemonicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Maschilismo.  Esempio di maschio poco più che adolescente con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera principale per gli uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare a mantenere economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il comando e la leadership[23]. Raewyn Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la subordinazione delle donne. Pleck sostiene che una gerarchia di mascolinità tra gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia riferita all'orientamento sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e spiega che "la nostra società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo centrale per tutte le sue classifiche di mascolinità, distinguendo i veri uomini dotati di virilità da quelli che invece lo sono solo per finta. Kimmel promuove questo concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei gay" indica che uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora d'indicare un maschio attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck conclude sostenendo che per evitare la continuazione dell'oppressione maschile sopra le donne, sopra gli altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono essere eliminate una volta per tutte le strutture ed istituzioni patriarcali dall'auto-consapevolezza maschile.  CriticheModifica Si tratta di un argomento dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti storicamente debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno rilevato un corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei valori contemporanei, ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé certi ruoli tradizionali appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale che la società d'oggi ha in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed infine anche alla promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un pressione rivolta agli uomini per femminilizzarsi.  Le immagini di ragazzi e giovani uomini presentati nei mass media possono portare alla persistenza di concetti nocivi alla mascolinità; gli attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i media non prestano una seria attenzione alle questioni relative ai diritti maschili e che gli uomini vengono spesso dipinti in una luce negativa, soprattutto nella pubblicità. Jackson scrive che le forme dominanti di mascolinità possono essere di sfruttamento economico e di oppressione sociale. Egli afferma che "la forma di oppressione varia dai controlli patriarcali sui corpi delle donne e dei diritti riproduttivi, attraverso le ideologie di domesticità, femminilità ed eterosessualità obbligatoria, alle definizioni sociali del valore del lavoro, le presunte maggiori abilità naturali del maschio e la remunerazione differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo. Il lavoro meccanico in fabbrica è associato con la mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in crisiModifica Un discorso sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi decenni, sostenendo l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi nella civiltà occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi. La crisi è anche stata spesso attribuita alle politiche conseguenti al femminismo in risposta sia al presunto dominio degli uomini sulle donne, sia ai diritti attribuiti socialmente sulla base del proprio sesso d'appartenenza.  Altri vedono il mercato del lavoro in costante evoluzione come fonte della crisi della mascolinità, la deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche con nuove tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di entrare in questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al contempo la necessità e domanda di forza fisica. Tendenze contemporaneeModifica  L'operaio edile, esempio moderno di mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo definitivo.  Secondo un documento presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi. Uomini e donne possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi disturbi alimentari.  Sia gli uomini che le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo (dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa). Terminologia I concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. Constance L. Shehan, Gale Researcher Guide for: The Continuing Significance of Gender, Gale, Cengage Learning, .google. com/books/about/ Masculinity_and_ Femininity_in_ the_MMPI_2 l?id=5 KLPlmrwhat+masculinity+and+ femininity +are%22 google.com/ books/ about/ GenderNature_and_Nurture.html?id=R6OP AgAAQBAJ&q=%22biology+contributes %22+%22 masculinity+ and+femininity %2 2about/The_Sociology_of_ Gender.html?id=SOTqz UeqmN MC&q=%22+ biological +or+genetic+contributions Ferrante, Sociology: A Global Perspective, 7th,  Belmont, CA, Wadsworth, What do we mean by 'sex' and 'gender'?, su who.int, World Health Organizationbooks .google.com/books? id=jWj5OBvTh1IC&q=%22 meanings+of+man hood+vary%22/ sk.sagepub. com/ books/ theorizing- masculinities/n7larchive.org/ details/ femininitymascul co.uk/books?id=-RxIUDYIuiIC&pg=PT24 8britannica. com / E  Bchecked/topic machismo Roget’s II: The New Thesaurus, Houghton Mifflin,Treherne, The Warrior's Beauty: The Masculine Body and Self-Identity in Bronze-Age Europe, Journal of European Archaeology Reeser, Masculinities in Theory: An Introduction, Wiley, Levant e Gini Kopecky, Masculinity Reconstructed: Changing the Rules of Manhood—At Work, in Relationships, and in Family Life, New York, Dutton, Dornan, Blood from the Moon: Gender Ideology and the Rise of Ancient Maya Social Complexity, Rolla M. 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Allyn and Bacon. Boston, London: Levant et Pollack A New Psychology of Men, New York: BasicBooks Mansfield, Harvey. Manliness. New Haven: Yale, Reeser, T. Masculinities in Theory, Malden: Blackwell, Robinson, Not just boys being boys: Brutal hazings are a product of a culture of masculinity defined by violence, aggression and domination. Ottawa Citizen (Ottawa, Ontario). Stephenson, Men are Not Cost Effective: Male Crime in America.  Simpson, Male impersonators: men performing masculinity, Londra, Cassell, Walsh, Fintan. Male Trouble: Masculinity and the Performance of Crisis. Basingstoke and New York: Palgrave Macmillan, Williamson, Their own worst enemy" Nursing Times: Wray Herbert "Survival Skills" U.S. News et World Report Masculinity for Boys, su unesdoc.unesco.org, pubblicato dall'UNESCO, Nuova Delhi, Smith e Hutchison, Gendering disability, Londra, Rutgers University Press,  Stephany Rose, Abolishing White masculinity from Mark Twain to hiphop: crises in whiteness, Lanham, Lexington,  Nella storia Michael Kimmel, Manhood in America, New York etc.: The Free Press A Question of Manhood: A Reader in U.S. Black Mens History and Masculinity, edited by Earnestine Jenkins and Darlene Clark Hine, Indiana, Taylor, Castration: An Abbreviated History of Western Manhood, Routledge 2002 Klaus Theweleit, Male fantasies, Minneapolis : University of Minnesota and Polity, Stearns, Be a Man!: Males in Modern Society, Holmes et Meier Shuttleworth, Disabled Masculinity. Gendering Disability. Ed. Smith and Hutchison. Rutgers, New Brunswick, New Jersey, Voci correlate Modifica Androgino Bromance Bushidō Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di mascolinità Leather Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay) The Men's Bibliography, bibliografia completa sulla mascolinità. Boyhood Studies, bibliografia sulla mascolinità giovanile. Practical Manliness, sugli ideali storici della mascolinità applicati agli uomini moderni. The ManKind Project of Chicago, supporting men in leading meaningful lives of integrity, accountability, responsibility, and emotional intelligence NIMH web pages on men and depression, sulla depressione maschile. Article entitled "Wounded Masculinity: Parsifal and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che si riferisce alla mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla narrativa maschile. Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity Conspiracy, critica mascolina online. Future Masculinity, corso di critica sulla mascolinità. Portale Antropologia Effeminatezza termine  Michael Messner (sociologo) sociologo statunitense  Privilegio maschile privilegio sociale degli individui maschi derivante solamente dal loro sesso. Nome compiuto: Massimo Donà. Dona. Keywords: sessualità, eroticamente, per una filosofia della sessualità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Donatelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’esperienza – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Donatelli – his titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and common experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed Etica e Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier,  Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino, Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari, Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein, Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari, Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale, Roma, Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica, Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano, LED,I destini dell'etica  Bioetica e progresso morale dell'Italia, su ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.  Bioetica Consulta di bioetica   The Italic branch consists of Latin on the one  hand and of the Urabrian-Samnitic dialects, on the other.   Latin, with which the little known dialect Sf Faleriv is closely related. So long as the language is confined to Latium, there exists  no dialectical differences of any importance. The contrast between the popular and the literary language, which arise from  Livio Andronico – up to Cicero -- becomes sharper in the classical  period, and the further development of the former is almost  entirely lost to our observation until the Middle Ages, when the popular Latin of the various provinces of the Roman  empire meets us in a form more or less changed and with a  rich development of what we know call Italian. We should also consider the development of the Latin of antiquity. Cp. Corssen Uber Aussprache, Vocalismus und Betonung der lateinischen Sprache, Leipzig Kuhner Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen Sprache, Hannover, Stolz and Schmalz Lateinische Grammatik, in Muller’s Handbuch  der klass. Altertumsw. IThe Umbrian-Samnitic dialects are known to a certain extent through inscriptions, and through words quoted  by Roman writers. We are best acquainted with Umbrian  (Breal Les tables Eugubines, Paris Biichelor Umbrica, Bonn) and Oscan (Zvotaieff Sylloge inscriptionum Oscarum,  Petersburg- Leipzig). Of the Volscian, Picentine Sabine, Cp. Budinszky Die Ausbreitung der lat. Sprache uber Italicn  und die Provinzen des rSmisohen Reiches, Berlin, Cirober in the  Archiv fur lat. Lexikographie g KeUio; Aequiculau, Yestinian, Marsian, Pelignian and Marrucinian  dialects we have only very scanty remains (Zvetaieff Inscriptiones Italiæ Mediæ dialecticæ, Leipzig). All these  dialects are forced into the background at an early period by  the ifitrusion of Latin. The Sabines, who receive citizenship, seem to have been the first to become romanised. The s^west to give way was Oscan, which in the mountains does not perhaps become fully extinct. Cp. further Bruppacher Osk. Lautlehre, Zurich, Endoris Yersuch einer Formenlehro der osk. Sprache, Zurich. Nome compiuo: Piergiorgio Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza, let’s cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,  virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Donati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del fra – scuola di Budrio – filosofia budriese – filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Budrio). Filosofo budriese. Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Budrio, Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred, means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del welfare nelle società.  L'etichetta "sociologia filosofia relazionale" viene usata, oltre che da D., da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un ‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto indipendente rispetto a D. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi della società (D., Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,, l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società: la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli. Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San Michele per  "Pensiero sociale cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia, Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica -- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di “Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva, ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale, secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2), bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto, ‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico, Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”, ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che D. chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali elaborati da D. sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato dal Centro studi Erickson). Il concetto di differenziazione relazionale si applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi di D., Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale all'indagine sociologica, Carocci, Roma, D., Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma, è il più recente D, "La famiglia. Il genoma che fa vivere la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella della salute: si veda Donati  Manuale di sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale” (Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive” (Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile: Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge, Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori, Angeli, Milano, D., I. Colozzi, Capitale sociale delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano,.  Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e pratiche.  I, il Mulino, Bologna, Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi, Il servizio sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss, Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in Donati, Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori Donati, I. Colozzi, FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano, Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza, Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, La famiglia come relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale. Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale. Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica, Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli, Bologna).  Der Dual ist ein Numerus, der sich in indogermanischen wie nicht-indogermanischen Sprachen findet. Die indogermanistisch zentralen Sprachen Altgriechisch und Altindisch haben diesen Numerus in allen flektierenden Wortarten; andere Sprachen haben ihn nur in einer Wortart. Die Minderheitensprachen Ober- und Niedersorbisch pflegen den Dual bis heute. Auch im Bairischen gibt es noch formale Dualrelikte.  Das Buch bietet eine Darstellung der einzelsprachlichen Dualsysteme in der Indogermania und Rekonstruktionen der Dualsysteme der Zwischengrundsprachen und des Ur-Indogermanischen. Neben dem genealogischen Vergleich wird auch der typologische Vergleich mit Dualsystemen anderer Sprachgruppen wie etwa Finno-Ugrisch, Semitisch und Bantu angestellt. Der Leser gewinnt so einen Überblick über die Entwicklung einer typologisch markierten grammatischen Kategorie und einen Einblick in die kognitiven Prozesse, die zum Werden und Schwinden des Duals im Wandel der Sprachen führen.  Rezensionen "" Salvatore Scarlata in: Kratylos, Pinault in: Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, Pierce in: Journal of Historical Linguistics, Bohumil Vykypel in: Linguistica Brunensia,  http://hdl.handle.net"" Remo Bracchi in: Salesianum, Lühr in: Germanistik, Heft, Duale (linguistica) numero grammaticale Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento grammatica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Il duale in linguistica è una delle possibili realizzazioni della categoria morfologica del numero grammaticaleche può essere espressa tanto nel nome (sostantivo e aggettivo) quanto nel pronome e nel verbo. Benché sia meno diffuso di singolare e plurale, il duale è presente in molte lingue del mondo.  Esso è presente nelle più antiche lingue indoeuropee, come il sanscrito o il greco antico, nel lituano, nello sloveno moderno, nel friulano e anche nelle lingue semitiche, come l'arabo - che ne fa tuttora uso nelle sue varietà moderne, sia pure limitatamente al nome - l'ebraico e nell'egizio.  Il duale è frequente per indicare parti doppie del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe, ma nelle lingue che lo possiedono non è raro il suo uso anche per indicare oggetti a coppie o semplicemente coppie di oggetti o persone casuali: due persone, due anni, ecc. ("duale occasionale").  Mentre in francese, in tedesco, in italiano o in spagnolo, tutte lingue che non presentano la forma duale se non per tracce come per esempio in italiano ambo, si è soliti anteporre al sostantivo plurale l'aggettivo numerale che ne indica la quantità esatta (due uova, due amici, ecc.), nelle lingue che posseggono il duale questo può bastare per indicare una quantità pari a due. Per esempio in arabo sanah "(un) anno", sanatayn "(due) anni".  La mu'allaqa di Imru l-Qays, una delle più famose poesie arabe, esordisce con un imperativo duale: Qifâ, nabki... "fermatevi (voi due) e piangiamo...", riferimento al fatto che il poeta si rivolgeva a due suoi compagni.  Bibliografia Modifica Albert Cuny, Le nombre duel en grec, Paris, Klincksieck, Fontinoy, Le duel dans les langues sémitiques, Paris, Les Belles Lettres, Molinelli, Il numero duale nel greco antico, Roma, Fritz, Der Dual im Indogermanischen, Heidelberg, Winter, Grammatica Morfologia (linguistica)   Portale Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Salvatore Talia Numero (linguistica) categoria grammaticale  Grammatica lituana regole della lingua lituana  Articoli del greco antico Wikipedia Il contenuto. Grice: “In my seminars I explained explicitly that we would be dealing only with conversational DYADS!” Grice: “This was my nod to the Old Latin dual!” – Grice: “Austin used to say that no distinction is too fine, or too nice. The origin of the Latin fifth declension out of the dual number – We can provide an EXPLANATION of the appearance of the Latin fifth declension (e stems) as a result of the LOSS of an earlier dual inflection, whose main feature is the suffix jk (full grade ej) . The dual character of the Latin -ies (series) forms can be demonstrated on the basis of their ‘semantic’ development. The dual number in the Indo-European languages. The most ancient Indo-European languages had three number categories: the singular, the dual, and the plural. In the Indo-European languages, the dual number was typically used for NATURAL PAIRS (‘oculi’, the ‘same’, two hands), sometimes also for an accidental or artificially arranged pair (‘two men’ (andre), two horses pulling one carriage, two oxen in one yoke), and possibly for two objects of the SAME kind (two fires, two lime trees). Elliptical usage of the dual is also attested, ‘two fathers’, as when Homer refers to ‘Ayax and his brother’ or Latin ‘octo, ‘eight’, originally, or literally, two sets of four finger-tipes Wackernagel, Campanile, Malzahn, Clackson). The degree of preservation and PRODUCTIVITY of the dual in the Indo-European languages differ considerably. Traces of the dual in Latin. The dual number as a separate CATEGORY was presumably lost by Latin and the other Italic languages already in the pre-historic period (Buck). Lat. ‘duo,’ ‘two’ < IE duwo < PIE duwo-hj (Tagliavini). Lat. ‘okto’ ‘eight’ < IE okto, ‘8’ < PIE hkekto-h0. Lat. viginti, ‘twenty’ (< IE wiknti < PIE dwi-dknt-ih), literally, ‘two tens.’ A few Latin forms – ambo, duo -- have a specific inflexion which may be the result of the transformation of the dual form within a declension. Thus we have masc. nom. ‘ambo’, duo; gen. ‘amborum’, duorum; dative-ablative ‘ambobus’, duobus; and acc. ambos/ambo, duos/duo. Lat. masc. ‘ambo’. The inflection of ‘ambo’ and ‘duo’ keeps the original dual ending in the nominative. It does not show the dual ending in the other four cases – where it adops the regular PLURAL ending. Here we have a case of an ADAPTATION (SUBSTITUTION_of the dual inflection by the plural inflection. Traces of the dual number in Latin are restricted to ‘ambo’, ‘both’, and the numerals (‘duo, octo, viginti) – while some have traced other dual forms in declesions – Danielsson). The question of a dual form, e. g. ‘Pomplio,’ (Lat. Pompilio, nom. du. ‘two of the Pompilius family’), attested in epigraph CIL I 30: M. C. POMPLIO NO. F. DEDRON HERCOLE = ‘Marcus and Gaius Pompilius, the sons of Novious, gave (this) to Hercules.’ The interpretation of the form POMPLIO as dual may be implicatural rather than semantic. The form POMPLIO need not be a dual form  -- it may be just the nominative singular with the final s by custom omitted when there is a formal agreement with the second prae-nomen, though belonging to both. Dual endings in the Indo-European languages. In proto-Indo-European hl forms the basic dual ending, which may have a strong form (ehl or hle) in animate nouns. It is assumed that the numeral ‘two’ has the form ‘duwo-ehl’ (literally, ‘two persons, or animals’), which later develops into the masculine form. IE ‘duwo, m. Latin for some time kept the dual ending -e (PIE ejl). The loss of the dual causes the proto-Latin forms ending in -e (once dual forms) to generate a separate group: a fifth declension. From a variant dual ending -e, the -e- would have to have formed in the oblique cases. The genitive dual ending in Indo-European is -es (PIE ejls gen. du). Both a dual inflection with -e (gen. du. -es) and -e (gen. du. -es) would have ensured the stabilization of the feature -e- after the loss of the dual number in the Italic languages. The cause of the loss of the dual number in Latin. Most probably, the loss of the dual as a separate CATEGORY takes place within the a- stem and the -o- stem declensions. In the nominal paradigm, a specifically Latin innovation causes a change in the infection system. This innovation is the loss of the old plural ending -os, which are well attested in the other Italic languages, along with the adaptation of the enings of the PRO-nominal system -oi -- whence Latin ‘-i.’ – cf. nom. sg. m. -os > -us. Nom. du. M. -o (ambo, octo, duo). The PLURALISATION of the dual in the -o- stem declension  happens largely without a problem – providing you keep a Griceian ‘eye’ – Cf. ‘pater,’ father. nom. sg. m. pater; nom. du. m. ‘patere’. nom. pl. m. ‘pateres’. As Austin pointed out to me, the loss of the dual in the Indo-European languages suchas Latin did not happen solely via the good old pluralisattion of the dual form, but also by way of a ‘singularisation’: i. e. the dual inflection is re-fomed into the SINGULAR inflection. This way of the elimination of the dual number is very much attested in Latin, in all the forms ending in -ies, for example. Then we have the dual forms of the Lat. viginti type. The Latin cardinal number ‘viginti,’ ‘twenty,’ is a remnant of the dual number. ‘Viginti’ represents the IE archetype wiknti nom. acc. du. ‘twenty’, from PIE dwihl-dknt-ihl, literally, ‘two tens’. Since, unlike ‘duo,’ it represents a numeral higher than 4 – and all Latin numerals from ‘quattuor’ up to ‘mille’ did not decline --, ‘viginti’ simply keeps the shape of the nominative dual. Some dual forms with no singular form underwent a singularization (or sometimes a collectivization). As a result of such an adaptation, the dual is re-constructed morphologically, and re-interpreted pragmatically via implicature. This singularization (but sometimes collectivization) of a dual form creates the need to establish a declension. The literally DUAL character of some Latin expressions ending in -ies may be explained through a detailed pragmatic calculation. Nome compiuto: Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: il fra, relazionalismo, internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita, reciprocita. Ambidue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dondi: la ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale -- l’astrario – iter romanorum – colonna giulia – la colonna del circo neroniano di Buschetto -- petrarca – scuola di Chioggia – filosofia chioggese – fiolosofia veneziana -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Chioggia). Filosofo chioggese. Filosofo veneziano. Filosofo Veneto. Chioggia, Venezia, Veneto. Grice: I like Dondi and I like a watch chain!. Figlio di Jacopo, studia FILOSOFIA a Padova. Insegna a Padova. Si trasfere a Pavia. Dopo un periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia. Scrittore di rime, amico e corrispondente di PETRARCA (si veda),  anche tra i pionieri dell'archeologia. In occasione di un viaggio a ROMA, descrive e misura monumenti classici, copia iscrizioni e trascriv i dati rilevati nel suo Iter Romanorum. La sua fama  legata soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove,  conservato, nel castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca. L'astrario  un orologio astronomico che mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del sole e della luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla latitudine di Padova, la lettera domenicale che determina la successione dei giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di D.  andato distrutto, ma  ben conosciuto perch il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione nel saggio Astrarium, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario riproduce i moti del sole, della luna e dei cinque pianeti. Esso indica anche la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del tempo esso, oltre all'ora, indica (forse per la prima volta tra glorologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di astrologia nella biblioteca di D. fa sospettare che la progettazione sia stata influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si pu tuttora ammirare sulla torre dell'orologio, Padova, in piazza dei signori,  una copia non dell'astrario di D., ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo la tradizione  stato D. ad introdurre a Padova la gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realt, il giornalista padovano Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi  documentazione alcuna che attesti che D. ha mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui  dedicata una delle statue che adornano il prato della valle a Padova. Il circolo numismatico patavino gli ha dedicato una medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Facchin. Ai D.  dedicata la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreiig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts di Enzensberger. Altre opere: Rime, Daniele, Neri Pozza, Vicenza; Astrarium, E. Poulle, CISST; Opera omnia D., corpus pubblicato sotto la direzione di Poulle. Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni. Musei civici pavia. Albini, L'astrario di D., su Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia D. Di Holzer. Albini, Machina Mundi. L'orologio astronomico di D., Create Space, Astrario, Gabriele D. Universit degli studi di Padova. Dizionario biografico deglitaliani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker. Replica in scala , su pendoleria. com. (Di Cjiovauui Odo ndi alf'Otcfcgto, TTtedico eli Padova, e Dei uiouumeutv antichi da fui animati a ctonia, e di afcuui ceitti inediti def medesimo. rt A FILIPPO SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E PROFESSORE DI archeologia bella criverbit. JL u non ignori certamente, o amatissimo Schiassi, cum io faccia di le gran cubitale per la somma erudi-zione archeologica che possedi, e per la forbitezza dello scrivere latino, nella quale con pochi vai distinto ; e come poi io non sia ad alcuno secondo nell'osservanza ed amore verso di te per le doti singolari dell'animo tuo. In verit io ho sempre desiderato mi fosse prta occasione di farti noto pubicamente questo mio volere; ma quella mi fall maisempre, o, a meglio dire, non ebbi mai ardimento di abbracciarla, parendomi da non doversi indirizzare a te cose che non fossero parlo d'in- gegni maturi, fra' quali per fermo non  da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni m'inducono ora a prendere contrario divisamento. Il perch, in arra di rispetto e di benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera intorno a D., e publicarla intitolata al tuo nome ; indotto anche da ci, che in essa circa lobelisco vaticano, della cui traslazione tu di fresco con scienza e perizia ne hai scritto ho io allegate alcune cose, dalle quali appare essere ora per la prima volta manifesto come il medesimo nel medio-evo sia stato atterrato, e non guari appresso di bel nuovo ristabilito, non altri- menti come sono di comune consentimento i pi accreditati scrittori delle cose passale: de quali in ispezialit qual sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io intanto a te sottometto di tallo cuore e senza cerimonie la mia opinione, qualunque ella siasi: ritieni poi, che con animo a tc per intiero affezionatissimo mi dispongo a ci fare. V enezia v>die PETRARCA (si veda) abbia scritto di D. suo amico non meno con verit die con magnificenza, essere egli stalo d'ingegno s sublime e potente, che ito sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo avesse lo studio della Medicina,Jo capiranno coloro specialmente, i quali siano a giorno come il medesimo siasi reso distintamente celebre nelle scienze mediche, FILOSOFICHE ed astronomiche; c, di pi, conoscano come in altre discipline, a dir vero non comuni, fosse egli oltre l usato erudito. Peritissimo ancora in scienza morale, nella cognizione dei monumenti antichi, e nel linguaggio delle Muse italiane : le quali cose, come disse Celso in altra occasione, quantunque non costituiscano il Medico, tuttavolta lo rendono pi atto alla Medicina, e fanno s che abbia a primeggiare fra i dotti del suo tempo. Ed in vero, che non si possa lare un pieno uso della Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo, se quelle dellanimo del pari non si curino,  chiaro di gi abbastanza per concorde dottrina degli antichi e recenti filosofi, suffragata dalla sperienza. Intorno a ci sono manifesti i sentimenti del LIZIO, d Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco Lettera III. a Sancse data in luce a Venezia. ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo slesso argomento ci hanno lasciato in appresso uomini sa- pientissimi. Che poi da unaccurata osservazione deglantichi monumenti, e dalla lettura delle iscrizioni ne vengano singolari ajuti onde conoscere pi diffusamente l arte medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti in quella, cio di MERCURIALE (si veda) intorno alla GINNASTICA, il quale tratta anche del sito pi salubre alla costruzione delle fabbriche e circa gli strumenti chirurgici; di Sicco e di Baccio intorno ai bagni termali; di Bartolini sopra lantico puerperio: ai quali libri se ne potrebbero facilmente aggiungere altri di tal fetta, cio di Bellonio, Gioberti, Cagnato, Reinesio, Rodio, Patino, Sponio, Triller, Ilundertmarki, Cocchi, e altri; cosicch niuno deve maravigliarsi del progetto di Bartolini nel comporre lopera intitolata Antichit necessarie ad un medico, del cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme, lo stesso autore ne diede breve compendio in una Dissertazione stampata in Hafnia sopra lincendio della biblioteca. Le moltissime sue lodi, scritte in prosa ed in verso, ci fanno ampia testimonianza che lo studio della poesia giova a meraviglia per fecondare e ricreare l ingegno, per aggiungere fregio alla lingua ed allo stile, e per fare acquisto di altre doti richieste ad un uomo di lettere; n vi sar al certo chi ignori che i Medici versati nella medesima n andrebbero stimati da pi che gli altri, e si leggerebbero con pi di di- letto le Opere loro. Noi conosciamo ancora che gli stessi scrittori dellarte medica, distinti fra gli antichi, Ippocrate ed Areteo, succhiarono da Omero il loro bello; il primo de quali fu detto dEroziano uomo omerico quanto allo stile (Glossar . Hippocr. Praef., edit. Lips.); e Triller fa vedere che al secondo giov dassai la lettura dello stesso autore (Opuscula medico-philologica): il che chiaro apparisce parimente di Galeno e di altri. Eccellente si  la cura posta da Bartolini nel trattare che fece di questo argomento nella Dissertazione intorno ai Medici-poeti, publicata in Hafnia; ed ora se ne potrebbe formare un soggetto con assai pi di splendore. Sono poi da tenersi in gran conto quelle cose che furono scritte da Fracastoro, uomo grande nell una e nell altra facolt, ad Amalteo, medico non meno che poeta celebre del suo tempo; cio andare di gran lunga errati coloro i quali avessero per niente la poesia, e la stimassero cosa incompatibile colla Medicina: che anzi dichiara apertamente con Andrea Navagerio, essere inetti a toccare il fondo di ogni scienza, o a gustare appieno le bellezze di qualsiasi arte meccanica, coloro i quali andassero privi e mancanti di vena poetica (Fracast. Opera edita Corniti). D. per coltivare l animo in questi studj, indotto dall esempio ed intrinsichezza del Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l apogo della gloria, consegn allo scritto monumenti non dubj di questo studio, commettendoli ai posteri; ma quelli inediti, ed appena conosciuti in un codice cartaceo di quella et, posseduto un tempo dallo stesso autore, tocc per avventura a me solo di vederli presso Papafava, figlio dAlbertino, fregiato della primaria nobilt fra i Padovani e Patrizio Veneto, il quale mi onorava di singolare cortesia; nel qual codice io stesso ho letti gli scritti inediti del Dondi senzaltro giudizio od altro ordine, da quello in fuori con cui qui li riporto. Vi sono nel codice Lettere intorno a diversi argomenti, scritte dal Dondi a varie persone ; cio: A PETRARCA (si veda). Si protesta tornargli a grande vantaggio 1amicizia di lui, per arricchirsi a perfezione della morale filosofia ; il che osserva essere assai conforme all insegnamento di Seneca nella Lettera  Lettera a Lucilio di quell eccellente e tutto nerbo  Anneo, maestro mio e tuo, e di tutti i buoni amici in generale. A Gasparo, che lo dimanda di quelle cose che Seneca scrive nella settima Lettera a Lucilio sopra gli spettacoli dei Romani, gli d spiegazione abbastanza chiara, come portavano quei tempi s riguardo alla materia, come pur anco alle parole; vi adoper eziandio dellarte critica a motivo delle scorrezioni del testo, per colpa in gran parte della ignoranza degli amanuensi, e dellaudacia di coloro che vi posero mano alla emendazione. A Mazio di Verona, fisico egregio. A Petrarca (Padova) Una lunga Lettera circa il metodo di vita da seguirsi dal Petrarca, la quale i precettori del Seminario di Padova avendo ricevuta da me, che la trascrissi dal codice soprallegato, non dal Marciano, come porta ledizione, aggiuntane unaltra del Pe- trarca al Dondi, fu da loro data alle stampe. A Lombardo Serico, cittadino padovano. Al frate Guglielmo da Cremona, teologo. Fa vedere gl ingegni degli antichi di gran lunga supe- riori ai moderni s in fatto di lettere, come ne fa chiara testimonianza PETRARCA (si veda), non meno che riguardo alle opere famose delle arti pi belle, collesempio alle mani di un insigne scultore soprafatto di ammirazione alla vista di monumenti antichi. A Leniaco, cittadino veronese. A Cremona, maestro nelle arti liberali. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed egregio. A Caselle, cittadino padovano. Aromatario. A Paganino da Sala, Dottore in legge e uomo di milizia. Con queste si congratula della dignit di Cavallicre conferita di fresco a Paganino; cos per altro, che ne fa di molto pi stima dellonore ottenuto dallalloro in Diritto civile, dal quale egli traeva di gi vantaggio e lode. A Nicol Alessi, Protonotario e Vice-Cancelliere del Signore di Padova. Ad Andreolo Arisio Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza che v  nelle biblioteche di Francia dei libri specialmente di Filosofa morale, di cui era tenuto a giorno per lettere di Arisio cola dimorante. Al frate Guglielmo, Vescovo di Pavia. Ad Albertino Salso, precettore di Fisica. AdAngarano di Vicenza. Data in luce in uno all Opera del Pondi intorno alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro Giacomo Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni, stampati a Venezia Panno Ai Professori direttori di Medicina e delle Arti nello Studio di Padova. Fa loro avere un libro da lui composto, del quale d contezza con queste parole:  Ricevete un Trattatello che vi dar per  ispiegato P ordine oscuro di Galeno nella distinzione  delle disposizioni dei corpi umani, il quale ei ristrinse con brevit nel libro di Microtegno, asse- n gnandovene le reali differenze fra quelle, tranne  poche che vollero accennare sin qua di volo altri  espositori, ma in molte colle relative differenze. Al maestro Guidoni (di Bagnolo) in Venezia, nomo egregio, fornito di molto sapere e virt. Padova, Cappelli, cittadino cremonese. Intorno a Pasquino, Cancelliere di Galeazzo Visconti Principe di Milano, ne fece parola Pietro Lazerio nelle Miscellanee cavate dai libri manoscrilti nel Collegio Romano dei Gesuiti. Pasquino avea fatto richiesta delle Lettere scritte dal Dondi a diversi; e D. si argomenta a tuttuomo per dissuaderlo che quelle Lettere non erano tali che meritassero a pezza le sue dimande. Poscia scrive molle cose circa i rotti costumi degli uomini del suo tempo, degne alla scorza di un va- lente filosofo. Queste Lettere sono piene a ribocco di sentenze morali, siccome quelle che furono composte da un au- tore che metteva ogni cura nel leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche dilucidate le di lui Lettere a Lucilio, con annotazioni allegate circa alle medesime da Gasparino Barzizio nel suo Commentario, da me veduto scritto a mano. Di qual desiderio ardesse D, di vedere monumenti antichi, ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma, ad unico oggetto di venire in pieno conoscimento dellantico e nuovo stato della citt. Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla publica autorit confermata ; tuttavolta ho letto io stesso nel codice manoscritto, di cui feci menzione di sopra, le annotazioni dello stesso D. intorno ai principali monumenti dell antichit nel viaggio e nella dimora che fece a Roma, esaminati, credo io, da lui appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede cos dal principio :  Ilo riportato queste cose scritte in lettere quando fui reduce da Roma.  Non  prezzo dellopera il rescrivere qui le anno- tazioni del D., nelle quali vhanno anche difetti di scritturazione, potendosi avere alla mano scrittori famosi per molto sapere, i quali ci hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo pi li accuratezza e dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la quale versa circa l obelisco valicano, poi- ch mollo  stimala per singolare novit, facendoci vedere un distico da nessuno, per quanto io sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella poi suona cos. In Roma La colonna Giulia a quattro lati, che si eleva di costa a S. Pietro, ha di grossezza presso l estremit di mezzo, lunghesso ciascun lato, otto piedi all in- circa ; di altezza poi, secondo un buon calcolo, ascen- de a 00 piedi, ossia a dieci pertiche. Ma un prete ac- casalo l vicino afferm che un tale laveva misurata con uno strumento ad ombra, e la trov di braccia. Martino nella Cronaca dice che la sua lun- ghezza va a un dipresso a 120 piedi; ed Eutropio afferma la stessa cosa. Svetonio poi dice eh  di pie- tra di Numidia. E vi sono poi ne suoi due lati lettere incise di tal maniera: Divo Cnesari Divi Julii F Augusto Ti Cacsari Divi Augusti F Augusto Sacrimi. Intorno alle antichit romane sogliono premettere alcune cose pi memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei Pontefici e deglimperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi che trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente vengono loro attribuite. ir Al di sopra della mela di questa colonna Giulia vi sono scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae Appositi s manibus itane erexere columnam. Plinio {Hi storia Nat..), e Svetonio (nella Vita di Claudio) dimostrano apertamente che lin- signe obelisco sia stalo trasportato dallEgitto a Roma per comando di Cajo Caligola ; e in sguito, mes- sa a fondo da Claudio nella costruzione del porto di Ostia la nave su cui era stato trasportato, la pi me- ravigliosa di quante mai si fossero vedute solcar ma- ri, il medesimo sia stato collocalo nel circo di Ne- rone ; ned  da entrare in forse che il medesimo, fregiato di quella cospicua iscrizione ne due lati, non sia quello stesso che sempre fu tenuto per lobelisco vaticano. Di questo attestano tutti gli scrittori pi accreditati, che non sia mai stato mosso da dove per la prima volta fu inalzato, n in alcun tempo atter- rato, fino a tanto che, volendolo Sisto V. Pont. Massimo, trasportato dal luogo, dove pri- ma era posto, mediante un congegno di macchine maravigliose di Domenico Fontana del contado di Campo Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al giorno doggi si trova. Di tanto unanimemente ne stanno mallevadori in particolar modo Decembrio, Poggio Fiorentino, Vegio, Alberiino, Bargeo, Panvinio, Marliano, Pigafelta, Palladio, Gamuccio, Mercato, Nardinio, Kirhero, Fontana, Bellorio, Fontana, Bonanno, Bandinio, Milizia, Cancellieri, Winckelmanno, Fea, Zoega; lultimo dei quali, che ci da unopera perfettissima sopra gli obelischi, impressa a Roma, come a nome di tutti gli altri scrisse di quello con facondia. Questo dei romani obelischi il solo superstite alle rovine della citt, si tenne in piedi nel Circo vaticano fino a tanto che larchitetto Fontana, per comando di Sisto Pontefice Massimo, lo trasfer nella piazza di S. Pietro. Quindi non  da prestarsi credenza a Ciampinio, a Molineto, a Vitlorellio, a Ficoronio, a Marangonio, a Guattanio, e a pochi altri, i quali affermarono che il medesimo era di gi abbattuto e steso al suolo allorch si fece la sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V. Tuttavia, giudice e testimonio D., ora ci si para innanzi all impensata il distico da tempo scolpito sopra l obelisco, dal quale non fuori di propo- sito n  lecito far congettura eh esso avesse incontrata cogli altri la stessa sorte, e poscia nel medesimo sito, dove dapprima era posto, sia stato di bel nuovo inalzato ; ovvero, se non fu ritrovato intiera- mente abbattuto e steso a terra, fosse almeno cos piegato, che il suo inalzamcnto si avesse a tenere in conto non altrimenti che di fatto assai meraviglioso, e da tramandarsi con lode alla memoria dei posteri per mezzo d un monumento cospicuo cesellalo a Roma; al quale in sguito, come sar a vedersi dalle cose che qui sotto si diranno, se ne aggiunse un altro di simile a Pisa. Per verit, tostoch lesesi questo distico, ci ricorre alla memoria quel tetrastico sopra quella grandissima mole di marmo, tradotta per mare ed inalzata dalle mani di dieci fanciulle, per il sommo ingegno del chiarissimo architetto Buscheto; il quale tetrastico si vede scolpito nel medesimo tempo sopra il di lui sepolcro, che fronteggia il tempio maggiore di Pisa, e parla cos, Quod vix mille boum possent juga junctn movere, Et fuod, vix poluil per mare ferve ralis, Busketi iiisu, quod crat mirabile vini, Dena puellarum turba levabai onus. Del qual tetrastico, siccome  noto, furono fatte tante e cos scipite interpretazioni, che il fatto delle dieci fanciulle si spacci per una favola ; quasi che quelle parole non si potessero applicare all inalzamene della gran mole, portato a termine per opera di Buscheto con tale perfezione, che dieci donzelle colle sole loro mani sarebbero state da tanto a quellimpresa, e che a loro in certa guisa sembrasse do- versi attribuire la grande erezione. Pare che P opinione popolare abbia condotto in errore tutti coloro che di questo fatto hanno discorso per iscritto ; cio che il contenuto in quei quattro versi accennasse alle macchine costrutte da Buscheto nella fabbrica del tempio pisano ; perch il medesimo, ma in altri versi, vi si leggeva in lode di Buscheto sulla facciata di quel tempio. Per quanto poi si sa, nessuno avrebbe sospettato se sia da intendersi lo stesso intorno al lavoro eseguito in Roma. Se non che quelli che giudicano imparzialmente defatti, e sono di parere che P obelisco nel medio-evo sia stato atterralo, e poco dopo novamente inalzato da Buschelo, sembra ci possano fare senza taccia di errore, se specialmente considerino che tutti quegli aggiunti, rappresentati ab antico colle stesse parole intorno al trasporto dell obelisco sopra una nave duna meravigliosa grandezza, e la maniera stessa adoperata nel suo secondo inalzamento, acqui- stano insieme chiarezza e fede ; altrimenti non veggo quello che se ne possa dire di vero e di ragionevole su questo fatto. Che lobelisco sia stato fermo in piedi presso la Cappella della Basilica Vaticana, nel qual luogo sino dal principio era stato posto,  chiaro dalla Bolla di Leone, per Li quale viene confermato il fondo ai Canonici della Basilica medesima, nel cui terzo lato (disse) corre un'altra via dall'aguglia che si nomina sepolcro di GIULIO (si veda) Cesare; colla qual denominazione sol- tanto apparisce sia stato in uso nel medio-evo d indi- carsi questo monumento (Collezione delle Bolle della Basilica Vaticana di Roma. Tennero dietro quei lagrimevoli tempi, nequali per la discordia di Enrico e Gregorio, che tra loro si combattevano, tocc a Roma di patire moltissime calamit, nonch assedj, incendj, smantel- lamenti e distruzioni di fabbriche anche in quella parte che si chiamava Citt Leonina, in cui stava lobelisco: le quali cose tulle noi leggiamo testimo- niate publicanienle da scrittori di quellet, c di gi scritte da storici accurati d Italia di tempo posterio- re nei loro divulgati lavori, senza che mai ne accada per avventura di vedere da essi fatta alcuna menzione dell obelisco ; onde sorge qualche probabilit, che ad esso pure sia toccata in quel tempo la medesima disgrazia dessere rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di osservare, che niuno di quelli dequali abbiamo gli scritti circa le antichit di Roma, o di quelli de quali abbiamo le collezioni da gran tempo date in luce delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cenno del distico intorno a Buscheto; non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che sappiamo aver egli stu- diosamente esaminato gli antichi monumenti, e dellobelisco aver fatto parola soltanto secondo la voce del popolo ( Epislol familiares, edit. Genev.). Noi pertanto andiamo debitori al Dondi, siccome a quello che forse primo di tutti ci diede una giusta conoscenza del tetrastico pisano, e la notizia della mole insigne ultimamente alzata in Roma, la quale  di moltissimo vantaggio per far conoscere la storia delle arti meccaniche del medio- evo in Italia : soggetto di un voluminoso ed utilissimo scritto. Un silenzio cos durevole ed universale non pu essere di certo a molti senza ammirazione ; ma ove essi considerino che l obelisco di bel nuovo inalzato era stato a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il giro di quasi tre secoli avanti D,, e che mostrava quel distico a lettere sfuggevoli, sebbene ab antico scolpite, difficili alla lettura per la sconvenienza del sito, talch siasi preso Buzeta per Buscheto ; e che finalmente nel secolo XV. le medesime erano del tutto scomparse, non avranno pi luogo s fatte meraviglie. Senza dubio Decembrio Opera ripiena di scelta erudizione e poco conosciuta, scritta circa la met di quel tempo, intitolata hibri selle di polizia letteraria, c data ai tipi in Augusta, ce lo rappresenta tanto ridotto a mal termine, che non dee fare stupore sia esso sfuggito acuriosi indagatori degli antichi monumenti, ed abbia indottoVeronese a parlare in tal foggia. Quel lato eh  posto a Mez-  zogiorno viene corroso ogni d pi dai continui vapori dell Austro e dalle procelle ; e i geometri e glarchitetti tutti del nostro tempo ne trovarono tanto di logoro, che ritengono sia scemato da imo a sommo quasi duecento libre. E il Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio intorno la zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso la prima volta a Venezia con altre sue Operette, mette in bocca a Barbaro Ermolao questi delti. Appena si pu descrivere a parole la grave colpa  che hanno i Romani per quell obelisco vaticano, i quali, quasi invidiando che sopravivesse una qualche opera alla nostra et, cui lunghezza di anni o  durata di tempo non valesse a distruggere, adoperarono s che fosse quasi tolto alla publica vista per  mezzo di ammonticchiati rottami e murate easupole. Ma che D. si abbia procurato colle osservazioni sulle romane antichit cognizioni per dare a buon diritto lodi secondo le azioni, n  prova la Letlera diciottesima a Paganino Sala, decoralo poco in- nanzi della dignit di Cavalliere : nella quale difende che la scienza delle leggi  da tenersi in maggiore estimazione che larte militare, scrivendo:  Che il senato e il popolo romano avessero operato secondo questo parere di CICERONE, lo attestano alcune facciate, le quali sino al giorno d oggi si conservano nella citt scolpite in marmo, alcune delle quali, ) n m inganna la mia memoria, ho lette io stesso,  dove vengono anteposti in ordine di scrittura gluomini famosi in pace per consiglio a quelli che travagliarono nella guerra. A piedi della rupcTarpa si conserva uno splendido arco trionfale di  marmo, che tiene inscritti due grandi uomini, vale  a dire Lucio Settimio e Marco Aurelio, sopra cui  dopo una lunga serie si offrono a lettera alcune  cose in proposito, le quali, tienle a mente, sono  queste: Ob rem publicam restitulam itnperiuinque  populi romani propagatimi insignibus virlutibus eorum domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse  consolidato per senno alla conquista dellimperio,  e i grandi in pace a grandi in guerra, quantunque  senza dubio l una e l altra sia cosa gloriosa. Cos  il titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto civile, colla quale si amministrano bene in pace i  publici affari, si giudica doversi anteporre al titolo  di Condoiliere d'eserciti, colle armi de' quali si gover- ni nano le cose al di fuori.  Posciach D. ebbe osservate le rovine della romana antichit, nella Let- tera duodecima al frate Guglielmo da Cremona ne scriveva in tal modo, Quantunque poche ne sieno rimaste delle opere degli antichi ingegni, pure se alcune qua e l se ne conservano, vengono ricerca-  te, esaminate, e tenute in gran pregio dagli appassionati in tal genere; e se vorrai mettere a para-  gone queste dei giorni nostri con quelle, ti sar  chiaro come gli autori di quelle sieno stati pi avvantaggiati dalla natura e dall ingegno, e pi dotti  nel magistero dellarte. Parlo di edifizj antichi, di  statue, di sculture, e daltre cose di simil fatta, alcune delle quali, con diligenza osservate dagli artelici di questa et, li fanno dare nelle meraviglie. Nella qual Lettera stessa, dopo di avere trattato dif- fusamente sulla eccellenza degli antichi, aggiunse anche le seguenti cose, spettanti allo studio degli anti- clii monumenti. Io avrei credulo che tu ti avessi occupato con piacere a leggere di quando in quando scritti di tale specie, o almeno alcuni dei principali tra essi, ed in quelli ne avessi considerato in > molte parti, non senza stupore, i costumi e le azioni dei tempi andati: perch se vorrai con giustizia  raffrontare quelli con questi che di presente conosciamo, sarai costretto a confessare che la giustizia, il valore, la temperanza e la prudenza hanno avuto  certamente un seggio luminoso nei loro animi, e  dall impulso di quelle virt si hanno procacciato  alcun che di magnifico a gran lunga superiore alle  pi larghe mercedi. Del resto, prova di ci sono  quelle cose che, ordinate una volta per onorare  gloriose intraprese, durano ancora nella citt di Roma. Conciossiach sebbene molle e delle pi preziose ne abbia mandalo a male il tempo, e di alcune  sieno mostrate soltanto le rovine, che ci presen- ti tano alcune tracce di ci che per lo innanzi erano; tuttavia quelle poche e a meraviglia stupende che ne restano, sono pi che bastanti onde fare testimonianza che coloro i quali le decretarono, non poteano essere che dotati di somma virt, e che coloro aquali venivano dedicate ad eterna ed onorevole ricordanza doveano avere operato gesta magnanime e strepitose. Voglio dire statue che, fuse in bronzo o scolpite in marmo, durarono fino al giorno d oggi ; e mollissimi pezzi sflagellati a torli ra, ed archi trionfali di pietra di gran lavoro, e co- li lonne storiate di memorabili imprese, ed altre cose moltissime di tal genere, messe alla vista di tutti onde onorare personaggi illustri o per avere stalibilita la pace, o scampata la patria da sovrastante  pericolo, o disteso il dominio sulle vinte nazioni. E siccome mi sovviene eli io vi leggeva con molto mio compiacimento, cos voglio sperare che tu pul re, passandovi sopra qualche fiala, le avrai considerale, e fatto sovresse alcun segno di meraviglia, ed avrai detto per avventura teco stesso: Queste per fermo sono prova d uomini grandi. Resta che a fornire lelogio di D. io lo dimostri anche amante dello studio poetico, onde sia manifesto com egli abbia occupato un luogo cospicuo fra i Medici del suo tempo. Anche i meno esperti di tali cose sapranno che delle sue composizioni italiane una sola ne fu data alle stampe, indirizzata a PETRARCA (si veda), la quale con altre dello stesso autore suolsi vedere congiunta, e ne fu fatta memoria nel Dizionario degli Academici Fiorentini della Crusca. Ma nel codice manoscritto, di cui sul principio ho fatta menzione, se ne leggono quaranta del genere di quelle che con vulgare vocabolo  invalso chiamare Sonetti. Queste trattano di varj argomenti, e specialmente dell amore alla virt, della malvagit dei costumi del suo tempo, della lode e del biasimo di alcuni Principi allora regnanti, di citt vedute nel suo viaggio per Roma, di risposte ad amici; e di amorose assai poche, ben diversamente da quello che portail suo secolo. Le poesie volgari du D. furono scritte a PETRARCA (si veda), e a quelli amatori delle Muse che a lui erano legati in istrelta amicizia ; cio a Broaspitia veronese, a Vanozzi, a Melchiore e Benedetto parimente veronesi, a Pace padovano, al frate Guglielmo da Cremona, a Giovanni di Venezia suo condiscepolo, a Campo, e Castellione Aretino. D. visitando la tomba del Petrarca in Arqu scrisse forse il primo di tutti su tale argomento una composizione, imitato poscia da uomini dotti dogni nazione e d ogni tempo ; cosicch coll andare degli anni io ho raccolto versi in gran copia sopra questo soggetto, i quali potrebbero uscire in luce con generale approvazione. La poesia usata da D, non  sempre sciolta e facile; tuttavia  fornita di gravit e di eleganza: gli piaque di framischiare sovente versi latini ai volgari, come sappiamo su IP esempio degli antichi poeti es- sersi usalo fare da alcuni moderai con vano sforzo. Nella sua giovinezza atlendeva con piacere a verseggiare, come scrive a Guglielmo da Cremona: Gi nella vaga elade de primanni Mi piaque udir e dir talvolta in rima, Bench con grosso stile e rude lima: Poi che lalma vestir di miglior panni Mi piaque pi, perchio conobbi i danni Dei persi di, lasciai la via di prima. Prendendo quel che piu prezzo si stima Con maggior cura e studiosi affanni. I codici scritti a penna assai di rado ci offrono versi di D., ed io ne ho veduti se non pochissimi in due soltanto: uno de quali trovasi nella Biblioteca del Seminario di Padova, un tempo posseduto dal Facciolati ; l altro squarcialo, e mal difeso dalle in- giurie dei tempi, fu da me rinvenuto poco fa nellul- tima stanza della Basilica di S. Marco in Venezia, e portato nella Biblioteca regia : il perch non dee parere fuori di ragione eli io ponga qui appiedi di que- sta Lettera, come per saggio, sei componimenti volgari di esso Dondi. Da tutto il fin qui detto risulta, che presso i giusti estimatori deglingegni il Dondi and fornito di tanta e s svariata dottrina, che vha onde tenerlo del tutto eccellente fra i pochi periti in Medicina del suo secolo, e che perci non ho gettato inutilmente il tempo e la fatica nel farlo riconoscere per tale. Venezia, Sel veder torto del vostro Giovanni Mira la region terrestre ed ima. La gente ricercando in ogni clima, Ebrei, LATINI, Greci ed Alemanni, Regni comuni, e sudditi atiranni; Al mal son pronti, e per quel si sublima, Spenta  virt, e la fortuna opima Col vizio sta su gloriosi scanni. Ito  il tempo che fu col buon Augusto, Rari son quei che per virt guadagna; Astuzia e frodo regna con bugia. A cui dunque direm del calle angusto, Per qual si va con la virt compagna? Degno  del mal cos lagnarsi pria. Oli puzza abbominabil di costumi! Oli maledetti d di nostra etade! Oli gente umana senza umanitade! Pi che senza splendor oscuri fumi! Convien che l mondo in breve si consumi. Poich giustizia ed innocenza cade; E sol quellarte e studio par che aggrade. Per qual lun laltro offenda, inganni e schiumi. Qual cieli infortunati, qual figure. Qual mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben or s disperso? Quanto beate fur pi le nature Nellimperio d Augusto, quando ingegni, Virtute e pace ebbe lUniverso! Cantra insolenliam Fenetorum inferentium guarani Amino Paduae. Se la gran Babilonia fu superba, Troja, Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si vede, e quell altre si noma. Ma dove sletler pria stan selve ed erba; E se altra possa fu mai tanto acerba A metter sopra altrui gravosa soma. Tutte san gi quantogni orgoglio doma Al fin colei clic a s vendetta serba. Per qualunque  maggior signoria Dovrebbe rifrenar con pi misura Fraterna di giustizia sua potenza; Di aver con suoi minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e dura, E temer sopra s dal Ciel sentenza. Cum visitasset sejiulchrum Domini Fraudici PelrarcUae in A rquada. Ilei sommo cielo con eterna vita Gode P alma felice tua, PETRARCA; Quindi di sodo sasso in nobil arca La terrena caduca parte uscita. La fama del tuo nome gi gradita Sonando va con gloriosa BARCA  la barca di PETRARCA --, Di vera lode e dogni pregio carca, Per lUniverso in ogni canto udita. Nelle scritte sentenze tue si vede La gentilezza dellingegno divo, E qual sii stato in cattolica fede. For chi anco tama non  privo Ancor di te; c chi morto li crede Erra, chor vivi e sempre sarai vivo. Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo Joanni de Fenetiis studenti in Medicina, qui tcripseral eidem quondam tmlgares rhythmos. Le tue parole mi par belle tanto, E s bene ordinate tutte quante. Qual se dette le avesse o Guido o DANTE ALIGHIERI (si veda), Ovvero esaminate in ogni canto. Per quando fra me mi penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da color che tu imiti, buon rimante, E che han vestito di quellarte il manto. Ondio ti prego che scrivi talvolta, S che svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto dalla turba stolta. Onor ti render, che sei ben degno. Pi chel fanciul al maestro chascolta. Guardando a te col balestriere <0 al segno. Cos il codice. Dica contra chi vuol: il saper vale Pi che il folle ardimento, cd ogni schiera Produrr a torto quantunque sua fiera: Per ragion giusta, dee terminar male. E chi per van conforto daltrui sale Oltra quel che convien a sua maniera. Degno  che non governi ben bandiera, N ben cavalchi alcun sotto sue ale. Adunque imprenda pria quei che non sanno, E non ardisca saltar di leggieri; Contra salza a baldezza di vesciche. Ch chi  corrente ha pi volle le fiche, E scaccomato in mezzo il tavolieri, S chei riporta la vergogna e l danno..tK*rCP odiatene di oti 300 esemplati. BUSCHETO di Isa Belli Barsali - Dizionario Biografico degli Italiani - Pubblicit BUSCHETO (Busketus, Buschetto, Boschetto). - Si ignorano l'origine e gli estremi biografici di questo architetto attivo a Pisa tra il terzo venticinquennio del sec. XI e i primi del XII. Compare in due soli documenti certi (pubblicati dal Pecchiai), e come operarius di S. Maria.  l'ideatore del progetto della cattedrale pisana e come tale infatti  ricordato ed esaltato, nel paragone con Ulisse e con Dedalo, nell'iscrizione che si legge sulla sua tomba collocata nella prima arcata a sinistra della attuale facciata (trasferitavi da quella primitiva): "Non habet exemplum niveo de marmore templum. Quod fit Busketi prorsus ab ingenio. Una pi tarda iscrizione elogiativa aggiunta sul sarcofago in occasione del trasferimento della tomba dalla vecchia alla nuova facciata (al tempo cio dell'architetto di quest'ultima, Rainaldo) esalta del B. soprattutto le capacit tecniche: "Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere / Et quod vix potuit per mare ferre ratis / Busketi nisu quod erat mirabile visu Dena puellarum turba levabat onus. Accenti assai simili aveva un'epigrafe romana, ora scomparsa, trascritta da G. Dondi, che celebrava un "Buzeta" per aver nuovamente eretto l'obelisco nel circo neroniano: "Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae / appositis manibus hanc erexere columnam". Questa somiglianza di tono nelle due epigrafi, pisana e romana, indusse il Morelli a proporre l'identificazione di "Buzeta" con Buscheto. Non risulta certo che sia da identificare con il B. che compare in due atti della canonica del duomo di Pistoia (L. Chiappelli, Storia di Pistoia..., Pistoia). Per altre ipotesi (B. del fu Giovanni giudice dei signori di Ripafratta, Monini), basate su documenti presunti o per documenti (Pecchiai) poinon rintracciati, si veda Scalia. I lavori della cattedrale pisana, iniziati nel 1063 al tempo del vescovo Guido da Pavia, proseguirono, sostenuti da donazioni, tra cui quelle di Enrico IV e della contessa Matilde. Gelasio consacra la cattedrale, forse non ancora del tutto compiuta. Dopo questa data, l'edificio venne ampliato con il prolungamento a ovest del corpo longitudinale della chiesa, di circa quindici metri, che port di conseguenza alla costruzione dell'attuale facciata (per il Sanpaoles. Per le fondazioni della prima facciata si veda Bacci). L'individuazione, ovviamente fondamentale, dell'attivit di B. nella parte pi antica del duomo, ha avuto un lungo iter critico. Alla luce degli studi recenti  da credere che il B. progettasse e iniziasse la costruzione in et ancor giovane, proseguendone poi la fabbrica fino al primo decennio del sec. XII. Molte ipotesi sono state avanzate sui tempi e i modi della fabbrica del duomo durante la direzione di Buscheto (Dehio-von Bezold; Salmi, 1938;Sanpaolesi). Una documentazione indiretta aiuta solo parzialmente. Accettando l'ipotesi del Burger, che l'epigrafe con data 1085 murata sulla porta della pieve nuova di S. Maria del Giudice (Lucca) vada riferita al completamento dell'abside di questa chiesa - anteriore stilisticamente alla sua facciata - il1085verrebbe ad essere anno ante quem per il completamento di una parte dei lavori al duomo pisano attribuibili a B., dato il rapporto esistente tra il duomo di Pisa e l'abside della pieve nuova di S. Maria del Giudice: la chiesa del contado lucchese sarebbe anche il pi antico edificio derivato dalla cattedrale pisana. I forti pilastri interni all'incrocio del transetto delineano le dimensioni della cupola e autorizzano a ritenere che B. progettasse anche questa parte (Sanpaolesi), anche se poi  possibile che i lavori si protraessero. La cupola originaria - poggiante su un tamburo con monofore ad archetto e su trombe coniche venute in luce durante i restauri del secondo dopoguerra - indica rapporti con l'architettura del Mediterraneo orientale e della Sicilia. Un problema aperto  quello della forma della facciata di B., forse gi compiuta nel 1118 quando fu consacrata la chiesa, certo gi esistente quando nella chiesa fu tenuto un concilio, e disfatta probabilmente dopo la costruzione della nuova. Ipotesi ricostruttive possono trovare appoggio nell'esame analitico e comparativo di alcune facciate di chiese pisane (S. Frediano di Pisa, la pieve di Calci gi aperta al culto, la pieve di Vicopisano) e lucchesi (le due pievi di S. Maria del Giudice), tutte in contatto con la cattedrale pisana. Queste facciate mostrano una ricorrente tipologia ad archi ciechi su due ordini, che si presenta in logico e armonioso rapporto con quella soluzione ad archi ciechi che compare nei fianchi del duomo di Pisa. Il linguaggio di B. non  certo riconducibile ad una tradizione locale, ed  estremamente colto. Accettando l'ipotesi di identificazione con il Buzeta dell'iscrizione romana, il soggiorno a Roma illuminerebbe sul sottofondo classico della sua cultura: l'impianto dell'edificio e i grandi colonnati basilicali, i capitelli foggiati ad imitazione dell'antico, la quasi completa assenza di decorazioni figurate rivelano infatti la conoscenza e lo studio delle opere romane;  significativo che anche il neoclassico Milizia ne notasse "le proporzioni del tutto non... spregevoli" e la sodezza. Nello stesso tempo B.  a conoscenza dell'architettura lombarda e dell'architettura orientale, dalla bizantina all'araba. Contatti e rapporti culturali sono d'altronde superati in una unitaria visione di grande respiro, che fa di B. uno dei massimi architetti. La cattedrale pisana  capostipite del romanico pisano. All'opera di B. e del suo continuatore Rainaldo si rifece non solo la generazione a loro pi vicina, ma una folta scuola, estesasi nella Lucchesia, nel territorio fiorentino, e nelle zone politicamente o commercialmente in rapporto con Pisa (in Sardegna e in Puglia), scuola che ne mantenne alcuni tratti essenziali, pur modificandosi nel tempo e nei diversi centri. Fonti e Bibl.: B. Maragone, Annales pisani, in Rerum Italic. Script., a cura di Gentile; Sardo, Cronaca pisana, a cura di Banti, Roma, D., ITER ROMANVM, in CODICE TOPOGRAFICO DELLA CITTA DI ROMA, cur. Valentini-G. Zucchetti, IV, Roma, Milizia, Mem. degli architetti antichi e moderni, Parma; Morrona, Pisa illustrata, Pisa, Morelli, Operette, Venezia; Grassi, Descriz. Stor.-artistica di Pisa, Pisa, Parte storica; Parte artistica; Fleury, Les monuments de Pise au Moyen Age, Paris, Rossi, Inscriptiones christianae Urbis Romae, I, Romae, Dehio-Bezold, Die kirchliche Baukunst des Abendlandes, I, Stuttgart, Monini, B. pisano, Pisa; P. Schubring, Pisa, Leipzig Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano; J. B. Supino, Arte pisana, Firenze, Pecchiai, L'opera della Primaziale pisana, Pisa, Papini, Pisa, I, Roma, La costr. del duomo di Pisa, in L'Arte, Bacci, Le fondaz. della facciata nel duomo di Pisa, in Il Marzocco, Tronci, Il duomo di Pisa, cur. Bacci, Pisa; M. Hauttmann, Die Kunst des frhen Mittelalters, Berlin, Salmi, L'architettura romanica in Toscana, Milano-Roma, Toesca, Il Medioevo, I, Torino, Guyer, Der Dom zu Pisa und das Rtsel seiner Entstehung, in Mnchner Jahrbuch der bildenden Kunst, Salmi, La genesi del duomo di Pisa, in Boll. d'arte, Thmmler, Die Baukunst in Italien, in Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, Ragghianti, Architettura lucchese e architettura pisana, in Critica d'arte, Burger, L'architettura romanica in Lucchesia e i suoi rapporti con Pisa, in Atti del Seminario di storia dell'arte, Pisa-Viareggio, Sanpaolesi, La facciata della cattedrale di Pisa, in Riv. dell'Ist. d'archeol. e storia dell'arte, Il restauro delle strutture della cupola della cattedrale di Pisa,in Boll. d'arte, Burger, Osservazioni sulla storia della costruzione del duomo di Pisa, in Critica d'arte; Barsotti, B. e Rainaldo, in Cattedrale di Pisa (catal. della mostra), Pisa, Delogu, Pistoia e la Sardegna nell'architettura romanica, in I Convegnointernaz. di storia e arte,Pistoia Scalia, Ancora intorno all'epigrafe sulla fondazione del duomo pisano, in A G. Ermini, Spoleto, Thieme-F. Becker, Knstlerlexikon, s.v. Busketus. Circo di Nerone Circo scomparso della Roma antica Circo di Nerone (o Vaticano) Sito archeologico Roma Nero Circus Ricostruzione del Circo di Nerone in un disegno di Pietro Santi Bartoli Civilt Civilt romana Utilizzo Circo Localizzazione Stato Citt del Vaticano Mappa di localizzazione Il circo di Nerone era un impianto per spettacoli dell'antica Roma lungo 540 metri e largo circa 100, che sorgeva nel luogo dove oggi si trova la basilica di San Pietro in Vaticano, in una valle che correva da dove si trova la parte sinistra della basilica fino quasi ad arrivare al Tevere. L'area dei Carceres, da dove partivano le bighe, era situata nel punto dal quale la Via del Sant'Uffizio lascia piazza Pio XI, mentre quella del lato curvo va rintracciata qualche decina di metri dopo l'abside della basilica di San Pietro. StoriaModifica L'opera, iniziata da Caligola e completata da Nerone, era stata costruita all'interno della villa di Agrippina Maggiore, villa che alla morte della madre di Caligola pass in eredit a Nerone. Nel circo privato dell'imperatore si tenevano corse di cavalli, bighe e quadrighe, molto popolari a Roma, tanto che in alcune occasioni l'imperatore, che normalmente vi assisteva solo con la sua corte, fece aprire le porte del circo al popolo romano.  probabile che l'impianto non dovesse contenere pi di 20.000 spettatori. Qui ebbero luogo, forse per la vicinanza all'adiacente necropoli, alcune esecuzioni dei cristiani giudicati colpevoli di aver causato il grande incendio di Roma. Nerone, secondo Tacito, aggiunse lo scherno al supplizio. Come avvolgere gli uomini con pelli di animali perch fossero dilaniate dai cani, o inchiodarli alle croci, o destinarli al rogo come fiaccole, che illuminassero l'oscurit al termine del giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo, e vi aveva organizzato giochi circensi, mescolandosi alla folla in abito d'auriga o guidando un carro da corsa. In tal modo si aveva piet di quei condannati, bench colpevoli e meritevoli del supplizio, perch venivano sacrificati non per l'utilit pubblica ma per la crudelt di uno solo.[1] Il circo fu abbandonato gi verso la met del II secolo d.C. e l'area fu suddivisa e assegnata in concessione ai privati per la costruzione di tombe appartenenti alla necropoli. Tuttavia pare che fino al 1450 ne sopravvivessero ancora molti resti, distrutti con la costruzione della nuova basilica vaticana. L'obelisco, che era posto al centro della spina del circo, era stato per volere di Caligola trasportato fin qui da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii. Qui rimase fino a che papa Sisto V lo fece spostare al centro di Piazza San Pietro. L'area dove sorgeva anticamente il Circo di Nerone. Publio Cornelio Tacito, ''Annales, Basilica di San Pietro in Vaticano Via Cornelia Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su circo di Nerone. Portale Antica Roma Portale Architettura Portale Roma Necropoli vaticana Ager Vaticanus Via Cornelia Strada romana antica Wikipedia Il contenutoGrice: I thought it was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of time (as stretch  a rather English root  cf. German zeit, our tide --, and borrow from Latin, tempus, which gives us temporary, as I use in my Personal Identity,but also tense  This tense is better than by vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a mispronounciation of Fremch temps, Latin/Roman tempus  So as Cicero would have it, its tempus we should care about! -- Giovanni Dondi dallOrologio. Nome compiuto: Giovanni De Dondi. Dondi. Keywords: lastrarium, Leibnizs Law, time-relative identity, total temporary state (Grice: Im thinking of Hitler); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior, Creswell, Mellor  logica cronologica, tense logic tense implicature -- iter romanorum. Refs: Luigi Speranza, Grice e Dondi  The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dorfles: la ragione convversazionale e l’implicatura conversazionale  del kitsch – scuola di Trieste – filosofia friuliese -- filosofia italiana  – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo trestino. Filosofo friulese. Filosofo italiano. Trieste, Friuli – Venezia Giulia.  Grice: “Must say my favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo, denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura.  è uscito Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Colonetti e Sansone; V. I. T. R. I. O. L.  è un simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU..  Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di Gillo).  Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di Trieste.  È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris causa in Lingue moderne.  Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto, Milano, Mazzotta); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano, Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino, Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I quattro grandi: Wright, Corbusier, Gropius, Rohe); Dall'espressionismo all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere, Milano, Mondadori, Mode et Modi, Collana Antologie e saggi, Milano, Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I turbamenti dell'arte, Genova, Costa e Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa et Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna, Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione, con tavole di Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo specchio, Luni, Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy, Puppo, D. e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La inciviltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Colonetti et al., Bologna, Compositori, Arte con sentimento. Conversazione,Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa, Essere nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita, Aldo Colonnetti, Estetica senza dialettica. Scritti, al, Luca Cesari,Milano, Bompiani, Paesaggi e personaggi, Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Sansone, Milano, Skira; "Interviene D.", in alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma,  "Disarmonia, asimmetria, wabi, sabi", in Agalma,  "Feticcio", in Agalma,  "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening. Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Arnheim, Guernica. Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a D. «La mia vita infinita da Giuseppe agli smartphone», su corriere. Cazzullo: la mia vita infinita da Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano, Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Mazzon: Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano,Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno, Dedalo, Bari Di Giovanni, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron: materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù (BAU14). Celeste Prize BAU 14 Gnoli, D. il rivoluzionario critico d'arte, La Repubblica,  Bucci, Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma D., signora di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com D., «Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Cazzullo,  la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera.  Natura insieme degli esseri viventi e inanimati considerato nella sua forma complessiva Lingua Per natura si intende l'universo considerato nella totalità dei fenomeni e delle forze che in esso si manifestano, da quelli del mondo fisico a quelli della vita in generale.   Paesaggio naturale Storia del concetto Natura (filosofia). Il termine deriva dal latino Natura e letteralmente significa "ciò che sta per nascere": a sua volta deriva dalla traduzione latina della parola greca physis  Il concetto di natura come una totalità che va a comprendere anche l'universo fisico è una delle molte estensioni del concetto originale; sin dalle prime applicazioni di base della parola φύσις da parte dei filosofi presocratici, esso è entrato sempre più nell'uso corrente.  Questa concezione è stata riaffermata con l'avvento del moderno metodo scientifico negli ultimi secoli.  Natura e ambiente Ambiente (biologia).  I boschi fanno parte del gruppo della Natura. La "natura" può riferirsi alla sfera generale delle piantee degli animali, ai processi associati ad oggetti inanimati, al modo in cui determinati tipi di forme esistono ed ai cambiamenti spontanei come i fenomeni meteorologici o geologici della Terra, la materia e l'energia di cui tutte queste realtà sono composte. Viene inteso come ambiente naturale il deserto, la fauna selvatica, le rocce, i boschi, le spiagge, i mari e gli oceani, e in generale quelle cose che non sono state sostanzialmente modificate dall'intervento umano, o che persistono nonostante l'intervento dello stesso. Ad esempio, i manufatti e le trasformazioni umane in genere non sono considerati parte della natura, venendo preferibilmente qualificati come una natura più complessa.  Più in generale, la natura comprende i seguenti contesti e dimensioni della realtà. La Terra è il luogo primigenio degli esseri umani, che ospita la vita come da noi concepita e conosciuta. Sulla sua superficie si trova acqua in tutti e tre gli stati (solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari.  La sua formazione è datata a circa 4,54 miliardi di annifa. Vita Le piante (Plantae Haeckel) sono organismi unio pluricellulari, che comprendono tutti i vegetali, soggetti a nascita, crescita, riproduzione e decesso. Gli animali comprendono in totale più di 1.800.000 specie di organismi classificati, presenti sulla Terra dal periodo ediacarano. Il numero di specie via via scoperte è in costante crescita, e alcune stime portano fino a 40 volte di più la numerosità accertata. Delle 1,5 milioni di specie animali attuali, 900 000 sono appartenenti solo alla classe degli Insetti. Ecosistemi. Una tempesta. Gli ecosistemi sono costituiti da una o più comunità di organismi viventi (animali e vegetali), e da elementi non viventi (abiotici), che interagiscono tra loro; una comunità è a sua volta l'insieme di più popolazioni, costituite ognuna da organismi della stessa specie. L'insieme delle popolazioni, cioè la comunità, interagisce dunque con la componente abiotica formando l'ecosistema, nel quale si vengono a creare delle interazioni reciproche in un equilibrio dinamicocontrollato da uno o più meccanismi fisico-chimici di retroazione (detti anche "feedback"). Troll, dall'esame di alcune serie storiche di foro aeree, notò che gli ecosistemi mostravano una tendenza ad aggregarsi in configurazioni unitarie (denominate principalmente Macchie, Isole e Corridoi). Ricordando la dizione di Humboldt, Troll chiamò tali formazioni "paesaggi". L'ipotesi Gaia è la teoria, inizialmente avanzata da Lovelock, ma già anticipata da Keplero, secondo la quale tutti gli esseri viventi sulla Terra contribuirebbero a comporre un vasto ed unico organismo (chiamato Gaia, dal nome della dea greca), capace di autoregolarsi nei suoi vari elementi per favorire a sua volta le condizioni generali della vita.  Naturale e artificiale. Natura e artificio. Il concetto più tradizionale della natura, che può essere usato ancora oggi, implica una distinzione tra naturale ed artificiale: con "artificiale" si intende cioè che è stato creato dall'opera o da una mente umana. A seconda del contesto, il termine "naturale" potrebbe anche essere distinto dall'innaturale, dal soprannaturale e dall'artefatto.Bottega dello scultore, miniatura che raffigura l'opera umana di modifica degli elementi e degli arredi naturali Le difficoltà nella definizione stessa della naturacomportano un'ambiguità nel rapporto tra uomo e natura. Alle volte il concetto è usato in senso derivato per riferirsi a quelle zone create dall'uomo, ma dove grande spazio è riservato alle popolazioni vegetali e animali. Si può parlare ad esempio della natura di una foresta, anche se coltivata e sfruttata da secoli. In tal caso ci si riferisce a una modalità di gestire l'ambiente da parte degli umani, piuttosto che all'assenza di intervento umano.  L'idea di natura è stata rielaborata dalla cultura urbanache ha formulato la mitica nozione di barbarie per definire tutto quanto si pone al di fuori della civiltà. Il fatto che il termine selvaggio vienne usato da un lato come sinonimo di naturale, dall'altro per denotare certi atti come particolarmente violenti o efferati, mette in evidenzia una certa tendenza ideologica, piuttosto inconsapevole, a considerare parte della natura come estranea alla culturadominante, come qualcosa di primitivo se non di malevolo. Paradossalmente accade anche che, in altri contesti, la parola «naturale» possa venire usata nel linguaggio corrente come sinonimo di normale, legittimo o logico, come la fonte cioè dei principi più retti dell'uomo civilizzato. Lo sviluppo della scienza e della tecnologia negli ultimi due secoli è stato a sua volta in gran parte accompagnato da una certa contrapposizione ideologica tra uomo e natura; la conoscenza viene generalmente considerata uno strumento di dominio della natura piuttosto che un mezzo per vivere in armonia con essa. L'epoca moderna ha visto d'altra parte lo sviluppo della teoria della legge naturale, che pone in risalto i diritti dell'uomo, il quale sarebbe stato dotato dalla natura di prerogative inalienabili; in tale contesto si fa riferimento ad una natura umana senza implicare necessariamente l'appartenenza ad una natura ancestrale. Tutela della natura. Lo sfruttamento del suolo e il problema dello smaltimento dei rifiuti procede di pari passo con la crescente urbanizzazione. La crescente industrializzazione ed urbanizzazione del pianeta ha posto il problema della conservazione della natura in forme nuove e sempre più urgenti. Agli ambienti naturali si sono andati via via sostituendo paesaggi artificiali, che oltre a distruggerne l'amenità, ne hanno alterato la loro peculiare storia ecologica. Sin dalla preistoria l'uomo è intervenuto a modificare il paesaggio naturale, attraverso disboscamenti e l'introduzione di colture e animali di importazione, con grave danno per la flora e la fauna locali, oltre che di quelle non addomesticabili. Ma è stato soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale che l'umanità si è dotata di mezzi molto più invasivi, che deturpano gli ambienti fino a provocarne spesso la desertificazione. Fra le principali cause della distruzione della natura vi sono:  inquinamento, ed emissioni di gas serra; sfruttamento delle risorse naturali, deforestazione, agricoltura intensiva con uso di pesticidi, pescamassiccia; estinzione di numerose specie viventi; ignoranza dell'ambiente biofisico, mancanza di cultura ecologica. Alle alterazioni della natura ha contribuito inoltre la crescita esponenziale della popolazione umana, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.[2]  Con la ricerca scientifica si riesce soltanto a rimediare per lo più parzialmente ai danni, cercando di razionalizzare lo sfruttamento del suolo, arginare la diffusione dei parassiti e limitare l'inquinamento. Per il resto, la lenta crescita di consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura nei paesi industrializzati ha portato a provvedimenti come l'istituzione dei parchi naturali. Dopo la seconda guerra mondiale sono sorte alcune organizzazioni internazionali per la difesa della natura come l'IUCN, il WWF, l'UNESCO, l'UNEP. Dagli anni ottanta le varie nazioni del pianeta hanno iniziato a partecipare a delle conferenze su scala globale per trattare soprattutto dei problemi del clima, con risultati di scarsa efficacia. Ducarme e Denis Couvet, What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications, Springer Nature, Natura, su treccani.i Newman, Age of the Earth, in U.S. Geological Survey's Geologic Time, Pianta, su treccani Baccetti B. et al, Trattato Italiano di Zoologia nsect Species, su infoplease. Rawls, Lezioni di storia della filosofia morale, Feltrinelli, Viale, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà, Feltrinelli, Brevini, L'invenzione della natura selvaggia. Storia di un'idea dal XVIII secolo a oggi, Bollati Boringhieri, Pollo, La morale della natura, Belardinelli, La normalità e l'eccezione: il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Rubbettino. Voci correlate Ambiente naturale Ecologia Filosofia della natura Ipotesi Gaia Natura (filosofia) Naturalismo Scienze naturali natura, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. natura, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Natura, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere riguardanti Natura, su Open Library, Internet Archive. Natura, in Catholic Encyclopedia, Appleton. Ducarme e Couvet, What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications, Springer  Portale Ecologia e ambiente   Portale Scienza e tecnica Ecosistema porzione di biosfera delimitata naturalmente  Ecologia branca della biologia che studia le interazioni tra gli organismi e il loro ambiente  Ecosistema terrestre Madre Natura personificazione della natura Lingua Segui. Madre Natura è la personificazione della natura. Werner,  Diana di Efeso come allegoria della Natura, circa Caratteristiche Madre Natura, figura dal trattato Atalanta Fugiens Essa (a volte conosciuta come Madre Terra) è la comune personificazione della natura focalizzata intorno agli aspetti di donatrice di vita e di nutrimento, incarnandoli nella figura materna. Immagini di donnerappresentanti madre natura, o la madre terra, sono senza tempo.   In età preistorica le dee erano venerate per la loro associazione con la fertilità, la fecondità e l'abbondanza agricola. Le sacerdotesse mantenevano il dominio di vari aspetti religiosi delle civiltà Inca, Algonchina, Assira, Babilonese, Slava, Germanica, Romana, Greca, Indiana e Irochese per millenni prima dell'inizio delle religioni patriarcali.  Talvolta viene indicata come la sposa di Padre Tempo. Grande Madre Gea Tellus Mati Zemlya PachamamaTeteoinnan dea azteca della guarigione, e dei bagni di vapore.  Madre Russia personificazione nazionale della Russia  Padre Tempo personificazione del tempo. Nome compiuto: Angelo Eugenio Dorfles. Gillo Dorfles. Dorfles. Keywords: filosofia del kitsch, “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. Dorfles.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Doria: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --  scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo geovese. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: I love Doria: a nobleman who should be sailing off Portofino, is writing a progetto di metafisica after discussing the filosofia deglantichi  you HAVE to love him! Plus, he philosophised WHILE sailing! Figlio di Giacomo e Maria Cecilia Spinola, appartenente alla nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero ben quattro dogi della repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata a cinque anni dalla morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle lo fa rimanere solo con la madre che influenza negativamente il suo carattere melanconico ma vivace, il suo desiderio di virt e Gloria. La madre, che egli accusa esser stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era disinteressata del figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi bigotti che lo fano crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli viene indicata dai suoi educatori gesuiti come un positivo castigo alluomino re. Divenne quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti, facile e condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di s e fatuo divenendo un Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virt vera ed esistenta ogni vanit e molte volte prende con lidea di virt il vizio ancora! Pieno di s e fatuo. Comp con la madre il grand tour  Firenze, Capri, Girgentu -- dei viri ben nato dal quale ne usce libero dallinibizione religiosa, ma con un nuovo abito di un anima viziosa, la quale lo fa mirare come idea di virt la rilassatezza nel senso, la prepotenza con i deboli e la vendetta. Tornato a Genova, la trov bombardata dal mare dalle navi di Luigi XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar che lavvia nellarte militare e lo introduce nel giro del patriziato mondano. Innamoratosi fortemente di una meritevole donna che muore poco tempo dopo, cadde in depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi dispendiosi viaggi. Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per recuperare certi suoi crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di leggi e cavillose procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un certo profitto per ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama di spadaccino gli fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene massime di cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un uomo a s inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il perdonare generosamente fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema vergogna il non chiamare a duello un nobile a s uguale quando da quello si era qualche offesa ricevuta. Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio cavalleresco tanto da essere messo in prigione aumentando cos la sua fama di duellista e vendicativo presso la nobilt locale. Comincia a disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando nella cerchia degli intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa preoccupata che il loro sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande processo contro glateisti, quegli intellettuali che si erano illusi di poter modernizzare la dottrina cattolica. Si schier con questi frequentando il salotto filosofico Caravita che si era gi battuto contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di diffusione della filosofia cartesiana. Qui D. ha modo di conoscere il protetto di Caravita, quel VICO (si veda) che scriver del genovese che fu il primo con cui pot cominciare a ragionar di metafisica nella quale si intravedevano lumi sfolgoranti di platonica divinit. Per organizzarsi contro le polemiche dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pens di fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse difficolt, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore) dove sostene la superiorit della nobilt per virt e non per nascita, e dove contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi (Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza, Della scherma). La guerra, scriveva D., non e un privilegio della nobilt di spada ma un'attivit che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando affidato a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo, Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il Cartesio, o ad arte ne tronca o perverte il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virt, il giusto e l'onesto. Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi cos sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria cominci ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe le sue Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de' corpi insensibili (Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e della Meccanica. Opere queste, dove si critica il metodo di GALILEI (si veda) e si mette in discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo sperato e vennero anzi aspramente criticate da pi parti. Divenne un personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la donna, in quasi tutte le virt pi grandi, non essere all'uomo inferior. La donna ha gli stessi diritti naturali delluomo e puo governare e fondare grandi imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere che Dio avesse dato a tutti eguale abilit per intender le scienze, mentre iddio non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perci vediamo che molti non son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia. Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il platonismo ha pressoch distrutto li saggi di filosofia di Locke ed in parte ancora la filosofia di Cartesio. Compiva un capovolgimento delle sue convinzioni moderniste passando nel campo degli antichi quando il suo Nuovo metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna l'arte di esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria sintetica la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente criticati da parte della rivista Acta eruditorum. Ancora pi aspre le contestazioni ricevute a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che cos recitava. Di rispondere a te nessun si sogna /de' nostri, e strano  assai che Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione alla recensione pubblicata sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. GlOziosi, dove profuse tutte le sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero filosofico di Locke, dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva detto di lui il Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con l'avvento del re riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova completamente isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere scrivendo Il Politico alla moda. Si rendeva ormai conto di come fosse irrealizzabile il suo ideale di un governo ad opera del concetto di sovrano virtuoso e di filosofe legislatore. Il magistrato, il capitano, il sacerdote e tutti gli ordini che governano hanno diviso la filosofia dalla politica per unire alla politica la sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono governare lo stato colla politica del mercadante, e non con la politica del filosofo. Constatava come vi fosse ormai una generale crisi dei valori perch in questo nostro tempo si corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di Locke e di Newton e si pratica solamente la politica mercantile. Completamente ignorato dall'ambiente intellettuale, D. malato e in difficolt economiche muore indicando nel suo testamento la volont che fosse pubblicata a spese di un suo cugino, a saldo di un debito da questi contratto, l'opera Idea di una perfetta repubblica. Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad essere bruciato per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia. In realt contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilit del matrimonio, la castita, l'eternit delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia etico-politica dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione di quello della Roma repubblicana, perch posto il governo in mano agli uomini,  forza che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di D., di cui s'infama la venerata memoria. E al centro del saggio La distruzione della fiducia e le sue conseguenze economiche a Napoli. Si argumenta che il governo nell'azione di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virt e della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e infelicit. Altra azione, che si riveler in seguito disastrosa per la societ napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attivit di governo, l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi ordini del Regno: tutto ci al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica, l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento dell'attivit di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a produrre effetti duraturi sulla societ meridionale, non solo a livello mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno d'Italia. Altre opere: Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Hopper); Considerazioni sopra il moto e la meccanica de'corpi sensibili, e de' corpi insensibili. Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration (Venezia); Discorso apologetico (Venezia); Soluzione del problema della trisezione dell'angolo (Venezia); Vita civile (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario Biografico degli Italiani. Larte di conoscer se stesso, in De Fabrizio, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini, Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S. Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Da Muratori a Cesarotti, V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI, Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli, Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile, Torino; Massime del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto nel volume miscellaneo Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, D. Gambetta, Rovito, DORIA, Paolo Mattia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scazzieri, Il contributo italiano alla storia del Pensiero Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Belgioioso, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Fondatore di Roma e primo re de' romani. Romolo fu il primo re de romani e padre della romana republica. Uomo primieramente dardentissimo animo e per le armi grande. E cos fatto certamente l'aveva disposto la fortuna a quello che dovea seguire. Per la cui opera, in tratante minaccie di vicini, di spinose montagnie surgesse il fondamento dellomperio che dovea crescere infino al cielo. Perch non si potea porre sicuramente tanta grandezza in debole fondamento. S gran cosa richiedea terra salda e duca dalto animo. E cos e, che dove prima a pena e assai erba per lo armento dErcole, e dove prima a pena solea essere assai fronde per le capre di Faustulo, in quello luogo puose la fortezza di tutte le terre e la somma signoria delli uomini. Dunque costui CON REMO SUO FRATELLO (e insieme con Rea Silvia, la quale e chiamata Ilia, madre senza dubio) creduto o fitto FIGLIUOLO DI MARTE, incontanente comelio nacque prova la crudelt di Amulio, re dellalbani, e non solamente contro alla madre, ma eziandio contro a s e CONTRO AL SUO FRATELLO. Dal quale Amulio e comandato eh' ellino fossero gittati NEL TEVERE. E a caso elli sono liberati, o che fosse per divina provedenzia, la qual cosa  lecito di credere dello imperio che dovea essere s grande, quella provedenzia apparecchiante non sperato cominciamenlo alle grandissime cose. Soperchiando il fiume a caso le ripe e non potendosi andare a quello, furono gittati quelli fanciulli presso alla ripa; e, partendosi li famigliari del re, i quali li avevano gittati, rimasono salvi. A questo luogo, TRATTA DAL PIANTO DI QUESTI FANCIULLI, venne una lupa (o eh' ella fosse vera o ch'ella fosse cosa finta, dell'una e dell' altra  nominanza), e, comella avesse compassione, venne a questo luogo, del cui latte elli sono nutricati, traendo con li labri il latte delle tette della detta fiera, infino che furono trovati da Faustulo pastore del re, il quale di sopra avemo nominato, e la lupa similmente, essendo discresciuto il fiume; e in fino agli anni della pubert coli' amore del padre sono nutricati. Ma allora pi di d in d il suo vigore si mostrava e per effetto diventava Famoso. Gi sono cari da ogni parte e ampiamente sono terribili, ogni cosa ardivano; gi il suo notricatore, per le opere informato, comincia a fermarsi in quella openione ch'egli aveva pensalo, cio quelli essere figliuoli del re. Questo celato per alcuno temp, finalmente apparve: preso Remo da' famigli del re e datogli pena, per consolare la ingiuria fu dato a NUMITORE suo avolo per parte di madre, nel cui terreno tramendue i frategli avevano fatte correrie. Il quale veduto, non mosso ad ira, com' usanza, per l' ingiuria ricevuta, ma mosso verso di quello con una nascosa dolciezza, e udito ch'elli sono due, considerato da l'una parte l'etade di quelli, da l'altra l'aspetto nobile e non di pastori, vennegli a memoria i suoi nipoti; e, dimandando pianamente delle circostanzie, trova poco meno che costui e l' uno de' suoi nipoti, e di questo non dubita. Per elio il tene in pi libert, e non come preso ma come suo, come veramente elio e. E questa e pi diritta via a distruzione del re, perch manifestato a Romolo non solamente la condizione del presente stato del fratello, ma la nazione di tramendue nascosta infino a quello tempo; ammonendoli colui, ch'e tenuto padre, ch'elli non sono suoi figliuoli ma sono di schiatta reale; e, spostali per ordine lingiuria di quegli e con questa lingiuria di suo avolo e di sua madre, fatto Romolo pi animoso, conosciuto il fatto, dispuosesi non solamente a LIBERARE IL FRATELLO, ma vendicare s e '1 fratello e l'avolo e la madre, non manifestamente perch era dispari in possanza, ma pianamente mandati alcuni giovani di qua e di l, i quali si trovassono a una ora nella casa del re. Cos disposti glagguati, e a tempo accorrendo Remo, corsono contra Amulio, il quale non si guarda e non pensa s fatto pericolo. Morto Amulio, NUMITORE fratello di quello, e innanzi cacciato da lui, fu ristituito nel regno, essendo allegro, non meno per la condizione de'trovati nipoti, che per avere acquistato il nonne sperato regnio. Da poi, perch elli erano di grande animo, e '1 regno di suo avolo gli paree picciolo, lassano Alba all'avolo. E, amando il luogo della sua puerizia ovvero del suo pericolo, procurarono di fondare nuova terra in quello luogo. E cos, per buono agurio, edificarono aspera e, acci ch'io dica pi propriamente, pastorale casa in SUL MONTE PALATINO. E fu posto alla terra il nome di Romolo solamente, essendo vinto il fratello nello agurio: il quale nome e temuto poi al mondo da li popoli e dai re. Poi, o che tra quelli fosse nata discordia, o che fosse perch egli avesse dispregiato il comandamento del fratello, Remo, avendo passato il nuovo muro, E MORTO. O che e per cupidit della signoria, o per rigore di giustizia, la credenza  varia nelle cose antiche. Romolo, avendo presa la signoria, ordina sacrifici della patria e forestieri, e prende abito di re e ornamenti, e ordina XII littori, e compone la legge. Solo a fermezza del popolo e fondamento di pace e di concordia tre cose sommamente li pare di provedere : il consiglio, e io accrescere della cominciata citt, e la durabilit; perch era in picciola terra pochi abitatori. E per questo gli e speranza di brevissimo tempo, mancando la cagione del generare de' figliuoli. Dunque primieramente furono eletti C antichi al Senato, chiamando questo ordine dalla etade, perch il nome de' padri e detto dallo amore e da la cura della republica. Secondo, intra due boschi fu posto uno tempio chiamano asilo -- i greci il chiamano santo -- il quale stando aperto, grande turba incontanente venne di vicini paesi; la terza cosa parea che si dove fare con matrimoni -- perch soli i maschi non poteano durare se non una etade -- ; la qual cosa, perch e negata da' vicini superbamente e vituperosamente, si fa per forza e per ingegnio. Perch in questo mezzo, non mostrando l'ira e il dolore d'essere rifiutato, il re apparecchi di fare solenni giuochi a Nettunno, e comanda di fare dinunziare il d per li popoli vicini. II quale poi che sopravenne, molti maschi e femmine delle terre vicine a Roma vennero per vedere i giuochi, e non meno per cupidit di vedere quella nuova terra quasi nata di subito. Nel mezzo de giuochi, essendo ogni uomo attento con gli occhi e con l'animo, diliberatamente SONO PRESE TUTTE LE FANCIULLE, non a fine di sua vergognia, ma di tenerle per mogliere e per avere figliuoli. Dunque confortate con buone parole, tra lo isdegno e le lacrime, pelle lusinghe di quegli li quali l'aveano prese, prima Romolo, e poi gli altri, una per uno ne tolseno per moglie: e questo e cagione e cominciamento di molte battaglie. I padri e i parenti di queste fanciulle, lamentatisi della forza e della malvagit de' suoi osti, dai quali ellino, invitati a giuochi, sono stati offesi per gravissima ingiuria, incontanente uscirono fuori della terra e tornarono a casa; e, moltiplicando le lamentanze, aggravarono l'offesa, e pigliarono l'arme e apparecchiaronsi di fare la vendetta. E di lutti i popoli si fece una raunanza a Tazio re de' sabini, perch questi avevano pi possanza e aveano ricevuto pi ingiuria. Ma perch la presuntuosa ira non pu indugiare n ricevere consiglio, e perch l'apparecchiamento alla guerra pare pigro per rispetto dello ardore dell'animo, ciascheduno, non aspettando l'uno l'altro, andarono alla battaglia. E innanzi a tutti i ceninesi con l' oste corsero nel terreno de' romani : contro ai quali venendo Romolo, mise in rotta i nimici, e UCCIDE ACRONE, re di quelli, venuto alle mani con lui in singolare battaglia; e, con lieve assalto, prende la terra di quelli, la quale era impaurita per la morte del re e per la fuga del popolo. E, tornando a Roma vincitore, porta in Campidoglio l'armi del re ed edifica lo primo tempio in Roma e sacrificollo sotto il nome di GIOVE Feretrio -- dove i capitani de' romani non portano, quando sono vincitori, se non la preda de' capitani vinti in singolare battaglia, la quale elli chiamano grassa robara. Dunque in quello luogo egli appicca l'armi del morto re, per esempio del tempo da venire, rado ma grande dono di quelli che venieno dietro. I secondi che corsono nel terreno de'romani furono gli atennati; e questi sono vinti e perderono la terra. Ma per prieghi di Ersilia, moglie di Romolo, la quale e una di quelle sforzate che porta a gli orecchi del re i prieghi e i desideri dell'altre, ricevuti a misericordia, venneno ad abitare a Roma. Da poi i crustumini, movendo elli la guerra, sono vinti leggiermente, crescendo ogni d la virt di Romolo; e, venuti a Roma quelli chi sono vinti, crescendo Roma per li danni de'nimici. E pi a fare colli sabini, i quali quanto pi tardi tanto pi maturamente si moveano: presa la rocca di Campidoglio, per tradimento d'una donzella figliuola di Spurio Tarpeo, il quale era castellano della delta rocca, dal quale ancora  nominato quel monte in mezzo di Roma, e dubiosa battaglia, combattendo quelli dal luogo di sopra. Nella quale battaglia mancando Osto Ostilio, il quale e arditamente per la parte de' romani infino ch'elio puo, la gente de' romani tutta si cess in dietro, cacciando indietro eziandio Romolo il quale li contrasta. E elli, non sperando gi pi della forza umana, dirizzando al cielo le armate mani, chiamando Giove com' elio e presente, pregando o che gli togliesse la vergogaia del fuggire vilmente, o eh' elli fortificasse gli abbattuti animi de' suoi con celestiale aiutorio, fa voto di fare in Roma uno secondo tempio a GIOVE STATORE, secondo che piace agli scrittori; e, quasi ricevuta la promissione dal cielo, fatto pi ardito ristoroe con sollecita mano la battaglia gi caduta, dicendo a'suoi chiaramente che Giove comanda cos. Per questo la sua gente, seguendo lo esempio del suo re e il comandamento di Giove, torna contro a'nimici, da' quali non speravasi ch'egli tornassino; e combattendo innanzi a gli altri aspramente Romolo, essendo gi mutata la condizione della battaglia, quelli che incalzavano cominciarono a fuggire. Intra i quali MEZIO CURZIO, secondo dopo il re de' sabini, uomo famosissimo e in quello di 'nanzi a tutti gli altri in fatti e in virt molto ardito, non sostenne il furore. Una palude, ch'era presso, e pericolo e salute a lui, nella quale spaurito il suo cavallo furiosamente salta con grande paura de' suoi, ma confortandolo elli e mostrandogli la via, usce fuori. E di questo nacque il nome di quella palude, cio, lago Curzio. Uscitone fuori costui, gli animi crebbono a' suoi, e ancora, bene che con varia fortuna contro a' sabini, corsono insieme. E, sendo in questo stato, la piet trova via di non sperata pace. Combattendo dall'una parte i mariti, da l'altra parte i padri, vennero tra questi quelle eh' erano state sforzate; e, non considerando s essere femmine, non temendo il pericolo, con prieghi pieni di lagrime e misero abito, pregarono che fosse posto fine alla guerra. E se voleano pure andare dietro, volgessono le spade pi tosto contro a quelle, le quali erano cagione della guerra, che, uccidendosi insieme, bruttassono se di presente e per lo tempo a venire bruttassero li figliuoli di quelle -- dall'una parte essendo i figliuoli, dall'altra essendo i nipoti --- e dessono eterna infamia a quelli che ancora non poteano peccare. Dall' una parte e dall' altra si piegano gli animi e l'ira s'abbatt e, che maraviglia  a dire, subitamente nell'una oste e nell'altra fu arrestato il romore dell'armi e il gridare de combattitori, s umile ammirazione e intrata per quelle rabbiose menti! E non pot lungamente stare nascosta: le affezioni mutate incontanente uscirono fuori, e lo riposo segue a la piet, e la pace segue al silenzio; la concordia e fatta toccandosi i re le mani, e Roma maravigliosamente crescette per lo venire de' sabini. E non meno crebbe Y amore dell'una parte e dell'altra verso di quelle valenti donne, e innanzi a gli altri di Romolo, il quale rend loro grandi e debiti onori. Ancora restano due guerre. L'una colli fdenati li quali, temendo la potenzia della signoria di Roma, la quale cresce, e avendola sospetta, per s fecero la pruova che gli altri aveano fatta. Entrando elli nel terreno de'romani come nimici, Romolo li anda incontro, e puose il campo non lungi dalla terra de' nimici; e, mostrando maliziosamente temere, conduce i nimici nelli agguati, e di questo e una non proveduta paura e uno subito fuggire, in tanto che, mischiati insieme i vinti e i vincitori, le guardie delle porte appena discerneano i suoi cittadini da nimici; e, entrati dentro, e presa la terra. L'altra guerra e con quelli da Veio, li quali si mossono per amore de fdenati e per odio de romani, e questi, vinti in campo, e guasto il paese, dimandando pace, fecero triegua per cento anni, perdendo parte del suo terreno. Questi furono i cominciamenti di Romolo, questo e il corso di sua vita e lordine de suoi fatti; per li quali, appresso quella salvarla generazione d' uomini e non ancora assai ammaestrati animi del vulgo, egli merita essere creduto avere alcuna divinit per lo padre e per se. Uomo al quale non manca animo n ingegnio, in battaglia glorioso, in casa savio: ordina centurie del popolo e di cavaglieri, acci che in ogni tempo di pace e di guerra elio e niuno nega ch'elio non e inolio amato. Le opinioni di questa cosa sono varie. Alcuni dicono ch'elio e portato in cielo e posto nel concilio delli dei. Ma questo  gran salto a uno uomo armato e gravato di peccati, bagniato di sangue e ignorante del vero Iddio e della via del cielo. Ma lo ardente e non temperato amore s fa credere ogni cosa. Dunque, achetata la tempesta, essendo risposto da' senatori -- eh' erano stati d'intorno -- al popolo -- disideroso di vedere il suo re e a pruova cercandolo -- eh' elio e andato in cielo, affermando uno eh' e' lo ha veduto, e creduto. E quello e GIULIO PROCULO, uomo di grande nominanza appresso a' suoi, secondo che si trova, e di grande santitade e, che manifesto , di gran nobilitade, come colui che, nato di re albani, venne a Roma con Romolo ed e cominciamento della giente de Giuli -- il quale, ardito di venire in palese, da parola d'allegrezza al popolo eh' e in tristizia, dicendo che in quello medesimo d Romolo, discso da cielo in abito pi che d'uomo, e stato con lui, affermando eh' ha comandato a lui, con grande tremore non ardito di guardare la sua facia, questo, cio eh' egli dicesse a' suoi cittadini che onorassino l'arti delle battaglie, essendo certi che ogni potenzia umana  diseguale alla sua in fatti d'arme; e che la sua citt, cos piace alli dei, sar capo e donna di tutte le terre. E, dette queste parole, levatosi da gli occhi monta in cielo. E queste cose sono credute a GIULIO il quale le conta e giura, e lo dolore della morte e mitigato con lo consolamento della divinit, e l'ira, la quale il popolo ha concetta per la morte di s caro re, e umiliata: cos ogni uomo crede leggiermente quello ch'elli desidera. Ma altri pensano che e morto da' senatori, veduto il buon destro per la tempesta del tempo, e ch'elli il nascosono nel pantano della palude, acci CHE NON APARE ALCUNO SEGNIO DELLA SUA MORTE. Questa, chente dice Livio,  oscura fama, ma, come piace a chiarissimi scrittori, certamente  vera; bene che, come dice quello nel medesimo luogo, quell' altra fu nobile per l'ammirazione dell'uomo e per la presente paura. Puossi forse credere ancora quello che alcuni hanno pensato, eh' elio non e portato per divinit in cielo n in terra morto come uomo, ma eh' elio fu morto per la lempestade e per lo furore della saetta -- la cui forza  ineffabile, e l' operazione  nascosa --. E questo essere avvenuto a tutti quegli sono con lui, i quali, quanto elli sono pi presso, tanto sono smarriti pi e impauriti. E la libert  di molte mani nelle cose dubbiose, ma la verit  una sola, e questa  profondamente nascosta della morte di Romolo come in molte altre cose. Nome compiuto: Paolo Mattia Doria. Doria. Keywords: co-operazione, duelo  duel, the duelists, cooperation  il sensismo, roma repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, Romolo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Doria,” The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Dosseno:  la ragione conversazionale alll’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. A follower of the sect of the Garden. Seneca mentions a monument to him with an inscription testifying to his wisdom. Dosseno. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dosseno,” The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dottarelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Musonio – scuola di Bolsena – filosofia bolsenese – filosofia viterbese – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bolsena). Abstract. Grice: “We discussed at Austin’s ‘kindergartens’ – his Saturday-morning paraphilosophical meetings for us weekly philosophical hacks – whether we should care about Etruscan, since Italian linguists were trouble finding it ‘Indo-European’ enough – and then, all of a sudden, he said, ‘As per next Saturday, we’ll start to learn Eskimo!” -- Filosofo bolsense. Filosofo viterbese. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo, Lazio. Grice: I like Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and its only natural that he is obsessed with the one and only Etruscan philosopher, Musonio! Si  formato alla Facolt di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato con Cornelio Fabro e si  laureato con una tesi sul dibattito epistemologico del Novecento (Popper, Feyerabend, Lakatos, Kuhn) sotto la guida di Baldini. Si  poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come maestri Italo Mancini e Salvucci, con cui ha discusso una tesi sulle implicazioni epistemologiche della filosofia di Kant. Ha insegnato nei Licei ed  stato docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale, Bioetica nelle Universit della Tuscia, di Macerata e Firenze. Ha sempre coniugato il lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni consecutivi  stato Sindaco della citt di Bolsena (VT). Eletto la prima volta con una lista civica di sinistra,  stato successivamente confermato. Direttore generale della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e alla sovrintendenza della gestione complessiva dellEnte, ha avuto la responsabilit diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane, del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una strategia integrata di sviluppo dellarea del Mediterraneo. Con Picone, filosofo e psicoanalista junghiano, nel 2004  stato cofondatore della Societ Filosofica Italianasezione di Viterbo, di cui  attualmente vicepresidente. Nel ha costituito il Club per lUNESCO Viterbo Tuscia, di cui  presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti all'epistemologia, all'etica, alla filosofia politica e alla pratica filosofica. In Popper e il gioco della scienza ha svolto un'analisi critica dell'epistemologia falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretrasse e resistesse dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al paradigma del razionalismo critico, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre pi deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza, Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una scienza rigorosa la metaphysica generalis, prima parte della metafisica come era intesa nella tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene ad assumere la metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale e analogico che  anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia kantiana viene valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica", come scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione umana con lo scopo essenziale di essa, e viene ricollegata alla filosofia come era praticata soprattutto nell'antichit: arte di vivere, esercizio spirituale. Il filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite linsegnamento e lesempio,  cos lautentico filosofo, che, nel quadro della complessiva ed originale riorganizzazione kantiana dellorizzonte utopico di derivazione platonica e rousseauiana, diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che pi si  avvicinato  stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita. In Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della psicoanalisi viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha interpretato la filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di Freud con la filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato un'irresistibile attrazione; dall'altro quasi la necessit di rassicurare se stesso e gli altri su una propria incapacit costituzionale (Autobiografia) alla pura speculazione e sulla sua ferma volont di sottrarsiproprio lui, formidabile affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione di Freud non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca filosofica. Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive delluomo e del mondo; quella che gli appare la pi rischiosa, perch la pi astratta, la pi esposta alla frequentazione della metafisica e della religione, sempre in procinto di cadere nella trappola della verit assoluta. Pi a suo agio Freud si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea dimpegno tradizionale della filosofia: la riflessione critica sui saperi e sulle pratiche umane. Nell'opera di smascheramento dei meccanismi con cui le ideologie e le prassi individuali e sociali ammantano la loro miseria umana, troppo umana, le potenzialit della psicoanalisi si esprimono al meglio. Masecondo l'interpretazione di D. la fatica intellettuale di Freud trova la propria collocazione pi appropriata nella dimensione della ricerca filosofica che interpreta se stessa come unattivit in cui luomo si dedica alla cura e alla fioritura di s, alla coltivazione della propria umanit. Questa dimensione della filosofia come arte di vivere  stata approfondita da D. attraverso la ricostruzione della vita e del pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalit della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio  espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca della felicit che  l'ellenismo della tarda antichit, in cui si rispecchier poi la civilt medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale. Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione, imitazione di Dio, skesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la coltivazione di s, finalizzata alla fioritura dellautentica esistenza umana. Ladesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo  decisamente sotto il segno di Socrate: la filosofia pu proporsi come arte regia in quanto, in primo luogo,  arte di governare se stessi. Lideale dellautosufficienza del saggio si traduce nella predilezione per lagricoltura, come attivit pi appropriata per il filosofo. La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti pi belli e pi giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto  necessario per vivere a chi ha la volont di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di ci con vergogna. Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavit, sulle donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare. Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale, diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e lanima. Sobriet, rispetto, universalit e condivisione sono le parole di riferimento di una visione etica che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della moderna sensibilit ecologista. La visione della filosofia come arte di maneggiare gli assoluti  approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Kant, Levi e altri maestri. La filosofias ostiene D. anche quella pi incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la sete dellassoluto, contiene in s, nella propria vocazione alla ricerca di una comune verit mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio distruttivo che pu annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere la totalit, linfinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente addomesticare i dmoni che una frequentazione inadeguata del sacro pu evocare. Dmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui la storia degli uomini alla ricerca della verit assoluta, della totalit autentica ed incondizionata, dellesperienza integrale  purtroppo costellata. La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione pi profonda di questoriginale forma di esercizio spirituale: una ricerca appassionata del bene e della verit, capace di resistere alla suggestione del possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilit dellerrore che  presidio di autentica libert per s e per gli altri. Altre opere: Il gioco della scienza (Massari); Metafisica non scienza (Massari); Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant (Introduzione al Saggio sulle malattie dellanima di I.Kant (Massari); Utopia e ragione come luoghi del incontro dellego ed il tu, in Le ragioni della speranza (La Piccola Editrice); Lassoluto e il relative (Il Prato); Musonio (Annulli Editori); Freud. Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori, Riverberi Di Tuscia e daltro, Annulli Editori); La farfalla dellanima e la libert, Armando Editore. ETRUSCO MUSEO CHIUSINO DAI SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI ALCUNI RAGIONAMENTI DEL DOMENICO VALERIANI E CON BREVI ESPOSIZIONI DEL CAV. ai smagata POLIGRAFIA FIESOLANA A SUA ECCELLENZA IL SIG. MARCHESE ANGELO CHIGI LUOGOTENENTE GENERALE E GOVERNATORE DELLA CITTA E STATO DI SIENA CAVALIERE DELLA LEGION D ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI TOSCANA PRESIDENTE DELL ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICIT CHE LO SPLENDORE DELLA FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE DOTI SOSTIENE ED ACCRESCE E DELLARTI LIBERALI CULTORE E FAUTORE CALDISSIMO SI MOSTRA QUESTA RACCOLTA DETRUSCHI MONUMENTI CHIUSINI CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C. GLEDITORI P. B. C. C. F. S. C. A. M. P. F. D. ri si trova itna mirabile abbondanza di marmi finissimi consistenti in colonne antiche di granito nero e dell Elba e dEgitto, di granito rosso del pi compatto, di cipollino orientale, e daltri marmi duri e fin anche di breccia d E- gitto, di che va ricca ed ornata la cattedrale, ove son poste in uso con antichissimi capitelli di gusto squisito. Anche sparsamente per la citt sincontrano in copia marmi duri o eretti in usi decorativi o depositati a parte e non ancora posti in opera. Non mancano monumenti di romana scultura di raro pregio in basso e tondo rilievo, tra i quali splende un sarcofago colla caccia di Meleagro, ed una assai bella testa di Augusto nel palazzo episcopale, e nelle case Paolozzi. Le antiche iscrizioni lapidarie son pur frequenti per la citt sparsamente. E poi sorprendente il numero dei sotterranei che sincontrano sotto le fabbriche del paese, e sono per ordinario eseguiti di ben connesse pietre quadrate assai grandi. Rieca  pure la citt di avanzi di fabbriche antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni. Ed in vero non sembra che di tali pubblici comodi mancar dovesse un paese, ove si trovano s or genti ab b ondantis s im e di acqua potabile, e delle quali non ha guari e stata fatta bella scoperta dal nobile sig. Flavio Paolozzi, in alcuni spaziosissimi sotterranei, da lu aperti, ove non ancora si  osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei loro sentieri numerosi e feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di piombo somministravano per quanto apparisce, acque abbondanti e perenni all' antica citt. Ma ci che maggiormente sprona la curiosit degli eruditi  il visitare nel territorio di Chiusi gli etruschi sepolcreti, dove fu trovato quanto di pi mirabile conserviamo nei nostri musei, mentre non senza una qualche almen lo tana emulazione col famigerato sepolcro di Porsenna eretto un tempo in questa nostra patria, presero i suoi citladini etruschi l'esempio di rendere le lor tombe in vario modo as- J-Ja dovzia d antichi monumenti darte nell'etrusco citt di Chiusi nostra patria, non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi, ci ha fatto sospettare che saremmo giustamente ripresi, qualora tal dovizia si teness fra noi medesimi inosservata ed inutile all incremento della scienza archeologica. A ci credemmo sufficiente riparo di offrir libero accesso a chi volesse que monumenti osservar con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma riflettendo poi che la pi gran parte degli eruditi, cui non  dato il potersi recare personalmente a Chiusi, restavan privi del bene di conoscere questo ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare anche questa numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si potesse miglior divisamento di quello da noi gi compito, di far disegnare con fedelt massima i monumenti pi ini ere s santi, che possediamo, e quindi a nostre spese farli incidere in rame in dugento sedici tavole distribuiti, raccomandandone l'edizione al cavalier Francesco Inghirami. A tale nostro invito egli non solo ha cortesemente aderito c oli ine arie ar s ene per nostro conto, ma si  compiaciuto inoltre di venir pi volte da Firenze a Chiusi per confrontare i disegni coi monumenti originali, e ci ha fatto inoltre il dono da noi gradito delle brevi interpetrazioni che abbiamo apposte a ciascun monumento, al che abbiamo aggiunto anche alcuni ragionamenti, donatici dallegregio sig. prof. Valeriani nostro concittadino. Chi ha per le mani l opera che ora pubblichiamo, non creda gi di conoscere, p e' suoi rami, tutti i monumenti antichi di Chiusi, mentre n  assai pi dovizioso il paese. Qui  ti d quei di Tarqui ni a, fo rse perch ne fu inventore un diverso architetto. Nellannoverar che facciamo de monumenti antichi pi insigni di nostra patria, non  da pretermettersi che in vicinanza della citt rsta sotto una collina di tufo breccioso verso l Oriente un cimitero antico di cristiani, eh noto sotto la denominazione di Catacombe di s. Mus tio la Vergine e Martire, inclita patrona della citt e della diocesi- Questi sotterranei non solo servivano alla sepoltura de cristiani, e in specialit dei martiri, ma nel giorno di festa e nel natalizio dei Santi vi si raccoglievano per celebrarvi i divini misteri, ivi oravano, ivi stavano refugiati nel maggior impeto della persecuzione, a scansar la rabbia dei tiranni, come descrive un nostro concittadino che di tali sotterranei h a ragiona to eruditissimamente, L'abbondanza delle cristiane iscrizioni che spettano a questorispettabile sotterraneo, notante dal prelodato relatore, lo rendono anche pi degno dell'attenzione d'ogni erudito. Il libretto che a memoria di ci egli ha scritto con somma eleganza e dottrina, dove si trova incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio sotterraneo, oltre le iscrizioni ivi adunate e illustrate ',e laltro libretto di non inferior merito, scritto da vari eruditi, circa il gi nominato monumento sepolcrale del Poggio al-moro 1, forma insieme colla presente opera l informazione di quanto crediamo ess er su ffidente ad erudire i cultori dell' archeologia circa le antichit osservabili di Chiusi nostra patria. 1 Pastumi, Relazione di un antico cimitero di cristiani, in vicinanza della citt di Chiusi con le iscri zioni ivi trovate. Montepulciano Sepolcro Etrusco Chiusino illustrato nelle sue epigrafi dal Prof. Gio. Batt. Vermigliol, con laggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del Rosso sulla parte architettonica dello stesso monumento ed una lettera del sig. Dolt. Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliol ec., Perugia sai magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si  reso celebre fra gli altri l ipogeo situato in un possesso della g ra riducale fattoria di Dolciano, il quale conserva in se stesso un antico modello rarissimo di fabbrica etrusco, perch a differenza degli altri scavati nel tufo, questo vedesi edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati senza cemento m volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne cinerarie occupato, le quali hanno in fronte sculture vaghissime ed epigrafi etru s che, dalle quali resulta essere stato questo sepolcro a pi famiglie comune. Altri non meno importanti ipogei scavati nel tufo si osservano in varie pendici del monticello, sul quale era ed  tuttora la nostra citt. In alcuni di essi, con animo di sodisfare Valtrui erudita e commendevole curiosit, i proprietari lasciarono in parte i monumenti meri facilmente amovibili, acci sia noto come e con quali riti vi fossero depositati fin da quando ve li posero gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le nostre indagini fin ora scoperti, due soli noi trovammo scavati regolarmente nel vivo tufo m guisa di camere e dipinti : luno aperto nel maggio del 1827 in un podere chiamato P o gg io-al-moro, l altro in alt ro podere detto il C olle, le cui pitture son riportate in quest opera. Pare che lo stesso pittore li dipingesse ambedue, ma l ultimo aperto si conserva assai meglio, forse perch ladiacente suolo  men umido . I soggetti quivi dipinti son pure i me des imi in amb edue gl ip 0 gei ; ndi {feriscono granfatto, si nello stile, si. nel metodo del dipinto, e s nel s og g ett o iv i Ir att ato dalle pitture dellegrottecornetane, che si altamente sono state encomiate . E probabile che in questi due sotterranei dipinti vi fossero depositati oggetti di prezzo ragguardevole, e perci dagli stessi antichi derubati, perch non vi  stato trovato quasi nulla, specialmente in qul sepolcro che lultimo  stato scoperto.  poi singolare, come i soffitti intagliati nel tufo sieno pi elegan- lei il loro cognome anche gli altri re etruschi, cosi esprimendosi quel dotto ed ingegnoso poeta. Nomina videbis, modo namque Petulcius idem, Et modo sacrifico Clusius ore vocor. Questa gi potentissima citt, che fu detta Camars nella lingua dei nostri padri, ( il qual vocabolo per significa lo stesso che il pi moderno Clusium, imperocch le du voci ca, e mar, o mars, che lo compongono, vengono interpetrate, chiuso dalle paludi ); Che la nominarono pure Chiamarle, e Camarsoli, Livio, Eutropio, ed Antonio Sabellico, diede luogo a molte dispute fra gli eruditi per determinare se annoverar si dovesse fra le dodici antiche citt etruschs, capi di origine-, ma le ragioni addotte in contrario non montano a nulla di fronte all unanime consentimento di tutti i pi accreditati scrittori antichi, e moderni, che lo affermano. Ed lo sorto persuaso che non manchino autorit bastanti a provare, che non solo ella fu una delle dodici citt capi d origine, delle quali era composta la famosa, ed antichissima confederazione etnisca residente a Fiesole, che risale per autorit di molti gravissimi scrittori, a 2o5o. anni circa prima dell era volgare, ma che avesse puranco lonore di tener lunga stagione lo scettro sii tutta lEtruria, come lo afferma il dottissimo Dempstero, che sostiene avervelo ella tenuto per 5qo anni di seguito- Di fatti anche Virgilio, parlando di Chiusi -, nomina un suo re chiamato Osi- nio, la cui et  molto antica, essendo quello stesso che trovassi impegnalo nelle guerre eli ebbe a sostenere il Frigio Enea in Italia, contro Turno, ed i Rullili, prima di stabilire i suoi penati in questa bella, e da tutte le straniere nazioni ambita penisola. Ma anche molto avanti che quel Troiano qu navigasse, aveva avuti Chiusi i suoi regnanti, poich si annovera Osinio trentesimo sesto dei regi Etruschi. Ci che basta a togliere lonore della fondazione di tal citt, a Tirreno, a Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a fiorire in potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior altezza nell' una e nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui fu scacciato dal trono Tarquinio Superbo, ne fanno chiara fede gli storici, ed. i poti. Imperocch Livio nel secondo libro della prima deca, narra che i Tarquinii espulsi da Roma, eransi rifugiati presso Larte Porsena re di Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al luogo citato, che giudicando quel valoroso monarca nobilissima impresa per lui l includere quella metropoli nei suoi domimi, mosse a quella volta con poderoso esercito grandemente inanimito contro i Romani, ed avendo posto il campo sul Gianicolo, cinse la citt et assedio, e tanta costernazione vi sparse, che mai prima d allora s gran terrore aveva invaso il senato, ed il popolo romano. Cotanto formidabili erano in quel tempo le genti chiusine, e s grande e temuto suonava per le terre italiche il nome di Porsena . DELL ANTICA CITTA DI CHIUSI li impresa malagevole assai quella di rintracciare le origini delle antichissime citt italiche, i cui fondatori si perdono, per lo pi, nel buio delle et favolose. E quanto furono esse pi cospicue, e pi potenti, per valor d'armi, e per senno dei loro abitanti, per sapienza, e per arti belle, tanto cresce la difficolt di poterne rinvenire con sicurezza, e fissare i cominciamenti Avvegnach i poeti singolarmente, seguiti poi dagli storici ancora, assumendosi l' incarico di celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare che siansi fatto uno studio esclusivo di nasconderci il vero. Questa sorte pertanto  comune con molte altre anche alla nostra famosa Chiusi. Tuttavia, bench io non dissimuli a me stesso, che ben aspro e certamente il cammino, in che sono entrato, e tale forse ancora da non trarmene fuori senza pericolo di smarrirmi tra va -, pure non so astenermi, spintovi da quel caldo amor patrio, che mai non tace negli animi bennati, dallo scrivere alcuna cosa intorno alla citt di Chiusi . E tanto pi volentieri lo faccio, m quanto che pubblicandosi un'Opera ove non sono raccolti che antichi monumenti chiusini, non giudico disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei vetusti tempi quella si splendida, e si rinomata citt. Lasciando pertanto da parte, come, e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o Telemaco ne ponesse le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o sivvero Classo re degli Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di un secondo Tirreno, e se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io lo direi meglio arnpliatore, e ristauralore della medesima, bench s ignori in qual secolo ci avvenisse ), egli  fuor d' ogni dubbio che questa citt risale ad una remotissima origine . Loch peraltro discoprire volendo, e stabilir con certezza, sarebbe lo stesso che mettersi a navigare in un mar senza sponde. Per lo che, scender ad epoche meno lontane, e pi certe, quando gi la citt di Chiusi teneva ampio dominio sull' antica Etruria. Mentre pare da un distico che si legge nel primo libro dei Fasti d Ovidio, che prendessero da Elr. Mas. Chius. zo coll' uccisione del Console Lucio Cevlio, e di 3 ooo soldati, furono dalla valida l'esistenza dei Chiusini obbligati ad abbandonarne l'impresa, e spingersi a sciogliere il freno ai loro furori contro Roma. Lo che narrasi da Lucio Floro nel primo libro della storia romana, e possono consultarsi ancora su questo proposito, Diodoro Siculo, e Polibio. Ne fa pure un cenno Plutarco nella vita di Numa Pompilio, e ne parla pi a lungo in quella di Camillo. Anche la risposta, che lo storico di Cheronea fa pronunziare con barbara confidenza da Brenna condottiero dei Galli, agli ambasciatori romani, che s'erano a lui recati per chiedergli ragione a nome del Senato, del suo procedere verso i Chiusini, infestandone i possessi, disertando i campi, e minacciando la citt, ne fa viepi chiara testimonianza intorno alla celebrit, ed opulenza della medesima, essendosi cosi espresso qul fiero conquistatore. Ci fanno manifesta ingiuria i Chiusini, come coloro che ambiscono di possedere una estensione di compagne, molto maggiore di quella che possono coltivare, e superbamente ricusano di concederne una porzione a noi forestieri, che siamo in gran numero, e poveri. Circa la fertilit poi dell agro chiusino, leggasi Plinio, ove ne loda il frumento, cosi per la qualit sua, come per la quantit che ne produceva. E Marziale erasi prima di lui nell ottavo epigramma del i 3 . libro espresso in tal guisa  Imbue plebejas clusinis pultibus ollas jj. Moltissime altre autorit di antichi scrittori avrei potuto raccogliere, onde mettere in pi chiara luce, ed evidenza, la grandezza, e V opulenza della citt di Chiusi iti remotissimi tempi, la potenza dei suoi re, il valoroso coraggio, e l'operosa industria dei Suoi abitanti, t libert del suo territorio, e lo splendore che la rese tanto famosa per lunga serie di secoli, ma stimo che bastino le gi riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati, per farne concepire, a, chi vorr leggere questo ragionamento, una giusta, e non umile ida. N poteva daltronde dilungarmici gran fatto, attesa V indole di quest' Opera, e la brevit della periferia, cui ho dovuto perci ristringermi nel comporlo. Mi contenter dunque di aggiungere, che venendo puranco ad epoche a noi pi vicine, dopo lo smembramento dell impero romano per opera dei Longobardi, ebbe Chiusi, bench decaduta immensamente dall antico suo lustro, il titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio bibliotecario in s. Zaccaria, che Liutprando mand ad ossequiarlo il suo nipote Agiprando, 0 come leggesi in altro codice Adelprando, duca di Chiusi. Il qual fatto viene riferito egualmente dall autore dell Etruria Regale. Ed anche giunta la citta di Chiusi all estrema sua umiliazione, rimase ognora citt vescovile, come lo  tuttavia, e fregiata di assai privilegi. E si legge in un manoscritto che tratta di cose etnische, e conservasi nella libreria Rondoni JlcJlklh che circa di n' era vescovo un tal Teodosio. Ricavasi pc-i dal decreto di Gregorio, cap. 9. delle costituzioni, che l' anno 3 II qual fatto confermano, oltre Polibio, Dionisio d Allea mas so, ed altri Storici, anche santAgostino nella sua Citt di Dio, Sidonio Apollinare, Chilidiano, Orazio Fiacco, Marziale, Tztze, e molti altri. N parr strana una si gran potenza dei chiusini, ed una tanta opulenza, a chiunque facciasi a riflettere ai magnifici e sontuosi edifizi, dei quali Chiusi adornavasi. E baster riferire a questo proposito la descrizione del labennto fattovi costruire dallo stesso Porsena, perch gli servisse di sepolcro, e che si legge in Plinio al capo decimo terzo del libro trentesimo sesto, ove riporta, co/n ei dice, le parole stesse di Marco V rrone. Fu sepolto, scrive egli, questo monarca, sotto la citt di Chiosi ove erasi fatta inalzare una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa da quattro lati, o muri, ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi in lunghezza, avendone cinquanta di altezza. Nell area interna di nove mila piedi, raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse introdotto senza un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la strada onde uscirne. Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque piramidi, quattro negli angoli, ed una nel mezzo, larghe alla base, ciascuna setlantacinque piedi, ed alte centocinquanta. Slava nella cima d ognuna di esse un grosso globo di bronzo, sovrappostovi un petaso, dal quale scendevano varie catene, cui vedevansi sospesi dei campanelli mobili, e sonanti quand erano agitati dal vento, come raccontasi pure del tempio di Do- dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne sorgevano altre quattro alte cento piedi', sopra le quali era praticato un piano, ed in esso pure si alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo gli annali degli Etruschi veduti da f arro nc, erano tanto alte, quanto il rimanente dell edifizio. Ora domando io : a qual potenza, ed a quanta ricchezza doveva esser salita la citt di Chiusi, onde concepir potesse un suore, e condurre ad effetto la superba idea di fare erigere una fabbrica di questa sorte, per servirsene di sepoltura, quando ancora si voglia credere esagerato un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o stranezza vi  certo, nella surriferita descrizione, giacch  pi agevole il disegnare quelle piramidi sulla carta, come saviamente riflette anche il Pignotti, che il trovar la maniera di farle stare in piedi. Tuttavia per, bench debbasi ridurre la cosa a pi ristretti, e pi giusti limiti', conviene non pertanto ammettere, che la tomba di Porsena fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da superare di gran lunga quanto di pi grandioso fece ammirare V umana vanit nei trascorsi tempi, o si ammira pure nei nostri, presso le altre nazioni, se non per altro per la singolarit della sua costruzione, e per la gigantesca sua mole-, poich tal cose possono ingrandirsi bens dai narratori di esse, ma inventarsi non mai. N meno splendida  da credere che fosse la nostra citt, n inferiore la sua potenza 284 anni pi tardi, quando scesero in Italia i Galli Senonio Avvegna ch avendola quei barbari cinta d assedio, dopo aver battuti i Romani ad Arez- 5 iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse al vescovo di Chiusi, bench se ne taccia il nome nel luogo donde ho tratta questa notizia. E finalmente narrano, il Surio tomo l\, e 1 Usuando nel Martirologio, che il d 3 di luglio, imperando Aureliano, vi conseguirono la palma del martirio i santi Mustiola cugina dell' imperator Claudio ed Ireneo diacono, i cui corpi sono esposti alla venerazione dei fedeli nella stessa citt. Non solamente gli antichi monarchi, ed i grandi Chiusini avevano le loro tombe gentilizie ; ma le private famiglie eziandio, e queste pi c meno grandiose, a seconda della propria condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl  ipogei, che sortosi in buon numero dissepolti finora. E non dispiacer, credio, agli amatori delle cose etrusche, il sapere in qual modo discopronsi cotali sepolcreti. Nei trascorsi tempi era stato il solo caso l'autore di simili ritrovamenti, poich  contadini arando la terra si abbattevano di tempo in tempo in alcuno di essi, senza cercarne. Ma da varii anni a questa parte, la cosa ha cangiato d 3 aspetto e si  determinata la maniera di rinvenirli a colpo sicuro, ed eccone il metodo. Avendo osservato alcuni signori Chiusini, come, e dove erano situati gl ipogei discoperti dal caso, pensarono di fare dei tentativi, saggiando il terreno, per discoprirne degli altri espressamente cercandoli, ove se ne riscontrasse del sovraimpostoj ed i primi saggi \ per essi sperimentati, sortirono un felicissimo effetto. Questi diedero loro animo a procedere ai secondi, e quelli ai terzi, e cos ad altri di mano in mano. Di modo che nel corso di pochi anni se ne scoprirono in tal quantit, che alcuni dei sullodati signori, come fra gli altri, Casuccini, e Sozzi, arricchirono, o formarono di pianta, ragguardevoli collezzioni, di urne funebri, vasi, specchi mistici, idoli, sitale, scarabei, ed altre interessantissime anticaglie. Le quali collezioni si vanno pure di giorno in giorno aumentando, mediante i nuovi scavi che si continuano sempre a fare con caldissimo amore di patria, e senza risparmio di spese. La qual cosa, se e lodevole in un governo, lo  molto pi nella condizione privata. Che al nascimento del cristianesimo, ed al tempo della propagazione di esso, fosse Chiusi tuttavia una rispettabile citt, e fra le prime ad abbracciare la fede evangelica, si deduca ancora da quanto sono per dire. Nelle catacombe che si trovano situate alla distanza di circa un mezzo miglio dalla citt medesima, e delle quali fanno menzione, V Ughelli, il Boldetti, ed altri, essendosi di recente intraprese delle escavazioni, che si vanno proseguendo con ardore, sono stale riaperte molte strade, ove si  rinvenuto un numero considerevolissimo di sepolcri murati a pi ordini, che saranno ben presto formalmente aperti. Nei quali, se per mancanza di autentiche non si potr asserire con sicurezza che vi siano siati sepolti corpi di Santi Martiri, non pu dubitarsi per che abbiano servito di tomba ad individui della primitiva cristianit. In alcuni di essi trovati discoperti si  osservato essere state deposle in ciascuno le ossa d{ due o tre individui : lo che mostra ad evidenza che fosse grande in quei tempi il numero dei cristiani in Chiusi, venendo ci infermato dall  essersi col diretti dalla stessa Roma, diversi seguaci della nuova religione, fra i quali la surriferita Vergine Mustiola, e dall 3 avervi spedito l* imperatol e Aureliano un suo Prefetto per nome Pardo A promano, affine di perseguitarvi i cristiani -, e non pochi di essi vi subirono il martino, come t due santi nominati qui sopra le anime goduto dopo chelleno son separate dal corpo. Furon varie presso gli antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi vediamo frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e nebassirilievi alcune imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono di piacevoli strumenti, poich prevaleva presso di loro la massima che il premio concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna ubriachezza. Al pari dissoluta sembra laltra massima degli Etruschi i quali fanno consistere tal beatitudine nel libero consorzio di ogni senso, per cui si vedono replicatissime pitture nei vasi etruschi dun satiro ed una menade, ai qual soggetto si d nome di baccanale. Men dissoluta  1 immagine del Chiusino scultore antico di questara, ove al suono di variati strumenti ci rappresenta una mimica danza, replicato soggetto nelle sculture pi antiche di Chiusi. Il rilievo di questa  bassissimo, al pari dellantecedente, e il disegno  parimente un terzo del suo originale. JSum. j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi nelle terre deglEtruschi rappresentative della SPERANZA se ne incontrano alcune alate come la presente. Le ragioni che mossero questi popoli ad AMMETTERE LE ALI ALLA SPERANZA, son da me dichiarate nello spiegare i monumenti etruschi, non meno che il significato della veste che tiene scostata dal fianco. Qui soltanto ripeter brevemente, che gl3truschi hanno spesso confuso LA SPERANZA colla Nemesi, dando all una ed allaltra le ali MA LA SPERANZA, A DIFFERENZA DI NEMESI, CONTRAE LA VESTE PER AVER PIU SPEDITO IL PASSO, ONDE MOSTRARE CON QUANTA ANSIETA LATTENDE CHI SPERA. La mano elevata suole aver altres qualche simbolo o significato, ma di questa nulla diremo per esser guasta; e solo avvertiremo esser questo disegno uguale in grandezza al suo originale. JSum. 2 . Lo scarabeo rappresentato in questo num. 2, ha una figura scolpita rozzamente al segno da mostrare una sola gamba, sebben sia nuda in tutto il corpo. Il petto  delineato in guisa che addita esser donna,- e qualora interpetrar si volesse quel che tiene in mano, direbbesi non impropriamente un pomo granato, sicch il combinare con tutto ci latto di stare assisa ci potrebbe far creder che fosse Euridice o Proserpina, entrambe dimoranti all inferno, dove figurasi assiso chi vi  destinato, per mostrar cred io la stanchezza di quella dimora. Cos Teseo condannato all inferno fu non solo cos rappresentato dagli Etruschi 6, 1 Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento v, p. 17 5, sq., e cap. u, 2 Micali, Monuments ant. pour louvrage inlilul p- 110. sq. l'Italie av. la dommation des Romains, Lanzi, Saggio di lingua etrusca, tav. Monum. Etruschi; ser. nij p. 202, sq. n. 2, p. lai 4 Ivi, p. ao 5 ETRUSCO 2D2IL2.1 S&TftiL2 Non vi  soggetto che abbia tanto occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali, quanto i Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i simulacri di quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due estremit delle cotriposizioni, senza che abbiano colle composizioni medesime nessuna connessione storica o favolosa ivi posti manifestamente non solo per ornamento, ma per allusione speciale al passaggio dalla vita alla morte, e nuovamente dalla morte alla vita, come dicevasi dai Gentili che i Dioscuri ebbero da Giove il vicendevole dono della immortalit 3 . Or poich il presente bassorilievo  in unara di quattro facce, ove da ognuna di esse ripetesi a guisa dornato il soggetto medesimo di due giovani equestri, e poich questo monumento  stato ritrovato in una tomba sepolcrale, cos non credo erronea 1interpetrazione ch'io d a tal soggetto dei due dioscuri, ripetuti simmetricamente per ogni faccia dellara. Il rilievo della scultura  bassissimo, eseguito in pietra tofacea, la quale si lavora con molta facilit per esser fragile. Il disegno  un terzo dell originale.  frequentissimo al pari dellantecedente soggetto quello che losservatore trova in queste 4 Tavole distribuito, non altro ivi raffigurandosi che il gaudio mistico dal- i B. rii. del Mus. Borgia riportato dal Millin, Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o. Cori, Inscript. Antiq. in Etruriae urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x. et xGxrti, 2 Inghirami, Monumenti Etruschi, r nuovo negli oggetti ferali laugurio di prosperit che i vivi facevano ai morti, nella fiducia che godessero una vita migliore. Laltezza di questo vaso  un terzo dell originale. tavola. Ecco un saggio dei tanti vasi di bronzo che si trovano a Chiusi. La grandezza del disegno  pari a quella del suo originale, ed ha ornamenti siffatti, che non disdirebbero ad unopera di fusoria dei migliori tempi dell arte; specialmente se consideriamo quel manubrio a cui si leggiadramente vien data la forma d un giovine in atto di riposo. Un altro genere d utensili tutto diverso dai fin qui esposti, occupa la Tav. X, ove pure  diverso in tutto lo stile del disegno che ne traccia la rappresentanza; talch sarei per dire che altri fossero gli artefici e la scuola di scultura, altra quella di plastica, altra quella di fusoria, altra quella gliptica, altra quella di grafito in Chiusi, e che tutte separatamente si vedono in queste dieci tavole. Nel presente disco manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d ogni ub io i Dioscuri: soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perci diconsi spec chi mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza, ragionando dei Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata in alto accenna il cielo, laltro linferno col braccio al basso: attitudine che a meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come dicemmo spiegando la tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente, che questi mistici utensili si trovano tra i cadaveri come un amuleto relativo al transito delle anime da questa all altra vita. Una gran parte di figure in bronzo quasi esattamente simili alla presente si trova in vari musei d Etruria ; e poich io ne vidi alcune che sostenevano un gran disco con una incassatura al lembo di esso, cos mi detti a credere che in antico siano stati specchi di toelette, il cui disco lucido era probabilmente incastrato nella ghiera del disco di bronzo ade r ente alla anzidetta figura, che gli serviva di manico 3, e della grandezza di questo disegno, eh' uguale al bronzo archetipo. Non  dunque inverisimile che essendo questo un vero specchio da toelette, sia quel manico dal quale  retto, la figura di Veneie.3 Ivi, tav. g ma descritto in simile attitudine anche da Virgilio *. La stessa Euridice si vede rappresentata allinferno sedendo per terra, in atto desser liberata da Orfeo * 11 pomo granato nelle mani delle persone infernali  superstizione che usavasi anche tra gli Etruschi, rappresentati nei coperchi delle loro urne cinerarie 3 . Ma in tanta goffaggine chi decide? Num. 3. Lo scarabeo di questo num. sar spiegato con altro d'ugual soggetto. mrriensa variet di forme che sincontra nei vasi sepolcrali, ve ne son 1  j C | 6 ^ 6r  n ' r o uar do meritano d'esser fatte conoscere coi rami per la H r t0 s  n S^ ar  ta ; e per quanto non potremo in questopera dar 0 . o nuna di esse, pure non sapremmo astenerci dal farne conoscere le pi a- 3 ' H t0 r >r *. nc T a ^ menl:e riguardo alla utilit che queste nuove forme poscaie a e aiti meccaniche, ed al miglioramento degli utensili domestici. t . . Pj ente,n questa VII tavola figurato  di terra cotta di color rosso, si- rorrisn 3 m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro vasetti insieme uniti al disotto, ed ai quali  . . n on quattio fori nel recipiente maggiore praticati, onde potrebbero ntrodurvs. quattro diversi liquidi, come si vede chiaramente nel disegno superate " 6 ^  recc liette c ^ e servono di manichi nel vaso di mezzo sono trafoche ' C  me Se V1 fo8Se P assa t a una cordicella per appendere tutta la macchinetta, per ques o aggiunto sembra essere stata di qualche uso. tavola Vili. annoverare preSeiUe  da re P u tarsi antichissimo, qualora non vogliasi mento eli occh' imi ^ tlV0 delIe antiche opere plastiche. I profili con gran  g a  a pert.ss,m. ne. volti che vi son modellati, e quei veli che hanno nera anche^nfll* *' mm, espressi dagli antichi nei monumenti sepolcrali. Avverte chi ha fatto eseguirequesta tavola, che sotto al vaso  copiato un ornato doro dalla parte anteriore, il doppio dell originale, e sotto  disegnata la parte posteriore di esso, della grandezza del monumento, ed aggiunge che le due sfingi rappresentatevi sondi un lavoro mirabilmente finito e minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI ETRUSCHE Quanto saviamente dichiarasi dal eh. pr. Valeriani nel secondo suo dotto ragionamento che segue, mi dispensa dallonere di spiegare le iscrizioni funebri che trovansi nei cinerari etruschi di Chiusi, perche scritti in una lingua perduta. Tuttavia quel barlume che le moderne indagini dei dotti sopra di essa ci fan vedere, sar posto a profitto dall' eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il pi meritamente accreditato in simile materia, onde in fine di questopera trovisi qualche notizia di queste iscrizioni funebri chiusine, che ove lo concede lo spazio vi si distribuiscono, senz altro dirne per ora. V* : IHd-M 3 Pi -O J I- :ian 0qm v : Pi +i f 11  A? 3 d-flq = i anq V >/ di. yfMRY/\ IV. =3 Dliaq => --1 Mti V V -, Mooum. Eu.., set. m. 36 >4 d^osamcnte remota, dice il Pejleuttier nella sua storia dei Celti, gli antichi popoli di questo nome, o i Cello-Sciti, la cui lingua se non  primitiva in un senso assoluto, 10  per lo meno relativamente a quasi tutte le lingue conosciute, s furono sparsi da una parte nell Asia occidentale, e dall altra nell Europa, si estesero in quest ultima regione, gli uni al Settentrione, e gli altri lungo il Danubio. La posterit di questi poi rimontando quel fiume, pervenne in seguito alle sponde del Reno, le quali oltrepass, e riempi delle sue numerose popolazioni tutto l intervallo che si estende dalle Alpi ai Pirenei, e ai due mari. Laonde ovunque la lingua dei Celti mescolandosi agl idiomi indigeni, form delle combinazioni, ov ella domin sensibilmente . Ed anche in quei contorni che aveva trovati deserti, o dai quali aveva fatto scomparire gli abitanti, il celtico si conserv nella sua purit originale. Alcuni secoli dopo la popolazione sempre crescente di questi Celti, o Galli, li costrinse a passare i Pirenei, e le Alpi. In Italia, dopo avere occupato da prima tutto il paese posto al piede delle montagne, eglino si estesero di mano in mano, nel- l'Insubria, nellUmbria, nel paese dei Sabini, in quello degli Etruschi, degli Osci, dei Sanniti, ed in tutto il resto della penisola al d qua del Garigliano. Nel medesimo tempo alcune colonie greche approdarono all estremit orientale dItalia, e vi formarono degli stabilimenti. Lasciami poi ben presto le sponde del mare, e spingendosi sempre avanti, incontrarono finalmente i Celti, che continuavano pure dal canto loro ad avanzarsi ancor essi  Dopo alcune guerre, poich questo  sempre 11 primo caso dei due popoli che s incontrano j s riunirono nell antico Lazio, e non vi formarono pi che una sola societ, che prese il nome di popolo latino. Allora le lingue delle due nazioni si mescolarono insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti. N bisogna dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il celtico un gran vantaggio. Il greco, che non  allora, o a grandissima distanza, la lingua di Omero, di Platone, doveva dal canto suo il nascimento ad un miscuglio di mercatanti fenci, d avventurieri di Frigia, di Macedonia e d llliria, e d quegli antichi Celto-Sciti, che mentre i loro compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull' Asia occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi la Grecia. Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava di nuovo col celtico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua latina, che rozza nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col tempo, divenne in fine la lngua di Terenzio, di Cicerone, di Orazio, e di Virgilio. Ed  questa medesima lingua latina, che dopo un si bel regno terminato con un s lungo e tristo tramonto, veniva ad amalgamarsi ancora unaltra volta col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti dei Goti, dei Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco tempo dopo la lingua di Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali considerazioni, e per quelle gi riferite in questo ragionamento, io credo che si debba battere un cammino diverso da quello che si  battuto finora dagli archeologi, nell investigazioni intorno gli antichi Etruschi, ed al loro linguaggio. E non gi perdi io abbia la nati d sopra, molta gratitudine dobbiamo avere ai Signori, Vermiglol, Zannoni, Mleali. Orioli, Ciampi, e pi particolarmente all infaticabile cav In- giurami, per i tentativi che tutti questi hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi, affine di condurci vie pi addentro nei penetrali delle cose etrusche, non ci siamo non pertanto finqu partiti, quanto alla lingua, dal punto dove eravamo cinquanta, o sessanta anni, per non dire quasi un secolo addietro. N qui sarebbe per avventura fuor di proposito lo stabilirese la nazione etrusco debbasi avere assolutamente nel numero delle perdute, e nel caso affermativo determinare il come, e il quando sia questo avvenuto, oppure considerare la dobbiamo come trasfusa nella romana, o combinata con tutte quelle che invasero a piu riprese lItalia. Ma siccome cotali ricerche mi farebbero deviar troppo dallo scopo che mi sono prefisso in questo discorso, e mi trarrebbero troppo in lungo, cosi le serbo ad altro tempo, e ad altro lavoro. E per istringermipi dappresso al mio soggetto, dovremo noi riguardare la lingua etnisca, o come primigenia, e indi genia dell antica Etruna,o come proveniente da altro pi vetusto idioma italico-, o sivvero come un composto di pi dialetti stranieri, combinati collindigeno, quali sarebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco antico, il traco-frigio, ed altri, qua portati a diverse epoche dalle varie colonie che si venneroa stabilire nelle nostre belle contrade. Riflettendo che tutti gli archeologi, i quali procacciarono di rischiarare questa materia oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso finora circa lintelligenza dell antica favella dei nostri padri, e quelli che pretesero di trarla dall Oriente senza alcun altro soccorso, e quelli che la vollero derivare dai greci e i fautori dell antico latino $ pare che ne inviti la sana critica, e ne sproni il buon senso, a tentare un altra via, per vedere se si giungesse finalmente a sciogliere questo famoso nodo gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si pu raccogliere di antichissimo italico, donde procede in gran parte il vcchio latino, non trascurando il greco, per le ragioni che svilupper altrove, e ricorrendo pure ai dialetti annoverati qui sopra, si possa con sicurezza avanzare qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un compiuto alfabeto, e quindi a bn leggere, ed intendere, tutto quello che ci rimane di etrusco. Imperocch, sia che abbia veramente esistito una lingua primitiva, della quale tutte le altre non siano che derivazioni, e prodotti, o sia che le diverse popolazioni umane siensi fatta da principio, ciascuna la sua lingua, e che per moltiplicate combinazioni, e dopo una lunga serie di secoli, questi diversi idiomi particolari siano venuti, per cosi dire, a fondersi in un idioma generale, che in seguito poi siasi diviso, e suddiviso di nuovo, in lingue, e in dialetti diversi, vi sono pochi argomenti pi degni dell attenzione del filologo, e del filosofo ad un tempo, di queste formazioni, di queste separazioni e di queste riunioni d linguaggi, che indicano le principali epoche della formazione, della separazione, e della riunione dei popoli. Lidioma latino che disparve al nascere dell'italiano, era stato in una molto recondita antichit il prodotto di una simile rivoluzione. Quando ad un' epoca pr- Porgiamo alla considerazione dello spettatore in questo disegno la pi grande urna in marmo che siasi fin ora trovata nei moderni scavi di Chiusi, misurando in lunghezza circa 4 braccia. Ha nel cornicione superiore una lunga iscrizione etnisca, ma disgraziatamente dipinta, e non conservata come desiderar si potrebbe per l'intelligenza compita, quantunque da quel che resta comprendesi essere un aggregato di nomi famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la rappresentanza della scultura, ove si vede la moglie che dal marito congedasi, o questo da quella per girsene allaltra vita. Una Furia come addetta al ministero delle anime, abbracciando la donna par che indichi esser lei la defonta, e non 1 uomo che il soggetto ivi appella. Infatti contiene il coperchio dellurna una donna, come vedremo. Termina la composizione con altre due Furie, una delle quali  pronta a ricever lanima alla porta infernale per dove passavasi quindi agli Elisi a ; e le altre cinque figure intermedie non altro significano a mio credere che parenti, e forse anche estinti antenati, dequali siansi voluti rammentare i nomi nella iscrizione. Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria uno dei principali ornamenti del Mueo Casuccini di Chiusi. Ecco il coperchio in marmo dell urna gi osservata nella Tavola antecedente. Quivi e una donna mutilata in parte, come esser sogliono le sculture sepolcrali visitate dai primitivi cristiani, ed in quella occasione depredati quei loro sepolcri; ma pure non sempre del tutto, e infatti si  trovato in Chiusi qualche ornamento doro uguale alla collana che riccamente scende sul petto di questa defonta, la quale  succinta, come esser sogliono le protome delle donne. Ha in mano un pomo granato, conforme davansi a chi si portava all inferno. Quando si volesse dare una interpetrazione a questoscuro soggetto in bassorilievo, si potrebbe dire essere il giovane Astianatte genuflesso sul larario, in atto di venire immolato al furore di Pirro. Il monumento  unurna di terra cotta non molto conservata. Monum. Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi, p. 177, 46. 3 Ivi, ser. 11, p. 229, a 3 o. stolta presunzione di credermi pi perspicace, e pi istrutto di quei dottissimi, che si affaticarono in clamo su questo istesso argomento, ma solamente perch il tentar nuove strade in materia cotanto astrusa,  permesso a chi che sia, particolarmente quando tutte quelle tentate finora, non sono opportune a condurci a buon porto . E perch  pur vero che non di rado tocc in sorte ad uomini di mediocre ingegno e sapere, il discoprimento di ci che rimase lungamente occulto alle pi profonde, e costanti ricerche di sapientissimi osservatori. Protesto peraltro ampiamente desser pronto ad abbandonare la mia opinione su questo proposito, quando i dotti me ne oppongano un altra pi plausibile, e pi idonea allo scopo cui  diretta. Essendo io scevro affatto di ogni particolare affezione per essa, ed alienissimo da qualunque spirito di sistema, n altro cercando che la verit . Avvegna che, una delle cause positive, anzi la principale, a mio credere, che abbia cos ritardalo, ed impedito la scoperta del vero in questa materia,  stato senza dubbio lo spirito di sistema, portatovi da ciascuno di quegli archeologi, che vi esercitarono con particolari indagini il proprio ingegno, ostinandosi, e forzandosi per ogni maniera, a derivare da un solo fonte la Unga etnisca. Idifatti, niente  pi funesto ai veri progressi delle scienze, n pi contrario al discoprimento della verit, di quello che lo sia uno spirito sistematico. Imperocch tutto allora si sconvolge, si contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo comunque al proprio sistema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto, convenire con quello . Ma chi adopra in tal guisa, non v altrimenti in cerca del vero, e si affatica soltanto a rinvenire ci che egli si  preventivamente immaginato di dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali pretesero di far venire gli Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri Orientali, crederono di vedere perfino la forma delle lettere etnische, in quella delle ebraiche, e pi specialmente delle cosi dette sanimaritane, bench non ve ne fosse la minima idea. E t.enevansi tanto pi sicuri del fatto loro, in quanto che usarono i nostri antichi padri condurre la loro scrittura da destra a sinistra, come glebrei, i Sammarilani,ed altri popoli dellOriente.I S mancarono di viepi confermarsi in tale opinione, osservando alcune voci etrusche, simili, o provenienti dai dialetti semitici-, quasi che fossero queste argomento bastante a costituire la identit di origine dell' etrusco con quelli, e non sapessero tutti i filologi, che sincontrano delle voci simili di suono, e di significato ancora, in quasi tutte le lingue conosciute, senza poter giungere a provare per questa via, che l una derivi con sicurezza dall' altra, e tutte da un fonte comune. Mentre sono tali somiglianze, ed analoge, il prodotto di quei mescolamenti, dei quali ho parlato in principio. E con tanta maggiore facilit debbono essersi mischiate, e combinate non poche voci orientali all etrusche, per lo commercio singolarmente dei Fenici coi nostri antenati, in epoche da noi remotissime, come altrove si  detto-, insegnandoci concordemente gli antichi scrittori quanto in ci valessero gletruschi, o Tirreni, e come signoreggiassero i due mav che circondano Italia, cui diedero perfino il nome. si vede nel manico  il sole, come io spiegher meglio in seguito, e l'atto delle mani e dei piedi che volgesi in alto, in basso e per ogni senso,  simbolo della generale influenza dei suoi raggi, cbe si spargono in giro Gli ornamenti a bassorilievo che circondano questo vaso NON HANNO UN SIGNIFICATO DIVERSO da quei che vedemmo alle yavole, ed  perci inutile ripetere ulteriormente il gi detto. M immagino che la figura qui espressa, e ripetuta pi volte in molti vasi trovati nei sepolcri, possa esser Marte, il quale significar vi debba, che il tempo in cui domina quel pianeta  lautunno, come in altri monumenti se ne vede l'indizio i 2, e questo tempo vi si rammentava per la ricorrenza del suffragio delle anime 3, al quale oggetto erano istituite feste ed offerte ; o forse rammentasi la deit deglitali primitivi. Sono assai numerosi gl idoli femminili in bronzo di piccola dimensione pari al presente, eh io credo essere stati nominati comunemente dagli antichi gli Dei Lari, o Penati, o Geni tutelari, e Giunoni 4, quando, come questa statuetta, erano femmine; e dice vasi che ogni donna aveva la sua Giunne per protettrice 5 . Il gusto dei Greci, come ricaviamo dalle opere loro trovate in Ercolano e Pompei, era dinventare ornamenti per le suppellettili anche non attinenti al fasto ed al lusso, dove introducevano con molto genio ed ingegno animali ed umane figure : genio che si propag per lItalia, come vediamo nelle opere di Chiusi, di che abbiamo un bell esempio nei due manichi di bronzo incisi in questa XXHI Tavola, un de'quali ha un mascherone bizzarramente travisato con fogliami, fiori ed una barba assai schersosamente spartita. Bella  parimente limmagine dellaltro manubrio disegnato di faccia e di profilo, dove si vede un anima- i Monumenti etr., ser. 11, Tay. xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser. 1, p. 279. % Ivi, ser. vi, tay. F2, num. 3, p. 17 5 Virgil. Aneid., Ovid., fastor. 5x2, 544 * y* 4 ^ 5 .notabile che i coperchi delle urne in terra cotta sieno di miglior modello eh esser non sogliono quelli scolpiti in pietra N  chiaro esempio questa re- combente figura che serv di coperchio all urna precedentemente esposta. Ognun vede quanto il panneggiamento sia pi ragionato nelle pieghe di quel che osservammo allaTav. XIV ove ne reputammo lurna spettante a ricca matrona. Chi sa che il lusso de marmi non prevalesse in tempo della maggior decadenza delle arti ? La muliebre figura qui esposta fu eseguita in fragile pietra tofacea e trovata acefala in un sepolcro, colla particolarit che il collo  vuoto come anche il torso, ed  servito per deposito d umane ceneri e d J ossa cremate, che vi si trovarono al- 1 aprir della tomba, ove la statua era sepolta. Il significato non  facile a penetrarsi, ma dal pomo che ha in mano, e dall atto sedente, non sarebbe fuor di proposito il congetturarne che fosse una Proserpina, la quale riceve unitamente col suo consorte Plutone le anime che scendono al Tartaro. Difatti anche al Museo Pio dementino vedonsi que due numi sedenti a . La singolarit dell esposto monumento esige che se ne mostri anche la parte avversa alla gi veduta. Ivi pi chiaramente si nota che a formarne il magnifico sedile concorrono i simulacri di due sfingi, le quali assai frequentemente sincontrano in monumenti ferali; poich la sfinge reputavasi animale chimerico infernale 3, e perci attamente posti ad ornar la sedia della divinit che attende alle anime trapassate da questa all altra vita. La frequenza dei volti velati che vedonsi neyasi di terra nera, come in questo, non lasciano luogo a porre in dubbio se siano o n rappresentanze di larve o Lemuri, cio delle anime 5, ed il gallo che sovrasta al vaso, pare, come ho detto altrove 6, indubitato simbolo del buon augurio di felicit nella futura vita, che a quelle anime predicevasi dai superstiti viventi. La figura con faccia larvata che 1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e ser. vi, Tav. i, pag. ai, 52. Visconti, Mus. P. Clem. Voi. li. Tav. 3 Monum. etr. er. i, p. 582. Etr. Mas. Chius. SULL ALFABETO ETRUSCO Uopo che gli uomini ebbero trovato coll uso naturale degli organi della parola, un mezzo facile di comunicare i loro pensieri ai presenti, cercarono, e trovarono in seguito, quello di parlare agli assenti, e di rammentare a se stessi, ed altrui, ci che era stato pensato, e detto da loro, e da altri, e ci ancora di che erano convenuti insieme. La prima cosa pertanto che si presentasse loro allo spirito in questa ricerca, furono le figure geroglifiche ; ma colai segni non erano abbastanza chiari, e precisi, n abbastanza univoci, per adempire lo scopo che avevasi in mira, di fissare cio la parola, e di farne un monumento pi espressivo del marmo, e del bronzo. Il desiderio dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno, fecero finalmente immaginare quei particolari segni, che noi chiamiamo lettere ognuna delle quali f destinata a notare uno dei suoni smplici, che formano le parole', la riunione dei quali segni,  ci che dicesi alfabeto. Volendo per risalire fino alla prima origine d questo maraviglioso ritrovamento, rischieremo sempre di smarrirsi senza riparo, in un mare di oscurit, e dincertezze, e circa V epoca in cui giunsero gli uomini ad un si nobile discoprimento, e circa la nazione che prima di ogni altra vi pervenne. Lasciando perci da parte la ricerca di quello che io giudico moralmente impossibile a rinvenirsi, volger le mie indagini a cosa pi certa, od almeno piu probabile, qual e la quistione, se gli Etruschi, od i Greci fossero i primi a far uso di una cosi bella, ed utile invenzione. E qui pure siamo costretti a navigare, presso che senza bussola, m un ampio pelago, sparso di profondissimi vortici, d' orribili mostri, e di scogli assai pericolosi. Imperocch, se molti dotti sostennero, e sostengono tuttavia che i Greci sono anteriori agli Etruschi nelluso dell alfabeto, e vengono riguardati come i maestri di essi, in qualsivoglia arte o scienza, non  per altra parte minore il numero, n di minor momento V autorit di quelli, che citar si possono per sostenere il contrario. Perloch io aderisco a questi ultimi, sembrandomi la loro opinione pi ragionevole, e pi giusta, ed i sostenitori di essa persuadendomi colle loro ragioni, ci che non giungono a fare i propagatori del grecismo, ad onta ancora di tutte le parole greche, o grecizzanti, che s incontrano ad ogni passo in quasi tutti i monumenti etruschi, discoperti finqui, avvegnach intorno a le mostruoso, che per aver motivo d' essere attaccato al vaso figura di morderlo. Sotto  un Ercoletto giovane, che tiene la mano alzata, vibrando la clava in segno di recar danno e morte, ed ha cinti i lombi colla pelle di leone, simboleggiando di non curarsi della generazione, come  proprio drcole quando figura il sole iemale. Difatti rispetto ai viventi  il sole che loro apporta la vita colluniversale tepore della natura in primavera, e porta danni o morte col raffreddamento del tempo iemale. Qual simbolo pu dunque esser pi adattato a decorare un sepolcro, che quello dove rammentasi la vicendevole transizione dalla vita alla morte? Lo scarabeo di cui si vede f impronta ha inciso un centauro con un fanciullo sul dorso, forse Chirone col giovane Achille che dicesi da taluno essere stato affidato a quel mostro per riceverne la puerile educazione. La rappresentanza di questo specchio mistico sarebbe forse difficile ad inter- petrarsi, qualora non fossene venuto a luce un altro di quasi ugual soggetto. In quello vedesi Giunone sedente in atto di porgere ad Ercole la mammella, perch ne succhiasse il latte, il ch succede alla presenza di Mercurio 3 . Sappiamo infatti che Giove bramava che Ercole per ottenere limmortalit, bench nato da mortai femmina, sorbisse almeno latte divino, onde per uno dei soliti inganni frequentissimi nella mitologia, Giunone gliel porse senza avvedersene. Mercurio vi si crede introdotto, per attestare ad Ercole daver egli pure profittato di tale arguzia, per entrar fra gli Dei, bench nato da Maia donna mortale. Qui non  espresso latto di Giunone per allattar Ercole, ma pur vi si vede Mercurio che si fa noto col suo cappello, e par che accenni d aver profittato egli stesso dellespediente che suggerisce ad Ercole, il quale gli sta davanti. Ha la clava, in mano ed un piede elevato, indicando che salir deve all immortalit 3 per opera di Giunone 6 eh  fra loro. fli8vq :ian8 j v :ioj vi. j a 11 y fi j 1 :i n tnq r = o 4 vii. 1 f\ il 8 4 Y d : fi m 3 4 t :42 vili. -ifi n t v t :o 4 . in i n q n o n lx - -4/nm-rfl4 itntnqfl .-4sa x. Monumenti etr. Galleria Omerica Tom. ii, Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De pateris ariliquor.ex schedis Blandirli Sermo ed epislolae tab. 4 Diodor., Sic. Bibliot. bist. Mon. etr. ser.n, Tavv. lxxu, lxxii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni, Lettere di etrusca erudizione pubblicate dall Inghirami, pure in ogni tempo di tracciare nello stesso modo le loro scritture. E tutti, c/uesti ultimi specialmente, furono sempre uniformi in questo, ad eccezione degli Etiopi soli, e degli Abissini, che sebbene parlino, e scrivano un dialetto semitico, scrivono tuttavia da sinistra a destra, come gl Indiani, ed i segni deliaco alfabeto hanno un valore sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il tibetano, ciascuno dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una vocale, e forma una sillaba. Ci che non accade in nessuno degli alfabeti europei, e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono pure delineati da sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana lopinione di quelli, i quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti, fossero discesi in prima orgine da una colonia, o emigrazione asiatica. Ma di ci altrove. E se i Persiani, ed i Turchi scrivono da destra a sinistra, bench la lingua dei primi venga dalle Indie, e quella dei secondi dalla Tartaria, ci procede dall aver tanto gli uni, che gli altri adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso la religione del borano. Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti caratteri, non  da maravigliarsi n punto n poco, se essi non abbiano ardito d alterarli, n quanto alla primitiva lor forma, n quanto alle maniere di rappresentarli colla scrittura. Ch del resto ben diversi riscontratisi gli antichi caratteri persiani chiamati zendici, e pelvici, come assai differenti ritrovatisi, e pel modo di scrverli, e perla loro forma, ofigura, quelli dei Tartari. Ci premesso o siano stati gli Etruschi i ritrovatori dellalfabeto che porta il loro nome, o labbiano composto di pi antichi alfabeti italici, o V abbiano derivato da altrove, come pare dai nomi stessi che portano le lettere del medesimo, bench sia diffcilissimo, e forse impossibile a provarsi, per mancanza di documenti sicuri, il come, ed il quando abbiano ci fatto-,  peraltro fuor dogni dubbio, che i Greci non lo comunicarono loro, e non furono per conseguenza i loro maestr.Che anzi  da credere che sia accaduto tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione mitissima, e potentissima in et molto remote, e quando la Grecia era tuttora barbara, e selvaggia, 1 abbiano comunicato ai Fenici per via di commercio, e che da quelli passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ci che sostengono quasi tutti gli antichi scrittori, cio, che Cadmo facesse loro il dono del primo alfabeto. Del qual Cadmo scrive Plutarco nei Simposiaci iib. 9 quist. 5, che quel sapiente pose Z'aleph, o alpha per prima lettera del suo alfabeto, perch cosi chiamasi il bue nella lingua dei Fenci, il quale animale non  da stimarsi n secondo n terzo fra le cose necessarie all uomo come pens Esiodo. Circa poi al grecismo, che sincontra nell etrusco, e nellEtruria, e circa le arti greche, che vi si osservano, come ancora in altre parti dItalia, ne parler a lungo in un discorso, che tutto si aggirer intorno a questa materia, esclusivamente da ogni altro oggetto. E prover allora, che lidioma degli antichi Etruschi  nel suo fondo tutt' altra cosa che greco; dimostrando ad un tempo, in qual modo, e questo grecismo sian da dirsi alcune cose eli io riserbo ad un altro ragionamento. Ma ritornando al titolo del mio discorso, cosa  V alfabeto etrusco?  questo un prodotto indigeno dell antica Etruria, o sivvero vi fa trasportato da altra parte del mondo? E se qua venne da estranei lidi, chi fu mai quel benefico straniero, che fece all  Etruria un dono cosi prezioso ? Ed in questa supposizione, pass egli ai nostri antenati dall Oriente, oppure dall antica Grecia ? O si compose egli forse degli elementi di pi antichi alfabeti italici, o di questi, e del pelasgo fra loro mescolati, e confusi ? E se vi fossero ragioni bastanti a dichiararlo prodotto indigeno, a quale epoca rimonterebbe l antichit sua, ed a quale ammettendo che sia frutto straniero, e per qual mezzo pervenne ai padri nostri? A tutte queste quistiom, che possono opportunamente esser mosse intorno al tema che ho tra mano, io mi studier di rispondere, quanto meglio e pi concisamente per me si potr, e come sar possibile rispondere, in qusto breve ragionamento, m una materia cosi oscura, e difficile  E circa alla prima quistione, l alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo presentemente, non  certo una cosa diversa dall antico alfabeto greco, ma sono anzi talmente somiglianti fra loro, se tolgasi il rovesciamento delle lettere nell uno di essi, da doverli giudicare al confronto, senza timore d ingannarsi, la stessa cosa, sia diesi riguardi la forma delle lettere, o si consideri l uso delle medesime, N giova opporre a questa asserzione, la maniera di scrivere degli Etruschi da destra a sinistra, avvegnach usavano di fare lo stesso anche gli antichi Greci, prima dell et di Pronapide, che si pretende essere stato il maestro di Omero. Che anzi esser potrebbe credi io, una tale particolarit, un argomento favorevole agli Etruschi, per crederli i ritrovatori del loro alfabeto Al che si aggiungerebbe forza non poca, considerando l antichit loro, pi recondita assai di quella dei Greci. E pi ancora verrebbe avvalorato, e confermato un tale argomento, che gli Etruschi, cio, siano stati eglino stessi gli autori del loro alfabeto, riflettendo che i medesimi continuarono in ogni tempo a scrivere, ed anche sotto la dominazione dei Romani, da destra a sinistra-, lo che non avvenne dei Greci, iquali cangiarono metodo, e presero a condurre la loro scrittura da sinistra a destra. Ora  pi ragionevole il credere, che il rovesciamento degli elementi alfabetici, e del modo di scrivere, siasi operato da chi lapprese da altri, che da chi ne f l inventore. E questo rovesciamento di scrittura presso i Greci, vuoisi fissare, come di sopra accennava, ai tempi omerici, o di Pronapide. A questo argomento per se ne potrebbe, per avventura, opporre un altro, dicendo, ch giusto appunto perch gli Etruschi scrissero sempre conducendo, e tracciando i caratteri da destra a sinistra, non debbono riguardarsi come i ritrovatori del loro alfabeto, ma convien credere che lo abbiano ricevuto da qualcuno dei popoli asiatici, e particolarmente di quelli cos detti semitici.,  quali usarono T-;,- Per la qual cosa, mi pare che dopo tutto quello che ho detto finqui', si possa rispondere alle questioni proposte in questo medesimo discorso, che V alfabeto etrusco non  venuto dal greco, ma bens questo da quello j che desso non  primitivamente indigeno dell antica Etruria, quanto ai suoi elementi, i quali furono qu portati da una emigrazione antica, in tempi tanto reconditi da non poterne fissar V epoca precisa, e che s ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi lo portasse il primo fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell' alfabeto etrusco, in et da noi remotissime, dettero un ragionamento a parte, che verr pubblicato in seguito in quest opera stessa. Ci peraltro non vuol gi dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua del tutto asiatica, come la giudicarono troppo leggermente alcuni filologi, sebbene asiatici si riscontrino l antico culto, e la maggior parte dei riti religiosi, e civili degli Etruschi. Or qui farebbe di mestieri combattere, e confutare tutte le opinioni contrarie ; n io sarei alieno dal prendermi un tale assunto, se i limiti prescritti a questi ragionamenti, nei quali non deve olt repassare, per lindole dell' opera cui son destinati, la periferia di poche pagine di stampa per ognuno di essi, me lo concedessero. Non potendo ci fare, nel modo che si converrebbe, mi ristringer ad aggiungere quanto segue, e mi terr per ora contento di questo. Il Cori, il Majfei, ed il Mazzocchi confrontando gli alfabeti punico, e celtibero, o cantabro colletrusco, dicono che vi trovarono minore analogia, quanto alla forma dlie lettere, che coll ebraico. Il Donati poi che fece la stessa cosa nei suoi Dittici seguitando le osservazioni, che avevano gi fatte prima di lui a questo proposito, l Aquila, Teodozione e San Girolamo, scrive nell opera sua intorno alle iscrizioni, che quelle cos dette Cizzie, sono riguardo ai caratteri, mollo simili alle etnische j e lo stesso dice ancora del marmo Sanvicense conservato in Osford, che vuoisi pi antico della guerra troiana, e dei caratteri incisi sulla lamina bustrofeda di bronzo, riportata dal prelodato Majfei nella sua Critica Lapidaria, non meno che di quelli sulla colonnetta del Museo Nani di Venezia, giudicata pelasga-tirrena, bench fosse ritrovata a Mitilene . Questi monumenti, che si credono tutti scrtti in greco antico, e per essere questo mollo simile all etrusco, specialmente circa la forma delle lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo, o convalidare l' opinione di coloro, i quali pensarono che il greco antico,  l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per giunta alla derrata, la lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza avere peraltro mai pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero pi antichi degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili come un assioma, che la lingua etrusco era greca in non differiva da quella che nel dialetto, nella quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da altri. Ne si avvidero, n lui stesso, n i suoi seguaci, che i Pelasghi, i lirrem, i Pladani, i Lidii, gli Arcadi, e gli Ausoni, sono perch s J introdussero nell' etrusco, e nll' Etruria propriamente detta, quel grecismo, e quelle arti. Che in quanto alla somiglianza, ed anche identit dei caratteri etruschi, e greci antichi, sii di che fondarono finora il loro pi valido argomento tutti gli archeologi fautori del grecismo, per asserire che l' etrusco, ed il greco antico sono in ultima analisi la medesima lingua,  il pi frivolo, ed anche il pi ridicolo ragionamento, che immaginar mai si possa, Avvegnach, vale lo stesso che se io ragionassi cosi: glitaliani, i francesi, i fiamminghi, gli spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed altri popoli d'Europa, come gl'inglesi, i dalmati, e glolandesi, si servono dello stesso alfabeto per iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle lingue sono la stessa cosa. Ma quante sono in antico le lettere dell alfabeto etrusco, poich essendone stati pubblicati finora dagli antiquari fino a tredici, o quattordici, chi ne conta un numero maggiore, e chi minore; ed il laborioso, e dotto abbate Lanzi ne ammette venti nel suo ? Si deve credere che fossero sempre in egual numero, oppure che venisse questo accresciuto a pi riprese, e ad epoche diverse, come si narra essere avvenuto dal greco, il quale f condotto fino al numero di ventiquattro lettere, bench non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non sarebbe questa una ragione di pi, onde confermare ci che accennava poc anzi, che l alfabeto, cio, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici, e da questi ai Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi alfabeti italici oltrepass mai il numero di sedici lettere? Difatti nei piu antichi monumenti, fra i quali nessuno vorr contradire che siano da riporsi gli atti dei fratelli Ar- vali, non se ne contano che sedici sole. Di pi non trovandosi mai usato l o nelle epigrafi antiche veramente etnische, riscontrandosi questa lettera fra quelle degli altri monumenti italici parimente antichi, come pure fra le prime sedici dell alfabeto greco, cosi detto cadrneo, s pu dubitare se gletruschi ne avessero neppur tante in principio, e cresce sempre pi la probabilit della mia asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio, le lettere dell alfabeto cadrneo furono le seguenti . cio: ab r a eikamnoiipstt. Alle quali poi ne aggiunse quattro Palamede, che sono, e 3 $ x. E finalmente Simonide lo accrebbe di altre quattro, cio, zi va. E pare anche ben naturale, come f pure osservato dall erudito filologo francese Sig. Letronne, che quei primi sedici caratteri siano stati inventati avanti agli altri, perch rappresentano i sedici tuoni elementari, o semplici, ch formar si possono colla bocca umana, sia per intuonazione, o per articolazione. Mentre gli altri caratteri aggiunti a questi, ed usati negli alfabeti dei differenti popoli, esprimono, o delle gradazioni di quei suoni principali, o la riunione eli pi articolazioni in una sola . Di maniera che ognuno di essi pu essere pi, o meno esattamente decomposto nei primitivi suoni eh egli contiene. Che s regola di sana critica di non prestar fede agli antichi poeti, in tutto ci che narrano di sovrumano, e di misterioso, lo  del pari di rintracciare il vero anche in mezzo alla favola, che viene giustamente definita dai sapienti, il velo deila verit, e della storia. Ipoeti dell antichit, ch erano pi istruiti di tutti gli uomini dellet loro non inventarono, come si crede male a proposito, le favole, ma bens adornarono con finzioni la storia . Rimossele quali finzioni,  cosa ben facile di rinvenire la verit, nei pi notabili avvenimenti per essi narrati, e abbelliti. Cosi la pensa Agostino nel lib. della Citt di Dio. E ci avverte Vossio nell aureo suo trattato De fatione studiorum, che non si dicono favolose le antiche et, perch sia falso ci che di essici vien riferito dagli scrit-, tori, ma perch la storia di quella ci  pervenuta insieme colle favole mista, e confusa. /u M : oj : ntriq r : oqflj v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l = irnoai 4 /ini AD Jflmq 3E : Am 34t : 44 -1V84flHMI3:3Hiq3:q/1 4/mmq vo  IHltfl 4 14 : I ?434 : I \IA8 JAMAJll V A'! vq 1 : U434 .- A n 33 4fl mif A4 : Al 3 f 25 tutti popoli anteriori ai Greci, e che trovansi tutti amalgamati cogli Etruschi nelle et pi lontane. Perloch convien dire che siano gletruschi stessi, i quali portino diverse denominazioni, dalle diverse provincie d loro abitate, nelle quali era divisa lantica Etruria. E come oggi i fiorentini, i senesi, i pisani, i lucchesi,  magellani, i casentinesi, e simili, sono tutti toscani, cosi pure nei pi reconditi tempi gli Umbri, gli Enotrl, gli Aborigeni, e tutti gli altri annoverati di sopra, erano Etruschi. Silio Italico lib. a. 0 chiama Ausonia la Lombardia. Ed Eliano lib. 8. della Varia istoria, crede che gli Ausoniifossero i primi abitatori di Italia-, mentre Pirgilio nel io. 0 dell Eneide, li confonde con quelli che popolavano questa bella penisola sotto il regno di Saturno. Servio poi commentando un tal passo, dice che gli Ausonii furono s dei primi popolatori c Italia, ma non gi i primi di tutti, nei soli. Ed ecco perch alcuni scrittori hanno compreso sotto il nome di Ausonia tutta lItalia. Ora tutti i surriferiti popoli, non esclusi neppure i Latini, che molti autori vogliono che fossero diversi, e dagl Italici propriamente detti, e dagli Etruschi, ripetono la loro prima origine da una colonia, o emigrazione qua venuta dallAsia, in tempi forse al di l di quelli che da noi son detti storici. Lo che fu negato acremente da altri per la sola ragione di potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di Etruria, e che vi sintrodussero insieme con essi, le arti e le scienze, e perfino la cognizione dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza offendere il senso comune, che queste regioni erano popolate molti secoli prima che i Greci le conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in seguito delle colonie, conviene di necessit ammettere, che i Greci non furono i primi abitatori dItalia, e per conseguenza neppure di Etruria, e molto meno insegnarono loro a parlare. Quando peraltro non voglia credersi, ch i popoli italici, e gli Etruschi, fossero tutti muti prima dell arrivo dei Greci fra loro. Laonde cade, e si annulla il sistema dei fautori del grecismo. Macrobio infatti ammette un diluvio, non gi ai tempi di Deucalione, e di Ogi- ge, ma bens a quello di Giano, chei qualifica per primo re di tutta l'Italia. E Dionisio dAlicarnasso, che  sempre in contradizione con se stesso, dopo avere scritto che i Pelasghi furono i primi popolatori d! Italia, che 5oo anni prima di Giano ne scacciarono i Siculi, e che gli Enotri eransi prima dei Siculi stabiliti nell Umbria, pretende poi di darci ad intendere, e farci credere, che Giano precedesse la venuta di Enea in Italia di un solo secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto secolo d oro, ossia il secolo della pace, e della giustizia, fu secondo Virgilio, ed altri scrittori antichi, quello in cui regnarono Saturno, e Giano, questo non pu essere stato posteriore all et di No, e de'suoi figli, che dietro gli insegnamenti paterni, calcarono essi pure la via della giustizia, e coltivarono tutte le virt sociali. Etr  Mas. Chius. Tom. nemico se gli Dei, per suggerimento di Nettuno, non lo avessero voluto salvo 2 . Or non vedi qui pure Achille che tenendo lo scudo lungi da se, pone mano alla spada ? Non vedi il Tanato che quasi obbrobriato volge il tergo alla pugna col suo martello sugli omeri, per mostrare che morte non avea luogo in quel conflitto, perch ad ogni costo dovevasi Enea salvare alla gloria dItalia? Questo disegno  una quarta parte del suo originale in marmo d alto rilievo. Qui si mostrano i due laterali scolpiti del cinerario che  nella Tavola. Nell'uno e nellaltro sono rozzamente indicate due porte, che rappresentano, credo io, le infernali, alla custodia delle quali stan vigilanti due ministri del Tartaro. La figura femminile al num. 2  visibilmente una Furia, come dichiaralo quella face che regge con ambe le mani; di che detti altri cenni 3 ; la virile col martello sugli omeri  il Tanato, altrimenti detto Cliarun tra gli Etruschi \ e confuso collOrco, ministro anchegli di morte e dinferno, che spesso incontrasi nei monumenti antichi dEtruria 5, e non gi tra quei de J Greci, n deRomani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovr trattare altrove; ora avverto che questa  la terza parte del suo originale : Affinch I urna cineraria gi esposta si mostri compita, fa d uopo di non disgregarne il suo coperchio, dove si vede un seminudo recornbente con una patera in mano, nellattitudine stessa che vedonsi rappresentati gli Etruschi a mensa. N la patera disdice a chi cena, mentre vedesi usata a convito dai commensali 6 . La veste che in parte copre il recornbente  detta sindone, pure usata ai conviti 7. La nudit della persona indica 1apoteosi, di che altrove d conto 8 . Il frammento di scultura segnato in questa tavola,  un tufo tenero, e del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della presente collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba dove fu ritrovato non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano lara intiera? chi crederebbe che questa sorte di monumenti in tenera pietra arenaria si trovino quasi costante- 1 * spiegazione della Tav. xm. 4 Monumenti elr. s -5 Mono. etr. ser. i, p. 44  73, 74, 264, 284. 6 Ivi, ser. vi, tav. F. num. 2 . 7 Ivi ser. i, p, 395. 8 Ivi ser. n,j>. 628. Nelle urne di Volterra parventi ripetuto questo soggetto medesimo, ed ivi spiegandolo, avventurai linterpetrazione di un fatto tebano, del quale io stesso poco andai persuaso, n ora saprei meglio dire. Vi suppongo Anfiarao nellatto daver tagliata la testa di Menalippo, che Tideo, sebben ferito, aveva gi ucciso; e gliela port, per cui da Tideo medesimo fu commessa latrocit di aprir quel cranio, e divorarne le cervella. In ogni restante ancora son simili queste due sculture, sebbene men rozza lurna di Chiusi. Questo disegno  una quarta parte del monumento originale di marmo in bassorilievo. Quanto la frequenza delle rappresentanze di avvenimenti ferocie marziali, come quei della tavola antecedente, fan giudicare letrusca nazione dumor malinconico 3, altrettanto voluttuosa e molle giudicar si dovrebbe dal presente gruppo che appartiene alla scultura antecedente, per esser quella unurna cineraria, questa la di lei copertura . Credo per altro che luno e laltro soggetto non dallindole degli Etruschi abbia origine, ma da loro massime di religione, dove dicevasi che la vita era un irrequieto contrasto, e la morte conduceva ad un vero godimento, il quale non sapevasi esprimere che mediante la soddisfazione dei sensi 3. Mentre il fasto orientale sfoggiava in lusso degli abiti, lEROISMO dei Greci caratterizzavasi col MOSTRARSI A NUDO Tra i guerrieri di questo bassorilievo ne vedi uno vestito, e in questo caso potrebb' esser troiano, e tra i Troiani credilo ENEA, che soggiacque a mille peripezzie di grave cimento, senza per mai soccombere, perche gli Dei, per quel che ne dicono Omero \ e VIRGILIO 5, avean destinato chegli regnar dovea sopra i superstiti Troiani, e sopra i figli dei figli, e sopra quei che appresso erano per venire da loro. Difatti racconta specialmente Omero che Achille, cosa strana ! si sgoment nel combattere con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo, cercava di sottrarsi ai colpi vibrati da quelleroe 6 ; ma poich questi a vicenda contrattosi colla persona, e copertosi collo scudo evitava lassalto dell avversario ', come nel bassorilievo mirasi espressa la figura che ne occupa la parte media, Achille allora pose mano alla spada, ed avrebbe trucidato , pag. i8t, lettera al dott. Maggi, a Inghirami, Lettere di etnisca erudizione, Tom. 3 Lettere, lettera di Maggi. mente mutilati? Eppure  cos; n ci far tanta sorpresa, se consideriamo che anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti dagli antichi. Sarebbe forse ella mai una ferale cerimonia liturgica ? Qui osserviamo ancora un vasetto in pietra arenaria, tre quarti men grande del suo originale; ed  simile a quei che prima dicevansi lacrimatorii, e che ora si dicono unguentari 3, perch si vedono in mano di chi versa unguenti sul rogo 3, n questo  dei comuni per la gran somiglianza coi vasi egiziani delluso stesso.Notiamo questi recipienti con volgar nome di bracieri, mentre per tali si tengono quei che sono atti a contener brace, ed insieme i vasi escari, e culinari. Ma loriginale qui copiato a met di grandezza, non fu vero braciere, n veri escari quei recipienti che vi si contengono, mentre luno e gli altri sono di fragile terra cruda, non atta a resistere leffetto del fuoco . Io suppongo essere stati adoprali nei riti funebri i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a bruciar vittime, e profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in luogo di lasciar questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del rito, altri bracieri di semplice figura, e formalit, perch di terra non cotta, sostituivansi a quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo,  consueto simbolo di buon augurio, che vedemmo altrove 4 . Le varie teste che ornano lutensile han pur esse il significato medesimo relativo alle anime, come in altre occasioni ho notato*. Serve la tavola presente a mostrare qual fosse la forma esteriore del braciere o escaria, o estia che dir si voglia, la quale vedemmo nella parte anteriore disegnata nella tavola antecedente. Le sfingi e larve che vi si vedono apposte, sono analoghe all'uso ferale di questi monumenti 6 .Questo vaso ch una quarta parte dellariginale,  della solita pasta nera con ornati, e figure a bassorilievo i, le quali sono in questo disegno della loro naturai grandezza, e ne occupano tutto il corpo. Ivi son ripetute tre volte. La prima di esse figure indubitatamente  un Marte; e in conseguenza la donna che gli  dappresso, quantunque priva di attributi, pu credersi Venere, che nella mitologia 1 Museo Chiaramonii Tav. xxv. 5 Pollux. 1 . i, segm. 3 . 2 Paciaudi, Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo 6 Motium. etr. ser. i, p. aao. 3 V e d. p. ij, 7 Vcd. la spiegazione della Tal. ini. SUL GRECISMO CHE SINCONTRA NELL' ETRUSCO, SULLE ARTI GRECHE OSSERVATE IN ETRURIA, E SULL ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA ITALIA. Era involta lorigine degli Etruschi in ima impenetrabile oscurila fino dal tempo in cui scrivevano i pi antichi storici che noi conosciamo. Lo che fa certamente gran maraviglia, quando si riflette all esteso dominio di quel popolo, s celebre, e s potente, che aveva una Casta sacerdotale, e possedeva tempo immemorabile un particolare alfabeto, ed era pi avanzato nella civilt di tutte le altre nazioni di Europa. E ci molto prima dei Greci, pensino, e ne scrivano in contrario, i dotti compilatori della Rivis a Lungo. Tutto quello poi, che noi sappiamo della sua susseguente istoria, e c e e suistituzioni, non ci  stato trasmesso che dalle nazioni contemporanee, giacche gli scritti degli autori etruschi, sono periti da lunga et. E le loro iscriA ni scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono finora pi intelligibdi per noi, i quello che lo siano i geroglifici egiziani. Ma se dunque la lingua etrusco, non  in prima origne la stessa che a greca antica, con piccola diversit di dialetto, come pretendevano, il Gori, e i suoi fautori, e pi modernamente l industriosissimo Abbate Lanzi, e tutta la sua scuola. Se i Greci non furono i maestri degletruschi, in qual modo, riprendono quelli di contraria opinione, s J incontra cosi frequente il grecismo nell' etrusco, e si osservano cosi comunemente le arti greche in Etruria . ben rispondere a queste domande, sono da premettersi alcune considerazioni, che verr qui brevemente esponendo. Ridonda in primo luogo, nelletrusco, il grecismo, per una ragione opposta diametralmente a quella predicata, e diffusa fin qui dagli archeologi, cio, perch furono gli Etruschi ad un epoca assai recondita, i maestri dei Greci, i quali riceverono da essi, e daglegizi, le prime nozioni della scrittura, per mezzo dei Fenici, come altrove accennammo. Questi elementi per non erano in prima origine prodotto indigeno della Etruria, ma v erano stati trasportati da una pi antica emigrazione asiatica. Osservansi poi, in secondo luogo, in ogni parte di Etruria, ed anche nel resto dellantica Italia, gli avanzi delle arti greche, perch quella vivace, ed ingegnosa nazione, che aveva il talento e lattitudine di perfezionare, non me- Quando si trova nei monumenti Mercurio che ha sulle spalle un ariete, se gli d il nome di Crioforo, e cosi nominavasi la di lui statua venerata in Lesbo, che avea scolpita Cakmide, a significare ch'era il dio dei pastori, come crede la plebe, mentre altri asserivano eh aveva liberato quei di Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma espiatoria intorno alla citt, con un montone sulle spalle. Ma il vero senso, bench mistico di quellatto,  la congiunzione del sole col segno dellAriete, per cooperare allo sviluppo della generazione, mediante la quale son rivestite le anime dutnana spoglia, per cui credio che talvolta il nume vien espresso con lubriche forme. Il religioso cerimoniale deglidoli portava in fatti che lariete o lo stesso nume si rappresentasse nelle patere libatorie per onorare i morti. Questa pittura  nel mezzo d una tazza di terra cotta, che ha di pi il pregio dessere scritta, ove peraltro non leggesi che un saluto di buon augurio ad Erilo Epro; K)oe. tavola xxxvr. Di questa muliebre figura non mi occorre dir molto, per esser gi nota mediante l'estese notizie e congetture che ne detti altrove . Io la giudicai rappresentativa della divinit presso gli Etruschi, giacch ne monumenti de'Greci non si trova mai, e la dissi una Nemesi Dea chebbe origine in Asia, e perci munita di pileo frigio, e di doppie ali, onde mostrare la velocit del suo corso, per cui le si vedono altres le scarpe. Ha in mano un simbolo eh' io giudicai allusivo alla natura prolificante w*, //>, mentre gli Etruschi tennero la narura e la divinit per una cosa medesima. La corona che lattornia  di frassine, vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento, eh uguale in grandezza al suo originale,  un disco di bronzo assai frequente tra i monumenti etruschi, lucido nella parte avversa, e manubriato in sembianza di specchio; e poich se ne son trovati alquanti nelle ciste mistiche, ove Clemente Alessandrino dice esservi stati riposti gli specchi unitamente ad altri simboli mistici, cos li chiamai ordinariamente specchi mistici 3 . i Monumenti etr. ser. ti, dispregiarsi l'etimologia, quanti 1 ella  sobria, e ragionata,) comincer da quelli delle lettere dell alfabeto . 1 quali non avendo alcun significamento in greco, e portandone uno analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl idiomi asiatici,  ben facile a comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l Asia derivar debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha, per esempio, significa principe, primo, principio, e smili, in pi dialetti asiatici, e precisamente in quelli cosi detti semitici, nei quali si pronunzia aleph, o alepha, e per contrazione alpha, cui pare che fosse dato un tal nome per essere la prima lettera dell alfabeto, Beta, che viene da beth, betha, suono imitato dal belare delle pecore, e per sempre inalterabile nella sua naturale Semplicit, checche ne ciancino in contrario i grammatici, i quali pretendono di farcelo pronunciare bita, ed anche pi barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la somiglianza che ha questa lettera colla casa stessa, nell Alfabeto semitico. Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire carnelo, ed imita colla sua forma la gobba, o le gobbe di quell animale. Cosi delta deriva da da- leth, o deleth, deletha, e per sincope delta, e significa porta, cui somiglia pure nella figura. E cosi ancora epsilon fu presa dalla he semitica, e trae la sua denominazione dal suono che si manda fuori nel pronunziarla. La zeta, deriva dalla zain, quasi ziian, che vale un arme, perch somiglia nella sua forma ad un dardo. E cosi percorrendo l intiero alfabeto. La quale opinione acquista una forza tanto maggiore, in quanto che si osserva, che gl' ingegnosissimi Greci, non hanno neppure nella loro lingua, che  si ricca, un vocabolo indigeno per nominare la pi bella, e la pi maravigliosa di tutte le cose create, qual  il Sole. Imperocch la voce, elios, di cui si servono per nominarlo, non  altro chela pura semitica, el, o eloab, inflessa alla greca . E SIGNIFICANDO essa, fra le altre cose, anche Dio nel suo primitivo idioma, si vede il perch si propagasse ancora in Grecia, come altrove il culto del Sole. A maggior conferma poi del mio assunto, ecco una serie di nomi, presi qua,  l senza scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire, divinit, eroi, fiumi, monti, citt, provincie, popoli, edifici!, e simili, i quali tutti sono evidentemente orientali, avendo nelle lingue asiatiche, un significato, mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi degli altri paesi. Lo che viene a provare ad un tempo, che i Greci non sono i ritrovatori della loro mitologia, e che altro non hanno fatto che foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei, prendendo per cose reali  simboli degli Orientali, e le loro allegorie, e parabole . ti. facile infatti avvedersi, che Pale, la quale presiedeva alle feste rurali in Italia, e Pallade, che mentre era la Dea della guerra, e delle arti, insegnava la convenevole cultura agli Ateniesi, non sono che un soggetto medesimo, sotto due nomi diversi;  quali per vengono entrambi dalle voci semitiche, palai, e pillai, che significano, regolare i cittadini, e da pillali, che vuol dire ordine pubblico. no che l'industria di farsi suoi gli altrui ritrovamenti, mand a pi riprese, come tutti sanno, colonie in Italia, le quali vi fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto, riportarono nelle nostre contrade, pi belle, e pi gentili quelle arti medesime, che ne avevano prima trasportate, grossolane, e rozze alla terra natale, i loro predecessori. Ora, siccome andrebbe grandemente errato il giudizio di colui, che vedendo un italiano vestito alla parigina, o allinglese, volesse inferirne, che quella foggia di vestimento sia invenzione italiana, cosi  di quelli, che tutto vogliono attribuire ai Greci, perch i monumenti che ci rimangono dei nostri antenati, sentono pi, o meno del greco stile, e della greca maniera. N vale opporre, che mancandoci le autorit degli antichi scrittori, onde fiancheggiarla, e provarla, fa duopo rigettare una tale opinione. Imperocch, ove siamo privi di monumenti scritti, che bastino a provare un assunto di questa specie,  giuoco forza ricorrere al senso comune, e farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima conclusione pi di qualunqu autorit degli scrittori, trattandosi dei non contemporanei. Ora questo senso comune, e questo raziocnio, rafforzati da un gran numero di nomi, ( oltre quelli dell alfabeto, e dei suoi elementi ), di fiumi, di montagne, di citt, di provincie, di divinit, di eroi e simili, ci attestano altamente, e chiaramente ci dicono, che dessi non possono esser venuti che dall Asia, perch sono asiatici, e tutti ritrovano il loro significamento negli idiomi di quella parte di mondo. Ed essendo questi medesimi nomi per la maggior parte assai pi antichi di tutti i monumenti, e di tutte le storie che finqui si conoscano, non si pu negare di ammettere, che se asiatici non furono i primissimi abitatori di Italia, e per conseguenza dEtruria, tali per debbono essere stati assolutamente, quelli che insegnarono agli Etruschi larte Ai scrivere, e ne volsero glintelletti alla cultura delle arti necessarie alla vita, e delle utili, e dilettevoli discipline. E perch non paia ai nan dotti in tali materie, ed agli imperiti delle lingue orientali, che io mi tragga dalla propria Minerva siffatte opinioni, cos contrarie alle gi invalse, ed approvate dal maggior numero degli archeologi, che scrissero sull Etruria, e sugli Etruschi,  necessario che io venga esponendo, le opportune prove di quanto asserisco, ai miei lettori. Perloch, senza veruna pretensione all' infallibilit delle mie asserzioni, eccomi pronto alla dimostrazione delle medesime. E tralasciando di riferire in questo ragionamento tutte le tradizioni, non mai interrotte dai tempii pi reconditi fino all et nostra, le quali dicono essere stati gli antichi Etruschi nazione cultissirna, e potentissima, mi ristringer a quella che cistruisce aver eglino attinti i primi lumi della loro civilt, da una colonia, o emigrazione proveniente dalle parti orientali, che furono la cuna del genere umano, e di ogni sapere, e non gi dai Greci, che erano a quei tempi, se pure esstevano, del tutto incolti, e selvaggi. Venendo pertanto all etimologia dei suddetti nomi, ( che non  sempre da Etr. Mus. Chius. ^ libio, e Tolomeo, dalbascuenze pits, equivalente a schiuma, perch situata, secondo Rutilio, vicino al fiume Ausuro, e sull Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et Ausur aquis. Orvieto, chiamato Herbanum da Plinio, prende il nome dalle celtiche voci herd, e baun che vagliano terra alta. E di l scendendo verso Roma, incontrasi non lontano dal Tevere il lago Vadimone, o alletrusca Vadimune, oggi lago di Bassano, alle cui acque attribuisce lo stesso Plinio, fra le altre qualit, vis qua fracta solidan* tur; la qual salutifera propriet  significata dalla prima parte del suo nome, chea vateded equivale in celtico ad utile,proficuo,e simili. Angiunge poi lo scrittore medesimo che era quel lago riguardato come sacro, perch sotto l immediata protezione di non so qual deit ; lo che viene espresso dalla seconda parte del nome chei porta, cio, mund, o pi dolcemente mun che corrisponde difesa, protezione, e tutela. Trovavasi poi al mezzod di tal lago Fescennio, luogo celebre per le sue oscenit, e le quali sono indicate dal nome, essendo gitisi appunto licenza, sfrenatezza, il SIGNIFICAMENTO di quello; e per ne cantarono, Orazio Fescennina per hunc inventa licentia morena, e CATULLO, Ne diu taceat procax Fescennina licentia; Oltre di che, il celtico wels-hein, latinamente Fescennium, s interpetra bosco di Venere. Nomina Tito Livio, Fanum Voltumnae, oggi Viterbo, e credesi comunemente che questa Voltumna fosse una divinit. Difatti il Dempstero la reputa la prima fra tutte le etnische, e Banier V annovera frale campestri. Ma  da credere che Voltumna, venga dalle due voci volt e tun, e per questo il Fano prendesse il nome non gi dalla divinit, ivi adorata, ma dal luogo ov era posto, poich significa colle percosso dal fulmine,o colle fulminato. Cosi pure, Auno, famoso Ligure, ausiliare di Enea, quando venne a stabilirsi in Italia, e che trovasi descritto nell'undecimo libro dellENEIDE, come paurosissimo nello scontro colla valorosa Camilla, significa precisamente pauroso, timido in lngua armorca, uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone, che and pure col suo naviglio in soccorso di Enea, si traduce capitano di mare, come Taro,,f interpetra gran fracasso, o che f gran fracasso, rovino, o danno, ed ognuno di leggeri comprende, quanto ci si convenga ad un tal fiume romorosissimo, e precipitoso. Iasio viene da iasesc, che vuol dire, longevo, antico, e ben corrisponde allidea, che ce ne danno ipoeti, come Capi deriva da capasci, uomo libero, traendosi da ca- pasc, libert. Laberinto procede da labiranta, che vuol dire torre, palazzo; Trittolemo da triptolem, che vale lapertura dei solchi, Celeo da celi, vaso, ordigno, masserizia, e per dice VIRGILIO (si veda), Virgea preterea Celei, vilisque supellex. Palilie, ossia la festa deglistituti, e delle leggi, derivada palili, c he significa lordine pubblico, o da peli], che vale moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in Isaia, Penati,  voce che deriva da penisi!, luogo interno, o intimo, e la cui radice  penh, che vale penetrare; tutte le quali significazioni convengono benissimo a quelle familiari divinit degli antichi Romani. E Levana deit latina essa pure,  la medesima che Lucina, la quale sostenta i nati di fresco, e deriva da Jevanh, che vuol dir Luna. La Parca, non  cosi detta a non parcendo, come pretendono i Grammatici, e gli Etimologisti latini, ma bens da parech, che vale rottura, perch tronca essa il filo della vita; come Cerere, da gheres, spiga matura, e Cibele, da chebel partorire. Difatti quella prima  la dea delle messi, e viene riguardata la seconda come la madre di tutti gli Dei . Osservo il Passeri, che Venere, detta Venus dai Latini, era parola sconosciuta ai Greci, i quali esprimono questa pagana divinit, colle voci Sfpofarv, topo, Afroditi, o Afaodite, Kipris, Kitereia. E fu per lungo tempo ignota anche ai Romani, come attesta Macrobio nel primo libro dei Saturnali. Afferma poi Earrone che il notile di questa Dea, non conoscevasi fra gli stessi Romani, n greco n latino, neppure sotto ire. Ed aggiunge Pausatila nel suo primo libro, che era ignoto agli antichi Greci, e che lo aveva trasportato fra loro Egeo dalla Fenicia, e dallisola di Cipro. Gli Etruschi per conoscevano benissimo una tal Dea, eia chiamavano Vendra, come rilevasi da un antico specchio mistico . E la sua origine sente d ebraico, avvegnach, ben-thara vuol dire figlia del mare perch tbara significa umidit, dal qual vocabolo fecero i Grecite, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono dette Tbarso quasi tutte le citt marittime, e tarsisc, il mare, il lido, un porto. Dalla stessa voce ben, che si cangia spesso in ven, per le regioni a tutti note, furono composti molti nomi di Dee, come quello della Bendit degli Sciti, di Bentasicima figlia di Nettuno presso Filostrato, ed altri. N vennero da una sola parte, e nomi, e riti, e costumanze asiatiche in Etruria, ed in tutta Italia, ma per pi e diverse vie: peri oche non da un solo linguaggio asiatico trar si debbono le spiegazioni d questi nomi, ma da pi, e diverse lingue, e dialetti di quella famosa contrada. Quindi tutti i celtici, e tutta la gran famiglia degl idiomi cos detti indo-scitici, possono esser messi utilmente a contribuzione, come altra volta accennammo per la retta intelligenza dell etrusco, e per interpelrare gli antichi monumenti del nostro paese-.Dal che viene a dimostrarsi, che il dotto, ed acuto padre Rardetti, non aveva poi tutti i torti, di che altri volle troppo leggermente aggravarlo. Ma riprendiamo la nostra disamina. LIGVRIA, nome di quel tratto di paese, detto la riviera di Genova, fu cosi detta da Liguria voce bascuenze,che vuol dir soave. E si formarono probabilmente da questa, il verbo latino, ligurire, che significa mangiare soavemente, o mangiare cose soavi, e il nome greco liguros che vale anche soave. Pisa, cosi chiamata, o per la figura dell antico suo porto, che si trarrebbe da pi* se,che vale in dialetto lidio porto lunato, o se fu detta Pissa, come la chiamano Po - II NUDO idoletto in bronzo che in questa Tav. si espone davanti e da tergo, nella grandezza medesima delloriginale, con altri similissimi a questo, sparsi pe'musei, forma soggetto di mature, ma non per anche fruttifere riflessioni degli archeologi, che se per un lato vi ravvisano una gran somiglianza coi monumenti egiziani da far sospettare che sian idoli venuti dEgitto in Etruria, atteso specialmente il costume e f acconciatura anteriore e posteriore decapelli; dallaltra non concepiscono come gli Etruschi abbian potuto ridursi a mendicare manifatture dEgitto,menti' erano essi medesimi famigerati artefici; n la storia ci addita in conto veruno un traffico simile tra le due s disgregate contrade.  vero che Strabone veduti i lavori dambedue le indicate nazioni, li giudic di un medesimo stile, simile a quello dei Greci antichi ma par chei ci riferisse allo stile dellarte, e non al costume delle figure . In qualunque modo peraltro si volesse risolvere lobiezione, qui non sarebbe luogo opportuno di estendervi. Laltro bronzo che rappresenta una fiera testa di lupo, serv probabilmente per ornato nel manubrio d un arme da taglio. Ebbero gli antichi una singoiar cerimonia religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio, consistente in un convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto, dove si apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che lautamente mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre mense ed altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi, aquali porgevan vivande, come se fossero stati realmente Ior commensali =.  dunque probabile che il presente rudere antico facesse parte dun di queIetti che preparavansi per le statue, i quali si potevano usare a tal uopo di qualunque grandezza. Lornato stesso di un seguito di figure tutte ugualmente recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa, fan sospettare delbanaloga di rappresentanza colluso accennato del rudere, chdi pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente disegno. Lo stile a parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo dun antichit non poco lontana.  gi noto all osservatore il nome e luso di questo mobile, per le tavole, al cui proposito dissi che \non veri foculi, ma figure di  Monum. etr. ser. m, p. 4 oi. a LIVIO. Laurent, de prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 *, il secondo in Giobbe. E Pamilie, festa che veniva dopo la raccolta, ed il cui significato e 1 uso moderato della lingua, da dove s introdusse presso i Greci il costume di fare esclamare e rivolgere al popolo le parole pi yWoias tamnete glossas. cio, troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul, la bocca circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome era questa una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e felici, cos tutte le piccole societ dei congiunti, o daltre persone che vivono insieme, furono dette fatniliae, e da noi famiglie. Camilla  voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo, e significa ministra degli Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa un tal nome, ci che dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu, giacch cam vaia mano, ed bill figliolanza, come osserv Eccardo al titolo 23 della Legge Salica. E filia a manu, o serva a manu e una espressione convenientissima alle giovinette, che metter dovevano le mani in cento cose, essendo destinate a servire. Tarconte, autore secondo le favole di Tarquinia, fratello di Tirreno, o disceso da lui, che sopraintese a dodici citt, il che non  bagattella,f secondo la verit storica un valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne denominato lo scudo 5 tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o dellarmorico targad. E finalmente, Tages, o Tagete, che narrano esser saltato fuori fanciullo, dalla terra che sfavasi arando, che fu alla nazione etrusca il primo maestro delVaruspicio, che il senatore Buonarroti lo ha creduto espresso nella tavola 45 fra le aggiunte al Dempstero, non pu venire che dalla voce asfcia, tag, la quale significa giorno. E pare che gli Etruschi volessero fare intendere con questa figura, o parabola, che i giorni, p come noi diremmo il tempo, aveva loro insegnato l aruspicina, o l'arte di antiveder l avvenire. Avvegnach di simile parlare figurato, sono ripiene le pagine degli scrittori sacri, e profani. Dei quali baster nominar qui, tralasciando gli altri, David, Pindaro, Tullio, e VIRGILIO. E siccome dice lo stesso Pindaro che le ore avevano insegnato agli uomini molte delle antiche arti, cos poteva secondo gli Etruschi, aver loro il giorno insegnato l aruspicina-, Imperocch scrive il prelodato Tullio, che opinionutn commenta del etdies, naturae iudicia confirmat; E Virgilio cant, Turne, quod optanti, divum permittere nemo Auderet, rolvenda dies en attullit ultro. Domander ora ai dotti, se dopo la spiegazione da me data a tanti nomi dei quali potrebbe estendersene il numero per centinaia, e migliaia, sia possibile che una fortuita combinazione, possa rendere cos ragionevolmente corrispondenti i loro significati, agli usi, ai tempi, ai luoghi, ed alle circostanze degli oggetti per essi indicati. 4  va spossato di forze; e incontro a lui, come narra Omero i Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe. Il berretto asiatico, del quale il recombente  coperto in questa tavola, mostra pi manifestamente che altrove la sua qualit di Troiano, e perci mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che vedonsi rovesciati a terra, fan fede che il fatto accade in un campo di battaglia; e nel tempo stesso pi che bellezza, d merito al monumento quella ricchezza di lavoro, che netempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello, che n il vero pregio. La ricchezza colla quale vedemmo decorata di scultura l'urna cineraria in marmo, il cui disegno  stato presentato nella tavola antecedente, tre volte pi piccolo della di lei grandezza, non potette appartenere che a persona qualificata e facoltosa. Ci si verifica nell'osservarne il coperchio in questa tavola disegnato, sul quale riposa un giovine riccamente vestito, decorato di onorifiche insegne, quali sono principalmente lanello e la corona di alloro che ha in mano, il torque che gli orna il cllo, ed un ricco balteo che dall' omero sinistro gli scende al destro fianco. La corona che ha in capo non  di semplice onore, ma gli spetta come recombente a convito: posizione che viene affermata dalla tazza che ha in mano, come usa chi sta a mensa.  stato ragionato dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non poco del favoloso 3, come lo prova inclusive la diversit colla quale  narrata, ma nella variet della favola v gran concordia tra i mitologi per introdurvi i cavalli 4 . Or poich veri combattimenti antichi a cavallo non si conoscono descritti dagli autori detempi omerici, o poco dopo, cos non resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti 5, o con gli Ateniesi 6, che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le rappresentanze dellantichit figurata. Dunque intendo di calcar le massime consuete spiegando il presente bassorilievo per un Amazone equestre, la quale combatte con un militare a piedi, sia pur costui un eroe degli Argonauti seguaci di Ercole, o un Ateniese del seguito di Teseo. La Furia con face in mano  spesso introdotta nei combattimenti anche dai tragici greci 7. Lurna cineraria in marmo originale misura quattro volte questo disegno. La semplicit dello stile caratterizza questo bas- i Iliad. a Inghirami Galleria omerica, Iliade Tav., Monumenti etr. Diodor. Sic. Monum. etr. 7 Ivi, Ser, 1. p. 269, 3 i 6, 477  534  5 ^ 9  568 . 3 9 essi erano quei che si trovavano entro le tombe di Chiusi, perch essendo di terra non cotta, potevan soltanto servir per figura in qualche sacra cerimonia 1 2 . Ecco pertanto in questo disegno uno de veri foculi, o thimiateri qualora questo braciere sia stato in uso per cuocer vittime, percb di bronzo, e per ci capace a resistere all' azione del fuoco, siccome anche i vasi e gli altri arnesi da cucina, che vi si trovarono dentro. Anche la sua grandezza eh due terzi maggiore di questo disegno, attesta della capacit dessere stato ado- prato. Lindefessa gentilesca superstizione ci fa supporre, che non a caso fosse un tale utensile ornato dal Capricorno, ripetuto nei quattro suoi angoli, mentre ogniun sa che quel celeste segno fu oroscopo di fortuna, che tennero per loro impresa Cesare Augusto, limperatore Carlo V, e Cosimo I Granduca di Toscana. Quell'animale vi sta dunque in luogo del gallo che vedemmo nellaltro foculo gi rammentato. La forma di questo foculo di terra nera e non cotta permette che se ne osservino distintamente i vasi da cucina e da tavola ivi contenuti. Le replicate teste dariete ivi affisse, nonlascian dubbio che il vaso non sia fatto espressamente per uso sacro, ed allusivo a Mercurio; il quale presedeva alle libazioni, come il mediatore delle preci che gli uomini porgevano ai numi 4. Oltredich ci  noto, che alle anime, come anche ai numi infernali, facevasi olocauso dun ariete di color nero; ed io vidi a questo proposito vari bassi altari nel museo etrusco di Volterra, ornati di teste dagnelli, come il foculo qui esaminato. In un bassorilievo trovato a Chiusi, ove sembrommi di vedere il medesimo soggetto che nel presente, all'occasione daverlo dovuto spiegare, scrissi quanto appresso.  Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea dalle furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immagin di lasciar combattere a saziet i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea lidolo, 9 1 ombra di lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento di due partiti per un fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva il simulacro dEnea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Diomede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si tro- 1 Ved. Tav., VIRGILIO, Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L Varr ap. Geli. 2 Inghirami, Im, e R. Palazzo Pitti, p. 88. ! iu, c. 11. 3 Ved. Tav. 6 Ilomer Iliad. Monuin. etr: ser. n, p. mostra in questa Tavola il disegno rappresentatovi, non potea meglio esprimere in esso un tale avvenimento, poich dipinse Peleo qual destro giovine preparato alle nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti, che quasi  per coprirsi J volto col ve lo per lonta di quell'atto. Peleo esegu ci per consiglio di Chirone divenuto il di lui suocero con quelle nozze. A lui davanti Peleo conduce la sposa, quasi che gli domandasse assenso della unione maritale, mentre il centauro collatto di stender la mano dimostra lannuenza paterna dellimeneo.  superfluo il sospettar chaltra favola sia rappresentata in questa pittura fuor che quella di Peleo e Teti davanti a Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi si leggono setie teaes kipos, e quindi un nome proprio di Nicostrato collaggiunto consueto nikoztpatos kaaos. Le figure qui riportate son alte la met di quelle che vedonsi nella pittura del vaso originale, che ha fondo nero, con lettere dipinte in bianco appena visibili. I vasi che han la forma come il presente sogliono avere altres tre manichi, ed una sola fronte ornata a figure; questo a differenza degli altri  dipinto da due parti, una delle quali  descritta nella Tavola antecedente, f abra, che dir si potrebbe la parte opposta del vaso, a causa della inferiorit della esecuzione del disegno,  la qui delineata, ed il vaso tracciato sotto di essa  poco pi della decima parte delloriginale, in fondo nero con figure rosse. 11 vecchio calvo che sta nel mezzo a due donne in atto di correre o di ballare,  tema comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno di essi, per quanto appresi da S. E. il principe di Canino esimio possessore e cogni- tore di tali pitture, uno di essi, io diceva, manifesta con epigrafe il nome del vecchio Tindaro, dal che si dedurrebbe essere una delle donne la figlia Elena danzante con una delle sue compagne nel tempio di Diana, dove fu rapita da Teseo, e portata in Atene: tema che ora mavvedo essere pi chiaramente espresso nel vaso che io inserii nellopera dei Monumenti Etruschi, e che dissi allusivo al corso degli astri a, e che ora maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di quel ratto con la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri simili tratti di quella favola, i quali non significano in sostanza che un continuo levare e tramontare degli astri 3, e delle combinazioni loro con la luna: nome che in greco porta con poca variet anche Elena Selene da sto la risplendente, e aiUn la luna. La figura di questa Tavola  dipinta nella grandezza medesima in una tazza di terra cotta con giallastro colore su fondo nero, il cui aspetto ha tutti i segni del sati 1 Ser. v. Tav. g 8 . 2 Ivi, ser v, p. 87, li 4, 4 Ivi, p. 567. sorilievo non distante dai buoni tempi dell arte; e se la figura equestre comparisce alquanto piccola, fu condotto a s ingrata licenza lo scultore nel volervi introdurre delle figure a piedi e a cavallo protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero il fondo sul quale son collocate. Prima di coricarsi a mensa usarono glitaliani dei primi tempi di Roma di spogliarsi de'propri abiti, e prendere un manto che dissero veste cenatoria o sindone, colla quale in parte avvolgevansi e in parte potean restare a nudo, per aver le braccia pi libere allazione di prendere il cibo,- e cos coperti dieevansi dai latini semi-amidi, ma quelluso fu abbandonato e non tardi, ond che dErodiano fu addotto come affettata imitazione delle antiche statue Di tal costume par che serbi memoria la figura della Tavola presente che giace sul coperchio,spettante allurna in marmo che antecedentemente abbiamo veduta. Dell'iscrizione sar dato conto a suo luogo. Il vaso che qui si mostra un terzo pi piccolo dell' originale,  di quesoliti di terra nera che si trovano a Chiusi, n potrassi mai supporre che siano daltra fbbrica fuori della chiusina, poich oltre la terra nera e non cotta che vi si adopra- va pi che in altre officine, hanno essi vasi certe forme, una delle quali  la presente, che mostrano un carattere del tutto originale ed unico, s nelle sagome, s negli ornati. Accenna Omero essere stata volont degli Dei,che Peleo togliesse Teti per moglie, quantunque Dea; mentre quelleroe non avrebbe volontariamente aspirato ad una unione s eminente. Apollodoro ne spiega pi minutamente il successo, e dalla di lui narrazione par che abbia origine questa pittura. Era fama che Giove unitosi con Teti, da cui rest incinta d'Achille, ne procurasse 1 imeneo posteriore con Peleo, quantunque mortale 3 . Quindi soggiunge Apollodoro, che il centauro Chirone consigli Peleo ad impadronirsi della ninfa divina con sagace destrezza, n lasciarla andare, per qualunque forma chella avesse presa. La insidi difatti Peleo, e quantunque la Dea si trasformasse in acqua, in fuoco, ed in bestia feroce, egli ritennela finch non ebbe ripresa la di lei primiera forma di ninfa. Il pittore del vaso di cui si i Monum. Etr. ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine lliad.H-imer. lliad. Elr. Mas . Chius. Torti. I. ragionamento y SUGLETRUSCHI Disputarono lungamente fr loro gli scrittoli, come abbiamo accennalo, intorno all origine degletruschi, e fabbricarono su questo soggetto tre sistemi diversi. Volevano, per esempio, alcuni che eglino fossero un popolo uscito dalla Grecia, ed una colonia di Pelasghi, mentre sostenevano altri che erano Lidii, e veni nano dall Asia, ed altri finalmente affermavano essere i medesimi originarli di Italia. La quale ultima opinione  ragionevolissima, e noi la crediamo la vera. I moderni poi hanno superato gli antichi nel numero delle ipotesi, e dei sistemi-. Imperocch il Maffei,col Mazzocchi, ed il Guarnacci, li fanno venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall' Egitto, il Pelloutier, il Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li crede Humboldt I anello di comunicazione fr i Latini, e gl Iben, laddove Niebuhr riguarda la Rezia come la primitiva lor sede. Ed in fine il Mailer suo discepolo, adottando un termine medio, ammette un popolo primitivo di Etruria, eh ei chiama Rase ni con Dionisio d Alicarnasso, e sulla cui origine lascia la qm- stione indecisa, bench creda d altronde, che questi Raseni si mescolassero coi Pelasghi, qua venuti colle loro colonie di Lidia. Ora questa moltitudine dipotesi antiche-, e moderne, da altra causa non possono crtamente procedere, che, oda troppa leggerezza, e precipitazione nell esaminare i monumenti dei nostri padri, o da impremeditato sistema in coloro, che ne presero a scrivere, o dal pi nocivo di tutti i sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che vi sifaccia attenzione, e si vogliano mettere alla prova, non  difficile a chicchesia di accorgersi, che q.essuna di quelle iptesi, e nessuno di quei sistemi, contiene elementi che bastino a diradare il buio che involge le cose etnische, ed a spiegare, anche probabilmente i monumenti che ci rimangono di quella illustre nazione. Scegliendo peraltro da ciascuna di quelle ipotesi, e da ognuno di quei sistemi, ci che v di pi ragionevole, e di pi giusto, e formandone un insieme, vi si trover, se il giudizio nostro non v errato, quanto f di mestieri, per portar piena luce e spiegare con ogni chiarezza, e senza replica, tutto quello checi rimane di etrusco. Stabiliremo dunque frattanto, che furono glEtruschi un popolo particolare dItalia, indigeno di questa bella penisola, che ebbe, com  naturale, una lingua sua propria; la quale non  la. Stessa che la greca antica,, come dimostrammo nel precedente ragionamento, e che anzi ne differisce mollissimo, anche per sentimento del prelodato Mailer. Col quale aggiungeremo, a conferma di quanta asseriamo, che inori>', dei loro ro: orecchie ircine, barba prolissa,naso simo e coda di cavallo. L'otre vinaria ove stassi assiso  pure suo speciale attributo. Liscrizione letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il significato panaitios iupos kacos. Non oso farvi emenda, mentre non avendo io veduto il monumento, non posso n asserire, n porre in dubbio se questa sia la vera lezione. Quando non vogliasi azzardare il supposto che la terza lettera dell ultima voce sia nell originale un p, per cui avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in altri esempi si vede, potremmo almeno pensare ad una omissione dellasta che del c ne dovea formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe alludere al vino, quando n fatto abuso. N nieu dubbie si mostran le altre voci, a meno che vogliansi leggere - tv -7 bifidi) : dfiUfVf: V13M : lllfttqfi : 04 :4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43 #filflfiOmfiq ; invddfi : O4 > /in fio Doppia epigrafe 4fi Sopra il coperchio filfin8dV3 Nell orlo del coperchio Iffifliqa : ignqfiq : Jfi 1 -r fi sic om 131 : lantqfi : I O q fi 4 fiinvi-nai : firmo filflfl031 6 * 46 il nome di quei nuovi coloni, e non quello dei primitivi alitanti. Imperocch, trovandosi, prosegue lo stesso Mailer, nella Tavole Euguhine, la parola Tursee, con quelle di Tuscom, e di Tuscer,  impossibile di non conchiudere, che dalla radice Tur si sono fot mali Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla radice Qp, derivaronsi Opscus, ed Oscus; Di maniera che Tuprvoi o Tv eP moi e Tusci, non sono che le forme asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo nome Che del resto, un argomento per noi fortissimo, atto a dimostrare oltremodo remota la civilt degli Italioti, e singolarmente degli Etruschi, ricavasi pure da tutti quegli antichi scrittori, i quali parlano della cosi detta Confederazione etnisca residente a Fiesole, e da tutti quei Gronlogisti, che ne fissano lo stabilimento a lobo anni prima dellera volgare ; dei quali vedasi, fra gli altri, il Sg. de Long-Champs, nei suoi Fasti universali. Lo che ci fa credere che gli abitanti d questa regione, avessero gi acquistale fino diallora, non ordinarie nozioni di politica teoria. Ed infatti, bench la voracit di secoli, e pi ancora la feroce ambizione, e la crudele prepotenza romana, ci abbiano invidiate le storie etnische, ed anche la maggior parte dei monumenti di quel popolo celebratissimo. Bench la vanit senza limiti dei Greci, sia venuta, per giunta alla derrata, ad involgerne di puerili, e RIDICOLE FAVOLE, perfino il nome, non che le azioni dei nostri antenati, per quella loro presunzione stoltissima, di far credere che tutte le altre nazioni del mondo, non furono nulla, in paragone di loro; esistono pure tuttavia in Etruria delle costruzioni, che gli eruditi chiamano Ciclope, perch non hanno il carattere, n fenicio, n egizio, e che sono per conseguenza indgene, le quali sfidano da quattro mila anni a questa parte,glinsulti degli uomini e gli urti del tempo, e stanno a conferma di quanto asserimmo qui sopra, circa la suaccennata civilt, e straordinaria potenza, ed energia degli Etruschi . E tali sono, fra le altre, le mura di Volterra, e di pi altre citt dell antica Etruria, le quali sono formate di enormi macigni, senza alcun cemento, resi fermi soltanto dal proprio peso- Mal epoca della colonizzazione, della quale parlammo di sopra, non si pu fissare che per approssimazione. La quale peraltro cred il Mller, gi citato pi volte, che coincida colla emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e prodotta da quella, e se la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono pure i compilatori di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero possesso i nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose guerre, prima di spossessarli delle trecento citt, che eglino occuparono, al dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che fu pi tardi chiamato Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi si estesero dalla parte del Mezzogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed anche al di l nel Lazio, come lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano. E dietro le tradizioni popolari, quello stesso Tarconte, al quale si attribuisce la fondazione delle dodici citt di Etruria, condusse anche dodici colonie al di la degli Appennini, e vi gitl le fondamenta di Dei, non sono quelli che s' incontrano presso gli Elleni, e che trovatisi nelle dottrine dei Sacerdoti Etruschi, molti punti, affatto diversi dalla greca teologia. E ripeteremo ci che altrove dicemmo, che la sorte, cio, di questa nazione, pare che  quella di essere debitrice dei suoi primi progressi nella civilt, non ad una trib greca, o mezza greca, siccome crede lo stesso Mailer, e con esso lui i dotti compilatori della Rivista di Edimburgo ; ma bens ad una emigrazione asiatica, pi antica dei greci medesimi come abbiamo assento, ed in parte ancora provato nel precedente ragionamento. N punto esiteremo d affirmar qui, che la lingua etnisca, o ella non fu mai scritta nella sua purit primitiva, e scevra di ogni mescolamento di stranieri vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima et, non  fino a noi pervenuto alcun monumento scritto, il quale ce ne possa far fede. E ci sosteniamo con tutta franchezza, perch quelli conosciutifinqui, sono tutti composti, senza veruna eccezione, di un rnescuglio di voci, prese ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di quegli antichissimi linguaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti gi pubblicati in quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in altro discorso a questo solo scopo diretto. Sul proposito per dell' essere, o non essere gli Etruschi una trib greca, o mezza greca,  molto curiosa la novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mller, e con esso ancora i surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove dicono che i toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali leggende, la propria civilt alla marittima citt di Tarquinia, e nominatamente a Tarconle. I quali due nomi altro non sono, secondo essi, che due variazioni di Tirreni . Ma questa  una greca invenzione, ed anche di moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi, ed  similissima a tante altre dello stesso calibro, dai medesimi Greci accreditate, e spacciate per fatti, intorno allorigine di tutte le pi celebri nazioni dellantichit . Ed aggiungono i medesimi autori, che sbarcarono precisamente a Tarquinia, e col stabilironsi da prima, quei terribili Pelasglii di Lidia, i quali portano seco le arti, e le scienze, che avevano gi apprese o nella patria loro, o nei loro viaggi -, credendo di poter cosi conciliare maggior fede al loro racconto circa la primitiva civilt degli Etruschi. Al venir dunque di si fatti coloni, secondo quell' eruditissimo prussiano, e quei dotti inglesi, vide per la prima volta 'questo barbaro pase, degli uomini coperti di bronzo, equipaggiarsi a suono di tromba per la battaglia. Ud allora per la prima volta, l acuto squillo della tibia lido-frigia, accompagnare i sagrifizii, e fu testimone della rapida corsa delle galere a cinquanta remi, Siccome per la tradizione passando poi di bocca in bocca, non conosceva pi limiti, cosi tuttala gloria del nome toscano, anche quella che non apparteneva pr- priameiife ai coloid, si attacc a Tarconte discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come dicemmo nel precedente discorso, riguardandolo quale autore di urler novella, e migliore, nella storia di Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire, gli Umbri, ed i Latini ; diederq a questa nazione, che incominci allora ad accrescersi, ed estndersi N credo che allia torlo il MiMer, attribuendo alla preminenza di questi ultimi sul mare inferiore, la mancanza delle colonie greche, sulla costa settentrionale della Sicilia, ove al tempo di Tucidide, non eravi che Lnera. Il timore degltruschi, chiuse per lungo tempo ai Greci, il passaggio dello stretto di Reggio- E non avvenne che dopo V epoca in cui ebbero acquistata i Focesi una potenza navale, che fu dato loro di esplorare entrambi i mari. Ma la rivalit non tard molto a manifestarsi fr i due popoli, i quali crcarono d'impadronirsi dell isola di Corsica . E gli Etruschi uniti ai Cartaginesi, disfecero i Focesi. Furono pero meno fortunati nelle loro guerre marittime coi Borii di Guido e di Rodi che avevano formalo uno stabilimento a Lipari. Finalmente, il popolo di Ciana in Campania, avendo dichiarata la guerra ai Tirreni, chiam in suo soccorso Gerone tiranno di Siracusa, che li disfece completamente, e liber, dice Pindaro nella prima Ode pizia, la Grecia dalia schiavit. E difetti uno scudo di Bronzo trovato nelle rovine di Olimpia, porta questa iscrizione = Gerone, figlio di Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste spoglie dei Tirreni vinti a Clima. Ammesso pertanto che furono gli Etruschi un antichissimo popolo d Italia originario dello stesso paese, conchiuderemo questo breve ragionamento, colle riflessioni seguenti. L Che di necessit ebbero essi, linguaggio, usi, Leggi, costumanze, arti, scienze, e religione loro particolari, e proprie, bench dovessero i primi progressi nella civilt ad una emigrazione asiatica, in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con precisione. Il. Che per conseguenza, fra le altre cose, che qui per brevit si tralasciano, i vasi dipinti di terra cotta, come quelli neri, ed altri, di qualunqueforma, e grandezza, siano essi aretini, o chiusini, o campani, sono genuinamenee etruschi, e non altro che etruschi. Bench sia piaciuto agli Archeologi di chiamarli vasi greci, e pi modernamente ancora italo-greci. Le quali denominazioni hanno dato loro quei dotti, perch vi si scorgono, come pure nelle urne cinerarie, e nei sarcof agi, disegnate e dipinte, o scolpite, a basso, e a gran rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche; ovvero che tali divennero dopo essere state prima etnische, e perch vi si leggono parole greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero essere nel mondo due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli comuni ad entrambi. Conforme fu sagacemente osservato, dal dotto, e perspicace sig. principe di Canino nel suo Museo Etrusco. Campani poi faron detti, eziandio tali vasi, perch se ne fabbricavano . e se ne trovano nella Campania, che fu pure colonia etnisca, come si dicono chiusini, ed aretini, da Chiusi, e dArezzo, ove esisterono speciali fabbriche dei medesimi. E sul proposito del sig. principe di Canino, sono assai dispiacente di non aver letto prima dora quel suo dotto e giudizioso lavoro, perch avendovi riscontrate al- altre dodici citt. Lo che serve a trovare che l Etruria della valle del P, fu colonnizzata dall' Etruria del Mezzogiorno. La medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul proposito dello stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller suppone che quelle colonie fossero realmente etnische, contro, lopinione di Niebuhr suo maestro, il quale pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi Tirreni, confusi cogli Etruschi, a cagione dellidentit del nome. In ogni caso per, sembra allo stesso Miiller, che la popolazione etrusco della Campania, non debba essere stata molto considerabile, perch vi prevalse il dialetto Osco, e perch non si  mai trovata in tutto quel tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca. Laonde convien credere, prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e nella mollezza, esercitasse la sua fatale influenza sugli Etruschi, che vi si erano stabiliti, mentre furono obbligali ad abbandonare il possesso delle ricche pianure di Capua ai Sanniti, col discesi dalle loro montagne. Io non saprei qui sottoscrivermi allopinione del dotto archeologo prussiano, sembrandomi troppo debole la ragione che egli adduce, per stabilire che fosse piccolo il numero dei coloni Etruschi della Campania, quella cio del dialetto Osco rimastovi dominante, poich potrebb essere ci avvenuto anche dall' avervi quegli ospiti soggiornato per breve tempo, oppure da un riguardo che poterono benissimo avere i Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un esempio noi stessi nelle nostre contrade al tempo dell Impero francese. E certamente gli Etruschi, non erano cosi feroci, come i Romani, i quali ebbero linumanissimo orgoglio di togliere perfino la lingua ai popoli che avevano linfortunio di cadere sotto il loro giogo di ferro: ( checch ne cantino in contrario ifanatici loro lodatori .) E se  permesso di paragonare le grandi cose alle piccole, quando sono dello stesso genere, dir in appoggio della mia supposizione, che anche i Chinesi soggiogati gi da piti secoli dai Tatari Mant- sciu, hanno conservato, e conservano tuttavia dominante il proprio idioma, bench soggetti ad una dominazione straniera. Oltre di che, viene ad accrescersi la forza del mio ragionamento, riflettendo che era ben facile, e naturale il conservare nella Campania il linguaggio del paese, altro non essendo il medesimo, che un dialetto della lingua Etnisca. Sembra poi cosa provata, e da non controvertersi, che i Tirreni dopo il loro stabilimento in Italia, esercitassero per lungo tempo la pirateria, e che si rendessero cos famosi nelle pianure della Grecia, ma  peraltro assai difficile a decidersi, se una tale accusa debba applicarsi a Tirreni del mare Egeo, oppure ai Tirreni Etruschi', I quali possedendo dei buoni porti sui due mari, conservaronsi la dominazione delluno, e dell' altro, e si resero formidabili, non solamente alle navi mercantili, colle loro corsare, ma eziandio alle altre potenze, coi loro navali armamenti. A molti sar nuovo ed inatteso questo singoiar monumento,- ma non a chi ha scorsa la mia Opera su i Monumenti Etruschi ove alla ser. VI, e precisamente alla Tavola G5 ne ho dati a luce due inediti, n finallora da nessun altro mostrati, In seguito si videro esibiti ripetutamente nelle Opere del eh. dot. Dorow. Io dissi di quelli, come pur di questo ripeto, esser vasi di terra nera, al cui orifizio  soprapposto per coperchio un capo umano, ed a suo luogo spiegai come querecipienti dovean simboleggiare il mondo, ed il capo sovrimpostovi la divinit che Io governa dall alto decieli \ Ma poich questa specie di vasi trovasi nei sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti capi rappresentino deit speciali, cosicch se avr barba un di essi, come quello che pubblicai altra volta 3, si potr dire un Bacco infernale, mentre nel presente monumento dov  un capo imberbe, ed alcune protuberanze che dan segno di petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il vaso qui esposto avea ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno ch'io vedo di questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le braccia, avvingendone il recipiente, indicano il patrocinio che la divinit dovea prendere di quel morto ritornato nel caos della materia mondiale. Dico tuttoci brevemente perch in queste materie mi sono esteso altrove abbastanza. Qui aggiungo l'osservazione che molti vasi uguali a questi, ma in pietre di varia specie trovatisi nei sepolcri egiziani e in gran parte anche dipinti nei papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe; e dai capi che hannovi soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per figure delle principali deit egiziane, Questo vaso in terra nera  due terzi pi piccolo dell originale.  tuttava non risoluta questione se figure simili alla presente, cio che abbiano lunga barba, corona in testa, abito lungo fino ai piedi un manto sugli omeri con vaso in mano, ed attorniate da sermenti dedera o di vite,  questionabile, io diceva, se dir si debban figure di Bacco o d'un qualche di lui sacerdote. altres cosa degna dosservazione che locchio qui eseguito, non come dalla natura umana si mostra,  poi disegnato precisamente come si vede nelle figure de vasi di Grecia di Sicilia, e di tutta 1* Italia meridionale, ove trattisi di pitture che affettino qualche arcaismo nel loro stile, e specialmente ove le figure sono come qui di color nero sul fondo gialla- 1 Dorow, Voiage archeologique dans V a cienne xbtrurie avec xvi Planches. 1 Voi. io 4 - P- 46, Paris. 1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi. Etruschi Pesaro Monumenti Etruschi, 1 2 > ser. v f p. 490 ser - Vi* Tav., p. 4 ^. 3 Ivi, ser. vi, Tav. num. 1, 3 . ser. vi, tav. N4, num. 1, e P4. numm. 1, 2. cune opinioni, che mi paiono le pi giuste, e ragionevoli in questa materia, e le quali si accordano con quelle da me emesse nei precedenti ragionamenti, mi sarei fatto un dovere di render nolo al Pubblico molto prima, quanta sodisfazione io ni abbia di trovarmi d'accordo con un uomo di tanto ingegno e di tanta dottrina . 0 Che si avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a voler credere opere greche i suindicati vasi, perle sopra esposte ragioni, e perch se ne rinvennero alcuni persino nell' Attica, ed in altre parli della Grecia, i quali sono peraltro in piccolissimo numero, in confronto a quelli discoperti in Etruria, e nelle altre parti d'Italia. Ed una tal foggia di ragionare,  simile a quella di chiunque osservando per T Italia, o in Francia dei lavori di porcellana della China, e del Giappone, pretendesse di stabilire, che quei lavori sono italici, o francesi, solo perch si trovano in Francia, ed in Italia. IV.  Che non  meno strano, per non dire assurdo il pretendere di togliere agli Etruschi l onore di tali manifatture, per farne dono ai Greci, perch s incontrano molti dei suddtti vasi che hanno elegantissima forma, e sono disegnati pure, e dipinti con un gusto squisito. Quasich gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla faccia del globo terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi dimorato per lunga serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro neppure i pi furiosi partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di tale, e tanta stupidit, da non saper migliorare, ed anche condurre a perfezione, le loro invenzioni, come fanno tutti i popoli del mondo Che non si vorr sostenre finalmnte, che le arti non pvesser presso gli Etruschi, come presso tutte le incivilite nazioni, che le coltivarono, diverse epoche, cio quella della primitiva rozzezza, qxiella del miglioramento, e quella della perfezione, come quelle del decadimento, e della successiva barbarie. N saprei addurre, per rivendicare questa usurpazione fatta dagli archeologi ai nostri padri, pi bella prova, e pi convinciente ragione d quella prodotta dallo stesso signor Principe di Canino, apag. ig dellopera citata qui sopra. Cio, che i vasi dipinti non sono sicuramente greci perch i Greci stessi non se ne sono vantati giammai. Ed  ben gloriosa per gli Etruschi una tele invenzione, conforme riflette pure il prelodalo scrittore, perch furono essi i primi ad iscoprire colla meditazione, e colle pi profonde indagini, che per eternare le tradizioni dei popoli, pi del marmo, e del bronzo,  valevole Imile terra cotta, perch ella sola passa a traverso alla fuga dei secoli senza alterazione veruna . jflniiia : 3 n iq 3 or 248v8 in gran travertino che serviva di porta ad un sepolcro amq&o : ofl janqoai Etr. Mus. Chiut. ha sulle spalle, e come questo riferir si debbe allautunno l'accennai spiegando altri vasi chiusini analoghi a questo, LVI. Le quattro tavv. sono impiegate a mostrare un bel monumento di pietra tofaceadella figura dut) cubo, della grandezza due volte maggiore del disegno qui ripetuto, e che mostra quattro lati scolpiti con figure a rilievo assai basso, come sono gli altri monumenti di simil natura trovati a Chiusi. Io non saprei dire se ara sia questa, oppure altare, o foculo, o base, o altr'oggetto qualunque, perch non vedendone io che i disegni non posso da essi giudicarne con fondamento. Esaminiamone le sculture che si vedono in quattro lati del cubo.  fuori di dubbio che qui si tratta di riti funebri, e d'ultimi uffici di piet resi ad un morto, che vedasi steso sul feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh  in piedi presso a quel letto di morte ha un tale atteggiamento di dolore, che non saprebbesi meglio immaginare dal pi sagace dei nostri artisti, brattanto cinsegna che tenevasi per atto di duolo il porre le mani al capo. Infatti nel quadro medesimo compariscono due altri astanti colle mani portate al capo ugualmente, ma ben si ravvisa che l'atto  suggerito pi da formalit che da quel vivo dolore che esprime IL GIOVANETTO PROBABILMENTE FIGLIO DELLESTINTO, di cui qui si rappresentano lesequie. Un simile atto, e da uomini similmente abbigliati,  pure nella pietra di memoria perugina da me pubblicata *, ove rappresentasi ugualmente la funebre cerimonia che praticasi all occasione di un morto. Espressiva  parimente la prefica a capo al letto, in sembianza di strapparsi per dolore i capelli, mentre uonio che al cadavere  pi vicino, alza le mani probabilmente per espressione pure di dolore, mista per di sorpresa. Una figura eh ultima nella composizione, suona le tibie con certa bocchetta che legavasi agli orecchi o al capo in giro. Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non credo che andasse esente da superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, mentre credevasi di poter porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3, e cos allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime restassero consacrate alle deit infernali 4 : superstizione peraltro che manca nel monumento perugino indicato. Dietro al tibicine alla Tavola LIV vediamo quattro uomini armati di bastoni, che in mano di Etruschi non  improbabile che siano augurali, ancorch non Lettere di etnisca erudizione. e seguente Tav. xi. 2 Monumenti etruschi, ser. vi, tav. Za, e Lanzi Della Scultura degli antichi e vari suoi stili Tav. v. 3 Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua memoria sulla religione dei Gentili nel morire ; Osservazioni letter. Tom. 1, art. x. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap, il Mafie! cit. p. 5i stro 1 2 . Una tale osservazione unitamente con altre pu essere di non poco rilievo per indagare lorigine primitiva delluso di porre siffatte stoviglie dentro i sepolcri. A chi ha buon gusto peri lavori di metallo sar gradevole il conoscere la forma singolare e del tutto nuova non men che bella di questo vasetto di bronzo, disegnato nella grandezza medesima delloriginale. Apparentemente dovea contenere de liquidi, e perci lintelligente artefice oper per modo che tutto vicorrispondesse lornato. Ecco l un uccello aquatico sopra una pianta quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco l una conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco l infine i lunghi manichi formati in guisa di colli duccelli aquatici come del becco loro nel quale han termine si rav visa. Il vaso di terra cotta di color rosso che vedesi rappresentato nella parte superiore di questa LII Tavola,  gi noto per la frequenza colla quale si trova nelle collezioni di simili antichi oggetti. Par che i Gentili 1usassero per lucerna; ed alternativamente colle lucerne trovasi difatti nei sepolcri, ma in esso valutavano anche la forma di barca e di recipiente, alludendolo a certa favola d'rcole eliebbe in dono del sole un vaso, col quale varc l'Oceano. Come poi si applicasse al vaso qti esposto lindicata favola  cosa inutile chio lo ripeta, dopo averne sufficientemente parlato nell opera deMonumenti Etruschi % dove ne ho riportati alcuni di varie forme. Liscrizione che  sul manico suole indicare il figulo, o la fabbrica figulinaria. Il Vaso al disotto in questa medesima tavola  di que consueti chiusini di color nero s nella superficie che nellinterna sua pasta. Questa qualit di vasi aver suole dei bassirilievi, che girano attorno ripetendosi ogni quattro o sei figure, perch fatti colle stampe. Bisogna convenire della gran somiglianza tra quella manifattura, e le cose egiziane. Vedo nella prima figura femminile latto dalzare unuccello, cos nelle figure egiziane dei calendari vediamo elevare per la testa, o calare al basso tenuti per la coda animali, che indicano il sorgere o calare abaco dei segni zodiacali. Delluomo che segue con bastone in mano io non saprei dir cosa che avesse inoppugnabile sostegno. Ben potr dire che a lui segue la chimera colla doppia testa di leone e di capra, chio mostrai altre volte 4 esser composto di segui celesti. E poi chiaro il centauro qual cacciatore, che porta la preda appesa al suo frassine che 1 Moni;memi etr. Ser. v. Tav. 2 Ser. li, p. 359, 36 i, 3 Ivi ser. vi, Tav. E 4, F^. 4 Monurn. etr. ser. w, p. 38 a. Vogliamo credere che nella statuetta in bronzo qui rappresentata di naturai grandezza sia da riconoscersi una Minerva per 1 usbergo del quale vedesi armata? Del piccol mostro pure uguale in grandezza alloriginale in bronzo, non fo parola, poich probabilmente dagli editori di questopera ne saran pubblicati dei simili, chio vidi vari anni indietro a Chiusi. Il vaso  desoliti che trovansi per tutta 1 Italia meridionale, con figure giallastre in campo nero, la cui gola soltanto a una pittura che vedremo nella tavola seguente, mentre  monocromo, ed ha tre manichi, d una forma essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi accessori nei ricchi scavi di Canino, e daltre parti dItalia. Io non mi persuado come il mito delle Amazoni combattenti, s ripetuto nei vasi fittili di tutta lItalia, come si vede in questo, non abbia una qualche allusione religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo medesimo soggetto. Si vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a cavallo, ed i loro avversari sempre a piedi, ed in positure di soccombenti al conflitto, colle ginocchia piegate. Eppure se alle favole che trattano delle Amazoni dovessimo ricorrere per Spiegarne il mito, noi le troveremmo sempre vinte o da Ercole, o da Teseo, o dAchille Io non vedo in quel mito che 1allegora del contrasto e del dominio del tempo in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del zodiaco, ma siccome troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegora lo sviluppo, cos rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai lungamente di questa materia. Questa  la pittura del vaso, la cui forma vedemmo nella Tavola antecedente, e che vien riportata nella grandezza di due terzi del suo originale. xxxi. /uif/mDajmjaa xxxii. jfliDnaD : an/d-nit/i : Yfl xxxm. i/vjad anfl-uitfl'i ; or xxxiv. j/qnqai ; vJDfi : ofl, V433 : J lf d Galleria Omerica Tom ii,Tav.VJlDfl : 31 : Vfl Veil. Mommi, etr. agli articoli A magoni. abbiano la forma di lituo, come osservansi nel monumonto perugino. Infatti ad essi spettava il presagire che lanima del defonto fosse passata in luogo di riposo; di che se non troviamo prove di antichi scrittori, certamente ne conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo del pi volte citato monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli auguri muniti di lituo  simile a quello di costoro che qui hanno in mano le verghe, eh' io dissi augurali. Dopo gli auguri vengono immediatamente nella Tavola LV le prefiche, donne prezzolate che a suono di tibia cantavano lamenti, e piangevano la perdita del morto ed in modo sconcio e forzato strappandosi le chiome e perquotendosi, mostravano cordoglio di quella disgrazia. Quel che sia rappresentato nellaggregato di figure della Tavola LVI non mi  possibile il dichiararlo n mi  concesso d azzardare quelle congetture che pu immaginare a suo grado ugualmente chi l'osserva. tavola evie Questo bronzo in tutto uguale al suo originale fu anticamente uno specchio dallopposta parte, come lo attesta lo specular pulimento che vi si trova. Qui nel suo quasi insensibile concavo, invece di grafito ha soprapposta una lamina cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria, forse adattata all'adesione del manico. lo vi ravviso Bacco, il quale ha sulle spalle una face, che tale vedrehhesi qualora fosse intiero il monumento, poich ve ne sono altri esempi 3 . Egli si appoggia ad un altro nume significativo della forza creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo artefice del mondo, che il trae dal disordinato e tenebroso caos per virt concessagli dal creatore, e vi porta luce con la sua face, non men che ordine armonico, indicato da quella ninfa che precede i suoi passi, arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in cento guise ripetesi nei monumenti antichi, e della quale ebbi luogo di trattare altrove 3, Sebben questa bella tazza sia di bronzo, pure se ne usavano dagli antichi anche di terra cotta d ugual forma e lavoro, come si vedono in Volterra nel museo del pubblico, ed in quello del Sig. Cinci. Il disegno qui esposto  soltanto un terzo minore del suo originale. Il pezzo aggiunto lateralmente fa vedere lacconciatura di testa ch dalla parte opposta del recipiente. i Fest. in sua voc. Lecil. Sat. xxn.  Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n. i., ser. v, p. 3 a,, ser. vi, Tav. Y, n. 1 . W' Principe di Canino, ed altri gi se ne conoscevano, dissotterrati a diverse epoche, ed in luoghi diversi ., Diodora Siculo poi descrive nel libro quinto, dietro Possidonio le mense degli Etruschi imbandite due volte al giorno, le loro drapperie ricamate, le loro coppe eli oro, e dargento, e le loro falangi di schiavi. Al cui quadro aggiunge Ateneo nuovi tratti, e. mostrano chiaramente le figure giacenti nei sarcofagi, che gli aggiunti di pmgues, ed obesi, dati dai Romani per isclierno agli Etruschi, non erano suggeriti dalla malizia nazionale soltanto. E Roma prese ad imprestito dall'Etruria i combattimenti dei gladiatori, bench sembri che luso orribile dintrodurli nei conviti, e nei banchetti, appartenga sopratutto agli Etruschi della Campania, e specialmente a quelli di Capua. Altrbuisconsi per agli antichi Etruschi anche alcune invenzioni nella musica, e singolarmente rapporto agli strumenti di essa, poich non havvi autore, ch'io mi sappia, il quale pretenda che questa nazione abbia discoperto qualche modo particolare di tale scienza, bench le venga accordata in essa qualche celebrit, egualmente che nella plastica ; E non gi come piace ai compilatori della rivista edimburghese, perch e Aino erano vicini ad un popolo, il quale essendo estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar loro tuttoci che riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vita pubblica, e privata, mentre avvenne appunto il contrario. Bench non si possa decidere dietro alcun monumento storico, se dovessero gli Etruschi a se medesimi, oppure al commercio che ebbero coi Greci, dopo che gi le arti erano giunte ad un certo grado di perfezione fra loro, i successivi progressi, fatti dai medesimi nella scultura, e nella statuaria, pur tuttavia ci che dicemmo in altro ragionamento intrno allanteriorit degli uni, o degli altri, rende quest'ultima supposizione molto probabile. Ma egli  per certo, che se questo rapporto esist per qualche tempo fra gli Etruschi, ed i Greci, non fu mai d una grande intimit. Lo stile toscano nelle arti presenta sempre qualche rassomiglianza con quello deoli Egiziani-, E le opere pi perfette di questa nazione, hanno tutta quella durezza, e quella mancanza di vita, e di espressione, che qualificano la scultura greca, anche prima che Fidia accendesse la sua immaginazione alle descrizioni omeriche di Giove, e di Minerva, e che avesse Prassitei e espresso col marmo l'ideale chegli si era fatto della bellezza. Lo che prova essere stati i Greci i perfezionatori, e non gl'inventori di quelle arti che si dicono belle ; E viepih si conferma che i medesimi furono in antichissimi tempi i discepoli degli Etruschi. non gi i maestri, come pretendono i nostri grecomani. Al contrario, in tutta quella parte dell arie ove il meccanismo senza vero gemo pu mungere alla perfezione, gli Etruschi non la cedono in verun modo ai Greci stessi, biella maggior loro raffinatezza. Ed un poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo libro dei Dipr.osqfisti, celebra le opere etnische in metallo, come le migliori m tal genere ; Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle lampade, ai candela- QUALI FOSSERO LA VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA RELIGIONE ED IL GOVERNO DEGLI ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO PRINCIPALMENTE Ma chi pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero mortai che se ne cerca, Noi hiasmerebbe, se sott esso trema. Caute Par. - -=-x jgj> 1\ on  certamente agevole impresa quella di ritrarre i costumi domstici di un popolo, che non ha trasmesso alla posterit veruna immagine di se stesso nelle produzioni letterarie. E tali appunto sono gli Etruschi, della cui prosperit nazionale pare che sia stata la primaria base l'agricoltura, che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro clima, e che sembra avere in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i benefizii della natura non sono stati distrutti da un cattivo governo, o da una assurda Legislazione, Tuttava per, non ha mai goduto V Etruria centrale, come la Campania, di una spontanea fertilit. Fu d'uopo ognora che spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e la loro destrezza, per adattare la cultura alle diverse qualit del terreno, che s incontrano in questo paese, e per arrestare le mondazioni del P nelle provinole che circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi antichi. I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se vogliamo credere alla storia, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla fosse conservala lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco; E pare che un passaggio di Giovenale nella satina sesia, ci mostri la stretta rassomiglianza che passava fra le virt domestiche delle donne romane degli antichi tempi, e quelle delle donne etnische. N ci dester maraviglia a chi sappia, che i primi abitatori d Roma, non eccettuato il suo fondatore, non furono altro che Etruschi, della cui energia, e del cui nazionale carattere, formano al parer mio una sufficiente prova, le grandi loro conquiste, la loro destrezza, ed il loro coraggio nella navigazione. Ma quando il commercio, e la conquista nelle parti meridionali dItalia, ebbero condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi se ne impossessarono collavidit di un popolo mezzo barbaro ed il lusso invece d introdurre fra essi il raffinamento, e leleganza delle maniere, non vi port che un vano splendore, ed un gusto disordinato per  sensuali piaceri, come rilevasi anche dalle pitture di alcuni vasi, delti male a proposto italo-greci, dei quali ne ha discoperti un gran numero nei suoi scavi il signor La forma del governo etrusco, ove riunivansi l aristocrazia, ed il sacerdozio, imped efficacemente al genio di quella nazione, di prendere lutto il suo naturale sviluppamelo. Imperocch ai Lucomoni, ossia alla nobilt ereditaria, aveva rivelato Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi, che si dovevano osservare dal popolo, col potere di Applicarli nella maniera che paresse loro la piti propria aperpetuare il loro monopolio esclusivo, e tirannico-, E per rapporto poi al potere civile, formavano questi medesimi Lucomoni il corpo governante di tutte le citt di Elruria. Nei primi tempi si parla di re, non gi dell intiero paese, ma bens di stati separati, ed il cui potereera senza dubbio limitatissimo da quello dell alta aristocrazia-, E questi re senza potere, spariscono ben presto intieramente, come pi tardi nella stona greca, e romana, Mentre che in Etruria, non sorge alcun ordine corrispondente ai plebei, per rappresentare V elemento popolare della Costituzione. E molto difficile di poter fissare con esattezza i privilegi del gran corpo della Casta potente-, E Miiller inclina per l'opinione, e mi pare eli abbia dato nel segno,che i coltivatori fossero i servi dei proprietarii del suolo, come furono in tempi a noi piu vicini i Penasti in Tessaglia, e gl Iloti a Sparta.  cosa certa difatti, che esistesse una classe simile in Etruria, ma non  per probabile eli ella comprendesse una gran parte della popolazione, non essendovi altro argomento, al quale appoggiare questa, ipotesi contrastabilissima, se non quello che i clienti di Roma fossero servi dei Patrizn. Tuttavia per  fuori di ogni dubbio che l aristocrazia etrusco teneva gli ordini inferiori in una dipendenza politica, e che per questo non pervenne quella nazione, al grado di potenza, a cui avrebbe potuto giungere-, Ma la sua prosperit prova ad un tempo che non era governata neppure affatto tirannicamente. Non sembra nemmeno che lagitasse lo spirito della democrazia, fino al punto di risvegliar dei timori, ed eccitare la severit della casta governante. Le insurrezioni di cui parlano gli storici, sono attribuite espressamente agli schiavi. Era l'antica Etruria fertile di grani, e particolarmente di quel farro che i Latini chiamarono far, ed anche odor, la cui farina forniva il puls, che noi diremmo polenta, o polenda e che era lordinario nutrimento degli abitanti di questa parte dItalia. Il ferro delle sue miniere, e specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la sua purit-, E forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e perle opere di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi.  poi molto probabile, anche secondo il Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che loro venisse dal Settentrione. Il precitato Miiller, che  come abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, v discutendo con moli acutezza nell opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi tempi di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo maestro a preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di schiavo I origine etrusco di quel principe, menzionato dalli Imperatore Claudio nel suo discorso sullammissione dei provinciali nel Senato, il cui testo fu discoperto nel secolo decimo sesto in tan, ed ai tripodi, e simili, giacch discopronsigiornalmnte alcune di tali opere egregiamente eseguite. Si spiega per facilmente la differenza che incontrasi fra le opere degli Etruschi, e quella dei Greci col carattere della religione dei due popoli. Imperocch la religione dei Greci conti Univa potentemente al perfezionamento delle arti plastiche, ove quella degli Etruschi, in ci che le appartiene in proprio, non ha niente che risvegli, e che trasporti V immaginazione dell artista. Pare anzi che ella favorisse efficacemente una opinione, che noi ritroviamo del pari nella teologia dei popoli settentrionali, ed in quella deglIndii, ed  questa: che gli Dei erano eglino stessi, come pure il sistema, al quale presiedevano, gli effetti di un potere che non iscorgevasi che a lunghi intervalli nella produzione degli esseri, e che assorbiva tutto ci che aveva crealo, per crearlo di nuovo. I SIMBOLI di questo potere erano gli Dii involuti della teologia etnisca, i cui nomi rimanevano ignoti e non erano oggetto di un culto popolare, ma che Giove stesso consulta. Gli Du consenti poi, che erano dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt ordine delle cose esistenti, e ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii. Manifestatasi la loro intervenzione negli affari umani, pi che in altra maniera con presagi di grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate con espiazioni sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato pot la moralit guadagnare qualche cosa dalla religione etrusco, che non corrispondeva in verun modo alla mitologia ridente, ma licenziosa dei greci, la poesia e le arti dell altro, vi dovettero indubitatamente scapitare non poco. Lo stesso difetto d immaginazione viva e disinvolta caratterizzava la dottrina etrusco dell immortalit dellanima. Il loro mondo sotterraneo, non era altroch un Tartaro senza Eliso. La superstizione non form in nessuna parte del mondo, un sistema pi completo che in Etrucia, senza eccettuarne neppure le Indie, e t Egitto Le regioni del cielo erano divise, e suddivise in modo che ogni prodigio poteva avere la sua spiegazione precsa. Ifenomeni dellatmosfera, il tuono soprattutto, ed i lampi, erano osservati, e classati comma minutezza, che avrebbe potuto fornire oli elementi, aduna vera scienza, se gli osservatorifossero stati veri filosofi, e non Sacerdoti. Ma nel fatto t osservazione di quei fenomeni, non servi ad altro che ad accrescere la servit della moltitudine, a quelli che reclamavano la co'nuzion esclusiva dei mezzi coi quali potevano placarsi gli Dei sdegnati contro il genere umano. Non  necessario di avvertire, che la filosofia nel senso greco di questaparola, vale a dire lo studio libero delluomo della natura, e della provvidenza, era ignota agli Etruschi, bench non si possano negar loro le cognizioni pratiche, col mezzo delle quali eseguivano le belle opere d'Architettura, e di Idraulica, che vengono ad essi attribuite dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose etnische senza prevenzione veruna, e senza spirito di pare. Elv. Mas. Chius. Go tavola. Quanto sia malagevole scioglier lenigma che nelle strane loro figure chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben potrebbero dirlo e il Caylus, e il DHan- carville, ed altri chiarissimi ed eruditissimi ingegni che in vano vi si applicarono; e quantunque in gran parte non mostrino significato nessuno che ragionevolmente si presti alle indagini dellerudito, pur taluni, ancorch pochi, han contrassegni da non permettere che siano annoverati tra i soggetti capricciosi insignificanti e per conseguenza inesplicabili. Nello scarabeo di n. 1 ci guidano con qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce come le figure alle quali si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi sopra non senza qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma etrusca, pure nson disposte alluso inverso come scrivevano gli Etruschi, n presentano voci che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di paleografia, e glossologia, che partecipano dell'antico greco e dellantico latino. Qualora non vi fosser lettere direbbesi che vi si vede Vulcano assiso sulla sua pesante incudine in atto di ascoltar le preghiere della consorte sua Venere a pr d'Enea, come ne d sospetto lo specchio femminile che tiene in mano, la donna  la libera di lei nudit. Che le lettere esprimenti parole tronche vi si conformino lo congetturo dal potervi leggere fex, quasi ephestus chera nome grecamente dato a Vulcano anche dagli antichi Latini. Segue 1 altro bisillabo vev, che se crediamo sformata l'ultima per una v, potremmo leggervi la voce Venus con poca difficolt. Ed in vero quella barba, che in un modo s sconcio si volle accennare alluomo sedente, d qualche idea del rozzo costume praticato dal marito di Ciprigna, che qui si vede contro a lui con assai studiata, sebben antica maniera dacconciarsi la testa per viepi sedurre il manto a compiacerla nell inchiesta delle armi pel figlio Enea : soggetto non raro nella glittografia, dove lartefice Vulcano  sempre assiso, e Venere che incontro a lui si trattiene a pregarlo, sempre in piedi. Quando si voglia credere che la composizione incisa in questo scarabeo num. 2 abbia un qualche significato allegorico, e non sia stato fatto a solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto dato da un leone ad un cinghiale, potremo credere che stiano i due animali a rammentare due precipue situazioni del sole nel cielo, dalle quali ne avviene il calor benefico dell'estate, e 1 importuno freddo nellinverno. Infatti  il segno del Leone che domina in estate, e che abbatte colla forza dei raggi solari quei mali che alla natura cagiona 1 ingrato e sterile, inverno significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel trattare dei Monumenti etruschi - vote eh bronzo a Lione ; Il quale pretende che il vero suo nome fosse Mastarna, e che foss e compagno di un capo dicosi detti Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si  che la voce etrusco Mastarna, vale imbrattato, ossia di sordida origine,^ corrisponde cosi a quanta ne dice la tradizione. Ma mentre JMebuhr si allontana intieramente dalla storia, supponendo che Tarquinio il vecchio fosse uno di quei Latini pnschi da ha immaginati, pensa il Mailer ehei fosse veramente etrusco, e che traesse il suo nome da Tarquinia, ( e lo pensiamo noi pure,) il cui dominio estendevasi allora dalla parte del mezzogiorno, fino alla citt di Roma, che erane anche dipendente in quel tempo. I compilatoli della Rivista edimburghese non credono che questa opinione sia basata s fondamenti abbastanza solidi, bench paia loro pi probabile di quelle di lebuhr, per sostituirla ai racconti della storia comune ; E non sanno comprendere neppure, come dei fatti accompagnati da circostanze s ben precisate, quali sono quelle dell'esistenza di Servio Tullio, e deiTarquinii, del loro paese, e dello stato loro possano cangiarsi tutto ad un tratto in un simbolo di etnisca supremazia. Lo che peraltro non dester nessuna maraviglia a chiunque sia meglio di loro istrutto delle antichit etnische, e conosca pi a fondo che essi non conoscono, luniversalit dello spinto simbolico di quei remotissimi tempi. E comunque sia poi la cosa, checch si debba pensare eh tali supposizioni, il fatto vero si  che Roma fu conquistata dagli Etruschi sotto la condotta eli Porsetto re di Chiusi, come lo prov, sono gi molti anni, Beaufoit, disvelando gli artifizii, sotto i quali avevano procuralo i Romani scrittori di nascondere questo colpo umiliante. Oltre di che, furono, come abbiamo gi detto, anche i fondatori, ed i primi abitatori di Roma, una truppa dibanditi toscani. Ma circa ad un secolo dopo il regno di Porsena, vennero gli Etruschi umiliati essi pure dai Celti, e da altre barbare genti, che si resero padrone di tutto ci che eglino possedevano sulla riva meridionale del P fino a Bologna, e che occuparono anche. Roma, bench temporanamente. I Romani per, vincitori dei Galli, e cosi pi fonnidabih che mai, non tardarono molto a conquistare, e colonizzare quella parte i truna, che si estendeva al mezzogiorno della selva Ciminia; Ed anche laCam- pania eia caduta allora sotto il potere dei Sanniti, e tutte le provinole etnische al settentrione deglApennin, erano rimaste sotto la dominazione dei Galli. Tentarono indarno gli Etruschi, dopo la gran disfatta, che ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di Bussano, di chiamare in loro soccorso i mercenarii Galli, poich furono battuti di nuovo, perch le loro temporarie confederazioni, non poterono opporre una efficace resistenza, contro la disciplina, che la vittoria aveva gi organizzata nelle armate romane; Eia potenza di quel popolo celebre, e valoroso per s lunga serie di secoli, rimase intieramente abbattuta,prima delle guerre di Pirro, e di Annibale. del cielo, di che ho trattato in altre mie opere. Le colonne ed i vasi che son sepolcrali rammentano le ceneri degli avi, presso i quali fu ucciso linfelice Laomedonte assalito da Ercole nplia sua patria presso le lor ceneri. Questo disegno  una quinta parte della grandezza che ha 1urna di marmo. La rozzezza della scultura di questumetta in pietra tufacea che nel suo originale  soltanto doppia di questo disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi il soggetto che a me sembra esservi espresso. Imperocch io vi scorgo nella figura equestre unAmazone, di che ho non lieve indizio nel berretto che le copre la fronte, e quindi in ogni restante della composizione, che non differisce dalle gi esposte alle tavole. Qui v'una circostanza che ne scopre sempre pi lallusione a soggetto ferale, ed  1 albero significativo dombra, e privazione di luce : luogo insomma dove passano i mortali dopo il periodo vitale assegnato loro dalla natura in questa terra. Un pregio singolare di questi bassirilievi di pietra tofacea  in qualche modo Tesser tutti chiusini, e duno stile che pu dirsi unico in questo genere di antichissimi oggetti d'arte. Quel di Perugia chio riportai con esattezza alla Tav. Z 2 della ser. VI deMonumenti etruschi,  inferiore nellesecuzione forse per difetto della cattiva sclta nella pietra eh' molto pi tenace di quella chiusina, e pi assai porosa, ed a luoghi affatto spugnosa. Loriginale di questo che abbiamo sottocchio non  che per met maggiore del suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi rappresentata una processione religiosa. La prima figura che ha semplice manto, e non veste lunga  dunque un uomo che ha in mano una gran foglia, dalla quale argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti portavansi le foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, chio esposi altrove 3 . Segue la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne sa il destino, Dopo  una figura con bastone in mano,molte delle quali vedemmo gi nelle tavole scorse. Ma siccome tien dalla sinistra mano un uovo, cos potremo in qualche modo congetturare che la pompa della quale quel seguace fa parte sia espiatoria, e perci analoga al defonto, presso al quale quest ara  stata trovata. Poco sappiamo di una tale superstizione, ma ci  noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate infernale, 1 Ingliirami, Monum. etr. g 5, e Galleria Omerica Tom. n, tav. cxciv, p. j 54 * 2 Monumenti etr. ser. v, p. 44 l 2 * 3 Ved. le tavole 11, lii, iv,, xxxvni, lui,, Lvi. LAmorino qui espresso  copia dun bronzo grande quanto il suo originale, eh duna bellissima patina verde. Non saprei giudicare dal solo disegno, che m sottocchio, qual ne sia lazione, e quale il significato di essa, onde mi limito ad osservare che lacconciatura di testa, non meno che lo stile assai molle, e s vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei gi esaminati bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare questidoletto per un opera eccellente degli Etruschi, allorch sottoposti ai Romani praticaron le arti netempi di Adriano. Leggendo lo storico Diodoro ho incontrato un avvenimento drcole, che mi sembra molto analogo a quanto si rappresenta in questo bassorilievo. Narra quello scrittore che tornato Ercole insieme cogli Argonauti alle spiagge troiane, ove avea lasciati in deposito a Laomedonte la vinta Esione ed i cavalli di Diomede, invia suo fratello Ifito, e Telamone a riprendere il deposito affidato a quel re; ma il perfido ne ricusa la restituzione, ed oltraggia i messaggi. Allora gli Argonauti muovono contro Laomedonte e contro i Troiani suoi sudditi, e dopo un vivo combattimento trionfano. Ercole sopra dogni altro fa prodigi di valore, ed uccide di sua propria mano il re Laomedonte Tanto basti a ravvisar qui E avvenimento or descritto. Ercole ha in mano la spada per uccidere il perfido Laomedonte che h. gi ghermito pei capelli, n pu altrimenti evitare il colpo fatale di morte. La pelle di leone che si annoda sul di lui torace lo manifestano per Ercole, sebbene usi spada e non clava. Laomedonte altres fassi noto al berretto asiatico proprio dei Frigi e Troiani in modo speciale, come ripetuti esempi ne d nella Galleria omerica 3 . Il bastone pastorale gli  posto in mano dall artista ad oggetto di aumentarne la distinzione, come spettante alla famiglia di Dardano, eh io dissi altrove 3 essere stata distinta per la sua occupazione di guardare gli armenti de suoi antenati, non meno che per la singolare bellezza della quale furono adorni i di lei componenti. Difatti qui Laomedonte si mostra bellissimo e delicatissimo, in paragone del robusto Ercole, e dellaltro eroe eh degli argonauti combattenti in quella occasione con Ercole. Le due Furie con face rovesciata, ripetutissime nelle urne etnische, non hanno un positivo ed intrinseco rapporto col fatto. L'altare serve soltanto di espressione per mostrare che il paziente altro scampo non ha che reclamare la protezione Diod. Sic. Bibl. hist. Galleria Omerica, Iliad-, Tav. le arche racchiudevano oggetti sacri di mistica rappresentanza, non visibili ad ogni profano. Il vaso dipinto con queste donne che staccano in giallastro su fondo nero, fu, credio, venerando per gli oggetti contenuti nella cesta, piuttostoch per le donne che la portano. Nellinterna e concava parte duna tazza di terra cotta vedesi dipinto con fondo nero un sacrifizio, che mostra, credio latto del camillo, o vittimario di cuocer le carni della vittima sul fuoco acceso nellara o foculo, mentre il sacerdote che sembra di Bacco  pronto a farvi una libazione, versandovi parte della sacra bevanda. Dalla bassezza di quellaltare, pare che latto religioso fosse diretto al culto di Bacco stigio, che pregavasi perch fosse favorevole ai morti; come difatti la tazza dov questa pittura fu posta come le altre in un sepolcro.  invero assai singolare il bronzo num. 1 che qui presentiamo in disegno nella dimensione del suo originale, come si pu riscontrare nel privato e ricco museo del sig. capitano Sozzi di di Chiusi dovesiste. Non  del tutto nuovo per altro; ed io vidi un idolo lungo due piedi e sottile nel museo di Volterra tutto nudo, e colle braccia aderenti al corpo, senza nessun emblema. Il Gori che lo illustr, gli dette nome di Lare domestico ridotto pi grande e piu maestoso della specie umana, oppure un dei Lemuri che credevansi ministri del Genio malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che da Plutarco si dice esser comparso a Bruto in aspetto pi grande di quel chesser suole lumana specie 4 . lo crederei che pi convenientemente confermar si potesse esser questidolo chiusino un Lare domestico, forse anche Lemure, pei lumi che ce ne d Plutarco, giacch Tesser vestito e laver patera in mano tanto converrebbe ad un Lare, quannto sconverrebbe ad un semplice Genio. Lo stesso Gori ha posti nella sua collezione altridoletti che hanno la qualit speciale desser pi lunghi delle dimensioni spettanti allumana specie, ma che lespositore per bizzaria dichiar con nomi speciali =, senza darne sodisfacente ragione. I bronzi notati di numm. 2 e 3 sono le due estremit dun manubrio di qualche vaso usato probabilmente per sacri riti, come lo mostra la testa dasino che ne compone la superior parte, mentre si tien per ovvia la notizia che questo 1 Plutarc. de animi tranquillitate, ap. Gori, Mus. Etrusc. Voi. i, Tab. cim, Voi. n, i. 2 Gct, Mus. etr. Tom, tab. v. si attribuiva una virt espiatoria 1 . La figura virile ultima non ha caratteristica veruna che la distingua. Da un lato, cred'io, di questo cippo o ara che sia, v unauriga nell'atto di guidare il suo carro alla corsa : istituzione antichissima rammentata inclusive da Omero % fra gli onori compartiti da Achille allombra di Patroclo.Sorprender gli archeologi la novit di questa lucerna fittile che porta effigiato un centauro colle ali non pi veduto, chio sappia. Ma canger la sorpresa in persuasione, tostoch richiamer alla memoria quanto dissi altrove rapporto alla composizione siderea di untai mostro; di che ripeto qui soltanto qualche leggierissimo cenno. Dissi pertanto che stando alle dottrine dIpparco, il Centauro si compone di un cacciatore, o per meglio dire della costellazione che in antico aveva il semplice nome di un dardo, e dellalato cavallo sidereo che dicesi Pegaso [citato da H. P. Grice]. E poich questo rappresentasi per met soltanto nel davanti, cos inventarono di aggregare il restante del cavallo, o sia la posterior parte al cacciatore arciere. E siccome il Pegaso composto dal Centauro  figurato con ali, cos non  fuor di proposito il trovare in questo arciere colla caccia in mano la posterior parte del cavallo Pegaso colle ali che formano il distintivo del destriere abitatore del Parnaso. Il vaso rappresentato in questa Tavola due terzi pi piccolo del suo originale  di terra cotta di naturai colore, a differenza daltro simile qui pure esposto alla Tav., eh'  di terra nera. E poi singolare in questo il veder le braccia staccate dal vaso e fermate con delle cuciture di fil di ferro agli orecchi o manichi di esso vaso, e pare che abbiano tenuto qualche cosa nelle mani che soglion esser traforate . Un indizio di barba rasata ce lo fanno credere un Bacco. Per ogni restante si legga quanto dissi alla Tav. Fu costume frequentissimo nei sacri riti del gentilesimo lintrodurvi le femmine canefore, o cistofore ma specialmente in Etruria, e i monumenti ci mostrano come un tal uso invalse qua nei tempi antichissimi, come Io mostra il famoso vaso dargento di Chiusi da me riportato altrove. Quelle ceste, o picco- i Suid. in VOC. Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu # 3 Monumenti etr. ser. v^av. lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih, Ragionamento vii. SULLA VERA SITUAZIONE TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA SEDE DELLIMPERO ETRUSCO. AffdS'vtffzoufft yap y, 1 U : VI I q 3 : alflNS J/ttq A J : V1V :tfntnqf\ jmn/qo . jfjvm/dn  nq/i R13D J/ilflllV Monutn. etr., sei:, u, p. 56. 2 Milli, Peintures de Vases ani., Tom. 2 3, not. (6). 3 Monum. etr., ser. n, p. i52. 4 Ivi, p. 693, 713. Etr. Mus. Chius. Tarn. 1. 5 Ivi. Ved. la spiegazione delle Tavole i, p. e ixxvui. 6 Ivi, tav. xlx, e sua spiegazione. 7 Euripide nelle Baccanti atto primo scena iv in principio. 9vono discorso anche intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro, celebrandone le ime, e 1 altro. Scrive La-Martiniere che le rovine d questa citt ritengono tuttava t antico nome, e che si chiamano Vetulia,ree/ che concorda coll'Alberti, e si legge in una nota del precitato Cluverio, che Vitulonia era situata fra Populonia, e la torre d San Vincenzo, presso alle paludi caldane, ed il fiume Linceo, detto oggi la Cornia. La quale opinione pare appoggiata da quel passo del sullo dato PLINIO; ove nomina insieme  Tarquiniesi, i Tuscanes, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini, ed i Volterrani, cognominati etruschi, comegli si esprime. Molte altre citazioni, ed altre notizie avrei potute raccogliere ed aggiunger qui, riguardanti la nostra Vitulonia, ma le ho tralasciate per brevit, e penso che siano anche troppe le gi addotte, per dimostrare quanta confusione, e quanta incertezza si riscontri negli autori, ogni volta che ne fanno parola. Ad onta per di tanta confusione, e di tanta incertezza degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia, per cui  sembrato ad alcuni archeologi, non solamente difficile ma eziandio impossibile di poterfissare, ove sorgesse un giorno quella primitiva sede dell impero etrusco, quandi esso estendevasi a tutta l Italia; io voglio non pertanto tentare in questo ragionamento di stabilirlo. E voglio in questo tentativo mettere a profitto le belle, e ricche scoperte di vasi etruschi, e di altre anticaglie, fatte dall'egregio signor prncipe di Canino nelle sue terre di questo nome, e giovandomi ad un tempo dei lumi sparsi da quel chiarissimo scrittore, illustrando gli uni, e le altre, e per cui viene ora meritamente lodato in questa materia, come il pi benemerito promotore della gloria dei nostri padri. Tralasciando pertanto di rintracciare, lo che sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe edificata da Tarconte, come pretendono alcuni autori, o dal celeste Ogige, il quale come vuole non so qual poeta, Itali Tuscas pelago descendit ad oras, dove torreggi Vitulonia, o finalmente lo fosse dagli Etruschi, regnando su di essi, come piace ad altri quello stesso Giano Velo che istitu, per quanto si dice, il culto di Vest, e le Vestali nelle nostre contrade, diede il suo nome al Gianicolo, combatt per tre anni coi Celtiberi, e finalmente li vinse, e li sottomise alla sua dominazione: quello stesso infine, che consacr, giusta le tradizioni, una gran selva a Crono nelle vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome potrebbesi interpetrare stagno, od acqua incostante, passer in quella vece a determinarne subito la topografica situazione. Circa la quale io credo che non possa rivocarsi in dubbio, quanto il sullodato signor principe di Canino ne ha detto nel primo volume del suo Museo etrusco, parlando in particolar modo della sua Necropoli; E sono persuaso che ella sorgesse veramente nel luogo da lui supposto, e descritto. Bifalti la prodigiosa quantit di vasi etruschi di sommo pregio, e di somma bellezza, e nei quali sono rappresentate favole, o storie anteriori alla fondazione di Ro- Crede Ermolao Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov era una volta Vilu- lonia, lo che non pu essere. E VAlberti scrive che ai suoi tempi chiamavasi Veletta, o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri sostengono, che altro in oggi ella non sia ch un luogo deserto, distante tre miglia dal mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che confondono Populonia stessa con Vitulonia, bench fossero per localit, per et e per potenza paranco, luna ben distinta dall' altra. Jf erudito Guarnacci poi, dice di non poter determinare neppur egli, ove giacesse questa famosa, ed antichissima citt, perch s conosce, secondo lui, solamente il nome della medesima, ignorandosi per del tutto, a qual distanza precisa fosse ella situata da Volterra, e dal mare Ma Annio da Viterbo nelle sue note agli Equivoci, di Senofonte, afferma esservi un colle chiamato Vetuleto, e lo afferma con qualche probabilit, per let sua, sul quale crede che fosse situata altre volte Vitulonia. E pensa che dopo la rovina di questa, gli restasse un tal nome. Il medesimo poi ne deriva letimologia del nome da due parole araniee, che verrebbero a significare, capo di molte citt; ci che non sarebbe disconvenevole a Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in molti altri scrittori si legge paranco, che essa godeva il privilegio di ammettere i forestieri alla cittadinanza volterrana, come ancora la privativa in et pi remota, di dare i fasci, e le insegne reali, la qual cosa indica essere stata la medesima al disopra di Votterr. Non di meno il chiarissimo Passeri nel suo trattato della Numismatica etrusca ; la crede colonia dei Voltrrani, bench ci non possa essere accaduto, se pure vogliamo ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo la sua decadenza, e totale rovina, e dopo il successivo ingrandimento dell'altra. Mentre quando eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di potente impero,  ben ragionevole il credere che succedesse tutto il contrario . Lo stesso Silio Italico, citato disopra, chiam la nostra Vitulonia splendore della Meonia gente, alludendo probabilmente a quei Lidii che si dicevano venuti a stabilirsi in Etruria, e principalmente in quella regione-, e la disse ad un tempo inventrice dei Fasci, delle scuri, dei Littori, della Sedia Curale, e della pretesta, come pure le attribuisce il merito di avere adattata l'enea tromba agli usi guerrieri-, cantando nell ottavo libro delle guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia gentis, Bissenos hoec prima dedit precedere fasces, Et junxit totidem tacito terrore secures: Et princeps Tyrio vestem prsetexuit Ostro; Hasc altas eboris decoravit honore curuies, Heec eadem pugnas accendere protulit sere. Esistono infatti antiche medaglie, riferite dal prelodato Passeri, ed anche dal Guarnacci, coll epigrafe Vetiunia, e coll emblema della scure, o bipenne, insegna dei Magistrati etruschi, e precisamente di quella citt. Ed alcuni gravi scrittori mo- Messina, e fuori ancora dItalia per fiancheggiare le inaudite millanterie di quei medesimi Greci, e loro forsennati seguaci, riprodurr qui una opinione singolare, ma vera, e che mi pare che siastata sostenuta anche dal Vico ; e dir che le Muse ebbero origine in Italia, nellinfanzia, per cosi dire, del mondo. Ed aggiunger, che da questa bella penisola emigrando, pr quelle vicissitudini, che modificano, e fanno cangiar di aspetto continuamente a tutte le cose umane, passarono in Arcadia, colle prime colonie italiche di Plasghi Tirreni, che erano indigeni di questo delizioso paese, favorito in ogni tempo sopra di ogni altro dalla natura, per tutte le arti dilettevoli, e per tutti gli ameni studi. Ed andarono ad invadere,  popolare la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed incolte, dove ebbero poi nome, e culto per opera di Anfilone, di Lino, dEumolpo, e d Orfeo, ma vi si erano condotte da prima coi sunnominati Pelasglii-Tirreni, pastori ad un tempo, e poeti. Da dove ritornarono pi tardi in queste benedette contrade in compagnia dEvandro, e non ne partirono mai pi-, ad onta di tutte le devastazioni e di tutti i flagelli, che vi portarono gli stranieri, i quali ne fecero in tutte le et il primo oggetto delle loro ambiziose conquiste . E persuaso come io sono, che Vitulonia dettasse in remotissime et le sue leggi agli Italioti, potentissimi allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi medesimi, nelle cui vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta \dal signor principe di Canino, come Roma le dett loro, e all universo, in altri tempi, dall alto del Campidoglio, terminer questo mio ragionamento, ripetendo con VIRGILIO, Purpureos spargain flores, animasque parentum His saltelli accumulem donis. M non voglio per dar fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al signor compilatore dal Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto rispetto, a volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di dire, quando ha scrto del medesimo, con franchezza pi che cattedratica,  Contribuiscono ad illustrare qualunque parte delle antichit dell' Etruria le utilissime lettere d etnisca erudizione che si pubblicano dal cavaliere Inghirami; siccome allo stesso tendono nel modo loro particolare, le ingegnose conghietture del signor Principe di Canino,  quelle di simil genere del professor Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo chiusino  perch sebbene io confessi ingenuamente : che mi rifugge t animo alt idea, che debba venire un Oltramontano ad insegnare a noialtri Italiani, a conoscere le cose nostre, e quelle dei nostri padri, mi sar tuttavia gratissimo di potergli rendere pubblica testimonianza di avere imparato qualche cosa da lui, come non poche me ne insegnarono altre volte, e di vario genere,  Dempsteri, gli Acker- blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo ci onore, ed altri ancora che per brevit si tralasciano. e 9 ma, e vi si osservano costumi anti-romani ancor essi, dal medesimo dissotterrati nelle sue campagne della Cucumella, e Cannellocchio, mostra ad evidenza, che tanta ricchezza di vasi dipinti, non poteva appartenere che alla Necropoli di una citt grandissima ed opulentissima, e capo di potentissimo impero. N i tre ponti dallo stesso discoperti sulla Fiora cosi l uno all altro vicino, servir potevano ad altro che a mettere in comunicazione fra loro le due parti di questa medesima citt ; E questa non poteva esser che V itulonia, se ben si voglia riflettere alla sua localit, dietro quello che si legge negli scrittori antichi, e moderni, bench alquanto oscuramente, intorno alla situazione di quella metropoli. Che se qualche ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario,  pregato a considerare un poco meglio i monumenti dei nostri antichi, e singolarmente quelli dissepolti nelle terre di Canino, ed anche a porre maggiore attenzione quandi egli legge le opere degli antichi, e son di parere, scorger facilmente timpossibilit di provare il suo assunto. In quanto poi al predicare la civilt italica molto anteriore a quella della Grecia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi, che riprodurre quanto era stato opinato nello scorso secolo dai dottissimi archeologi, e filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi e non greco-mani, Dempstero, Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnacci, Bocliart, Mazzocchi, Lami .Bourguet, ed altri ancora. E pi modernamente dalli eruditissimo poliglotta Acherblad, dallillustre Marini, e dal celebre Visconti, prodigio dingegno, e di dottrina, anche a giudizio dei pi dotti francesi. La quale opinione, propagata da tutti i surriferiti grandi uomini, che trovasi confermata nelle memorie dell'accademia delle iscrizioni di Parigi, e che  messa in piena luce da quella mente straordinaria di VICO (si veda),  poi quella stessa riprodotta, e commentata dal sullodato signor Principe di Canino, nei varii articoli del precitato primo volume del suo Museo etrusco, dopo che la riscontr comprovata dai Monumenti da lui discoperti, negli scavi fatti eseguire nelle sue terre. N di poco momento  per me, onde viepi confermarmi in questa opinione che mi  divenuta certezza, t autorii a del profondo archeologo romano AMATI (si veda), uomo di somma perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichit versatissimo, e che la sostiene egli pure. Che del resto la iattanza impudentissima dei Greci,  dei grecomani, circa la civilt, e le arti italiche, non  nuova in queste contrade, sapendo ogni mediocre erudito, che per rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria, pose mano Catone a scrivere i suoi libri dlie origini, e si mostr grandemente sdegnato, perche nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia si nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora dunque, animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno, per le tante inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli Alpi a Etr. Mus. Chius. Torri. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea, come inventa Omero alle furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immagin di lasciar combattere a saziet i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea lidolo, o popolarmente parlando, l'ombra di lui. Questa poetica immagine del combattimento dedue partiti per un vano fantasma fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in molti delor cinerari, un dequali eh in marmo, fu da me inserito nella serie che ho data demonumenti omerici della Iliade, similissimo a questo ch' di terra cotta due terzi soltanto maggiore del presente disegno, mentre quel di marmo  due terzi maggiore di questo modellato in creta. Vi si vede pertanto il simulacro dEnea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Diomede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si trova, spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe Troiani ed Achei. Loriginale in terracotta era dipinto a vari colori, ma ora svaniti. L iscrizione  soltanto dipinta in color di porpora, e rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto, le cui ceneri chiudeva lurnetta. Un licenzioso stuolo di baccanti si offre allo sguardo dell.osservatore della tav. presente, e ci avverte esser questa la pittura dun vasetto ch rappresentato alla tavola e frattanto si verifica la massima comunemente invalsa per esperienza, che tre quarti dei vasi fittili dipinti hanno soggetti bacchici. Questo ha figure nere su fondo rosso ed  il vasetto originale tre volte maggiore del disegno dato alla tav. suddetta. La statuetta di Venere che orna quest' ago crinale grande al pari del presente disegno  adattatissima a dar compimento ad un utensile di muliebre decoro.  singolare il vedere nei Monumenti etruschi la Venere quasi sempre coperta negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso, ravvisato il velo del quale son coperte agli occhi della nostra penetrazione moltissime delle operazioni della natura: osservazione che dovette esser propria specialmente degli Etruschi, i quali si magnificano come studiosi della filosofia naturale. Proporrei ancora il sospetto che lago crinale fosse un simbolo mistico, e per tal cagione posto nel i Iliade Tav. Non credasi per mai da alcuno, che io ni" altlia la stolta pretensione di non essere criticato, ch anzi mi reputer sempre ad onore ogni critica fatta a dovere, Ma quando venga questa in mal tempo, e con peggior garbo, metter sotto gli occhi di chi vorr leggermi, il seguente epigramma. Censura sapiens, et doctus acutnine gaudet : Stultus at insano carpere dente solet. Ex tribus his titulis, quem vis, tibi delige lector: Sic sapiens, doctus, stultus et esse potes. XLI. VIDflDMU 4/mvfl4i  flnoai ; qn-i XLEL -.43 : F\\F{- 1/1-1 : 4 /Oq/ : i4 : 4/RttYf : intblq/d :m3iifl4 ; i n/qi : 43H3vi :.lamvfliflm: finn o ni asiaq'D : 4flim#4 : intn.q/a : xLvm. 4/aifn/qi3i lantqfl = ioqfiN ninni m Y 131 : 4An#isa : ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f : laUfVf : flitifl Al disopra del coperciio. a Siccome finisce il lembo del coperchio pare che abbiano continuata la parola al di sopra del coperchio della stessa urna. I 74 (lutto nell'arte, mentre qui la Furia infernale esce di sotto terra; come nel teatro. Se questuso non  molto antico, non potremo reputare antichissime neppure queste sculture ove tal uso  imitato. Lurna  due terzi pi grande del presente disegno. Il soggetto di questo rozzo vasetto non  che un baccanale. Il vecchio barbato e nudo rappresentar dovrebbe un satiro, mentre a centinaia s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi nei sepolcri, e le lor mosse costantemente bizzarre, come acche la lor nudit costante, non permettono di separar questa virile figura dal coro satiresco di Bacco. Ma la rozzezza del lavoro accompagnato da negligenza; fece dimenticare al pittore di aggiungere alla sua figura la coda equina che a satiri non manca mai. La donna eh  dalla faccia opposta del vasetto, non pu essere per conseguenza che una baccante . I circoli che in buon numero si vedono attorno alle due figure sono un enigma finora inesplicato. La grandezza delle figure  uguale a quella delluomo barbato. La pittura  giallastra in fondo nero. I tre recipienti che occupano questa tavola son vasi con pitture in parte nere e in parte giallastre, che si mostrano separatamente dai loro vasi, e che vedremo in seguito coi respettivi loro richiami. Ma il vaso segnato di numero 2 ha soltanto una pittura a parte, laltra di minor conto si vede qui in piccolo.Io vi ravviso due degli Efebi davanti al ginnasiarca, il quale ha verga in mano insegno che istruisce e comanda. Tali erano gli esercizi del ginnasio, dove la giovent sistruiva negli esercizi del corpo e dellanimo; e gran parte delle pitture devasi han simil soggetto nella parte opposta ad altra, che aver suole qualche rappresentanza mitologica o simbolica, come in questo vaso, dove si vedr Ercole accolto dal centauro Eolo. Queste favole credio avevano un senso misterioso, e la giovent sistruiva nelliutelligenza di quel senso non a tutti palese, per cui ne vasi comparisce nel tempo medesimo listruttore e 1 istruzione che rnostravansi con quelle pitture. Questo, pare a me, ehesser possa il momento in cui Ercole passando dal monte Foloe per andare a cercar del cinghiale dEriinanto, trattenutosi dal centauro Folo figlio di Sileno e della ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il pi ospitale che potevasi. Ercole ebbe desiderio di bere del vino. Folo ne avea soltanto in un vaso ehera stato dato da Bacco ai centauri in comune, e perci non ardiva daprirlo. Ma Ercole incoraggillo a deporre ogni timore, ed apri egli stesso sepolcro dov'  stato trovato . Dissi altrove difatti, che si venerava in Roma l'ago crinale della Madre Idea custoditovi fra le cose fatali, da cui facevasi dipendere la stabile conservazione dell'impero. Le oreficerie degli Etruschi, di che presentiamo qui un saggio, esser sogliono di uno squisito lavoro. I due pezzi superiori pare che siano stati usati a formare una collana, poich di simili ornamenti vedonsi le belle collane scolpite al collo delle matrone che si trovano giacenti sopra i coperchi delle urne 3 . Ci sia detto per disinganno di coloro che trovando nella Grecia altri ornamenti muliehri lavorati in oro con una perfezione e con un gusto simile a quei dei nostri Etruschi, ne dedussero che di Grecia si facesse smercio in Italia di tali bigotterie; ma poich la forma dei due pezzi superiori trovasi ripetuta soltanto nelle sculture d'Elruria,e non in quelle di Grecia, cos non abbiamo pruove che usassero tali ornamenti fuor dellEtruria, n che non si potessero quivi anche eseguire. Tra le infinite bizzarrie che vennero in testa ai figuli per variar le forme dei vasi, che servirono per ornar le ceneri dei sepolti, questa che presentiamo qui non  certamente delle men singolari. Il suo nome suol essere d' un ciato quando ha forma dun corno potorio; ma in figura di gamba non avendone io mai incontrati, per quanto abbia veduti moltissimi vasi sepolcrali, non saprei certamente quei che possa dirsene. La sua grandezza  due volte maggiore di questo disegno.  della solita terra nera di Chiusi, ed ha vernice nera assai lucida che lo cuopre d'uu color solo. In generale questi eran vasi da bere usati col rito, che dovevasi affatto votarne il recipiente, per cui non era necessario di tener questi vasi in piedi, ma suolevano star discenti sulla mensa. La tragica morte di Eteocle e Polinice  soggetto che fu caro agli antichi Toscani che lo elessero soventemente per ornarne i loro sepolcri. Qualche mossa, qualche ornato,lo stile medesimo della scultura, fan vedere che vi fu comunicazione tra la scuola di Volterra e quella di Chiusi. Il costume della Furia eh'  fra i due moribondi pi che altro manifesta la probabilit di questa mia opinione; come si riscontra dai paragoni che posson farsene 3. Altrove notai parimente 1uso teatrale di far comparire, non gi dalle scene i soggetti infernali, ma dal palco medesimo, quasi che sorgessero di sotto terra ^. Un tal uso vedesi esattamente intro- Monum. etr., ser. li J 2 Ved. la Tavola. Monum. etr., Tavv. II vasetto che primo si presenta in questa tavola  di terra nera, uguale in tutto al disegno. Le teste velate son cos ripetute nei vasi sepolcrali chiusini, che io non dubito di confermare il gi detto, nel supposto che siano indicative di larve Ci vien fatta peraltro notare 1 esattezza del lavoro, non meno che la perfetta conservazione del monumento. Si osserva un anello d oro eh  in propriet del sig. capitano Sozzi. Il lavoro, per quanto mi si elicer finissimo e di grandezza in tutto eguale alloriginale.  stato, per tanto riportato in doppia grandezza l'incavo che tien luogo di pietra anulare, perch meglio si osservi lo stile elevato di quel lavoro. I due animali, il leone cio e la sfinge potrebbero essere interpetrate pel passaggio del sole dal solstizio estivo allautunno, mentre quel mostro con corpo di leone e testa e petto di donna non altro pare che indichi, sennonch il sole che uscito dal segno del Leone ardentissimo passa in quel della Vergine, ove comincia a perdere lestiva sua forza, per cui si assomiglia a una femmina. La galante forma del vaso n. 1 non  comune fra quelle usate dai Greci. Limpasto della terra  tutto nero, ed in luogo di figure dipinte ha dei bassiri- lievi minutissimi, daquali, come da una doppia fascia,  circondata la pi larga parte di esso . In una delle nominate fasce al n. 3 stanno assisi due uomini con veste talare, in atto di voler dispensare delle corone, che ricevon coloro i quali stanno in piedi. Sotto alla lorsedia  un uccello, che secondo le moderne interpe- trazioni dei geroglifici egiziani, come dissi altrove ?, significa la casa dello sparviere, eh pur simbolo della divinit; e in conseguenza la casa o regione del cielo, sul quale stabilite si vedono le figure sedenti del nostro bassorilievo. Porgono esse dunque delle corone ai guerrieri, in premio di aver combattuto. Le sfingi nei sepolcri le ho sempre credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai segni dellemisfero superiore a quello inferiore 4, che dicevasi regno dei morti 5, e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 - Nel bassorii. n. 2 v un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad esso presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa unanima che passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue virt' 6, accennando non altro che il tempo di tal passaggio, come ho provato anche altrove? in questOpera. 1 Monum. etruschi, ser. i } i, Ved. la spiegai, della Tav. 3 Lettere di etnisca erudizione; Monum etr.; Lettere; Vedasi tutta la mia lettera scritta al dottor Maggi nel Tom. delle lettere, Ved. la pag. 5i, e 52 . ;5 quel vaso dovera, come appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti col dallodore del vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo, armati di grosse pietre, un de quali  qui rappresentato in dietro ad Ercole in atto di scagliarliela ; e forse  Anchio, o Agrio che furono uccisi da Ercole, perch i primi ardirono dentrare in quella caverna 1 . Questa pittura con figure giallastre  inet del suo originale. In questo bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed ignoto sul monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla citt di Troia, ove segnalavasi in tutti i giuochi e combattimenti che vi si facevano, ed in essi riportava la palma sopra ogni altro concorrente, inclusive sopra Ettore e su gli altri suoi fratelli, che sdegnando d' esser vinti da un ignoto pastore meditarono di assalirlo ed ucciderlo. Ma Paride allora si dette a conoscere per loro fratello, e cosi fu salvo. Qui Paride  NUDO COME SI COMPETE AD UN ATLETA, ed ha lunga palma sugli omeri, qual vincitore in competenza coi fratelli che invidiosi lo guardano, e meditano la di lui perdita, istigati a tanto misfattto dalle Furie infernali che loro si fanno dappresso. Il ginocchio che Paride tiene sullara significala protezione divina ehegl implora da Venere, come ho detto altre volte a, e 1  ottiene; mentre Priamo suo padre, a cui si pales, lo ristabil nel suo rango 3 . Il disegno  una terza parte delloriginale.Chi mai trovar potrebbe in questo vaso un gusto greco? Anzi a rettamente parlare diremo esservi un fare eh' tutt'altro che greco.Lornamento del piede partecipa delle scannellature che s frequenti ravvisiamo nelle opere dell'Egitto. In ogni restante v' una originalit singolare. I mostruosi animali a bassorilie* vo che ne ornano il corpo son frequenti in questi vasi chiusini di terra nera, ed io li tengo sempre per quelli animali caotici che ad oggetto di rammentare la pili antica delle orientali cosmogonie ne ornarono i sepolcri, di che ragionai anche altrove L La donna che serve d'apice a! coperchio del vaso, in quanto al disegno non  molto dissimile da quelle dipinte in giro nel vaso della Tav. LXXII, come ancora in riguardo al costume dellabbigliamento. Questo  dunque lantico etrusco stile, o l imitazione di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura pur trovata in Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or sio ripetessi qui pure, come ho detto altrove 5, che i Greci lavorarono vasi in Etruria, e quindi anche i nazionali ma in uno stile del tutto differente, non ne avrei forse in simili esempi le prove? Diodor. Sicul. Nonn, Dionis. intit. lItalia avanti il dominio deRomani Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5, .Monum. etruschi ser. v, Tav. lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i raonum.ant.uniti allop. droni perfino del tuono, e del fulmine, i quali peri loro sorprendenti, e terribili effetti, somministrarono in ogni tempo e in ogni dove abbondante materia alla superstiziosa credulit dei popoli. Giammai per, n presso alcunaltra nazione, ebbe la scienza tonilruale, efulguraria tanti cultori, come presso gli antichi Etruschi, n mai se ne fece altrove uno studio cos costante, come nell Etruria propriamente detta, e con successo cos, favorevole. Ma i sacerdoti etruschi, dopo avere immaginata una scienza profonda, e difficile, sui tuoni e sui fulmini, trovarono ancora il modo di renderla terribile e spaventevole al volgo della loro nazione. Imperocch, stabilita la distinzione tra ifulmini di consiglio quelli di autorit e di decreto, tra i postulatorii, i monitorii, i confermatorii', gli ausiliarii, gli ospitalieri, ed i fallaci, i pestilenziali, i micidiali i minacciami, ed i reali, e simili, ne fabbricarono ancora una spece di Diario, ossia Rituale. Del quale, per darne una idea ai nostri lettori, ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in italiano. Questo Rituale adunque, o Diario tonitruale, e locale secondo la luna coni essi lo chiamavano, fu tratto, per quanto ne dicono le tradizioni, parola per parola, da Publio Nigidio Figlilo, dagli scritti sacri di Pagete ; Ed  riportato da Lidio nel suo libro dei prodigi al cap. xxvu, pag. 101, dell edizione fattane a Parigi,per cura di Carlo Benedetto Tinse. Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al luogo citato, su tal proposito . Se egli  manifesto che gli antichi sapienti etruschi prendessero in ogni disciplina augurale per guida la luna, poich secondo il corso di quella espongonsi qui appreso anche i segni tonitruali, e fulgorarli, rettamente far chiunque si sceglier per duce in questa scienza le stazioni lunari, Laonde quinci dal cancro, e quindi dal novilunio, istituiremo la diurna cognizione dei tuoni, secondo i mesi lunari. Dalla quale passavano i Tusci, o sacerdoti etruschi ad insegnare le osservazioni locali, anche intorno ai luoghi percossi dal fulmine. E pare che il principale di tut fi i collegi di questi Tusci risiedesse a Fiesole, leggendosi in Silio Italico Adfuit et sacris interpres fulminis alis, Faesula Incominciando poi il Diario, o Rituale fulgurano, e tonitruale etrusco, dal primo giorno lunare del mese di giugno, dice cosi. Se tuoner nel'primo giorno della luna di giugno, vi sarei abbondanza di biade, eccettuato l'orzo, ed i corpi umani saranno attaccati da perniciosi morbi ; E se tuoner nl secondo, le donne partoriranno piu facilmente, ma peri ranno le greggi, e vi sar abbondanza di pesci. Tuon and poi nel terzo sara il caldo secchissimo per modo, che non solamente gli asciutti prodotti della terra, resteranno inariditi, ma si abbruceranno ancora gli umidi e i verdi. Laddove se tuoner nel quarto, laria sar talmente coperta, di nubi, e s piovosa, che le biade periranno per la putrida umidit. Se tuoner nel quinto giorno, sar dinfausto presagio alla campagna, e si turberanno tutti quelli, che presiedono ai villaggi, ed ai piccoli castelli, e borghi ; Se nel RAGIONAMENTO Vili, E IX SULLA SCIENZA TONITRUJLE, E FVLGURARIA DEGLETRUSCHI rpy.[xTcc re Fai $u oyav ?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aerer 9 stai ra 7repe tjv xepavvosxomav sar to*vt&>v v.S'peomav e^et^yacavro. Diod. Sic. B^ovrat xaS' v7rvous ayyXwv ics Xyot, Astrampsycb. de Sonili. interp. F_Ja superstizione, il pi funesto di tutti i flagelli che affliggessero mai, in qualunque regione, ed in qualunque et,  umana specie, facendola gemere sotto il giogo pi duro, e pi pesante di quanti ne seppero immaginare, e fabbricare, la tirannide pi scaltra, e il despotismo pi sospettoso, mescolando ognora profanamente, per meglio abbrutirla, ed opprimerla, il venerando nome di Dio, alle loro malvagit le pi enormi, fu sempre, e presso tutti i popoli della terra, il maraviglioso ordigno, e lefficace strumento, onde si valsero gli astuti, ed i tristi, a danno dei semplici, e dei buoni, ed i potenti,  glippocriti, per dominare i deboli, e farsi giuoco dei creduli- Questa Furia pertanto, esecranda, e crudele, la peggiore di quante ne racchiude nel suo seno lInferno, che ha percorso sotto varie vestimenta, e con diverso aspetto, tutta la superficie della terra,  quella che fece risuonare di strani ululati, e di querule grida le selve di Marsiglia, pei riti sanguinari di Teuta, le foreste di Norimberga, per quelli d'Irmensul le montagne della Scandinavia, per placare l ira di Thor o la vendetta di Odino, e le pianure della Perside, onde rendersi propizio Arimane; ed  pure quella medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide, e della Tauride, fece scorrer vermigli itessalonci torrenti, e quelli d Irlanda, accese gli orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desol le Americane contrade, e coperse in una sola notte la Francia intiera, di spavento e d lutto. Questa Furia spaventevole che prende tutte le forme, e che le varia poi in mille guise secondo i climi diversi, ed atteggiandosi ancora nel percorrere in ogni direzione la terra, secondo le differenti passioni, e la varia indole dei popoli, ebbe anche presso gli antichi Etruschi, influenza grandissima, e prepotente dominio. N avrebbe, potuto accadere diversamente in una nazione, ove la casta sacerdotale, o i collegi dei Tusci, facevansi, come in Egitto, e nelle Indie Orientali, una privativa dell istruzione, e di tutte le cognizioni letterarie e scientifiche. Ora questa medesima Erinni,invadendo lantica Etruria, e facendone in crto modo suo nido, signoreggi in singoiar guisa gli spiriti dei nostri antenati, prevalendosi anche presso di loro, di tutti gli strumenti opportuni al suo scopo. Laonde s impa- Etr. Mus . Chius. 11 ri 0 8o o/o dal fulmine aneli essi, come facevano i loro maestri. Quindi allorch esso partiva dall' Oriente, ed avendo toccato leggermente alcuno, ritornava da quella parte, era questo il segno di una perfetta felicit . Non traevas peraltro nessun augurio del fulmine, quandi esso altro non faceva che strepito. Quelli poi che sembravano promettere lene, o male, erano presi per contrassegni della protezione, o della collera di Dio. Laonde V erano fulmini di cattivo augurio, dei quali potevasi peraltro allontanare il presagio, come dipendeva dalla volont degli uomini il procurarsi quello dei fulmini di augurio favorevole, per mezzo di cerimonie religiose, e di offerte. Ve n erano poi altri, di cui non era dato ai mortali di rimovere la minaccia, per via di alcuna espiazione. Brasi introdotto pure fra i romani, come insegnavasi in Etruria, che romoreg- giando il tuono dalla parte destra, annunziava sempre qualche cosa di felice, e che era di funesto presagio allorchfacevasi sentire dalla parte sinistra. I luoghi colpiti dal fulmine divenivano sacri anche pei Romani, come tali divenivano per gli Etnischi, e non era pi permesso d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano allora degli altari al dio Tonante, e gli Aruspici avevano cura di consacrarli col sagrifizio di una pecora, dal cui nome venivano detti bidentali. Anche gli alberi fulminati dovevano essere purificati, ed una certa classe di sacerdoti delti strufertarii facevano in tale occorrenza un sacrifizio colla pasta cotta sotto la cenere. Se dobbiamo prestar fede a P ausonia gli abitanti della citt di Seleucia adorano il fulmine, che eglino riguardavano come la loro divinit suprema. Cantavano inni in suo onore, ed il culto di esso era accompagnato da singolarissime cerimonie. Ma  da credersi che il fulmine altro non fosse, se non se il simbolo di Giove, che adoravano quegli idolatri come essendo il padrone degli Dei. Nella Mitologia sono i ciclopi che fabbricano entro la fucina dellEtna i fulmini al padre degli Dei, e servivansi per comporli, e temprarli delle seguenti materie. Mescolavano insieme i terribili lampi, lo strepito spaventevole, le striscianti fiamm, lei collera di Giove s ed il terrore degli uomini. Il fulmine per non era lattributo esclusivo di Giove. Nellopera di Ralle intitolata Ricerche sul culto di Bacco, stampata a Parigi, domo primo, si legge che Proserpina ingener Zagreo, cio Bacco, colla testa ornata di corna, il quale da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s inalz al trono di suo padre, e tratt il fulmine colle mani ancora infantili. E nella descrizione delle pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla Winkelmann di una corniola, rappresentante Bacco con diversi attributi, ed un Satiro, ai piedi del quale vede si il fulmine. Anche Luciano, e Nonno panopolita, come pure molti monumenti antichi anno il fulmine per attributo a Bacco. Tutte le grandi divinit del paganesimo hanno due caratteri distinti: Luna generale, ed era quello del primo principio, dotato della forza, e della potenza universale, e laltro particolare, che ciascuna di quelle divinit riceveva dalle funzio-, 7sesto s ingenerer un insetto nocino nelle mature biade, e se nel settimo regneranno dei morbi, senza per che ne molano molti, e le secche biade cresceranno, mentre sinaridiranno le umide e verdi. Tuonarldo nel giorno ottavo sar annunzio di grandi piogge, e della morte del frumento, nel nono significher che dovranno perire le greggi per l'incursione dei lupi, e nel decimo che vi saranno frequenti morti, ma che tuttavia l'annata sar fertile;Mentre se tuoner nelVundecimo, annunzier innocenti calori, e letizia alla repubblica, e se nel duodecimo accadeva lo stesso Quando tuona nel giorno decmotrzo, minaccia la rovina di un uomo prepotente, nel decimoquarto, indica che laria sar eccessivamente calda, e non dimeno sar lieto il provento delle biade, con gran comodit di pesci fluviali, ma i corpi cadranno in languore; E se poi tuoner nel decimoquinto i volatili saranno affetti da incomodi nell estate, e periranno le bestie natanti. Se nel decimo sesto giorno tuoner, non solamente minaccia diminuzione dell'annona, ma anche guerra, e verr tolto dimezzo un uomo floridissimo; Se tuoner nel dectmo settimo, vi saranno calori grandissimi, e mortalit di topi, di talpe e di locuste i E non pertanto lanno apporter abbondanza e stragi al popolo romano. Tuonando nel decimottavo, minaccia calamit ai frutti, nel decimonono moriranno gli animali nocivi agli stessi frutti, e nel ventesimo minaccia dissezioni al popolo romano. Quando tuona nel ventunesimo giorno, indica penuria di vino, buon provento delie altre raccolte, e gran copia di pesci, nel ventesimosecondo presagisce un calore dannoso, e nel ventesimoterzo dichiara letizia, allontanamento di mali, e fine di morti. E cos nel ventesimoquarto annunzia abbondanza di tutte le cose, e nel ventesimo quinto significa che vi saranno guerre, e mali innumerevoli. Finalmente se tuoner nel giorno vigesimo sesto, il freddo nuocer alle biade, nel vigesimo settimo, i primati della repubblica avranno da temere di andare incontro a perigli per parte dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi libert di biade, mentre tuonando nel vigesimonono, le cose della citt si troveranno in migliore stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve spazio di tempo spesse morti. E cos di tulli gli altri mesi. Allafine poi dellultimo mese, 5 viene osservato, che Nigidio oiu- dico che questo Diario tonitruale, non fosse generale, ma per la sola citt di Roma. N ci parra fuori di proposito, a chiunque facciasi a riflettere che i sacerdoti etruschi, erano solili vendere a caro prezzo la loro scienza, a tutti quelli che ambivano di farne acquisto, e singolarmente ai Romani, che ebbero cominciamento da u na ciurma di banditi d Etruria, e ne divennero poi gli emuli, quindi i nemici, e finalmente i padroni, ed oppressori. Impararono per ben presto anche i Romani a fare la distinzione fra i fulmini lanciati il giorno, e quelli che lo erano nella notte-, E credevano che partissero i primi dalla mano di Giove, ed i secondi da quella di Summanno, la qual dottrina  tutta etnisca. Dopo questa distinzione, non tardarono molto a trarre ogni sorta di presa- m p. e. gl' Iotorti, i quali sono quelli che tracciano cadendo una linea tortuosa, nei quali sono prima di tutto da ammirarsi,al dire di essi, la loro natura, e la difficolt di contemplarli ; Ed aggiungevasi dai medesimi libri, che non lutti producono i medesimi effetti, neppure quelli che vengono formati, secondo loro, dall' aria, e dal concorso delle nubi. E vi si trovano pi altre osservazioni di questa, e di altra specie, che sono pure riferite da Lidio a pag. 171, cap. 44  Afferma anche Arduino che i Tusci attribuivano a noveDei la facolt di scagliare i fulmini, e che ne distinguevano undici specie diverse j E per viepi persuadersi che eglino riguardavano come cosa di grande importanza la scienza dei fulmini, leggasi anche Seneca, lib. 2. cap. 32, 33, e seguenti, delle questioni naturali, ov egli descrive prolissamente tutta la lor dottrina, e tutta la loro scienza sui fulmini, ed anche intorno alla divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che tocca pure CICERONE (si veda) nel libro primo della divinazione. Censormo poi al capitolo xi, pag. 69, De die natali, loda esso pure i libri rituali degli Etruschi. I medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni per impedire che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in altri. E cosi, leggiamo nei Geoponci, o scrittori delle cose rustiche, che sotterrando in un campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadr il fulmine-, E nel lib. 8., cap. xi,  soggiunto, con una sentenza di Zoroastro  affinch n i tuoni n i fulmini facciano svanire i vini  dopo di che si prosegue cosi, Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli, e delle botti, allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i fulmini, e i tuoni. Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona fsica, ma ci non monta. Cosi la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi sovrapponevano alcuni rami di alloro, i quali dicevano essere giovevoli in ci, per contrariet di natura, e qui avevano ragione. Nei suddetti libri sacri, e rituali dei Tusci, incontratisi ancora altri nomi da ti ai fulmini, oltre quelli gi riferiti in questo ragionamento. Imperocch altri ne chiamarono Fumidi, altri Candidi, altri Irruenti, ed altri Presteri,' E ci dicevano essi di aver istituito, perch producono diversi effetti. Quindi soggiungevano che gli Ardenti sono quelli che si dicono Presteri, e quelli senza fuoco son chiamati Tifoni, laddove i pi languidi son detti Enifie. Diconsi poi Egide quelli che noi diremmo Prefratti, o rotti prima, i quali sono portati da un igneo globo  Donde avviene che V etnisca tradizione, mette le Egide intorno a Giove, quasi insinuando che laria  la causa cosi della procella, come del fulmine, e della concussione del tuono. Quando il fulmine romoreggiava fra il giorno, e la notte, solevano chiamarlo I ROMANI fulmen prevorsum, e dietro glinsegnamenti degli Etruschi attribuivanlo a Giove, ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i Celti, abitanti delle parli settentrionali dEuropa, credevano che i rimbombi dei tuoni fossero cagionati dai colpi di clava, coi  cosa degna di osservazione il vedere che gli Scandinavi, ed altri popoli del Settentrione facessero essi pure uno studio particolare sui fulmini, sui baleni, e sui tuoni, e che avessero formato di ci una scienza come glantichi Etruschi, giacche rAnnuani, alle quali l'aveva ridotta il sistema del politeismo. Elleno ha per attributo il fulmine, sotto il primo rapporto, ed  ci che si ritrova presso tutte le nazioni antiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo PLINIO (si veda), nove divinit che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano a Marte quelli che producevano degl' incendii. Eravi a Milon in Egitto, un tempio dedicato a Nettuno fulminante, per testimonianza di Ateneo, lib. 8. E Sidonio Apollinare chiama lo stesso Nettuno Giove Tridentifero, in questi versi, Sacra Tridentiferi lovis hic armenta profundo Pharnacis immergi! Genitor. Mentre Stazio nel primo libro dell'Achilleide, lo chiama ii secondo Giove. Apollo vienne spesso rappresentato, secondo Golzio, colle ale ed il fulmine j. E si vede su molte medaglie romane colla testa coronata di lauro, ed il fulmine in mano. Sofocle nellEdipo Tiranno, J, e PLINIO (si veda), lib. x, cap. 2. 0, parlano pure di Marte fulminante, come si vede su diversi monumenti antichi. Vulcano lanciava aneliesso il fulmine, secondo Virgilio, e Nonno nelle Dionisiache, ed alcune medaglie dell isola di Samo, lo rappresentano cosi. Vedesi poi il Dio Pane col fulmine, su due piccole figure romane in bronzo, e ne parla Ateneo nell undecitno libro dei Dipnosofisti. Cibele si vede spesso rappresentata col fulmine, e lo portavano pure Minerva, e Giunone. E questultima era collocata a Cartagine sopra un lione, tenendo il fulmine sulla destra, e lo scettro sulla sinistra-, Mentre della prima dice Virgilio: Ipsa lovis rapidum jaculata e nubibiis ignem. Finalmente lanciava il fulmine lo stesso Amore, E questo Amore Kspmvofofos, cio laudante il fulmine,  scolpito sullo scudo di Alcibiade, secondo lEpigramma dellAntologia greca. Molti poi sono i generi degli stessi fulmini. Insegnavano i Tusci, e lo riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono asciutti, non ardono, ma disperdono, e che gli umili non bruciano mainfoscano.Quindi ne annoveravano un terzo genere,chiamato chiaro', i quali sono di una natura veramente mirabile, imperocch asciugano, p. e. le botti, piene di vino o di altro liquido, lasciandole intatte, e non iscorgendovisi alcun vestigio per ove le abbiano vuotate . Di pi, loro, l'argento, ed il bronzo, vengono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei sacchetti, ove suino riposti, senza arderli in verun modo, e neppure abbronzargli, ed anche senza guastare il sigillo di cera col quale siano stati chiusi. Si racconta che Marcia principessa romana fu colpita da uno di questi fulmini, essendo gravida, il quale uccise il feto che ella portava, ed essa poi sopravvisse senza verun altro incommodo; E narrasi ancora nel prodigi Catilinarii del Municipio Pompeiano,che Marco Erennio Decurione fu percosso da un fulmine in giorno perfettamente sereno. Oltre questi generi di fulmini,  libri dei Tusci ne contenevano ancora altri, come, Etr. Mai. Chius. trar nel cielo: opinioni uscite tutte quante dalle dipinture allegoriche delle antiche rivoluzioni del nostro globo. I Brasiliani, ad ogni scoppio di tuono, riguardano tremando il cielo, e sospirando ; E credono che sia il loro Agnian, o lo spirito maligno, che minacci di percuoterli. Almeno cosi ci assicura il viaggator Cereal. In Circassia, i piartele tuona, escono gli abitanti dai villaggi, e dalla citt, e tutta la giovent si mette, al dire di Tavernier nei suoi viaggi, a ballare, e cantare in presenza dei vecchi. Le quali danze, e le quali cantilene, se non furono funebri, o guerriere nel loro principio, bisogna dire che la gioia di quei popoli sia fondata sull' idea che il tuono sia di un felice presagio. Idea conforme ancor questa a quella dei Persi, e di un gran numero di popoli antichi,  quali credevano che il fulmine rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ci perch presso i Magi era il fuoco temblma della Divinit, conforme si pu vedere eruditamente provato dal Signor La [fide, nell opera da lui composta sulla religione dei Persiani, cap. primo. Presso i sunnominati Circassi, un uomo ucciso dal fulmine  giudicato avere ricevuto da Dio un gran favore : E se il fulmine stesso  semplicemente caduto sulla sua casa, egli e tutta la sua famiglia sono nutriti per un anno a spese del pubblico. opinione degli antichi idolatri, che Giove punisse, non gi con volgari ga- stighi, ma bens fulminandoli, tutti gli spergiuri. E per si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cio  Imperocch Giove scaglia questo fulmine veramente mirabile, contro gli spergiuri . Ad onta per di queste popolari credenze, non mancavano tuttava di quelli, che le schernivano, e se ne ridevano di tutti i volgari timori . Difatti Luciano, nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni uomini, che spergiuravano in dispregio dei Numi, subindic il timore del fulmine dcen o che que sta specie di mortali, temono pi una lucerna spenta, che la caduta di uri fulmine, e di esserne colpiti. s w  cuy:. 5 T0= fawoo vale a dire: pertanto alcuni di quelli che spergiurano, temerebbe piuttosto una lucerna spenta, che Infiamma di quel fulmine domatore di tutte le cose. I Romani, che al dire di Cicerone, presero auspicia et sacra ab Ltruscis, e secondo Valerio Massimo derivarono tutti i semi della religione dall Etruria, e noi aggiungeremo francamente, anche ogni demento di civilt, fecero passare un gran numero di etruschi Numi a Roma . Quindi provano con buone ragioni, ed autorit . il Dempstero, ed il Gori, che erano presso che infinite le divinit adorate dai nostri maggiori, e che la pi gran parte presero domicilio in Roma. Laonde chiameremo temerarie, e stolte le critiche mosse da alcuni Archeologi pi moderni, contro quei te alla prima percossa che hanno dal fulmime, non dispiacer ai nasini lettori il vedere mescle nessuno animale  arso, o acceso dal te qui a confronto le supersituom tomtrual, r7P f u l vararle desi Scandinavi, ed altri setten- fulmine, se non e morto, e simili. ejiu 0 uiun 5 t j ], . t j /-.p trionali con Quelle desi cinlichi Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano tali os inori un / et servazioni consentanee alla buona fsica, 1 stesso proposito quali il loro Dio Thor percuoteva  Giganti. Il qual linguaggio  lo stesso che quello dei moderni Persiani, i quali credono che le stelle cadenti siano colpi di fulmini, che gli Angioli scagliano nelle altre regioni, contro i Demoni, che si forzano di rieririo tonitruale di quelli, ha molta somiglian za col Diario fulgorale, e tonitruale di questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib. i, cap. 3i della sua storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali, cne i tuoni di gennaio significano che i venti soffieranno con mag gior gagliardia del solito, e che sorgeranno le biade pi dritte, e grandi. Quelli di febbraio annunziano una grande mortalit e singolarmente di quelli che vivono nella delizia. E quelli di Marzo indicano gagliardi venti, e che vi devessere gran fertilit in quell anno, e straordinario strepito nei giudizii . Indicano i tuoni di aprile che cadr una pioggia conveniente elle biade 9 e che la campagna sara abbondante in tutto il corso dell'anno, mentre quelli di maggio significano tutto il contrario, cio, penuria di biade, ed una formidabile carestia di tutte le cose. Presagiscono poi quelli di giugno una piu abbondante fertilit, bench predi cono al tempo stesso infermit spaventevoli. 1 tuoni di luglio annunziano abbondanza di frumenti, ma distruzione di legumi 9 e di frutti . Predicono quelli di agosto che gli uomini converseranno pacificamente fra toro 9 ma vi saranno malattie pericolose 9 E quelli di settembre denotano fertilit in quelIalino, nel quale per sovrastano guerra, sedizioni, e morti . 1 tuoni di ottobre sono qualificati collepiteto di portentosi, perche indicano grandi tem peste in mare, ed in terra ; quelli di novembre, bench raramente tuona in tal mese, promettono fertilit nell'anno seguente. E quelli finalmente di dicembre significano abbondanza di tutte le cose, ed una gioconda conversazione degli uomini fra loro. Altre osservazioni dei settentrionali sui fulmini, sui lampi, e sui tuoni portano quanto segue. Quando nellestate per esempio, tuona pi che non lampeggia, significa dover soffiar venti da quella parte, e per lo contrario se balena pi che non tuona, deve cader molta pioggia. Quando lampeggia essendo il cielo sereno, vuol dire che vi saranno pioggie, e tuoni 9 e far un tempo da inverno E tali cose poi saranno gravissime, ed atrocissime quando questi lampi, e questi tuoni verranno da tutte le parti del cielo. Ma se balener soltanto dalla parte ciV Aquilone indicher pioggia nel giorno seguente j E se i lampi verranno dal punto preciso del Settentrione 9 soffieranno venti. Lampeggiando dalla, parte di Austro, di Coro 9 o f avonio, essendo serena la notte, significher che devono venir pioggie, e venti da quelle medesime parti. Dicevano ancora i settentrionali, che i tuoni che scoppiano la mattina di buonora annunziano venti e quelli che si sentono nel mezzogiorno predicono una grossa pioggia . Aggiungevano poi essere imjjortantissimo il sapere da qua! parte vengono i fulmini, e dove si dirigono. Imperocch sono crudelissimi quelli che partendosi dal settentrione vanno verso l Occaso, e sono di ottima natura quando ritornano finalmente a quelle parti dalle quali sono venuti, perche quando vengono da quella parte del cielo dondebbero origine, e poi ritornano alla medesima, presagiscono allora una somma felicit da quella parte di mondo 9 rimanendo per infelici tutte le altre. E finalmente altre curiose osservazioni aggiungevano intorno a questarticolo, come, che la notte piu che il giorno lampeggia senza tuoni, che la natura ha dato il privilegio al- l uomo di essere rare volle ucciso dal fulmine, e che se questo accade talvolta,  assai pi conveniente, e pietoso ufficio il sotterrare quel morto, che il bruciarlo. Che te ferite dei fulmini sono pi fredde che tutte le altre, che le bestie moiono istantaneamen- parla CICERONE (si veda) nel primo della divinazione, n fa diuopo osservare il diverso inalzarsi della fiamma, o lo scrosciar della medesima, n lo scoppiettar dell incenso, delle quali cose scrisse, secondo Stazio, un tal Tiresia, famosissimo augure etrusco. J\ occorre tampoco far menzione, per esaltare Tetnisca sapienza, di ci che osserva fra gli altri Seneca, Uh. n, delle quistioni naturali, circa l avere i medesimi fatta anche la distinzione tra i fulmini prodotti nelle nubi,  nell'aria, d onde scendevano in terra, e quelli che prodotti nella terra slanciavansi in alto, e verso le nubi medesime, giacch queste, e molte altre simili cose trovansi narrate, e raccolte da vari autori. Ma non sono per da passarsi sotto silenzio alcune memorie di PLINIO, ove narra distesamente in due capitoli, le opinioni degli Etruschi, appoggiate ad una ragionevole fiolosofia, circa lessenza, o la natura, e circa le diverse specie di fulmini da essi distinte. Conferma ivi quel sapientissimo scrittore ci che abbiamo qui sopra accennato, che vengono cio i fulmini, tanto dalle nubi, quanto dalla terra, ed assicura aneli esso, che trovavansi negli scritti etruschi, nove, o pi probabilmente undici specie di fulmini, delle quali  Romani loro figli, e discepoli, non ne avevano osservate, e mantenute che due. Il che viene a confermare sempre piu il detto di Cicerone, che quei superbi conquistatori, ed oppressori del mondo, ebbero dagli Etruschi non solamente lorigine, ed i riti religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma eziandio la civilt. Egli osserva pertanto particolarmente, la diversa natura, e diversi singolarissimi effetti dei fulmini, che dal cielo provengono, e di quelli che dalla terra sono prodotti-, ed avverte ad un tempo, che queste osservazioni furono trasportate, e trascritte negli annali romani, aggiungendo inoltre che vi erano pure le maniere ed i riti per chiamare i fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece forse Porsernia, che con un fulmine cos ottenuto, ed accompagnato da un mostro chiamato Volta, devast, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei dice di pi, che in questa scienza era dottissimo Numa Pompilio, e che avendolo poco bene imitato Tulio Ostilio, fu arso da un fulmine-, E che per questo fra i diversi nomi che per l'etnisca disciplina furono dati a Giove, di Statore, di Tonante, Feretrio, e simili, s'incontra pure quello di Elido, o Evocatore. E finalmente che si prevedono in tal guisa le cose future, bench sia temerit il credere, che si possa comandare alla natura, o sforzarla . Il medesimo autore osserva poi, come il baleno sia piu veloce del fulmine, e del tuono, e come perci il fulmine stesso debbasi prima vedere, che udire. Circa le qiiali osservazioni di Plinio intorno alla scienza tonitruale, e fuigurari a deglEtruschi, vi sarebbero da fare molte fisiche riflessioni, se l indole dell opera per la quale sono scritti questi ragionamenti, lo comportasse. E sul proposito di questa scienza etrusca, nella quale dice il sullodato Plinio essere stato peritissimo il re ISuma, ascoltisi anche Ino Livio, lib.t, il quale lo chiama non solamente dotto nelle arti peregrine, ma eziandio nella tetrica, e trista due dottissimi scrittori; Colle quali critiche pretendono di negare, che per esempio, un tal Nume, non abbia potuto aver culto in Etruria, perch si cede adorato net Lazio, ed m Roma,; Avvegnach dovrebbe piuttosto aver luogo la congettura contraria, come saviamente rifletteva il sapientissimo Guarnacci. Imperocch, dovrebbe dedursi che se una tale divinit si vede adorata in Roma e nel Lazio,  ben ragionevole il credere, che abbia prima avuto culto in Etruria- quando si voglia riflettere, che una colonia etrusca erano i Latini, e che lo stesso fondatore dell Eterna Citt, coi suoi primi abitanti, non furono altro come anche altrove accennammo, che una banda di fuorusciti Etruschi. c he se poi igrecomani, sottilizzando, ed ostinandosi ognora pi a volere irrefragabili prove, e quasi ancora la fede di battesimo, come diceva il prelodato Guarnac- ci, che un tale idolo, od un tal monumento qualunque, sia veramente etrusco, e non greco, n romano ; Oltre che si pu risponder loro che queste prove intrinseche, non le hanno dordinario neppure le cose veramente greche, e romane, e che l'antiquaria iti genere si aggira sulle asserzioni degli antichi autori, i quali ci hanno lasciato scritto, dove i vani Numi, e i diversi riti abbiano avuto loriginario loro culto, Si pu ad essi aggiungere ancora che ve una probabilit, la quale confina colla certezza, che dove un si gran numero didoli, di vasi ed altri monumenti di ogni maniera, sono stati trovati, siano stati pur lavorati. Ed essendo imedesimi stati dissotterrati negli scavi etruschi, ed indicando una grandissima antichit, e mollo superiore alla civilt greca, e romana,  irragionevole, ed assurdo il credere, che i soli Greci, e romani li abbiano dappertutto disseminati. Ed anche a ci che dice il chiarissimo signor Vermigliali, il qlude pretende (. E roga ime di Admeto e di Alceste) che i monumenti italici pi sono antichi, e pi grecizzino, ed al contrario latineggino maggiormente, quanto pi si avvicinano all epoca del dominio romano in Etruria, come pure che glitali antichi spesso aspicassero, si pu rispondere cosa che sar di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non sanno, o non vogliono trarsi fuori della traccia segnata dai loro predecessori abbiano essi fatto bene o male. Ed  questa :,o,m, ere l e osservazioni del sullodato filologo perugino, perch la lingua greca  figlia della vetustissima etnisca in quanto alle sue radicali, bench ne differisca grandemente nelle inflesStoni, di Greci sono scolari degli antichi Etruschi, ossiano Pelasghi Tirreni, indigeni d Italia, i quali andarono in remotissima et a colonizzare, e popolare la Tracia eia Grecia, come m altro ragionamento accennammo . In quanto poi alle aspirazioni degl Itali antichi, procedono queste dallorientalismo, che ridonda in ogni dove in Italia, e che vi fu introdotto in tempi da noi oltremodo lontani da una colonia orientale, coi primi elementi della civilt, come pure asserimmo nel quarto di ave Sti ragionamenti medesimi. Ma torniamo ai fulmini ed ai tuoni. Non occorre citar qui i libri fatali degletruschi, ricordati da Livio, hi. V, n i fulgorali, e gli aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius. Tom. J, Chi mai oserebbe di qualificare lavvenimento qui espresso, non vedendovisi che due militari pronti alle difese e alle offese, senza ravvisarvi ne 1 inimico, ne oggetto veruno che sia motivo di questa loro disposizione al combattimento? Ma siccome questa pittura  nel mezzo duna tazza, intorno alla quale sono altre figure giallastre, come questa, in fondo nero, cos tenteremo di trarre da quellequalche argomento a cognizione di questa. Un corpo esanime steso al suolo, presso cui stanno alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume diverso, mi richiama alla mente lavvenimento del corpo di Patroclo, contrastato fra i Greci e i Troiani,e finalmente ottenuto da quelli collespulsione di questi. Non vi sono caratteristiche assolutamente variate tra combattenti e combattenti, a dichiarar Greci gli uni, e Troiani gli altri,ma pure la totale nudit dei primi li fa credere eroi,che la Grecia rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli altri tre hanno in testa un berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi 3 .Hanno essi pure nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento, che raramente onon mai trascurasi nelle figure asiatiche, per quanto io abbia nei monumenti antichi osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo morto,  altres nudo del tutto, e inconseguenza spettante ai Greci, cqme difatti era Patroclo il caro amico di Achille, che fu ucciso in guerra da Ettore, secondo Omero l . Probabilmente anche i due guerrieri dipinti nel mezzo della patera, e che vedemmo nella tavola antecedente,son due Greci alla custodia e difesa del corpo di Patroclo, ch' dipinto nel fregio della tazza medesima. Infatti essi vedonsi ARMATI, MA NUDI, giusta il costume greco eroico, siccome dicemmo. Qui le figure son ridotte un terzo pi piccole di quelle che vedonsi nella tazza originale, ove sono di color giallastro in fondo nero. Qualora mi si conceda esser probabile la interpetrazione dellantecedente rappresentanza della morte di PATROCLO, e del contrasto tra i Greci e i Troiani, per ottenerne il cadavere, non mi sar negata fiducia nella supposizione eh'io son per proporre, che in questa pittura, la qual fa seguito allantecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon resi dallamico Achille a quellestinto eroe, e particolari Galleria oraer. Iliade, Voi. 11, Tavole cxcix, 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11, p. 45- cc, cci, ccn. - a Plot., Vii. Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che erano Etruschi ), di che non vi  stata mai veruna cosa piu incorrotta, e veneranda. E dicendo che lo stesso Numa era dotto anche nei liti peregrini, si deve intender qui di quelli di Samotracia, che erano i idrici, e tri- sti dei Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come altrove dicemmo, e lo abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano come peregrini, perch tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi lontani, passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali riti possed Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale portossi in Samotracia pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e per introdurre poi in Troia una religione del tutto ponforme a quella dei suoi antenati, che era l Etnisca. E si noti, che il medesimo Livio, e tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere che il pi volte nominalo Numa Pompilio fu religiosissimo, e propagatore in Roma di ogni pia istituzione ; Ove non altro ei propag certamente, che riti etruschi. Ed ecco una erudita chiacchierata sulla scienza tonitruale, e fulguraria degli Etruschi. La quale potrebbesi ancora condurre pi a lungo, ed arricchire di pi altre peregrine notizie su questa recondita disciplina, se non fosse il gi detto pi che abbastanza pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e per quale sovrumana potenza, andarono a mancare queste, e tante altre superstizioni, stabilite, ed inveterate nel mondo, radicatissime nei cuori degli uomini, e venerate, e temute in tutte le regioni della terra aliar conosciute? In qual modo cessarono i terrori e la paura, onde avevano saputo gli antichi sacerdoti, di concerto sempre cui Despoti, invadere gli spiriti dei mortali, tenuti ognora da essi, a bello studio nella cecit, nel timore e nella pi profonda ignoranza con mille misteriose ambagi, e con mille disperate minacce? Scomparvero tutte queste tenebre, e caddero tutti questi arcani e portentosi ordigni, al comparire della luce Evangelica. Al comparire di quella legge, t unica fra quante ne vide l'universo, che introducesse la vera libert, e la vera eguaglianza fra gli uomini. Al comparire di quella legge in somma, che mette, davanti a Dio, a livello del pi temuto tiranno, e del pi potente monarca, anche il pi infimo del popolo. In urna di marmo LI. : flnoai ; qflj J3 : M : 43 un. fm \iflj : miai : janavi : armo LIV. : iaruv/Hflm ; f\nn o Nellorlo dun vaso cinerario di terra cotta LV, mtvfl Jtiat v/rji 9  questo idoletto in piccolo, quello che dissi esser l'altro, rappresentato pi in grande, e con alquanta variet nelle Tavole XLIX, e LXVII di questa raccolta, essendo il presente di grandezza simile al suo originale. Ma la di lui piccolezza, e 1 non esser vuoto, non permette che si riconosca per un cinerario, sicch fu tenuto soltanto pel nume che riceve, abbraccia e protegge gli estinti, che nati dalla materia terrestre tornano dopo la morte in seno alla terra, o per meglio dire alla natura mondiale, della quale Bacco era il nume tutelare. E poich mi si dice che piu d uno di tali idoletti si trovarono in uno stesso sepolcro, da ci argomento che speciale fu nel sepolto la venerazione pel nume da questa immagine rappresentato. Si vede un fregio in bassorilievo che ricorre in giro in un vaso dei consueti chiusini di terra nera, e non v differenza in misura tra loriginale e la copia. Il significato mi sembra lo stesso dei precedenti lavori di simil genere. Vedo ancor qui come altrove la Chimera, e credo che loggetto sostenuto in mano dagli uomini sia, come nei calendari egiziani, lo Scorpione sidereo. Aoter di passaggio a tal proposito che il famoso torso egiziano in basalto, che un tempo fu del card. Borgia, pubblicato dal eh. Lenoir alla Tavola VI del forno [, num. g si vede come qui una figura con Io Scorpione tenuto per la coda, e dietro a se v parimente il leone con la coda che termina in un serpe, e con la Capra sul dorso, n spiegasi differentemente che pei segni delle celesti costellazioni. Si vuol peraltro che nella Capra sopra del Leone si ravvisi il trionfo del Capricorno sopra il Leone, e probabilmente i due serpenti che nel nostro bassorilievo si manifestano, saranno quei che dominano il cielo nel tempo dell'indicato trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano, che mentre il Capricorno comparisce al nostro Zenith, la Vergine si mostra sotto il segno dello Scorpione, o del domicilio di Marte 3 : e difatti s nel monumento chiusino, che nell'egiziano comparisce una figura che ha in mano uno scorpione, se non che nell'egiziano si mostra femminile quella figura, che qui per la sua nudit, par eh esser debba maschile, ma ci non si manifesta con sufficiente chiarezza. Che i cavalli abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Cavalli siderei, gi me n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente essere il cavallo sidereo un paranatellone del levare eliaco dello Scorpione J .Lettere di etnisca erudizione. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a ivi. Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che Omero 1 * pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo nel di lui funerale. Nei vasi, che negli annali dellistituto di corrispondenza archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei combattenti, col cesto come qui, degli uomini coperti d'un manto con braccio scoperto, e dall'in- terpetre attamente chiamati rabdofori 3, i quali assistendo a quel giuoco hanno in mano una verga biforcata, similissima a questa dei presenti i . Le due ultime nude figure una soccombente allaltra prevalente, ancorch senza cesti alle mani, mostrano che i pittori aggiungevan talvolta delle figure e dei gruppi a capriccio, ad oggetto d'empir lo spazio che doveasi dipingere. Se per consultiamo i pi moderni sentimenti degli archeologi, troveremo-ammessa pure lipotesi, che una figura umana stesa per terra presso alcuni combattenti, ascrivere si debba, unicamente ad alcuno dei contrasti gimnici, senza ricorrere al particolare avvenimento di Patroclo per isvilupparne il significato. Un sacerdote di BACCO ed una Menade con dei vasi libatori formano il soggetto di questa pittura, e son frequentissimi quanto altri mai nei vasi fittili dipinti, onde potremo giustamente ripetere col Lanzi che di cento vasi tornati a luce, novanta contengono soggetti bacchici.  singolare il tirso eh entrambe le figure sostengono, mentre ha un'armilla che nei tirsi non  comune, ma nemmeno del tutto insolita, senza che per altro sintenda qual n'era l'oggetto. Nelloscurit di questo soggetto non altro saprei ravvisarvi che il celebre greco Capaneo estinto sotto le mura di Tebe. Altrove pure narrai come questi van- tavasi che avrebbe presa Tebe, volesse Giove o non volesse, ma provocati gli Dei con tali bestemmie, ne accadde che mentre il primo dava la scalata, Giove non lasci compier limpresa, e con un fulmine Io precipit dalla scala e lo uccise 6 . Or io noto che qui si vede una scala squarciata dal fulmine, un uomo rovesciato che dallalto cade a terra, e dietro a lui le mura forse di Tebe, dove stanno alla guardia militari tebani. Le altre figure si possono intendere pel restante dellesercito, eh spaventato, e stramazzato a terra per lo spavento del fulmine. L'urna in marmo  cinque volte maggiore di questo disegno. i Iliad. a Galleria omerica Iliade. 3 Voi. n, p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard, Annali dellistituto di corrispondenza ardi. Monumenti etr. ser. i, Tav., e altrove, mentre altri sono come il presente eseguiti in forma di vasi con capricciosi ornamenti, rivestiti per lo piu da fogliami, e con iscrizioni latine, come pur qui si legge, indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io stesso nella mia dimora in Chiusi vidi molti monumenti e rottami di essi, di stile greco e romano e bellissimi. Nellinterno d una tazza di terra verniciata in nero, si vedono queste due figure di color giallastro; e sono, per quanto mi sembra, d'uno .stile perfettamente simile a gran parte di quelle pitture monocromate dei vasi italo-greci. Vi si rappresenta un suonatore con cetra e plettro, in atto di attendere dalla Vittoria il premio del suo valore, e credo che ci alluda ai pregi morali dellani- ma, che negli estinti son premiati nella vita futura; e perci soggetti simili ed analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti nei monumenti che pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre opinioni. Se aver vogliamo un esatto conto dogni figura eh in quest urna di marino, il cui disegno qui  un ottava parte del suo originale, non saprei se potessimo riescirvi con plausibile disimpegno. Ma se consideriamo che gli artisti obbligati a trattare nelle opere loro un qualche mitologico soggetto, eran poi costretti ad ornarne tutto lo spazio del marmo che formava il primario lato dellurna sepolcrale, ancorch il soggetto da loro scelto non richiedesse tante figure, quante ne occorrevano ad ornare lo spazio determinato, noi troveremo irreprensibile lo artista che abbonda in figure, ancorch non richieste dal soggetto che tratta, come ne somministra un esempio assai chiaro il bassorilievo di questa Tavola. Io vi ravviso Ulisse in atto di adoprare il suo arco, il qual potea dalle sole sue mani esser teso, ed uccide i proci di sua moglie Penelope, i quali dilapidavano le di lui sostanze. Egli ha un berretto appuntato, eh  la consueta causia che lo distingue come famoso viaggiatore del mare . Sta con un ginocchio sullara, mostrandosi protetto dai numi 3 nella difficile impresa desterminare egli solo coll'aiuto del figlio Telemaco i tanti suoi nemici. La colonnetta sulla quale solevansi tener degli idoli domestici, mostra chegli  gi penetrato nell'interno della sua casa, mentre le colonne doriche vedute nella parte opposta danno indizio che lo avvenimento accade nella sua reggia. La forza chegli mostra di fare col braccio destro per tendere un arco, fa ben ravvisare chei solo poteva piegarlo a forza. i Inghirami, Monum. etr. % Ved. Monum. etr. Qui si mostra nuovamente un ago, o spillo crinale in oro di un lavoro delicatissimo, considerando che nel suo capo segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi  il lavoro che portato in grande, si vede al min. 2, il cui ornato  di semplice bizzarra. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare, per essere una di quelle solite fermezze che in luogo d esser di bronzo, come se ne trovano a centinaia,  doro, e rarissima. Si  creduto da taluno che queste fermezze servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d amianto dove bruciavasi, ed in tal guisa  stata trovata ragionevole l'indifferenza che tali fermezze siano in maggiore o minor numero in un sepolcro; e se questo , noi reputeremo pi che altri opulente il morto presso al quale  stata trovata questa fermezza doro. Il numero 4  similmente doro, e credesi frammento d'una collana . II pregio di questo monumento consistendo principalmente nella iscrizione dalla quale  circondato, cos attenderemo di conoscerne 1 interpetrazione per opera del cultissimo Vermiglioli che unitamente alle altre del Museo chiusino, ce le piepara per darcele tutte di seguito in quest opera stessa. I Centauri, che nel calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo dautunno, in cui celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -, hanno servito altres d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie, come qui si vede, figurandovi uno di tali mostri che avendo rapita una delle donne invitate alle nozze dIppodamia la difende dai Lapiti, che vogliono rivendicarla. II disegno del vaso che qui presentasi la met pi piccolo del suo originale in marmo statuario, ci fa sicuri che in Chiusi, dove stato trovato, fiorirono due scuole assai diverse di scultura; funa etnisca, 1 altra romana, giacche si trovano recipienti eseguiti per luso medesimo di riporre ceneri di umani cadaveri, gli uni in forma quadrangolare a modo di cassetta, con bassirilievi di figure e con etiu- sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti vedere in quest opera alle Tavole, 1 Inghiraroi, Mommi, etr. - Sa mai vha luogo allinterpetrazione di queste due statuette di bronzo num, i e 2, i cui disegni sono grandi quanto i loro originali, potrei avventurare che 1 una di a. i fosse dApollo laureato in fronte e con tazza in mano, comesi vede altrove nei vasi dipinti 'rialtra n. 2. diMercurio conpetasoin testa,sostenendo con la sinistra mano una sacca o borsa,ch propria di questo nume, come tutelare del commercio. La corniola che qui mostriamo al num. 3, ci fa istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato il gruppo delle tre Grazie, che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti luoghi e in tanti tempi diversi. La dimensione della pietra  misurata dall'ellisse num. Fu posto in ridicolo il Gori celebre antiquario di cose etrusche, perch fatti disegnare una quantit didoletti in bronzo che si conservano nella R- Galleria di Firenze i * 3, pretese dare a tutti loro un nome speciale, formandone una serie di etrusche divinit senza rammentarsi che soggiogati gli Etruschi, signo reggiarono i Romani in questo nostro paese, ove introdussero colle lor colonie artisti e culti sacri tutti lor propri. Perch' io vada esente da simil taccia non mi costringa l'osservatore a dare un nome allidoletto di bronzo che i sig." editori del Museo chiusino han posto al num. , 2 della Tavola C, che nel disegno trasmessomi per la incisione trovo notato esser della grandezza medesima dell'originale come pure laltro di num. 3 . grave danno per la scienza antiquaria che dai collettori di antichi monumenti non facciasi caso nessuno della maniera come questi si trovano sotterrati, dal che non pochi lumi trar si potrebbero per la storia dellarte, non men che dei riti sacri presso gli antichi. N prova la figura che trovo disegnata al num. 3 di questa Tav., mentre si scorge di un arcaico stile ben diverso da quello che spetta alla figura superiore . Or se questi idoletti furon sepolti promiscuamente fra loro in un sepolcro medesimo, potremo frale supposizioni lecite ammettere che la figura di num. 3 sia eseguita ad imitazione dell antico stile, e contemporaneamente all'altra modellata certamente quando nell'arte era noto uno stile assai pi perfetto . Dopo varie mie riflessioni sul significato di queste donne che in piccol bronzo trovansi frequenti negli scavi dEtruria, restai perplesso nelle due i Tishbein, Pittare de Vasi antichi posseduti dal cav. Hamilton. Tom. i, Tav. 8, 9 .Visconti, Museo Pio dementino, Tav. r. 3 Museum etr. exhiben insigne veterum Etruscorum monumenta aereis tabulis cc, edita et illustrata .4 Maffei, Osservazioni letter L uomo gi rovesciato per terra, che vedasi nel sinistro Iato dellurna rispetto al riguardante, fa conoscere gi incorniciata la carnificina dei proci. 11 giovine che vibra la bipenne sopra un armato pu significar Telemaco, il quale si presta in aiuto del padre alla strage di quei malvagi. La Furia infernale tra le colonne della reggia attamente manifesta il terrore di s lugubre azione che scompiglia la casa reale dUlisse.I due combattenti al sinistro fianco di quelleroe son figure, a mio credere, arbitrariamente dall'artista introdotte ad empire un vuoto che restava senzesse nel suo bassorilievo, come ho detto pocanzi, ed anche in occasione di spiegar la Tavola. Mi sia permesso di rimettere ad altro miglior Edipo, chio non sono, din- terpetrare qual fosse lintenzione degli antichi Gentili nel rappresentare questo, come pure mill altri idoletti di bronzo, che trovansi nello scoprire antichi sepolcri. Io posso dire soltanto essermi noto che innumerabili erano glidoli dagli antichi tenuti nei larari come dissi pocanzi . Ma non so poi quel che significhino gran parte di essi, come il presente, n per quali superstizioni passassero nei sepolcri, qualora non sieno stati considerati che per semplici bronzi atti a dissipare i maleficii 2 . LArpocrate fanciullo inetto e silente, perch non compiutamente ben formato, significativo del sole ibernale,  il soggetto che in questa piccola statuetta uguale al suo originale in bronzo si rappresenta. Fu antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto, che ha in capo, il segnale, ma introdotto atempi deTo- lomei fra i Greci e fra i Romani formossene una divinit pantea 3 con forme non altrimenti egiziane, fingendolo un Amore, perch da questi nasce lo sviluppo della natura produttrice, per cui gli posero in mano il corno dellabbondanza che attender dobbiamo dallo sviluppo del calor solare, passato il tempo dinverno. Il vasetto di terra cotta  parimente rappresentato di misura uguale al suo originale, ed  dipinto a figure nericcie con fondo giallastro pendente al bianco, o piuttosto dun bianco abbagliato, ed  dun genere che gli archeologi convengono di nominare maniera egiziana 4, s perch vi si vedono strane figure sul gusto di quella nazione, e s ancora perch in Egitto si trovan similissimi a questi. Ved. la Tavola uxi. a Monum. etr. 3 Iablonski Pantheon Aegyptior. lib. u, cap. vi, Etr. Mus. Chius. Gerhard, Annali dell istituto di corrispondenza archeologica voi. in, anno i 83 i, p. i4> *4 orecchi, piedi e coda di cavallo, con busto virile: aggregato non comune in Smili fantastiche figure, delle quali ebbi luogo di trattare estesamente altrove, dandole per simboli autunnali II vaso che ha in mano quel mostro non  che un emblema di pi per indicare la stagione dautunno, allorquando sempiono tali olle di vino. La donna che gli  dappresso  una Tiade seguace di Bacco. II perch poi la unione di queste due figure significasse il passaggio della razza umana dalla vita rozza e disordinata, alla virtuosa e civile per opera di Bacco e dei suoi misteri,  argomento sul quale scrissi altrove abbastanza per darne il conveniente sviluppo a . Delle due figure, che qui sotto al num. 2 si vedono riportate nella misura di un quarto pi piccole dell'originale, dipinte nella parte opposta di questo vaso, non saprei indovinarne il significato, tranne il supposto d'unarmatura da un giovane ottenuta nel passaggio all et virile i . Il disegno del vaso  ridotto alla grandezza di un quarto del suo originale, Questo mistico specchio non pu spiegarsi che mediante l'osservazione di molti altri, nequali per ordinario si trovano insieme dei numi o eroi di opposta natura o potenza. Spesso vi sono espressi Dioscuri, la cui consueta combinazione fu da me assai esaminata in altre mie carte, ovio li mostrava in sostanza 4 espressivi di due contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo i Gentili alla formazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure  Teti e Giunone perpetuamente nemiche fra loro, di che ho pure altrove ragionato 6 . Che la donna seduta sulla pistrice sia Teti lo mostra chiaro un frammento d una tazza etrusca, dove la figura medesima ivi dipinta ne porta il nome scritto. Che la donna opposta sia Giunone lo prova Io scettro che impugna. tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui espresso nella grandezza del suo originale num. 1 mostrasi attaccato da un lato ad una testa femminile di nessuna significazione, e dall altra ad una maschera scenica virile, nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli Antichi di variare ornamenti, giacch non altro che il capriccio pu a\erli dettati, come qui li mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo. Possiamo frattanto tener per sicuro che gli artisti di Chiusi non furono di meno elevato genio degli ercolauesi nelleseguir le opere loro metalliche. Del bronzo in figura di maschera di cui vedu qui il disegno n. 2, nulla so dire ad istruzione di chi losserva. 4 Monumenti etr., ser. 11. 5 Plutatc. de Iside et Osir. in prineip. 6 Galleria omer. voi. 1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il nome di Speranza o quel di Giunone, invocata dal femminil sesso in loro tutela. Ma chi non sa che la Speranza, e la Fortuna, ossia la fiducia di migliorar sorte nel mondo, era loggetto primario del culto gentilesco dItalia? 5 Il bassorilievo della Tavola presente  unurna di marmo due terzi maggio- giore di questo disegno. Qui, a parer mio, si rappresentano i due strettissimi amici Oreste e Pilade nel pericoloso momento dessere a Diana immolati, per l'uso barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li stranieri a quel lido approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare del luogo  C f- v ; r. f- M 5 !,$ 1 C V 5 V V* . c se ? n 11 a . Eg ri) ' Z >  'i:- ai scritto, mi costringe a tenermi in assai ristretti limiti nel ragionarne, poich i nientissimi sigg. T editori di quest'opera destinarono con savissima sceltala illustrazione della parte epigrafica di tali monumenti al prof. Vermiglioli espertissimo quanto altri mai di s difficile scienza. A sodisfar dunque soltanto la sollecita curiosit di chi osserva il monumento qui esposto mi permetto di accennar di volo, esser questo uno specchio mistico di quetanti che trovatisi storiati nei sepolcri dEtruria, e solamente lisci in quei della Magna-Greeia, ed in esso esservi quattro figure di deit cio la Parca, Apollo, Venereletea o libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi loro scritti in etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in altri di questi manubriati dischi 1 . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo dApollo, ed altres ripetuto io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun Venere letea o libitinia, o Proserpina, che il Gerhard ha cos bene illustrata per una Dea infernale, non distinta per dalla luna 3, per cui credio qui si vede connessa in amplesso con Apollo considerato come il sole. Ecco dunque per la prima volta incontrato negli specchi mistici il nome di quella donna che s ripetutamente vi si vede rappresentata, e che per Venere libitina azzardai nominarla tal volta anche prima della presente ed importante scoperta 4. In fine AH 4/3 0 Talna eh nome altres ripetuto nei mistici dischi, e che io sostenni con lungo ragionamento esser significativo di Giunone 5 quantunque disgiunta dai consueti simboli di questa Dea, mentre qui ha lo scettro che la fanno indubitatamente conoscere per la regina degli Dei unitamente con Giove che nera il supremo loro imperante. Ma una pi sodisfacente interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi attendere dallerudito Vermiglio]/', al quale, come io dissi disopra,  destinata. In urna figulina i flit a a = flnflo ) f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD : 1SUfflM : lOqfld In urna figulina lviii. CO -A l#q vn : im : fURO M : VfflDt : r  : VA LX V-V# : VD flitmao i Monumenti etruschi s a -Gerhard, Venere Proserpina illustrata, Nuora collezione dopuscoli e notizie di scenze, lettere ed arti, pubb. dal cav. Fr. Inghirami, 4 Monum. etr. <a, , e Sol. laBaHBBsasaasa XXXZ'/Z/. - A'/AZY.Y (IX XUI m ;_i lira vz. 7  LII fC) i Ouj/ IsUcAenni. eli/ T ,J\ T. L/A' 3TT J ^ JCZ/Z z,Jirv: T z^rjrji-'. IXX3TT 'X tea T^reiir. ir**:-Jz-j:. amiBft'igwpcj &r. CJI. v ~ Grice e Musonio (Bolsena) G. MUSONIO RUFO C. Musonio Rufo esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre delletrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo linvidia di Nerone. C. MUSONIO RUFO segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura di Pisone e confinato nellisola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza successo.Quando VESPASIANO assunse il potere, C. Musonio Rufo accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma, ma poi lo esili per la seconda volta ; per Tito, che gi lo aveva conosciuto, lo richiam dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di PLINIO (si veda) il Giovane sembra che non fosse pi in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato seritti, anzi sembra che si sia servito soltanto dellinsegnamento orale, del quale, per, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono : 19 brevi apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; 2 altri apoftegmi e trattazioni filosofiche relaivamente ampie raccolti da Epitteto nelsuo insegnamen- e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; 3 esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte pi estesa dei frammenti.  verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si  gi ricordato e che si deve ritenere la fonte pi importante dello Stobeo ; unaltra  Epitteto, cio Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) abbia composto Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce.  giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di Musonio e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno seritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte pi antica. Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Rubellio Plauto, forse Borea Sorano e Minicio Fundano, Musonio si avvicina ai cinici nellassegnare alla filosofia finalit radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dellascetismo neo-pitagorico, ma nel complesso dipende dallo Stoicismo con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascur le esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ci che vi  detto degli Dei, designati con le denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere filosofico determinato : invece riporta allo Stoicismo l'affermazione della necessit universale, che equivale alla teoria del fato. Per l'interesse di Musonio si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che  assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai cinici nel I secolo a. C. e poi generalmente accettata) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perci  necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini : essa per  identificata alla ricerca e alla realizzazione della virt, per conseguire la quale non vi  necessit di molti discorsi, n di molte teorie ; inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore importanza dellinsegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virt, se il discepolo non  stato corrotto, una breve dimostrazione  sufficiente per fargli riconoscere i principi etici giusti. Ci che soprattutto importa  che maestro e discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si comprende che Musonio si interessasse in primo luogo della formazione etica degli scolari. Nellinsieme, la morale di Musonio si conforma alle dottrine tradizionali della sua scuola. Occorre distinguere ci che  e ci che non  in nostro potere: ora da noi dipende soltanto luso delle rappresentazioni, cio l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle quali  determinata la giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione quale atteggiamento interiore della volont; in essa, se  retta, consiste la libert, la virt, la felicit. Tutto il resto non dipende da noi e perci rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci allordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ci che arreca. Soltanto la virt  bene, soltanto la malvagit  male e ogni altra cosa  indifferente. Per, per rafforzare la volont, Musonio  riteneva necessario, oltre l'insegnamento e lesercizio morale, anche lindurimento fisico, perch, essendo il corpo uno strumento indispensabile dellanima, occorre rafforzare ambedue. In generale raccomanda, avvicinandosi al Cinismo, la vita semplice e conforme alla natura e accoglie dal Neo-Pitagorismo il divieto dei cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti stoici antichi, esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e lesposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano unanima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli insegnamenti, perch i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalit ; inoltre non si pu trovare nelle sue parole lespressione di una visione della vita vi- brante di dolore e di amore simile a quella di Seneca. aio Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo (Volsinii)  un filosofo romano. Frammento di papiro (P. Harr. I 1, Col.), con parte di una diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie certe.  noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in Etruria, che fu cavaliere. Il pr-nomen Gaio lo conosciamo solo attraverso Plinio il minore che ci fornisce anche unaltra notizia su una sua figlia (presumibilmente chiamata Musonia, secondo luso romano), sposata ad Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei confronti del suocero. Sappiamo dalla voce Mousonios della Suda che Musonio e figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen Musonius denotare la gens, e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di un gentilizio etrusco Musu, Muu-nia.. E capo a Roma di un circolo o gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, Musonio lo segue in Asia. Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma, in concomitanza della congiura di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrit morale e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dallesilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere unimprobabile opera di pacificazione. Sera mescolato agli ambasciatori Musonio Rufo, di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ci fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi lavrebbe spinto via o lavrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei pi equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna esposizione di saggezza. Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo impegnato nella riabilitazione della memoria dellamico Barea Sorano, che era stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e a Trasea Peto. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria dellamico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: Allora Musonio Rufo attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Barea Sorano con una falsa testimonianza. Evidentemente con quellaccusa si rinnovavano gli odii delle delazioni. Ma laccusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando contro Barea, ha tradito e violato lamicizia. Musonio porta avanti con tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. Fu deciso allora di ri-aprire il processo tra Musonio Rufo e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severit dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era, infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale. Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto aveva difeso, pi per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a Publio, non ebbe n animo, n eloquenza sufficienti in quel frangente. Pi tardi Musonio riusce a guadagnarsi la stima di VESPASIANO evitando la cacciata dei filosofi. Ci e per un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da DOMIZIANO, che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si apprende che egli non era pi in vita. Si proclama suo discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono intitolati: Che non  necessario fornire molte prove per un problema Su chi nasce con un'inclinazione verso la virt Che anche le donne dovrebbero studiare filosofia Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei figli maschi Se  pi efficace la teoria o la pratica Sul praticare la filosofia Che si dovrebbero disprezzare le difficolt Che anche un principe deve studiare filosofia Che l'esilio non  un male Il filosofo perseguir qualcuno per lesioni personali? Quali mezzi di sostentamento sono appropriati per un filosofo? Sull'indulgenza sessuale Qual  il fine principale del matrimonio. Il matrimonio  un ostacolo per la ricerca della filosofia. Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato. Bisogna obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze. Qual  il miglior viatico per la vecchiaia? Sul cibo Su vestiti e riparo Sugli arredi Sul taglio dei capelli. Lo stile delle diatribe  semplice. In genere viene posta una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica si adatta bene alla sua personalit e al suo tipo di insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto  lungo abbastanza da rappresentare la sintesi di un intero discorso. C', poi, un aneddoto in Elio Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. Musonio rappresenta, con Epitteto, il principe MarcAurelio Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti pi significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cio mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa pi utile, in quanto ci persuade che n la vita, n la ricchezza, n il piacere sono un bene, e che n la morte, n la povert, n il dolore sono un male; quindi questi ultimi non sono da temere. La virt  l'unico bene, perch da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi di studio della virt. La persona che afferma di studiare filosofia deve praticarla pi diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attivit, perch la filosofia  pi importante e pi difficile da comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perch, a differenza di altre abilit, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ci che impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virt soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto, Musonio insiste sul fatto che la pratica  pi importante della teoria, poich la pratica ci porta allazione in modo pi efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e abbiano la capacit di essere virtuosi, non ci si pu aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilit di vivere virtuosamente viva senza errori pi di qualcuno che non  un medico esperto, un musicista, studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilit senza errori. In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offr a un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa  buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose  proprio il compito del filosofo. Poich un re deve anche sapere cos' la giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalit, modestia, coraggio, saggezza, magnanimit, capacit di prevalere nel parlare sugli altri, capacit di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva Musonio,  l'unica disciplina che fornisce tutte queste virt. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli offr tutto ci che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poich l'essere umano  fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede labituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsit di cibo, a un letto duro, allastensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio attraverso la sopportazione delle difficolt e rendendola autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povert, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato come n dannoso n vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno per tali atti, secondo Musonio. L'opposizione di Musonio alla vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso desiderano un'ampia variet di esperienze sessuali, sia legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gluomini licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di perseguire coloro che sono difficili da ottenere. Musonio condanna tutti questi atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati alla procreazione allinterno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso  vile nella sua mancanza di autocontrollo. Musonio difende l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato che ci che si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una virt vitale. Sostene che lo scopo del cibo  nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo non ci d alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo.  la digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. Musonio sostenne la sua convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione  buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virt e una naturale affinit con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse Musonio,  altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere onorevolmente, quanto lo  per gli uomini. Suda  1305: Figlio di Capitone, etrusco, della citt di Volsinii; filosofo dialettico e stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo eccesso di libert fu ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che portano il suo nome e anche le lettere (tr. Andria). Epistole. Di origine etrusca: cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, Cfr. M. Pittau, Dizionario della Lingua Etrusca (DETR), Dublino, Ipazia Books. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe. Storie. Storie, Cassio Dione. Girolamo, Chronicon, Titus Musonium Rufum philosophum de exilio revocat; Temistio (Orationi), inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e Musonio. A. Cameron, Avienus or Avienius?, in "Zeitschrift fr Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione  data nell'estratto XV Hense: sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento in cui Musonio parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecip al bando del suo maestro. Per la datazione, nella diatriba VIII (60, 5) Lucio riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi, che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. Dato che l'ultima dinastia di sovrani siriani fu detronizzata nel 106 d.C., Lucio deve aver scritto qualche tempo dopo questa data. nell'edizione Hense del 1905. Una delle due  una lunga lettera scritta da Musonio a Pancratide sul tema dell'educazione dei suoi figli (dell'edizione Hense). Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto Un re dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La maest  caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudelt di quello che ispira paura (in Stobeo). A differenza del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, Musonio sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico, non  estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; cfr. Nussbaum, The Incomplete Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome, ed. Nussbaum and Sihvola, Chicago, The University of Chicago Press. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hense, Lipsia, Teubner, Cora Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, in Yale classical studies. Dillon, Musonius Rufus and Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University Press of America. Renato Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt. Berlino, Walter de Gruyter, Cynthia King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Ed, Irvine. Create Space. D., Musonio l'etrusco. La filosofia come scienza di vita, Roma, Annulli. Musnio Rufo, Gaio, su Treccani.it  Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Gaio Musonio Rufo, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Internet Archive. Stoicismo Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Stoic i[altre]. Nome compiuto: Luciano Dottarelli. Dottarelli. Keywords: limplicatura di Musonio, Musonio, Etruscan influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman  The Etrurian connection. Etrurian as antique  Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dottarelli  The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Drimonte: la ragione conversazionale e la setta di Caulonia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico. Drimonte. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Drimonte,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della costume, o sia, sistema di dritto [sic] universal – il diritto romano universalizzabile – scuola di Matera – filosofia materese – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Abstract. Grice: “When Quinto prefaced his collection of essays on political philosophy for Warnock’s Oxford readers, he lists Machiavelli’s Il Principe along with Hegel, Philosophie des Rechts. In Rome, it is all about the rechts – which they call the ‘diritto.’ My conversational maxims, then, become ‘legal’ in Kant’s conception – ‘act as if you maxim may become a universal law.’ When Kant uses ‘law’ he is thinking ‘legally’!” -- Filosofo materese. Filosofo basilicatese. Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like Duni; but of course he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a mere costume, become ‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his tract, ‘scienza dei costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella della cattedrale di Matera, e fratello dei compositori Egidio Romualdo ed Antonio, nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo anche alcune composizioni da gravicembalo, pur se non seguì le orme dei fratelli maggiori in campo musicale, e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario della città di Matera. Si laurea in Napoli. Torna a Matera dove aveva già intrapreso la pratica di avvocato presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu insegnante presso il Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in seguito sede del Liceo Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la morte del padre, lascia Matera trasferendosi dapprima a Napoli e successivamente a Roma.  Presso l'Università degli Studi La Sapienza fu docente di diritto canonico e di diritto civile, e pubblica un Commentarius in cui esponeva la dottrina giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto XIV che in seguito lo sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a Roma entrò in contatto con le opere di Vico, del quale divenne un convinto sostenitore. Eleggendo Vico a suo maestro, si propose di realizzare un programma di diritto universale come fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo dalla sua formazione cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo legislatore, e non distinse l'etica e la giurisprudenza considerandole integrative in quanto tendenti allo stesso fine, cioè a dare il senso della vita, e quindi facenti parte entrambe della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla giurisprudenza universale”; sua opera fondamentale, dedicato al promotore della politica riformatrice del Regno meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio” indica esclusivamente nel vero il principio unitario delle conoscenze umane, a cui ricondurre anche la fondazione delle scienze morali. Il bene o vero morale (Cicerone e buono), che differisce dal vero metafisico perché comporta anche l'elezione volontaria del vero conosciuto, si esprime come onestà e come giustizia. La morale propone l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e opera dall'interno, invece il diritto indica la via per andare al giusto, regolando i rapporti tra gli individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente al Saggio, scrisse un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito della storia di Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti in cui polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a Napoli la “Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata a Antonelli, in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri ac novo iure codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”; “Origine e progressi del cittadino e del governo civile di Roma”;  “Scienza del costume o sia sistema del diritto universale”.   LA A falſa comune opinione adotta ta co me un'affioma dai Politici, che le So cieti Civili naſcono colla forma di Governo Monarchico, diede occaſione non meno agli antichi, che moderni Scrittori della Storias Romana di formare di queſta Nazione tutt ' altra idea di quella, che fu realmente. I vo caboli di Re e di Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi, in cui viſſero gli Storici, quando già fioriva in Roma la Monarchia, gli traſportarono a credere, che il Governo cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla, forma Monarchica. Taluni peraltro convinti da’ fatti contrari della Storia furono obbligati a confeflare che ne' primi tempi di Roma quantunque regnaffe la Monarchia, pure.que Ita non poteſſe dirá alſoluta ma che folle accom accompagnata, e mifta di Ariſtocrazia, ' é, Democrazia; ' e che in conſeguenza i Patrizi inſieme co ' Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo, di cui peraltro la ſomma foſse preſso de' Re. L'Idea adunque che tam luni Scrittori fecero del Governo di Roma fin dal fuo nafcere, fu di conſiderare Romolo co'ſuoi Succeſsori o per veri Monarchi; o per Monarchi, che aveſsero comunicato parte dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej, riputando i Patrizi e Senatori, come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj, im piegati dai Re nelle cariche più gelofe del lo Stato, ed i Plebej per Ceto anche di Cit tadini ma ignoranti e vili, che ſerviſsero per le faccende ruſtiche, e per la guerra; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici affari. Venne, come diſi, tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore, che tutte le Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare, fe non con la forma Monarchica, non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo poſsa mai unirli, e comporli  B un > 7 un Ceto di famiglie a convivere tra loro, ed a formare un corpo. Imperciocchè, dico no efli, non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione, ſenzachè qualcuno di eſſi, o per violenza, o per fraudolente ambizione induca gli altri alla di lui foggezione e Si gnoria; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra maniera immaginare, come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in Società Ci vile, facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria famiglia, pofsano ſenza il mezzo della violenza, o dell'inganno, ab bandonare la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile. Su queſta mal fondata, opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana, in cui intefero parlare di Re, e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca, e Monarchia non dubitarono punto di defi nire il Governo fotto Romolo, e Tuoi fuccef fori per Monarchico. Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non s'uniformano all ' Idea di una perfetta Monarchia, furono co ftretti ad ainiettere una Mon: irchia mitta di Ariſtocrazia inſieme, e Democrazia. Tutte Tutte le ragioni politiche, che ſogliono ads durſi dagli Scrittori nel pretendere, che le So cietà Civili non poſſano altrimenti nafcere che colla forma Monarchica, fono a mio giu dizio tanto lontane dal dimoſtrarla, che anzi provano tutto il contrario, cioè, che la unione de' Padri di famiglia, nel comporre la Società Civile, debba neceſsariamente pro durre forma di Governo Ariſtocratico, e non Monarchico; poichè fe effi non fanno im maginare, come tali particolari Monarchi di famiglia poſsano ſoggettarſi alla pubblica, Podeſtà ſenza frode o violenza di qualcuno di loro, io al contrario non ſo concepire,.come tal violenza o frode d' un ſolo por fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di famiglia avvezzi a ſignoreg. giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca, Qualunque voglia figurarfi la frode o la violenza d'un folo, egli è chiaro che tali mezzi non faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale cambiamento di con dizione, quanto, lo è il paſsare da quella, in cui trovavanli di Signori aſsoluti, a queſta di B 2 fud E fudditi, trattandoſi di cambiare condizione in tieramente oppofta; ed ognun fa, quanto rin.: creſce al Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire. Che ſe mi diceffero, che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere, io gli riſpondo, che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non è, ne può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia, quanti converranno ä formare la So cietà. Sicchè tanto è fupporre, che la forza d'un folo baſti per opprimere gli altri, quan to è dire, che molti non fiano in grado di vincere la violenza d' un folo; ciò che o non è affatto poſſibile, o almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro, e ſtravagante; ma la ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema generale. Quindi il preten dere, che le Società Civili debbano necella riamente cominciare colla forma di Governo Monarchico, è lo ſteſso, che fupporre la violenza, o la frode d' un folo maiſempre ſuperiore alla forza, ed alla deſtrezza di mol ti; e ciò non baſta, perchè biſognerebbe an che > 1 che ſupporre, che al numero di molti non fc gli preſenti mai occaſione favorevole per re fiftere, e liberarſi dall' uſurpato potere di un ſolo; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra immaginazione. Se poi vorranno fingere, che dopo la violenza, o frode uſata dal Mo narca per ſoggettare gli altri, poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi ſoggetti, forſe perché il Monarca ſia dotato di virtù tali, che baſtino ad innamorargli, oltreché une tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente, incontra il maſſimo oſtacolo di non poterſi concepire, come gli Uomini avvezzi a dominare poſſano cosi preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire per qualunque ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca. Ma poi non è poſſibile il concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro, che naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di dominare, ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione; fe pure non vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima delle Umane paſſioni. Qui Qui potrei co ' monumenti pervenutici de gli antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di un tal ſentimento dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt altra forma di Governo, che la Monar chica; e che laddove eſli ſuppongono, che la Monarchia ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili, fi troverà maiſempre l'ulti tima a venire dopo l' Ariſtocrazia, e Demo- ' crazia; perché la naturalezza delle Umane vicende è tale, che i Padri di Famiglia nel formare la Società Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta, che eſercitavano in Caſa, cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile dell'antica Signoria; poichè l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da, uno ſtato ad un altro direttamente oppoſto al primo, e perciò quando trovali nella contin genza di dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore, procura ſempre di paſſarci per gradi, e non di ſalto. Quin di è, che fe vogliamo ragionare a ſeconda, dell'idee Umane, dobbiam dire, che tali Pa dri di famiglia qualora li vedranno obbligati dalla dalla neceſſitii di laſciare la Monarchia del ta loro famiglia, ſebbene converranno vo lentieri in Società Civile per trovare mag gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà pub blica compoſta di forze unite, e per confi gliare ai vantaggi, e comodi della vita; pu Te non ſi diſporranno mai a cedere dell'anti ca poteſta, fe non quanto biſogna per reg gerſi il Corpo Civile, e quanto meno liane poflibile di quella dominazione, che lafciano. Or la forma di governo, che dovranno fce gliere, farà certamente l'Aristocratica, come quella, in cui fi cede il meno dell'anticas Signoria, formandoſi una Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno preſſo gli iteſi mem bri, che la compongono, e nel tempo ſtello col Governo Ariſtocratico ſieguono a ſignorega giare ſul Volgo, e ſulla Plebe, che ſi ricovera ſotto la loro protezione. Che ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio, come coll' andar del tempo dall'una forma di Governo ſi fuol para ſare all'altra, poſſiamo qul accennare breve. mente, che ſtabilitaſi la Societ: Civile nella ſua origine colla forma Ariſtocratica, che dee ellere 1 B 4 priva d'ogni dritto Civile i Indi l'oppreſſo eſsere la prima a naſcere, gli Ottimati na turalmente faranno traſportati dall’amor pro prio ad opprimere, e tirannizzare il Volgo, o ſia la Plebe, che ricoverandoſi ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita, rimane Volgo creſciuto in numero, maſſime col mez zo della procreazione, pel deſiderio iſpiratoci dalla Natura di fottrarci dall' altrui tirannia, cogli ammutinamenti e ſedizioni cerca di li berarſene; e quindi avviene, che dall' Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia. Finalmente il Popolo tutto reſo partecipe del Governo, naturalmente ſi divide in fazioni, le quali agi tandoſi continuamente tra loro, non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle guerre Civili, che di ricoverarſi ſotto la Monarchia. E que Ito ſembra il corſo ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte uniforme altresì alle memorie pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per non partirci dal noſtro argomento, ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go verno Civile di Roma. E ſulla prima fa duo po po di ſviluppare dalle tante incoerenze, che troviamo nella Storia, quella prima forma di Governo, che venne iſtituita ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána. Dicia ino adunque, che la prima forma diGover no iſtituita fin dal tempo di Romolo tanto è lungi, che fofle ftata Monarchica, o miſta di Monarchia, che anzi ſi riconoſce chiaramen te Ariſtocratica delle più feverè, che mai li poſſa immaginare, come realmente lo furono le Nazioni tutte nei loro forgimenti. E pri mieramente l'efferſi attribuita a Romolo, e ſuoi Re fucceffori la Monarchia, nacque fo vratutto, come diſli, dalla falſa intelligen-. za della voce Rex, col di cui nome vennero chianati tutti quei, che da ROMOLO fino al la creazione de' DUE CONSOLI ANNALI hanno la cura di presedere, e far da Capi del Senato regnante. La voce “rex” nei tempi, in cui gli Storici, come LIVIO e Dionisio compilarono la STORIA ROMANA, e certamente appresa in SENSO DI “mon-arca”, come temps, in cui fioriva. la monarchia e con un tal supposto non ſapendo neppur eſi immagina. re re altra forma di Governo nel naſcimento della Città Roinana, andarono a credere, che o in tutto, o in parte regnaſſe la Monarchia. Ma ſe vogliamo inveſtigare la vera originaria fignificazione della voce Rex, troveremo, ch'ella viene da reggere, e ſoſtenere, e che propriamente dinotava un Capo e Dace del la Repubblica, e non un Monarca di pode Atà aſſoluta. La ſtella eſpreſſione di rex tro viamo uſurpata in tutte le altre Nazioni, di cui ci è pervenuta la Storia; ma il Governo del le niedeſime non ſi può attribuire a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi, dai quali ſcorgeſi, che tali Re altro realmente non era no, che Capi, e Duci delle Repubbliche: per che inſieme colla perſona del Re troviamo i Senati, da cui definivanfi gli affari pubblici dello Stato. Soleaſi per altro diſtinguere l' incombenza dei Re in pace ed in Città da quella, che rappreſentavaſi in guerra; poi che qualora erano in piegati a far da Capita ni Generali a comandare l'eſercito, ſpiega vano certamente una podeſtà affoluta, come quella, ch'è troppo necelaria nel Capitan Gen Generale per lo buon regolamento delle fac cende militari. Trattaſi in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le opere militari, le qua li non ſoffrono dilazione, e richieggono la più rigoroſa ſegretezza per forprendere l'ini mico, ed in conſeguenza i Re in guerra per natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà aſſoluta, perchè non giova di eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli altri, è maf fimamente de' Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi Jitari, e perciò non ci dee far maraviglia, fe per conſigliare al pubblico bene fafi co ſtumato di concedere al Re, quando coman da in guerra, una poteſtà indipendente e Monarchica. Ma di qualunque carattere ftata foſſe lae poteftà dei Re in guerra, non dobbiamo con fonderla colla podeſtà da effi loro praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato. In fatti Tacito narrando i coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi diſtinguevano i Re propriamen te 1 te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica dai Capitani Generali; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e. Signori, ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei, che li erano reſi celebri pel valore, ' I Re, dices egli, ſi eleggono dal Ceto de' Mobili, e per Capitani Generali ſi ſcelgono i più celebri nel valore; Ma i Re non rappreſentano pode fà libera ed illimitata (a ); quanto a dire che la qualità di Re preflo gli antichiſſimi Germani non produceva poteſtà fuprema, e Monarchica, tuttoche Tacito gli aveſſe at tribuito il nome di Rex. Dionisio parlando degli antichi Re della Grecia fcrive, che i Re delle antiche Greche Nazioni, preffo di cui il Principato era ereditario, o pure elettivo, governavano col conſiglio degli Ottimati, come lo atteſtano Omero, e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali antichi Re eſercitavano il Prin cipato con poteſtà aſſoluta, come veggiamo a tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate, duces ex virtute fumunt. Nec Regi bus infinita, aut libera poteftas. DI ROMA. 29 tempi noftri (a ). La voce Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina dinotava une Capo di qualunque Ceto, o di Repubblica, e non un Monarca z e queſto Capo qualora veniva deſtinato a comandare in guerra; al lora fpiegava la poteſtà aſſoluta; Ma nei tem pi poſteriori, quando le Nazioni pervennero allo ſtato di Monarchia fi ritenne la ſteffa voce “rex”, che paſsò a SIGNIFICARE il Monarca, quan to a dire, che il nome di Rex attribuito a ROMOLO, ed agli altri Re successori, non può eſſere un argomento per definire il Governo Monarchico nel naſcimento della Città Romana. Parliamo ora ad esaminare i fatti narratici dagli storici, dai quali unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo. Dioniſio, il quale a differenza degli altri s'impegna a de (a ) Dioniſio Antiq. Rom. lib. 2. Graecanici Reges çerte, qui haereditarium Principatum fumerent, quolve Populus fibi ipfe praeficeret, confilium habebant ex OPTIMATIBVS ut Homerus, et antiquitlimi quique Poetarum teftantur.. neque (ut fit in noſtro feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem exercebant. deſcriverci minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto ROMOLO, febbene non ſeppe, formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma del Governo, pure ci ſomminiſtra ba. ftanti lumi, onde poſſiamno ſcovrire il vero. E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni ſul propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile, e più atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili, e per di fenderla dagl' inſulti dei Popoli eſteri. E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche, e delle Barbare, delle forme del loro Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore; indi gli conſiglia a riflettere maturamente l' affare, affinchè poteſſero riſolvere, se piutto fto voleano ubbidire a un ſolo, o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di moderazione a ſeguire il loro volere. Dopo una ſpe cio Dioniſio antiq. Rom. lQuum autem diffi çilis fit earum (vitae uempe rationum ) electio, juf lit ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo conſiglio tra loro, non dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona dello ſteſſo Romolo, non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore per quanto l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori, ma perchè giudicavano, che con una tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi, cioè la libertà propria, e · l' impero preſſo degli altri (a). Da un tal racconto ognun vede, che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata dicere, NUM UNI RECTORI, AN PAUCIS PARERE MALINT. Etenim, inquit, quamcumque Reipublicae formain in ftitueritis, ad eam recipiendam paratus fum, nec principatu me indignum cxiſtimans, nec detrcaans imperata facere. (a) Dioniſio loc.cit.Illi, communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc moduin: nobis nova Reid publicae forma non eft opus; nec a majoribus proba tam, et per manus traditam mutabimus, fed et pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine inſigni prů. dentia illam Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, et praefenti fortuna contenti ſumus; cur enim illam in. cuſemus, quum fub Regibus contingerint nobis bona, quae apud homines habentur praecipua, LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec eft noftra de Republica fententia &c. niſio compoſe tali narrazioni piuttoſto allas maniera, com'egli avrebbe penſato di fare, che con quella, che Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando di riflettere le tante improprietà di ſimile allo cuzione, in cui ci propone Romolo per Uo mo iſtrutto delle Barbare, e delle Greche Na zioni, anzi delle varie forme del loro Gover no; quando al contrario, come dimoſtraremo a fuo luogo, i Romani per molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti, mallime alle Greche Nazioni, ci giova quì di notare quell'eſpreſſione, che il Governo Regio po tea loro conſervare il pregio della libertà, il quale certamente non ſi può ottenere colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di podeſa d' un ſolo aſſoluta, ed arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un Monarca dotato della più retta politica ę ſaviezza, e di coſtumi i più ſublimi ed innocenți, il Popolo non può godere altro pregio di libertà, ſe non quello, che deriva dalla rettitudine dell'animno dalla ſaviezza del Monarca medeſimo; mais non ſi può pretendere ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA. godere il dritto e la libertà di reſiſtere, ed oppora al di lui ſentimento e comando; poiché la forma Monarchica, come tale, racchiude la fuprema poteſtà preſſo di una folo; e tutto il reſto del popolo potrà fo lamente eſercitare quell'autorità, che pia ce rà al Monarca di comunicargli; ficchè ſi conſidera allora ' tale autorità come dipen dente e ſoggetta maiſempre al voler del Monarca e non libera del popolo, che l' eſercita per comando del Principe. Ed ecco che Dioniſio leffo finora ci propone il Gover no Regio non già in ſenſo di Monarchia, ma di Capo e Duce d ' un ceto d' Uomi ni, che intendono d'eſser membri del Go verno medeſimo, per eſſere anch'eſſi a par te della libertà di comandare. Siegue indi Dioniſio a narrare la diviſione del Popolo in Tribù, e Curie, inſieme colla egual partizione de' campi, e de' terreni tralle Curie; e poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta in Padri e Plebe, nel riferire il carat tere che i Patrizi doveano rappreſentare nella Repubblica, chiaramente ci atteſta, Tomo II. С che che ai Patrizi apparteneva la cura dei Sacri, l'eſercizio de' Magiftrati, l'amministrazione della Giuſtizia, ed il Governo della Repubblica unitamente con ROMOLO. Ę poco dopo narran do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj replica lo ſteſſo, cioè, che Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine, immediatamen-: te creò dal Ceto de' Patrizj i Senatori, i quar. li doveſſero ſeco lui amminiſtrare la Repubbli. E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia alle Repubbliche delle antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero, e di altri Poeti Greci, che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui preſedeva il Re, il qua le per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $ Dionifo loc. cit. Romulus porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus, mox legibus latis praefcri plit, quid utriſque faciendum effet: ut Patricii facra curarent, Magiſtratus gererent, jus redderent,SECUM REMPUBLICAM ADMINISTRARENT. Dioniſio loc. cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem ordinem redegit, confeftim decrevit Se fatores creare, ut ellent, QUIBUS CUM ADMINI STRARET REMPUBLICAM. DI ' ROMA. 35 niera però, che il Governo della Repubblica riſedelle prello il Senato compoſto degli Ot timati, come per l'appunto furono i patrizi di Roma. Indi riferiſce le particolari in combenze attribuite a Romolo, come Capo del Senato, cioè, che prello di lui eſſer do veſſe la principal cura dei Sacrifizj e del le coſe Sacre: che doveſſe aver cura delle Leggi e de' Coſtumi Patri; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli delitti più gravi, e de' minori ne giudicaſſero i Senatori; che foſſe di ſua incombenza di convocare il Senato ed il Popolo tutto, colla prerogativa di dover eſſere il primo a profferire il ſuo ſentimento, ma che le determinazioni del Senato dovef ſero dipendere dalla pluralità dei fuffragi; e finalmente, che poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta in guerra, Paſſando poi a ſpiegare, C 2 qua Dioniſio it. Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent, quoſve populus fibi ipfe praeficeret, conlilium habebant ex Optimatibus, ut Homerus et antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. Dioniſio loc.cit. His conſtitutis, honorcs, et potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit. Regi quidem eximia mune DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del Senato, fcri ve, che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al Senato, preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di decidere col mezzo della pluralità dei ſuf fragj, ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni, (fempre col falfo fuppofto, che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi, nè Die {potici del Governo, ma ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt haec: Primum, ut Sacrificiorum, et re liquorum Sacrorum penes eum eflet principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet; deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam, omniſque Juris, quod vel natura di&ar, vel pacta et tabula fanciunt curam ageret; utque de graviſſimis delictis ipſe decerneret, leviora permitteret Senatoribus, providendo interim, ne quid in judiciis pece caretur; utque Senatum cogeret, Populum in concio nem vocaret, primus fententiam diceret, quod pluçi bus placuiſſet, ratum haberet. Haec Regi attribuit mu nia, et practerea fummum in bello Imperium, (be neppur ftà nell'amminiſtrazione della Repubblica. Da tutto queſto racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare, che Romolo non eb l'ombra, della poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la poteità ſuprema riſedeva preſſo il Senato medeſimo, e preſſo gli Ottimati; e che tutto quello, che fu attribuito alla perſona del Re, conſiſte va nel fare da Capo del Senato Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli affari, e di eſſere il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento; ma che la poteſtà di determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori, in maniera che le determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a cui il Re medeſimo dovea foggiacere; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea di Monarchia, ma C3 ci Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po teſtatem hanc addidit, ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur, de his decerneret, et ferret calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia. Id quoque a Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non erant fui arbitrii, ut, quidquid vellent, facerent; fed penes Senatum erat tocà publi cæ adminiftrationis poteftas.  ro ci manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori, i quali furono eletti dal Ceto nobile de’patrizj. Egli è ve che il re di Roma ſpiegava la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra; ma queſta, come dicemmo, non toglie, nè s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico, perchè in tutte le Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale, per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il comando del Du ce dell' Eſercito: E qui giova d' oſſervare, che ſebbene nelle Ariſtocrazie il Capitan Generale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra; pure la dichiarazione della guerra, e tut to ciò, che appartiene al ſiſtema generale di eſercitarla, dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante, quatito a dire, che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe medeſimo ciò che non ſoffre dilazione, e l'attendere l'ora colo del Senato ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue ITgue non già dall'uſo della poteſtă, che ſi eſercita in guerra, ma dalla ragione delle pubbliche determinazioni, le quali, qualora dipendono dall' arbitrio di quei pochi, che compongono il Senato, ci manifeſtano chiara mente l'Ariſtocrazia, e non la Monarchia, anzi neppure un miſto dell'una è dell'altra; perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato, ſempreche tutte le pubbliche determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei Senatori s non ſi può aſcrivere, che ad un più ordinato regolamento del Senato mede ſimo, come avviene in tutti i Ceti di per fone, in cui vi ſia un Capo, il quale ſembra effer neceſſario, affinchè ſia meglio regolato il Corpo intiero di quei, che lo compongo ño; ma non già che la coſtituzione del Capo vaglia à mutare o alterare in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So bene, che anche nelle Monarchie fogliono eſſervi i Se nati, maſlime de Grandi dello Stato ma cali Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu ſtabilito in Roma forto Romolo; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a C4 quals  0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de gli affari, o pubblici, o privati; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i confini d'un mero configlio, ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di approvare, di repu diare la deliberazione; quanto a dire, che la determinazione dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai ſentimenti dei ſuoi Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano talvolta ſtabiliti tali Ceti di perſone, che ſogliono aver nome di Con ſiglieri del Monarca. All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone, di cui ognu na ſpiegava uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche determinazioni, e queſta tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente, che coſtituiſce la vera forma di Governo Ariſtocratico. Quindi pof ſiamo francamente affermare, che dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato, ivi non vi può eſſere neppur l'ombra della Monar chia, ed al contrario dove regna la Monar chia, ivi non può eſſervi Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e l'altra forma di governo come verno non ſi diſtinguono in altro, ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema riſiede in un folo, e nell' Ariſtocrazia in molti. Ma per eſſer meglio convinti d'una tal ve rità, ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo di Poteítà, che riguar da lo ſtabilimento delle Leggi, il quale più d'ogni altro fa diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia, ſecondo che venga eſercitata da un ſolo, o da molti, è che ſecondo il ſenti mento di tutti i Politici ſi conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato. In fatti tra tutte le pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen te quella, che diceſi poteſtà Legislativa; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi, come quel lo, che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica tranquillità, è il punto più ge lofo, che poſſa eſſervi nel regolamento del le Società Civili, e come tale ci manifeſta, e ci fa diſtinguere ad un tratto la Monarchia dall'Ariſtocrazia. La ragione ſi è, perchè pre ſcriver la Legge allo Stato altro non è, che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes  membri del Corpo Civile alla cieca obbedien za di ciò, che la Legge comanda; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più ſublime di quella di poter comandare la Legge. Or fen za biſogno di ſoggettarci ſu tale articolo ai ſentimenti degli Storici; qualora ci riuſciſſe di dimoſtrare, che la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di Romolo, ma preſſo l'Ordine del Senato regnante, non ci rimarrà luogo da dubitare, che l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É qul fa d’uopò di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella Legge feconda de Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare dell'origine delle Leggi Romane · Ci fa egli ſapere, che ſul principio il Popolo Romano ſi regolava ſenzos leggi certe e determinate; ma che tutto ſi go Bernava col mezzo della dutorità del Re. A tal de Orig. Juris: Et quidem initio Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca, fine jure certo pri A tal narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile, valutando aſſai più la di lui Autorità, che quella di Dioniſio li dettero a credere che realmente il Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico, poichè (dicono eſli ) ſe ne primi principi della fonda zione di Roma al dir di Pomponio non v'era no leggi ſtabilite, e determinate, ma tutto li regolava collº autorità del Re, ne liegues neceſſariamente, che la forma del Governo cominciare dalla Monarchia. Ma io non sò, come tali Interpreti poſſano formare da quelle parole di Pomponio un tal giudizio, quando dall' altre, che ſeguono, li dimoſtra il con trario. Indi (fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing qualche maniera ingrandita la città, dicéſi, che lo ſtesſo Romolo aveſſe diviſo il Popolo in trenta parti, chiumate CURIE a motivo, che allo primum agere inſtituit, omniaque manu Regis guber nabantur. NellePandette Fiorentine leggefi MAŇU A REGIBVS GVBERNABANTVR ma de ciocchè fregue, e dall' eller direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di Romolo, dee fi piuttosto abbracciare la lezio ne volgata, omniaque manu Regis gubernabantur. allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti, e colle determinazioni delle medeſime Curie; ed in tal maniera promulgò egli alcune leggi dette CVRIATE, come fecero altresì i Re ſuoi successori. Or fe folle vero, che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia Monarchica, dovrebbe eſſer falſo, che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la Repubbli ca degli Ottimati, con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di diſporre degli affari pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi. Nè vale il ſupporre, che Romolo regolaſſe, la Città coi ſentimenti delle CURIE di puro conſiglio, quafi che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire, o di ripudiare tali fen timenti. Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente s'eſprime, che gli affari ſi determi navano per Sententias partium earum, che in buon (a ) Poftea au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur, Populum in triginta partes divififfe, quas partes Curias appellavit, propterea quod tunc Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat; et ita leges quaſdam et ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt et fequentes Reges. buon latino non poſſono ſignificar Configlio; ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono Curiato non per altra ragione, fe non perchè le de terminazioni venivano preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse Curie, e non dall' arbitrario vo lere di Romolo. Egli è vero, che tali Leggi coll'andar del tempo furono anche dette Regie a cagion che ſi proponevano dai Re ne' Comizj Curiaci; ma poichè tutti gli Storici con vengono nell'affermare, che gli affari li de terminavano dalSenato a relazione degli ftelli Re, come Capi di quella adunanza, non ci dee far maraviglia, ſe le Leggi ſi foſſero dette anche Regie; perchè venivano propoſte dal Capo del Senato, cui ſi dette il nome di Re. Dunque fe vogliamo credere più a Pompó nio, che a Dioniſio, pure ſiamo obbligati coll'autorità dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne' tempi di Romolo l'Aristocrazia, u non la Monarchia; perché altrimenti non ſi potrebbero comporre le prime colle ſeguen ti parole del Giureconſulto. All'incontro egli farebbe coſa ridicola il ſupporre, che pri ma di ſtabilirſi le leggi certę, Romolo governaſse da Monarca, e che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia; e quando anche potefle'aver luogo una tal fuppoſizione, non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito, prima che ſi dalle una certa forma al Goveșno, la quale non fi dee ripetere, fe non dal tempo, in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма,per meglio chiarirci di tal verità, con „ viene di riflettere, che quella eſpreſione di Pomponio, cioè, che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe, ma che tutto ve niva regolato coll'autorità di Romola, non può ſignificare forma di governo monarchico, come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó d'inveſtigare la vera ſignifi çazione di quelle parole, Omniaque manu Regis gubernabantur. La voce Manus, è vero, che per traslato • ſtata anche appreſa da' Latini in ſenſo di poteftà (a); pure non hanno 1  I Latini quandą apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA', s' avvalſero di quelle locuzioni IN MANU ESSE, HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA, 47 hanno mai detto gubernare manu in ſenſo di governarc, colla poteſtà; nè mai trovaremg gubernare, o regere, o altre fimili parole in ſieme colla voce manu, per ſignificare poteſta nel governo, Molto meno può adattarſi alla voce manus la ſignificazione di arbitrio, o la diſpotiſmo, come piacque ad altri Inter preti; perché un tal difpotiſmo altro non è, che poteft fuprema, ed indipendente; ma comunque ſi apprenda tal poteſtà, ſiamo pur troppo ſicuri, che nel linguaggio latino quel gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo di poteft. In queſta eſpreſſione adunque di Pomponio la voce manus deeſi riferire a tutt'altra intelligenza, che a quella di po teſtà; e poichè tal voce è ſtata anche appre fa dai Latini in ſenſo di forza, e di valore di corpo, o d'animo, come la troviamo in tan te locuzioni (a), non poſſiamo fpiegare il detto VENIRE > DARE, MANU MITTERE fimili. (a) Nel fenſo di FORZA, VALORE, E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS MILITARIS, MA detto di Pomponio, ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime origini della Città re golati gli affari colla forza, col valore, e col la guida di Romolo, come quegli, che tra quelle poche perſone, che ſi unirono ſeco lui nella fondazione della Città, facea la fi gura di Capo e Duce. E queſta intelligen za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di Pomponio; poichè, dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa, fine lege serta, fine jure certo; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale di abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una Società Civile, non v'era biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici, ma tutto re golavaſi con quei medeſimi coſtumi, fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli, che unironſi con Romolo; e perciò dice Pomponio, che ſi vivea ſenza Leggi certe, perché MANUS ARMATA, MANUM CONSERERE, IN JICERE, INFERRE MANUM ALICUI REI IMPONERE, MANU DOCERE, e fimili. E noz Italiani abbiamo ritenuta l'eſpreſione di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima dello Stato di pronta, e spedita eſecuzione. D'L ROMA.perchè allora la Legge era la voce mede ſima del Capo dell'unione, il quale poteva occorrere ad ogni diſordine. Ma quando poi crebbe la moltitudine degli Abitanti, allora biſognava di ſtabilire le Leggi, non poten doli regolare un Corpo Civile colla fola voce parlante del Duce. In fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non ſono, che voci mute di chi governa; e ſiccome per regolare i pic coli Corpi può baltare la voce parlante di chi gli regge, cosi moltiplicataſi l'unione degli abitanti, e pervenuta al grado di formarli un Corpo conſiderabile richiede neceſariamente lo ſtabilimento di Leggi certe, le quali pre ſtino l'uffizio della voce medelima di quel Ceto, preſso di cui riſiede la pubblica pote ftà. Ciò ſuppoſto, fino a tanto che Roina ven ne abitata da piccol numero di perſone, la vo çe parlante di Romolo baſtava per regolare gli affari; ma moltiplicatoſi il numero, fi do vette venire alle determinazioni delle Leggi certe, non potendoſi altrimenti ſoſtenere un Corpo Civile. Ma prima di ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo ſupporre, che Romolo co D man mandaffe coll'arbitrario fuo volere; perchè lo Steffo Po mponio ci aficura, che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi certe, furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie, o ſia del Senato; e poichè non è poſſibile l'immaginare, che il Governo per coså breve tempo dipendeſse dal voler del Mo barca, e che immediatamente poi paffalle nella poteſtà Ariſtocratica, perciò dobbiams conchiudere coll' autorità dello ſteſſo Pompo nio, che fin dal principio la Città fu eretta colla forma del Governo Arittocratico. Ne G può conoſcere altra divertità tra quel tempo, in cui fi vivea ſenza Leggi certe, e quell' altro, che venne immediatamente, in cui furo no ftabilite le Leggi, fe non che in quello la poteſtà degl’ottimati ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo, manu Regis, laddove in quefto il Senato fpiegava la sua potestà colla voce muta delle ſtabilite Leggi; ma l' uno e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma, Aristocratica; Quindi è ancora, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa, fine's jure certo, non si poſſono apprendere, come fecea fecero alcuni Interpreti, quaſiché il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante, perché non ſi può fingere ſocietà d’uomini, che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento, ma ſi debbono riferire a quella intelligenza, che meritano, cioè che tutto veniva preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze, che ſpiegavali col mezzo di Romolo loro Capo; perché non v ' era biſogno ancora di ſtabilirſi leggi certe, come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti, Siegue Pomponio a narrare, che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie, coi di cui ſentimenti li determinavano gli affari, allo ra cominciaffero a ſtabilirli le. Leggi cere te, che furono perciò dette Curiate, come fecero altresi i Re fuoi fucceffori: Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad Populam tri lit, tulerunt eam fequcntes Reges: 1 qut gł Interpreţi del Dritto Romano per ſoſtenere la sognata monarchia di Romolo caddero in tun'altro equivoco nell'apprendere l'espressione di Pomponio di ferre legem ad populum in fente D2 d'ef d'eſſerſi comandate le leggi da Romolo, e dai Re fuoi fucceffori. E febbene una tale interpretazione ſi oppone direttamente a cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti, cioè che il governo della Re pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen timenti delle Curie: propterea quod tuma Reipublicæ curam per ſententias earum partium expediebat; pure abbagliati da quel guberna bantur manu Regis, ſi videro obbligati a rico noſcere nella perſona di Romolo e degli al tri Re la poteſtà fuprema di comandare le leggi. Siminaginarono dunque, che lo ſta bilimento delle Curie non toglieva al Re la poteſtà Monarchica, poichè febbene il Sena to interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i ſentimenti delle Curie ſi debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio, e che in conſeguenza la poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo, e ſuoi Re ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi, al dir di Pomponio, fpie gavaſi dal Re, ne ſiegue, che la forma del Governo debbafi attribuire anzi a Monarchia, che, che ad Ariſtocrazia. Ma io non só intendere con qual fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di ferre legem ad populum al fenſo di comandare, e preſcrivere la legge, quando al contrario egli è coſa notiſlima pref fo i Latini, che il ferre legem nella ſua vera intelligenza ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per determinarji, o ripudiarſi, e non il preſcriverla, e comandarla; anzichè qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne ad populum, ad plebem, e ſimili, non v'è eſempio, che foſſe ſtata mai tal lo cuzione appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo, alla Plebe, ma ſempre nel ſen ſo di proporla, per determinarſi dal ceto del popolo o della plebe. E quando la lega ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta, allora diceaſi lex juſſa, condita; ſic chè altro era il ferre, altro il jubere legem; il ferre fignificava proporre, ed il jubere pro D 3 pria (a ) Vedi Briſſonio de Formulis. il quale traſcrive i laoghi degli Scrittori Latini ſu sale articolo priamente dinotava la determinazione, o sia le juffione della legge. Tra gli altri Scrittori Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio, in cui cgli îi avvale dell' eſpreſsione di ferre legem, o pure rogationem, nel ſuo vero ſenſo di propar re, e non già di comandare, e ſoprattutto quando riferiſce le pretenſioni de' Tribuni del la Plebe, in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo ſempre di proporre o promuovere, e lis mili, e non mai di preſcrivere, o comandare, perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà, fe non quella di promuovere, e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo, e non già di comandarle. Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua fi gnificazione baſta un luogo folo di LIVIO (si veda), in eui eſpreſamente ſi addita la differenza tra "! ferre, e jubere legem. Racconta egli, che pell'anna 372. il Senato ordinà, che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la deliberazione d' intimark la guerra a' Popoli di Veletri. I Patrizi co nofcendo d' eſſerſi laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri, decreta rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc  SS ponefe,al Ceto plebeo l'affare d' intimarye loro la guerra, e che propoftafi una tal delibera zione tutte le Tribù conſentirono a coman dare', e determinare una tal guerra. E qui Livio eſpreſſamente fi avvale della voce fer re, quando parla di proporſi l'affare al Ceto plebeo, e della voce jubere, quando riferiſce la juffione della guerra ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ). Egli è vero, che l' eſpreſ Gone di ferre legem é ſtata poi dai Latini tra ſportata anche a fignificare la promulgazione della legge in quelle locuzioni Lata lex eft, e limili; ma neppure "la trovaremo uſurpata in queſto ſenſo, quando ci ſi aggiugne ad Populum, ad plebem c. perchè allora ritie ne l' originaria ſignificazione di proporre, e non di promulgare (.b). Comunque però fi D4 ap LIVIO.  Id Patres rati contemptu accidere, quod Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet, decreverunt, ut primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen do...... Tum, ut bellum JUBERENT, latum ad Populum eft; et nequidquam diffuadentibus Tribu nis Plebis, omnes Tribus bellum JUSSERUNT. Tum ut bellum juberent, LATUM AD PO PULUM EST. Livio loc. cit. apprenda, o in ſenſo di proporre, o di pro mulgare, egli è fuor di dubbio, che non mai può ſignificare juffione è determinazione della legge. Ciò ſuppoſto, per ritornare ora a Pomponio, ognun vede, che le di lui parole: Et ito leges quaſdam et ipfe Curiatas ad populum tue lit; tulerunt ex Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo, che Romolo, e gli altri Re aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non vogliamo tacciare il Giureconſulto per ignorante del linguaggio latino, ma quel tu lit ad populum deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva ſoltanto preſso la perſona del Re, di proporre gli affari pubblici in Senato, ed in conſeguenza le leggi, la di cui juffio ne nondimeno dipendeva dal fuffragio delle Curie medesime per fententias earum partium, e non dall'arbitrario volere del Re; e le leg gi fi diſſero Curiate non per altra ragione, ſe non perché vennero preſcritte, e comandate dalle Curie, e non dal volere del Re, quan tunque egli come. Capo del Senato, e come riconoſciuto per lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM A 57 Senatori godeſſe la facoltà di proporre cioc chè gli ſembrava più eſpediente per l'ottimo regolamento dello Stato; ma' una tal prero gativa fu fpiegata' altresì dopo il diſcaccia-, mento de'Re dai Conſoli, dai Tribuni mili tari di poteſtà Confolare, dai Ditcatori, e da altre Magiſtrature di ſublime autorità, le quali tutte proponevano al Senato, alla Plebe, al Popolo tutto, le determinazioni degli affari pub blici, e maſſime delle leggi; niuno però fin è ſognato finora di aſcrivere la forma del Governo ſotto i consoli a Monarchia, perchè la ragione di Capo d'un Popolo senza carattere di potestà assoluta non può produrre monarchia, fe non vogliamo confondere ! idea del governo monarchico coll'aristocratico e democratico. winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori chepiù degli altri ci narrano con qualche diſtinzione la forma del Governo tenuta ſotto Romolo, fo no Dioniſio, e Pomponio. Il primo ci de fcrive chiaramente la coſtituzione del Senato, dal di cui arbitrio dipendevano le determina zioni degli affari e l'intiero regolamento dello dello Stato, ciocchè eſclude di fatto ogniom bra diMonarchia in perfona di ROMOLO. Il fecondo non ſolamente non fi oppone a quan to riferiſce Dioniſio, anziché ce lo conferma più chiaramente, prima col riferirci, che nel naſcimento della Città non v'erano leggi cer te e preſcritte, ma che tutto regolavaſi col conſiglio e guida di Romolo, ed indi cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la moltitudine degli abitanti, fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle leggi certe. Quali leggi inſieme col reſto de' pubblici af fari, eſſendoſi diviſo il Popolo in trenta Cu rie, furono preſcritte col fuffragio delle me defime; ragion, per cui fi diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la prerogativa di Rom molo, come Capo del Senato, fi riduceaus alfa - facoltà di proporre predo il Ceto de Se natori ciocchè gli ſembrava opportuno per determinarli gli affari dal Senato medeſimo per ſententias carum partium. In fomma, che Je leggi col reſto delle pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano colla juſsione delle Curie, o fia del Senato, non si può negare per l'alt torita DI ROM A.torità di Pomponio, di Dioniſio, di Livio, e di tutti gli Storici, i quali concordemente combinano ſu tale articolo. Il determinarli gli affari per ſententias delle ſteſſe. Curie e de Senatori, in buon latino non può fignifica re pareri confultivi, ma juſsione per mezzo della pluralità de* fuffragi. Quel tulit leges ad populum attribuito a Romolo, ed ai Re fuc celori, altro non contiene, che la facoltà del Re nel proporle, e non già nel comandarle, e prefcriverle. Dunque dai detti degli ſteffi Storici siamo convinţi, che la forma del Gom verno iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur l'ombra dellaMonarchia, perché doves vi è Senato, preffo di cui rilieda la poteftà. ſuprema di decidere gli affari dello Stato, ivi non vi può regnare il Monarca. E per ultimo troviamo nella Storia Civile di Romaun fatto incontraſtabile, che di ſya natura ci dimoſtra, quanto foffe lontano dalla Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo. Egli è troppo noto il dritto di Pa tria poteſtà, che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino Romano ſulla ſua famiglia ſenza limiti, @fen. 3 e fenza la minima dipendenza dal re, o dal Senato. Non intendā io qui di quella potefta patria praticataſi nei tempi poſteriori, e maf fime fotto gl’Imperatori, ma di quell'affolu to Impero Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma, e che dai Decemviri fu tra-. ſcritto nelle xir. Tavole, come riferiſce Dio-, niſio (a ). Era certamente la Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua famiglia, finanche verſo i pro prj. Figli, fovra di cui il ' Padre eſercitava dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico della vita, e della morte loro (b), eltre dell'arbitraria facoltà di poterli vende re, in manierachè dopo la terza vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno. Or queſto dritto Patrio, che con vera efpref fione Antiq. Rom. lib. 2. Sull' autorità di Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo di legge delle mit. Tavole con quelle parole: ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM, DANDIQUE POTE STAS EI ESTO. SI PATER FILIVM TER VENVM DUIT, FILIUS A PATRE LIBER ESTO: altro capa delle? fione da Valerio Massimo e da Quintiliano venne detto Patria Majeſtas, fu eſerci tato dai Romani non ſolamente dal teropo della promulgazione delle XII. Tavole, ma fin da’ pri ra, delle xir. Tavole riferito da Ulpiano. E Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator (inc tende di ROMOLO) omuem ur breviter dicam, pour teſtatem patri dedit in filium, idque toto vitae tem pore, five in carcerem eum detrudere; five fla gris caedere, five vinctum ablegare ad ruſtica ope five necare libeat, etiamli filius tractet Rempue. blicam, etiamfi Magiftratus gefferit maximos, etiamſi fudii erga Rempublicam laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro roftris favente plebe concionantes in Senatus invidiam, fruenteſque aura populari, detracti e ſuggeſto, abducti ſunt apa tribus, poenas daturi ex ipforum fententia; quos, duin per forum ducerentur, nemo adftantium eripere poterat, non Conſul, non Tribunus, non ipſa turba, cui tuin adulabantur, licet omnem poteſtatem ſua minorem exi ftimans. Taceo, quot viri fortes necati Gnt. a patri bus &c.... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe Legislator Romanus, permifit etiam vendere fi lium.. Majorem largitus poteſtatem patri in filium, quam hero in mancipiuin; lervus eniin ſemel venditus, deinde libertatem adeptus, in poſterum fui juris eſt; fi lius vero a patre venditus, fi liber fieret, rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur; iterum quoque venunda tus, et liberaçus, fervus patris crat tertiam demum yendiționem eximebatur e patris po teſtare et c. Declamat., ut ante? poſt primi tempi di Roma, poichè Ulpiano afferma d'ellerli introdotto moribus, cioè, non per legge ſcritta, ma per antichillimo coftu me Patrio; Dioniſio (6) lo riferiſce ad una legge di Romolo; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge Regia. Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti, coll' affermare d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume; e la ragione ſi è, perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata inſieme col la coſtituzione delle Famiglic medefime, e prima che quefte conveniſſero a formare So cietà Civile, ſicchè troyandofi tal coſtuine già introdotto nello Stato di famiglie, natu ralmente fu conſervato e ritenuto dalle Fa miglie, che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma. In fatti tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti per le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his, qui ſunt fui, vel alieni juris. (b ) Loc. cit. (c ) Collar. leg. Mofaic. tit.).  tichi Scrittori (a ). E ſebbene Triboniano (b ) credette, che folle queſto dritto proprio de' Romani, pure s'inganno, forſe dall' avere of fervato, che ne’tempi, in cui i Romani eſer citarono queſto dritto con aſſoluta poteſtà, e. nel maſſimo ſuo rigore, l'altre Nazioni l'avea. no già raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani, come avvenne altresì presso gli itefli Romani, mallime fotto gl'Im peradori, nella di cui età la poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore. Comunque sia, quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea ftimonianza di tanti Scrittori, che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato da'Romani fin dai primi tempi di Romolo. Qui cade in acconcio di riflettere ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella in atto, che ritornava trion LIZIO Nicomache. Cesare, de bell. Gill. Plutarco in Lucullo Giustiniane Novella Inf. trionfante per la vittoria contro i curiazi. Dionisio fembrami', che racconti il fatto al ſai meglio di LIVIO (si veda), allorchè cinarra l'accuſa, e'l giudizio d'Orazio, in cui non fa men zioné né del Giudizio de' Duum viri, nè dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo, che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio; ma ſemplicemente ci rac conta, che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo, il Padre di Orazio, oltre di aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la minima pena, pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe privativamente alla di lui cognizione, tractandoſi d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli, e che in confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di queſta Cauſa. Ma il Re per una parte credeva anch'egli di doverli af fólann Dionis. Antiquit. Romanarum. Pater contra patrocinabatur filio, acculans filiam, et negans eam dicendam cædem, fed poenam verius, poftulabatque fibi de fuis malis permitçi Judicium ut qui ambo rum effet Pater. 2 • Í folvere ORAZIO (si veda)  io benemerenza della vittoria ed in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in tempo, che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode, ed applauſo per un'opera egregia preſtata alla Pa tria; è molto più à cagione, che il Padre preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già adoluto. Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli emuli, ed inimici d'ORAZIO. Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente di rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo, il quale confermò il giudizio Paterno con affolvere l' accufato Orazio. Un tale rac conto è molto più verifimile di quel; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo; poichè in que' tempi l'Impero Paterno eras Tomo 11. E nel Dionis. Praeſertim patrc quoque ipſum abfolvente, quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar: nel ſuo miglior vigore; nè il Re fenza of fendere le leggi del Patrio Impero potea to gliere il giudizio di queſta Cauſa dallauto gnizione del proprio Padre, e tasferirlo ai Duumviri, e molto meno in ſimili Cauſe era permello al Popolo di prenderne cognizio ne in pegiudizio del dritto Paterno. Ma la contingenza straordinaria d ' eſſerſi mella, la Città in rivolta per queſto fatto, produſela neceflità di ſedarſi il tumulto coll’eſpedien te politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo, e l' Impero privato del Padre dovette cedere alla ragione della pubblica tranquillità. E quindi intendiamo ancora la ragione, per cui Dioniſio riferiſce, che que Ita fu la prima volta, in cui il Popolo preſe cognizione d ' un giudizio Capitale (a), non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il Senato giudicato di delitti capitali, come Pion. lor. cit. Populus autem Romanus tum pri mum capitalis judicii potestatem nactus, comprobavit Patris sententiam Juvenemque abſolvit a cac dis crimine, come ſe prima non foſſero mai accadute con tingenze fimili o fe al Senato, che gode vala ſuprema poteſtà del Governo folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti Capitali; Ma l'eſſere ſtata que. fta la prima volta, in cui eſercitoſli dal Po polo il dritto di giudicare d ' un delitto capitale, deeſi riferire al fatto particolare, di cui ſi trattava, cioè alla poteſtà di giudicare d'un Figlio di Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'impero paterno, a cui privativa mente ne apparteneva la cognizione. Or per tornare al noſtro propoſito diciamo, che fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono, che Romolo infieme coi Re ſucceſſori fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero fat to oſſervazione ſull'Impero Patrio, e familia re praticato da ’ Romani fin dalla fondazione della città, ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di poterſi unire inſieme Monarchia, Civile prello del Re, e Monarchia familiare preſſo i privati cittadini; poichè chi dice Monarchia familiare prello de' privati Citta dini cfclude ogni ombra di Monarchia preſſo E 2 il ma dello il Re; e la ragione ſi è, perchè fe i Padri di famiglia ſenza la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato fteſſo Senato regnante erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia, ſia de ' figli, fia dei fervi, e famoli, come mai poſſiamo figurarci, che tali Monarchi familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile? Chiamaſi Monarchia Civile quello fta TO, in cui tutto l'intero corpo civile in tutte le ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema d'un folo che comanda. Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione nel ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed indipendente nella fua fa miglia, é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca? E come mai poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema, e foggezzione? In tutte le Società Civili, ove regna la Monar chia, non trovaremo mai poteftà familiare in dipendente dal Monarca, perchè l'una eſclu de direttamente l'altra. In fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri altrimenti eſercitarſi, fe non in quelle società civili, che ſiano governate colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no ſolamente può comportare diviſioni di po teſtà pubblica, e privata; pubblica preſso il Ceto degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli ſteſſi rappreſentan ti della Repubblica, i quali ſpiegano la po teſtà pubblica, quando uniti inſieme com pongono l'autorità regnante, e la privata, quando ſeparatamente regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie: Or quanto tal diviſione di poteftà pubblica, e privata è comportabile call' Ariſtocrazia, altrettanto fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza, la quale coſtan temente ci atteſta, che la Monarchia non mai ammette un tale impero paterno nelle famiglie, come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo, che la Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del monarca. Ne poſliamo figurarci, che la poteſtà fa niliare de’Romani foſſe ſtata in qualche ma niera ſubordinata alla poteſtà pubblica; pero E 3 chè 9 come / E ché ſono troppo chiare le teſtimonianze de gli Storici, come abbiam veduto, dalle quali Siamo a ſacurati, che l'Impero Paterno de' Romani in que' tempi avea carattere di po teſtà aſſoluta; ed indipendente; e quando al tro mancaffe il dritto vite e necis, e di vendere i propri figli ci dimoſtra chiaramen te, che non potea eſſere un dritto ſubordina to; poichè i dritti ſubordinati, e dipendenti riconoſcono neceffariamente certi confini, ol tre de' quali non lice di eſercitarli; ma qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita, ch' ċ l'ulti mo termine di ogni poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone, ceſsa ogni ſoſpetto di ſubordinazione; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze degli Storici ſiamo convinti, che l'impero paterno di fatto è esercitato da’Romani senza la minima dipendenza del la poteſtà pubblica. Dunque non abbiam cam po da fuggire da quel dilemma, cioè, che o fi dee ammettere per punto di Storia certa, che quei Padri di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa, e non poſſiamo fingere poteſtà Monarchica Civile; o fe vogliamo nega negare tal poteſtà familiare ai Padri di fami glia, allora ci ſi chiude affatto la ſtrada di fapere la Storia Civile di Roma; perchè fe voglianio mettere in dubbio i punti di Storia confermatici concordemente da tutti gli Scrittori, non ſiamo più in grado di dar fe de a tutto il reſto. Grice: “Unfortunately, Duni, being the elitist he is, spends more time on the monarchy than the republic, and focuses on the concept of ‘citizen.’Ricerca Imperativo categorico concetto della filosofia kantiana L'imperativo categorico è il principio centrale nella filosofia morale di Kant, così come dell'etica deontologica moderna, altrimenti chiamata legge morale.   Immanuel Kant Introdotto nella Fondazione della metafisica dei costumi, potrebbe essere definito come lo standard della razionalità da cui tutte le esigenze morali derivano. Secondo Kant, gl’esseri umani occupano uno speciale posto nella creazione, nella quale la moralità può essere definita come somma ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui ciascun uomo deriva tutte le altre obbligazioni e i doveri. Egli definì un imperativo come una proposizione che dichiara una certa azione (o anche un'omissione) essere necessaria. Mentre la massima è un principiosoggettivo, l'imperativo categorico è invece un principio oggettivo; l'intenzione è poi il fondamento intrinseco della massima. L'etica di Kant si riferisce a massime e ciò a cui attribuisce grande importanza è l'intenzione.  Un imperativo ipotetico costringe all'azione in determinate circostanze: se io desidero dissetarmi devo assolutamente bere qualcosa.  Un imperativo categorico, d'altro canto, denota un'assoluta e incondizionata richiesta: un "devi" incondizionato, che dichiara la sua autorità in qualsiasi circostanza, entrambi necessari e giustificati come un fine in sé stesso. È meglio nota nella sua prima formulazione:  "agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"ma esistono altre due formulazioni dello stesso imperativo categorico:  "agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo." e  "La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da dover essere considerata auto-legislatrice e solo a questo patto sottostà alla legge."[3] Kant espresse estrema insoddisfazione per la cosiddetta filosofia popolare dei suoi tempi, credendo che non avesse potuto mai superare il livello degli imperativi ipotetici: una persona utilitarista direbbe che l'omicidio è sbagliato perché non massimizza il bene per il maggior numero di persone, ma questo è irrilevante per coloro i quali sono interessati solo nel massimizzare risultati positivi solo per sé stessi. Conseguentemente Kant argomentò che i sistemi di morale ipotetici non possono convincere all'azione morale o essere visti come base per giudizi morali verso altri, perché gli imperativi sui quali si basano si rifanno troppo pesantemente a considerazioni soggettive. Egli presentò un sistema di morale deontologica basata sulle richieste degli imperativi categorici come alternativa.  Natura del concetto. Dal punto di vista di Kant un atto morale è un atto che sarebbe giusto per qualsiasi tipo di persona, in circostanze simili a quelle nelle quali un agente si trova nel momento di eseguirlo. La facoltà che ci permette di prendere decisioni morali è chiamata ragion pratica pura, che è in contrasto con la ragion pura (la capacità di conoscere) e la semplice ragion pratica (che ci permette di interagire con il mondo dell'esperienza).  La guida alle azioni determinate dall'imperativo ipotetico ha un uso strumentale: ci dice cosa sia meglio raggiungere per i nostri obiettivi. Non ci dice, in ogni caso, niente circa i fini che dovremmo scegliere. Kant, viceversa, considera il giusto essere antecedente al buono come importanza assoluta; infatti sostiene che il buono raggiunto ha una irrilevanza morale.  La giusta moralità non può essere determinata con riferimento a niente di empirico o sensuale; si può determinare solo a priori, con ragion pratica pura. La ragione, separata dall'esperienza empirica, può determinare il principio secondo il quale tutti gli obiettivi possono essere determinati come morali. È questo principio fondamentale della ragione morale che è conosciuto come imperativo categorico.  La ragion pratica pura, nel determinarlo, determina cosa sarebbe necessario intraprendere senza riferimenti ai fattori contingenti empirici. Questo è il senso in cui la meta etica di Kant è oggettivista piuttosto che soggettivista. Le questioni morali sono determinate indipendentemente dal riferimento al particolare soggetto che viene loro posto.  È per il suo essere determinata dalla ragion pratica pura, piuttosto che dal particolare empirico o dai fattori sensoriali, che la moralità è universalmente valida. Questa morale universale è considerata come un aspetto distintivo della filosofia morale kantiana e ha avuto un grosso impatto sociale sui concetti politicie legali dei diritti umani e dell'uguaglianza sociale.  Libertà ed autonomiaModifica Kant vide l'individuo umano come un essere razionale autocosciente con una scelta di libertà impura. La facoltà di desiderare in base a concetti, nella misura in cui il motivo determinante della sua azione va individuato in lei stessa e non in un oggetto, si chiama facoltà di fare o di non fare a piacimento. In quanto legata alla coscienza della capacità della sua azione in vista della produzione dell'oggetto, essa si chiama arbitrio, mentre se è priva di questo legame, il suo atto si chiama aspirazione. La facoltà di desiderare, il cui motivo determinante interno, quindi anche il gradimento, è da cercare nella ragione del soggetto, si chiama volontà. La volontà è quindi la facoltà di desiderare considerata non tanto (come l'arbitrio) in rapporto all'azione, quanto piuttosto in rapporto al motivo determinante dell'arbitrio in vista dell'azione. Inoltre non ha di per sé in verità alcun motivo determinante, ma, in quanto può determinare l'arbitrio, la volontà è piuttosto la ragione pratica stessa. Nell'ambito della volontà può rientrare l'arbitrio, ma anche la semplice aspirazione, in quanto la ragione può determinare la facoltà di desiderare in generale. L'arbitrio che può essere determinato dalla ragione pura, si chiama libero arbitrio. Quello che si lascia determinare soltanto dall'inclinazione (impulso sensibile, stimulus), sarebbe arbitrio animale (arbitrium brutum). Al contrario l'arbitrio umano è tale da venire sì sollecitato dall'impulso, ma non determinato, e non è dunque puro di per sé (prima di acquisire la prerogativa della ragione), ma può essere determinato ad agire dalla volontà pura.  Immanuel Kant,  Die Metaphysik der Sitten, Metafisica dei costumi, tr. it. cur. di Petrone, Milano, Bompiani)   Per poter considerare una volontà "libera", dobbiamo intenderla capace di influenzare il potere causale senza essere essa stessa causata a fare ciò. Ma l'idea dell'essere di un libero arbitrio "senza legge", vale a dire un volere che agisce senza alcuna struttura causale, è incomprensibile. Dunque, un libero arbitrio dovrebbe agire sotto leggi che esso dà a sé stesso. Sebbene Kant ammise che non vi potesse essere alcun esempio concepibile di esempio di libero arbitrio, perché un qualunque esempio ci mostrerebbe solo come una volontà come ci appare come soggetto alle leggi naturali — in ogni caso argomentò contro il determinismo. Propose che il determinismo fosse inconsistente dal punto di vista logico: il determinista afferma che A ha causato B, e B ha causato C, che A è la vera causa di C.  Applicato al caso della volontà umana, un determinista potrebbe discettare sul fatto che la volontà non ha un potere causale perché qualcos'altro ha causato la volontà di agire come ha fatto. Ma tale argomentazione semplicemente assume cosa si era prefigurato di dimostrare; che la volontà umana non è parte della catena causale.  In secondo luogo Kant sottolinea che il libero arbitrio è intrinsecamente inconoscibile. Poiché dunque anche una persona libera non potrebbe avere la conoscenza della propria libertà, non possiamo usare le nostre sconfitte per trovare una prova del fatto che la libertà esiste o l'assenza di essa. Il mondo osservabile non potrebbe mai contenere un esempio di libertà perché non mostrerebbe mai una 'volontà' come appare a "se stessa", ma solo una 'volontà' che è soggetta alle leggi naturali imposte su di essa. Ma alla nostra coscienza appariamo come liberi: dunque trasse le conclusioni che per l'idea della libertà trascendentale questa sarebbe, libertà come presupposto della domanda "cosa sarebbe necessario che io faccia?".  Questo è ciò che ci dà base sufficiente per definire la responsabilità morale: il razionale e il potere dell'auto-realizzazione dell'individuo, che egli chiama "autonomia morale": «la proprietà che la volontà ha di essere una legge per essa stessa».  Buona volontà, dovere e l'imperativo categoricoModifica Dacché considerazioni dei dettagli fisici dell'azione sono necessariamente legati alle preferenze soggettive di una persona, e potrebbero essere attivate senza l'azione del volere razionale, Kant concluse che le conseguenze che ci si attendeva di un atto sono esse stesse neutrali moralmente, e quindi irrilevanti alle delibere morali. L'unica base oggettiva per un valore morale dovrebbe essere la razionalità della buona volontà, espressa in riconoscimento del dovere morale.  Il dovere è la necessità di agire in rispetto della legge dettata dall'imperativo categorico. Poiché il suo valore morale non scaturisce dalle conseguenze di un atto, la sorgente della sua moralità dovrebbe essere semmai la massima sotto la quale l'atto è eseguito, senza rispettare tutti gli aspetti o le facoltà del desiderio. Un atto può dunque avere un contenuto morale se, e solo se, è eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è sufficiente che l'atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in nome dell'adempimento del dovere.  NoteModifica ^ Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi, Torino, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Orlando L. Carpi, Il problema del rapporto fra virtù e felicità nella filosofia morale di Immanuel Kant, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, Etica Imperativo ipotetico  Imperativo categorico, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Imperativo categorico, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Portale Filosofia: accedi alle voci di Filosofia. Critica della ragion pratica testo filosofico di Immanuel Kant  Imperativo ipotetico termine  Fondazione della metafisica dei costume. Nome compiuto: Emanuele Duni. Duni. Keywords: costume, o sia sistema di dritto [sic] universale,  diritto universale – diritto filosofico -- Vico, filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone e onesto – Cicerone dice la verita, il diritto romano universalisabile --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duso: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale di Romolo e compagnia – scuola di Treviso – filosofia trevisese – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Abstract. Grice: “I was taught, at Corpus, by Hardie, if not earlier, at Clifton, that ‘man’ is the ‘rational animal’. In fact, with Hardie, with spent a tutorial or two on two sort of mutually exclusive claims by Aristotle – or ‘il Lizio,’ as the Italians call him – that either man is the rational animal (zoon logikon), or that man is the political animal (zoon politikon). I was so confused with this, that I contrived a thesis that made them compatible. As I see it, and indeed as Locke saw it in his reflections on Man, Person, and Parrot – Parrot is not a rational animal, nor a political man. Man is. But with Locke, I distinguish between a Man and a Person (homo and persona, in Etrurian). Rationality features in both, but ‘differently distributed.’ Therefore, I conceived this idea that while, IN MAN, rationality is merely an ACCIDENTAL property – since ‘is’ is neutral in any case in a statement like ‘man is a rational animal’ --, IN A PERSON, rationality becomes an ESSENTIAL property. The next question is: ill-will. Socrates said tht we err, morally, because we don’t know. In MY view, a person is FREE to set his own ENDS or GOALS – and it may well be that some other person conceives of this person P1 as of ‘ill-will’ – but it is a characteristic of reason that it operates over pre-rational states – such as self-deception or akrasia – and that a person must be deemed RATIONAL even if the ends he sets for himself do not agree with ours! My colleague D. F. Pears has gone further: In his “Motivated irrationality,” Pears claism that while rationality is an essential property of a person, a person who is irrational does not pose a conceptual paradox, as that of the white raven does!” -- Filosofo trevisese. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “While Duso is right that Hegel makes constitution and freedom analytically connected, the Romans didn’t! -- Grice: “My favourite Duso is his study of Hegel on freedom and the constitution – but Duso, who could have drawn from ‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso dei concetti della politica moderna e riconosciuto per i suoi interventi su Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a Padova. Si laurea con “Hegel interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel su Platone”). Assistente di Storia della filosofia e Professore di Storia della logica. Insegna a Padova. Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È stato membro della redazione delle riviste "Il Centauro" e Laboratorio politico. Membro della Direzione della rivista "Filosofia politica", membro fondatore dell'associazione "Centro di ricerca sul lessico politico europeo", insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral, Adone Brandalise, Nicola Matteucci e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro Inter-Universitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo (CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore. Ha tenuto corsi di Storia della Filosofia politica, di Filosofia politica e di Analisi dei Linguaggi e dei Concetti Politici a Padova. In occasione della sua ultima lezione "ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca padovano sui concetti politici hanno edito in suo onore il volume "Concordia discors”.  Il 27 maggio  l'Universidad Nacional de San Martín gli conferisce la laurea honoris causa per il suo lavoro accademico in quanto "costituisce un fondamento teorico indispensabile per comprendere l'attualità" -- è tra i principali fautori italiani di una riflessione sui concetti del politico, che si inserisce nel solco della Begriffsgeschichte tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei confronti di quest'ultima il gruppo padovano coordinato da D. ha elaborato una originale linea di ricerca caratterizzata in modo duplice dalla filosofia: in primo luogo in quanto i concetti che si affermano e si diffondono con la Rivoluzione francese sono esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle dottrine del ‘contratto’sociale e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma soprattutto perché filosofico è il movimento di pensiero di chi pratica una storia concettuale consistente nell'interrogare e mettere in questione (nel senso dell'elenchos socratico) il concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’, ‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che sono in genere ritenuti ovvii sia nel dibattito intellettuale, sia nella lotta politica. La storia concettuale consiste in questo modo nel comprendere la genesi, la logica e le aporie dei fondamentali concetti politici. "Storia dei concetti" (Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel testo, non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non piuttosto frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità storiografiche discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia interpretativa" (“reflektierte Geschichte”), che indirizza la storia generale o storia del mondo o storia universale (“Weltgeschichte”) alla filosofia, da un punto di vista universale. Quest'uso della “Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione storico-concettuale evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della lessicografia filosofica.   Nella riflessione di Duso, la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro critico della storia concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie emerse, a trovare linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica. In tal modo viene messa in questione la modalità generalmente accettata di pensare la politica, che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla nascita della sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti fondamentali delle nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità del popolo’ e ‘rappresentanza politica’. Il lavoro critico sul concetto ha perciò una sua ricaduta nella messa in questione del dispositivo formale sia della ‘democrazia rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel tentativo di pensare la politica mediante nuove categorie.  Altre opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione e dialettica nella formazione in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e politica Arsenale, Venezia; La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale, Venezia; Il contratto nella politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e pratica del pensiero: Eric Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt” (FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per la storia della filosofia politica modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge); “La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari (Polimetrica, Monza  (disponibile su cirlpge); “La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel (ed. con G. Rametta), Milano, FrancoAngeli); “La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Milano, cirlpge)(Duncker et Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su cirlpge); “Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici” (Carocci, Roma); Sui concetti giuridici e politici della costituzione dell'Europa (ed. con S. Chignola), FrancoAngeli, Milano, Polimetrica, Monza;  Ripensare la costituzione. La questione della pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino Scalone), Polimetrica, Monza, (disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e filosofia politica, (con Sandro Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali (ed. con A. Scalone), Polimetrica, Monza  (disponibile su cirlpge). Santander, Il concetto di ‘libertà’ e costituzione repubblicana nella filosofia politica di Kant, Polimetrica, Monza,  (disponibile su cirlpge) Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi) Libertà e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano,  Parti o partiti? Sul partito politico nella democrazia rappresentativa, in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e agire politico dei governati: un nuovo modo di pensare la democrazia? (A proposito di Rosanvallon, Le bon gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», centropgm.unifi.  libri scaricabili gratuitamente in formato dal sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo. Nello stesso sito sono disponibili inoltre altri saggi dello stesso autore.  Carl Schmitt Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte Roberto Esposito Alessandro Biral Adone Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE: Sito Ufficiale.Ricerca Romolo primo leggendario Re di Roma Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Romolo (disambigua). Romolo Brogi, Carlo - n. 8226 - Certosa di Pavia - Medaglione sullo zoccolo della facciata.jpg Romolo e suo fratello Remo da un fregio del XV secolo, Certosa di Pavia. 1° Re di Roma In carica Predecessorecarica creata  SuccessoreNuma Pompilio NascitaAlba Longa, 24 marzo del 771 a.C. MorteRoma, il 5[5] o il 7 luglio del 716 a.C.[2] Casa realedi Alba Longa DinastiaRe latino-sabini Padre Marte MadreRea Silvia ConsorteErsilia[8] Figli Prima e Avilio Romolo (in latino: Romulus, in greco antico: Ῥωμύλος, Rōmýlos; Alba Longa, – Roma]), gemello di Remo, è il nome della figura leggendaria a cui la tradizione annalisticaattribuiva la fondazione di Roma e delle sue principali istituzioni politiche, nonché il ruolo di primo re della città e l'origine del toponimo. La sua storicità è oggetto di dibattito da parte degli studiosi dall'inizio del XIX secolo, così come l'inizio della tradizione letteraria sulla sua figura.  Di origini latine-Sabine, figlio - a seguito di un rapporto estorto con la forza - del dio Marte e di Rea Silvia,[7]figlia di Numitore, re di Alba Longa,[1] secondo la tradizione fondò Roma tracciandone il confine sacro,[7] il pomerio, il 21 aprile 753 a.C..[10] In tale occasione uccise il fratello gemello Remo, reo di aver varcato in armi il sacro confine [10]: tale fratricidio è stato sovente evocato come segno violento della necessaria unicità del potere regale. Una volta costruita la città sul colle Palatino, egli invitò criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo. Così facendo Romolo popolò cinque dei sette colli di Roma, rapendo poi le donne ai vicini Sabini della città di Cures, così da dare delle mogli ai suoi uomini. Ciò provocò una guerra tra i due popoli, che alla fine si risolse con una pace con i Sabini che poterono insediarsi sul vicino colle del Quirinale con il loro re, Tito Tazio, che condivise con Romolo il potere per cinque anni. Romolo divise il popolo tra coloro che potevano combattere e coloro che non potevano farlo. Scelse 100 tra i più nobili cittadini per formare il Senato, tanto che i loro discendenti andranno a costituire l'élite nobiliare della Repubblica. Romolo istituì anche i comizi curiati, a cui spettava il compito di ratificare, tra le altre cose, le leggi. Romolo condusse, quindi, diverse guerre di conquista. A lui risale la divisione della popolazione patrizia nelle 3 tribù di Tities, Ramnes e Luceres - a loro volta suddivise in dieci curie ciascuna - le quali dovevano in caso di pericolo fornire all'esercito romano un contingente militare costituito da cento fanti e dieci cavalieri, per un totale complessivo di 3 000 fanti e 300 cavalieri. Dopo aver regnato per poco più di 37 anni, Romolo, secondo la leggenda, fu rapito in cielo durante una tempesta. Secondo i suoi stessi desideri, una volta morto fu divinizzato nella figura di Quirino, dio sabino venerato sul Quirinale. Leggenda Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Romolo e Remo. Origini familiariModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Enea, Alba Longa, Rea Silvia e Marte (divinità). Secondo la leggenda Romolo e Remo erano figli di Marte e di Rea Silvia, sacerdotessa vestale figlia del re di Alba Longa, Numitore, diretto discendente di Enea.[4] Romolo era quindi per parte materna di stirpe reale albana. Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico, astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone (l'autore del De lingua Latina), aveva calcolato il giorno esatto in cui i due gemelli furono concepiti (24 giugno del 772 a.C.) e nacquero (24 marzo del 771 a.C.).[1][16]  Dopo la fuga da Troia, Enea giunge nel Lazio e viene accolto dal re Latino, che gli fa conoscere sua figlia Lavinia. Enea se ne innamora, ma la fanciulla era già promessa a Turno, re dei Rutuli.[4] Il padre di Lavinia ascolta le intenzioni di Enea ma temendo una vendetta da parte di Turno si oppone ai suoi desideri. La disputa per la mano della fanciulla diventa una guerra, a cui partecipano le varie popolazioni italiche, compresi Etruschi e Volsci; Enea si allea con le popolazioni di origine greca stanziate nella città di Pallante sul Palatino, regno dell'arcade Evandro e di suo figlio Pallante. La guerra è molto sanguinosa (subito muore Pallante ucciso da Turno), e per evitare ulteriori vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno dovrà risolversi in un combattimento tra i due "comandanti" e pretendenti. Enea ha il sopravvento, sposa Lavinia e fonda la città di Lavinium (l'odierna Pratica di Mare).[4]Ben diversa la versione di Livio nei capitoli 1 e 2 del I libro della sua "Ab Urbe Condita" (il titolo è traducibile dal latino con "dalla Fondazione di Roma"). I Troiani nel loro peregrinare arrivano nell'agro Laurente e dopo uno scontro Enea addiviene a un patto d'alleanza con il re Latino e ne sposa la figlia, Lavinia, e fonda la città di Lavinio dal nome della moglie. Dal loro matrimonio nasce Ascanio.[4] Turno, re dei Rutuli, a cui era stata promessa in sposa Lavinia, dichiara guerra ai Latini, come si chiamano le genti del luogo dopo il patto. I Latini hanno la meglio ma Enea muore combattendo.  Infanzia ed adolescenzaModifica  Romolo e Remo allattati dalla Lupa dipinto di Rubens, ca.1616, Roma, Musei capitolini  La lupa, Romolo e Remo, nella monetazione romana del II secolo a.C.. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lupercale. Dopo trent'anni, Ascanio (detto anche Iulo) fonda una nuova città, Alba Longa,[18] sulla quale regnano i suoi discendenti. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio,[18] che ne costringe la figlia Rea Silvia a diventare vestale e a fare quindi voto di castità.[4][19] Tuttavia il dio Marte s'invaghisce della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo.[20] Il re Amulio ordina l'uccisione dei gemelli, ma il servo incaricato di eseguire l'assassinio non ne trova il coraggio e li abbandona alla corrente del fiume Tevere. La cesta nella quale i gemelli sono stati adagiati si arena sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus,[22] dove si trovava il fico ruminale.[6] Qui i due vengono trovati e allevati da una lupa (probabilmente una prostituta, all'epoca chiamata anche lupa, di cui si ritrova oggi traccia nella parola lupanare) e da un picchio (animale sacro per i Latini) che li protegge, entrambi animali sacri ad Ares.[23] Li trova poi il pastore Faustolo (porcaro di Amulio) che insieme alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi figli. Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno Numitore. Fondazione di RomaModifica  Roma attorno all'anno della sua fondazione, nel 753 a.C. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma, Roma quadrata, Roma antica e Septimontium. Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare almeno fino a quando fosse stato in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remoria e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:  «Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[27] Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.»  (Livio, Garzanti, trad. Reverdito) Regno Rex (Roma antica) e Lex regia. Plutarco narra che una volta seppellito il fratello Remo, morto nello scontro che precedette la fondazione della città, Romolo fece venire dall'Etruria esperti di leggi e testi sacri che gli spiegassero ogni aspetto del rituale da attuare. Fu scavata una fossa circolare attorno al Comizio e deposte offerte votive per ottenere il favore degli Dei. Romolo però aveva bisogno di più abitanti per popolare la nuova città, e così accolse pastori latini ed etruschi, alcuni anche d'oltre mare, Frigi affluiti sotto la guida del suo avo Enea, oltre ad Arcadi arrivati sotto quella di Evandro. Dopo la fondazione Romolo riunì uomini errabondi, indicò loro come luogo di asilo il territorio compreso tra la sommità del Palatino e il Campidoglio e dichiarò cittadini tutti coloro dei vicini villaggi che si rifugiassero lì. (Strabone, Geografia) Ogni abitante portò una piccola zolla di terreno e la gettò, mischiata alle altre, nella fossa chiamata mundus, che costituiva proprio il centro della città. Fu poi tracciato il solco primigenius tutto intorno alla città, i cui confini ne rappresentavano il pomerium, racchiuso all'interno delle mura "sacre. Quindi Romolo chiese al popolo quale forma di governo volesse per la città appena fondata, e questo rispose che avrebbe accettato Romolo come proprio re. Ma Romolo accettò la nomina solo dopo aver preso gli auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un lampo che balenò da sinistra verso destra. Dal ratto delle Sabine alle guerre di conquista nel Latium vetus Lo stesso argomento in dettaglio: Storia delle campagne dell'esercito romano in età regia e Latium vetus. Romolo, divenuto unico re di Roma, decise per prima cosa di fortificare la nuova città, offrendo sacrifici agli dèi secondo il rito albano e dei Greci in onore di Ercole, così com'erano stati istituiti da Evandro; successivamente dotò la città del suo primo sistema di leggi e si circondò di 12 littori. Con il tempo Roma andò ingrandendosi, tanto da apparire secondo Livio "così potente da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Erano le donne che scarseggiavano.Questa grandezza era destinata a durare una sola generazione se i Romani non avessero trovato sufficienti mogli con cui procreare nuovi figli per la città, nonostante Romolo avesse proibito di esporre tutti i figli maschi e la prima tra le figlie, tranne che fossero nati con delle malformazioni. Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e favorire l'unione di nuovi matrimoni. All'ambasceria non fu dato ascolto da parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un simile potere.»  (Livio, Ab Urbe condita libri)  L'intercessione delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du Louvre. La gioventù romana non la prese di buon grado, tanto che la soluzione che andò prospettandosi fu quella di usare la forza. Romolo, infatti, decise di dissimulare il proprio risentimento e di allestire dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre, che chiama Consualia (secondo Floro erano dei ludi equestri) e che si celebravano ancora al tempo di Strabone.[4] Quindi ordinò ai suoi di invitare allo spettacolo i popoli vicini: dai Ceninensi, agli Antemnati, Crustumini e Sabini, questi ultimi stanziati sul vicino colle Quirinale. L'obiettivo era quello di compiere un gigantesco rapimento delle loro donne proprio nel mezzo dello spettacolo. Arrivò moltissima gente, con figli e consorti, anche per il desiderio di vedere la città nuova. Quando arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati sui giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti. Livio, Ab Urbe condita libri) Terminato lo spettacolo i genitori delle fanciulle scapparono, accusando i Romani di aver violato il patto di ospitalità. Romolo riuscì a placare gli animi delle fanciulle e, con l'andare del tempo, sembra che l'ira delle ragazze andò affievolendosi grazie alle attenzioni ed alla passione con cui i Romani le trattarono nei giorni successivi. Anche Romolo trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome era Ersilia. Da lei il fondatore della città, ebbe una figlia, di nome Prima ed un figlio, di nome Avilio.Tutto ciò diede origine ad una serie di guerre successive. Dei popoli che avevano subito l'affronto furono i soli Ceninensi ad invadere i territori romani, ma furono battuti dalle schiere ordinate dei Romani. Il comandante nemico, un certo Acrone fu ucciso in duello dallo stesso Romolo, che ne spogliò il cadavere e offrì gli spolia opima a Giove Feretrio, fondando sul Campidoglio il primo tempio romano. Eliminato il comandante nemico, Romolo si diresse contro la loro città che cadde al primo assalto, trasferendone, poi, la cittadinanza a Roma e conferendole pari diritti a quelli dei Romani. Gli stessi Fasti trionfali celebrano per l'anno 752/751 a.C.: «Romolo, figlio di Marte, re, trionfò sul popolo dei Ceninensi, calende di marzo. (Fasti trionfali, 2 anni dalla fondazione di RomaFasti Triumphales: Roman Triumphs.) Tale evento era, invece, avvenuto secondo Plutarco, basandosi su quanto raccontato a sua volta da Fabio Pittore, solo tre mesi dopo la fondazione di Roma (nel luglio del 753 a.C.). Dopo la vittoria sui Ceninensi fu la volta degli Antemnati. La loro città fu presa d'assalto ed occupata, portando Romolo a celebrare una seconda ovatio. Ancora i Fasti trionfali ricordano sempre per l'anno.: Romolo, figlio di Marte, re, trionfò per la seconda volta sugli abitanti di Antemnae(Antemnates).»  (Fasti trionfali, 2 anni dalla fondazione di RomaFasti Triumphales : Roman Triumphs.) Rimaneva solo la città dei Crustumini, la cui resistenza durò ancora meno dei loro alleati. Portate a termine le operazioni militari, il nuovo re di Roma dispose che venissero inviati nei nuovi territori conquistati alcuni coloni, i quali andarono a popolare soprattutto la città di Crustumerium, che, rispetto alle altre, possedeva terreni più fertili. Contemporaneamente molte persone dei popoli sottomessi, in particolar modo i genitori ed i parenti delle donne rapite, vennero a stabilirsi a Roma. Il Latium vetus con le città elencate in questo capitolo di Caenina, Antemnae, Crustumerium, Medullia, Fidenae e Veio. L'ultimo attacco portato a Roma fu quello dei Sabini del Quirinale, nel corso del quale si racconta della vergine vestale, Tarpeia, figlia del comandante della rocca Spurio Tarpeio, la quale fu corrotta con dell'oro (i bracciali che vedeva rilucere alle braccia dei Sabini) da Tito Tazio e fece entrare nella cittadella fortificata sul Campidoglio un drappello di armati con l'inganno. L'occupazione dei Sabini della rocca, portò i due eserciti a schierarsi ai piedi dei due colli (Palatino e Campidoglio), dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano, mentre i capi di entrambi gli schieramenti incitavano i propri soldati alla lotta: Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo cadde nel corso della battaglia che poco dopo si scatenò, costringendo le schiere romane a ripiegare presso la vecchia porta del Palatino. Romolo, invocando Giove e promettendo allo stesso in caso di vittoria un tempio a lui dedicato (nel Foro romano), si lanciò nel mezzo della battaglia riuscendo a contrattaccare e ad avere la meglio sulle schiere nemiche. Fu in questo momento che le donne sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono in mezzo alla battaglia per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte supplicavano i mariti [i Romani] e dall'altra i padri [i Sabini]. Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. Livio, Ab Urbe condita libri) Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo. Plutarco, Vita di Romolo) Con questo gesto entrambi gli schieramenti si fermarono e decisero di collaborare, stipulando un trattato di pace, varando l'unione tra i due popoli con comunanza di potere e cittadinanza, associando i due regni (quello di Romolo e Tito Tazio), lasciando che la città dove ora era trasferito tutto il potere decisionale continuasse a chiamarsi Roma, anche se tutti i Romani furono chiamati Curiti (in ricordo della patria natia di Tito Tazio, che era Cures) per venire incontro ai Sabini. Contemporaneamente il vicino lago nei pressi dell'attuale Foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius, mentre il luogo in cui si conclusero gli accordi tra le due popolazioni, fu chiamato Comitium, che deriva da comire per esprimere l'azione di incontrarsi. Qualche anno dopo Tazio fu ucciso a Lavinium e Romolo, che non reagì al fatto con alcuna azione militare, rimase unico regnante della città.Successivamente Romolo riuscì prima a conquistare Medullia, poi a battere Fidenae installandovi 2.500 coloni, a farsi amici ed alleati i prisci Latini, a battere gli abitanti di Cameria (sedici anni dopo la fondazione) ed infine sconfiggere la potente città etrusca di Veio, sottraendole i territori dei Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) e delle Saline, in cambio di una tregua della durata di cento anni. Questa fu l'ultima guerra combattuta da Romolo. Istituzioni Romolo, uccisore di Acrone, porta le sue spoglie al tempio di Giove dipinto d’Ingres. Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia, Senato romano, Gentes originarie, Tribù (storia romana) ed Esercito romano. Al regno di Romolo si attribuiscono i primi ordinamenti romani. Sembra, infatti, che per prima cosa organizzò l'esercito, sulla base della popolazione adatta alle armi. Successivamente istituì un'assemblea, formata da 100 Patres, mentre i loro discendenti furono chiamati patrizi, a cui diede il nome nella sua globalità di Senato (Senatus da senex per la loro anzianità). A lui si attribuisce l'istituzione del diritto di asilo, a quanti erano stati banditi o fuggivano dalle città vicine; la circostanza si può ricollegare all'esigenza di popolare la città. Gli si attribuisce anche il fenomeno del patronato dei patrizi nei confronti dei plebei che gli facevano da garanti e protettori in cambio di favori conosciuto anche con il termine clientela. Livio racconta che in seguito alla pace stipulata con i Sabini di Tazio (con il quale regna in assoluta armonia, fino a quando quest'ultimo non è assassinato a Lavinio cinque anni dopo l'inizio del loro regno congiunto), essendo raddoppiata la popolazione, non solo sibieletti altri 100 Patres tra i Sabini, e raddoppiati gli effettivi dell'esercito (ora composto da 6 000 fanti e 600 cavalieri), ma divise anche l'intero popolo in tre tribù: i Ramnes, i Titiesed i Luceres, a loro volta suddivisi in dieci curie ciascuna, attribuendo ad esse i nomi di trenta donne. Plutarco racconta che i due re, Romolo e Tazio, non tennero un consiglio comune tra loro, ma ognuno deliberava prima separatamente con i propri 100 Patres, e poi si radunavano tutti insieme in uno stesso luogo per deliberare. Plutarco racconta che Romolo, inorgoglitosi dei successi conseguiti contro tutte le popolazioni limitrofe alla città di Roma, con grande arroganza abbandonò la precedente tendenza democratica, per sposare un modello di monarchia assoluta, opprimente ed intollerabile. Egli indossava un mantello purpureo e una toga bordata di porpora, dava udienza su di un trono, attorniato da alcuni giovani, chiamati celeres (una forma di guardia del corpo reale da lui creata), ed era preceduto da alcuni littori, che respingevano la folla con dei bastoni a difesa del rex. In effetti si tratterebbe di un'istituzione già presente nelle città etrusche, dalla quali fu probabilmente ripresa ed introdotta in Roma in epoca storica.  Si racconta, inoltre, che, quando il nonno Numitore morì, a Romolo spettasse il governo della città di Alba Longa, ma egli preferì affidarne l'amministrazione al popolo, attraverso un suo magistrato che eleggeva annualmente, e così insegnò anche ai cittadini più potenti di Roma a desiderare di vivere in una città senza un rex, autonoma. Infatti a Roma, da quando Romolo aveva mutato il suo atteggiamento da democratico a dispotico, i cosiddetti patrizi, pur partecipando alla vita pubblica, portavano solo un "titolo" onorifico ed un prestigio apparente, riunendosi in Senato più per abitudine che per esprimere un parere. Di fatto tutti si limitavano ad obbedire agli ordini di Romolo, avendo un unico privilegio: quello di essere informati per primi sulle decisioni de re, rispetto alla moltitudine. Plutarco aggiunge che Romolo coprì di ridicolo il Senato, distribuendo personalmente ai soldati la terra conquistata in guerra e restituendo gli ostaggi ai Veienti, senza aver preventivamente consultato ed ottenuto l'assenso da parte dei senatori. Prime forme di diritto privato romano Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto romano. A Romolo si fa tradizionalmente risalire l'introduzione della proprietà terriera privata a Roma, con l'atto, legato alla fondazione della città, di attribuire ad ogni gens un heredium di terra, che sarebbe poi passato in proprietà agli eredi. Romolo stabilì anche una legge secondo la quale una moglie non potesse lasciare il marito. Al contrario la donna poteva essere ripudiata se tentava di avvelenare i figli, di sostituire le chiavi di casa o in caso di adulterio. Nel caso in cui fosse stata ripudiata per altri motivi, il marito era tenuto a versarle una quota del suo patrimonio e ad offrirne una seconda al tempio di Demetra. Chi ripudiava la propria moglie era, infine, tenuto a sacrificare agli dei Inferi.Curioso che Romolo non stabilì alcuna pena contro i parricidi, ma definì parricidio tutte le forme di omicidio, come se il parricidio fosse un delitto impossibile da compiersi. Festività e riti sacri Lo stesso argomento in dettaglio: Religione romana, Festività romane e Mitologia romana. Sabini e Romani, una volta uniti sotto Tazio e Romolo, parteciparono alle rispettive feste e riti sacri, senza eliminare nessuno di quelli che ciascun popolo aveva fino a quel momento celebrato singolarmente. Al contrario ne istituirono di nuovi, come i Matronalia, i Carmentalia ed i Lupercali.Romolo decise di accogliere i rituali dedicati ad Ercole, unico tra i riti non romani da lui accettati,e sempre a lui (o al suo successore, Numa Pompilio) è inoltre attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la creazione delle vergini sacre a sua custodia, chiamate Vestali.Calendario romuleo Lostesso argomento in dettaglio: Calendario romano. La tradizione afferma che Romolo avrebbe istituito per primo il Calendario romano (un calendario lunare con inizio alla luna piena di marzo, costituito da 10 mesi - 6 mesi di 30 giorni e 4 mesi di 31 giorni, per un totale di 304 giorni; i restanti 61 giorni di inverno non venivano assegnati ad alcun mese). Va altresì segnalato che altri storici come Eutropio, sostengono possa essere stato il suo successore Numa Pompilio. Questo fu un argomento molto dibattuto dagli storici del tempo (da Livio a Dionigi d'Alicarnasso o Plutarco) poiché alcuni di loro affermavano trattarsi di un calendario piuttosto disordinato, dove i mesi variavano da 20 giorni a 35 giorni.  Morte, sepoltura e deificazioneModifica Dopo trentotto anni di regno, secondo la tradizione (all'età di cinquantaquattro anni), Romolo venne assunto in cielo durante una tempesta ed un'eclissi, avvolto da una nube, mentre passava in rassegna l'esercito e parlava alle truppe vicino alla Palus Caprae in Campo Marzio. L'improvvisa scomparsa del loro fondatore fece sì che i Romani lo proclamassero dio (con il nome di Quirino, in onore del quale fu edificato un tempio sul colle, chiamato in seguito Quirinale), figlio di un dio (Marte), re e pater (padre) di Roma. Ancora ai tempi di Plutarco si celebravano molti riti nel giorno della sua scomparsa.  Sembra anche che, per dare maggiore credibilità all'accaduto, la tradizione racconta che riapparve al suo vecchio compagno albano Proculo Giulio, il più antico personaggio noto appartenente alla gens Iulia. Stamattina o Quiriti, verso l'alba, Romolo, padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell'arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane. LIVIO (si veda), Ab Urbe condita libri) L'evidente somiglianza delle tradizioni, ha indotto alcuni storici a ritenere che questo racconto abbia ispirato quello relativo alla risurrezione di Gesù. Nella probabile realtà storica, invece, il primo re di Roma sarebbe morto assassinato dai Patres durante una seduta del consiglio regio al Volcanal (ovvero il tempio di Efesto nel Foro romano). Si racconta infatti che, a causa delle continue limitazioni che aveva posto al Senato, organo divenuto più che altro di facciata ad una forma di monarchia sempre più "assoluta", soprattutto dopo la morte di Tito Tazio, caddero sui suoi membri sospetti e calunnie. Il suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente smembrato dai senatori, "a causa del suo carattere troppo duro" e le sue parti (divise tra gli stessi membri del Senato) sepolte nelle varie aree componenti il territorio della città.  Dietro la leggenda: la realtà storico-archeologicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Populi albensese Gentes originarie. La reale esistenza di Romolo è stata lungamente discussa, ma secondo lo storico Theodor Mommsen sarebbe comprovata dalla presenza tra le gentes originarie di Roma (di cui parla Livio) della gens Romilia, nota da iscrizioni, che è stata identificata con il clan familiare dei discendenti di Romolo, e che diede anche il proprio nome ad una delle più antiche Tribù territoriali. Se ne ha conferma da una glossa di Festo (la 331 nell'epitome di Paolo Diacono, edita da Lindsay), che riporta appunto l'esistenza di una tribù Romulia. Altri autori ritengono sia una creazione artificiale, fantasiosa quella di Romolo, pur riconoscendo nella stessa figura "leggendaria" la sintesi di elementi topografici, politici e religiosi realmente accaduti, a partire dalla tribù dei Romili oltre alla figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria nei pressi della Roma quadrata(sull'Aventino). Secondo il linguista Carlo de Simone, i nomi di Roma e Romolo sarebbero collegati ed entrambi deriverebbero da un termine ricostruito in ruma, al quale la tradizione romana assegnava il significato di "mammella". Il termine sarebbe di origine etrusca, perché non ne è stato trovato l'etimo indo-europeo (e l'unica lingua non-indoeuropea della zona è appunto l'etrusco. Il termine entra come prestito nel latino arcaico e avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e ad un prenome Rume (in latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco Rumelena, divenuto in latino Romilius. Il Villar, invece, sostiene che il nome Romafosse, molto probabilmente, il nome preindoeuropeo del Tevere trasferito alla città che esso bagnava, come accadeva frequentemente a quel tempo. Secondo altre ipotesi (sempre più smentite dalle campagne archeologiche), i più antichi dei re di Roma sarebbero figure principalmente simboliche (in particolare sembrano complementari i primi due, Romolo e Numa Pompilio, che avrebbero introdotto le massime istituzioni politico-militari e religiose dello stato).  La reale esistenza della figura di Romolo come effettivo fondatore, primo legislatore e re-sacerdote, è stata rivalutata dall'archeologo Andrea Carandini, sulla base di moderni scavi condotti alle pendici del Palatino, che avrebbero portato al rinvenimento dell'area corrispondente alla vera Regia di Romolo, nonché dell'antico tracciato del pomerio. Ivi sono stati rinvenuti reperti fittili, resti di una palizzata e di un muro in tufo (derubricato come «muro di Romolo») databili con certezza, circostanza che darebbe conferma anche dell'esattezza cronologica delle fonti storiografiche latine sull'epoca della fondazione di Roma e della consistenza del suo rito di fondazione. Inoltre, sulla base di una fonte letteraria, la scoperta del sito del lapis niger  fu associata all'ipotesi di un possibile sito della tomba di Romolo o di un arcaico luogo di culto a lui dedicato. A possibile conferma di quanto sopra, nella zona sottostante alla scalinata di accesso alla Curia è stato rinvenuto un cenotafio ipogeo databile al VI secolo a.c. dedicato al suo culto, contenente un sarcofago della lunghezza di circa m 1,50, che alcuni studiosi hanno ipotizzato possa essere stata la sua tomba, mentre altri hanno escluso tale possibilità. Va osservato tuttavia che la lunghezza del sarcofago, (corrispondente in modo abbastanza preciso alla statura media degli uomini di quell'epoca) farebbe pensare ad una funzione di inumazione di un corpo integro, non delle sue parti. Antenati Genitori Nonni Bisnonni Dio Giove Dio Saturno Dea Opi Dio Marte Dea Giunone Dio Saturno Dea Opi Romolo Numitore Proca Rea Silvia Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Strabone, Geografia,  Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab Urbe condita libri, Marcone, Livio, Ab Urbe condita libri,  Plutarco, Vita di Romolo, Strabone, Geografia, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo. Sia Livio (Ab Urbe condita libri), sia Ovidio (I Fasti) narrano di una migrazione dalla città greca di Argo, guidata da Evandro ^ a b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Varrone, De lingua latina, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.10. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, AE Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Carandini, Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Varrone, De re rustica, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita. Plutarco, Vita di Romolo. O è ucciso. Appiano di Alessandria, Storia romana (Appiano), Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo; Guerri, Antistoria degli italiani, Milano, Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco, Vita di Romolo, Paul. Fest.: Romulia tribus dicta, quod ex eo agro censebantur, quem Romulus ceperat ex Veientibus. Plutarco, Vita di Romolo, Piganiol, Simone. "Considerazioni sul nome di Romolo". In Carandini, Carafa (cur.), "Palatium e Sacra via" I. Bollettino di Archeologia, Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione sull'architrave della tomba 35 della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a Orvieto. Iscrizione: Mi Velthurus Rumelnas. Villar Carandini, Marcone, Marcone, Il "sepolcro di Romolo" scoperto nel Foro Romano, su storicang.it. Foro romano, Russo: "L'ipogeo scoperto non è la tomba di Romolo", su rainews.it, Appiano, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), libri III e IV (Versione in inglese disponibile qui). Diodoro Siculo, Bibliotheca historica. Testo originale Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. Eutropio, Breviarium historiae romanae (testo latino). Fasti triumphales. (Testo in latino: AE Versione in inglesei). Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC (testo latino), Liber I. (Versione in inglese). Livio, Ab Urbe condita libri (testo latino); Periochae (testo latino) Wikisource-logo.svg. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia (testo latino). Plutarco, Romolo. Strabone, Geografia Γεωγραφικά (Versione in inglesei). Varrone, De lingua Latina. Fonti storiografiche moderne, Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Roma in Italia, Milano, Einaudi, Briquel, Romulus jumeau et roi. Realite d'une legende, Les Belles Lettres, Paris,  Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna, Pàtron, Carandini (cur.), La leggenda di Roma I Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città, Mondadori, Milano, Carandini (cur.), La leggenda di Roma II Dal ratto delle donne al regno di Romolo e Tito Tazio, Mondadori, Milano, Carandini, Roma il primo giorno, Roma-Bari, Laterza, Connolly, Greece and Rome at War, Londra, Greenhill, Fraschetti, Romolo, il fondatore, Roma-Bari, Laterza, Gabba, Dionigi e la storia di Roma arcaica, Bari, Edipuglia, Matyszak, Chronicle of the roman republic: the rulers of ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra et New York, Thames and Hudson, 2Marcone, I popoli dell'Italia antica e le origini di Roma, in G. Geraci e A. Marcone, Storia romana, Firenze, Mondadori Education, Mommsen, Storia di Roma antica, Firenze, Sansoni, Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano, Rusconi, Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, Il Saggiatore, Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa, Il Mulino, Romolo e Remo Fondazione di Roma Gentes originarie Gens Romilia Rex (storia romana) Età regia di Roma lex regia Flamini Romolo Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Mitologia Età regia di Roma periodo monarchico della città di Roma, Battaglia del lago Curzio Storia delle campagne dell'esercito romano in età regia storia delle campagne dell'esercito romano. Grice: “I consider myself, like Rawls, a contractualist – my steps towards a quasi-contractualism, are formulated elsewhere.” Grice: “I should not be confused with Grice – a FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you may run. Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’ is aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for ‘I may’. ‘Can’ is of course a solecism!”. Nome compiuto: Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords: Plato-Hegel, Aristotle-Kant – Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto sociale – democrazia – repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele – Contratto nel diritto romano – aporia della rappresentazione – concetto di politica, concetto di soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di liberta – la filosofia politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo rivoluzionario del risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto – aporia del concetto --  Welsh philosopher Geoffrey Russell Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo aussiliare, puo, posso, possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti la sale) e deontica (puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract, pact, compact. Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics, politics, meta-politics. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library.

 

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