Luigi
Speranza -- Grice e Damocle: la ragione
conversazionale e la spada e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide,
a Pythagorean. Grice: “Not to the confused with the infamous one with the
sword.” Damocle.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Damocle,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Damone: la ragione conversazionale all’isola con Fintia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A Pythagorean. According to Giamblico di Calcide,
when Dionisio di Siracusa condemns D.’s friend, Fintia di Siracusa, to death,
Fintia asks for time to arrange his affairs, saying D. will stand hostage for
him while he is away. Dionisio is amazed when D. agrees to the arrangement, and
even more amazed when Fintia duly returns at the end of the day to accept his
punishment. Dionisio is so impressed that pardons Fintia, and asked the pair
join their sect – but they turned him down. Damone. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Damone,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Damostrato: la ragione conversazionale e i paradossi dei
filosofi -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. D., or Demostrato. Roman senator. A historian as well
as an authority on fish and fishing. Said to be, like Grice, particularly
interested in paradoxes and is regarded by some other philosophers as a
philosopher. Demostrato.
Damostrato. Keyword: paradox. Luigi Speranza, “Grice e Damostrato: le paradossi
dei filosofi” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Luigi
Speranza -- Grice e Damotage: la ragione conversazionale e diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice:
“In the old days, surnames were not felt to be necessary; but then, with a
first name (if not Christian) like ‘Damotage’ – would YOU care?”. Luigi
Speranza, “Grice e Damotage” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Dalmasso:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della giustizia nel
discorso – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filoofo
lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Dalmasso is what at
Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La
passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of
‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are
symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration
from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e
Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie
(Jaca Book). Comments
on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e
della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono
rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente,
di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del
vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi
(duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La
passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la
verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore,
soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. Hegel
e l’Aufhebung del SEGNO. L'implicatura del noi duale. L’intreccio fra sapere
e ragione Il tema della filosofia di D. riguarda la domanda originaria.
Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin dall’inizio
della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo e di dominio
dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su sé stessi che
si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali e
più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’interiorità nella sofistica e in Platone, l’anima
(animatum) ha funzionato come principio originario in una forma diversa
che il dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie
non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il noein come conoscenza
e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista
tutto il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero
tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita
come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo stesso “nous,”
cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o atto che
sia). Grice e D. scelgono di leggere Bradley e Hegel. Scelta motivata
da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente, dall’attualità
di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni sull’assetto
moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo -- di tale sapere.
Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è comunque
per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che sono in grado
di formulare una domanda originaria. Il testo, di cui Bradley
propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dalla “Psicologia razionale”della Filosofia dello Spirito contenuta
nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza dell’“antropologia”,
in cui due anime sono considerate come l’aspetto immediato della
vita dello spirito (le due anime considerate come il sonno dello spirito,
problemi del rapporto delle due anime con I due corpori, questioni del
sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia non è scienza
delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due anime, cioè
scienza veramente tale, nella sua portata concettuale. Per Bradley e
Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto quella
scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina
scientiarum, la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and
dispositions”. La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle
leggi delle anime o psichai, ma del movimento generativo delle leggi
delle anime o delle psichai. I testi che sono oggetto del commento di
Bradley sono, come Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare
Bradley fa qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale
nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti
di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel
nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti,
di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma intersoggetiva. ll
problema del rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito
sulla scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a
dipanarsi nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura
in cui è determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito, “insofern ist endlich,” nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e — che è la stessa
cosa — perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente.
A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità o “Realität” di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci era invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo (“Entwicklung”) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e
l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio,
il Quando e il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è
soltanto la co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni,
bensì, in quanto tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro” d’AGOSTINO.
Anche la nozione, classica, di “re-praesentatum,” il rappresentato, entra,
ricompresa e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo
dell’intelligenza. La nozione di “memoria,” come stato
temporario totale, è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura classica,
come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo. L’intelligenza
è la potenza che domina sulla riserva di immagini e IL RAPPRESENTATO che
le appartengono. Essa è quindi congiunzione e sussunzione libera di
questa riserva sotto il contenuto peculiare. L’intelligenza si ricorda
ed interiorizza in modo determinato entro quella riserva, e la plasma
immaginativamente secondo questo suo contenuto. Essa è quindi fantasia,
immaginazione SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o poetante. Questa
formazione immaginativa più o meno concrete, più o meno individualizzate,
e ancora delle sintesi nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto
inter-soggettivo conferisce un esserci a IL RAPPRESENTATO, proviene
dal trovato, “dem Gefundenen,” dell’intuizione. Passività, evidenza,
sorpresa di fonte al darsi originario delle cose riguarda perciò per
Hegel un movimento che ha come suo elemento lo scenario dell’inte-rsoggetività.
Il trovato dell’intuizione, incontro, evidenza, accoglienza della
realtà è pensabile in un registro che è già una traduzione, un ‘trans-latum.”
È nel registro di una traduzione (“trans-latum”) che nel percorso di questo
testo di Hegel, di una traduzione (trans-latum) del fuori nel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando l’intelligenza,
in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza trovata
entro sé, cioè la determina come un “universale”, ecco allora che la sua attività
razionale procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen Punkte,” a determinare
come essente ciò che in essa si è sviluppato in auto-intuizione concreta,
procede cioè a rendere se stessa essere, cosa, il reale. L’intelligenza
stessa così si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Quando è attiva
in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca, “aussernd,”
produce, “produzierend,” intuizione. E fantasia che si esprime in un
“SEGNO” -- “ZIECHEN machende Phantasie,” token-making fantasy – fantasia
che fa SEGNO, fantasia che SEGNA.—L’intelligenza e fantasia che SIGNI-fica. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime. Una anima, A, SEGNA, l’altra, B, passivamente CAPISCE. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una ri-formulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “SEGNO” (ZEICHEN – inglese ‘TOKEN’ --, la fantasia che fa SEGNO,
la fantasia che SEGNA –SIGNI-FICA), scienza e realtà, attraverso e al di là
della dialettica fra il positivo e il negativo, fra i soggetti e la
verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il suo atto. Esistere
non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi, ma è l’atto in
cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si rapporta a se
stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’universale e
l’essere, il proprio e il trovato, l’interno e l’esterno – cf. Bradley,
relazione interna, relazione esterna -- sono perfettamente unificati. Le
sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo ecc., sono unificazioni
del medesimo momento, tuttavia si tratta pur sempre di sintesi. Solo
nella fantasia l’intelligenza non è più come il POZZO indeterminato
e come l’universale, bensì è come singolare, cioè come inter-soggettività
CONCRETA nella quale l’relazione è determinata sia come essere sia
come universale.L’intelligenza è inte-rsoggettività concreta solo nella
fantasia con-divisa. Tale questione è chiarita dal seguito della stessa
Anmerkung. Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del proprio e dell’interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determina a verità anche il contenuto. Nell’ “Anmerkung”
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è inter-soggettivamente intuitiva, mentre è NEL SEGNO
(ZEICHEN, inglese‘token’) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità – “eigentliche Anschaulichkeit.” Nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’essere. L’immagine
solo nel “SEGNO” (Zeichen, token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente
è coglibile come “SEGNO” (Zeichen, token), non come dato, come dono. Dato e
dono non sono pensabili. Ma neppure sperimentabili nella forma della
presenza, cioè in un darsi -- che, in termini hegeliani, è la materia
dell’intuizione. Essi sono già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza,
cioè come un SEGNO (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico
della conoscenza è IL SEGNO (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella
struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro
sovrasta e spiazza nella forma di IL SEGNO (Zeichen, token), non nella forma
del dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una RA-PRESENTAZIONE
-- rappresentazione autonoma -- “selb-ständiger Vorstellung,” e di
una intuizione, la materia dell’intuizione è certo innanzitutto un
qualcosa di accolto, di immediato e di dato – “ein aufgenommenes,
etwas unmittelbares oder gegebenes” -- per esempio il colore della
coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione non ha il valore
di RA-PRESENTARE -- rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’IMMAGINE che
ha ricevuto entro sé una RA-PRESENTAZIONE -- rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, IL SUO SEGNATO. Questa
intuizione è il SEGNO (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui IL SEGNO (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale -- “gegebenes und raumliches” -- una volta IMPIEGATA COME
SEGNO (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò
la figura più autentica dell’intuizione, che è un SEGNO (Zeichen,
token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare -- “Verschwinden”
-- dell’esserci mentre l’esser ci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il
tono, “Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione – CO-MUNIO. In questo ambito il
“tono” conferisce a una sensazione, una intuizione e un rappresentato
un *secondo* (duale) esserci, più
elevato dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa – che RA-PRESENTA.
Questo progetto hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore
radicale approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione,
in quanto funzionante come SEGNO (Zeichen, token), riceve la determinazione
essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa – “ZU EINEM ZEICHEN
GEBRAUCHT WIRD, DIE WESENTLICHE BESTIMMUNG NUR ALS AUF-GEHOBENE ZU ZEIN. In questo
esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da due soggetti se non nella
forma del dopo, un dileguare dell’esserci mentre esserci è. Quell’altro
intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra il dentro e
il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato. Il tono, visto in rapporto
ad una rappresentazione determinata, è il discorso --“Rede”, inglese
‘Read’ -- e il sistema del discorso è la lingua -- Sprache, inglese
‘Speak’ -- e la communicazione – COM-MUNIO. A questo punto del suo percorso
la strategia di Hegel si incontra con il privilegio greco e platonico
accordato all’espressione, IL VERBUM – LA LOQUENZA -- la parola, al logos
in quanto vivente pronunciato, DETTO -- dictum – cf. indice, segnalato,
segnato. Come nel “Cratilo” di Platone, anche in Hegel l’espressione come SEGNO
è centrale nella vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa
il luogo di un movimento originario ed imprendibile. Per un commento
critico ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia» nella sezione
sullo «Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne le fonti di Hegel
e la saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito» e il «gioco del
concetto». Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo
nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini e Associati. Uso la recente
traduzione di Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio, Milano, Rusconi) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. “Hegel e l’Aufhebung del segno.” L’intreccio
fra sapere e ragione Il tema di questo colloquio riguarda la domanda
originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin
dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo
e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su
sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali
e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’«interiorità» nella Sofistica e in Platone, l’anima
ha funzionato come principio originario in una forma diversa che il
dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie non solo
immediate e speculari, il logos, il noein come conoscenza e misura
di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista tutto
il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero tardo-antico,
a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita come il luogo e il
venire a coscienza del rapporto con lo stesso nous, cioè con il formularsi
dell’originario (Uno, Bene o Atto che sia). Scelgo di leggere
Hegel. Scelta motivata da miei interessi attuali di ricerca, ma
anche, più ampiamente, dall’attualità di un linguaggio che è in grado di
riformulare questioni sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto
di tale sapere. Su un io, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo dell’anima. Sapere su di un io è comunque per
Hegel un sapere sulle strutture di un chi, che è in grado di formulare
una domanda originaria. Il testo, di cui intendo proporre alcune
note essenziali di commento, riguarda i paragrafi della “Psicologia”,
sezione della “Filosofia dello Spirito” contenuta nella edizione
dell’ “Enciclopedia.” A differenza dell’ “Antropologia”, in cui l’anima
è considerata come l’aspetto immediato della vita dello spirito
(anima considerata come il sonno dello spirito, problemi del rapporto
dell’anima con il corpo, questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni
ecc.), la Psicologia non è scienza dell’anima, ma scienza del sapere
intorno all’anima, cioè scienza veramente tale, nella sua portata
concettuale. Per Hegel scienza – “Wissenschaft” -- ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia, è scienza
sempre di secondo grado: scienza che controlla e che ha come oggetto la
sua stessa genesi. Scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente speculare, in cui la conoscenza si costituisce.
Così, nel caso del testo che stiamo per commentare, i contenuti della
psicologia hegeliana sono curiosamente tutti diversi da quelli che
nell’assetto della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si
aspetterebbe da una psicologia in senso moderno e scientifico. La
psicologia non è scienza delle leggi della psiche, ma del movimento generativo
delle leggi della psiche. I testi che sono oggetto del mio commento
sono, come è noto, estremamente difficili. Prima di cominciare vorrei
fare qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale nella
lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti di
vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”,
nel nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per gli studenti.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, autore e lettore. Questioni, dette altrimenti, di sintonizzarsi
con il testo che, per quanto riguarda il metodo di lavoro di Hegel, non
può essere altro che ripercorrere l’elemento generativo del significato
di ciò che Hegel dice. Senza di questo incessante ripercorrimento a livello
della genesi del testo, il suo significato risulta inevitabilmente
incomprensibile o appiattito. Appiattito come su di una superficie,
in modo che il gioco delle interpretazioni del lettore, anche nel caso
si tratti di studioso molto qualificato, tende spesso a sbizzarrirsi
in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere ideologico-metafisico.
Il minimo comun denominatore è la perdita del nesso fra il significato
di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo di tale significato..
Così si può separare perfino il concetto di negativo dal concetto
di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo incomprensibili
entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente, anzi malessere
spesso diffuso anche nei commenti «professionali». Iniziamo la
lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva. ll problema del
rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito sulla
scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a dipanarsi
nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura in cui è
determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito (insofern ist endlich) nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e, che è la stessa
cosa, perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente
. A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità – “Realität” -- di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci è invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo – “Entwicklung” -- nella misura in cui la sua
esistenza, il sapere, ha entro se stessa l’essere, determinato in sé
e per sé, cioè ha per contenuto, “Gehalte”, e per fine, “Zweck -- il razionale.
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione
è dunque puramente e soltanto il passaggio formale nella manifestazione
e, in questa, è ritorno entro sé – “Rückkehr in sich.” Nella misura
in cui il sapere, affetto dalla sua prima determinatezza, è soltanto
astratto, cioè formale, la meta dello spirito è quella di produrre il
riempimento oggettivo – “die objective Erfüllung hervorzubringen”
-- e quindi, a un tempo, la libertà del suo sapere. La via della psicologia
come scienza della libertà In questo testo il movimento del sapere e il
suo saperne si articola come questione della conoscenza dell’originario.
Tale questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà.
L’avventura dello spirito che, hegelianamente, è sempre un appropriarsi,
un far proprio, qui, e secondo la radicalità della sua struttura, funziona
come appropriarsi del sapere e coincide con l’avventura della
libertà. Il cammino dello spirito consiste pertanto: nell’essere
spirito teoretico, cioè nell’avere a che fare con il Razionale nella
sua determinatezza immediata, e di porlo adesso come il Suo; in altre
parole: il cammino consiste innanzi tutto nel liberare il sapere
dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere soggettiva
la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e per sé determinato
come sapere entro sé, e poiché la determinatezza è posta come la sua,
quindi come intelligenza libera, il sapere è volontà, spirito
pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso formale: ha un contenuto
che è soltanto il suo: esso vuole immediatamente, e adesso libera la
sua determinazione di volontà dalla soggettività che la condizionava
come forma unilaterale del proprio contenuto. In tal modo lo spirito
diviene come spirito libero, nel quale è rimossa quella doppia
unilateralità.6 Lo scorcio teorico fornito in questo paragrafo
merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza accennato
alla cornice della Psicologia hegeliana come progetto scientifico:
scienza della psiche che si pone come scienza dei fattori generativi
della psiche. Il percorso dello spirito che si sforza di conoscere
se stesso, che tenta di comprendere l’esperienza della sua libertà, che
nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come storia,
in queste pagine prende la via della psicologia come scienza della
libertà Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi di
sé: la strategia hegeliana implica che l’originario, per il soggetto
e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto di questo
appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e del suo soggetto come etico, pratico, il soggetto del sapere
si dibatte «in una doppia unilateralità»: la rappresentazione che il
soggetto fa di sé come suo e l’immediatezza di tale rappresentazione.
Anticipiamo. La libertà è pensabile come lo spiazzamento in cui il
soggetto del sapere conosce il suo essere fatto, nonostante e attraverso
il suo fare, impossibilitato a cogliere l’identità fra sé e la sua immagine.
Questa divisione e dislivello interno che è l’impossibilità di cogliere
l’origine del proprio costituirsi è per Hegel l’Intelligenza.
Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione e tale dislivello
vanno ad occupare il posto della classica opposizione fra il dentro e
il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità concreta dei
due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. La centralità della parola nella vita dell’intelligenza
Il cammino dell’Intelligenza sta proprio nel battere in breccia l’opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, quando ricorda inizialmente
l’intuizione, pone il contenuto del sentimento nella propria
interiorità, nel suo proprio spazio e nel suo proprio tempo In tal modo il
contenuto è immagine, liberata dalla sua prima immediatezza e
dalla singolarità astratta rispetto ad altro, in quanto essa è accolta
nella singolarità dell’Io in generale. Questo battere in breccia, visto
dal punto di vista dell’intelligenza, è ll’immagine. L’intelligenza
possiede dunque le immagini. L’intelligenza, dice Hegel, è il Quando
e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé transeunte, e l’intelligenza
stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio — il Quando e
il Dove — dell’immagine. L’intelligenza però non è soltanto la
coscienza e l’Esserci delle proprie determinazioni, bensì, in quanto
tale, ne è anche il soggetto e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
POZZO notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di rappresentazione entra, ricompresa e ripensata,
come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di memoria è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura
classica, come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo 456.
L’intelligenza è la potenza che domina sulla riserva di immagini e
rappresentazioni che le appartengono; essa è quindi congiunzione e
sussunzione libera di questa riserva sotto il contenuto peculiare.
L’intelligenza si ricorda ed interiorizza in modo determinato
entro quella riserva, e la plasma immaginativamente secondo questo
suo contenuto: essa è quindi fantasia, immaginazione simbolizzante,
allegorizzante o poetante. Questa formazioni immaginative
più o meno concrete, più o meno individualizzate, sono ancora delle
sintesi nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto soggettivo
conferisce un Esserci alla rappresentazione, proviene dal Trovato
(dem Gefundenen) dell’intuizione.Passività, evidenza, sorpresa di fonte
al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’interiorità. Il trovato dell’intuizione,
incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro
che è già una traduzione. È nel registro di una traduzione che nel percorso
di questo testo di Hegel, di una traduzione del fuorinel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come Universale, ecco allora che
la sua attività razionale procede dal punto attuale (dem nunmehrigen
Punkte) a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato in
autointuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
Cosa. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa Cosa. Quando
è attiva in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca
(aussernd), produce (produzierend) intuizione: è fantasia che si
esprime in segni (Zeichen machende Phantasie). L’intelligenza esiste
in quanto fantasia… Tesi non immediatamente prevedibile nel dispositivo,
intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui pure spinge, con rigorosa
necessità, questa analisi «scientifica» della psiche. Questo testo di
Hegel innesca consapevolmente una polemica ed anche una riformulazione
metodologica radicale nei confronti della tradizione empirista,
dei sensisti, di Condillac e degli ideologues. Attraverso le
scorribande dell’intelligenza fra sapere e segno, scienza e realtà,
attraverso e al di là della dialettica fra il positivo e il negativo,
fra il soggetto e la verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il
suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi,
ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si
rapporta a se stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’Universale
e l’Essere, il Proprio e il Trovato, l’Interno e l’Esterno, sono perfettamente
unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo
ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia si tratta
pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza non è più
come il pozzo indeterminato e come l’Universale, bensì è come Singolare,
cioè come soggettività concreta nella quale l’autorelazione è determinata
sia come Essere sia come Universalità. L’intelligenza è intelligenza
di un individuo, di un singolo, è soggettività concreta solo nella fantasia.
Tale questione è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung:
Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del Proprio e dell’Interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determia a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
breve percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione — e ciò viene espresso dicendo che essa lo
determina come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione
secondo cui l’intelligenza si farebbe essente, si farebbe Cosa. Il
contenuto dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e
lo è altrettanto la determinazione che essa gli conferisce.
L’immagine prodotta dalla fantasia è solo soggettivamente intuitiva,
mentre è nel segno che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità (eigentliche Anschaulichkeit); nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’Essere. L’immagine
solo nel segno è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile
come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili, ma neppure
sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi (che, in termini
hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono già trascritti
nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come segni. L’elemento
imprendibile, enigmatico della conoscenza è il segno e non il dato,
il dono. Nella struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio,
il non mio sovrasta e spiazza nella forma del segno, non nella forma del
dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione
autonoma (selbständiger Vorstellung) e di una intuizione, la materia
dell’intuizione è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato
e di dato (ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes)
(per esempio il colore della coccarda e affini). In questa
identità però l’intuizione non ha il valore di rappresentare positivamente
e di rappresentare se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro.
Essa è un’immagine che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo significato.
Questa intuizione è il segno. L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO. Tale forma ha una struttura che
coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza sembra
funzionare in una deriva di cui il segno costituisce una sorta di cerniera,
snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata. L’intuizione
che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato e di spaziale
(gegebenes und raumliches) una volta impiegata come segno riceve la
determinazione essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa.
Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò la figura più autentica
dell’intuizione, che è un SEGNO, è di essere un Esserci nel tempo: un
dileguare (Verschwinden) dell’Esserci mentre l’esserci è.
Inoltre, secondo la sua ulteriore determinatezza esteriore, psichica,
la figura più vera dell’intuizione è un essere-posta dall’intelligenza,
esser-posta che viene fuori dalla naturalità propria (antropologica) dell’intelligenza
stessa: è il tono (Ton), cioè l’estrinsecazione riempita
dell’interiorità annunciantesi. Il tono che si articola ulteriormente
in vista della RAPPRESENTAZIONE determinata è il discorso, e il sistema
del discorso è la lingua. In questo ambito il tono conferisce a sensazioni,
intuizioni e rappresentazioni un secondo Esserci, più elevato dell’Esserci
immediato: in generale conferisce loro un’esistenza che ha valore
nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto hegeliano
di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale approccio
alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto funzionante
come segno, «riceve la determinazione essenziale di essere soltanto
come intuizione rimossa (zu einem Zeichen gebraucht wird, die wesentliche
Bestimmung nur als aufgehobene zu sein). In questo esser rimosso,
tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da un soggetto se non nella
forma del dopo: «un dileguare dell’Esserci mentre Esserci è».
Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra
il dentro e il fuori si esprime nel tono, suono articolato, “Ton”. Il
tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il discorso
(Rede) e il sistema del discorso è la lingua (Sprache). A questo
punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio
greco e platonico accordato alla parola, al logosin quanto vivente
pronunciato, detto. Come in Platone, anche in Hegel la parola è centrale
nella vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo
di un movimento originario ed imprendibile. Per un commento
critico ed esplicativo dei paragrafi della psicologia nella sezione
sullo spirito soggettivo, anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e
la saggistica relativa, cfr. Rossella Bonito Oliva, La «magia dello
spirito» e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia
dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini
e Associati. Uso la recente traduzione di Vincenzo Cicero (Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, ed. 1830, Milano, Rusconi)
che ritengo puntuale ed avvertita delle questioni poste dal testo, nonostante
la discutibilità di alcune soluzioni su cui per altro pesa in certa misura
la resistenza ad abbandonare traduzioni familiari e consolidate.
Anmerkung. Anmerkung. Grice: “There’s something
otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” –
Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems
natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio
Nicholls – aka as something else. Nome compiuto: Gianfranco Dalmasso. Keywords:
la giustizia nel discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen
Machen, to sign versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo,
Hegel on Zeichen, zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie”
-- “l’implicatura del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dalmasso”, per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Dandolo: la
ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale della Roma pagana,
filosofia romana – Carneade e compagnia – scuola di Varese – filosofia varesese
– filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo
varesese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Varese, Lombardia. Grice: “I
love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not
a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he
philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely
‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo
e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo
il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica,
dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del
Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi
un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta"
e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando
per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto
con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato
dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti,
e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere
perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la
sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad
un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due
figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre
operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della
rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella
di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio
muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che
tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua
comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di
documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù
Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent:
corrispondenze di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza
d'Enrico e d'Emilio D., Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua
attività fu Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da
scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto
arruffati. Né di quelli che scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti
quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece due opere buone, un
figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli vendicatori delle
oche; e un altro figliolo che scrisse la storia, e direi quasi la vita della
Legione Lombarda capitanata da Manara, libro di senno virile e d'affetto pio.”
I suoi saggi trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia
all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli religiosi. Molti di
essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano descrizioni di viaggi,
città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla storia romana antica,
alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento, pubblicando
anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo critico,
mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza del
passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro. In alcuni
predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile;
trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza
di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli” (Milano); “Firenze”; “Torino”;
“La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano); “Prospetto della Svizzera,
ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera); “La
Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi
e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo
d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album
storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze
e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici
(Torino); Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla
caduta della Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La
Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo
elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione
dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il
Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi
famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali
(rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il
pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e
cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici;
“Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di
Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e
raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere
famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo,
Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il
secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi
del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio
e prospetto dell'opera, Assisi (estr. da
Stella dell'Umbria); “Ricordi di D.”; “Lettera a D. Sensi. Indice della
materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere
dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie
patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino
dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal
Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate
da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di Maggi, a cura di D.,
A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Guerri,
direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano. Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani,
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA
FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi
pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a
difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro
saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle
difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di
un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed
afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero
digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine
cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re
di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i
romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane,
non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli
i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima
guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e
vedemmo Livio Andronico ha per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di
scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane.
Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino
la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei
della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione
divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di
mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco
sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla
religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del
sistema dell’ORTO loro presenta LUCREZIO. Germi sono questi gettati in terreno
non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere
colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono
in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e
loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii
filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico,
Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati
dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili
investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della
loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno,
incantata di scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati
s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi
di tutta l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi,
che teme vano come pericolosi e disprezzavano come futili. CATONE il censore
ottenne che si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano
opera a distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della
morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di
sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone
plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono
contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido censore non prevede
che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio
approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote
contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di GIULIO CESARE. Non possiamo
trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente
da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica
esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione
del passato e le tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà
divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien dietro la riflessione,
saremo costretti di riconoscere che a rintuzzare il progresso della
filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel
suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio
falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe
muovere accusa al divino, quasi ch'ella con innestare il male nella
conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien
dunque adoperarsi a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose,
non proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle conscii
dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli ateniesi
sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni
pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì
temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del
giusto, il risvegliare in quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per
teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente
cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta
vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo
ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova
dottrina. Ma l'impulso è dato, nè poteva fermarsi. I romani conservarono
impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la
dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare,
quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel
bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, sono
tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale,
dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè
medesima le proprie soddisfazioni. Gl’uni tennero dietro alla filosofia nel suo
esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degl’eserciti sono
i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli
spiriti. L'accademico Antioco è compagno di Lucullo. Catone il censore cede
egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed
assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. SILLA fa trasportare in Roma la
biblioteca d'Apellico di Teo. CATONE d'Utica allorch'è tribuno militare in
Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che Atenodoro, filosofo del Portico, abbandonasse
il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui. Pure gl’spiriti
che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non
trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne
che la filosofia penetra in coteste menti dico come in massa e nel suo insieme.
Ma non s'indentifica col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia è nel
tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze
importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini
cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se
niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza,
piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita
sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti
della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci
appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre
dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri
cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni,
allora suprema. I romani si divisero in sette. Effetto della maniera d'insegnamento
di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte schiavi od
affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento o la loro
preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a' padroni; ond'è
che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua severità o stancasse
colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra più accetta. Tali
sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero non basta ad
affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne cangia le
forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a questi
retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono
derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per
conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono
in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato
da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si
conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva
d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che
da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla
filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la
possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e
considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera
attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini
integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui
vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo
e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto
forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come
chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri
verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino
dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri
alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione,
la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere
sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in
contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e
di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una
naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere,
contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli
inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di
fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo
pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica
ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione
pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che
ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli
platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo
furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone,
a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per
l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone
Uticense. “Non possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de
Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer
codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM. in
Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della
nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in
fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo
tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era
oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un
bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle
dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse
contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo
stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo
riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti
filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al
modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus,
intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca
cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu
cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza
plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine
faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il
bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità
che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili
pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è
riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di
che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo
rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella
comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel
vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e
d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle
più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co'
vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi
adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la
pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere
le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare
premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la
penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza. All'Anima, egli
scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in
sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In
cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di
pensiero, valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare
il presente? Prerogative divine sono queste, nè troveresti mai da chi sieno
state agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di
certa quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i
corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive;
divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità
stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come
libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno
moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a
Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera
stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un
creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore
non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così
ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle
operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I
discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro
nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono,
negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel
suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di
più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del
mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza
ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne
freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo
delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle
strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon.
dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate
maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti,
ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra
costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia,
all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi
vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente
comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno
sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza
divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la
faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità
d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie,
nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E
l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e
accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda; e ad ora ad ora pegli
spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal
freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e
gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco.
stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per
entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso.
Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a
questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e
della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la
terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è
conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna,
che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii
del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui
riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora
postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura; talora nell'ombra della terra
s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che
denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso
modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora cessa;
spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene
dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la
reciproca giacitura, che si poterono ad esse applicar nomi di determinate
figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano
intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là
fortuitamente? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione
sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali,
senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di
comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo
d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di
felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole
metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia
di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio;
argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata
e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto
consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle
leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato
fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica
sanzione dell'umana giustizia. u Fondamento primo d'ogni legislazione,
egli scrive, sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto
arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che
cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito
pratica il culto; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli
animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del
vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella
religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse,
onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata
miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un
argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la
credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme
eloquenza. Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii, ossia de'
doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I
Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni;
le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita,
perchè sovraccaricate di vane disputazioni, oppurtune più spesso a trastullare
l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in
questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla
più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone (scrive-
a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato di
luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti
opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti
meditazioni. Ma Cicerone non possede lo spirito speculativo che si richiede a
poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze: il tempo venivagli
meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari.
Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel
tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti
politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a
sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare
tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de'
caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era
poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla
natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell'
umano consorzio. La situazione politica in cui M. Tullio si trovò
collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali
ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare
la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e
delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti
generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente
l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà.
Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano
raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i
pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con
accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o
per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo
modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici
insegnamenti. Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M.
Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente
dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente
che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia?
Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice?
Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio
cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!”
Ricerca Mitologia romana narrazioni mitologiche dell'antica Roma La mitologia
romana riguarda le narrazioni mitologiche della civiltà legata all'antica Roma,
e può essere suddivisa in tre parti: Periodo repubblicano: nata nei primi
anni della storia di Roma, si distingueva nettamente dalla tradizione greca ed
etrusca, soprattutto per quanto riguarda le modalità dei riti. Periodo
imperiale classico: spesso molto letteraria, consiste in estese adozioni della
mitologia greca ed etrusca. Periodo tardo-imperiale: consiste nell'assunzione
di molte divinità di origine orientale, tra le quali il Mitra persiano,
sincretizzato nel culto del Sol Invictus. Il mito di Romolo e Remo Natura
dei primi miti romaniModifica È possibile affermare che i primi romani avessero
miti. Detta in altro modo: finché i loro poeti non entrarono in contatto con
gli antichi greci verso la fine della Repubblica, i romani non ebbero storie
sulle loro divinità paragonabili al mito dei Titani o alla seduzione di Zeus da
parte di Era, ma ebbero miti propri come quelli di Marte e di Fauno. A
quell'epoca i romani già avevano: un sistema di rituali ed una gerarchia
sacerdotale ben definiti; un insieme molto ricco di leggende storiche sulla
fondazione e sviluppo della loro città che avevano per protagonisti degli umani
ma vedevano anche interventi divini. Prima mitologia sulle divinitàModifica Il
modello romano comportò un modo molto diverso di definire il concetto di
divinità rispetto a quello greco che ci è noto. Per esempio se avessimo chiesto
ad un antico greco chi fosse Demetra, avrebbe probabilmente risposto
raccontando la famosa leggenda del suo folle dolore per il rapimento della
figlia Persefone da parte di Ade. Al contrario un romano antico avrebbe
risposto che Cerere aveva un sacerdote ufficiale chiamato flamine, che era più
giovane dei flamini di Giove, Marte e Quirino (la Triade arcaica), ma più
anziano dei flamini di Flora e Pomona. Avrebbe anche potuto dire che era
inserita in una triade con altre due divinità agresti, Libero e Libera e
avrebbe anche potuto elencare tutte le divinità minori con funzioni specifiche
che la assistevano: Sarritor (il sarchiatore), Messor (il mietitore), Convector
(il carrista), Conditor (il magazziniere), Insitor (il seminatore) e altri
ancora. Così la mitologia romana arcaica, almeno per quello che riguardava gli
dei, era costituita non da storie, ma piuttosto da complesse interrelazioni
reciproche tra dei e uomini e all'interno della sfera umana, dall'una parte, e
della sfera divina dall'altra. La religione originaria dei primi romani
venne modificata in periodi successivi dall'aggiunta di numerose e conflittuali
credenze e dall'assimilazione di gran parte della mitologia greca. Quel poco
che sappiamo della religione romana arcaica lo conosciamo non attraverso fonti
contemporanee, ma grazie a scrittori tardi che cercarono di salvare le antiche
tradizioni dall'abbandono in cui erano cadute, come lo studioso del I secolo
a.C. Marco Terenzio Varrone. Altri scrittori classici, come il poeta Ovidio nei
suoi Fasti, furono fortemente influenzati dai modelli ellenistici e nei loro
lavori impiegarono spesso miti greci per riempire i vuoti della tradizione
romana. Prima mitologia sulla "storia" romanaModifica In
contrasto con la scarsità di materiale narrativo arrivatoci sugli dei, i Romani
avevano una ricca fornitura di leggende quasi storiche sulla fondazione e sulle
prime fasi dello sviluppo della loro città. I primi re di Roma come Romolo e
Numa avevano una natura quasi interamente mitica ed il materiale leggendario
può estendersi fino ai racconti della prima repubblica. In aggiunta a queste
tradizioni in gran parte indigene, fin dai tempi antichi materiale tratto da
leggende eroiche greche venne inserito in questo blocco originario, facendo
diventare, ad esempio, Enea un antenato di Romolo e Remo. L'Eneide e i primi
libri di Livio sono le migliori fonti esistenti per questa mitologia
umana. Divinità romaneModifica Ulteriori informazioni Si propone di
dividere questa pagina in due, creandone un'altra intitolata Divinità romane.
Dèi greci e romaniModifica La pratica rituale romana dei sacerdoti ufficiali
distingueva nettamente due classi di dèi, gli dèi indigeni (di indigetes) e i
nuovi dèi (di novensiles). Gli dei indigeni erano gli dèi originari dello
stato romano e i loro nomi e la loro natura erano rivelati dai titoli degli
antichi sacerdoti e dalle feste fissate sul calendario; trenta dèi di questo
tipo erano onorati con feste speciali. I nuovi dèi erano divinità più
tardi i cui culti vennero introdotti nella città in periodi storici, di solito
in una data conosciuta e in risposta a una specifica crisi o a una determinata
necessità. Le divinità romane arcaiche includevano, oltre agli dèi
indigeni, un insieme di dèi cosiddetti specialisti i cui nomi venivano invocati
nel corso di diverse attività, come la mietitura. Frammenti di antichi rituali
che accompagnano tali azioni come l'aratura o la semina rivelano che in ogni
fase delle operazioni veniva invocata una divinità specifica, il cui nome
derivava sempre dal verbo che identificava l'operazione stessa. Tali divinità
possono essere raggruppate sotto la definizione generale di dei assistenti o
ausiliari, che venivano invocati a fianco delle divinità più grandi. Il culto
romano arcaico, più che essere politeista, credeva a molte essenze di tipo
divino: degli esseri invocati i fedeli non conoscevano molto più che il nome e
le funzioni e il numen di questi esseri, ossia il loro potere, si manifestava
in modi altamente specializzati. Il carattere degli dèi indigeni e le
loro feste mostrano che i Romani arcaici non solo erano membri di una comunità
agreste, ma amavano anche combattere ed erano spesso impegnati in guerre. Gli
dei rappresentavano chiaramente le necessità pratiche della vita quotidiana,
secondo le esigenze della comunità romana a cui appartenevano. I loro riti
venivano celebrati scrupolosamente con offerte ritenute adatte. Così Giano e
Vesta custodivano la porta e il focolare, i Lari proteggevano i campi e la
casa, Pale il pascolo, Saturno la semina, Cerere la crescita del grano, Pomona
i frutti, Consus e Opi la mietitura. Tavola illustrata degli Acta
Eruditorum raffigurante divinità romane Anche Giove supremo, il signore degli
dèi, era onorato perché recasse assistenza alle fattorie e ai vigneti. In una
accezione più vasta egli era considerato, grazie all'arma del fulmine, il
direttore delle attività umane e, per mezzo del suo dominio incontrastato, il
protettore dei Romani durante le campagne militari oltre i confini della loro
comunità. Rilevanti nei tempi arcaici furono gli dei Marte e Quirino, che
venivano spesso identificati. Marte era il dio dei giovani e specialmente dei
soldati; veniva onorato a marzo e a ottobre. Gli studiosi moderni ritengono che
Quirino fosse il protettore della comunità in armi. A capo del pantheon
originario vi era la triade composta da Giove, Marte e Quirino (i cui tre
sacerdoti, o flamini, appartenevano all'ordine più elevato), insieme a Giano e
Vesta. Questi dèi nei tempi arcaici avevano una individualità molto ridotta e
le loro storie personali non conoscevano matrimoni e genealogie. Diversamente
dagli dei Greci, si riteneva che non agissero come i mortali e così non
esistono molti racconti sulle loro imprese. Questo culto arcaico era associato
a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, che si credeva avesse avuto come
consorte e consigliera la dea romana delle fontane e del parto, Egeria, spesso
considerata una ninfa nelle fonti letterarie successive. Tuttavia, nuovi
elementi vengono aggiunti in un periodo relativamente tardo. Alla casa reale
dei Tarquini la leggenda ascrive l'introduzione della grande triade capitolina
di Giove, Giunone e Minerva, che occupò il primo posto nella religione romana.
Altre aggiunte furono il culto di Diana sull'Aventino e l'introduzione dei
libri sibillini, profezie di storia mondiale, che, secondo la leggenda, vennero
acquistate da Tarquinio alla fine del VI secolo a.C. dalla Sibilla
cumana. Divinità straniereModifica L'assorbimento degli dèi dei popoli
vicini avvenne quando lo stato romano conquistò il territorio circostante. I
Romani generalmente garantivano agli dèi locali dei territori conquistati gli
stessi onori degli dèi caratteristici dello stato romano. In molti casi le
divinità di recente acquisizione venivano formalmente invitate a trasferire la
propria dimora nei nuovi santuari di Roma. L’oggetto di culto rappresentante
Cibele venne trasferito da Pessinos in Frigia e accolto con le dovute cerimonie
a Roma. Inoltre, lo sviluppo della città attraeva stranieri, a cui era
consentito mantenere il culto dei propri dèi. In questo modo Mitra giunse a
Roma e la sua popolarità tra le legioni ne fece diffondere il culto fino in
Britannia. Oltre a Castore e Polluce, gli insediamenti greci in Italia, una
volta conquistati, sembra che abbiano introdotto nel pantheon romano Diana,
Minerva, Ercole, Venere e altre divinità di rango inferiore, alcune delle quali
erano divinità italiche, altre derivavano originariamente dalla cultura della
Magna Grecia. Le divinità romane importanti venivano alla fine identificate con
gli dei e le dee greche che erano più antropomorfiche e assumevano molti dei
loro attributi e miti. Principali divinità romane Animali Lupo Picchio
Sirena Strige Dèi e dee Abbondanza:
personificazione dell'abbondanza e della prosperità nonché la custode della
cornucopia Abeona: protettrice delle partenze, dei figli che lasciano per la
prima volta la casa dei genitori o che muovono i loro primi passi. Adeona:
protettrice del ritorno, in particolare di quello dei figli verso casa dei
genitori. Aequitas: l'origine, il principio ispiratore di matrice divina, del
diritto. Aeracura: dea ctonia e della fertilità Aesculanus: divinità romana
protettrice dei mercanti e preposta alla coniazione delle monete Aio Locuzio:
dio dell'avvertimento misterioso, avvisò Roma dell'invasione dei Galli
Alemonia: dea della fertilità per cui le si dedicavano dei sacrifici per avere
figli, ma era anche responsabile della salute del bimbo nel ventre materno. Era
infatti lei che si occupava del suo nutrimento mentre viveva nel corpo della
madre, garantendo quindi altresì la salute del corpo della madre Alma: colei
che portava la vita Angerona: dea del silenzio o dei piaceri, protettrice degli
amori segreti, guaritrice dalle malattie cardiache, dal dolore e dalla
tristezza Angizia: divinità ctonia adorata dai Marsi, dai Peligni e da altri
popoli osco-umbri, associata al culto dei serpenti Anguana: una creatura legata
all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa Anna
Perenna: dea che presiedeva il perpetuo rinnovarsi dell'anno Annona: un'antica
dea italica, dea dell'abbondanza e degli approvvigionamenti Antevorta: dea del
futuro, presiede alla nascita dei bambini quando sono in posizione cefalica
Attis: paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della
dea. Aquilone: dio del vento del nord Aurora: dea dell'aurora Auster: dio del
vento del sud Averna: una dea della morte Bacco: dio della follia, delle feste,
del vino, dell'uva, dell'ebrezza e della vendemmia Barbatus: dio a cui si
rivolgevano i ragazzi non solo perchè facesse crescere copiosa la barba, ma
anche per non tagliarsi quando ci si liberava di essa con una lama piuttosto
affilata Bellona: dea che incarna la guerra Bona Dea: antica divinità laziale,
il cui nome non poteva essere pronunciato, dea della fertilità, della guarigione,
della verginità e delle donne Bonus Eventus: una delle dodici divinità che
presiedevano all'agricoltura e concetto di successo Bubona: dea protettrice dei
buoi Candelifera: dea romana della nascita Caligine: dea della nebbiosa
oscurità primordiale, generò dapprima Caos, poi, Notte, Giorno, Erebo ed Etere
Caos: dio del caos primordiale Cardea: dea della salute, delle soglie e cardini
della porta e delle maniglie, associata anche al vento Carmenta: dea
protettrice della gravidanza e della nascita e patrona delle levatrici Carna:
dea con il compito di proteggere gli organi interni, in particolare dei
bambini, e più in generale di assicurare il benessere fisico all'uomo Cerere:
divinità materna della terra, dell'agricoltura, del grano, della fertilità, dei
raccolti e della carestia Cibele: dea della natura, degli animali e dei luoghi
selvatici. Clementia: dea della clemenza e della giustizia Cloacina: dea
protettrice della Cloaca Maxima, la parte più antica ed importante del sistema
fognario di Roma Concordia: spirito dell'armonia della comunità Conso: divinità
del seme del grano, dei depositi per la sua conservazione, dei granai e degli
approvvigionamenti Cupido: dio dell'amore divino, del desiderio sessuale,
dell'erotismo e della bellezza Cunina: dea della tenerezza, protettrice dei
lattanti, che veniva supplicata a lungo quando il pargolo era insonne e non
faceva dormire, o quando aveva la febbre, o male al pancino Cura: dea della
vita e dell'umanità Dea Tacita: dea degli inferi che personifica il silenzio Devera:
una delle tre divinità che insieme a Pilumnuse Intercidona proteggevano le
ostetriche e le donne in travaglio Diana: dea della Luna, delle selve, degli
animali selvatici, delle giovani fanciulle vergini e della caccia, custode
delle fonti e dei torrenti Disciplina: personificazione della disciplina
Discordia: dea della discordia, del caos e del male Dis Pater: dio del
sottosuolo Domidicus: dio che guida la casa sposa Domizio: dio che installa la
sposa Dria: dea che assicurava un buon flusso esente da dolori nelle
mestruazioni Edulica: dea spesso invocata perché alla madre non mancasse il
latte Edusa: dea che provvedeva a far provare al bambino il desiderio della
semplice acqua Egeria: dea romana delle fontane e del parto Epona: dea dei
cavalli e dei muli Ercole: dio del salvataggio Erebo: dio ancestrale
dell'oscurità, le cui nebbie circondavano il centro della Terra Esculapio: dio
della medicina Etere: dio dell'aria superiore che solo gli dei respirano
Fabulinus: dio che insegna ai bambini a parlare Falacer: dio del Cermalus
(un'altura del Palatino) Fama: personificazione della voce pubblica Fascinus:
incarnazione del divino fallo Fauno: dio dei pascoli, delle selve, delle
foreste, della natura, dei campi, dell'agricoltura, della campagna e della
pastorizia Favonio: dio del vento dell'ovest Febo o Apollo: dio del Sole, delle
arti, della musica, della profezia, della poesia, delle arti mediche, delle
pestilenze e della scienza Fecunditas: dea della fertilità Felicitas: divinità
dell'abbondanza, della ricchezza e del successo, presiedeva alla buona sorte
Ferentina: dea dell'acqua e della fertilità Feronia: una dea romana della
fertilità di origine italica, protettrice dei boschi e delle messi, celebrata
dai malati e dagli schiavi riusciti a liberarsi Febris: dea della Febbre,
associata alla guarigione dalla malaria Fides: personificazione della lealtà
Flora: dea della primavera e dei fiori Fontus o Fons: dio delle fonti Fornace:
dea del forno in cui si cuoce il pane Fortuna: dea del caso e del destino Furie:
personificazioni femminili della vendetta Furrina: dea delle acque Giano: dio
dei bivi, delle scelte, dell'inizio e della fine Giorno: dea del giorno Giove:
re degli dei, dio del fulmine e del tuono Giunone: regina degli dei, dea della
donne e del matrimonio Giustizia: personificazione della giustizia Giuturna:
dea dei corsi d'acqua dolce del Lazio Insitor: dio della protezione della
semina e degli innesti Inuus: dio del rapporto sessuale Iride: dea
dell'arcobaleno e messaggera degli dei Iuventas: dea della giovinezza
Jugatinus: dio che unisce la coppia in matrimonio Lari: spiriti protettori
degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon
andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale Laverna:
protettrice dei ladri e degli impostori Levana: dea protettrice dei neonati
riconosciuti dal padre Libero (Liber): dio italico della fecondità, del vino e
dei vizi Libertas: divinità romana della libertà Libitina: divinità arcaica
romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti che si tributavano ai morti e
che perciò presiedeva ai funerali Lua: dea a cui erano consacrate le armi dei
nemici sconfitti Lucina: dea del parto, salvaguardava inoltre le donne nel
lavoro Luna: personificazione della Luna Luperco: dio protettore della
fertilità Lympha: dea che influenzava l'approvvigionamento idrico Maia: dea
della fecondità e del risveglio della natura in primavera Mani: anime dei
defunti. Esse talvolta venivano identificate con le divinità dell'oltretomba
Manturna: dea che teneva la sposa a casa Marìca: divinità italica. Ninfa
dell'acqua e delle paludi, era signora degli animali e protettrice dei neonati
e della fecondità Marte: dio della guerra violenta Matres: divinità femminili
dell'abbondanza e della fertilità Mefite: dea delle acque, invocata per la
fertilità dei campi e per la fecondità femminile Mena (21°figlia di Giove): dea
della fertilità e delle mestruazioni Mors: personificazione della morte
Mercurio: messaggero degli dei, dio della velocità, dell'astuzia, delle strade,
del commercio, dei messaggi, dei viaggiatori, dei ladri, dell'eloquenza,
dell'atletica, delle trasformazioni di ogni tipo, della destrezza e della
farmacia, protettore dei messaggeri, dei ladri e dei viaggiatori Minerva: dea
dell'intelligenza, delle tattiche militari, della tessitura e delle arti
casalinghe Mitra (Mithra): dio delle legioni e dei guerrieri Muse: 9 divinità
delle arti Mutuno Tutuno: divinità matrimoniale fallica Nemesi: dea della
vendetta, dell'equilibrio e del castigo Nettuno: dio del mare, dei terremoti,
dei maremoti, delle piogge, del vento marino, delle tempeste e della siccità
Notte: dea della notte Numeria: dea italica della matematica, preposta al conto
dei mesi del parto Nundina: dea che si occupava della purificazione dei nuovi
nati Opi: dea della terra e dispensatrice dell'abbondanza agraria Orco: dio
degli Inferi Ore: dee delle ore Ossilao: dio che si doveva occupare che le ossa
dei bambini crescessero sane e robuste Palatua: dea del Palatino Pale: dio
degli allevatori e del bestiame Partula: dea del parto, che determina la durata
di ogni gravidanza Pax: dea della pace Pavenzia: dea che si occupava di
proteggere i bambini dagli spaventi improvvisi Pellonia: divinità che faceva
scappare i nemici Penati: spiriti protettori di una famiglia e della sua casa
ed anche dello Stato Pertuda: dea che consente la penetrazione sessuale
Picumnus: dio della fertilità, dell'agricoltura, del matrimonio, dei neonati e
dei bambini Pietas: dea del compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato,
delle divinità e della famiglia Pilunno: dio protettore dei neonati nelle case
contro le malefatte di Silvano Plutone: dio della morte e degli inferi Pomona:
dea dei frutti Potina: dea che si occupava di accompagnare il bimbo nello
svezzamento Portuno: dio dei porti e delle porte Postvorta: dea del passato,
presiede la nascita dei bambini quando essi sono in posizione podalica Prema:
dea che tiene la sposa sul letto Priapo: dio della fertilità maschile
Proserpina: dea dei fiori e della primavera Providentia: personificazione
divina dell'abilità di prevedere il futuro Psiche: dea delle anime,
personificazione dell'Anima gemella, ossia l'amore umano e protettrice delle
fanciulle Pudicizia: dea romana della castità coniugale Quirino: dio delle
curie e protettore delle pacifiche attività degli uomini liberi Robigus: dio
romano della ruggine del grano Roma: dea della patria e della città di Roma
Rumina: dea delle donne allattanti Salacia: dea dell'acqua salata e custode
delle profondità dell'oceano Salus: personificazione dello stare bene, della
salute e della prosperità Sanco: dio protettore dei giuramenti Saturno: titano
del tempo e della fertilità Securitas: personificazione della sicurezza
Silvano: dio dei boschi Senectus: dio della vecchiaia Sogno: dio dei sogni
Sole: personificazione del Sole Sol Indiges: antica divinità solare Sol
Invictus: antica divinità solare Somnus: dio del sonno e padre dei sogni
Soranus: dio solare infero Speranza: dea della speranza Statano: divinità che
aiutava i bimbi ad avere forza sulle gambe e quindi a camminare speditamente
Statulino: dio che era accanto ai bambini nel muovere i primi passi perché non
cadessero donandogli la stabilità Sterculo: dio inventore della concimazione
dei campi e degli escrementi Stimula e Sentia: dee che, negli adolescenti,
affinavano i sensi ed i ragionamenti, curandone l’intelligenza ed il
raziocinio, li rendevano consapevoli e gli insegnavano da un lato
l’indipendenza e dall'altro l'onere dei loro doveri Strenia: simbolo del nuovo
anno, di prosperità e buona fortuna Subigus: dio che sottomette la sposa alla
volontà del marito Summano: dio dei tuoni e dei fenomeni atmosferici notturni
Terminus: dio dei confini dei poderi e delle pietre terminali Tellus: dea
romana della Terra e protettrice della fecondità, dei morti e contro i
terremoti Tiberino: dio delle sorgenti e del fiume Tevere Trivia: dea della
magia, degli incroci, degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli
incroci di tre strade ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui
demoni malvagi, sulla notte, sulla Luna, sui fantasmi e sui morti, associata
anche ai cicli lunari rappresentava la Luna calante. Era invocata da chi
praticava la magia nera e la necromanzia Uterina: assistente alla puerpera nel
momento delle doglie che aiutava a superare il dolore delle doglie Vacuna:
patrona del riposo dopo i lavori della campagna. Divinità di ampio utilizzo, ma
soprattutto riconosciuta e invocata per la fertilità, legata alle fonti, alla
caccia, e al riposo Vaticano: dio la cui funzione era assistere i neonati nel
loro primo vagito Veiove: protettore dell'Asylum, il bosco sacro di rifugio che
si trovava nella sella del Campidoglio Venere: dea della bellezza, dell'amore e
del desiderio Verità: dea e personificazione della verità Vertumno: dio della
nozione del mutamento di stagione e presiedeva alla maturazione dei frutti
Vesta: dea del focolare, della casa e del cibo Vica Pota: dea della vittoria e
della conquista Victoria: dea della vittoria e dei giochi Viduus: dio minore,
deputato a separare l'anima dal corpo dopo la morte Virginiensis: dea che
scioglie la cintura della sposa Viriplaca: dea romana che "placa la rabbia
dell'uomo" Virtus: divinità del coraggio e della forza militare, la
personificazione della virtus (virtù, valore) romana Volturno: dio del fiume
Volturno e patrono del vento caldo di sud-est Volupta: personificazione del
piacere sensuale Vulcano: dio del fuoco, della metallurgia e dei vulcani,
protettore dei fabbri Festività Lo stesso argomento in dettaglio: Festività
romane. Consualia Fontinalia Fornacalia Lupercalia Nettunalia Parentalia
Saturnali Primavera sacra Floralia Località -- Averno (lat.Avernus) Campidoglio
Cariddi Lete Palatino Stige (lat.Styx) Personaggi, eroi e demoniModifica Almone
- eroe Anteo - eroe Ascanio - eroe Caca - demone Caco - demone Camene - demoni
Camerte - eroe Caronte - demone Cidone e Clizio - eroi Clauso - eroe Clelia -
eroe Curiazi - eroe Didone - personaggio Egeria - demone Enea - eroe Ercole -
eroe Eurialo e Niso - eroi Evandro - eroe Fauna - demone Fauno - demone Feziali
- eroe Flamini - personaggi Galatea - demone Lamiro e Lamo - eroi Laride e
Timbro - eroi Lavinia - personaggio Lica - eroe Luca - eroe Marica - demone
Messapo - eroe Murrano - eroe Numa Pompilio - eroe Orazi - eroi Pallante - eroe
Pico - demone Pontefice massimo - personaggio Publio Cornelio Scipione Psiche -
personaggio Ramnete - eroe Rea Silvia - personaggio Remo - eroe Reto - soldato
Romolo e Remo - eroi Salii - personaggi Salio - eroe Serrano - eroe Sibilla -
personaggio Tagete - demone Tarquito - eroe Terone - eroe Tirro - personaggio
Turno - eroe Ufente - eroe Umbrone - eroe Venulo - eroe Vestali - personaggi
Volcente - eroe PopoliModifica Aborigeni Equi Latini Marsi Messapi Rutuli
Sabini Troiani Volsci. Ferro e Monteleone, Miti romani. Il racconto, Torino,
Einaudi, 2010. Anna Ferrari, Dizionario di mitologia, Torino, Utet, Voci
correlate Religione romana Sacerdozio (religione romana) Numen Mitologia
Mitologia etrusca Mitologia greca Dodici dei (religione romana) Quirino (divinità).
Portale Antica Roma Portale Letteratura Portale
Mitologia Ultima modifica 5 ore fa di Pulciazzo PAGINE CORRELATE Lista di
divinità lista di un progetto Dèi Consenti dodici dèi principali della
mitologia romana Triade arcaica Wikipedia Il Conte Tullio Dandolo. Tullio
Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di
Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a
Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici ragionati
degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Daniele: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale numismatica – scuola di San
Clemente – filosofia rimenese – filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Clemente). Filosfo
san-clementino. Filosofo riminiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. San
Clemente, Rimini, Emilia-Romagna. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you
are into numismatics, his pet topic!” Figlio
di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali
della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed
Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo
cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali
letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del
Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo,
che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte
le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di
Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da
quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla
Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato
dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo
un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una
dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le
proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della
classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una
collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una
critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote
Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria
napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove
entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica
che era stata di VICO (si veda) e di Assemani. Alla carica era associato un
sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che
gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale
Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di
censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di
sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella
Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove
cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu
coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla
repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica
partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi.
Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione
delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue
cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di
antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio
dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di
Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo
Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una
lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --; “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) –
dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui
passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata
erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio,
e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo
riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’
re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu
estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi,,
quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote
agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua
per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una
pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario
emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in
San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli
edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele
e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di
Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius, Lettere
di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym:
‘Crescenzo Esperti’. Francesco Daniele.
Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma
antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese,
palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia. Numismatica romana studio della monetazione romana Lingua Segui
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sinottico {{Coin image box 1 double}} La numismatica romana studia la
monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Romae dal suo Impero
dalla prime emissioni di monete fuse, delle monete romano-campane sino alla
fine dell'Impero Romano. Articolazione della materiaModifica monetazione
romana repubblicana monetazione imperatoriale monetazione imperiale monetazione
provinciale La monetazione repubblicana comprende monete dalle prime emesse da
Roma sino alla guerra civile. La monetazione imperatoriale comprende
monete emesse nel periodo delle guerre civili, dai vari generali in lotta in
virtù dell'imperium posseduto. Alcuni studiosi non accettano questa categoria
ed includono queste monete in quelle repubblicane. La monetazione
imperiale romana comprende monete emesse dalla nascita del principato fino alla
fine dell'Impero romano. La monetazione provinciale invece tratta di
quelle monete che sono state emesse da colonie ed alleati di Roma. Si tratta
principalmente di monete sussidiarie o di monete emesse dagli imperatori romani
utilizzando tipi che fossero meglio compresi da popolazioni di lingua greca.
Spesso queste monete sono indicate col termine di coloniali. Una volta erano
anche chiamate Greche imperiali. I punti più rilevanti nella monetazione
romana sono l'emissione del denario nel III secolo a.C., l'emissione
dell'antoniniano da parte di Caracalla nonché lo studio del sesterzio vero e
proprio veicolo di propaganda dell'antichità. Sono anche fondamentali le
riforme monetarie di Augusto, Caracalla, Aureliano e Diocleziano.
Classificazione delle monete romane repubblicaneModifica Antonia 1; Syd.
Craw. 364/1b Pompeia 1; Syd.; Craw. 235/1a Per le monete repubblicane uno
dei riferimenti più usati è il testo di Babelon (Description historique et
chronologique des monnaies de la république romaine vulgairement appelées
monnaies consulaires) pubblicato in due volumi nel 1885-1886. Nel testo viene
utilizzata la suddivisione proposta da Eckhel: monete fuse monete
romano-campane monete anonime, senza cioè l'indicazione del magistrato
responsabile dell'emissione monete divise per gens. All'interno della gens le
monete sono catalogate in ordine cronologico. Le monete vengono quindi indicate
con l'indicazione delle gens ed un numero progressivo: ad es. Claudia 6,
Pomponia 1. La Description di Babelon è stata ristampata. Altri lavori
più moderni sono quello di Sydenham e quello di Michael H. Crawford, che
elencano le monete in ordine cronologico. Il lavoro di Crawford è il più
recente sulla monetazione repubblicana. Nell'elenco delle monete il primo
numero indica il monetario mentre il secondo numero indica la singola
moneta. Sydenham, E.A.:
Coinage of the Roman Republic Crawford, Roman Republican Coinage. Quest'ultimo lavoro è considerato il migliore
attualmente esistente Bisogna anche citare due studi particolari:
Campana, La monetazione degli insorti durante la guerra sociale, l'unico studio
approfondito su questo tema, che riporta anche il corpus completo e lo studio
dei coni. Thurlow, B. - Vecchi I.: Italian Aes Grave and Italian Aes Rude,
Signatum, and the Aes Grave of Sicily, sulla monetazione fusa in Italia e
Sicilia. Classificazione delle monete romane imperiatorialiModifica Non
esistono pubblicazioni specifiche che classifichino le monete di questo
periodo. Si usano sia testi sulle monete repubblicane che testi sulle monete
imperiali. Alcuni dei testi sono già stati analizzati per le monete
repubblicane e sono: Babelon, E.: Monnaies de la République Romaine, che
usa la divisione per gens. Sydenham, E.A.: The Coinage of the Roman Republic,
che usa una suddivisione cronologica e si ferma grosso modo al 36 a.C.
Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage. Altri testi, che riguardano anche la
monetazione imperiale sono: Cohen H. Déscription Historique, un testo che
riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le
monete imperiali Roman Imperial Coinage (a cura di Mattingly e Sydenham).
Classificazione delle monete romane imperialiModifica I testi di riferimento
per la monetazione imperiale sono i "Cohen" ed il RIC. Cohen: Déscription Historique
des Monnaie frappées sous L'Empire Romain, comunemént appelées Médailles
Imperiales. Riguarda le monete dell'Impero Romano e
che il più usato per classificare le monete imperiali. Ovviamente ormai molte
delle informazioni contenute sono diventate obsolete. Copre le monete emesse Le
monete sono ordinate prima cronologicamente per Imperatore, poi per l'ordine
alfabetico della scritta al rovescio. Questo ordine, certamente poco
scientifico, comunque permette di identificare abbastanza rapidamente la
moneta. Roman Imperial Coinage, Nove volumi a cura di Mattingly e Sydenham -- è
lo standard di riferimento per le centinaia di libri e cataloghi di collezioni
su questo periodo. Mommsen: Die Geschichte des römische Münzwesen - Berlin Tr. fr.: Histoire
de la monnaie romain. Paris (Ristampa Graz
Ristampa Forni) Burnett: Coinage in the Roman World,London: Seaby,
Sutherland, Roman Coins Harl: Coinage in the Roman Economy Thomsen, Early
Roman Coinage: a Study of the Chronology, 3 voll., Copenaghen, Repubblica Babelon,
Description historique et chronologique des monnaies de la République Romaine
vulgairement appelées monnaies consulaires, 2 voll., Paris, Rollin et Feuardent
(ristampato da Forni). Alberto Banti,
Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione repubblicana, Firenze, Banti editore,
Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Firenze, NIS,
1993. Gian Guido Belloni (a cura di), Le monete romane dell'età repubblicana.
Catalogo delle raccolte numismatiche, Milano, Comune di Milano, Crawford, Roman
Republican Coinage, London, Cambridge, Crawford, Roman Republican Coin Hoards,
London, Royal Numismatic Society, Sydenham, The Coinage of the Roman Republic,
New York (Durst). ImperoModifica Alberto Banti, I grandi bronzi imperiali,
Firenze, Banti, Cohen, Description des Monnaies frappées sous l'Empire Romain,
II ed. Paris, H. Mattingly - E.A.
Sydenham (et al.), Roman Imperial Coinage, Londra, Montenegro, Monete imperiali
romane, Con valutazione e grado di rarità, Torino, Montenegro edizioni
numismatiche, Seaby, Roman Silver Coins, Second edition, 4 voll., London, B.A.
Seaby, 1967-71. David R. Sear, Roman Coins and their Values, Millennium edition,
3 voll., London, Spinx, Monetazione romana Monetazione romana Monetazione fusa
Monetazione romano-campana Monetazione romana repubblicana Monetazione
imperatoriale Monetazione imperiale Monetazione provinciale Monetazione
bizantina Monetazione italiana antica Collegamenti esterniModifica Sito con le
immagini delle monete repubblicane ed imperiali, su wildwinds.com. Introduction
to Roman Coins by The Museum of Antiquities on the University of Saskatchewan,
su usask.ca. Risorse numismatiche on line. Università di Bologna, su
numismatica.unibo. Rassegna degli Strumenti Informatici per lo Studio
dell'Antichità Classica: Fonti numismatiche, su rassegna.unibo.it.
Portale Antica Roma Portale Numismatica Ultima modifica 2
anni fa di Messbot PAGINE CORRELATE Numismatica studio della moneta e della sua
storia Monetazione romana repubblicana monetazione di Roma
repubblicana Roman Imperial Coinage catalogo britannico delle monete
romane di età imperiale Il Daniele. Keywords: implicatura numismatica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dati: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ELEGANTIOLÆ – scuol
di Siena – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Siena, Toscana. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric
as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind,
he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae.
Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata
famiglia senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con
Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e
insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae.
L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per
la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in
elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii
Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”;
“Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto
contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”;
“Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana
traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii
Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono:
“Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus;
“Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” ristampato
“Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato
"il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, Sismel Edizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae”. BOpSTr . JULLgi I et
o=w zxt ri (yauM^ -zn j r J * cm (jflV<3 VSTINI DttTI Senensis Ifagogi? cus
libellus in ELOQUENTIAE PRECEPTA ab JPvnbrea b«= mini ctyriftof eri filium f
eliciter incipit/ 8 Rebimu giam bufeumaplcnfcKviiris i etiam bifertiflimis
perfuafiitum be- v ', t v tvr, mum artem quepiam in bicebo non . ^«,'<$•/ J
nuliam abipifcu y fi veteru fectatu vef 6 tigia/optia fibi quifcp feper ab
imita bum propofueriFTNecj^ eni qui biutius I.M» CICERONE lectione veriatus
fit,n5 m bicebo/et ornatus et copiosus esse poterit. Na et fjorribiora cre=
i,•.»>>brius cofectati l ipfi qucqp anbi ieiuni et inculti fi ant neceffe
eft. 4j Lectitati igitur micfyi CICERONE volumina Cque ELOQUENTE parentem
appellaueri) - j pauca anotatioe bigna vifa fut. iquibus fi vtemur 41
vulctanufermoneaipernati/ab eloquetiamrroxi i s i mius.accebemus/ v PRECEPTVM I
varietati/comutati onio vt ftubeamus/ t d Seb cu ib i primis quirc| abmouebus
fiti quob rfyetor ille biligetittimus et inlignis abmobu orator sabius Quitilianus
be oronis partibus bicere cofueuit.J Meq; eni leges fut oratoru / quaba velu- .
tiiniu.atihj Kceflitdtecoltitute; ncc roaaiignibus < L -v* GI-NEVIEVM; vt
i&cm bicebat)plebifl ve fcitis.Tancta [vt ifta PRECEPTA. feb vti in ftatuis
picturis pozmatibus ccte= rif^ita quocgin exornaba viri eloquentis oratione
plurimum feper roboris ac vcnuftatis r;abuit varietas . &tc$Cquob bici
ibfet) tenenbu cauenbucj illub est antc omni ainears vlla bicebi u fieri poteft
fTe vibeatur. Hec igitur lex prima fit comutafionis varietatiTaj/qua erubitoru
aures nobiffi cile iubicet. ilHoc iajtar iacto fubaireto /per pauca beitfps
fcritan C 7>vnorea amicc fuauilhme qae et fi ron femper^ vt plurimi m tamen
l; is rationitus titi feruar.ba erunt t fcb iam nofiri ialti' tuti ita nafcetur
exorbium. (JBecunbum preceptum be fitu fuppofiti/ verbi etappctti i oratione;
^Jplcrua; enim qui oratorie artis fforibussc faleratis. Vtaiu Ove ibis
ftufccntkotratnu vulgataci gramaticorum confuetubinem bamna= tcsi quob in calce
abiolute orationis locari cofue uitiib illi potms coaptantinicioi quob oir.ne
tibi exemplo erit manifeftms. £cis plena orationer a conltaretribus partitus.
qucb SUPPOSITVMCvteorum ipforum vocabulis vtar)quob verbu/ quob APPOSITVM
vocant. Diciit igitur nramatici {SCIPIONE afiicanus telcu A l.aitf; £gin«ri,
ciwticrie vcro L r h 1 r l eloquii bemines couerfo potius vtuntur orbine. Al-*—
a liarttjacune lcipio africanus &eleuft.illi.'M/r. CICERONE (si veda)
vtitur famuiariter. p4cntulo.no8 vero.'p«le^ *f'**T tulo. CICERONE farmliarir
vtitur. Quib? tf^'J*t-r me exeplis patere arbitror appofitum prirnu 1 owr^V^ *
> tione/fuppofitu mebiul nouiflmuiverolocu ver^^ bu tenere.([Seb et u quib
Cpro graraaticor5 «•*. A; re)poft appofitu fitum eriti ib iitio oratioms poi^J^
L-Scncr^^. ras. Ligurgus conbibit fancttflimas legcs lacebc* *~i awu^yfc.
monis. Lacebemonis fanctillimasIecreB ligursr..^*- <*, e ~3 aus
conbibit.mulfag; cofimili ratione* ~pao„tfi^c, i !*.l.*-«*«_i k igitur pieruncj
principioappomturi hppoiitutnf^/ mebiojline vei bum.vtanopagu folon. fclammuBf™
primu coftituit vbi granwtici bicut j fol5 primus, coltituitanopasum. {[Ceterum
biueriis orttmcv feus i et iocis tollocabe fut partes pro aunum iu*r7 " a
^ fW do j quob quibem folo vfu coparatur ^ a*A PERCEPTUM III be abuerbioru fitu
|*r^ lam vero be abuerbiisC que funt veluti abiecjjftc verb?rum)5id poteft pauW
vbi uia lpci A effeivfei bemu aptius congruere vifa tuerint«mos bo in
principioJmobo in finelmobo intenecta m< ter vti ucg.qua in re biligeti
vtenbuin est conhho Seb prope verfcum frequetius per venuftam rebbunt oratione.
vt fabius maximus ante alios fortiter atcj animofe pugnauit.C.lehus fcipioe
fami hanfume vtebatur. Qementiflimus ceiar l?umiti= teHcjngfcebat. Nunc vero ab
rehqua . {jQuartu preceptum be prepofitionu/et integrarum pferumaj
orationuiteriectioet inter NOMEN SUBSTANTIVVM et abiectiuum; PROPOSITIONES
pcrpulcf;rc intcr fobftafiua at q abiectiua nomina interiiciutur.vt feraci in
agro ornatiflimo in loco.maximas ab res.fyanc ob caufam. iuftis be caufis .
aliacji l;uiufmobi complura Ncc prcpofitionea folum (kb alia pretcrea eiufc»
mobi nuncfumemus eyempla. Maxima i rep. biligentia. magna in parentes pietas
increbibilis m omnes ciues obferuantw.fummain l;oftes hbera PRECEPTVM V be
fmedecticne genis fiuora iter buos nominatiuos/et ecotra. 7Ktq etiarn
pulcf;crriinu i iter buos cafus / puta nominatiuo e buos/ahquib cotmue pomtur.
Vt om »ia reip.iura coftates miljtum ammi.macma fces < i» f m leratorum
fyominum flagitiaf Bcouerfo etia cofti tuta ac trafpolita oratio piurimu
exornah Vtl?u ius daritubo viri.fyuius qmrites auctoritate locif Ci VI PRECEPTU
beabiectiuorufituf Venufte etiam pieruqj precebit abiectiuum nome fubft4tiuum.
Vt tua bigmtas«optimavirtus»biui »u igemuin.exquifitaboctrina*Magni ehirefert/
quo ioco quecg bictio iita fit. quob teftatur BOEZIO (si veda) in iis
comontariis l quos in ariftotelis librum cofcripfit.vbi et CICERONE et VIRGILIO
(si veda) ponit exepla BOEZIO autem ipsius fyec verba fut Sfenim c£tum ab
copositionem orationis fpectaf/ maximum bif f ert l quo VERBA ET NOMINA
predicationis sue ordine proferantur. Multum enim itereft in eo quob f* A ait
CICERONE^bb9ncteamctiamnaturapeperit-'volutas exercuit/fortuna fcruauit ita
bixiffe vt biz J ; ctum eft/an lta ab Ijanc te amentjam peperit naf u +4 £ j ^
raiexercuitvoluntasiieruauitfortuna* jSicei'im>>' » minor elt fetentie
magnitubo. minuf^ in ealucet _^.^ v ib quob fi fic coponatur emmet i et fefe
vel nolentib«s i^ominum aunbus/aifqj patefacit « Rurius quoqi bicit Virgduis
pactqj iponere moremipo^ iuilfet feruaffe metrum li ita bixifiet l moreq?
imponere paciifeb elt bebilior fonus* nec eo lctu ver fus ta preclare vt uhc
compojitue oiceretur* quod ibera non eft apub byalcticos . ljcc BOEZIO . Nuc
aorciiqua; <J Septimu preceptu bc fitu ncgatiue bictionisf Negatiua
bictioapte i calceoratioms ponitur» Vt preitanticrem te vibi nemi :em. Scipicne
clario= re m bellicis laubibus iuenies nemincm.Tua er= ga me BENEVOLENTIA tuo
in me aimo gratius e ni= cbil.gui tearoenti js amet.' fyabes nemine (jfpctauu
preceptu be pouellcns ante pof= fefnonem fitu/ S8D et polleffor ate
poifeffione. Vt opti viri bi uitie. preftantis viri virtus.prubetifumi fyominis
confilium; dHonu prcceptu bc vlu gerunbiuorum nominu pro gerunbus; CXVIQ vero
pull?i-ms.'§ £i pro gerunbiis que appellant vtamur gerubiuis nominibus. 7Kc
trjs tu e prifciani exempiu . Veni ca amabi virtutem/ vcni amabe virtutis
caufa.gra gerebi bella t geren= borum bellorum gratia.ab amplexaba virtute ma
gis.qi ab amplexabum virtute. Que vna preceps tio optima eft.crebraq? cius
apub.M.T.aLolqj cloquetes viros tuit cbleruatio; {fPecimu preceptu be
congruentia nominis relatiui $kruq, cum consequente/. Nunc aatem mu!ta
confkiam. quc li biligeter ab uertensmb pavu ornatus ktino cobucent elo=
quio.Seb ib micfci imprjmis aniabuertenbu vibe tur,'vtquom tna
luerint^antccebesJ cofeques/ et eorum mebiu relatiuu nomeifr fitib confequens/
vel l?ominis / vel rci cuiulpiam propriu nome.' re LATINV cofequeti femper
cogruat.ftlioquin no LATINA ORATIO fit ( fcb a boctiUimorum fyominu consuetubine
longe ahena, frhas poteft cum aiterutro conuenire fi ncn con cquatur propi ium
ncmen. Qua rem facile exempla beclaratiet prifcoru auctoritafes coplures.
CICERONE primo TVSCVLANARV quefhonum.btubio fapietie que pl ia bicitur. Et
fexto be rep. contilia - cetuigj fycmmu mre fcciati; que dujtates appellantur.
Mq lteru i cx illis lem= piternis ignibus/ que vcsfytera etfteliasnucus
ett.s.Saluftii quoq; llluo tritum cft, Eftiocus in carcere quob tullianu
appellatur/inuncrabilia h netufiis cobicibus ib genus iucnias.Hcc ib e ara=
maticeartis vitiumiquobquibam Ljnari littcraru arbitrantur.Seb et nos ahquio
exemplorum af fe ramus predarum est CICERONE opus(qui cato ma ior bicitur.nam
quob CATONE MAGGIORE bicitur /non ia= tinc profertur. Confiiniliter vrbis vifcenbus
con ilcr.bu eft i qui iut ciucs. pcrbiti vin cx vrbibus pellenbi funt /que eft
ciuitatum pernities fentina Sebecoris. Plerunq* igitur relatiuum nomen cura eo
concors eft quob fequitur/ CjVnbccimu preceptum be cogruentia in cafu ex
trib^/eoru buoru que proximius iugutur^ Illub quoqj fpectabum efttNam cum tria
exiftant qaorum vnum relatiuum lit nome;frequetihime coram buo in eiufbem cafus
exitu conuemut/ na vt exempli caula bicam aliquib Si quis l?unc fer monem
protulerit l liber in quo be virtutc agitur preclarus eft .rectius atqj
ornatiusbicitur;in quo hbro be virtute agitur/predarus eft. Concorfcant nantj
eobem cafu ex tnbus buo llla que maion vi cinitatc iuncta funti ahub lterum
exemplum ^u^ iulcemobi fit* Qaias mifif*i htteras ab mc locubc f jerunt.
Sermoce queaubifas no eftmeust Qua exiftirras bemoftI;eIs orationem /cfcJ^ms
elt. atq Ijuius fermonis crebru muenii e potens apub vetercs vfum.M.T.officioru
pricnoi quorum autcm offinorum precepta trabutur ea quancy p« tincant ab finem
bonoriu Virgihus Maro m ene ibc/ vrbcm quam ftatuo veftra elu Terentius in i
bna/poltl^ac quas faciet be integro comebi.s fpec tanbc an exigenbe funt vobis
prius.Ibem.populo vt placcrcnt quag f ecilfet fabulas* Ibem, quaa t r creois
cffc \)islno funt vere nuptie. $tcj eiufrao bi fermo plurimum exornat;
(JDuobcc.mu preieplum t e auxefi potxti ucrum cum per; 3D c.ucxj oigmlfimu cft
annotatu. vt quom pofi= tiud€<auger^ velimus normnaivtnsper prepofi f um
aecebdt.Gcero m cpjftola ab cunonemkui z cai us eque fisiet teriocunbus . Ibcm
be oratore p r;m o.perboati quite frater ilhviben folet.Tere. in eunucr;o.
perpulc^ra irebo bona fyaub nof tns fi miha.nam pergratum vaibegratum
fignifrcatM in cratione Jepibe p crfonat; (jTrebecimu PRECEPTVM XIII be
fuperJatmis cum multo/longe/et §; PST fupcrlatiuis /inulto/ioge/et qj abuerbia
pre ponimus ibqj fepenumero pei pulcl;ru viberi fo^ let. Vt longe amatilfnnus
veftri.mulfo ommu foituanllmus-St acjo tibi q-maxias gratias (JJDerimumquai tum
preceptum be com parati uis cum multo / aut longc . GOMPAratmis vero vel multo
vel fonge p poni Jblet. Vt mfticia multo predarior eft ceteris vir tutibus.8t
Socrates loge aliis pfyis fapientioi } (jDecimuquitu preceptu be quibufba
noibus quc agrecis prpfecta/bccfinatiorie mutant, ({ILLVD nequacp omifc;'imus,'q>
quom nomina quepiam funt profccta a grecis tertie fiex.onis d obiiquos cafus
fjabentia qui rectum bperanttf» tini oratores rrequentifume calibus ac.uf tiuis
il= lorum quibufbam immutatis fmgunt ahamm be dinationum nomina et genus
feruant . qualiafut poematum EMTYMEMANTVM o ELIPSIIM elegantus ctlampaba^aue a
plerifg?tertia flettione pro ferutur poema ENTYMEMA /beipbin/ ELIPSIS as lapas
. fyanc tu obleruationem biligenter manba memorie/ (TDecimu fextu preceptu
vteleganferoftebemus quippam nobis eife/iocubu/ vtilc/ vell) Onestus et
ettevaibgenus; JXuo aut volumus oftebere nobis aliquiD jocti bu/^oneftum/vtile
eftei batiuis cil verbo vtimur fum/es/elt fubltatiuoru/ quoru illa abiectiua
fut Mi(ne ab exeplis bilceba^quib aiiub iignif icat l?«e res raicfy locunbitati
eft JcJ bec res eft micfy iocubVlbemc$ l lpfe micfyitue littete fuerut
gaubioquob elt ab gaubium vel gau&iu micfyi attulerut. Predara vrbis
ebificiaciuibusbecorifunt. Vitia bsbecon ful viris Jibeft bebecus pariut viris
beq ceteris colimriiratione; ([Decimufeptun preceptu be af ricio et af Fiaor»
<l k. m «#"» Vevbum aftido Jet pulcfyru eft/et late patet.nam afficio
te voluptate ibciit tibi voluptate affero. M i icio te fyonore lbeft facio tibi
Ijonoi em et te fycno ro.aff <cio te laubibus l&efi tc laubo. affkio te
pro bro lbelt vitupero te . afficio te comobis lbeit tibi ccnioba facio.afficio
cabauera fepuftura lbcft caba uera icpelio.T^if icio inimicos miuria tbeft
facio i iunam mimicis, 7\tq fimihter affiaor bolore lbe boleo.af ficior gaubio
ibeft gaubeo. aificior vere? cubia ibelt verecunbor. Latiilimacj eftlmius ver=
bi vlurpatio.Nec tum lateat tc/af f icerc bifponere ficjmficare.Hinc eft plauti
iflub/ viua vos magis arficit.Neq} cnim fme optimis caufis ta l&ta / tao;
bilfula fit eius verbi SIGNIFICATIO feb be i?oc latis; Cj PRECEPTVM be tum vel
et «jeminatis . (jxviii > Non eit aute ignoranbu cp i\ ouo/ aut plura buotus
Cquob perraro vfu velt)paritcr fe l;abuennt.' vtri<$ tum bictiomm
prepcnemus.Qoicb Iiqueat exemplo.Par eftin.C. lelioboctrina/ ac virtus. qitacj
dt eius viri pvobitasitata quoc| ett eius fci= entia, tunc lf lenbibe / ac
rccte bixcrim . C. lcfius vir tum boitus e/t/ tum probus •Itibemcji magna
ineit.M.C.ieiiotum virtus/ tum etiam boctrina C« ivltus p..uMnu tu iaute/tu
reru icietia valet OTub iterum exemplum» tfyemiftocks tum confilio polletin
vrbams rebus/tui beliicss negociis viribus atcg animi magnitubine f ioret . Stc
eni tatum oftebit in rebus vrbatiis effe cofiiium cjtj in beilicis magoif
ubinem animi <$ tum geminatum pofitu eft*Seb eanbem quoqj vim fyabet
.jeminata et coiuctiua Virgiliusi eneibe.MuItum xlle et ter tis iactatus et
alto. ibe profecto fignat.'eneas t tum pelagi /tum terrarum labores perpeffus
eft.7?vfri canus fuit figularis et vir et imper.ator l lbem Qy> vult«
africanus magnus extitit tum vir tuntfmpe i-ator ; (J Preceptu be cu et tu
(JxixQi fi buo contra nequaty paria futi (eb aheru mi= bus complechtur /alteru
vero magisiita etficiens bum eft* vt quob leuius exiftit locemue pnus/at= cj ei
cum bictione preponamus.quob aute grauius valibmf$.'ib pofterius politum/ tu
bictio pre= cebat.Qoiob patefaciemus exemplis Gielius amat SCIPIONE propterea
<$ eu boctum cognouit fyominem/et fempzr virum optimum/ quob poItremu
vefyemSter ab amorem impellit. quare ita oratio eft inftituenba« G. lelius amat
lcipionem tu ob boctrina eius tu propter virtute. ita virtus in fyac bemuoletia
pius mometi fyabet. JPvtqj ibem lta ubixerim.Gu oes. fortunati funj qui bene.
viuwt» -I tum perbeati qui omnia befetfit / et virtute iblaui coplectuntur, Ijos
na<$ pofteriores multo beatio= res elfe conltat.Si quis fuperius mo aliatam
preccptiorem intellexerit.l;ec. M. Ciccro lmpnmis i requeter vfurpat.£x quo
iiiub.'cum cmnibus co fulenbum eft/tum lllis qui armis politis ab lmpe ratoris
fibem conf ugiunt. SIGNIFICAT enim fumctibus ab lmperatores/et lefe bebetibus
multo ma= gis confulenbum elle.$ttc| m catone maiorc nura ti fele aicbat
Iceuola. CATONE MAGGIORE cum ceteraru re= rum perfectam fapientiam/tum q>
nug> fuerit jlli feneaus gra uis . kb be f,flc re faiia/ (JVtquapia laubari
aut vituperari oporteat, xx lam vcro explicanbum clt qua ratione quapiam
perfonam/ autlaubari/ aut vituperan oporteati quob ab bccorem iermoms pertineat
.riam it trj= f anam polfe f icri coperimus ex monumehs litte-'rarum.li cnim
velim oftenbere.M.catonem fjabe remagnamvirtutemicum verbofum/es/elti ita
comobiflime f iet,Marcus cato vir eft magna virtu te, M.cato vir eft magne
virtutis.M.cato vir cft magnua virtute»popuio pfyilofoptus fuit preftas
igemo/vel preftatis igemi.'vel preftanti ingenio. mulier eclara morib^/claroru
moru. 1 claris mori b^wregregiojaiibc egregie, iaufys egrcgia laube Se* iliub
prius magig poetaru eft. poftremu ve~ ro fplenbibiffimum et
perpolitum,ffiriltoteUs clt fcietie copia pbiio Coplug^exquifita boctrinai vir a
ctrimo isenio ! Quob qu.beCvt bifertfcus pri fcianus inquit
)hcjmficatariftotele fcbentem facntie copiam* ac qui l?abeat esqaifitam
ooctrmam cetcra cj confimiii ratione. Cluob quibcm ttulus qelius confcntirc
vibetur in noc, ac, bft erura vjf fut befectio quebam ifeb ca ttifa / vforpat**
ab elo quentiffimis viris/ac darilhmis oratonbui. qut et vobis quocg vtenbum
fit ; fTDc accufatiuis etablatmis participioru locum tenentibus infimtim verbi.
<[xxi. flT& VI participioru cum accufatim calus ie« pe tum ablatiuilocum
tenet mfmitiui verbi. J?wt feluftianum illub, nam et priufc* iopias colulfott
vbi coolulueris mature facto opus elt.bt tere» tianu Mius
gliceriumalioqueflamicam pamptjui lam iam inquit muentum tibi curabo 1 ec
abOujs* tumtoumpamlpilum.Omnian5c|iUay colulto/; facto inventuiabbuctu
cofulcreyfactre/ luemre/ aooucere befignat. veru frequeter l?is ratiombus
abltluoru cafibus vtutur l accuktiorum perraro? 4jDe ijoc nomie opus cu variis
cafibus. .xxiiv %quomam*eMa»ne quo>eft©ou8 •«»»«, i • v metione iiteHigen&um
elt / opus eft micfyi ^ac re i fignif icare me egere Ijac re.feb ib variis
caubus m cu folet Nam etiam opus cft micfy tua opera/nominabi cafu«'et tue
opere/et tuam operam/ et tua operaJeb ljoc poftrcmu ornatius eft 'z totum ora
torium.Cetens rationbus poete pctius / fyyftcris •grap^icj vtuntur,tloa autem
queca precip imus vt cocrncfcamus a veteribus vfurpata eifoecg vtamur.quecam
veroM cognofcamus lolum.i^am rpus eft miclpi l;anc rcm/ nun§ oraior oicit i feb
fcacre? (Jpe comutafione abitctiui tt fubftantiuj' in vqcc geuere et calu.
ijxxiiii O uib illub.^ncne puldjerrirr.u cTt .' vt quom fcuo ncrowa alterum
abiectiuum /alterii lubftatiuu co bem cafus cxitu proferri cebenf)vtfrpe
crcberrimccfCquocarno tertia abiecfiui nominis voce que cli neutra i vim
iubitaf j'ui trafferamus/et fubftan tiuu iliub prius cafu collccemus
geitiuo.quob vt Irequts e ciubitis atqs bifertis vir;s. ita quog erit excmplo
manileitiuB. Mam quom muitam vir lu tem bicturus fum i li «nultcm virtufis loco
eius 9 taiionis pofuero / multo protukrim vcouftius» «Multu pecunie eni
fignificatmulta pccunia.pl ummi &nm t f limmas vra»quife anmi tltt qiiis
aimus quib rei que res quib cause. que causa. ftlia quocp lta permulta. Seb
amabuertenbum efl/q, fi genitiuus ille casus singularis fuerit.toti itera
orationem fiogulariter exponere bebemus, Bi pluralisipmraliter. Naqi (exempli
caufa)mul tu pecunie ibcft multa pecunia / fingulari numero atconfcramultum
pecuniarum figmfieat multas pecuuias. Similis <* eft ct aliorum ratio. vt
muls tum roboris/fingularem^plurimum virium/plu rale quocj fabet fignif
ication€. Et abverbia quoc$ nonnulla eanbem vim retinenfc prefertim vero buo
l?ec/parum et fatis.Nam paru fepientie lbeft parua fapiifia.fatis virium ibett
fufficietes vires, 8t nifyil quog fiue nomen/ fiue abuerbium ht . m canbem fepe
obferuantiam eabit, Hec igitur ^ac^ Vt gemioanbum eft epitl?eton fequentibus.
substtantivis aut econtra» <£ Quonia aute figula fyc fere iueftigamusiib
quoa oignum cognitione ctti vt cum buo meminen= nius nomina fubftantiua/ quorum
vtrio; ibem epitfyeton abicienbum efU vt abiectiuum ipfum pri
cipiocollocemus<et fequentibue fubftantiuis / vel
tumgeminatum/velbuplicatum^tpreponamus Bxempli vero caufa ef i erantur»
CICERONE verba. $fricanus singularis *t vir ct imperatori quob eft afrixanus
ficujlaris vir z figularis iperafor .ppter magoa el boctoris auctoritatem/et
vrbis/ eft pro pter magnam auctorif ate ooctoris et propf er ma= gna
auctontafena vrbis^predarus/etrailesyet ci= uis iliuftns/tu vir/tu pfyus
optimus/tum pafrie foefefor/tum gubernatcr/iuftus/etrex/ etiubex» Coniumliacj
eobcnmobo fe fyabeot. Seb et fepe= numcro contra co&em orbine vni
fubftatiuo pre ; pcfito buo aoiectiua/aut plura beferuiunt.8xcm= pia funt que
nunc conftituam. Vir tum bonus fu temperatus.imperator et callibus etfortis,
iubex etiteger et foflers. owamefa ciuifafis tum mulfa tum predara. alia fu
ipfe coniecta. Non nungj» ef buo lubftitiua ita fe r^bent vt alterum vim fuam
vbi$feruef actueaf ur/ alferum quafi qugbam ofc tineat abiectiui nommis iocu/
ef eiusfugafur of= ficio.&uale eft illub VIRGILIANOprimo eney, mo lemqi et
montes infuper altos impofuit. ac fi bicat molem montuoiam impofuit. Cauenbum
eftne ab fyoneftate naturacj oilcebamus.' ac ii bixerit ca uenbum ne a naturali
Ijoneftate bifcebamus. Scb tibi f)ec fatig finf/ (jpe extremis fupinis/pro
gerubiis accyfafjui eafus, xxv. -.^iSzb m qotfi i;iftonam texens biceborum
fenem nectami lta quecg patefecerim vtlefemicfy forte quabam obtulennt. Ceterum
no ignoranbum effe vibetur,vt ipfc arbitror>xtrema fupina pleruncj ornate/ac
peruenuite fignif icare gerunbia accufatiui cafus ao bictione prepofita, Vt res
biii icilis crebitu ibeft ab crebenbum. miferabilis vifuibeft ab vibenbum.
iocunba aubitu ibeft ab aubienbum fuauis guftu ibeft ab guftanbum .permulta fimili/
ac pari ratione fe fyabent/ {£ De exafperatione orationis permutationem
fuperlatiui cum abiectione abuerbii fuperiafcjui ab mobum / vel in primis»
(fNec ib te amice lateatM quomfuerit fuperlas tiuum quobpiamburius/afperiufcj
et fuperiatiue fignificanbum fit l vt pro fuperlatiuo poutiuum afferamus.' et
ei aptum abuerbiuro fuperlatiuum apponamus.Nam maxime memorabiie hciausi eft
memorabiliffimufacinus» Maxime rarum genus fyoimieft ranflimu genus fyominum»
Seb ab mobum/et in primis / poiitiuis abiucta vi fermc eabem retinet. Vt abmobu
memorabile facinusi vel inprimis rarum genus ^ominum i ^Txxvii . vt quepiam
mebiocritet «ut vetyementcr ia ubabimus/ I Jb aute nequaqj filetio preterierim.
Vt fi que qui virtutcro fyabeat v lim mebiocriter faubare i bica (exempli
caufe) perides virtute preftas princeps erat atfyenisfvelmulta predara
gelferat. Trjcmisftocles rebus geftisfloruit. Sin velim vefycmenttr ac plurimu
iaubare abiiuam gloria fiue faubem^z caufam laubatiois calu genitiuo coftituta
Perides (Vtibem exemplu aga)virtutis gloria preftans a= tfyenis
daruit.'tl)emiftodes geftarum rerum laube emicuit. £ict{. M .antoniuS preffabat
ELOQUENTIA mebiocriter huoatur ac fere exditer. L . Craflus efoquetijgforia
excelluit ve^emetiffime laubatur Seb tu pro tui ingenii bcnitate oebucitof (C
Luotiens SINGULARIS ET PLURALIS numes rus connedutur* viciniori relpobebu i
ibecj Ht jn oiueriis generibus; QuotiesCquob ipfe quot| teftatur gramaticus fer
uius")Ggularis etpfuralis numerus ccnnectutur/ refponbemus viciniori. Virgi.primo
cnei,'r;ic il lius arma V>ic currus fuit.no aute fuerut.Teren. in anbria J
amatiu ire amoris reintegratio e.xeno= pfyotis belitie mee fut.fyoftes eorucj
exercitus pro perabit.atcg ita frequlius obferuat*.ibe f it I biuer fis
gencribj.na fiue niafculinu"/ fiuc f eininu e. vici no refpoDgmus. vt vir
atcy mlier optia ab me venit Intelligitur naq? optimu effe viru et optima mut
here que vemnt. Verum fi plurali numero ve.'i= mus vtiteb mafculinu trifire
nece fe eft. vt vit et mulier leti properant.T^vlexaber et olipias clari es
Ittterunt? TxxixToperepretium eft. Opereptetiu eftCquob peruenuftum eJft)ficmif
icat mo vtile efteimobo neceflanuimo locubu i mobo laubabile.i^tq* is
SIGNIFICATIONIBVS NOMINIS veteres vlurpant/ {J»xx.v.frui. Frui quapiam reieft
fructu/ fme vtilitate veJ vc^ luptatem percipere ex ea. vt cum bixerit quis
ocio fruor, pre fe f erre. JPre f e f erre ahquib eft verbis *ut ibiciif
quibufba ib oftenbere/et quobamobo confiteri/vt. M. cato pre fe f art
gramatica.lelius pre le f ert hberalitate fyz vuit oftenbere <$ i f fe fit
iiberalis; Rat.one fyabere. tiaticncm babere eft refpectu fyabere. feb(vt
planius xpona)fyabere rationem alicuius rei eft rem conliberare. vt fyabeo
ratione temporum loci per fonaru eftea ratione oia coplecti / et conhberve/ {JjTxxiii
.Complector anuno» t Hanc r em animo mcnteej complectcr l ibeft tflat rem
conhbero et voluof n animo esse. In animo est / SIGNIFICAT IN ANIMO IjabeQ.a
aimus mictyeft/ibeftvolojj . CeKtum micfyi efti Certum eltmicf)i libelt
beliberat»m ct oecrefum/ v«I bejjberaui et becreui. Profequor? Profequor te
fyonore ioeft te fconero» Profequbr te laube ibeft te laubo • profequor te
probro ibeff vifupero f e.profequor te amore ifceff amo te/ Benemereri;
Eenemerltus [um be rep, ibeft beneficium i illam confuli.benemereribearoicifl/eft
cpnferrein arai cos beneficia* «^sxxviu.eque» Eque pro ita.'ac pro vel/afc| pro
vf vel quafi orni tilfime ponutur.exemplum cft eque te laubo ac ci ceronemj
^xxxix .Haub lecus Haub pro non/ fecu9 pro aliter venufte in eabem oratione
continue fe Ijabet vt feaub fecus fetio atcj f u ibeft fentio ita ficut tu/
(l*h9* coparatioo Igcp pofitiui MdnficJ et pulcljre coparatiui prb pofitiuis
ponu tur. Vtalexanber macebo corpus babebat imbes cilliusiquob
imbeciliufismficat. Satiriinlcele» vefyemetius inuefyuntuWquob eft vefyemeter.,
Dar e rem vitio / vel laubi . Do tibi fyanc rem vitio lbeft vitupero te be bac
re. bo laubi ibcft laubo. bo crimini ibelt crimmor; De fubiuctiuo loco
inbicatiui.'et illiua pro l)uius temporibus; Seb nec illub quibem negligenbu
elUfubiuctiuus mobus pro inbicauuoiz ujius tempora pro i?uius temponbus interbu
l?aub illepibe ponutur. vt ve Jim fepe pro volo.et gercrem pro gerebam bilexe
rim pro bilexi.feciuem pro feceram. fuerit gratu pro gratum erit.feccris pro
facies.Ib oim multo ornatiffimui li cportunis locisagatur . quob vbi
factitanbum fit. 7 peritorum aures facile ceiebunt. Quaobrem exercitatio
abfybeba e non mebiocris que omniu magiftroru precepta fuperat.Quob fi quis
nouerit grecas litterasiei quob mobo explis cauimus non bif f icile perfuabetur
; (fxliii . Partim l>ominu et eius abuerbii geminatione/ partim ^oruinu
venerant perfepe bicitur.Et.^v. gelio tefte eft ibem quob pars Ijominu ibeft
quib» Ijomincs^nampartiminfyocloco abuerbiunj elt neqj indinatur cafus fine.St
cum partim fyominu bici poteft lbeft cunVquifcuiba fyomimbus et quafi cum
quabam parte fyominu.Seb l?oc tame cft fple bibiuskum in oratione iterum fuerit
abbitum vt eft illub.M, T.in epiftolis.nam qui iftinc veniut pirtim te fuperbum
effe bicunt/quob nicfyl refpo teas/partim cotumehcfuyqj malerefponbeas. 8t qui ciuitatibus perfunt
partim nobiles funt/par^ tim populares.quob elt aliqui nobilesfunt aliqui
populares]> ^TxJiiii. Decimus quifc|; (f Xb ett optimum eognitu/ g»
becimufquifcj} eft vnus ex numero benario . ficut millefimufquifqs elt vnus ex
numero millenario.fyinc cft illub cefa ris in commentariis eognofcit no
becimuquec| ee reliquu militem fine vulncre.quo exeplo vti per= pulcljru eft vt
vix becimufquifc$ remafit fme vul neremtaliconfjictuf ifxl v. Quotu fquifqj ;
Q.uorufcquifqf I;omo eft ibelt quot fyomines. Quotufquifcg rrnleB ibeft quot
milites; /Txlvi.PercJ cu positivo Per§ vna bictio bumtaxat puleljerrime
pottiuis abiucutur nominib^ vt percj> boctus pr/ilofopfyus \t p per $ bonus
amicuS/ ^Jxlvii^lias geminatu locom tcnet mobo abuerbii» Cuibillub.
nunquiblepibiffime vfurpamus/vt i oratione eabem iterum alias vfurpatum /locu
ops tmeat mobo abuerbii.Quale pffet fi quis Dicat oes l^omines eobem ferme nati
fut ingenio alias qui bem ribet/alias vero lacrimatur. omes item riues alias
boni alias mali.nuq» eifbe fut monbuaf {fxlviiulnire caftra. M. Tfaitrjonius
iuit i caftra multifariam bicitur.' M.Tfatfyonius caftra petiuit in caftra
profecrus thik ab caftra cotulit . fe in caftra recepitife ao ca« ftra
perbuxit» 4jxftx7Vim'nti annos natus. Hic fyabet viginti annos. quob veteru
cofuetubine bicitur cotra pebagogam opinionem/aliiftg rationibus bicitur.J;ic
vixefimu anu attigit.agit /bec^it vicefimu anu etatis. vigiti anos natus eft.3?
^oc poftremu magis oratori couemtf {Q
£loquetia laborare CICERONE laborat eloquentia. CICERONE (si veda) in
eloquentia tera pus cofumit. tempus in eloquentia coterit. in eloquentia operam
pomt. ba^eloquentie operam. etate in eloquentia cdiumit. In ftubiu incubit
eloquetie. £t> alia oe&uc pro tuo iuUciof {TIi«Habeo/teneo I?anc rem
memoria. Habeo ^anc rem memoria non minus vfit ate bici tur ' q> fyabeofiue
teneo Ijancrem memorie.teneo ^ac re memoria /f;uius rei memoria fyabeo; fljii .
Voluptatis me capit obliuio. Obliuiff or voluptatis vel cuiufcun^ alterius rei»
vcluptatis me capit oMiuio.St ibem verbu cu ceteris iunctu nommibus fignificat
biuerfa/cofimis h orbine vt capit me facietas ciuitatis ibeft capit tne Jjoim
obiu vel tebium; dJui. Contineo me ruri/vel in vybe^ VIRGILIO (si veda) incolit
ciuitate l)cc perpulct)re bicitutcum teneo/ vel etiam cum cotineo verbo«vt
virgjtuxtfc continet. Virgi.tenet fefe
in vrbe; 41 liiii. Prefer et pre venufte oftentaf aliquam rcm aliam
anfeceifere. Si quis velit offefare aliqua rem alia
antecellere/ «t vltra illa valerc i venufte ib bicitur / vei per actufatim
prepofita preter / vel cu pre ablatiuo prc= polita. Vt cefar preter ceteros
rebus bellicis polje bat» vel pre cetcns pollebat; IjIvXelius efacili igenig
vcl facilff mis moribus natus. Lejios ftabs faciles mmsj ; vd f acilcm naf
uram/ I ornatius bicitur Jelius eftleui ingenio natus ( vel
faciiimusnatusmoribus . Scipio natus eftt rifti ingenio.
Stbereliquiscofimiiitcr; iTIvi. Valeo/polleo cu ablatiuis. Valeo et polleo
verba et fplenbiba fut.' et latiffime patcnti x ablatiuo iuguntur.fyoc pacto, ;
7>vureliu& auguftinus plurimuingenio valuit. ijypocrateai ingenii
bonitate poUebat.Mitnbates memoria cb ruit vel poUuit.M.cato in ciuitate
plurimu aucto ntate pollebat; (jlvii.Clareofpolfum. Clareo et poffum verba eabe
ferme r atione fe gabent. cHgo apub bominum cefarem multum (iue poffum fiue
clareotomate et IplenbiOe bicitur^ apub bominum ceferem plurimum mea ciaret
auctoritas.fyortenfius rhultum poteftin senatu ornatius multum fyortenfii in fenatu
poteit aurtori tas .que potj{fimu jGgmficat eam opimonem que eftapub ijomines
be alicuius viri preftantia . que vulgo et trita cofuetubine reputatio
nuncupatur* Sum batiuo iunctfi tyabere SIGNIFICAT et quobamo poffibere; Geterum
ib perbelium eft.Sft rnidji apub te fibea ibeft tu abfyibes micfyi fibem. quob
eft accuratius abuertenbum.nam plerumtj foiet fum es e verbil batiuo iuctu/u
SIGNIFICARErjabere.' et quobammobo pollibere. Vt e micfyi pecun/aiett cefari
rnagna po teltas liue pietas^ilJub befignatme pecuniam i^a= bere.fyoc rjabere
cefare magna poteftate. Cuius cq. Ititutiois crebra apub prifcos et bilertos
viros ct« leruatio cit. Recorbor fyanc rera.fyec res micbi in mentem venit. Ejo
recorbor r;ac rem potius § l)uius rei bicitur. Jst ibem bicitur ljuius rei me
fubit recorbatio.fyec res micr;i ln mentem venit lbeft micr;i occurrit i vel
mict)i fuccurrit/quobpoltteinum minus vfi= tatebicitur? {T Ix.Prefto antecelio
aliquabo cu accu? fatiuo aliquanbo cum ablatiuo.' Prefto et anf ecelloCque
venuftefonant verba>li= quabo batiuo aliquabo acculatiuo perpulcfyre iun
guntur cum acceflione ablatiuoru eius rei cuius e preftatia. Vt ego prefto tibi
ingenii acumine.flo. preceilit petru acumine ingenii.equus preltat afi= no
velocitate curfus? flhi. De frequetatiuis verbis loco primitiuorum/ £>cpe
numero f requetatiua verba que appellaf ur pnijuuuorw verboru a quibus
traxerunt origine" SIGNIFICATIONE retinet.prefertim fi prima illa
afpe*riora f uerit. vt coiecto pro conutio.mafo pro maaeo.imperito proimpero .
amplexor proamplector. ct alia itcm pcnc inumcrabilia fi quabo etia verbi
arpcritas vlla cotingat,'quob erubitorum iu bicio nunc berelinquimus? De et bis
mutant» Dc jttepofitio verbis abiccta pcrfepe cofraria mu<= tat
fignificationem vt prccor ct beprecor cotrana lut^ortor ct befyortor, Nonuno)
lbcm bie eff icit vt fuabeo biffuabeo Quauis in iifoem vtfbto nonu^ auget
perpotius cj vim coinutetj flixiii . Gx ct be aplificatSx ct 6e vejjementer
ampiiticat, Vt exoro .' quob ab ex ct oro bebuctu fignif uat ipetro ? Tere.in
a% gnatavtbetoro/vixc|ibexaro . iQxiiii.Suaoco perfuabeotfacio perficio, Sic et
fuabco fignificat oratoris off icium quob I benebico,atc* perfuabco bencbixiffc
fignif icat quii cft oratoris f inis,ibeft impeteo atc$ obtineo, vnbe et crebro
non folum fuabeo/ feb etiam perfuabeo£ beb i acio etperficio explorata funt;
{fixv.De abuerfatiua bictionePfurimuetiam fermonem ac oratione exornat ab
uerfatiua bictio quag? ibicatiuo iucta, duob vbicj CICERONE feruauit aliiqs
fcocfiffimi* feb I; uwe cx cmplum fit.Qua§ tc ante I;ac tiJigeba.' nuc tame
cbfmgnkrem vir^ufem veI;emiterabmiror. J\)a tha funt que quobam fibi orbine
luicem iugutur. quoru prius ac leuius e biligere i pcftremum ab^ mkotlqixob
ve!?en.es^ac precipuuiet eoru mebiu ofcleruo quoi> cft vencror /et colo . cx
quo obfer uanfiam et reuerentiam fignificat.Seb itcrum ali u5 exemplu quancp
miclji fint omniu amicoru io cunbe iittreitue tame iocubiflime fuerut.Seb ct
pro Umen polt §uis raro collocamus. Vt qu*n§ micfji anfe ^ac carus eras,'feb ct
nuc pi ofecto a riffimus^es; {jJxvuHonfolum y febetia* verurnetia/ verumquoq?»
7Kb fjec jll* buo orationem pcruenufta rebbut fibi inuiccm
correfponfcentia.quoi n alteru eft non fo lum/Cucnon mobo /fiue nontantu l
alteru efebetiam/ vel veruetia/vel loco etia pofito quoqj/ et
aliquibusintenectis.quoru ommu exempla fub= necta* fyec miciji res n^n folum
grafa eft kb etiam iocubatMtAntonjus non rrtobo ciceronis crat ini
micus/vcruetiam Ijoftis patne*M Catoncn folu ingenio pollebatifeb etiam vurtute
florcbat pluri mu ftlexanber no foium reliqua vrbem iubegiti is veruquo? ipf u
romanii iperiu cogitabat attigere. Tametcji. £t fic etiam tam et $ fibi
correfponbe-f . vt tam cara micfy patria efMcj tibi iocuba vita ( ieb facile
ttt te boc mteUijes r (Jlxviii.cgoipfe pro erjomet? Pro eoautem <$ ceteri
exprimere cofueuere pros nominibu» abbentes vclteveimet fyllabicasaoicctiones.
CICERONE potius lbem eiiicitljoc pionomine ipfe/ipfa/ipfum; quob illarum fcre
abiectionu locu optinet. Vt egoipfe magis q> egomet.tf Ieipfe 1 nosipfiivt
nucp lecus fenSbo U, {Jlxix.De mccum et mc cumf K\i* <ft abiectio puldjra.
Vt m?cum ipfe cogitafc fem.etfyoc vt mecum fit vna bictio. Item me cum
ipfeviccre.quombuefuntbictunes. Vt familiarinte couerlatione et (imiiw
ornateexprimemns; Seb fi tibibicebu «rt tu micfy familians es.'orna tius oicit
ego te vtor f aiiianter,Tu rnify amicus es .ego te amico vtor. Tu micty es
magifter iorna tius ego te vtor magiltro, 830 tecu f requeter ver for.frequeT
mify tecu e cofuetubo.que fepe couer= fatione SIGNIFICAT Tecu magna amicitia
ljabeo . magnamicfy tecu est amicitia, 8t ita aiia per murta.Vtfit inicfyi cu
oib malis viris iimicitie.na recti= us bixcrimus iimicitic pluraii numero/cp
ficjfari. (Jjxxi .£3id)iJ cii cdparatiuis. Seb neutra vox nid;il ac potiffimii
in comparati = uis nominibus tu femim rebbit oratione.tu ma= lcuiina. Vt
nici;il cft J>oc fyomie melius/f ere ibi | vt nulius jtjomo eit l;oc fyomine
melior. Kityii l;ac virgine eft formofius .' quaft nulla virgo fyec virgi ne e
formoficr,£t i ceteris aliquabo confimiliter; iflxxii, Munus pro officio/et
coumiliter partes; Munus pro officio ornatiffime bicitur, V t l?oc e nmici
munua ibdtamici officiu,Funa;or boni viri munere^ferme ibi cft facio boni vin
offjciu.Seb et partes plurali numero confimilem l;abet SIGNIFICATIONEM, vt mee
partes lut lbeft officiu me vel perf inet ib rae; (flxxiii»Caueo cum ablatiuo
fignificaf pro uibeo»cu accusativo vito ac f ugio. Caueo verbff etfi fepe
fignifccat prouibeo. vt tu eft lege perornate accuiatiuo iuctu pro vitol fugio
vfurpant eloquentes viri, vt turpis viri/ m genui cauent mores/ "% Memini
cu accufatiuo/ fttqui et memini rectius ac vfitatius iugitur accu fatiuo §
gcuitiuo vt inenani plaiocis fapiectiant» Virffi.inbuc. Stnumerosmemi
fimeteverbainer«m . nec miru f. in iis que funt potius folute orationis.
Vir.ma.ois aff eram teftimonium que" non folum poetam egregie erubitum*
ieb et rfceto hce artis vbic| obferuat.ffimu f mffe conftat. Penitet ibeft
parum vioetur. Penitet me qmcquib f igmf icet notif umu" «f t l feb et
paru vibetur vfarpat auctores et t reftates boc= trina vin» t ^,, .. Vaco cum
batiuo/attenbo cu ablatiuo vacuumeffe.( Scb ibem perfepe verbum vanis
coftructiombus cofitum/baub eabem retinet SIGNIFICATIONIS vrau Vaco buic
rei.'eft attenbo l?uic tei.vaco r,ac re.'eft W re fum vacuus I et ornatilfimu
eft, vt bom vin 4nt opera vt perturbatiombus vaceut ibeft Iiberi et vacui
fintr. Deaiabuerto etaiabuerfio. flmiabuerto ibeft fore vibeo/et quobamobo
mtelIicto Ht aiabuerto coftructu cu acculatiuo m presofita/ibemfibi vult <$
punio.Vt pleutippus ai= abuertit in feruum platonis lbeft pumt platoms
(cruum.cix quo aiabuerfio pumtione quabam no nuq> llii: p c x<i fa Q c ^
oa tiuo et accufatie n cm mebiante ab. 7Ktc$ iterfi ref ero tibi l)ac rem ibfft
narro tibi fyac rem.feb refero ab fenatum/ refero ab popula Jtjac rem ibeft
pono f?anc rcm confultationem populi vel fenatus.Qui vfus verbi eius apub
fyyftoriaru fcriptores frequctiffime eft. Dare litteras tibi/vel ab te. Quib
varii quoq? cafus /eibem verbo fepe coniun= tii/nom magnam aclonge biuerfam vim
f>abeV Quale eft bo bibaculo ab cefarem litteras . Nam bantur bibaculo
beferenti / vt cefari rebbatab que mittuntur littere.Sas igitur leQtt
CeIar.Bibaca= fus quibem velut tat Ilarius befert. Na qui fert Iras/confueuit
tabellarius appellari.Verum ne quib buius nunc ignores bare lras fignifkat
fcri= feerefeu mittere Jitteras/ <X Jx*x. Vuas/binas/trinas/Iras/pro vna
buabus t tribus ve epiftolis bicim us/ Nec tef ugiat q> pro epiftola bicimus
litteras plus rali numero.Necobftatpoetarum cofuetubo £t pro vna epiftola
bidmus vnas litteras.Na ib no= me vnus.a.u -cu iis que pluralit' folu
Iflectuntnr plurale" quo<# retiet natura* Vt vne nuptie vne bi geivaa
menia .8tCvtabpropofitu rebea)pro bua bf epiltolis bicitnus ite binas littcras
ino aut buas pro tribus cpiftolis ternas i non autem trcs. pro quatuor
quaternas. £t que beinceps funt rehqua cofimili ratione proferentur; (JJxkk i .
inf mitiua oratio pro conc iunctiua peruenufte ponitur. Inf initiua oratio pro
coiunctiua pergjpulcfyra eft, V t volo te ab me Icribere.cupio te atfyeuas proh
cilci . £t ib teretianu quib facere te in fyac re velim ficmif icat eni quib
velim quob tu in f;ac re facias. velim ciues omes vnanimes efle ibclt q>
vnanimes fint et cocorbes.Seb fjoc tibi fit cocinnius vt nullum fit ambigui
iermonis bifcrimen, neq? eni omnino rcctum iit/fi quis oicatvoio te me amare «
g> uis pleruqi lb fuppofitionis lccum r;abcat l quob 1 i lmtiuum veibu
mimebiatius precellent. vt puto pyrrfyu romanos vmcere poffe ibilt crebo cp
roma ni poffot vincere pyrrfjum, kb ib pro viribus ca= ueat orator.St quob mobo
prcceptum eratbe coniuctiua atcg mf initiua oratione precipue in abfola tis
verbis<vel vbi alteri calui i uerit abiecta propositio feruanbum fit. vt
vofo te amari a ine; {£ l.\xxn.£x vel £ pro a vel ab. Ex vel e propofitiones
pro a vei ab/et fepe et pers ©rnate ponutur. vt aubiui ex maionbj nris pro i
maiqnb$ nris.accepi ex patre tuo vel e patre tuo Cluero ex te et a te.'quob eft
te confulo/et te intsr rogo. Quob abuerteiet vlui trabe. De pro/Ioco in et
fecunbujm Pro ornate ponitur loco in et fecunbii . Vt pro ro ftris .ibeft in
roftris.pro tribunali ibelt in tribuna h. et alia . pro viribus tuis ib eft
fecunbum tuas vires.pro tui ingenii bonitate.pro virili tua. et similia/ Sub ia
compofitione aut dam/aut biminute fignificat/ Sub copofita aut clam aut
biminute fignif icat vt fubrnouit me permeno ibeftdam et occulte.fubi^ rafcor
tibi quob eft pauiulum irafcor. Mor emgererc complacere obfequi SIGNIFICAT.
Moremgerere perornatum verbum complacere fignificat/atqj obfequi vnbe moriger
a.um. quob a morofo quob bif Lcilem fignificat i et a mojrato quob inftitutu
fignificat plurimu biff ert? Confequor pro exprimoj Confequor pro exprimo
pulcfyemmum eft.Non poflu ego verbia cofequi ibeft exprimere . Iitferis cofequi
ibeft per lras explicare. Metuo timeo multis cafibu3 coniunguntur. "V*
Metuoettimeo verba aliquanbo tnultis cafibus ab.unguntur, Metuit CICERONE
a.p.dobio fibi extre mu periculum,Tim«omicl?iabfternortem Ncn nun$ abfolute
ponutur folo batiuo liicta . vt me= tui papl?iIo- papfyili vite timeo, kb fyc
eft poUus poeticus^fus/ {]Txxxviii.8uabo pro fio/et efficior. Suabo pro fio et
ef i icior ornatum vfitatumcp eft, Vt dcero euafit eloqu€tiffimus.ftriftoteles
euafit fumus pf;ilofopr;uB, cefar vero euafit inciitua imperator.St bz ahis
quogj fimiliterf. Fore futurum cffe. Fore f utura femper l?abet fignificationem
. et eft ibem <$ futurum ee.M.G. be eratore tertiolibro loquensbe
fyortenfio, Que quibem eortfioo omis bus iftia laubibusi quas
tuaorationecomplexup es excelletiore fore. 8tcraffusforebicisinquit/ ego vero
effe iam mbico; {£xc Quib Iter bimibiu z bimibiatu itereft Quib inter bimibium
et inter bimibiatum inter fit nofce perutile e.Cum enim bimibiatu fit quafi in
partes buas biuifumi nifiaiiquibbiuiuim fit/ bimibiatum non
poteftbici.&imibiu veroappella tur no q> ipfu biuifu fit/feb q ex
bimibiato pars al tera eft .Hd jgitur recte bixerit quis pco fetentta/ VARRONE
Cvtait.ft.gelius I noc.ae)bimibiulJ fcrum Iegi.bioiibiam fabulam aubiui. feb
bimibia tu libru i bimibiata fabula recte quis bixerit. quia
&imi:<iatumCex caufa)bigitum appellamus. feb al terufram parte
bimibiu.Quob eft accurate bilige^ tercg afpicietibum. Interfum et prefum quib
bifferut; Plurimii aute cobucit vcbis itelligcre que fut no= minu bif feretie/ac
verborum bilcrimma 8a quoq res miru imobu oratione exornabat. Vt fi quis nouent
quib bifferut prefum/et ir terfum interfe verba.'puJcfjerrime
bicet.M.C.publicis negociis «on interf uit folum .'fcb pref uit . quoru illub
figni ficat comitem effe alicuius rei.fjoc vero buce> ^[xcii.Confiteor
profiteor gratulor gaubio Egonon folum cofiteor/quob eft per vimifeb tti am
profiteor quob qmbe eft fpote.St apub Mar. Tulliu peifepe tibi gratulor micfyi
gaubeo. gau bemus nobis* gratulamur aliis cj> abepti funtali qua bona/;
-4jxcui*#vgo ref ero fyabeo bebeo; Bt tibi ago gratia quob quibem eft
verbis.Refero gratias quob eft re et factis. Habeo gratiam quob efti animo.
Debeo gratia'vbialiqua obligationis vis ceroitur.Etite alias opiniones Jjis
fimries? -rf {Jxciiii«Hec res mi\)i cobucit.bono tc i;ac re. Optimu cft non
ignorare nominu bii i erentias vt ct vberior et ornatiot nra rebbatur oratio.
l?cc res micfji conbucit* elt lbcrn q> mic^i rcs fyec vtiiis eft St quob
ceten pleruqj bicunt/ bono tibi f>ac temi pulcfyrius bicitur ac Iplebibius
bono tc I>ac re* Vt miles nauali corona bonatus e!t«Sabinos romani
ciuitatebomuerut/quobeftciuesfecerunt quob ite bicut labinos romani I ciuitate
acceperuntf {£xcv* Prepofitio que iolet abiungi nomini pulcfyrius vcrboabiungiturJnterbu
vcro prepofitio/que nominj ac cafui pre== ponitur l pulc^rius venuftiuicg vcrbu
preceltent in quibufba verbis. Ooiale cTt Ii quis bicat co ab Ul vt bicat
potius abeo te. etloquor ab te/ potius afioquqr te.Cebit bc vita.'becebit vita.
ccbit ex Iju manisrebus' excebit rebus fyumanis£t in aliis quibulbi cofimihter.
Minus abuerbium. Minus abuerbium quaq» fepc iiapii icat nonnu^ tame cu pofitiuo
iunctu cotrane SIGNIFICATIONIS comparatiuu bemostrat. Vt Teretianu lllub
p^ebria^ nemo fuitirinus incptus'pto prubentior. etne^ aio elt tc minus
formoius lbeft beformior 4 et fic be alus coitmilibus; 2 o ^JxcviuQoiib inter
becem annos et becem annis intereft Quotiens multos aut bies autannos bicimus
per accufatiuuiitelligimusiuge teporis curriculu efife £ere cotinuu Seb per
ablatiuu SIGNIFICATVR annoru fiuebieruiteriectio intermifiioi. Quare( vt ait
marcellus^optates rectms acculatio vtibebent fiquibem ab fecuba fortuna
attineat, In fereft jgitur ita li quis bixmtJbece anos i re militari verfa tus
(uia ltaibece annis bebi opera rebus bdlicis ; 4jxcviii»Corbi eft, Corbi l?cmo
etia flexibiliteir corbi l;ominu(vt pri fcianus Iquit, Dgificat iocubus fci.bo
ficut et fru= gi.Seb iatiusUnca fetetia; Marcellus dpinatus e. Dicit eni corbi
eft ibeft animo febet* Nam fyec res mid^i corbi eft ibeft placet* Teren.in
abria ^n ti bi l?e nuptie fut corbi CICERONE be perfecto oratore flumealiis
verboru voiubihtas corbi eft . £t LUCILIO probe beclarat cu iquit.St quob tibi
ma gnopere corbi eft* y micl?i vefyemeter bifplicet^ {[xcix.De Tatifpei:.
Tantifper qucb quafi eft tambiu Qrnaf e poft febepofcitbum» quobfermeeftfconec
Vtillub Terentianum in ^eauto.Tantiiper meum bici te yolo.'bum
qucbtebignumefaqias. i 8gotantiIper magna voluptate afficior/ bu apub te viuo?
{jC.quib Iter Delecto et oblecto itercft. Tu micl?i earus es.ego te amo.tu
mil?i iocunbus es.ego te bclecto.feb belecto ct oblecto non fimilis ter
ffruuntur» Nam bicimus belect.it me rjec res. feb oblecto me ac re. belectabat
Socrate vite intes gritas. Pitfyicus fefe virtute et loctnna obiecta= baUego me
oblecio ruri/ JGuFero banc re facuVmobefte moberate/equo animo Fero fyacre
pacietor feu patienti animo/fplebibiusr bicitur .'ego f>ac ref acilepafior
.et mobefte fero/z moberate/ct equo almo.Ecotra SIGNIFICANTIA abuer bia grauiter/acerbe/egre/molefte/et
iiquoaimo. Ijec micfyi iocuba rcs e.fyec res placet micl;i,et que molefta
eft/bifplicet; <£C.ii.be Affero.et bolef micfjiffero comunilTimu verbu ilet
quo mulfis locig vti poffumus.Secuba fortuna affert micf» vofup tate ibcft mc
bclectat. Tsbuerfa f ortuna af f ert mi= cf;i bolore ibeft bolet mitfyu
Nabicimus z fyec res milji bolet ibeft boleo fyac re.feb rebeo vnbe bigref fus
fu. liftere tue afferut micip abmiraeione lbeff eftitiut vt abmirer.
affcrsteftioniu ibeft teftifica= ris z ita bifperfa e z vaga fjuius verbi
fignif icatio/Ciiibe perinbe cu afcg vel ac poftpofitaPennbe omatiffime
poftuiat poit fe ac / vel atqj ct totu fimul perinbeae vei atqp fyabet eabem
vnn quam vt tanquam, vt CamiJlus perinbeatcp oim fapietiffimus.et cfjerea
perinbeac foret eunuci^us et be l?ac re fatis r;ec bicta fint fyactenusf
{7Ciiii.be Coco» Coeo nonlolum abfofutum cft/ feb nonnuqj per= uenufte cafu
fyabet accufatiuu . Coeo focietate tecu Et ijinc cft lilub» 7K* gelii in noc
aube pitagora/ beqf cius conforte ♦ quobouifcg familie pecunieq? Ijabebat / in
mebium babant i et coibatur focietas infepatabilts, Sebeobem cicero pacto
aiiquanbo eft eo verbo vfust. De Mille fyoim in finguiari numero NiHe fyominum
fingulari numcro SIGNIFICAT mifc le fyomines.mille militu interiit fyoc eft
mille milites interierunt» mille militu vulneratum eft ib cft millc vuinerati
funt milites.ibcg ornatu/vfita= tumqj eft}L_-Primis» Primas SIGNIFICAT etia
ordinem quob nome sequitur secundus et tertius .et beinceps alia eiufbem or binis
nomma.tame multociens fignificat pricipa le . vt fyic eft noftre ciuitatis vnus
omniu primus li t per fe fignif icat optimu.,feb ib poftrenjij in caro e vfuora
torum. De interbicoInterbico fibi I?ac re; et non fjanc rem»vt int«-bi= co tibi
aqua et igni*plinius fecunbus in epiftolis caret rcge iure'quibus aqua et igni
iterbictu eft/ {1 GviihCXue noia ornate fincopanturHunc vero ab reliqua neq;
eni iuitus omiferim q que nomina ab numeru fpectat in eoru plurahbs genitiuis
lincopa efficiunt«ibqj cum vfitatum eft/ tum ab exornabam pertinet oronem»vt
mille numum potius <$ mille numoru*mille benariu mille aureum*et totmilia
argentu . et ita be reliquia et in ijenitruis omnium nom mu fecunbe beclmatj
on>s frequenter eff iciunt IjGixyCitra cgtenariu ef poft vigemriugi minor
numerus maiorem eleganter precebit/mebiante coniunctionef Ssb prokm fcribentes
/et foluta orone in nomini fcus lolu numeru et mefura [ignificanhbus l atqj in
numeroru nominibus eam plerunq; feruarnus cofuetubinem et citra cetenarrum numeru
ii qua bo poft vigenariu buo numeri comemoranbi fut/ vt eoru minor precebat et
maior fequatur vt i)ic e vnu et virjinti annos natus»buos et tricjit^ anos iz
viximus. tres et quabraginta anos nauigaui . qua tuor et quiquagmta annoru
confurrfi etatem, ieb vltra ccntenariu/et citra vigenarium tritu ac vul garem
Jeruamus morem et SERMONEM. 4jGuob aute ficut buo be viginti nonnuqj» bicimus/
et buo be triginta.'ita et buobeuigefimo > et buobetrigefi= n;o nunif citu
eit, feb no quibem eft in frequenti oratorum vlu/ Inbies et inoiem . Quib
inbiss i none pulcfyerrimus fermo eV ac fig nificat per lingulos bies/et
quotibie i feb cu quo= bam incremento, vt tua inbies accrefcit virtus.in= bies
fyomines fapiunt.ftultorum fjominum mbies accrelcit mfamiatfeb Qum bicitur
inbiem eft termi nus beputatus/ {Mpxi . Vt in ve* bis actione aut PASSIONE
SIGNIFICAT ib^ vanetati ftubenbum. In vet bis tam actior.em q> PASSIONE
figmficatibus confiberare bcbemus varias vocum lnflectioncs / atcjj exitus . et
mcbo fyns mo illis vti pro auriu iu bicio.vt fuere pro
fuerut.amaruntproamauerut vibere pro viberiit.norim pro nouenm.triupfya=
rantpro triupfyauerant.et be aliis quocj! eobemo, 3eb ne quib fiat cotra
gramatice artis preceptioes fyac via prpwbcnbum eit; .oe Cluin. auin particula
quomo increpet/ vel exortetur i quom5 item confirmet et quomobo interroget iib
fatis exploratum eft . feb nos ea pulcfarrirne vtimur.'cum bi cimus.'nonpoffu
quin gcftia.no pof fum quin boleam.no poffum quin abmirer. figni f icat enim f
ere me non pofle continere* g> non &> leam,et ita be cetens
confimiliter. rftxiii.be Locus eft vel Multum aut nicljil loci eft ljuic rei .
Quib inWnone preelarum eft vfu.locus eft l?uic rei.multum loci eft gaubio.
plurimu loci eft trifc quillitati.et terencianus bauus.nicfyl loci e fegni
cie.'fignificant eni fyec omniai vel oportere nos le tari/vel tranfqutflos
effe* vel voluptatibus afficii vel oo negligetes ac fegnes ee« et fic in i
aliis fyuiulmobi<JOdiu.be Magnopere et fimmbus. NonnucJ verobuo nominaCfiue
prepofitione ab= bita/fiue non>nius abuerbii vim retinet.vt mag nopere pro
valbe. maximopere pro plurimu.miorem lmobupromaximcmiruinmobu promi
rabiliter.etjtem mirabu inmobum. ^Jpxv .be In primis et fimilibus. Seb ablatiui
cafus / fme cum comercio prepofitio nis fiue (tne eo vim Ijabent abuerbii vt in
primis fignificat zm precipue ac prefertim.et ib^vi gr cci bicut)ibuerbiu
ipfum(fi lta appellabu eft) perornate nomimbufiugitur.vf in primis fapiens.ipri
«ijs erubitus.Seb nc a propolito bifgrebiar^pau<is mterbu pro paucu/multis pro
multumt Veru J^ccaliojoco pportunius illoijCxvLbe ©ent cu noie magiffratus fiuc
iperii Ilic etiam rnobus optimus eft+vt li quis bicturus dt qucmpia homine
aliqucm ^abcrc magiftratunj vcJ i?qnore/feu ipcriu vt ex noie l;onoris eiufmoi
et gero geris verbo pulcljerrima coftituat ordne. ^oc pactoi^ic eft rome
cSfuLrome cofulem gerit. ita cofimiliter imperatorem gerif . principem
gewt.pKetorem gerit et alia cofimiliter ab ijofcc eni viros remm cura et
abminiftratio pertinet. Cxviitbz intcrlcg«nbumyet fimilibus. Vfitata et
perpulcijra eft fermois oratio/vt geru^ bioruaccufatiuis prcpofita
lterfignificct tempus imperfectuinbicatiui vcl fubiunctiui mobi vel al terius
ct bu particulam vt interabuianbu ^oftes offenbi.'J?oc eltbum ambulaKcm
interlcgcnbum vibebas t ibeft bu legeres . £t fic pro varictate per [onarum ita
cxponenbum cft vti mobo explicaui mus.fcSicferuius in buc. vir. Interagenbum ib
rft bum agis.l;onefta locutip fi bicamus intercenabu \)oc fum locutus ib eft
bum cenare Ijoc locutus fu. 4jCxviii.De in pro erga vef cotra. In pro erga ct
c5tra pulcfyerrima e accufatio pree pofita. Vt meusinte animus.mea mte
beniuol.n tia.vbicj enim fignificat erga . luucnalis muefyt in bomicianum.
CICERONE ljabuit orationcm in CATILINA ibi eni contra SIGNIFICAT.
Deappnme.?7ypprime pro valbe recte apponitur noibus.que? abmobum be imprimis
fupenus bictum eft.vt VIRGILIO .apprime nobiha res.appnme vtilis.St ita
beaiusfimilibus. 4j_QiKf Vt res apte coi ungitur abiectiuis polielliuis. Rec
nomen latum / bif i ufumc| eft. feb eo pulcijer rimcvtimur cum abiectiuis
poffefliuis nomini' biis/ et prefertim J?uiufmobi. vt cu bicitur res bel Iica,
res bomeftica.refpublica. res familiaris. re« nwlitaris.Et be fimilibus
paritct. De preftolor. Vt aliq veluti fignanba mftituam preftolor vei" bum
plerumcj poete accufatiuo iungunt. CICERONE connectit batiuo. Vt quem
preftolariB.'* preftoior iol?anni^. J^vffentior,tio . Impartior .tio . 2V Multa
funt verba quibus per eaoem SIGNIFICANTIA et pafliua vtimur voce et
actiua,et(vt omittam p e nc innumerabilia; ciceio frequeter m r;is buobus mobo
actiua mobo paffiua voccm vFurpat. s£,enti or et affentioi vbicg eabem
coftructicnis forma. et impartior /et Ipartio.in ceteria autem ifc fii mult©
unus. Vfu venif. Vfu venit ornatiff ime pro contingit ponitur. VSVRPATIO ET
VSVRPARE. VSVRPATIO ET VSVRPARE VSVRPATIO ET VSVRPARE non lta intelligi
bebentifis cut mrifcofuJti vtunfur. fe6 VSVRPATIONEM orato? rcs frequetem usum
nominat/ et VSVRPARE in frequenti usu fyabere. Deficit cum accufatiuo. Hec res
me befirit ib eft beeft micr;i Ijec res» vi bc= f icit me bies. vita cpprimum
mortales beficit f ep beficio bac re magis poetarum eft. Omnis pro omnes. Nunc
aute ne ea que perutilia funty i ornatiffima omittamus. intellicjenbu eft
quoque nominatertie bcclinationiB ta nominatiuu q> genitivu singulare fyabet
fimiies i prefertim Ji gewtiuus pluralis in ium esiuerit ecru frequtter
accufatiuus pluralis in is terminari folet raro in es . vt grnnis pro oes
mortalis promortaks.manispromancs, fimifc terCvt ipe quog? teftatur priftianus
Ji es et is ternu nantiareperiuntur. vt f ortis et i ortes partiset partes
pontis et pontes. io rebquis rarius ib fit que est poetaru veniaf. De pofrnbie.
CXucbam abucrbia funt que epiftolis maxime con ctruut.ficut propebiem/
cjprimu/cito/cofeftim/ et poftribie. quob multi ignari htttram / et grammatice
artis expartes exponut poft tres bies . ieb tuCnc eobcm bucaris errore)crebe
poftribie fignis fkare poftero bie/eteopacto. M.C.accepitto alii crubitiffimi
virij. Primu /beinbe / prctcr a£ ab /1)oc /poftrcmum fttfi quis multa referre
velit.'pro prima rt ponai erimu vcl primowtiuuj eni in vfu eft, profecute
oeinbe velfecunbo loco.protcrtia/ preterea. vel pro tcrtio loco.pro quarto
Cquob perraro accibit) ab hoc vr prcterea vcl quarto loco.in calceipoltre mo/
vd poftrcmu/ vel bemum.at igitur l?uiurce= mobi exemplu. tria fut que magna
micin af i erut voluctate.primuenicf optimuamicu nartuslu beibe aute cj>
finguiare tua crga mefepe tefohcans beiuoletia poftremu vero /q> tc icolume
mteliexir. be orbine fyaru coniu n= ctionumeni autem/vero» &ua in re ib
quocg abuertenou eft/g> fres inueni= nras coiuctiones recto atcp vfiiato
orbine.que funt eni/aute/et vero. feb tuipfe tyec oia ac multo plu= ra raule
cogncueris.^fi CICERONE Lriptai et in primis eius epiftolas lect»tabis. Mcmorie
pro s ifum eft. Memone prohtu ficmat fcnptu eft. multa enita= lia ornatiffime
vfurpantur vanis cu fignificatus, vt memorie trabere.mabare fcriptis.mabare
litteraru monumetis.quoru fermc omniueabe vis eft feb manbare memorie aliub
fibi vibetur velle. Falht me bcc rcs. Fallo verbu tritu eft apub CICERONE f
aliit mc r;ec rcs bicimus.fallit te fpes.quob e fruftratur et beci p it. Miflu
f acerc . Miffu facere ib e bimitterc venuftu et ornatu eft, nam miffam Ijanc
rem f acio fignif icat bimitto xl= lam rem. Hc quibem» $bf;uc et in eabem
oratione buc f;ee particule/ne et quibem/pulcfyerrjme futifi quis f uerit ilhs
rec te vfus. nam cum ponuntur femper aut aliquib bictum cit( aut mentc ib
concipitur vt ne aubmi cT quibem.fignificat euira Q exempli caufa) non folu non
vibi feb neqj ctiam aubiui . Item aliub exemplum pfylofopijie ftubia bemocritus
n5 mobo n5 intermittit ;Ieb ne remittit quibem.reaiittere na<| pfyiam cft
remiffius pfyilofopfyari? .be orbine pluriu fine coiunctioc Scb ea quoq?
abljibeba biligetia elt q> li quabo plura ponimus preferti
finecopulatioeCqui articuius eft et fi ibi vibeatur fignificare quob
vefyemetius fonat magis coilocetur i calce.vttua virtus lauba ba probaba e.na
probaba eft rnagis q> fit ai mbicio Magitratus biligere/amare/colere
oebemus. pro bau3mios virosomnesf; omines verentur./ obseruat abmiratur quc
turpia / obfcena i tetra ; f cba fut.'ea fugere et afpernari bebemua. virtutis
offi= cju fuma laus efr.na l?abet officiu accelfione actio nis. (JSeb i l?iis
quoq? orbo quibe fpectanbus eft q> fi tria quoru buo parte aliqua
ugnificenti tercis um lit communius^ib prof ecto plcrumoj bebet in f ine
collocariinili fe fyabuerit qucbam generis mo bo.tunc enim ecotra fit quob nunc
liquibo ac pers fpicuo patcf accre exemp{is«ac prioris quibe excm plu cft.oms
in abipifcenba virtute cura/opera/bi- iigentiaiponenba e. eft eni cura
confilium animi, opera corporis i bihgentia vtrumqjcomplectitur. Item
inrepublica plurimum i&uftrie/laboris/ te poris ponen&u eft,#smicos
confilio I viribus opera abiuuare bebemue. Cylterius nof a exemplafut l ion
lunt per fc rcs comobe ex eten&e bjuicie/tjo norcs/voluptates comobum eni
generislocum beiinct cuius fpecies funt multe.puta quas mobo nuirerauimus. Atg
item animalia queqjV fyoines Ieones;equi/bcnu vibetur appetere . feb vUamc|
resfele fyabeat. Ii multa fint,' quobpluriseft/ bc= bet poni m finc.iam ab alia
prccebamus. Qanfquis,' vtvt i vbiubi, Multocicns gcminatio in quibulbam tam
verbis infinitis q> abucrbiis tanti valet quati i& nome fel' ct cuncg.
vt quilquis pro quicuncg, quotquot prQ quotcug. quatufquatus pro quantulcucj»
qualif= qualis pro quaiifcuqj. vtut pro vtcuqj, vbiubi pro vbicunq?. ct ib
abucrte biligenter/ vi . ^vcccbit. ^ccebit proabbitur/§ vfitatum cfttam
pulcfyer= rimum vibcri bcbet. vnbe et acceffio abbitioncm fignat. vf ab meas
miferias mictji acccbit bolor ib eft abbitur. Conf ibo, Cofibo non ficut quiba
arbitraf ur( nefcio quo pac to)ftruit J,13 iugitur aiias catio ahas ablatio
cafui n et in fyiis potiffimu verfatur que ab animum fpertant. vt confibotua
virtute/ tuafyumanuatef tuo confilio. et lbem be aliis fyuiufmobi. Crebo pro
cornitto. Crebo quocg pro comirto ornatiffimum eft. vt crc bo tibi confiLa mea.
crebo tibi granbem pecumam et fic be aliisr/ C^rahbismaior vel minornaftu 0ranbe
abiectiuu nomen pvoh vel etati conuemt vel pecunie. pecunie exepla fupra
pofuimus. leb l?ic grabior neftorc vibetur ib § vibetur qi ncltore vincat etate
et atecebat. r;ic tit graoisnatu/ajrabife fimus natu SIGNIFICATIO geuu fjonine
/ atcj atmo--bu fene.St quia be natu facta meeioi maior natu otnatifiie ficmif
lcat feniore ficut mior natu ib eft, be Parentfyefi. {J. iuniore/ Infuper^aubi
Hepiba fit interposita nonnuncp in oratione /atcpinteriecta parentljefis .
vtbebifti ab meCque mea eft fumma voluptas fuam fimas lits teras. omnes amicos
(nifi ialloOpJurimum abmi ror.fcire velim exte (ea nacg eftamicorum cofuetubo)
quib nuperin caufa.M. Tfaitoniiegeris et iti bemum (repostulante) noftraram
Jjuiufmobi oratione interpositionibus alpergatrtus. be Incrcbuit, Hecres apub
me lerebuit/et fere %nif icat ab au res perueit^et REI NOTITIA SIGNAT. Vt nos
nefcire quib feicemus» Nefcio t)ac re.ignoro/ preferif me f ugif me. la= tet
me. fyuius rei nefcius fum.ignarus fu.jpec res fcietiam meam f ugitf. Reliquu
eft^pro reff at. Hoc refiquu e i& eft reftaf /perpulcfyre / et magno
euornatu lbem fignificaf /exemplu eft.omnia tibi ctnatura et fortuna
tribuitreliquii eff t vt bene et iaubabmter viu?S/. Vulgo ib e vbiql Rumor e
vulgo/ibeft vbiql et comunifer&icifur et ornatus fermo eftf
{J^Cxlv.^vccipere pro au&ire et cognofcere ccipere pro au&ire et
cognofcere peruenufte bititur. Vtacccpirumoribus quor uel certus auctor acccpi
ljolm fama/ que certoauctore cotietur.acce pi nuciis it enuciatioibus.quos
nutios z qui mit ti affert.accepi litterisquas plerucj abaicis accipi mus.et I
aliis cofimilibus lodsf (ffjxlvuHike Ijofce })*keProno% articularib|
bemoftratis cofucuerut ora tores abbere ce a&jectione i iis cafib^ qui i
f.bcfiuut tupljonie ca\vtl?iice fyofce tafce pro jjis fycs feas/ mn V-'
CfCxlviibe tranftatione fyuius pi-epofitiomscum cp* PREPOSITIO que preponi
fofet / poftponitur ecum fi fi jnif icantia eabem manet . et in quibufc bam
juibem femper. que funt mecum tecu fecum nobifcum vobilcum . in quibufbam qupqj
non feper, vt qui cum/quo cumV quibus cu/ te proptet ac etiam propter te lbem
fignificant. et fic quibus cum « t cun quibus • et in iis potiffimum ea
prepofmonum tnnflatio fit que wb enumeramus. Clam prepolitio potius cp
abuerbium» Clam plerumq? prepofitio eft.et nonnuncj abuerbium* (eboratores
PREPOSITIONEM potius accipiunt ;fiue iugatur ablatiuo vt prifcianusfetiti i;ue
accufatiuo/ quobopinatur bonatus* vtclamme prcfectus eft ib dt me nelciente/
iJjCxlix.Cora et prepofitio et abuerbium» Coram cum accetu in prima lillaba prepofttio
eft et quib fignif lcet nemo eft qui nclciat.cum accetu vero in vltima fillaba
abuerbium pulcfyerrimum eft SIGNIFICAT vt ita bicam)prefentialiter. quo
frequentiflime viriboctivtuntur – vt apud CICERONE .cupio tecum coram iocari ib
eit prefentiali ter.etiam coram tecum loquor. De abuerbusin. I. et.
V.befinetib. Multa abuerbia in.I.exiftetia etiam I ipfis epifto lis
pulefyerrima funt.feb i;ec imprimis ruri vefpe ri/bomiybelli. Multaitem ino
fero/ Icrio/ conlulto poftremo/falfo/merito.precario. Cetera vero in eobem
exitu beunentia ljaub in frequenti funt vfu oratoru» i n v vero non multa funt
biuicuius SIGNIFICATIO MANIFESTA EST. Ioterbiu/quob eft quafi infra mebii bid
temcus.£t noctu pto nocte.quob magis nome e. Vnbe biu noctucg bicimus;
(jXluNullus pro nom Hullus «li.um.n6nu§ pro non.prefertim fum /es cft verbo
abiuncto.vt nullus fum.ibefi interii. ref pu.nulla eft (quau non eft lbeft
extmcta eft. Ibc| ornatiffimu f uerit. Preftofum.ib e affum vel appareo.
Preftomm SIGNIFICAT affum. et f ere appareo . et Dc ibem abuerbiuj eiufbem
verbi moois omnibus ac temponbus peruenufte conuectitur i m eabem qua mobo
pofuimus SIGNIFICANTIA vt prefto micfyi fuit feruus tuus vrbe ingrebienti / lb
eft affuit. ([Cliii.Licet micfyi bono vito efleivel bonum viriun. Licet micfyi
bonu virum effe et licet micfy bono vi ro elfe vtrumcj latine atcj vf ltate
bicitur. Seb goftering magis oratoriu est. Pcirpetuu et Iperpetuu aouerbia?
Perpetuu et imperpetuum abuerbia pro eobe po s niitur ' et eis f requeter
vtimur. Deuindo proobligo» Deuincio verbum cum pulcfyerrimum e.tum pre cipue
eplis congruit SIGNIFICAT et beuincio oblis go / et bevinctus obligatus / ficut
et fepe obnos xius quobnonloiumtritomore SIGNIFICAT tquoo notu eft. febetiam
beuincturm. Collocare apub aliqui beneficiu. Collocare apub alique benef irium
eft alicui benefi cium facere, vt apub gratos viros beneficium col iocafti
(IClvii.Gratificor» <5ratif icor libi fyanc rem predare vfurpaf ur / prp
gratumfacjo» ([Clviii.De "inbulgeo et ignofco. Jnbulgeo fane verbum eft
aptiffimum et fplenbis bi ornatus. quob et batiuo iungitur t et f erme
\ignificat bo operam, at(j ita reponitur ♦ vt fyie nis mio fomno inbulget. ib
eft nimis bormit mmio d bo inbulget / lb eft nimis comeoit . be aliis con
fimili pacto. H Inbulgere quafi concebere eff verbum luxurielam quanbam Mignans
clemetia tt in&uicjentem paretem appelfamus/ leniore er= ga Iiberos
mgenio.quare z ab ignofco piurimum biffert.eft enim ignofco parco.ibeit bo
venia.fme excufatum fcbeo.ignofco tibiifiquibCexepu cauz faJabmifens lceleris .
inbulgeo vero i vt multa a= cpre impune queas. quorum verbgrum bifcrime i>il
^entifFime conliberabum eft/ TANTVS QVANTVS Tantus. ta.tum. et quantus eobemobo
fefyas bent in 01 atione vt raro alterum abfgaltero pona tur. vt cor.cio l?ec
tanta eftiquata ante^ac vn§ fu it.tnbuis micl?i tantu quantum necagnofco / nec
postulo tdntum in te eft bocfrine quantum 1 boc= tilfimo fo 7 et effe viro;
iI_Clx T a»a qualis? Taliff et qualis alterutru creberrime ponitur* ra ro
vtrucj. vt teie iolemus fentire bonu viru/et fub Bitelligimuf quale biximus.z
ecotra.orator eilfu ftris qualis alter nuilus reperitur. veru l?ec be f)is
htiBt ^LClxi. Vel pro eciam, tVel pro etiam particula I multis locis rectiffime
congruit.vtfyambal fuit imperator velomnium primus.tua eximia virtua vt tearoem
velmaxie impeliit. ([CytVfrforj » Verfor verbfi ifl f requetiffio e vTtt veteru
ac oifer toiu foofni . perbif f nlaqj e eius verbi fignif icatia ac beno variis
poteftrationib? expoi.vt ego verfori Iraru ftubio ib l bo opera lraru ftubio. virt
us circa bifficile versatur ib e virtus i bifficiii cofiftit. ver famur in
tenebris ib est f ere fumus ac viuimus et quasi stamus in tenebris etCquob est
exemplis superioribus beciaratum) buos fibi plerumq? ac fre qnetius casus
postulat. nam aut accusativo vingi tur/precoata circai aut ablatiuo in
precebete. na cu acanatiuo vt ante f unbu verlari.ab porta ver= fabatur pcrraro
bicta funt. fcb queabmobu cetens rebus oibus { ita buie f uma abfybenba e
biiigetia, ^QQUiii . 8niuer o Sinaute HonnuS oue particule ornatiOime
coiunguntur, quarum eabem fit vtriul* f ignificatio. vt enmero nam pro explenba
SENTENTIA altera bumtaxat Juffi cere poterat et similiter finautem cauia
conplenbe fentencie. eo in loco aute patticula nullam omnino vim l?abet. 1m eni
per le iignif icat feb h/ trClxiiii.&ttoab. auoabypro quoufq;/et pro
quabo/no minus ornate ponnur^ latine.vt volo in vrbe effe/ quoab tu rebeasa .
ita in plenfc* locis conlimihter accipi poteft. Sufci pere. Sufcipere no
folum(quob tritug vulgatufcg vfus fyabeOfignificat quob eft fuper fe accipere
et quo= bamobo abbucere aliquibi feb etiam perornate po= fitum in epiftolis
cemmenbatum Ipabere. vt fu£ci= pit cicercnem cefar in fuis rebus abuerfis . que
vticj poftremaugnificatio /r/aub^quaqKfi quisin= fpiciat accuratius)a priore
illa afiena eft. Positivo abiucta negatio cotrarii politiui pleruqj vim tenet.
Optima quocj ratio eft vt pofitio cuipiam abiun = cta negatio cotrarii poifiui
virn ac SIGNIFICATIONEM twneat. feb non ita plene / tamen et accurate lilam
expleat.cuius rei exempla fubiciamus . r;ic vir eft J;aut improbus. SIGNIFICAT
enim i ere fyuc lpomine prolum potius q> imprcbum effe jfyabenbum . et pr;us
^aub igncbilis.r;iftrio non illepibus.miles co inftrenuus.ciuis fjaub malus.Nam
in iis/eo= rumc| fimilibus rectius atcjj vlitatius bicitur qua bo vis laubis
cuiufbam eit. feb quafi biminute/ et quafi btf raubate laubis. Peto r;anc rem a
te CLuob gramatici bicunt peto te r; ac rem /ornatius nec minus latir. e bici
queat * peto banc rem a te et ibplutimum ciceip m epiftoJis cofueuit. ConHdoY
pro pereo. Conficior paffiua voce crebro vfitatu e pro eo f e= re quoo e
pereo.vt confectus fu ibeft columtus vt vir lops ac mifer
.'fame/fricjore/bolore coficitor. fic anis etate et ftubio conficitur, ac
merore Jbbo? re/fenio cofectus.et be aliis fic per mulf is? ^JOxix ftblatmi tu
participioru tfl alioru peruenuftam rebbut orationS ftblatiui cafus no
participioru folu/veruecia om niu alioru in orone percodne ponutur.prcfet tjm
fi qua f uerit fignificatio teporis » et be participiis quibe mariif eftu eft,
vtregnante octauiano cefaref parta eft vniuerfo orbi pax * quafi qua tempeftate
regnabat octauianus cefar et aliub bioniiio firas cufis tyranum
gerente/grauifuma inficilia bella fut gefta.ibeft jn quotepore fyracufanoru
bionifc? us tyranus erat* ([Beb eobe quocj rao alia que bam fe babet nomitaa
.maxime fi bignitatu ct 1)0noru extiterit. vtcornelio et galba cbilibus
curilibp acte fut in tfyeatro f abule. Quiba abbut partid pium exiftenubus.IeO
nos profybemus l quob ab vcnuftate oratiois n5 pertiet abbi oportere . et iU
fcipionc conlule peni beuicti funt. Icipione imperatore euerfa eft numantia .
jpt reliqua eiufmobi panter. (JCIxx.be geitiuis cu pofieffiuis pronoibus
Licetetia ta Ljramatice q> oratorie genitiuos quo rumcuqt cafualm cu
pcffeffiuis quocuq; cafu proJa tis coiugere. qucb ct priftianus trabit . vf mea
ca venit/rt celeroru amicorum.meuagrum et mar ci anfonii populati funt.tuo
amico ac fratris gra= •iificare.tuu.r; imperatorem fectare et coriolanum p
ncfter ac frains amice. fua ille confibit et ciuiu pruoentia./C tqj lta
figuratur conftrucfio in omnibus pdifeff:ui3.pinc terentianum illub meo prefi
bjoatq^ofp.ti. ^e nominatiuo poffeffiuo cu gemtiuo poffefibris.Ibq? penitus
mfpidenbu fit/quaboqj etiam bifcre=. tioms leu abubancie cuiufbam caufa folet
abbicu genitiao poffefforis et nominatiuus pofieffiuus vt fuus eft.C.cefaris
mcs ib tlt eius et no alterius fuus ticiifilius fjeres teftamento conftitutus
eft. fuus( vt ipfe quocj pnftianus exponit>b bifcrctio ne eius pertinet qui fecubum
leges fuus non ciU ib eft fub poteftate patris legittimi non eft . fuus autem
pro vnius cuiufq? proprie accipitur, quob ipfum apub viros eloquentiffimos
freques eft. Quibbiftatbie quartoetbie.quatfa. Qit quartaC vt nonius marcellus
eciam teftis eft) et bie quarto non ibem fignificant . feb mafculino genere
preter itu tempus befignatur f eminino f ututum . quob vef uftiffimi tamen
aliter protuleriit vt fic bit quarto pro eo e quob aliter nubiufqrtus bicifur
.'nubiuftertius.^et ltibe be aliis. Qm ib infere inter tua ca et tui ca feci»
Tua caufa fcci/et tui caufa feci ( ne pretei veteru et boctorem cofuetubinem
aliquib ef f iciamus ine ter fefe fyaub mebiociiter bifcernutur . nam tui ca
bicimus/fiquib eiabquem fermonem vertimus preftiterimus. vt tui caufa a&
antonii caftra prof e ctus quob eft tuenbi tui gratia. kb tua caufai cum tuaQ
vt ita bixerim) contemplatione aliquib alteri preftiterimus vt tua ca»fratris
tui caufa egi/ ^JXHxxiiii,be bif f erentia intcr gcnis tiuos primitiui et
pofieffiui . £t quia aliquib be lis que ab poffeffionem fpectant locuti lumus i
fyaub ab re f uer it bif f erentia illam ptof erre in mebium .que intcr genmuos
priuKi= ui eft ct poffelliui. vt mei tui fui noltri et veftri. qua tibem
pulcfyerrime pnfcianus exponit . vox na<$ eft eabem .at vis ipfa longe
biuerfa.cu genitP uus pnmitiui fimplicem fignificat poffeifionem. potfeffiui
vero bupliccm» vt mci amicus ibe meu3 amicus . feb mei filii amicus bupjicem
poifefiione continet alteram meam in f ilio alteram filii i ami co. quo cc
fubiecimus/ne cum ornafum requiri= mus4 verboru vim icjncremus ipfam/atq? in
errorem quepiam iguorater incibamus feb nunc institutum prosequamur. C|xi.v. in
mentem venit. Hcc res mic*?i in mttem venitbicitur. et cum ge= nitiuo l;uius
rei mid?i m mttem venit. nec micfyi curc eft an j:ro nominatiuo geriitiuus
pofitus eft, vt uq; veto ncn iolum poete feb etiam. M. ricero vfurpauit;
fJClxxvi.be teporu c6mufatione t Oratcr;s(f:cut et poete^perfepe prefentibus
tepo ribus vtuntur pro pretetitis . nonnucj et pro f u= turis. veru lb quioe
muitorarius . feD cotra fyaub crebro fit.nifi forte incp verbum/ quob fufuri
temporis eft / preteriti foco vel prefentis accipiamus. Seb muita que fuper
fyiis bici polfut/in aliub quo 9 tempus ieruamus; 4j0xxvii.>3imilis genitiuo
et plenus batiuo. Similis et plenus nomina Cquorum prius batiuo iugitur 4
postrerius etia ablatiuo)oratores vt pluri mu/ac fere femper genitiuo iugunt.
vtfimilis'es !"uoru maioru.bignitatis et of ficii es plenus» no» nuq»
vero(feb perraro)pr«feruntur cu superioribus cafibusj. Vt fubiuctiuis imprdtiua
verba iunguntur. Sepenumero ctia maioris SIGNIFICANTIE causa vel ornatissime
imperativis subiunctiua verba iugutur quob CICERONE fepe ef ficere folebat.
quale e iliuO cu = va vt vir fis. et aliojoco fcrxbens ab f ilium eff ict
etiaboravtexcellas. Curri WcenatuWprabetur. Decurritur fpaciu/cenatur rijombus
l pranbetutultu Wcoftmilj aq? pulcf;errime bicuntur/ <£ixxx. Vt trafitiua
verba abfokte prof cruntur» fltqf vt abfoluta iterbu vcrba obliquis cafibus iun
gutuWita trafitiua quocp iicet nonunqua non folu pro gramaticoru more/feb etia
pro oratoru cofue tubie abfolute prof eratur .preferti vcro ili qua fu passio
cu ACTIONE IPSA SIGNIFICATVR qualia illa fat. Lugeoinbeo metuo. que cum
transitiva funt inunc abolute proferutur. Dc terminatis m bunbus. due I bubus
excut noia ; no ta fimilitubine significat Cquob pleng arbitratur) § abubatia
quabam potius ac vefyemetius.vt gliabubus no ta cjioriati fimilisiq» abunbe
feie vefjementerqi ef feres.Qua opinione eloquetiu ateji qSerubitifumoru
fcominu vbicg teftimoniis coprobata/tu quoqj firmiter ara pfectere.na(vtalios
omitta)7?vulus gelius auctor probatiffimuf ex fnla quotj boctiffimi
appoftinaris letabu5us bicitur^qui logo atcg sbubati errore efu et tu quocj
eiftem vtere nominibus. De Fretus Fretus.ta.ui.icerte originis ablatlo iuctu
pultfyer nmu eft.'et ugmficat fere confilu atej munitu. vt vra fyuanitate f
rcius . vra fapieuU J i:on mea vir tute fretus. Certicrefacere Certiore facere
vfitate atcj frequenter in epistolis vsurpatur. na facio te be i$ac re
certioremUb e tibi figmfico l;ac re.et fepilfime velim me be tua vali tubine
facias certiorem; Habeo. Habeo varia coftructione figuratu plurimu orna tus
Ipet.vt bene fyec res fc l)et.'qucb e fere vt ita bi ca\'ftat bene fyec res.et
ita bene fyeo me . et cu participiis bene me fyabes rebeo rure et cotrariu ab
uerbiu similiter ei verbo iugitur quob eft maie; /plxxxv.be participiis f uturi
temporis. Participia fepenumetQ i uturi temppris ornatiffime vfurpantur vt
scripturus fum ab SCIPIONE (si veda) litteraa. quoo eft fere bebeo scribere .
etaliub.' tu ab ebes cras iturus eslquafi ire bebes. CICERONE (si veda) e
atfyeas profecturus ib e bebet atfyenas proficifci. plautua in ciprum
traiecturus eft ( fere eftnauigarebcbet in cipru.quob ibcirco ita expofuimus
quoniam is pi-opne nauigare / is tranfmittere t is folucre ei» locum fignificat
vnbe prof icifcimur is bemu tra= iicere biciturl g> eubem befignat qui rate
vebitur. vt CICERONE (si veda) soluit atfjemsiet in afiam traiccitt(f/e= ru ab
propofitu rebeubum eft . illa igitur particis pia quc a verbis manant palliuis
et naffiue quoqj cxponi bebent vt cuius infons animus e/mulctaa bus non cft ib
e mulctari et puniri non bebct . fon tes accufanbi funt ib e accufari
bebent.vir flagicio fusefttrubebus incarccremibe coiicienbus jn vi cula . 8t
alia reliqua exponatur / vt fupra biximus{JjMec tame negauerim qui eorunbem
participi oru alia quoqj ratio fit feb ea nos mobo profequi mur iprefetiaru/que
venuftius eloquiu rebbant/ Repeto Qoiib repeto ^none perpulcfyre ponitur.fi
quib ei accefferikneq; batiuus foluscafus/feb etiam abla= tinus.vt jepeto fjanc
rem memoria/ quobnon te neo memoria figaifieat. vt permulti extimat feb *< H
•podus meoria voluto^t rcmifcor /et quasi oblmi oni trabitu rurlu lueftigo
meoria»l;oc nos vii vei bo ornatiffie poterimusiquonia ecbe z veteres eic
quetiffimi f requeter vfi iut* l;k illub be ORATORE CICERONE (si veda) libro.
cogitanti mkl)i /ac memoria repete ti et africanus a neuio accufatus / tnbuno
plebis <% ab antfyioctjo pccunia accepilfet / comcbiffimc to verbo vsus
rnemoria (mquit) quintes repeto ^unc bie fyobiernu effe*'quo Ijanibale penu
iimitif tmu fyuic imperio vici in africa l et perpetua pace vobis/ac victoriam
peperi infeparabile» veiu cap= tus ingenti voluptate longius in af rica verbis
re f erebis progrelfus furcuquaobrem «b veltru inititutura ref erat k oratiof.
Promori; bieobireymorte oppe tereet fimilia,' pro viaere aute vita agere/ be
gere ctatetn / etfimilia ornatebicimus/ Optimu factii fuerit l ne eifbe aut
mobis oratiosis/aut verbis vtamur* eKquob inicio bicimus) varia plurimu probat
oratio et ti veluti quibufba fiofculis afpergitur vt pro morivbie obire /mort«m
oppcterc anima expirare / vitabecebere] ani ma efflare/ vita befugi^ rebus
fyumaqis excebere ex vita migrare/res beferere fyuanas i exii e be vitalnwtc?
pbireiextremum claubere bie; interire i i occibere cdfimiliacg* et iteru pro
viuere vitam age re begereetatem/ Vtlu&oluou.Ticet viuo vita &icimus et
coniimilia» St(ne figillatim cucta coplectar)illu& fcoc loco ani
mabuertenbum iitiq ficut fepe bicimus lubo lubu pugno pugnaiferuio
feraitutemiboleoy &olore^et fimilia.' ita et inter&u viuo vitamVviuo
miferam feu felixe vitam, vt fi quis bixerit qui expe&ita fu«= erint
virtuteconfecuti, / ii viuentbeatam/ etimor = talem vitam.et qui predaru
certamen certaucrit/ a mphffimis bonabitur muueribus . £t quob &e va riis
bicimus orationis mobis l i& ipfu be fingulis partibus intelligebu lit, vt
pro oro rogo/ precor obfecro/ pro quafi pene ferme.reliqua tuipe coiec U}
<JClxxxix, Ib genus, Ib genus pro eius generis C quo& fere simile nomen
expnmiOpulcfyre et vfitate bicitur vt multa funt ib genus monftra. be multis ib
genus rebus locutus eft.'quob e fimilibus.et ita in alns^ {JClxc, Sx fcntencia,
8x fentencia quafi fecunbum votuntaf em et prof= perc • vt gefta rcs eft cx
fcntentia . quob eft prout optabamus.et tibi i& vecit sententiat et muftis
iuiocis confirniliter. “Inferre”. Inferre iiurii quali iniuria facere . manus
iferre alicui eft alique pulfare, impetu j quepia facere iit quepia cu ipctu et
quafi vi aboriniet jrruere. “Dare veniam. “Dare veniam” pulcfyerrimu
efticrnofcerectlicetia coneebere; 3°vt> 'nicio ctatis Ijabui te
amicu.amicicia micr;i tc cum eft a teneris annis/a paruulote primis ctatis
temporibue* a tenerisCvt greci bicut) vnguiculis
abincunabilisipfis.etijuiutmobi. {jQtuuei etaspuicfyerrime abolefccnciam
SIGNIFICAT. F«.rire f ebus. Fcrire f ebus opfame atcp optimis caufis ex feriali
um cofuetubine fignificat f ebus coponere vt per= fepe ictum fcu pcrcuffufcbus/eft
conftitutum/ ct compo fitum. Hft micbi nomc fcipioni £ft miclji
nomefcipioni.fcipioni cognome africa= no f uit.cui paojo troiano nome c ct lic
be reliquig batio cafu perulitate ac puldjerrime bicitur .que eabe z aliis
quoij mois bicutur.£ frequetius m6s fueeriores apub eloquetiffimos et
boctiffimos vi= rosioucnies. ^iunt t f ertur bicitur. i» Cum tritum vcrbu
volumus ©ftenbere Aet quob in ore populo e.' vtimur vel iperfonali fertur / vel
perfonali verbo aiunt Jet nonuncj biritur . et eis fi gulis/ vt preponimus.'
etraro ita.' feb interoii. q> exempla fcuiufmobi lut . nam firenesCvt
aiui)fur bi bwbemus aure tranf ire. et item na ita f ertur vt nulcfc tuta ut
fibes. item fyaub turpe e( vt biutur) tum ultuanbi be grabu beiici. Mebiam
fuper noctem, onuq> ita bicimus nocte luper mebiam vigilaui rous quob e
vltra mebia nocte vigilauinius. ibcj z f taias ipfeteftatuWetquorubam
vetcrumpro= fcut auctoritis. Tenbo. Contra sermone tuu tebo lb e reiponbeo
tibi. y licut et tenbo cotra iter iib e tibi occurro feb fyc fyaub i frequenti
vfu oratorum inuenies. Aacte. Macte /magis aucte.et eft glorie et laubis
fermo,' et plerucj ablatio iiigitur.vt macte virtute elto.ib 9 et poete
vfurpat/et fcriptores fyiftoriara* etbe= mu oratores ipfi. qui lermo C vt multi
erubitilu= rai trabunt)a facris bebuctus elt. 7Kb expiicanbu locum tue genus
gentile ac patnum effingimus. duoties alicuius explicaturi fuaius/iiue genus/ I
sive locu/getuWc patriu nome effingimue. qucb quifecuBeffccerit/fortaffelatine
locutus fit;febil lepibe penitus/atc| Ibecore. vt qui fuent a firacu= fis
oriubus/no be ciracufis bicebul J? firacufanus no be atl;els<f?
atfjemefis.et fic be aliis. atcj i gc= nerifc^ /ac familiis nos no be cu abltio
vtimur(vt muiti l feb ibc nome effidmus vt no bc ftauris f$ luurus . r 6 ite be
grecis fcb grccus non bc catufis feb catulus.non be batis feb batus . Qua qmbe
a reib mento afferebu fitl quob pliniusipfeaiebat/ q> beriuationes no fyabet
firmas regulas . fcb exeunt/tcrminaturc| vti ipfis autonbus placet fic a tfyaurotfyauru/tfyaureu^ttfyaurinu
bjcimus» et quoe nos romanos bicimus^ bicut greci romeos» guos nos
cartfyaginefes ^iUi cartfyiboneos vocantt &qb in enfis valatq as fi ab loca
pertinent frequetiores terminationes sunt. vt albanenfis vero nenfis dufiuua .'
taretinus /lacebcmonus .'eiracutas nus^arpinas.iftlii quoc| funt eorube nominu
exitus.feb 11 frequetiori vfu celebratur.quob ibe ct in quibufba aliis fit«que
mq a generis noibj fluxcre neqj loci vllius. vt tcrecianus cremes/ platoicuB
gigesifocraticus gorgias.queoia a propriis profecta lunt/atcj origine traxerc.
feb que alia fyac bc re^ici pQiTuUtuipe coQitatione coplectere. Conoi\
Conorrjanc rcm optimc ac peruenufte oirimuB, prefertim fi bifficilior fit.'et
arbua. quo pacto cice ro fepe vtebatur. vt oe pcrfecto oratorci maguum opus ct
arbuum brute ccnamurf {[ CCi«{3tubco» Et ftubeo fi quib ftubiofius effecturi
fumus coiam accufatiuopulc^crrimc iuncjitur. “Defibero”. Dcfibero vcrbu
pulcfyerrime pofitfi e . na cu befis beriu fit abfetiu reru perfepc bicimuf befibcro
amo re tuu quafi tu no mc amas.bcfibcro tua prubetis anWquafifis iiipies.et
ltem bc alns; ijCCiii . complector C5plcctor perbiff ufu e/atcj ornatu
verbu.prefer= ti vcro aiiquibus abiecus/ Jjac roe.vt te amore/at q beiuof ecia
coplector /pro te amo» cogitatione co plecfcr .'qucb e cogito.z lb e aiificut
facultatecofe quor/eft rei ipfius; Degerubjuiflf Illub ignoranbu non tltiq
gcrubiuuar mobus ab omni verbo fimili procratur / fi quanbo nobis fo ret eo
opus . vt cantanbo rumpitur anguia ib eft bum cantatur l vt ait feruius et alio
in loco acti^ uc bictum eft* cantanbo tu illum it> cit bum canis. ib
efficere atqj vfurpare oratores queunt/ (] CCv^be quarto p retoriet quartu
pretor Putat nonulli nicfjil itereifeiu quis bixent quarto pretor / ct quartum
prefor / et (ic be aliis. feb magna e certe bra/vt.M.varro teltis e.na quarto
pretor locu figmficat/et tres anteactos. quartum vero befignat tpus .Caue
igitur biligenter ne per= pera fjifce vtaris ronibj.ne ofuib eotra veteru/ at
cp eloquetiu roore/cofuetubinecj faciamus. quare terciu coful/ac tertio cdlulno
ibefignificatt {JCCvi.Kuri effe» £eb ne plura iH f equar(na infinita pene «iu
fmob precipi poflut)ib tene memoria q? no irure effe/feb ruri ee bicimus.quob
cu f eftus popeius affirmat tum terecius cdprobat.aif ei ruri fe cotinebat/
Quaobrem u qua reliqua fut.'paucis ex^ e^.amus Nam cu pro coficiebis epiJfoIis
I)ee potissimu atligerimus si salutatioms formuia/ ac regula ibu um nonaruqj
obferuatione patef eceri .' iure l;uic p aruo inftituto fine ac mobum ftatuerini/
4/C Cvii.Vale Salue» Vale igitur ac falue verba pro VARRONE /et omnium
boctiifimorum virorum (entencia ibem fignif icare vibentur, Quibus nos alias in
faluta0 aiias in execranbo vtimur ex quo terenciann iliuc» 2. valeant qui inter
nos bifdbiu volut /ac cu= piunt mortuis quoqj et qui mortaliu vita beccffes
runt^ quibus nullam fyuiufce Iucis optare lalu.e polfumus,'nonuncj vale
bicimus. CE?t veterea quobam eifoe ibem verbu pro mori bicebat^quafi nicfyil
araplius viuentibus fibi cu mortuis futuru elfet t et imperpetuu iam ab eoru
afpectu bifcebes rent.Nam neg? valet llli nec| falui effe polfunt ob eabem rem
abbut nonulii bene f eliciteng abuerbta aut fi qua alia funt euumobi
fiemihcatie. Veruta= meninepiftolisipfisvaiein finebicere cofueuis mus ab^ vlla
abuerbii acceflione^ perinbe ac amicis vite falute ac f eligitate exoptemuf.
Quib igitur vale fibi querat.' quo ve illo pacto vtebu fit nofcef Ct G
Gviii.bico tibi lalute iubeo te faluere, Pro falute aute piemc| nos bicimus
falutem bico et fi quefalutare cupimus 4 batiuo cafu aptifume appofucnmus» vt
vaie et cefari bic falutem . T^lia quo(j erit faiutanbi ratio.vt iube fcipioncm
faluere quob eft fcipionem faiuta . iSiam ille mobus vi quabam befiberii
cotinet . ct pro antiquoru more et confaetubine inf initiuus mobus in alium
tranf mutatur vt iubeo te faluerc ib eft lalue . iubeo te gaubere pro gaube;
^JCCw.Meo noie vel meis vcrbis, t {Tp ro mea ex paif e. Quob vero alii ex mea
parte bicuntl mulfo quibe ornatius bicitur vel meo noie vel meis verbis/ calebis/nonis/et
ibibus» Quota aute cuiuicuqj mefis biem velimus mtellr gereicalebis/
nonis/ibibus ve notamus.necj quib illi fibi velitinuc expiicare cofiliii
eft.feb quo pacto bicamus figulorum mefium bies.' et quomofco ab eis
nominatione fufcipiat . cpobrem intelligebu elti primis/ primu cuiufqi mt fis
biem/ calenbaru appellatione vocari . fecunbu quas nonarum bies coftituitur .
ef in aliis quibe mefibus feptima luce Marcio/Maio lulio/Octobri.in aliis autem
qui» ta/Ianuario/ Februario/yvpnli lunio / 7\ugus fto/ Septembri/ nouebri
/Decembri. J^tc| omne« ii bies qui cdlenbas et nonas intercefferint*' nonarum
cognominatione cefentur. vbi et numerum meminenmus ac nonas ipfas.et ille
ablatiuo con ftruuntur. fjee accufatiuo. Seb internumeranbu etprepoftero vtemur
orbine^et nonarum biem conumerabimus .' atnonisexactis/ proximosocio bies . ib
quocjt in quolibet menfe ibuum umiitter cognominatione fignincabimus* fcb pari
rone tu orbis/tu anumerationis.reliquos veroeius mefi» (quotquot fuperf
ueriObies calebaru appeliatione notabimus. que hxturiJacpYcximi fut mefisi neeg
orbinis/necp numeratiois roeimutate. 7>vt ib om nc exeplo iiluftrabu iSitqf
martius nobis exeplo. cuius curriculu vno ac trigefimo bit coficitur .pri tna
ltaqj bies halenbe erut mahi.fecunba fexto no nas marcii tercia quito nonas.
quarta qnartono nas . quita ttrcio nonas . fe.\ta no bicitur fecunba nonasifeb
pribie nonas.et lta be lbibus at^ fcalcn lsfeptima bieg none erunt marcii .
octaua octavo ibus marcii .nona feptio ibus mattii becima fex to ibus marcii.vnbecima
quito lbus . ouobeum quarto ibus. tribecima terno ibus . quartabeciina pribie
ibus quitabecima ibus erunt marcii.febecia bccimo leptimo halenbas aprihs.
quoniam is me fis proximum fequitar.beamafepnma beamofrx to halenbas april.g.
becima octava bccimcquinto halerbas/becima nona becimo quarto halebas. vi
ccfuna becimotertio kalcbas. vicefimapt ia buobe* cimo calenbas.
vicefimaiecunba vnbecimo calebas viceiimatertia becimo calenbas, vicefima
quarta nono calenbas vicefima quinta / octauo calenbas. Viceuma fexta feptimo
caienbas . Vicefima fepn= ma lexto cahnbas. Viceiima octaua quinto ca« lenbas.
Vicelima nona quarto calenbas . Trice frnia tertio calebas. Tricefima prima et
nouifiim/i i J pribie fcalebas aprilis.In ceteris omibus eabefer 3 uaoa eit
ratio bieru, Dieru autem numerus f;aub fe lateatgui in propmtu eft cmnibus/
4jCCsi ♦ P^ibie kaienbas,'pribie, nonas,'pribie ibus. Pribie aute
fcalenbas/pnbie nonas/pribie ibus et «t fignificat quob vetuftiffimi bicebant
biepriftini pro abuei bio quob fignif icat bk priftino. et iic per vetuitomore
biecraf tini / et biequitiet biequinto umiliter pto abuerbio, Veru nos prifcam
nimis et Ipombiore vetuftate vbicf f ugere ac vifere bebt mus, #vc bene et
preclare cefar preciperc Folebat/ ta§ fcopulu fic f ugienbu ee iaubitu /atq
ifoles ver fcum; <L Pro genitis aate ihenfiu rectius pof= felfiua nomina
finxerimus. vt pto ijalebis marcii fic uenuftxus bixerimus halebas martiaf z
ita apri les/maias / lunias /iulias /ac quitiles auguffas feu
fextiks/ieptembrias, et itaianuarias/ fcbruarias g> autem m haknbis/nonis
ibibuiq abiatiuo cafu iugimus.' jbcm poifimus in accufatiuu tranfferre et ab
preponer e feb ib iignificst tempus fere biu= turnu, vt ab bccimu kalenbas
februarii bebiiti ab me litteras . ego vero ab ocfauu ibus lanuarias ao te
fcripferam^abet enim vim tejs»f»e*4^vel:;emen twem fyocpofterjus; fc> J 4 1
Operis peroratio. Me «Sor pl«» fcribamdpc micfy Etic imprefen* tiarum obtulerut
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enpient.ua eb error .afa* ita fentienbui vti littens ipbs ab te concinnc
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"atriftcr mM^urinxx^j^iit^Scnom^m ttyAnne* ie fUmati* ^d{' Llmulas kriwor
frpi » Grice: “Dati is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are
a bit like my maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are
the types of rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been
interpreted as that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to
write letters! But he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’
pragmatic reasons to the effect of a most effective, yet ‘elegant,’
communication. Many examples can be philosophical: ‘women are women’, ‘war is
war’. ‘Women are women’ is not meant as a substitutation for Parmenides’s law,
x = x. Such an utterance would be, “Every thing is identical with itself.” “War
is war” is different in that ‘war’ is uncountable, and we can keep the singular
‘is’ of Parmenides’s law, x = x. But why do we consider ‘War is war’ a
tautology? Because it is the exemplification of ‘x = x” – Now, some
philosophers claim that ‘war is war’ – or Parmenides law, for that matter,
isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs to be formalized in the
predicate calculus, and the predicate calculus is not decidable, i.e. there is
no algorithm for its interpretations which render its formulae tautologous. Nome
compiuto: Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The
Swimming Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Deciano: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of the Porch, and
friend of the poet Marziale. Deciano.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deciano,”
The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Deinarco: la ragione conversazionale e la setta di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. A follower of Pythagoras. He is one of those who fled Crotona when
the local people became hostile towards the sect. Giamblico talks about his
followers being killed in a battle years later, which suggests that he may have
established some kind of sectd of his own. Deinarco. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deinarco,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Deinocrate: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A
Pythagorean, according to Giamblico. Deinocrate. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Deinocrate,” The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Delfino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della musica delle sfere -- l’ottava
sfera – scuola di Padova – filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Padova). Filosofo
padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Padova, Veneto. Grice: “Delfino
is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy,
an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito
dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo
padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe
chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu
aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico,
olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu
octava sphaera, Stupanus, Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.
Dizionario biografico degli italiani. Musica
delle sfere Lingua Segui Modifica La musica o armonia delle sfere, detta anche
musica universale, è un antico concetto filosoficoche considerava l'universo
come un enorme sistema di proporzioni numeriche. I movimenti dei corpi
celesti(Sole, Luna e pianeti), ritenuti collocati su sfere ruotanti, avrebbero
prodotto una sorta di musica, udibile solo dall'orecchio dei veggenti, e
consistente in formule armonico-matematiche. Incisione di Franchino
Gaffurio (Practica musice, 1496) che raffigura Apollo, le Muse, le sfere
planetarie e i rapporti musicali. La teoria della musica delle sfere ebbe
origine nell'antichità e continuò a essere seguita almeno fino al XVII secolo,
suscitando l'interesse di filosofi, musicologi e musicisti.
StoriaModifica La musica delle sfere incorpora il principio metafisicosecondo
il quale le relazioni matematiche esprimono non solo rapporti quantitativi, ma
anche qualità che si manifestano in numeri, forme e suoni, tutto connesso in un
enorme modello di proporzioni. AntichitàModifica Pitagora, per primo,
capì che l'altezza di una nota è proporzionale alla lunghezza della corda che
la produce, e che gli intervalli fra le frequenze sonore sono semplici rapporti
numerici. Secondo Pitagora, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare,
per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione, produrrebbero un
suono continuo, impercettibile dall'orecchio umano, formando tutti insieme
un'armonia. Di conseguenza, la qualità della vita sulla Terra sarebbe
influenzata da questi suoni celesti. Nel mondo greco il cosmo era paragonato a
una scala musicale, nella quale i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e
alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la realizzazione dell'armonia
in quanto, secondo i greci, corrispondeva alla nota centrale che congiunge due
tetracordi. Per FILOLAO, matematico e astronomo pitagorico, il mondo è armonia
e numero, e tutto è ordinato secondo proporzioni che corrispondono ai tre
intervalli fondamentali della musica: 2:1 (ottava), 3:2 (quinta) e 4:3
(quarta). In seguito, Platone descrisse l'astronomia e la musicacome studi
gemellati per le percezioni sensoriali: astronomia per gli occhi, musica per le
orecchie, ma entrambe riguardanti proporzioni numeriche. Egli, inoltre,
appoggiò l'idea di una musica delle sfere nel dialogo La Repubblica, nel quale
descriveva un sistema di otto cerchi, ovvero orbite, per i corpi celesti:
stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole e Luna, che si
distinguono in base alle loro distanze, al colore, e alle velocità di
rivoluzione. La visione di un universo strutturato in cerchi concentrici,
aventi come centro la Terra, era del resto comune a tutta l'antichità: si
trattava di sfere intese come ambiti di pertinenza, ognuna delle quali
contenente un pianeta che esse trascinavano con sé, muovendosi in maniera
circolare. Era questo loro movimento a generare il suono, come affermava anche
CICERONE (si veda) Movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in
silenzio, e la natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi
l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui rotazione è
la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre questa sfera
lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra infatti,
nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede, racchiudendo
in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno delle quali due
hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da intervalli, il cui
numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose; imitandolo, gli uomini
esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare
qui, come gli altri che grazie all'eccellenza dei loro ingegni, durante la loro
esistenza terrena, hanno coltivato gli studi divini. Le orecchie degli uomini,
riempite di questo suono, diventarono sorde, né infatti vi è in voi un altro
senso più debole. CICERONE (si veda), Somnium Scipionis, De re publica. Più
tardi i filosofi, fra i quali Tolomeo, mantennero la stretta correlazione fra
astronomia, ottica, musica e astrologia. L’'astronomo arabo al-Kindisviluppò le
idee di Tolomeo nel suo De Aspectibus, che associa anch'esso astronomia e
musica. MedioevoModifica Angelo musicante, affresco di Melozzo da
Forlì, Musei Vaticani. L'antica concezione cosmologica della musica delle sfere
passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente meditata e approfondita,
costituendo la base di numerose raffigurazioni di angeli musicanti, suddivisi
in cori angelici gerarchicamente ordinati, identificati con le orbite celesti
di astri e pianeti: nella musica delle sfere si udiva cantare cioè il corodegli
angeli, che accompagnava gli eventi principali che avvenivano in Cielo, quali
la Trinità, l'Ascensione, l'Incoronazione di Maria. Già Agostino d'Ippona, nel
De Musica e nelle Confessioni, vedeva nei suoni il riflesso di un'armonia
primordiale dell'anima.Furono poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da
tramite fra il pensiero pitagorico, basato sul simbolismo dei numeri, e la nuova
teologia cristiana. La Via Lattea, intersecando lo Zodiaco, forniva per MACROBIO
il «latte», ossia il nutrimento alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di
incarnarsi. Tutto l'universo è per lui fondato su rapporti numerici, nei quali
si riflette il progetto creativo di Dio, esprimibili secondo accordi musicali
basati sulla tetraktys pitagorica. BOEZIO (si veda), ponendo le basi del
quadrivium scolastico, ossia il complesso delle materie scientifiche che
verranno insegnate nelle scholae medievali (aritmetica, musica, geometria e
astrologia), spiegava l'ordine del cosmo secondo la rinuncia da parte dei
quattro elementi agli aspetti discordanti. Egli introdusse inoltre nel De
Institutione musicae una distinzione fondamentale, destinata ad avere grande
fortuna nel Medioevo, tra musica mundana, propria delle sfere celesti, musica
humana, quale si riflette nell'interiorità umana, e musica instrumentalis,
fatta dagli uomini a imitazione di quelle. ALIGHIERI (si veda) allude in più
occasioni all'armonia delle sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso
della Divina Commedia, quando si rivolge all'Amore che governa le Sfere dei
Cieli, il cui movimento rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende
in loro, desta la sua attenzione («mi fece atteso»): «Quando la rota, che
Tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso, con l'armonia che temperi e
discerni, parvemi tanto, allor, del cielo acceso de la fiamma del sol, che
pioggia o fiume lago non fece mai tanto disteso.» (ALIGHIERI (si veda),
Paradiso) Dal Rinascimento all'età modernaModifica L'armonica nascita del
mondo rappresentata da un organocosmico, in Musurgia Universalis di Kircher.
Nel Rinascimento, a fianco della teoria pitagorica si sviluppò la visione
magico-ermetica dell'armonia, espressa dalla concezione del monocordo di Fludd,
nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono
disposte verticalmente sul monocordo, accordato dalla mano divina. Dio, dunque,
è architetto e musicista supremo del creato. Un modello analogo era stato
delineato da Franchino Gaffurio, il quale aveva collocato i pianeti attorno a
un'ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse,
accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo. Keplero, influenzato dagli
argomenti di Tolomeo, scrisse il libro Harmonices Mundi, nel quale vengono
descritte le consonanze fra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e
armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro fra geometria, cosmologia,
astrologia e musica è rappresentato dalla musica delle sfere.[14]Keplero, però,
superò il modello statico delle sfere di concezione copernicana in favore di un
modello dinamico, trasformando le orbite da circolari a ellittiche, che i
pianeti percorrono a velocità variabili (seconda legge di Keplero). Inoltre,
Keplero attribuì a ogni pianeta non un singolo suono, ma un intervallo di
suoni, in cui la nota più grave corrispondeva alla velocità minima che il
pianeta teneva durante la rivoluzione (in corrispondenza dell'afelio), e quella
più acuta alla velocità massima, raggiunta nel perielio. Spinoza, nella sua
Etica dimostrata secondo il metodo geometrico, criticò con fermezza tale
concetto filosofico, indicandolo come idea priva di fondamento scientifico,
frutto dell'immaginazione umana: «la follia degli umani è arrivata al punto di
credere che dell'armonia si diletti anche Dio; e nemmeno mancano filosofi
profondamente convinti che i movimenti dei corpi celesti producano un'armonia, Il
Sole e i corpi celesti. L'immagine ritorna in Goethe, che nel Faust apre il
Prologo in Cielo con le parole dell'arcangelo Raffaele, intento a contemplare
la «melodica» armonia vigente tra il Sole e i corpi celesti. Die Sonne tönt
nach alter Weise in Brudersphären Wettgesang, und ihre vorgeschriebne Reise
vollendet sie mit Donnergang. Intonando l'antica melodia, a gara con gli astri
fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo di tuono. Goethe,
Faust, primi quattro versi del Prologo in Cielo. Nel primo Novecento,
nell'ambito delle concezioni esoteriche elaborate dalla scuola antroposofica,
l'esoterista Rudolf Steiner sosteneva l'esigenza di recuperare la capacità
sovrasensibile, propria dei pitagorici e di epoche ancora più remote
dell'umanità, di percepire la musica delle sfere. Solo inconsciamente, durante
il sonno, l'uomo riuscirebbe ad attingere dal mondo astrale e spirituale
quell'armonia che gli consente di fornire un sostegno alla sua anima razionale,
e ricomporne gli aspetti dissonanti. Tale armonia celeste secondo Steiner,
diffusa attraverso gli spazi cosmici per mezzo del cosiddetto «etere-chimico»,
ha effetto principalmente sul ritmo della respirazione. Il musicista
compositore trasforma incoscientemente in suoni fisici, il ritmo, le armonie e
le melodie che, durante la notte, egli ha percepito nel devachan, le quali sono
rimaste impresse nel suo corpo eterico. Questo è il misterioso rapporto tra la
musica che risuona nel fisico e l'ascolto della musica spirituale durante la
notte. La musica fisica non è che la copia della realtà spirituale. Come
l'ombra sbiadita sta in confronto all'uomo vivo, così la musica-ombra fisica
sta alla vera musica-luce spirituale. Steiner, L'essenza della musica,
conferenza di Colonia) Steiner si propose di ricreare nel microcosmo umano
l'armonia stellare attraverso l'arte da lui stesso fondata, denominata
euritmia, dell'equilibrio tra parole, gesti e movimenti. Hazrat Inayat Khan, Il
misticismo del suono( PDF ), traduzione di Hasan Signora, Weiss, Plinio il
Vecchio. Houlding, a cura di Fabbri, L'armonia delle sfere, su
brunelleschi.imss.fi.it, Museo Galileo. Kahn, Davis, Smith, Affresco
appartenente a un gruppo di altri angeli musicanti dipinti a Roma da Melozzo
nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli, successivamente trasferiti in
forma di frammenti nella Pinacoteca Vaticanam Atti. Classe di scienze morali,
lettere ed arti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Pasi, Storia
della musica, Jaca, Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e
sull'arte, pag. 140, Arkeios, ALIGHIERI (si veda) e la musica delle sfere.
Kepler et the Music of the Spheres, su skyscript.co.uk. URL consultato il 29
Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, Trad. it. a cura di Patrizio
Sanasi. Tiziano Bellucci, L'armonia delle sfere planetarie, lo zodiaco musicale
e i colori, su coscienzeinrete.net. ^ Stefano Centonze, Manuale di Arti
Terapie, pag. 234, ed. C. Virtuoso. Articolo
su Rudolf Steiner e l'euritmia, su italiadonna.it. Weiss e Richard Taruskin,
Music in the Western World: a history in documents, Cengage Learning, Plinio il
Vecchio, Storia Naturale (tradotto da Rackham, Harvard, Houlding, The
Traditional Astrologer, Ascella, Davis, The Republic, The Statesman of Plato,
Nabu Press, Smith, Ptolemy's theory of visual perception: an English
translation of the Optics, American Philosophical Society. Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett
Publishing Company, 2Armonia Harmonices Mundi De Institutione musica Gerarchia
degli angeli Sfere celesti Temperamento (musica) Filmato audio L'Armonia delle Sfere -
i Portale Astrologia Portale Filosofia Portale
Matematica Portale Musica Harmonices Mundi Sfere celesti Hans
Kayser musicologo tedesco. Nom compiiuto: Federicus Dolphinus. Federicus
Delphinus. Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: l’ottava
sfera, first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere,
sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera,
tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera,
octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs.
platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism – Firenze
idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Delia: la ragione conversazionale – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Delia. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, “Grice e Delia,” The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Deliminio: la ragione conversazionale – Luigi Speranza (Roma).
FIlosofo italiano. Delminio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H.
P. Grice, “Grice e Delminio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Delogu: la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura
conversazionale -- semiotica romana – implicatura sarda – scuola di Nuoro
–filosofia nuorese -- filosofia sarda -- filosofia italiana --- Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo nuorese. Filosofo sardo. Filosofo italiano. Nuoro,
Sardegna. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a
little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my
philosophy is about!” Si laurea a Sassari e, come vincitore di una borsa di studio
regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del
periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto
da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia
nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come
vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e prof. ordinario di Filosofia morale presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda
i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi
di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato
scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce. È stato
direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione
sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra. Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), Satta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
Capograssi Altre saggi: “Insegnamento e implicamento empiegamento della
filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La
critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in
S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria
e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La
Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo
culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti
Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni
Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario
filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La
Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets,
Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno
Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi
in Sartre in Sartre, teoria scrittura
impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata
Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto,
Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed.
Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in
Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una
fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense,
Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della
Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese
tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo
di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F.
Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e
Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La
Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà
dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in
Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici
fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta
giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte:
da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone
Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo
del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil,
in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per
la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri,
FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in
L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche
nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e
scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il
suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico
Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica
Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi
di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in
Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in
J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis,
Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni
sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza,
in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nell’Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi,
a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo; in Quaderni
sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e civiche virtù, in
Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio
Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani,
Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Cattaneo e Tuveri, in
Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in
Cattaneo temi e interpretazioni, Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al
confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie,
Roma); J. Sartre, Barionà o il figlio
del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo
e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno,
A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella
scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia
di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru,
Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica
contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge
civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e
Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello
Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana
University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Wojtyla, in Nouvelle
Revue Theologique, Prefazione
all’analisi dell’esperienza comune in Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV,. Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce,, Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth
all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma,. Libertà di coscienza e
religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità,
libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo
Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico,
A. Febbrajo, Giuffré, Milano,. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio
docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e
A.M. Morace, Pisa, ETS, Questioni di
senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma,. La vita e il diritto nell’opera
di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02
marzo, su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com.
Festival di filosofia. Wikipedia Ricerca Sardegna e Corsica provincia
romana Lingua Segui Modifica Sardegna e Corsica Sardegna e Corsica Un
pavimento a mosaico proveniente da Nora (in alto a destra), le rovine romane di
Aleria (in basso a destra), le terme romane di Fordongianus (in basso a
sinistra), e le rovine dell'anfiteatro romano di Cagliari (in alto a sinistra).
Informazioni generali Nome ufficialeSardinia et Corsica CapoluogoCaralis
Dipendente daRepubblica romana, Impero romano Amministrazione Forma
amministrativa Provincia romana GovernatoriGovernatori romani di Sardegna e
Corsica Evoluzione storica Inizio237 a.C. CausaPrima guerra punica Fine456
CausaInvasione dei Vandali Preceduto daSucceduto da Domini cartaginesiRegno dei
Vandali Cartografia Corsica et Sardinia SPQR.png La provincia nell'anno 120 La
Sardegna e Corsica (in latino: Sardinia et Corsica) fu una provincia romana di
età repubblicana e imperiale. La Sardegna entrò nella sfera d'influenza romana
dal 238 a.C. La Corsica due anni più tardi ed entrambe vi rimasero fino
all'invasione dei Vandali del 456. Roma occupò la Sardegna nell'intervallo fra
la prima e la seconda guerra punica. Già nei primi anni del grande conflitto,
precisamente nel 259 a.C., il suo esercito aveva tentato la conquista
dell'isola, giungendovi dalla Corsica, ma il console Lucio Cornelio Scipione,
dopo essersi impadronito di Olbia, aveva dovuto ritirarsi. Statuto
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Province romane
e Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. La Sardegna (in greco Σαρδώ, Sardò)
e la Corsica (Κύρνος, Kýrnos),[1] furono annesse, sottraendole alla dominazione
punica. I buoni rapporti che intercorrevano tra le popolazioni locali e i
Cartaginesi, contrapposti ad un regime di conquista introdotto dai Romani,
determinarono una serie di rivolte (in Sardegna. in Corsica) e un'incompleta
pacificazione in particolare delle tribù dell'interno, con continue azioni,
considerate brigantaggio dai Romani. L'intera provincia era governata da
un pretore(attestato a partire dal 227 a.C.), con capoluogo a Carales
(Cagliari), in Sardegna. Probabilmente l'intero territorio della Sardegna
fu considerato ager publicus populi Romani e sottoposto all'esazione di una
decima, a cui potevano aggiungersi altre requisizioni e si ritiene che ad un
regime simile sia stata sottoposta anche la Corsica. Di una certa importanza
era la produzione di grano della Sardegna mentre altre esportazioni erano
costituite dal sugheroe da prodotti della pastorizia e dalle saline. La
proprietà terriera mantenne in Sardegna il carattere di latifondo, già
impostato sotto la dominazione punica. La situazione della provincia
rimase marginale con una scarsa romanizzazione, soprattutto dovuta alla
presenza dei reparti militari, e con una forte permanenza della cultura locale.
Una prima consistente immigrazione si ebbe nel I secolo a.C. in seguito alle
proscrizioni delle guerre civili. Durante il periodo della guerra civile tra
Mario e Silla vi vennero dedotte in Corsica le colonie di Mariana (presso
Biguglia) e di Aleria. Dopo la morte di Silla, vi riparò Marco Emilio Lepido,
che in seguito, sconfitto dal governatore Gaio Valerio Triario, si spostò in
Spagna con alcuni seguaci. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo la
provincia fu abbandonata dai pompeiani, ma le diverse città accolsero
diversamente le truppe cesariane e furono di conseguenza punite o ricompensate.
Cesare fondò la colonia di Turris Libisonis (Porto Torres, sulla costa
settentrionale) e attribuì a Carales lo stato di municipio. Parallelamente, in
funzione del loro appoggio, a diversi influenti personaggi locali era stata
concessa la cittadinanza romana. La romanizzazione non si estese tuttavia mai
del tutto nell'interno delle due isole. Con la riforma augustea nel 27
a.C. la provincia divenne senatoria, ma nel 6 d.C., la necessità di mantenervi
un presidio armato contro il persistere del brigantaggio indusse lo stesso
Augusto a passarla a provincia imperiale. Fu amministrata sempre da un
praefectus Sardiniae a partire da Tiberio, e da Claudio al titolo principale di
praefectus Sardiniae fu aggiunto l'attributo procurator Augusti. Passò a varie
riprese da senatoria, governata da un propretore, a imperiale, a seconda delle
necessità contingenti. La provincia fu occupata da alcuni latifondi di
proprietà imperiale e interessata dallo sfruttamento delle minieree fu spesso
utilizzata come luogo di confino (per esempio per Seneca). Storia delle
due isole romaneModifica Il Mediterraneo occidentale nel 348 a.C. al
tempo del secondo trattato tra Roma e Cartagine. Frattanto gli Etruschi
subiscono l'attacco dei Galli e di Roma Lo stesso argomento in dettaglio:
Storia della Sardegna, Storia della Corsica e Trattati Roma-Cartagine. Sembra
che il primo serio interessamento di Roma alla Corsica si ricavi da un testo di
argomento insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si
legge di una spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una
città. Le 25 navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente,
rovinandosi le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami
crescevano e si sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a
lacerarle irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che
caricava 50 vele di ricambio affondò con tutto il carico. La spedizione sarebbe
avvenuta intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi,
fra i quali Pais, riferiscono il brano del botanico. Fallita la prima
spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e le due isole.
Per questo interesse giunse anche, a stipulare due trattati con Cartagine,
entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i
passaggi dei trattati sono ben chiari[8], i patti sulla seconda sono tutt'altro
che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica
esset medio inter Romanos et Carthaginienses. Anche Polibio, narrando dei
trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che
l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo
cartaginese, il Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che
tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi
trasmessa a Roma. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine
non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella
Corsica un interesse specifico, giacché ne assoldava periodicamente fidati
mercenari; questa circostanza, unita ad una facile riflessione sull'importanza
strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e
laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi
di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei
trattati. L'occupazione Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra
punica. Dopo lo scoppio della prima guerra punica, il console romano Lucio
Cornelio Scipione sbarcò in Corsica presso lo stagno di Diana, a circa 3 km da
Aleria, e assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa,
Aleriaresistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la fece saccheggiare
con ferocia, ciò che secondo Floroavrebbe diffuso lo sgomento fra le
popolazioni corse. Prima di aver consolidato l'occupazione della Corsica,
Scipione passò in Sardegna dove secondo Giovanni Zonara i locali erano in
rivolta contro Roma in quanto sobillati dal generale cartaginese Annone. Sulla
rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito
dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione
di Zonara a cryptic passage. A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne
organizzò il funerale. Al suo rientro a Roma, il console celebrò il trionfo per
la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi. Le Bocche di Bonifacio
che separano le due isole Gaio Sulpicio Patercolo sbarcò nella zona di Sulci in
Sardegna, ma nei venti anni che seguirono non sono riportate attività
dell'esercito Romano in Sardegna. La pace lasciò così l'isola sotto l'egemonia
di Cartagine, anche perché la suddivisione del Mediterraneo in sfere
d'influenza aveva portato i Cartaginesi, una volta persa la Sicilia, a spostare
la propria attenzione verso altre zone al di fuori della sfera d'influenza
Romana. Ma in quello stesso anno, seguendo l'esempio dei commilitoni d'Africa, i
mercenari stanziati da Cartagine in Sardegna si ribellarono e s'impadronirono
del potere nell'isola, compiendovi ogni sorta di efferatezze finché i Sardi,
esasperati, insorsero e li cacciarono dalla loro terra. L'orda dei sanguinari
invasori si rifugiò allora in Italia dove invitò i Romani a prendere possesso
della Sardegna, momentaneamente indifesa. L'invito fu accolto: Roma, cogliendo
l'occasione dei preparativi punici per la rioccupazione dell'isola, accusò
Cartagine di preparare l'invasione del Lazio e inviò le sue legioni in
Sardegna. Cartagine, che non era allora in condizioni di intraprendere una
nuova guerra contro Roma, subì il sopruso. Il senato romano dichiarò
guerra ai Corsi ed inviò una spedizione di conquista guidata da Licinio Varo,
non coerente con l'avvenuta occupazione dell'isola attestata in alcuni storici
romani. Il comandante Varo, comunque, conscio dell'esiguità della flotta
assegnatagli, fece precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata
meno impegnativa, onde fiaccare le difese corse, facendo sbarcare sull'isola un
corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea.
Prima di questa operazione, Clinea aveva già compromesso la sua reputazione
presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri
e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto)
strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, egli mosse da
solo contro il nemico e ne fu sconfitto.I Focei lo obbligarono a siglare un umiliante
trattato presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a seconda dei
punti di osservazione, e attaccò quando gli avversari, i quali dopo la firma
del trattato non si attendevano un attacco e avevano quindi smobilitato. Varo
li vinse facilmente e conquistò territori nella parte meridionale dell'isola;
poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione del trionfo, che gli fu però
negato. Quanto allo strangolatore di galli, Clinea, Roma decise di lasciarlo in
mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso per esser in qualche modo
venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al trattato sottoscritto, ma questi
lo liberarono ed anzi lo rinviarono a Roma indenne; il Senato tuttavia non
cambiò idea e, dopo averlo riportato in città, lo condannò a morte, inducendo
Valerio Massimo a chiosare che hic quidem Senatus animadversionem
meruerat. Le tribù Nuragiche. Le prime rivolte Così come i Corsi,
anche le popolazioni sarde che se in precedenza avevano finito con l'accettare
la presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con loro, ora non erano
affatto disposte a subire il dominio di questa nuova gente, anch'essa venuta d'oltremare
con le armi in pugno, ed intrapresero subito un'accanita resistenza
all'invasore nei modi di una ostinata e persistente guerriglia. Essi infatti
erano armati alla leggera: utilizzavano le pelli di muflonecome corazze
naturali, oltre ad un piccolo scudo ed una piccola spada. Già nel 236 infatti,
due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punico della
Sardegna, i Romani condussero varie operazioni militari contro i Sardi che
rifiutavano di sottomettersi. Sobillati dai Cartaginesi che "agivano
segretamente", i Sardi si ribellarono, ma la rivolta fu soffocata nel
sangue da Manlio Torquato, che avrebbe celebrato il trionfo sui Sardi. Altre
rivolte furono sanguinosamente represse dal Console Carvilio Massimo, il cui
trionfo sarebbe stato celebrato il 1º aprile dello stesso anno. Fu il console
Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi ed a ricevere gli onori del trionfo. La
resistenza, però, era ben lungi dall'essere stata sedata ed anzi il clima si
fece rovente. I consoli Marco Emilio Lepido e Publicio Malleolo, di ritorno da
una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi, furono
costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li
assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo. Il
Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio Maso, il quale
dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede ad inseguire i
corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i padroni di casa
ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la
scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari,
anche per la denutrizione delle sue truppe. Papirio fu costretto ad una resa e
sottoscrisse un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un
buon periodo di pace. In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica
durante la prima guerra punica, dando l'avvio ad una fase di dominazione che
durò ininterrotta per circa sette secoli. Data la grave situazione di
pericolo, furono inviati addirittura due eserciti consolari: uno contro i
Corsi, comandato da Papirio Masone, e uno, guidato da Marco Pomponio Matone,
contro i Sardi. I consoli non ottennero il trionfo, dati i risultati
fallimentari conseguiti. E a poco valse a Papirio Masone celebrare di sua
iniziativa il trionfo, negatogli dal senato, sul monte Albano anziché sul
Campidoglio e con una corona di mirto anziché di alloro. La provincia di
Sardegna e Corsica Lo stesso argomento in dettaglio: Lista dei pretori di
Sardegna e Corsica. Si verificò una recrudescenza dei moti, ma ormai Roma era
fortemente intenzionata ad assicurarsi il dominio del Mar Mediterraneo, e
dunque il possesso della Sardegna e della Corsica, che continuavano ad essere
di decisiva importanza; così, le due isole (perlomeno le parti controllate da
Roma) ottennero la forma giuridica ed il rango di Provincia - la seconda dopo
la Sicilia - e vi fu inviato il pretore Marco Valerio Levino per governarla.
Per domare gli ultimi focolai, stavolta fu inviato l'esperto Console Gaio
Atilio Regolo, con 2 legioni. La rivolta sarda di Ampsicora e gli anni della
guerra Annibalica Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra
punica. Mappa della rivolta di Ampsicora in Sardegna Giunse a Roma una
lettera del propretore Aulo Cornelio Mammula, il quale si lamentava del fatto
che non erano stati corrisposti gli stipendia ai suoi soldati di stanza
nell'isola, e che vi erano gravi carenze di approvvigionamenti di grano. Allo
stesso fu risposto di dover provvedere con i propri mezzi, poiché al momento
non vi era alcuna possibilità di soddisfare tali richieste. In assoluto, la più importante rivolta dei
Sardi fu quella scoppiata all'indomani delle grandi vittorie di Annibale in
Italia. Livio sostiene che: «l'animo dei Sardi era stanco della lunga
durata del dominio romano, spietato ed avido; erano stati oppressi da pesanti
tributi e con ingiuste imposizioni di rifornimenti di frumento.» (Livio)
Il nuovo pretore inviato nell'isola, Quinto Mucio Scevola, si ammalò
probabilmente di malaria dalla descrizione che ne fece Livio. E quando si venne
a sapere della sua malattia a Roma, gli vennero inviati dei rinforzi (pari a
5.000 fanti e 400 cavalieri), posti sotto il comando di Tito Manlio Torquato. Un
autorevole esponente dell'aristocrazia terriera sardo-punica, quell'Amsicora (o
Ampsicora) che Tito Livio definì: «qui tum auctoritate atque opibus longe
primis erat» (colui il quale in quel tempo era largamente primo per autorità e
per ricchezze), era infatti riuscito non solo a mettere in campo un esercito
sardo abbastanza consistente, ma anche ad ottenere rinforzi militari da
Cartagine, inviandovi ambasciatori in segreto. Secondo alcune fonti insieme ad
Amsicora a condurre la rivolta si trovava pure Annone, un ricco cittadino
punico di Tharros. Cartagine sostenne la rivolta inviando una flotta forte di
15.000 armati, sotto il comando di Asdrubale il Calvo. Il piano di Amsicora era
quello di dare battaglia solo quando tutte le forze disponibili si fossero
riunite. Per continuare il reclutamento tra i sardi dell'interno, lasciò il
comando al figlio Iosto a Cornus con una parte dell'esercito. I rinforzi di Cartagine
però non arrivarono in tempo per colpa di una tempesta che dirottò le navi
sulle isole Baleari dove rimase per molto tempo per essere riparata;e i Sardi
dell'interno indugiarono troppo prima di unirsi al suo gruppo. Iosto accettò
imprudentemente la battaglia offerta dal comandante Manlio Torquato. L'esercito
sardo fu sconfitto subendo la perdita di 3.000 soldati, 800 furono fatti
prigionieri[28]. Asdrubale il Calvo intanto raggiunse la Sardegna, sbarcò
a Tharros e respinse i Romani verso Caralis. A loro si unì Amsicora con il
resto dell'esercito sardo. Lo scontro con i Romani avvenne nella piana del
Campidano meridionale, tra Decimomannu e Sestu. Dopo una cruenta battaglia la
coalizione sardo-punica fu duramente sconfitta, morirono 12.000 tra Sardi e
Cartaginesi e 3.700 furono fatti prigionieri fra i quali Asdrubale il Calvo ed
Annone. Iosto morì in battaglia. Amsicora affranto dal dolore per la morte del
figlio, non volendo finire nelle mani dei Romani si uccise. Una flotta
cartaginesedi 40 navi, comandata da Amilcare apparve davanti alla città di
Olbia, situata nella costa nordest della Sardegna e la devastò; poi quando
apparve il pretore Manlio Vulsone con l'esercito, il comandante cartaginese si
affrettò ad allontanarsi fino a raggiungere Caralis (Cagliari), che saccheggiò
e da lì fece ritorno in Africa con un ingente bottino. Le rivolte del II
secolo Romania e Barbaria Il II secolo a.C. fu, specialmente nella sua
prima parte, un periodo di importanti fermenti insurrezionali. Nel 181 a.C. ci
fu una rivolta dei Corsi, sedata nel sangue dal pretore Marco Pinario Posca,
che ne uccise circa 2.000 e fece un certo numero di schiavi. Una nuova rivolta
fece intervenire Attilio Servato, pretore in Sardegna, che fu battuto e
costretto a ripararsi sull'altra isola; Attilio chiese rinforzi a Roma, questa
inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto voto a Giunone Moneta di erigerle un
tempio in caso di successo, ottenne un nuovo sanguinoso successo, con 7.000
corsi uccisi e 1.700 fatti schiavi. A domare una nuova rivolta fu invece Marcus
Juventhius Thalna, delle cui gesta non è stato tramandato. Oltre al silenzio
letterario sulla spedizione, colpiscono due aspetti anche più singolari del
poco che ne è stato tramandato: il primo è che dopo aver avuto notizia del
successo il senato romano indisse delle preghiere pubbliche, il secondo è che
saputo a sua volta di quanto importante fosse stato considerato il suo
successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura morirne. Morto Thalna,
la ribellione dovette riprendere immediatamente, sostiene Colonna, poiché
Valerio Massimo, pur senza parlare di altre rivolte, segnala che dalla Sardegna
dovette allungarsi sull'isola corsa anche Scipione Nasica a completare la
pacificazione; circa la complessiva azione romana di repressione delle
insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che in nessun caso debba
essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al primo, a nessun altro
condottiero fu poi più concesso il trionfo. La resistenza dei Sardi si
protrasse ancora nel II secolo a.C. Per sedare la ribellione dei Balari e degli
Iliesi, il Senato inviò il console Tiberio Sempronio Gracco al comando di due
legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300 cavalieri, cui si associarono altri
1.200 fanti e 600 cavalieri fra alleati e Latini. In questa rivolta persero la
vita 27.000 sardi; in seguito alla sconfitta, a queste comunità fu raddoppiato
il gravame delle tasse, mentre Gracco ottenne il trionfo. Tito Livio documenta
l'iscrizione nel tempio della dea Mater Matuta, a Roma, dove i vincitori
esposero una lapide celebrativa che diceva:« Sotto il comando e gli auspici del
console Tiberio Sempronio Gracco, la legione e l'esercito del popolo romano
sottomisero la Sardegna. In questa provincia furono uccisi o catturati più di
80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano,
liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l'esercito
sano e salvo e ricco di bottino; per la seconda volta entrò a Roma trionfando.
In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove.» La
Sardegna in epoca romana aveva appena 1/5 dei suoi abitanti attuali (300.000
contro 1.600.000 attuali) e la Barbagia (più o meno la provincia di Nuoro)
poteva avere allora appena 55 000 abitanti (1/5 dei suoi attuali 280.000). Se l'epigrafe
raccontava il vero, i Romani avevano ucciso la metà degli abitanti, per di più
tutti maschi e adulti. Le rivolte dei Sardi non si erano concluse, ma
bisognò attendere gli anni 163 e 162 a.C. per vederne di nuove dopo lo
sterminio compiuto da Sempronio Gracco. Non si sa molto su queste rivolte
poiché andarono perduti i testi di Livio. Si sa però da altre fonti che le
sollevazioni causate dall'eccessiva pressione fiscale dei pretori romani
continuarono e gli eserciti e i generali romani che si susseguirono nel compito
di domare questa terra utilizzarono sempre la stessa strategia: eliminare il
maggior numero di Sardi possibile. Tra le ultime rivolte di una qualche
importanza vanno citate quelle del 126 e del 122: quest'ultima permise a Lucio
Aurelio di celebrare l'8 dicembre il penultimo trionfo romano sui Sardi.
L'onore però dell'ultimo fu dato dal Senato al console Marco Cecilio Metello
che sconfisse l'ultima resistenza dei Sardi uniti (quelli delle coste e
dell'interno). Da questo momento, i Sardi delle zone costiere e delle pianure
dell'Isola smisero di ribellarsi e col passare del tempo si romanizzarono.
Continuarono invece le ribellioni delle seguenti tribù dell'interno che
costrinsero le guarnigioni romane a estenuanti campagne militari. Ilienses
(siti tra il Marghine ed il Goceano) Balari (abitanti il Monteacuto e parte
della Gallurameridionale) Corsi (ubicati nella estremità settentrionale della
Sardegna) Olea - "Sardi Pelliti" o Aichilensens (così definiti
dall'erudito geografo Tolomeo, dal greco aix, aigòsovvero vestiti di pelli di
capra), abitanti la regione del Montiferru: arroccati nelle fortezze di sa
Pattada Cunzada (959 m) - Scano di Montiferro -, Badde Urbara (900 m) - Santu
Lussurgiu -, nei nuraghi di Leari (850 m), su Crastu de sa Chessa (745 m),
Funtana de Giannas (690 m) - Scano di Montiferro -, Silbanis e Monte Urtigu
(1050 m) - Santu Lussurgiu Celsitani, Nurritani, Cunusitani, Galillensi
(odierna Barbagia), Parati, Sossinati e Acconiti (nel Monte Albo e nei Monti
Remule) costituenti la cosiddette Civitates Barbariae, dimoranti nell'area
chiamata Barbària e probabilmente facenti parte dell'etnia degli Ilienses. In
queste epoche, un gran numero di Sardi che erano stati fatti prigionieri furono
venduti come schiavi nei mercati di Roma, al punto che divenne proverbiale la
frase di Livio: "sardi venales" (sardi a basso costo). Mario
fondò in Corsica la città di Mariana (Colonia Mariana a Caio Mario deducta),
sita presso l'attuale comune di Lucciana verso la foce del Golo. Da questo
momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola fiorirono ville
rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo, incluse le terme di
Orezza e Guagno. Le Guerre SocialiModifica Durante le guerre civili
romane la Sardegna fu dapprima spinta verso la fazione mariana dal suo
governatore Quinto Antonio e poco dopo indotta a schierarsi nel campo opposto
dal sopraggiungere del rappresentante di Silla. Sono i legionari di Silla a
trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso Aleria.
Morto Silla, il pretore Caio Valerio Triario mantenne la Sardegna fedele al
partito senatorio capeggiato da Pompeo (l'isola pagò a quest'ultimo un enorme tributo
in acciaio per le armi del suo esercito), finché Carales (Cagliari) non si
schierò con Cesare, imitata poco dopo da tutto il resto dell'isola. Fu scacciato
il luogotenente di Pompeo, Marco Cotta, e fu accolto favorevolmente quello di
Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani non si diedero per vinti e iniziarono
una serie di azioni guerresche intese alla riconquista delle città costiere.
Sulci si arrese mentre Carales resistette: per questo motivo, Cesare punì la
prima e premiò la seconda. La situazione si capovolse di nuovo quando la
Sardegna, assegnata ad Ottaviano, e invece occupata da SESTO POMPEO MAGNO che
la tenne come preziosa base per la sua lotta contro i cesariani, quando,
tradito dal suo luogotenente, fu definitivamente soppiantato da Ottaviano nel
possesso dell'isola. Con quella data finalmente ebbe termine per la
Sardegna il periodo delle lotte violente e dei bruschi sovvertimenti politici,
con le loro funeste conseguenze economiche, durato esattamente duecento
anni. Diodoro Siculo visitò la Corsica e notò che i còrsi osservavano tra
loro regole di giustizia e di umanità che valutò più evolute di quelle di altri
popoli barbari; ne stimò il numero in circa 30.000 e riferì che essi erano
dediti alla pastorizia e che marchiavano le greggi lasciate libere al pascolo.
La tradizione della proprietà comune delle terre comunali non fu eradicata del
tutto. I primi due secoli dell'ImperoModifica Busto di Augusto,
museo archeologico nazionale di Cagliari Le province dell'Impero romano furono
ripartite tra le province affidate all'Imperatore Augusto, governate da legati
di rango senatorio, e province affidate al senato, tra cui la Sardegna e
Corsica, governate da proconsoli (proconsules) di rango senatorio . Anche nelle
province senatorie l'Imperatore aveva suoi rappresentanti di rango equestre
detti procuratori (procuratores) Presso Aleria e Mariana si approntarono
basi secondarie della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati
presso i porti dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana
(sotto Vespasiano). Analogamente a quanto avveniva in altre province, i Romani
si guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare
dai Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo
locale ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili
in collina e lungo le coste. I sardi si ribellarono, non solo all'interno
ma anche nelle pianure, e manifestarono il loro malcontento unendosi ai pirati
del Tirreno. La violenza di questa rivolta costrinse Augusto a rimuovere i
senatori dal comando della Sardegna ed a prenderne lui stesso il controllo
diretto. Fu inviato un distaccamento di legionari, comandati da un prolegato
(al posto del legato) di rango equestre o da un prefetto, a rinforzare la
presenza militare sull'isola che prima era affidata solo ad alcune coorti
ausiliarie. La rivolta fu così violenta che alcuni storici hanno ipotizzato che
la Sardegna e la Corsica fossero state divise e affidate a 2 governatori di
pari grado indipendenti l'uno dall'altro; è infatti attestata l'esistenza di un
praefectus corsicae. Più accreditata è però l'ipotesi che vuole che questo
prefetto di Corsica fosse un subordinato del governatore della Sardegna.
Svetonio ci dice che Augusto visitò tutte le province tranne la Sardegna e
l'Africa poiché le condizioni del mare non glielo permisero, mentre quando il
mare non glielo impediva non c'era bisogno che partisse: questo fa capire che
la rivolta pur essendo violenta non durò molto. Infatti nel 19 Tiberio sostituì
il distaccamento di legionari con 4000 liberti (o figli di liberti) ebrei. La
situazione ritornò tranquilla e Claudio ridette il comando al senato.
Nerone mandò in esilio in Sardegna Aniceto, ex precettore dell'imperatore ed ex
prefetto della flotta di Miseno. Aniceto, su istigazione di Nerone ne aveva
ucciso la madre, Agrippina e qualche anno dopo, per spianare la strada a Poppea
"confessò" una relazione con Claudia Ottavia moglie legittima di
Nerone e fanciulla di specchiata virtù. La Tavola di Esterzili
risalente al regno di Otone, e riportante un decreto del Proconsole della
Sardegna Lucio Elvio Agrippa atto a dirimere una controversia tra i Gallilensi
e i coloni Patulcenses Campani Probabilmente per evitare fughe di notizie o
ricatti Aniceto fu spedito in Sardegna dove visse fra gli agi al sicuro anche
da eventuali sicari dell'imperatore. Seneca, il tutore di Nerone, passò dieci
anni in esilio in Corsica. Vespasiano, tolse al senato il controllo della
Sardegna - forse di nuovo in fermento - e la affidò a un procuratore.
L'imperatore Traiano ristrutturò e potenziò il centro di Aquae Hypsitanaeche
assunse in suo onore il nome di Forum Traiani. Il II secolo fu un momento
di sviluppo e di prosperità anche per la Sardegna: tutti gli abitanti, anche i
barbaricini, si mostravano contenti della politica romana (almeno secondo la
storiografia ufficiale) e ben presto tutta l'isola avrebbe parlato latino (la
lingua dei Cartaginesi è attestata fino al principato di Marco Aurelio). In
questo periodo non ci furono rivolte ed i Romani ebbero la possibilità di
ricostruire e migliorare la rete stradale punica spingendola anche all'interno,
costruirono terme, anfiteatri, ponti, acquedotti, colonie e monumenti. La
ricchezza della Sardegna era dovuta ad uno sfruttamento agricolo e minerario
senza precedenti: l'isola infatti esportava piombo, ferro, acciaio e argento
grazie alle sue miniere, e grano per 250.000 persone. Ma nonostante tutto la
Sardegna venne sempre considerata, e non solo sotto i Romani, come una terra
lontana e utile solo per isolare prigionieri e nemici dell'impero. Tra le varie
persone che giunsero in Sardegna dal mare vi erano numerosi criminali,
rivoluzionari ma anche tantissimi cristiani tra cui anche i papi Callisto e
papa Ponziano e il famoso prete Ippolito. I governatori, in questa fase,
sembravano di fatto dei coordinatori manageriali, con esperienza nel
rifornimento e nel trasporto del grano, più che uomini d'arme. Sappiamo ora con
certezza che, nel 170, la Sardegna era sotto il controllo senatoriale. Se
Ippolito è preciso nella sua terminologia, il governatore della provincia era
chiamato procurator. Questi governatori (procuratori) gestirono il territorio
in modo pacifico ma dopo, come del resto in tutto l'impero, riprese il
malcontento della popolazione, che costrinse i governatori a reprimere le
rivolte con l'uso della forza, nei casi più gravi. Gli ultimi tre secoli
dell'ImperoModifica La situazione era cambiata rispetto a quella del secolo
precedente; i governatori erano quasi tutti militari ed alcuni, come Tizio
Licinio Hierocle e Publio Sallustio Sempronio, erano anche uomini con
esperienze di guerra. Il malcontento andò aumentando poiché le tasse erano
alte, il latifondo si diffondeva e gli agricoltori erano sempre più legati alla
terra. Il fatto che grazie a Caracalla i Sardi e i Corsi, come tutti gli
abitanti dell'Impero, avessero ottenuto la cittadinanza romana, passò in secondo
piano poiché questo onore era in concreto legato a tasse aggiuntive. durante
il regno di Filippo l'Arabo, fu intrapresa la ristrutturazione e risistemazione
dell'impianto viario della provincia che cominciò con Publio Elio Valente e
continuò anche durante il breve regno di Emiliano. Ricordiamo, inoltre,
di numerosi martiri del periodo. San Simplicio, San Gavino, San Saturnino, San
Lussorio e Sant'Efisio in Sardegna mentre Santa Devota (martire attorno,
persecuzione di Settimio Severo, o persecuzione di Diocleziano) è, assieme a
santa Giulia, una delle prime sante còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo
la leggenda, la nave che ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da
una tempesta sul litorale monegasco. Per questo sarebbe divenuta la patrona del
Principato di Monaco e della famiglia Grimaldi. Santa Giulia (martire durante
la persecuzione di Decio, o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e
di Brescia, città dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta
trasportare da Ansa, moglie del re longobardo Desiderio. Santa Giulia è patrona
anche di Livorno, dove le spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo
dalla Corsica. A queste martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali
san Parteo, che fu forse il primo vescovo di Corsica. Il primo vescovo còrso di
cui si abbia notizia certa è Catonus Corsicanus, che partecipò, così come il
vescovo di Caralis Quintinasio, al Concilio di Arlesindetto da Costantino
I. I domini dei Vandali attorno al 456, dopo la conquista di
Sardegna e Corsica. Diocleziano unì la provincia alla Dioecesis Italiciana Dopo
la divisione della diocesi attuata da Costantino, venne compresa nell'Italia
Suburbicaria. Sardegna e Corsica rimasero sotto Roma per tutto il
convulso IV secolo e i primi decenni del V (nell'impero romano d'Occidente),
fino a quando nel 456 i Vandali, di ritorno dalla penisola, dove avevano
saccheggiato Roma, en passant le conquistarono e le annessero al loro regno. Ma
vinsero solo sulle coste, poiché i Sardi dell'interno, ormai pratici,
immediatamente si ribellarono ai Vandali impedendo loro di entrare nella loro
zona. Aleria, in Corsica, fu saccheggiata e, abbandonata, finì in rovina, lo
stesso destino toccò ad Olbia. La parte romanizzata della Sardegna,
grazie ad un certo Goda, che era un governatore vandalo dell'isola di origine
gotica, dopo essersi ribellato al potere centrale resistette per un certo
periodo ai Vandali assumendo il titolo di "Rex". Difesa ed
esercito I Sardi entrarono anche a far parte dell'esercito romano dando il loro
modesto contributo ovunque vi fossero truppe; infatti, per quanto riguarda i
legionari, non essendo un'isola molto popolata, e dato che i cittadini non
avevano avuto la cittadinanza (ottenuta dopo la riforma di Caracalla), il
numero fu sempre bassissimo ed entra nelle statistiche solo nell'epoca
successiva ad Adriano. Per quanto riguarda gli ausiliari, i Sardi
fornirono (come isola Sardegna) 3 coorti, mentre come provincia (Sardegna e
Corsica) 6 coorti, 3 per ciascuna isola con un numero maggiore dei Sardi sui
Corsi. La "Cohors I Sardorum" era probabilmente stanziata a
Cagliari nei primi tre secoli d.C., mentre la "Cohors II Sardorum"
fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur Djuab, a circa 100 km a sud di
Algeri. Il riscatto della Sardegna avvenne con la flotta; infatti i Sardi
erano la prima fonte di reclutamento occidentale della flotta di Miseno.
Considerando invece tutto l'impero, l'isola diventa la quarta fonte di
reclutamento della stessa flotta, battuta soltanto dalle province d'Egitto,
d'Asia e della Tracia che avevano una popolazione molto più grande.
Geografia politica ed economicaModifica Corsica Strabone, che scrisse durante
il principato di Augustoe Tiberio, descriveva la Corsica come un'isola
scarsamente abitata, con un territorio sassoso e per lo più impraticabile. I
suoi abitanti risultavano ancora dei selvaggi che vivevano di rapine.[1]
«Quando i generali romani vi fanno incursioni e prendono una gran parte della
popolazione, rendendola schiava, che poi la si trova a Roma, fa meraviglia per
quanto in loro vi sia di bestiale e selvaggio. E questi o non riescono a
sopravvivere, o se rimangono in vita, logorano talmente i loro proprietari per
la loro apatia, che questi si pentono [di averli acquistati], anche se li hanno
pagati poco.» (Strabone, Geografia) Sardegna Strabone descrive la
Sardegna come un territorio roccioso e non ancora del tutto pacificato. Essa
possiede un territorio interno molto fertile di ogni prodotto, in particolare
di grano.[1] Purtuttavia, così come nei confronti delle popolazioni corse,
anche di quelle sarde le fonti romane (a differenza dei miti greci) non
riportano generalmente una buona opinione. A Poenis admixto Afrorum genere
Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati
coloni. Dai Punici, mescolati con la stirpe africana, sorsero i Sardi che non
furono dei coloni liberamente recatisi e stabilitisi in Sardegna, ma solo il
rifiuto di cui ci si sbarazza. CICERONE (si veda), Pro M. Scauro) Il passaggio
dei Romani lasciò numerose tracce nella geografia della Sardegna per
l'importante opera di mappatura del territorio, del quale si ebbero le prime
serie catalogazioni, ed ovviamente nella toponomastica, di cui parte non è stata
ancora soppiantata nonostante il tempo trascorso. Le Bocche di Bonifacio, che
separano la Sardegna dalla Corsica, erano un tratto di mare molto temuto dai
romani per via delle correnti che potevano far affondare le loro navi ed erano
dette Fretum Gallicum. L'isola dell'Asinara, famosa per il carcere chiuso solo
pochi anni fa, era detta Herculis mentre le isole di San Pietroe di
Sant'Antioco erano dette rispettivamente Accipitrum la prima e Plumbaria la
seconda; Capo Teulada, la punta meridionale dell'isola era chiamata Chersonesum
Promontorium mentre Punta Falcone, l'opposto settentrionale di Capo Teulada,
era detta Gorditanum Promontorium; l'attuale fiume Tirso era chiamato
Thyrsus. Le antiche tribù còrse e le principali città e strade in
epoca Romana. Maggiori centri provinciali e tribù autoctoneModifica Corsica
Prima Strabone[1] e poi, intorno al 150, il geografoClaudio Tolomeo, nella sua
opera cartografica, offrì una descrizione piuttosto accurata della Corsica
preromana, elencando: 8 fiumi principali, tra i quali il Govola-Golo e il
Rhotamus-Tavignano; 32 centri abitati e porti, tra i quali
Blesino,[1]Centurinon (Centuri), Charax,[1] Canelate (Punta di Cannelle),
Clunion (Meria), Enicomiae,[1] Marianon(Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto
Vecchio), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios(Favone), Mariana,
Vapanes e Aleria; 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione):
Kerouinoi (Cervini, Balagna); Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca); Titianoi (Titiani,
Valinco); Belatonoi (Belatoni, Sartenese); Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso);
Kilebensioi (Cilebensi, Nebbio); Likninoi (Licinini, Niolo); Opinoi (Opini,
Castagniccia, Bozio); Simbroi (Sumbri, Venaco); Koumanesoi (Cumanesi,
Fiumorbo); Soubasanoi (Subasani, Carbini e Levie); Makrinoi (Macrini, Casinca).
Sardegna Plinio ci informa che "In essa (la Sardegna), i più celebri
(sono): tra i popoli, gli Iliei, i Balari e i Corsi"; vengono inoltre
menzionati più volte altri popoli minori come i Parati, i Sossinati e gli
Aconiti, che secondo gli storici romani abitavano nelle caverne e depredavano i
prodotti degli altri Sardi che lavoravano la terra e che con le loro navi si
spingevano fino alle coste dell'Etruria per depredarla. Tuttavia bisogna tener
presente che i luoghi abitati da questi popoli minori videro molti secoli prima
dell'arrivo dei Romani il fiorire della civiltà Nuragica, come in tutto il
resto della Sardegna, l'apparente arretratezza di tali popoli fu probabilmente
dovuta alle grosse perdite subite contro Cartaginesi e soprattutto contro i
Romani, che portarono alla relegazione di alcune popolazioni ribelli nei monti
interni, creando una divisione tra i Sardi abitatori di città e di villaggi
nelle pianure e nelle coste e i Sardi montanari che in gran parte si
"imbarbarirono" e si diedero al banditismo. Sempre i Romani,
nei secoli in cui dominarono la Sardegna, fondarono alcune nuove città come
Turris Libisonis (oggi Porto Torres) e fecero sviluppare molti centri abitati
soprattutto nelle coste, come Carales, Olbia, Fanum Carisii (oggi Orosei), Nora
e Tharros, ma anche nell'interno, come Forum Traiani (oggi Fordongianus), Forum
Augusti (oggi Austis), Valentia (oggi Nuragus),Colonia Julia Uselis (oggi
Usellus), ed infine elevarono diverse città al rango di municipio.
BithiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Bithia (sito archeologico). BonorvaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bonorva. Il generale sabaudo Alberto La Marmora,
in esplorazione presso San Simeone di Bonorva, aveva identificato un forte
romano che era stato dimenticato per tutto questo tempo. Il Tetti indica in
realtà che si trattava di una fortificazione punica, che era stata occupata dai
romani. Nulla però dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi
secoli dell'Impero romano. BosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Bosa. L'anfiteatro romano di
Cagliari. Colonna nella Villa di Tigellio. CagliariModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia di Cagliari. Cagliari
(Carales o Karalis) era la città più importante della Sardegna. Il fatto che da
qui partissero ben quattro strade che attraversavano l'intera isola dal sud al
nord, la circostanza che il suo porto fosse un centro strategico importante per
le rotte commerciali del Mediterraneo occidentale (che oltretutto ospitava un
distaccamento della flotta di Miseno ed era il porto dal quale partiva il grano
per l'approvvigionamento di Roma) e che la sua popolazione fosse all'incirca di
20.000 abitanti, rendeva Carales una tra le più importanti città marittime
della zona occidentale dell'Impero romano. La zona abitata si sviluppava
sulla costa per circa 300 ettari, il centro di questa città era il foro, dove
sorgevano numerosi edifici come la curia municipale, l'archivio provinciale, la
sede del governatore, la basilica, il tempio di Giove Capitolino. La città fu
interessata da una serie di interventi edilizi di pubblica utilità come la
realizzazione di una complessa rete fognaria e la pavimentazione di strade e
piazze, la costruzione di un acquedotto che molto probabilmente prendeva
l'acqua dalla sorgente di Villamassargia e, attraverso Siliqua, Decimo,
Assemini, Elmas, arrivava in città passando per il quartiere di Stampace.
Nel I secolo d.C. la città fu dotata di eleganti passeggiate coperte da portici
mentre nel II secolod.C. fu costruito l'anfiteatro, ancora utilizzato per gli
spettacoli al giorno d'oggi, semi-scavato nella roccia, che poteva ospitare
fino a 10.000 persone. Il titolo di municipium fu ottenuto solo sul finire del
I secolo a.C.; era un titolo importante perché le consentiva di essere una
città autonoma con cittadinanza romana. Per quanto riguarda le differenze
tra i vari quartieri, quelli signorili sorgevano nel territorio a nord di
Sant'Avendrace e nell'area di San Lucifero; al loro interno sorgevano le terme,
i templi, alcuni teatri e numerose ricche abitazioni; i quartieri mercantili si
trovavano nella zona della Marina e i quartieri popolari vicino al porto, fra
l'odierna via Roma e il Corso Vittorio Emanuele. Claudio Claudiano, nel
IV secolo, descrisse così la città di Caralis. Caralis, si distende in
lunghezza ed insinua fra le onde un piccolo colle che frange i venti opposti.
Nel mezzo del mare si forma un porto ed in un ampio riparo, protetto da tutti i
venti, si placano le acque lagunari» (Claudio Claudiano) Calangianus Lo
stesso argomento in dettaglio: Calangiani. Nell'attuale Calangianus è
identificato l'oppidum di Calangiani o Calonianus, citato nella Geographia del
Fara. Oltre alle diverse tracce di strada romana per Olbia e Tibula, sono state
ritrovate rovine dell'oppidum nei pressi di Monti Biancu e della località Santa
Margherita, un busto di Demetra a Monti di Deu ed un'anfora all'interno del
nuraghe Agnu. Inoltre, il toponimo deriverebbe dalla divinità Giano, il cui
culto era molto diffuso in Sardegna. CornusModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cornus (Sardegna).
FordongianusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Fordongianus. Fordongianus, Forum Traiani, si trova oggi in provincia di
Oristano ed è particolarmente importante per la sua posizione geografica che lo
vede incuneato tra i monti della Valle del Tirso, naturale via di penetrazione
dalla pianura all'entroterra e punto di contatto tra i due diversi mondi. Fin
dalla sua fondazione fu un centro rinomato per le sue terme, che sfruttavano
una fonte naturale di acqua calda e curativa. Qui si trova un'iscrizione
che testimonia come l'attività delle genti della Barbaria fosse ancora viva nel
I secolod.C. poiché furono queste a dedicare un'iscrizione ad un imperatore,
probabilmente Tiberio, rinvenuta nel Forum Traiani. Terme del Forum
Traiani Come già accennato in precedenza, tra le motivazioni originarie
dell'insediamento, si pone la presenza di una fonte d'acqua naturalmente calda
e curativa. Sfruttando la fonte sorse, proprio presso il fiume, un vasto
edificio termale (che costituisce oggi il nucleo dell'attuale area
archeologica) caratterizzato da una grande piscina, in origine coperta, in cui
giungono le acque calde temperate con un'aggiunta di acqua fredda. L'aspetto
curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di due statue del dio Bes,
divinità legata ai culti salutiferi, e la loro importanza è messa in evidenza
dalla recente scoperta di un piccolo spazio sacro dedicato alle ninfe, divinità
delle acque. In un'area vicina all'attuale centro abitato è stato
rinvenuto l'anfiteatro, vicino alla necropoli tardo-antica sulla quale fu
edificata la chiesa di San Lussorio. Mamoiada Lo stesso argomento in
dettaglio: Mamoiada. Mamoiada (o Mamujada) era probabilmente uno stanziamento
militare romano nell'isola, infatti diversi studiosi moderni sono propensi a
far derivare il suo nome da mansio manubiata (stazione vigilata, sorvegliata).
Altra prova a favore di questa ipotesi è il nome del quartiere più antico della
città "su Qastru" (dal lat. castrum, campo fortificato, accampamento
militare). Mamoiada in effetti si trova in una zona centrale e quindi
strategica della Barbagia, e precisamente al centro della cerchia dei seguenti
villaggi: Orgosolo, Fonni, Gavoi, Lodine, Ollolai, Olzai, Sarule ed Orani, e
dunque questa sua posizione strategica non poteva non essere sfruttata dalle
truppe romane nelle loro azioni di sorveglianza e di repressione.
MacomerModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Macomer. Fondata dai Punici Macopsissa costituiva un importante centro per il
controllo del territorio. La sua importanza aumentò durante il periodo romano,
divenendo un importante snodo fra Calares e Turris Libisonis. Macomer era un
importante nodo della rete viaria creata dai Romani sull'Isola. Meana
Sardo Anche Meana Sardo, villaggio della Barbagia, era probabilmente un
presidio romano poiché il suo nome potrebbe derivare da mansio mediana
(stazione mediana o intermedia) di una tra le più importanti arterie stradali
romani nell'isola quella che da Carales porta a Olbia. Meana si trova
esattamente a metà strada di quel lungo tracciato ed anche a metà strada tra la
costa orientale e quella occidentale della Sardegna. Metalla Lo stesso
argomento in dettaglio: Metalla. Neapolis: Neapolis (Sardegna).
NoraModifica Rovine di Nora Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Nora (Italia). Il preesistente abitato punico non ha
condizionato in maniera particolare l'assetto urbano di epoca romana. I Romani
hanno effettuato infatti pesanti interventi per la costruzione di strade,
edifici e aree pubbliche come il teatro e il foro, demolendo i precedenti
edifici, in un piano di forte rinnovamento urbanistico. I Romani modificarono a
tal punto la città probabilmente perché Nora fu la prima sede del governatore
della provincia. Numerose erano le ville e le case dei nobili e della plebe;
degli edifici non rimane molto poiché erano costruiti con zoccolo in pietra e
l'elevato in mattoni crudi. A differenza delle case e delle ville le strutture
pubbliche erano costruite col cemento e rivestite di laterizi o grossi blocchi
di pietra. Le più importanti opere della città erano: il teatro, costruito in
età augustea, e le terme a mare, edificate tra la fine del II e gli inizi del
III secolo d.C. NuoroModifica Sono scarne le notizie sulla città di Nuoro
in epoca romana. Secondo alcuni proprio all'inizio della dominazione romana la
città fu fondata con l'unione di vari gruppi nuragici, inizialmente legati
contro il nemico comunque, successivamente spinti all'unione dalla possibilità
di arricchirsi col commercio dei prodotti locali. Furono due i primi
nuclei cittadini, infatti i primi due gruppi si insediarono in parti diverse:
un gruppo si stanziò nel monte Ortobene, l'altro nel quartiere di Seuna,
l'altro nel quartiere di San Pietro. In seguito i due gruppi si riunirono dando
origine alla vera e propria città. Importante è anche il fatto che a Nuoro
nella zona più ricca dal punto di vista agricolo, oltre Badu e'Carros, ci fosse
un presidio militare. Questa zona infatti si chiama "Corte", e
ricorda molto la Coorte, che nel periodo romano era un gruppo di soldati.
La città ha avuto una grande importanza strategica poiché è situata proprio al
centro della Barbagia, i cui abitanti per secoli si ribellarono ai Romani prima
di essere romanizzati parzialmente. Nuoro sorge infatti lungo l'antico percorso
principale (asse nord-sud) della a Olbia-Karales per Mediterranea, nello snodo
con la via Transversae (la trasversale mediana) che attraversava la Sardegna
lungo un asse est-ovest (con quattro stazioni nodali negli incroci con le 4
principales: Cornus - Macopsissa - Nuoro - Dorgali/Orosei). La Trasversale
mediana era utilizzata anche per il trasporto del grano della valle del Tirso
verso la costa di Dorgali e Orosei, per l'imbarco del prodotto destinato al
porto di Ostia. Sempre a Nuoro terminava anche una strada vicinale per
l'odierna Benetutti. NureModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Nure (città). OlbiaModifica Busto di Nerone del
54/55-59 d.C. da Olbia, (museo archeologico nazionale di Cagliari). Olbia occupò
in età romana gli stessi spazi della città punica fino alle soglie dell'età
imperiale. Infatti non pare che durante la repubblica si siano verificati
sostanziali mutamenti nell'assetto urbanistico che continuò a mantenere,
intatto, il primitivo impianto ortogonale dei fondatori cartaginesi.
Successivamente la città si arricchì di opere pubbliche: vennero lastricate le
strade, si edificarono due impianti termali e un acquedotto, i cui resti sono
tuttora visibili a nord della città, e si rinnovarono alcune strutture templari.
Una concubina di Nerone di nome Atte fece erigere ad Olbia un tempio a Cerere,
e grazie all'imperatore ebbe latifondi nell'agro e fu anche proprietaria di
un'officina che fabbricava laterizi. Busto di Traiano da Olbia,
(museo archeologico nazionale di Cagliari) Il porto, in contatto con i
principali scali del Mediterraneo, fu di primaria importanza nell'ambito della
Sardegna settentrionale poiché da qui partivano per Roma buona parte dei
prodotti, soprattutto cerealicoli, del nord dell'isola che confluivano nella
città grazie a tre grandi strade. Per questo motivo nel 56 a.C., soggiornò
nella città Quinto, fratello di Marco Tullio Cicerone, che controllava i
commerci per ordine di Pompeo. La necropoli, che si estese uniformemente
oltre la cinta urbana a occidente della città, restituì ricchi corredi
funerari. In particolare, nell'area della collina oggi occupata dalla chiesa di
San Simplicio (santo qui martirizzato, secondo la tradizione locale, durante le
persecuzioni di Diocleziano), l'utilizzo per le sepolture avvenne fino a età
medioevale e vi si rinvennero preziose oreficerie, sarcofagi istoriati e
iscrizioni. Intorno alla metà del V secolo Olbia fu saccheggiata dai
Vandali come dimostrano gli straordinari ritrovamenti avvenuti nell'area del
porto vecchio. Furono infatti ritrovati 24 relitti di navi romane e medievali e
da questo scavo è stato possibile accertare l'attacco dei Vandali e il crollo
della città anche se l'abitato non fu abbandonato e rifiorì in età
medievale. OschiriModifica Una mattonella o un mattone trovata a Oschiri
porta l'iscrizione COHR P S per "coh(o)r(tis) p(rimae)" o
"p(raetoriae) S(ardorum)", ma non è impossibile che provenga da
Nostra Signora di Castro poiché non è conosciuto bene il modo in cui è stato
scoperto questo mattone. Per il resto il luogo non ha nulla che faccia pensare
ad una presenza militare romana. OthocaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Santa Giusta (Italia). Porto
TorresModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Colonia Iulia Turris Libisonis. Mosaico dell'Orfeo Presumibilmente il
sostantivo con cui veniva identificata la città, in epoca romana, era Turris
Libysonis. Questo lo si deduce grazie a Plinio il Vecchio, il quale, nella sua
Naturalis Historia(nel I secolo d.C.) cita "Colonia autem una que vocatur
ad turrem libisonis", letteralmente; "mentre v'è (in Sardegna) una
sola colonia romana, presso la torre di libiso". Tale scrittura fa pensare
ad un riferimento artificiale, probabilmente una torre nuragica (Nuraghe). È
invece grazie all'anonimo Ravennate che si evince lo status dell'insediamento,
il quale sostiene; "Turris Librisonis colonia Iulia", da che si nota
l'aggettivo Iulia, dovuto verosimilmente a Giulio Cesare, probabile fondatore
della colonia, durante il viaggio di ritorno dall'Africa o ad Ottaviano
delegatore di un tale, Marco Lurio, che potrebbe aver fondato la colonia Statua
romana da Porto Torres Oltre a ciò l'importanza del centro, nell'isola, era
notevole, paragonabile solo a quella di Carales. L'importanza politica è
deducibile dalla "Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et
Jianuarii", nel quale si esterna la presenza di una residenza del
governatore della provincia romana, tale Barbaro. L'importanza economica
invece è palese dalle rovine restanti, terme imponenti è una impressionante
maglia urbana, il centro per altro era in comunicazione diretta con Roma,
tant'è vero che nella Ostia antica, si trova un mosaico che riporta
"Naviculari Turritani", riconducibile ai commercianti di Turris.
Infatti le esportazioni di cereali erano notevoli, grazie alla grande pianura
della Nurra, in diretta comunicazione con la colonia mediante il "ponte
romano" (costruzione più imponente del suo genere nell'intera provincia),
sovrastante il fiume Riu Mannu, che tra le altre cose era utilizzato come via
alternativa per i traffici con l'interno dell'isola, si ipotizza la presenza di
un porto fluviale, oltre a quello marittimo. Ma oltre alle esportazioni
cerealicole, erano massicce anche quelle minerali, e salini, provenienti dai
vicini siti. cosa particolare era la presenza del culto di Iside. Altre
prove storiche sono dovute a Cicerone in una sua lettera la chiama
"Collina" ma, visti i ritrovamenti archeologici trovati, possiamo
affermare con sicurezza che Turris Libisonis non fu per Roma solo una collina.
Non è un caso che la città continuò ad esistere nei secoli successivi tenendo
inalterata la sua importanza strategica al centro del mediterraneo. Di
importante interesse non architettonico non fu solo il ponte romano e le terme
fortemente mosaicate ma anche le strade: in alcuni tratti l'attuale Strada
statale 131 Carlo Felice risulta affiancata dalla vecchia strada romana, che
seguiva il medesimo percorso fra i due poli dell'isola. Quartu
Sant'ElenaModifica Il termine Quarto, ai tempi dei romani, stava a indicare la
distanza in miglia che separava l'antico insediamento quartese da Cagliari.
Infatti distava 4 miglia romane da Carales. È stata da sempre una meta ambita,
viste le possibilità che offriva, grazie ad un'economia agricola stabile e
fruttuosa integrata alla pesca e alla caccia. Sarcapos Lo stesso
argomento in dettaglio: Sarcapos. SassariModifica Nonostante la città di
Sassari sia stata fondata in periodo Medioevale, il suo territorio conserva
ricche testimonianze d'epoca romana, a partire da opere infrastrutturali di
rilievo come i resti della strada che collegava Cagliari a Porto Torres e le
rovine dell'acquedotto romano che serviva la colonia romana di Turris.
L'area ricca di vegetazione e sorgenti, era un luogo amato dalle famiglie
patrizie della vicina colonia di Porto Torres, per cui oggi sono presenti nel
territorio le rovine di alcune residenze d'epoca romana, la più famosa delle
quali situata nei sotterranei della cattedrale di San Nicola, molti edifici
medioevali sono stati costruiti riutilizzando materiali provenienti da
abitazioni romane, le colonne presenti nel piazzale del santuario di San Pietro
di Silki, provengono da un tempio romano smantellato che sorgeva nella zona.
Sulci (Sant'Antioco)Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento
in dettaglio: Sulki. Statua di Druso minore da Sulci del I secolo
d.C. Tharros In epoca romana Sulci continuò a fiorire sino a diventare, a
detta del geografo greco Strabone, la città più florida della Sardegna romana
insieme a Caralis. Lo sfruttamento dei bacini minerari dell'Iglesiente, dove
pare sorgesse l'insediamento di Metalla[53], non era infatti cessato, e con
esso l'intenso traffico nel porto sulcitano: di qui l'appellativo dell'antica
Sulci "Insula plumbea". La città dovette disporre di ingenti risorse
finanziarie se all'epoca della guerra civile tra Cesare e Pompeo poté pagare
una multa di circa 10 milioni di sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto
nel frattempo nell'antipompeiana Caralis. Sulci si riprese ben presto
dallo smacco subito, forte anche della floridezza del suo porto e dunque della
sua economia, sino quando, intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu
riabilitata sul piano politico e elevata al rango di Municipium. Secondo
Bellieni, la città tra tarda Repubblica e prima fase imperiale doveva essere
popolata da circa 10.000 persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene
conto della popolazione media nei centri italiani di età augustea calcolata dal
Beloch. L'antico centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente
ancora oggi prestando attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e
minori, nell'area comprendente le attuali vie Garibaldi, XX Settembre, Mazzini,
Eleonora d'Arborea, Cavour, in località detta "Su Narboni". Qui, e
precisamente all'incrocio tra le attuali via XX Settembre e Eleonora d'Arborea
(presumibilmente nell'area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si
trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C.,
grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell'istmo, e al
tempio d'Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili.
Tharros Lo stesso argomento in dettaglio: Tharros. Tibula Lo stesso argomento
in dettaglio: Tibula. UsellusModifica Usellus godette di grande splendore
soprattutto nel periodo romano. Fu nel II secolo a.C. che venne fondata
l'antica "Colonia Julia Uselis" il cui centro si trovava molto
probabilmente sopra al colle di Donigala (Santa Reparata) non lontano da quello
attuale. Venne fondata soprattutto come baluardo militare per contrastare
le continue incursioni dei mai domi barbaricini dell'interno dell'isola. Poté
usufruire dello splendore di Roma che la innalzò dapprima a municipium e poi la
elesse Colonia Julia Augusta sotto l'Imperatore Cesare Augusto, in onore della
propria figlia Giulia ed eleggendo nel contempo i propri abitanti a
"cives". Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, vi fu
Pretore. Quest'ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo ed
in una preziosissima tavola di bronzo dell'anno 158 d.C., come si desume dal
nome dei consoli, contenente un decreto d'ospitalità e clientela, riguardante
l'antica Usellus. La città doveva estendersi per circa sette ettari ed i
suoi fertili terreni vennero assegnati ai veterani delle guerre. In questo
periodo Uselis sfruttando la sua favorevole posizione geografica subì
un'importante evoluzione economica e militare divenendo centro nevralgico di
un'intensa attività economica e crocevia dell'importante rete viaria che la
metteva in comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae (terme di Sardara), a
nord con Forum Traiani e una terza via la univa a Neapolis, vicino alla costa
occidentale. Nel suo territorio sono ancora presenti due ponti romani, ci
cui uno in ottimo stato di conservazione, lunghi tratti dell'importante via di
comunicazione e resti delle imponenti mura che la cingevano. Risorse
economiche provincialiModifica Mosaici concernenti i "Navicularii
et negotiantes Karalitani" e i "Navicularii Turritani" dal
piazzale delle corporazioni di Ostia antica. Il commercioModifica La Sardegna
si integrò nel sistema economico e commerciale dell'Impero soprattutto per
quanto riguarda il commercio del grano, del sale, del legname e dei metalli
grazie ad ottimi porti quali Olbia, Tibula, Turris Libisonis (Porto Torres),
Cornus, Tharros, Sulci (Sant'Antioco) e Carales. L'importanza di questi
porti è testimoniata da due mosaici trovati ad Ostia con la menzione dei
"navicularii Turritani e Calaritani", mercanti marittimi di Porto
Torres e Cagliari. Soprattutto in età imperiale la Sardegna divenne una tappa
obbligatoria per i viaggi dalla penisola all'Africa e alle Mauretanie.
L'agricolturaModifica L'agricoltura era diffusa nell'isola soprattutto nelle
aree pianeggianti e in particolar modo nella pianura del Campidano nella parte
meridionale della Sardegna. Il grano era prodotto in quantità tali che solo
quello che si esportava bastava a sfamare 250.000 persone. Per questo motivo la
Sardegna, durante la repubblica, assunse il titolo di "granaio di
Roma". Si dice che la quantità di grano preso dai Romani dalla
Sardegna non solo bastò per riempire tutti i granai dell'Urbe, ma per
contenerlo tutto se ne dovettero costruire di nuovi. La coltivazione di cereali
era sviluppata in particolar modo nella parte settentrionale, mentre quella
dell'ulivo e della vite era diffusa in tutta l'isola.
L'allevamentoModifica L'allevamento per esportazioni era un'attività economica
diffusa in tutta la Sardegna. Tra suini, bovini e ovini (in particolare i
mufloni) solo i primi erano venduti in buone quantità al resto dell'impero. Gli
ovini erano importanti per la lana e i latticini che i sardi pelliti
dell'interno vendevano a Roma; infatti la pastorizia era una pratica molto
diffusa nella parte centrale della Sardegna. Sappiamo con certezza che i popoli
dell'interno, grazie a questa pratica, furono in grado di arricchirsi
trasformando la pastorizia da attività di sussistenza ad attività d'esportazione.
L'estrazione minerariaModifica (LA) «India ebore, argento Sardinia,
Attica melle» (IT) «L'India è famosa per l'avorio, la Sardegna per
l'argento, l'Attica per il miele.» (Archita) Importante era anche
l'estrazione mineraria, diffusa in tutta la Sardegna. Argento e piombo erano
estratti nelle miniere dell'Iglesiente in quantità tali da far scendere il
costo di questi metalli in tutto l'impero; veniva cavato anche il ferro e il
rame, quest'ultimo dai giacimenti nei pressi di Gadoni[53]. Per l'estrazione
non erano usati solo schiavi di guerra ma anche personaggi scomodi nel campo
della politica o per la religione da essi professata. La pietra e il
granito erano invece estratti nell'interno e lungo le coste. La pietra che gli
isolani avevano sempre utilizzato per la costruzione dei nuraghi e dei loro
templi megalitici era ora destinata ad arricchire gli edifici dei ricchi
Romani. Ancora oggi, sulle isole della Marmorata e lungo le spiagge di Santa
Teresa di Gallura, nella parte nord-orientale dell'isola, non è difficile
imbattersi in blocchi "tagliati" con regolarità oppure in frammenti
di colonne, sfuggiti ai numerosi carichi fatti dai Romani durante tutto il
periodo della loro dominazione, durato quasi settecento anni. Non era facile infatti
imbarcare sulle navi da carico i blocchi di pietra nei tratti di mare
antistanti i promontori rocciosi. Le correnti e le condizioni atmosferiche
provocavano spesso dei naufragi o costringevano i marinai a liberarsi dei
pesanti carichi per evitare che le imbarcazioni affondassero. Principali
vie di comunicazioneModifica Le principali città e strade della Sardegna
in epoca Romana. Quando i Romani iniziarono la conquista della Sardegna vi
trovarono già una rete stradale punica; questa però collegava tra loro solo alcuni
centri costieri, tralasciando completamente la parte interna; d'inverno era
impraticabile a causa delle piogge e i Romani furono quindi costretti a
costruirne una nuova che si sovrapponeva a quella precedente solo
parzialmente. Antica strada romana Nora-Bithiae I Romani
costruirono 4 grandi arterie stradali: 2 lungo le coste e 2 interne. Le viae
principales erano le cosiddette strade antoniniane, tutte con direzione
nord-sud. Ricordandole in ordine da est a ovest: la litoranea occidentale (a
Tibulas-Karales), da Carales (Cagliari) a Turris Libisonis (Porto Torres); la
interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales
per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales), da Carales a
Olbia. A questa ossatura longitudinale si congiungevano sia le "Viae
Transversae" come la Cornus-Macopsissa-Nuoro-Orosei e molte altre strade
più modeste (vicinali) che collegavano i piccoli centri dell'interno tra loro e
con le più grandi città costiere. Questo sistema di comunicazione era molto
efficiente e creò le condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana
presso le popolazioni locali. La rete stradale, inizialmente costruita
per motivi militari, fu poi mantenuta e continuamente restaurata per motivi
economici; grazie a questa, infatti, i Sardi dell'interno vendevano i loro
prodotti ai commercianti romani che provvedevano poi a spedirli nei più grandi
porti del mediterraneo occidentale. La rete stradale romana è stata talmente
efficace e costruita in zone strategiche che alcune strade sono utilizzate
ancora oggi; ne è un esempio la statale Carlo Felice. In epoca Antonina
si perfezionarono le vie di comunicazione interne della Corsica (strada
Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e Aleria-Marianum
- poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente latinizzata,
salvo qualche enclave montana. Arte e architettura provincialeModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte
provinciale romana. La religioneModifica Il tempio di Antas, nei pressi
di Fluminimaggiore I Romani, come è noto, permettevano una certa libertà di
culto; questo consentì alle popolazioni interne di continuare a praticare le
loro religioni preistoriche di ispirazione naturalistica, ed a quelle delle
coste la religione punica con tutti i suoi dei (Tanit, Demetra e Sid,
ribattezzato Sardus Pater dai Romani, venerato nel Tempio di Antas); ma col
passare del tempo trovarono spazio anche i culti di Giove e Giunone poi
soppiantati dal Cristianesimo. Sappiamo che alcune divinità, come un
demone brutto ma benefico rappresentato come il Dio Bes (divinità egiziana
assimilata nel pantheon cartaginese), vennero associate ad alcuni Dei Romani
(in questo caso ad Esculapio, divinità salutare romana). In età romana
era diffuso a Carales, Sulci e Turris Libisonis il Culto di Iside,
costantemente associato ad una cospicua presenza mercantile. Lingua e
romanizzazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Lingua paleosarda, Lingua sarda, Lingua paleocorsa, Lingua corsa e
Romanizzazione (storia). La Sardegna, fortemente punicizzata, fu interessata da
un processo di latinizzazione, ma le zone interne restarono a lungo ostili ai
nuovi dominatori, come d'altronde lo furono in passato nei confronti dei
cartaginesi. L'opera di romanizzazione, affidata al latino, fu completata con
l'introduzione delle divinità, dei sacerdozi, e dei culti tipicamente romani.
Le aree più intensamente romanizzate furono quelle costiere dedite alla coltura
dei cereali (Romània), mentre nell'interno montuoso rimase fortemente radicata
la cultura indigena (Barbària). La lingua delle genti sarde, così, subì
profonde trasformazioni con l'introduzione del latino che, soprattutto nelle
zone interne, penetrò lentamente ma, alla fine, si radicò a tal punto che il
sardo è quella cui più aderisce; in particolare, si ritiene che nella zona
centro-settentrionale la variante parlatasia quella maggiormente affine per la
pronuncia. Nonostante questo, c'è da dire che il latino non si diffuse subito:
è ancora presente un'iscrizione risalente al regno di Marco Aurelio (fine II
secolo) in punico e, se questa era la situazione quando si scriveva, è
possibile che nell'ambito familiare la lingua dei Cartaginesi fosse ancora abbastanza
diffusa. Interessante è il fatto che, a volte, si trovino delle ceramiche
riportanti il nome del proprietario in latino scritto con caratteri
punici. Sembra accertato che la Corsica fu anch'essa romanizzata e
colonizzata dai Romani soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a
veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli
stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre
soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità
linguistiche riscontrabili ancor oggi tra còrso meridionale e dialetti
siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici
potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di
profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria
sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria. Strabone, Geografia, AE;
AE dell'epoca di Massimino Trace. AE di epoca Traianea o Adrianea; AE forse di
epoca Antonina; AE sotto gli Imperatori Caracalla e Geta; AE, al tempo di
Filippo l'Arabo. AE Teofrasto, Hist. plant., Pais, Storia della Sardegna e
della Corsica durante il dominio romano, Nardecchia editore, 1923 ^ Datazione
approssimata secondo le cronologie di Tito Livio e Diodoro Siculo ^ Ad esempio
sull'espresso divieto imposto ai Romani di fondare città in Sardegna ed in
Africa, Servio, Ad Aen., Polibio, questo era l'antico porto della cittadina,
citato da Tolomeo, Florus, Epist. Liv., Zonara, Epitome, Dyson, Comparative Studies in
the Archaeology of Colonialism; anche, dello stesso autore, The Creation of the
Roman Frontier, Oros hostibus se immiscuit ibique interfectus est. ^ Valerio Massimo, Sil. Ital., Scipione eresse
inoltre un tempio di ringraziamento alla dea Tempestas, che Ovidio (Fasti)
celebra così: Te quoque, Tempestas merita delubra fatemur cum paene est Corsis
obruta classis aquis ^ Fra le numerose fonti, Valerio Massimo, Tito Livio,
Ammiano Marcellino e poi Zonara. ^ Nei Fasti trionfali si registra il trionfo
di Scipione come L. CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA],
CORSICA V ID. MART. AN. CDXCIV Il
risultato della battaglia non è noto Rocca, Histoire de la Corse, Boyle,
Valerio Massimo, Anche in Plinio, Nat.Hist., Pais, Livio, Livio, Livio, Casùla,
Livio, Livio, Casùla, Livio, Livio, Livio, Livio, Livio, Vaerio Massimo,
Plinio, Nat.Hist., Pais, Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare
della Sardegna: aspetti e confronti con l'Africa ^ Francesco Cesare Casùla,
p.108. ^ a b c d e f Ettore Pais, pp. 76-77. ^ cfr.Tacito, Annali, XIII, BUR,
Milano, 1994. trad.: B. Ceva. Casula, Pais, Mastino, Cronologia della Sardegna
Romana Casula, Pais, Pais, Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale,
Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Mastino, Natione Sardus:
una mens, unus color, una vox, una natio ( PDF ), su eprints.uniss.it, Rivista
Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizioni Romane, Plinio, Naturalis
Historia, III, 7, 85. ^ a b Francesco Cesare Casùla cfr. per es. F.Cenerini,
Sulci romana, in: Sant'Antioco, annali Zaccagnini, L'isola di Sant'Antioco:
ricerche di geografia umana, Fossataro, Cagliari 1972 (integraz. M.T.)
Iscrizione M Sardegna; MELONI P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari,
Casùla, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά). (traduzione inglese),
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita (testo latino e traduzione inglese).
Livio, Ab Urbe condita libri. (testo latino). Polibio, Storie Ἰστορίαι.
(traduzione in inglese). Strabone, Geografia. (traduzione inglese). Fonti
storiografiche moderne Francesco Cesare Casula La storia di SardegnaDelfino
Editore, Sassari, Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano, La Sardegna romana
e altomedievale. Storia e materiali. Sassari, Carlo Delfino, Il tempo dei
Romani. La Sardegna dal III secolo a.C. al V secolo d.C., Nuoro, Ilisso, Lilliu,
La civiltà dei Sardi, Torino, Edizioni ERI, Pais, Storia della Sardegna e della
Corsica durante il periodo romano Edizioni Ilisso, Nuoro. Raimondo Carta Raspi,
Storia della Sardegna, Milano. Attilio
Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Piero Meloni, La Sardegna
romana, Ed Chiarella,Taramelli, La Sardegna romana, Istituto di studi romani,
Portale Antica Roma Portale Corsica Portale Sardegna
Battaglia di Sulci battaglia della prima guerra punica Espansione
cartaginese in Italia tentativi espansionistici di Cartagine nelle isole
mediterranee di Sicilia e Sardegna Battaglia di Decimomannu. Nome
compiuto: Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I
wouldn’t consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of
the Italian republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of
the peninsula – the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna”
EXCLUDED Sicily!” The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in
that a few letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the
proposition that this is about signs and comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e comprensione” s_gn_
e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica
comunitaria, etica universale, universalita, universabilisabile -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Demaria: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’organismi – implicatura
dinantorganica – scuola di Vezza d’Alba – filosofia cunese – filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vezza d’Alba). Filosofo vezzese. Filosofo cunese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Vezza d’Alba, Cuneo, Piemonte. Grice: “Demaria is what we at
Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per
numerosi studi sulla tomistica. Frequenta il seminario di Alba, entrò
come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli
studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a
Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni,
Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia
Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.
Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e
filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC
con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente
le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica
realistico organico dinamica. Negli anni sessanta fonda con Costa il
Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione
Nuova Costruttività. Insieme con Arnaboldi fecero opera di formazione e
divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali
collegati all'U.C.I.D.. Costa strutturò volutamente la grande e innovativa
impresa dell'Interporto di Scrivia (il così detto "porto secco" di
Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola
dalle imprese tipicamente liberiste. Negli anni settanta fu il referente
culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici
fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò
alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento.
Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la
diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico
dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal
capitalista e a quella marxista comunista. Tommaso Demaria tiene un
seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo. Intensamente
attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a
Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra
tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza
documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di
Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di AQUINO (si
veda) e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo
come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista
con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di
straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in
quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica
funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo
sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi
economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto
dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo
in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica D., passa
attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume
l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con
precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la
vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali
dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza
intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto
che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere
nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai
clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue
scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla
metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due
componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.
Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la
giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica”
-- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova
società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale,
è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di
paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa
terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di
essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le
innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si
devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici. Le
“ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre:
capitalista, marxista, e dinontorganica, e queste sono costruite secondo i
rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo
molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico
ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in
questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per
conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o
società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore
(la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico
con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in
funzione della vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e
profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona
libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere
in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana
viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime
descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità
riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un
complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a
servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione, si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne
segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali
rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul
suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società.
Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone
libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come
prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo
dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società
“dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è
“dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESP Centro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la
pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici: genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro
Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per
una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema
complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata., Bologna, L. Parma, Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e
socialismi: rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli,
Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà: un itinerario
filosofico esistenziale, Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto.
Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La
voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Apertura a “tutto” l’essere, in
Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte?: analisi e
sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Tacconi, La
persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto
del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio
scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza, Realismo dinamico: il problema
metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano
riduzione dell'opera di D., Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio
scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza,L'ideo-prassi dinontorganica: la
costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica: revisione
del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro
Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla
libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Cretti, La quarta navigazione: realtà
storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività
-Tipografia Novastampa, Verona, Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova.
Globalizzazione e metafisica, Bari, Edizioni Levante, Riggi, L'ideoprassi
cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università
Pontificia Salesiana, Pirovano, Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu
Enterprise, Mantovani, Pessa e Riggi, Oltre la crisi; prospettive per un nuovo
modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti
dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano
Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a
Ratzingher, Verona, Fede et Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su
dinontorganico. Scritti teologici
inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia
ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore
cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e
una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la
ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti
del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a
Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure: un'unica iniziativa ma
buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA
STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della
Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle
A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I.,
Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano,
Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il
Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre
ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova
Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale organico-dinamica,
Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo e Stefano Fontana,
Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente. La questione
metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a tutto l’essere in
Nuove Prospettive, Realismo dinamico
Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere e ragionata a cura dell'Associazione Nuova
Costruttività., su dinont-organico. Opere di Tommaso Demaria L’opera
fondamentale di T. Demaria è la Trilogia del Realismo Dinamico, si tratta di
tre volumi in cui l’autore spiega in modo completo e preciso la metafisica
realistico dinamica. Se vuoi farti un’idea di quello che ha scritto T.
Demaria, di seguito trovi tutta la sua bibliografia, per scaricare invece
alcuni dei suoi testi devi andare sul nostro blog Trilogia del
Realismo Dinamico: Volume 1: Ontologia realistico-dinamica = Collana Spid
– Realismo dinamico Ed. “Costruire”,
Bologna (di questo testo è stata redatta anche la traduzione in lingua
spagnola, vedi sezione di questa bibliografia.) Metafisica della realtà
storica. La realtà storica come ente dinamico = Collana Spid – Realismo
dinamico, Ed. “Costruire”, Bologna: La realtà storica come Superorganismo Dinamico.
Dinontorganismo e Dinontorganicismo = Collana Spid – Realismo dinamico Ed.
“Costruire”, Bologna, Altri due volumi integrano la Collana Spid.
L’ideologia cristiana, Collana Spid – Ed. “Costruire”, Bologna, Sintesi sociale
cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Collana Spid – Ed. “Costruire”,
Bologna, Gli altri scritti di T. Demaria non aggiungono nulla di fondamentale
rispetto ai volumi principali ma sono importanti perchè ne esplicitano alcuni
aspetti. La sequenza dei testi è in ordine temporale. Sintesi sociale
cristiana. Metafisica della realtà sociale, «Quaderni di Cultura e Formazione
Sociale», a cura dell’Istituto di Scienze Sociali del Pontificio Ateneo
Salesiano, Torino Cristianesimo e realtà sociale, Edizioni FAC – Villa Sorriso
di Maria, Velate di Varese. I Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla
luce di una Pastorale organico-dinamica Arnaboldi, Paolo Maria – D. – Morini, Bruno, edizioni FAC – Villa Sorriso
di Maria, Velate di Varese. “L’impegno morale del cristiano” documento
pastorale dell’episcopato italiano. Premessa illustrativa dedicata agli
operatori cristiani in campo sociale = Centro Fanin – Collana La fonte, Vicenza
Pensare e agire “organico-dinamico”, Varese s.d, Punti orientativi
ideologico-sociali = a cura del MICL, Ed. Luigi Parma, Bologna. La “questione
democristiana”, Ed. “Costruire”, Bologna Ideologia come prassi razionalizzata,
Il Segno Ed. = NPC, Verona Per una nuova cultura, NPC Ed.,Verona (di questo testo è stata redatta anche la
traduzione in lingua inglese, vedi sezione 2.1 di questa bibliografia.) La
società alternativa, NPC Ed., Verona Verso il Duemila. Per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, NPC Ed., Verona, Un tema complesso sullo
sfondo dell’ideologia come strumento ideologico, NPC Ed., Verona Strumento
ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale = Minidossier
culturali per una nuova presenza cristiana I, Vicenza s.d., Rivoluzione
Industriale e Cristianesimo = Minidossier culturali per una nuova presenza
cristiana II, Vicenza s.d., Riflessioni spirituali. Tipografia Unione, Vicenza
(pubblicazione postume che raccoglie alcune riflessioni spirituali di don
Tommaso Demaria, ricavate da lettere inviate a suor G.A. di cui era direttore
spirituale.) Scritti Teologici Inediti a cura di M. Mantovani e R.
Roggero. Las – Roma. Atti Convegni di Rapallo Per la rieducazione all’amore
cristiano tra le aziende. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni
di Rapallo. Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Ed. FAC Villa
Sorriso, Velate di Varese. Atti Convegni di Rapallo. Il mondo di oggi come
questione sociale. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni
di Rapallo, Democrazia nuova per una nuova società.Ed. FAC Villa Sorriso,
Velate di Varese. Riportiamo anche i titoli di una serie di articoli sulla
rivista quadrimestrale veronese «Nuove Prospettive» (in ordine cronologico:
1988-1991) La metafisica aristotelico-tomista come sistema metafisico
realistico oggettivo; sua crisi e suo rifiuto, in NP I. Metafisica e metodo, in
NP Metafisica realistica integrale, in NP Valore della dottrina sociale
cristiana nell’attuale contesto storico dinamico secolare, in NP. Integrazione
della dottrina sociale cristiana con l’ideoprassi organico-dinamica. Dottrina
sociale cristiana e progetto organico-dinamico di società, in NP Sapienzialità,
in NP La “nuova creatura”: un problema teologico-ecclesiologico risolto solo a
metà, in NP I trascendentali, in NP Metafisica dell’azienda industriale, in NP
Dinontorganicità, in NP La famiglia oggi in una visione organico-dinamica, in
NP Articoli su altre riviste o su miscellanee (in ordine cronologico) La
pedagogia come scienza dell’azione. Appunti per una epistemologia pedagogica,
in Salesianum Sociologia positiva o positivo-razionale? A proposito di una
introduzione alla sociologia, in SalesianumPer una Ecclesiologia organica, in
AA.VV., De Ecclesia, PAS, Torino Concezione religiosa dell’educazione, in
Rivista di Pedagogia e Scienze Religiose, Dio e la Religione, in AA.VV. De Deo,
PAS, Torino Il posto e il compito dei laici nella Chiesa. Per la rieducazione
all’amore cristiano nel campo economico-sociale. Per una valida teoria della
pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni
di Rapallo per Industriali e Dirigenti Velate di Varese 1965, Prima parte
29-40. Dalla Sociologia cristiana normativa alla Sociologia cristiana
costruttiva, ibid., Parte seconda 23-38. Aspetti sociologici, religiosi e
morali della programmazione economico-sociale,
La formazione all’apostolato, in AA.VV., Il Decreto sull’Apostolato dei
Laici (Apostolicam actuositatem). Genesi storico-dottrinale. Testo latino e
traduzione italiana. Esposizione e commento = Collana Magistero Conciliare LDC
4, Torino Le leve segrete che dominano il mondo. I – Leve dinamiche per un
mondo dinamico, in AA.VV., Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Per
una valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta
degli Atti dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti Velate di
Varese Le leve – non più segrete – che dominano il mondo. Leve cristiane per un mondo cristiano,
Vengono trattati, nelle relazioni 10 e 11, i trascendentali dinamici della
religiosità, socialità, moralità, educatività e missionarietà. Società e
persona umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e società, Società e persona
umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e persona umana, Fede e vita
spirituale, in Giornate di studio per predicatori di Esercizi Spirituali.
Approfondimenti teologico-pastorali, Roma – S.Cuore, Società in trasformazione
e trasformazione dell’uomo I. Società nuova in un mondo nuovo, Il mondo di oggi
come questione sociale. Per una valida teoria della pratica e una adeguata
pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per
Imprenditori e Dirigenti del 7-10 Marzo Velate di Varese 1970, Parte prima.
Società in trasformazione e trasformazione dell’uomo II. Uomo nuovo in una
società nuova, Mondo dinamico e questione sociale I. La questione sociale e le
sue vicende, ibid., Parte seconda, 33-50. Mondo dinamico e questione sociale
II. La questione sociale e la sua soluzione, Democrazia e mondo dinamico, in
Democrazia nuova per una nuova società = Raccolta degli Atti dei Convegni di
Rapallo per Imprenditori e Dirigenti,Velate di Varese, Impresa e società, Studio sul piano teologico
essenziale, in Arnaboldi Paolo Maria – Demaria Tommaso – Morini Bruno, I
Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale
organico-dinamica, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese
Testi ciclostilati a) Relazioni ai Corsi Mid di
sviluppo Per una autentica società giusta: una concreta nuova presenza
cristiana = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma (testi dattiloscritti). La famiglia oggi in
una visione organico-dinamica. La scuola oggi in una visione organico-dinamica
della società. L’impresa organico-dinamica. Sindacato organico-dinamico. Stato
e società. Ideologia organico-dinamica ed Unione Europea Le tre
ideologie. Confronto sinottico = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, Roma L’Assoluto ideologico primario. L’Assoluto ideologico derivato. La
religione. Uomo e società. L’economia. La politica. Etica a matrice
ideologica Le tre ideologie. Confronto sinottico. Seconda serie = Atti del
corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Stato e società. La
democrazia. La libertà. La socialità. La cultura. I valori. Scienza e
tecnica Confronto sinottico delle tre ideologie. Terza serie = Atti del
Corso di studio Mid di Roma Centro
Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato). Richiamo orientativo. La sapienza umano
storica ideoprassica. La scelta energetica. Lo sviluppo. Il futuro del
pianeta Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie = Atti del
Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Quaderno poligrafato),
Guerra e pace. Cultura come civiltà. La civiltà dell’amore Confronto
sinottico delle tre ideologie. I trascendentali dinamici Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato) EDUCazione e formazione oggi = Atti del
Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Relazioni a Corsi di
esercizi o di studio promossi dal FAC La parrocchia). “Su questa pietra…”
– Il nostro sacerdozio: donde veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (Corso Fac –
esercizi spirituali per sacerdoti). Chiesa e mondo Fede – Speranza – Carità
Rimessa a punto teorico-pratica dei Consigli pastorali La Chiesa localeI
Consigli pastorali in se stessi e nella loro articolazione e rapporti (Corso
Fac). La fede cristiana; Il problema ecclesiologico e le anime; La Chiesa e la
persona-cellula; Costruire la Chiesa; La parrocchia nella Chiesa universale; La
Chiesa come anima del mondo; Parrocchia in trasformazione I. Dalla parrocchia
statico-sacrale alla parrocchia dinontorganica religiosa; Parrocchia in
trasformazione II. La parrocchia dinontorganica religiosa; Conoscere la Chiesa
= Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro Nazareth, Come
programmare la costruzione di una parrocchia “Famiglia di Dio” oggi, in una
visione ecclesiale profonda = Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma –
Centro Nazareth, Altri testi ciclostilati Realismo dinamico, Istituto
Superiore di Scienze Religiose, Torino (Dispense), La Chiesa cattolica in stato
di missione, Le tesi delle Libere ACLI = a cura delle L.A.C.L.I. Italia
Settentrionale, Milano, Per una nuova cultura religiosa e sociale = a cura di
Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona, Il Marxismo =
Quaderni di Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona. Tommaso
Demaria. Demaria. Keywords: organismo, organismi, super-organismo, Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – o dinontorganico -- dinamico ontico organico -- l’implicanza
di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al Lizio a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A lizio, a
friend of Catone Minore and was with him in his final days. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of
Seneca, Trasea and Apollonio. Banished from Rome at least once. He defends the
Porch philosopher Publio Egnazio Celer against another one, Musonio Rufo. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’accademia a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Member of the Accademia, cited by Antonino. Demetrio.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’orto a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A notable Gardener. Writes a number of essays on various aspects of
the school’s teachings. Fragments of his writings at Herculaneum reveal a
concern that some teachers were oversimplifying the philosophy in order to make
it easier for their pupils to understand. Demetrio Lacone. Demetrio. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demetrio,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del culto di marte, la
mascolinità, ed
il sentimento taciuto – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia
lombarda --filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese.
Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Demetrio and
the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on
the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle
is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like
me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the
un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice:
“I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the
Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio,
due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I
often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the
‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are
‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit
– his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also
played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he
explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit
distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per
lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica filosofica.
Insegna a Milano, è ora direttore
scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera
università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori
di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età
adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa
in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e
pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione,
Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i
simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di
giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e
didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare,
Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione
a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia
della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio
dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova
identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione
interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova
Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi);
“Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni
di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni
di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio
del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica
autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini
di sé, Torino, POMBA Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie
dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e
scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli adulti. Saperi, competenze e apprendimento
permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi sguardi,
competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli fisionomie,
Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea,
Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza” (Milano,
Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità
esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per difenderla,
Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non
credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le solitudini
degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per incontrare
i «gentili», Padova, Messaggero, Perché
amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Milano, Cortina, Senza
figli. Una condizione umana, Milano, Cortina,,Educare è narrare. Le teorie, le
pratiche, la cura, Milano, Mimesis); “Beati i misericordiosi. Perché troveranno
misericordia, Torino, Lindau); “I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa
dimora, Milano, Mimesis, La religiosità della terra. Una fede civile per la
cura del mondo, Milano, Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green
autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine.
La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco.
Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé.
Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage.
Vagabondare in autunno, Milano, Cortina. Wikipedia Ricerca Marte
(divinità) dio romano della guerra e dei duelli Lingua Segui Modifica Marte (in
latino: Mars[1]) è, nella religione romana e italica[2], il dio della guerra e
dei duelli e, secondo la mitologia più arcaica, anche del tuono, della pioggia
e della fertilità. Simile alla divinità greca Ares, col tempo ne ha assorbito
tutti gli attributi, fino a venire completamente identificato con esso.
Statua colossale di Marte: "Pirro" nei Musei capitolini a Roma.
Fine del I secolo d.C. CultoModifica Venere e Marte, affresco romano da
Pompei, 1 secolo d. C. È una divinità sia etrusca[4] che italica (Mamers nei
dialetti sabellici[5]); nella religione romana (dove era considerato padre del
primo re Romolo) era il dio guerriero per eccellenza, in parte associato a
fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove,
faceva parte della cosiddetta "Triade arcaica", che in seguito, su
influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e
Minerva. Più tardi, identificandolo con il greco Ares, venne detto figlio di
Giunone e Giove e inserito in un contesto mitologico ellenizzato. Alcuni
studiosi del passato (Wilhelm Roscher, Hermann Usner, e soprattutto Alfred von
Domaszewski) hanno parlato di Marte anche nei termini di divinità
"agraria", legata all'agricoltura, soprattutto sulla scorta del testo
di una preghiera rimastaci nel De agri cultura di Catone, che lo invoca per
proteggere i campi da ogni tipo di sciagura e malattia. Secondo Georges Dumézil
tuttavia il collegamento fra Marte e l'ambito campestre non farebbe di lui una
divinità legata alla terra, in quanto il suo ruolo sarebbe esclusivamente di
difensore armato dei campi da mali umani e soprannaturali, senza
diversificazione dalla sua natura intrinsecamente guerresca. Il dio,
inoltre, rappresentava la virtù e la forza della natura e della gioventù, che
nei tempi antichi era dedita alla pratica militare. In questo senso era posto
in relazione con l'antica pratica italica del uer sacrum, la Primavera Sacra:
in una situazione difficile, i cittadini prendevano la decisione sacra di
allontanare dal territorio la nuova generazione, non appena fosse divenuta
adulta. Giunto il momento, Marte prendeva sotto la sua tutela i giovani
espulsi, che formavano solo una banda, e li proteggeva finché non avessero
fondato una nuova comunità sedentaria espellendo o sottomettendo altri
occupanti; accadeva talvolta che gli animali consacrati a Marte guidassero i
sacrani e divenissero loro eponimi: un lupo (hirpus) aveva guidato gli Irpini,
un picchio (picus) i Piceni, mentre i Mamertini derivano il loro nome
direttamente da quello del dio. Sempre a Marte è dedicata la legio sacrata,
cioè la legione Sannita, detta anche linteata, poiché è bianca. Marte, nella
società romana, assunse un ruolo molto più importante della sua controparte
greca (Ares), probabilmente perché considerato il padre del popolo romano e di
tutti gli Italici in generale: Marte, accoppiatosi con la vestale Rea Silvia
generò Romolo e Remo, che fondarono Roma. Di conseguenza Marte era considerato
il padre del popolo romano e i romani si chiamavano tra loro Figli di Marte. I
suoi più importanti discendenti, oltre a Romolo e Remo, furono Pico e
Fauno. Marte comparve spesso sulla monetazione romana, sia repubblicana
che imperiale, con vari titoli: Marti conservatori (protettore), Marti patri
(padre), Mars ultor (vendicatore), Marti pacifero (portatore di pace), Marti
propugnatori (difensore), Mars victor (vincitore). Il mese di marzo, il
giorno di martedì, i nomi Marco, Marcello, Martino, il pianeta Marte, il popolo
dei Marsie il loro territorio Martia Antica (la contemporanea Marsica) devono a
lui il loro nome. Leggenda sulla nascita di MarteModifica Secondo il
mito, Giunone era invidiosa del fatto che Giove avesse concepito da solo
Minerva senza la sua partecipazione. Chiese quindi aiuto a Flora che le indicò
un fiore che cresceva nelle campagne in Etoliache permetteva di concepire al
solo contatto. Così diventò madre di Marte, che fece allevare da Priapo, il
quale gli insegnò l'arte della guerra. La leggenda è di tradizione tarda come
dimostra la discendenza di Minerva da Giove, che ricalca il mito greco. Flora,
al contrario, testimonia una tradizione più antica: l'equivalente norreno Thor
nasce dalla terra, Jǫrð e così le molte divinità elleniche.
NomiModifica Statua di Marte nudo in un affrescodi Pompei. Marte era
venerato con numerosi nomi dagli stessi latini, dagli Etruschi e da altri
popoli italici: Maris, nome Etrusco da cui deriva il nome del Dio Romano;
Mars, nome Romano; Marmar; Marmor; Mamers, nome con cui era venerato dai popoli
italicidi stirpe osca; Marpiter; Marspiter; Mavors. EpitetiModifica Diuum deus:
'dio degli dei', nome con cui viene designato nel Carmen Saliare. Gradivus:
'colui che va', con valore spesso di 'colui che va in battaglia', ma può essere
collegato anche al ver sacrum, quindi 'colui che guida, che va'. Leucesios:
epiteto del Carmen Saliare che significa 'lucente', 'dio della luce', questo
epiteto può essere anche legato alla sua caratteristica di dio del tuono e del
lampo. Silvanus: in Catone, nel libro De agricultura, 83 Marte viene
soprannominato Silvanus in riferimento ai suoi aspetti legati alla natura e
collegandolo con Fauno. Ultor: epiteto tardo, dato da Augusto in onore della
vendetta per i cesaricidi (da ultor, -oris: vendicatore).
RappresentazioniModifica Gli antichi monumenti rappresentano il dio Marte in
maniera piuttosto uniforme; quasi sempre Marte è raffigurato con indosso
l'elmo, la lancia o la spada e lo scudo, raramente con uno scettro talvolta è
ritratto nudo, altre volte con l'armatura e spesso ha un mantello sulle spalle.
A volte è rappresentato con la barba ma, nella maggior parte dei casi, è
sbarbato. È raffigurato a piedi o su un carro trainato da due cavalli
imbizzarriti, ma ha sempre un aspetto combattivo. Gli antichi Sabini lo
adoravano sotto l'effigie di una lancia chiamata "Quiris" da cui si
racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Bisogna dire che il nome Quirinus, come il nome Quirites, deriva da *co-uiria,
cioè assemblea del popolo e indicava il popolo in quanto corpus di cittadini,
da distinguere con Populus (dal verbo populari = devastare), che indica il
popolo in armi. Il ruolo di Marte a RomaModifica Venere e Marte,
affresco romano da Pompei. A Roma Marte era onorato in modo particolare. A
partire dal regno di Numa Pompilio, venne istituito un consiglio di sacerdoti,
scelti tra i patrizi, chiamati Salii, chiamati a vigilare su dodici scudi
sacri, gli Ancilia, di cui si dice che uno sia caduto dal cielo. Questi
sacerdoti erano riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea.
I sacerdoti Salii, in realtà erano un'istituzione ben più antica di Numa
Pompilio, risalivano addirittura al re-dio Fauno, che li creò in onore di
Marte, costituendo così i primi culti iniziatici latini. Nella capitale
dell'impero, vi era anche una fontana consacrata al dio Marte e venerata dai
cittadini. L'imperatore Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana, gesto
che fu interpretato dal popolo come un sacrilegio e che gli alienò la simpatia
popolare. A partire da quel giorno, l'imperatore iniziò ad avere problemi di
salute, secondo la gente dovuta alla vendetta del dio. FestivitàModifica
Era venerato fastosamente in marzo, il primo mese dell'anno nel calendario
romano, che segnava la ripresa delle attività militari dopo l'inverno e che
portava il suo nome, con le feriae Martis, Equirria, agonium martiale,
Quinquatrus e tubilustrum. Altre cerimonie importanti avvenivano in febbraio e
in ottobre. Gli Equirria si tenevano. Erano giorni sacri con significato
religioso e militare; i romani vi mettevano molta enfasi per sostenere
l'esercito e rafforzare la morale pubblica. I sacerdoti tenevano riti di
purificazione dell'esercito. Si tenevano corse di cavalli nel Campo
Marzio. Si tienneno le feriæ Martis. Durante le feriæ Martis i dodici
Salii Palatinipercorrevano la città in processione, portando ciascuno un
Ancile, uno dei dodici scudi sacri, e fermandosi ogni notte ad una stazione diversa
(mansio). Nel percorso i Salii eseguivano una danza con un ritmo di tre tempi
(tripudium) e cantavano l'antico e misterioso Carmen Saliare. Si tienne il
Quinquatrus, durante il quale gli scudi venivano ripuliti. Si tene il
Tubilustrium, dedicato alla purificazione delle trombe usate dai Saliie alla
preparazione delle armi dopo la pausa invernale. Gl’ancilia venivano riposti
nel sacrario della Regia. L'October Equus si teneva alle idi di ottobre.
Si svolgeva una corsa di bighe e veniva sacrificato a Marte il cavallo di
destra del trio vincente tramite un colpo di lancia del Flamine marziale. La
coda veniva tagliata e il suo sangue sparso nel cortile della Regia. C'era una
battaglia tradizionale tra gli abitanti della Suburra che volevano la coda per
portarla alla Turris Mamilia e quelli della Via Sacra che la volevano per la
Regia. Si tienne l'Armilustrium, dedicato alla purificazione delle armi e
alla loro conservazione per l'inverno. Ogni cinque anni si tenevano in
Campo Marzio le Suovetaurilia, dove davanti all'altare di Marte il censo vienne
accompagnato da un rito di purificazione tramite il sacrificio di un bue, un
maiale e una pecora. Luoghi di cultoModifica Marte e Venere, copia
settecentesca da I Modi di Marcantonio Raimondi Tra le popolazioni italiche, si
sa di un antico tempio dedicato al dio Marte a Suna, antica città degli
Aborigeni, e di un oracolo del dio, nella città aborigena di Tiora. Animali e
oggetti sacri Lupo: si ricorda il nipote Fauno, il lupo per eccellenza è la
lupa che ha allattato Romolo e Remo Picchio: il picchio è l'uccello del tuono e
della pioggia oracolare, ha nutrito Romolo e Remo insieme alla lupa Cavallo:
simbolo della guerra (si ricorda Nettuno e gli’equirria) Toro: altro animale
molto importante per il ver sacrum e per tutti i popoli italici Hastae Martiae:
sono le lance di Marte che si scuotevano in caso di gravi pericoli, tenute nel
sacrario della Regia Lapis manalis: la pietra della pioggia, in quanto dio
della pioggia OfferteModifica A Marte si offrivano come vittime sacrificali
vari tipi di animali: dei tori, dei maiali, delle pecore e, più raramente,
cavalli, galli, lupi e picchi verdi, molti dei quali gli erano consacrati. Le
matrone romane gli sacrificavano un gallo il primo giorno del mese a lui
dedicato che, fino al tempo di Gaio GIULIO (si veda) Cesare, era anche il primo
dell'anno. Identificazioni con dei celtici Mars Alator: Fusione con il
dio celtico Alator Mars Albiorix, Mars Caturix o Mars Teutates: Fusione con il
dio celtico Toutatis Mars Barrex: Fusione con il dio celtico Barrex, di cui si
ha notizia solo da un'iscrizione a Carlisle Mars Belatucadrus: Fusione con il
dio celtico Belatu-Cadros. Questo epiteto è stato trovato in cinque iscrizioni
nell'area del Vallo di Adriano Mars Braciaca: Fusione con il dio celtico
Braciaca, trovato in un'iscrizione a Bakewell Mars Camulos: Fusione con il dio
della guerra celtico Camulo Mars Capriociegus: Fusione con il dio celtico
gallaico Capriociegus, trovato in due iscrizioni a Pontevedra Mars Cocidius:
Fusione con il dio celtico Cocidio Mars Condatis: Fusione con il dio celtico
Condatis Mars Lenus: Fusione con il dio celtico Leno Mars Loucetius: Fusione
con il dio celtico Leucezio Mars Mullo: Fusione con il dio celtico Mullo Mars
Nodens: Fusione con il dio celtico Nodens Mars Ocelus: Fusione con il dio
celtico Ocelus Mars Olloudius: Fusione con il dio celtico Olloudio Mars Segomo:
Fusione con il dio celtico Segomo Mars Visucius: Fusione con il dio celtico
Visucio Marte nell'arteModifica Pittura Marte, di Velázquez Marte che spoglia
Venere con amorino e cane, di Paolo Veronese Marte e Venere sorpresi da
Vulcano, di Boucher Minerva protegge la Pace da Marte, di Rubens Venere e
Marte, di Sandro Botticelli MARTE su Treccani, enciclopedia ^ MARTE su
Treccani, enciclopedia MARTE su Treccani, enciclopedia Pallotino; Wagenvoort,
"The Origin of the Ludi Saeculares, in Studies in Roman Literature,
Culture and Religion (Brill; Hall, "The Saeculum Novum of Augustus and its
Etruscan Antecedents," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt; MARTE
su Treccani, enciclopedia Strabone, Geografia, Nota sul dio Mamerte (o Mamers),
in Treccani.it Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dionigi di
Alicarnasso, Antichità romane Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane,
Carandini, La nascita di Roma, Torino, Einaudi, Carandini dà la definitiva
rivalutazione del dio Marte). Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Genova,
ECIG, Dumézil, La religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, Libro del grande
storico delle religioni, che per primo rivalutò Marte da feroce dio emulo di
Ares a divinità più originale e importante). James Hillman, Un terribile amore
per la guerra, Milano, Adelphi, Un libro che dimostra come questo dio sia
presente nelle guerre contemporanee). Jacqueline Champeux, La religione dei
romani, Bologna, Il Mulino, Ares Divinità della guerra Flamine marziale Fauno
Marte (astronomia) Mamerte Pico (mitologia) Hachiman, Fano di Marmar, su
latinae. altervista. Portale Antica Roma Portale Mitologia PAGINE
CORRELATE Salii collegio sacerdotale romano per il culto di Marte
Mamuralia festività Triade arcaica, Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords:il
sentimento taciuto, maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine,
filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile,
virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Democede: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Captured by the Persians, helps to cure an ankle injury that is
plaguing Dario. He eventually escapes and returns to Crotone. Giamblico says he
has a Pythagorean, one of those who fled Crotone during an uprising against the
sect. If this is true, if presumably happens after his return from Persia. Democede. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, “Grice e Democede,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Demostene: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A
pythagorean according to Giamblico di Calcide. Demostene. Refs.: Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Demostene,” The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Desideri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei consenzienti – filosofia
romana – filosofia laziale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo Lazio. Filosofo Italiano.
Roma, Lazio. Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a
‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis,
sensation, and the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine
dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic
theory, as evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for
English ‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a
hygienic interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is
HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin,
Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma,
Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della
giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e
natura nel pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della
coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il
melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme
dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte” – “L’esperienza
del bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa:
estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire:
per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine
dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed
estetica” (Brescia, Morcelliana). A Francesco e Nicola Il fascismo e il
consenso degl’intellettuali Il Mulino, Bologna. Quando ho iniziato le ricerche
condensate in questo saggio, testimonianze e giudizi storiografici erano
unanimi nel riflettere la nota negazione crociana dell’esistenza di una cultura
o filosofia fascista: un giudizio che trova ancora oggi il suo principale e più
autorevole sostenitore in Bobbio, ma che ritorna anche in protagonisti della
lotta anti-fascista e in studiosi di altre aree politiche e culturali, come
Amendola e Rosa. I motivi del persistere di questa negazione, in chi pur si è
dedicato da tempo a indagare con severo impegno civile sulla funzione politica
della cultura, richiederebbero una ricerca apposita, che metterebbe
probabilmente in luce, accanto alla fortuna del crocianesimo e alla diffidenza
verso l’intellettuale-funzionario di supposta matrice fascista, o
all’originaria riduttiva lettura di Gramsci, una decisa sottovalutazione, su un
piano pit generale, del peso del fenomeno della filosofia fascista nella storia
italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che continua a opporre maggiore
resistenza alla corretta impostazione di un’indagine su una stagione culturale
che non si esauri nel ventennio, ma proietta le sue ombre anche sul periodo
postfascista: con un bilancio, si badi bene, che non può ridursi a distinguere
vera e falsa filosofia o cultura, o a chiedersi quali prodotti di vera
filosofia o cultura promosse il fascismo. Per affermare che il fascismo non ha
legami colla filosofia è necessario adoperare il termine in modo puramente
valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che viene giudicato dannoso,
oppure minimizzare sistema. Su alcuni di questi temi un primo spunto di ricerca
è stato fornito da E. Galli della Loggia, Ideologie, classi e costume,
Castronovo, Torino, Einaudi. ) ticamente il numero di punti di contatto
esistenti tra il regime e la filosofia, opportunamente osserva Lyttelton, e la
notazione potrebbe essere estesa ad altre discipline, come quelle giuridiche ed
economiche, per considerare, accanto a ciò che di non caduco fu prodotto nel
campo dell’alta cultura, oltre che nel terreno inesplorato della mentalità dei
diversi strati sociali , anche i pensieri che non furono pit pensati. Ma a una
valutazione complessiva di questa tematica è di ostacolo un giudizio simmetrico
a quello crociano, teso a mettere in dubbio l’esistenza di ur fascismo
italiano: in questo senso Felice ha fatto veramente scuola presso quanti hanno
avallato la tesi propria del fascismo, di possedere una ideologia non
reazionaria, o hanno tratto spunto dalle doti intellettuali di Bottai per
presentarlo come filosofo fascista critico. Solo pochi studiosi hanno
cominciato, in questi ultimi anni, a presentare un diverso approccio al
problema, tenendo presenti i nessi tra la cultura, l’ideologia e gli obiettivi
politici del fascismo, e sfuggendo quindi al rischio di esaminare le idee dei
singoli intellettuali in modo separato dal contesto in cui operarono: rischio
di un genere bioLyttelton, La conquista del potere. Il fascismo, Bari, Laterza,
A. Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e romana, in La vita
intellettuale italiana, scritti in onore di Croce, a cura di Antoni e Mattioli,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane. E. Gentile, Le origini dell’ideologia
fascista, Bari, Laterza, e Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico, prefazione
di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, Cosî L. Mangoni, L’interventismo
della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, Montenegro,
Politica estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi
di politica internazionale, in Studi storici; M. Isnenghi, Intellettuali
militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino,
Einaudi. Né più produttiva appare una lettura solo apparentemente rovesciata,
come quella di un Cantimori tutto politico che niente ci dice sul suo mestiere
di storico: M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori,
Bari, De Donato, e le puntuali osser grafico che pur sempre utile e auspicabile
anche nei suoi esempi migliori tende a eroicizzare alcune personalità
anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro ricerca culturale e politica.
Abbiamo quindi ritenuto necessario ai fini di una lettura politica , per quanto
possibile, della cultura e degli orientamenti dei suoi produttori nel ventennio
porre al centro dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui
l’Enciclopedia italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit significativa,
in quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di cui il fascismo voleva
acquisire il consenso. Istituzioni culturali che non si limitano a una gestione
puramente esterna della cultura preesistente , ma producono anche contenuti
nuovi, mettendo in circolazione modi di pensare o temi di studio funzionali
all’ideologia dominante. Con ciò non vogliamo negare che il fascismo recuperi
motivi già presenti nell’Italia liberale come il nazionalismo o le tendenze
corporative , secondo l’ ideologia eclettica del Pnf, prima organizzazione
politica unificata della borghesia italiana, pronta a raccogliere ogni prestito
capace di rafforzarla : motivi che tuttavia la borghesia prefascista a meno di
non darle credito di una coerenza e di una preveggenza che non ci pare abbia av
uto nel suo complesso ® non era riuscita a connettere saldamente insieme in
quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur si avvale di apporti
diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che si pone e per la continua
interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un linguaggio alla cui formula
vazioni di G. Santomassimo in Italia contemporanea ,In questo senso si esprime,
oltre ad Asor Rosa (citato nel testo), A.L. de Castris, Gramsci e il problema
dell’egemonia negli anni trenta, in Lavoro critico (il numero è dedicato a Le
culture del fascismo ). 8Togliatti, Lezioni sul fascismo, prefazione di E.
Ragionieri, Roma, Editori Riuniti Su questo collegamento tra Italia liberale e
fascismo insiste Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in
Italia, Padova, Marsilio (su cui gli interventi di R. Romanelli, M.L. o Toniolo
in Quaderni storici zione contribuiscono, in misura e con capacità di manovra
insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la partecipazione massiccia
alle istituzioni del regime dove i collaboratori si confondono con i critici
dell’idealismo e, qualche volta, del fascismo stes80 , che è possibile cogliere
un aspetto non secondario della trasformazione della presenza cattolica in
Italia, non più caratterizzata, come nel prefascismo, da un rapporto preminente
col mondo contadino, ma profondamente inserita a tutti i livelli nella moderna
società industriale !° con un insieme di scambi culturali che, anche in una
prospettiva di lungo periodo, ha un peso ben maggiore della riflessione più
propriamente religiosa di quei gruppi élitari nei quali si è voluto cogliere il
nucleo della classe dirigente democristiana " Un'indagine approfondita
sulla politica culturale del regime ci pare preliminare anche per valutare
quelli che .abbiamo chiamato i limiti del consenso . Solo partendo dalla
considerazione dell’esistenza di una vasta rete di istituzioni fasciste che
producono e trasmettono cultura contro la quale si infrangono i sogni di una
cultura al di sopra della mischia propri di un Formiggini è possibile impostare
un discorso sulla cultura sommersa durante il ventennio e sui suoi sbocchi nel
1945 e anche in questo caso, più che affidarci ai lunghi viaggi dei singoli,
che rischiano di ridursi a personali esami di coscienza senza grande risonanza,
abbiamo rivolto l’attenzione ad altri centri di aggregazione degli intellettuali
e di diffusione della cultura, le case editrici, pur senza essere stati in
grado di fornite quei preziosi dati materiali Rossi, La Chiesa e le
organizzazioni religiose, in La Toscana nel regime fascista, Firenze, Olschki,
Come ha fatto, analizzando la Fuci e il Movimento laureati cattolici, Moro, La
formazione della classe dirigente Cattolica, Bologna, il Mulino; contro una
prima formulazione di questa tesi ha polemizzato Pietro Scoppola che però, per
esaltare l’impronta di rinnovamento impressa da De Gasperi alla DC, ha
ribaltato la sua tesi originaria sostenendo il sostanziale consenso al regime ,
senza incrinature, dei cattolici (Le proposta politica di De Gasperi, Bologna,
il Mulino, dell’azienda editoriale che sono stati pionieristicamente fatti oggetto
di studio, per un altro periodo, da Marino Berengo !. Il mancato riferimento
alla forza condizionante delle istituzioni del regime è infatti all'origine sia
di facili assoluzioni di una cultura che sarebbe passata indenne attra verso il
fascismo, sia di altrettanto gratuite reprimende contro l’incapacità di
rinnovamento delle forze di sinistra. Fra l’accusa al PCI di essersi fatto
carico dell’ ideologia della ricostruzione per cui si sopravva-' luta il
significato dell’ inquietudine politica de Il Politecnico , e la riproposizione
crociana di una cultura che, sotto il fascismo, si era chiusa su se stessa,
rivendicando la propria autonomia: e da una tacita contrattazione col potere
aveva ottenuto il permesso di vivere e di svilupparsi nella sua (pseudo)
separatezza, vi è infattiuno iato profondo che non permette di spiegare
storicamente gli indubitabili ritardi registrabili nel rinnovamento culturale.
Il processo di affrancamento degli intellettuali dalla cultura del regime fu in
realtà assai complesso, anche quando passò attraverso la difesa dell'autonomia
della cultura. Vi può essere stata, da un lato, l’indifferenza di fronte alla
politica di molti intellettuali che è all’origine sia di un loro acritico
allineamento al fascismo, sia di un arroccamento attorno alla tradizione
accademica, che nelle Università trovò alcuni spazi per mantenersi separata
dalla militanza politica richiesta dal fascismo, anche se col rischio di un
progressivo inaridimento. D'altro canto, in un Berengo, Intellettuali e librai
nella Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi Cosi Luperini,
Gl’intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra,
Roma, edizioni di Ideologie. Ne ha parlato Tranfaglia, Intellettuali e
fascismo. Appunti per una storia da scrivere, ora in Id., Dallo stato liberale
al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli; G. Turi, Le
istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale,
in Italia contemporanea, e, con ottica diversa, Bongiovanni - Levi,
L’università di Torino durante il fascismo. Le Facoltà umanistiche e il
Politecnico, Torino, Giappichelli. periodo in cui, e la soppressione completa
della dialettica politica, il terreno culturale divenne nel paese un importante
termine di confronto per verificare anche l’esistenza di schieramenti
tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia della cultura
costituî negli intellettuali più consapevoli uno strumento per segnare una
rottura nei confronti del regime, in vista della ricostituzione di un rapporto
nuovo fra politica e cultura: fu questo il senso della battaglia di Croce, di
alcuni dei principali collaboratori di Einaudi in un primo luogo Ginzburg, e di
alcuni settori di ascendenza democratica, socialista e positivista per altro ancora
da indagare in tutte le loro ramificazioni, che abbiamo esemplificato nel
gruppo raccolto attorno alla casa editrice Formiggini. Non bisogna tuttavia
dimenticare che la cultura elaborata dagli intellettuali del fascismo impose un
arretramento del punto di partenza di una battaglia culturale e politica che
nel campo degl’avversari fu necessariamente sfumata, ma anche non priva di
oscillazioni, contraddizioni e riflussi tanto che poté apparire anticonformista
la ripresa di motivi sostanzialmente non antitetici al fascismo, come nel caso
del liberismo di Einaudi, e che perciò non può essere immediatamente
classificata nella categoria dell’antifascismo. Se è quindi possibile
constatare come tanta parte della intelligenza italiana sboccasse nell’Italia
postfascista senza che le trasformazioni di superficie corrispondessero a reali
rinnovamenti di fondo, ciò è addebitabile, più che a uno zdanovismo che in
realtà non conculcò alcuna esistente cultura rivoluzionaria!, al ben più
drastico condizionamento Garin, Intellettuali italiani, Roma, Riuniti. Elementi
contraddittori si mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella
testimonianza di Franco Fortini: Quando si farà la storia dello stalinismo
italiano e si documenterà la repressione avvenuta ai danni di una cultura
rivoluzionaria non conformista che, incerta e confusa, pur si veniva formando;
e quando si chiarirà fino a qual punto la debolezza intellettuale degli usciti
dal fascismo, cioè di noi stessi, abbia cospirato obiettivamente con talune
debolezze morali e con operato da tempo dal fascismo: con il risultato che il
processo di rinnovamento degli intellettuali italiani si presenterà assai più
lento delle trasformazioni politiche del paese. Non ci sentiamo tuttavia in
grado di dare giudizi definitivi sulla controversa questione, anche in questo
campo, relativa alle continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci preme
aver indicato un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e auspicare che
i risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e riflessioni. Primo a
seguire e incoraggiare questa ricerca è stato Ragionieri, il cui ricordo è
difficilmente cancellabile in chi ne ha conosciute e apprezzate le doti umane,
intellettuali, politiche: a lui va il mio principale debito di riconoscenza,
nella speranza di essere rimasto fedele, almeno in parte, alla sua eccezionale
lezione di rigore scientifico. Fra quanti hanno letto interamente o in parte il
dattiloscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti, ringrazio in
particolare Garin, Mori, Palla, Ranchetti, Soldani e Torrini; e, con loro, i
numerosi studenti e amici che hanno discusso la tematica di questa ricerca nei
seminari tenuti presso l’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e
Filosofia di Firenze. Né posso dimenticare chi, regalandomi una stagione
felice, ha reso più leggera la mia fatica. Il lavoro non sarebbe stato
possibile senza la preziosa collaborazione del personale della Biblioteca
nazionale di Firenze e di quanti mi hanno facilitato la consultazione di fondi
archivistici: Cappelletti per l’Archivio dell’Istituto dell’Enciclopedia
italiana; Milano e Selmi per l'Archivio Formiggini presso la Biblioteca estense
di Modena; la politica culturale stalinista, polemizzando contro quest’ultima
da destra e cioè da posizioni radical-liberali invece che da posizioni
marziste, allora sarà possibile farsi un’idea meno mitica di certi tentativi,
come quelli del neorealismo cinematografico, del Politecnico, ecc. (Verifica
dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Garzanti.
il personale della Fondazione Einaudi; Einaudi, Vivanti e l’archivista Gava
per. i documenti della casa editrice Einaudi; Balbo che mi ha concesso la
visione delle carte di Balbo da lei tanto amorevolmente custodite, e Bobbio che
ha messo a mia disposizione il suo archivio personale. Non è stata invece
possibile la consultazione dell’Archivio Gentile, ancora in attesa di una
sistemazione che permetta l’accesso agli studiosi. In questo volume si
riproducono, con alcune modifiche, i seguenti saggi: Il progetto
dell’Enciclopedia italiana: l’organizzazione del consenso fra gli
intellettuali, in Studi storici (si limita a riprodurre la tematica di questo
articolo, senza nulla aggiungere, la maggior parte del volumetto di Lazzari,
L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e potere durante il fascismo, Napoli,
Liguori, tributario del mio saggio anche per le fonti); Ideologia e cultura del
fascismo nello specchio dell’Enciclopedia italiana, in Stu-di storici;
l'introduzione alla ristampa non integrale di Formiggini, Storia della mia casa
editrice, Modena, Levi. Il saggio I limiti del consenso: le origini della casa
editrice Einaudi è inedito: per questo ho potuto utilizzare il contributo CNR
Ideologia e cultura del fascismo: l’ Enciclopedia italiana. Opere come l’Ernciclopedia,
cui Gentile da cosi valido impulso, hanno nella vita di un tempo un peso
singolare. E innanzi ad esse, e alla loro penetrazione profonda, conviene
chiedersi se, per avventura, taluni giudizi correnti non debbano essere rivisti
e corretti. L’osservazione di Garin, fatta per inciso in una ricostruzione
generale di LA FILOSOFIA ITALIANA, comport una verifica dell'equazione crociana
fascismo-anticultura e cultura-antifascismo, e quindi quel più attento riesame
delle vicende culturali fra le due guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo
del regime di organizzare il consenso dei FILOSOFI, che attende ancora di
essere compiuto sistematicamente. Cosi non solo l’Enciclopedia italiana,
utilizzata da studiosi stranieri come fonte sulla dottrina filosofica del
fascismo o come espressione dell’orientamento prevalente nella cultura italiana
-- ma anche l’opera di Gentile teorico del periodo di consolidamento del
fascismo, come lo ha definito Lukàcs, con espressione ben piu corretta della
generica formula di filosofo del fascismo, sono rimaste avvolte in un silenzio
che è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi condizionamenti
subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo (Garin, CRONACHE DI FILOSOFIA
ITALIANA. Bari, Laterza, Efirov, La filosofia borghese italiana, Firenze,
Sansoni, Hobsbawm, Il contributo di Marx alla storiografia, in Marx vivo. La
presenza di Marx nel pensiero contemporaneo, Milano, Mondadori, Lukàcs, La
distruzione della ragione, Tortino, Einaudi] dopoguerra, che negli anni venti e
nel fascismo, e nel giudizio che ne da Croce, hanno la loro origine. Il
discorso sulla FILOSOFIA di Gentile, condotto in prevalenza da suoi allievi nel
Giornale critico della filosofia italianacon particolare lucidità da SPIRITO,
che ha ricostruito le tappe del suo distacco dal maestro come sviluppo degli
stessi principi attualisti, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un
anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché astratto
dall’analisi del fascismo, in cui SPIRITO ha voluto individuare, con un
giudizio che richiede di essere specificato, pensiamo in particolare al peso
che ha anche sul piano culturale il connubio regime/culto la ragione effettiva
della crisi dell’idealismo italiano tale, quindi, da non consentire quell’esame
della personalità di GENTILE come promotore e organizzatore di alta cultura sul
piano nazionale cui pur richiama il gentiliano Bellezza. Le stesse CRONACHE DI
FILOSOFIA ITALIANA, di Garin, mosse dall’intento di considerare uomini e
dottrine come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo
agirono, e attente a non cadere nella troppo sche- [Il primo studio moderno con
intenti di completezza è quello di Harris, La filosofia di Gentile (Roma,
Armando), condotto però nella costante preoccupazione, come afferma Harris
nella prefazione all’edizione originale di vedere how far his actual idealism
may be disentangled from its fascist connections, or implicatures
[entanglement, Lewis/Short, ‘in-plicatura’]--, da cui discende il giudizio
sull’oggettività dell’Enciclopedia italiana. Per una confutazione della critica
a Gentile sulla linea liberale condotta da Harris Cerroni, La filosofia
politica di Gentile, Società. Per una ricostruzione storica della figura di
GENTILE sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di
Colapietra, Croce e la politica italiana (Bari, Santo Spirito, Edizioni del
centro librario, le osservazioni di Schiavo, La filosofia politica di Gentile
(Roma, Armando), e, pur con alcuni accenti apologetici, Lalla, Gentile
(Firenze, Sansoni). Spirito, Gentile (Firenze, Sansoni), in particolare
l'articolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica di oggi. Di
Spirito anche Memorie di un incosciente (Milano, Rusconi). Bellezza, Rassegna
degli studi gentiliani più recenti, Giornale di metafisica. L’Enciclopedia
italiana] matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo, non colgono
compiutamente la funzione mediatrice dei filosofilasciando spesso indeterminato
il tempo nel quale operarono, come nota Cantimori auspicandoneluna
specificazione. La società, le classi, le università, le istituzioni in
generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre che quelle nazionali,
ecc. Ccsi che, anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione e particolarmente
valorizzata dal fascismo, lasciano imprecisati i condizionamenti del potere
politico e gli stessi debiti dei filosofi. Per chiarire non solo
l’utilizzazione ideologica di diverse correnti culturali da parte del regime in
vista della creazione de l consenso, ma anche in che misura e perché mutarono
nel ventennio i contenuti culturali della filosofia, accolti o tenuti ai
margini o respinti dal fascismo anche in questo campo l’Italia non si trova
nelle stesse condizioni del periodo liberale, lo studio dell’ Enciclopedia
italiana può essere particolarmente fruttuoso. Per il momento in cui e ideate,
preparate, e realizzata quello dello stato totalitario, l’autorità dei suoi
promotori, basti pensare a GENTILE o a VOLPE, l’ampio ventaglio di collaboratori
qualificati e il carattere ufficiale che le e impresso fin dall’inizio,
rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla scuola, della
politica culturale del fascismo, e quindi un test assai significativo per
valutarne gl’effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideologia o alla
propaganda del regime, anche se con queste connessi. Ma solo tenendo presenti
gli obiettivi politici del governo di MUSSOLINI e la decisa sconfitta, anche
sul piano culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile
spiegare come a GENTILE e possibile dare avvio alla colossale impresa
enciclopedica, e l'ampiezza dell’adesioni da lui raccolte anche da parte di
FILOSOFI non fascisti. Se ancora nell’articolo Forza e consenso, Mussolini puo
porre l'accento unicamente sul primo termine poiché il consenso è mutevole core
le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai
può essere totale, si fa strada una linea politica più articolata e di più
lunga durata che, se affida a FARINACCI l’esecuzione del momento della forza e
della co-ercizione mantenendolo come necessario presupposto del consenso,
punta, dopo la sconfitta delle forze politiche avversarie, ad acquisire
l'adesione, non solo passiva, di quegli FILOSOFI ormai senza partito, o incerti,
la FILOSOFIA dei quali avrebbe potuto costituire, in assenza di alternative
politiche, un fronte di resistenza al regime. Non è un caso che uno degli
esponenti del fascismo che più si impegneranno nel tentativo di formare una
nuova classe dirigente, BOTTAI, dichiara su Critica fascista che il Pnf dove
rivedere la sua azione per conquistare il consenso, e, se pure la crisi
conseguente al delitto Matteotti vede le prime incrinature fra quegli FILOSOFI
che non hanno ancora preso le distanze dal fascismo in quanto vedeno nella
collaborazione di GENTILE una garanzia non solo per le sorti della riforma
della scuola, ma anche per quelle del paese basti pensare al pessimismo che si
fa strada in OMODEO, o a quello che è stato chiamato l’aventino di Radice, la
situazione si presenta favorevole al fascismo per il disorientamento FILOSOFICO
che permea le file dei FILOSOFI liberali e socialisti. Quando si apri fra
questi FILOSOFI un vasto dibattito sulla sconfitta dello stato liberale e del
movimento operaio, mentre GRAMSCI accusa il socialismo di non avere avuto una
ideologia, non averla diffusa [Mussolini, Scritti e discorsi (Milano, Hoepli).
Bottai, Arzo nuovo: il partito e la sua funzione Critica fascista- [Cantimori,
Studi di storia, Torino, Einaudi]. ad esempio la lettera di OMODEO a Gentile in
Gentile-Omodeo, Carteggio, a cura di Giannantoni (Firenze, Sansoni). Margiotta,
Radice: tra attualità ed irrisoluzione storica (Reggio Calabria, Edizioni
parallelo). L'Enciclopedia italiana tra le masse , quasi con le stesse parole
GOBETTI afferma che i partiti d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande
ideologia. Il socialismo non ha trapiantato Marx in Italia, per cui il trionfo
fascista si connette a queste condizioni di impreparazione. Mondolfo sostene
che da una ripresa di idealismo il nostro movimento non può che trarre nuova
forza e nuovo impulso, o cerca di dimostrare che poteva essere morale e
vantaggiosa quella che si chiama la collaborazione di classe. Più in generale,
la discussione sul marxismo che si svolse su Critica sociale, Rivoluzione
liberale e Quarto stato, rimane condizionata più che mai dall’IDEALISMO
HEGELIANO dominante, e non poco ancora, da quello più accentratamente
soggettivistico, l’attualismo gentiliano. Cosi, se ancora Il Mondo, dopo aver
negato l’esistenza di un nesso tra le riforme gentiliane e le ideologie
fasciste, puo registrare il fallimento del fascismo nel tentativo d’attrarre
nella sua orbita FILOSOFI di studio e di dottrina, di circondarsi della sua
classe, dopo il Manifesto degli FILOSOFI fascisti, Croce, pur osservando che il
fascismo non solo è indifferente alla filosofia, ma intimamente ostile,
sentendo che dalla filosofia sono venuti i pericoli all'ordine sociale, era
costretto a notare gl’afaccendamenti inutili e mal graditi di un certo numero
di filosofi e fra questi parecchi nostri ex-compagni di studi ed ex-amici che
si sono messi al servizio del fascismo in una situazione d’assoggettamento
[Gramsci, Che fare? Per la verità, Scritti, Martinelli (Roma, Editori Riuniti).
Gobetti, La mostra cultura politica, in Scritti politici, Spriano (Torino,
Einaudi). Mondolfo, Una battaglia per il socialismo, Bassi (Bologna, Tamari).
Luporini, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d’Italia, Torino,
Einaudi. Il fascismo e la cultura, in Il Mondo ] a ferrea disciplina. A Croce
sfugge tuttavia l'ampiezza e la qualità del fenomeno, in quanto rimane convinto
che tra fascismo e FILOSOFIA ci fosse un’opposizione in termini. Come partito
medio, come idealità che richiede esperienze e meditazione, senso storico e
senso delle cose complesse e complicate, e insomma finezza mentale e morale, il
liberalismo, è il partito della cultura; e liberale e il nostro Risorgimento,
nel quale cultura e amor di patria confluirono. Socialismo e autoritarismo,
invece, in quanto partiti estremi, ritengono non poco di astratto e di
semplicistico, e perciò, come sono facilmente ricevuti dagl’animi e dalle menti
dei pupilli, cosi presentano i segni caratteristici della scarsa o unilaterale
cultura, osserva Croce in un articolo che gli era valso da parte di GENTILE,
teso a presentare il fascismo come vero liberalismo, l’appellativo di schietto
fascista senza camicia nera. Si era alla vigilia della rottura politica tra
Croce e Gentile, e il partito della cultura del primo e destinato a rimanere un
programma per il future. Le sue preoccupazioni sono tutte volte al future,
osserva Gobetti esaltandone l’antifascismo identificato con la ribellione
dell’europeo e dell’uomo di cultura, e sottolineando la differenza tra GENTILE
DOMMATICO, autoritario, dittatore di provinciale infallibilità e Croce
politico, capace di riflessione e di dubbio, detentore di una chiara idea dello
stato, che è forza soltanto in quanto è consenso. Ma, se giustamente venne
colta in Croce la separazione impossibile tra filosofia e politica, due
elementi sfuggeno agl’osservatori contemporanei: la capacità dimostrata dal
fascismo, e in particolare da Gentile, proprio [Di Croce, Pagine sparse, Bari,
Laterza, Croce, Liberalismo, in Cultura e vita morale. Intermezzi polemici,
Bari, Laterza. Gentile, Il liberalismo di Croce in Che cosa è il fascismo,
Discorsi e polemiche, Firenze, Vallecchi. Gobetti, Croce oppositore in Scritti
politici, cli RUN (Garin, Croce o della separazione impossibile fra filosofia e
politica in Filosofi italiani (Roma, Editori uniti)] di combinare forza e
CONSENSO nel dar vita a istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le
più diverse energie FILOSOFICHE, e la tendenza di molti FILOSOFI che facilita
l’opera di Gentile a separare (a differenza di Croce) filosofia e politica,
nell’illusione di poter continuare a coltivare la prima, anche all’interno
delle istituzioni del regime, senza contaminarla politicamente. Esemplare in
questo senso appare la vicenda dell’Enciclopedia italiana: opera di FILOSOFI
non alla opposizione, come gl’enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente al
governo, nata subito sulla base di uno stretto rapporto di compenetrazione fra
FILOSOFI e potere politico, pur senza rompere immediatamente, secondo l’impostazione
gentiliana, con alcuni esponenti dello stato liberale, la SUMMA PHILOSOPHIAE
del fascismo riusci a convogliare verso un unico fine con la parziale eccezione
dei cattolici, al tempo stesso collaboratori e critici anche FILOSOFI che non
si riconoscevano nel fascismo. Per questo è possibile individuare nell’
Enciclopedia italiana, oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale
strumento di diffusione della ricostruzione gentiliana della tradizione
filosofica italiana, di una storia della filosofia italiana che è capace di
penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più impensati, presso gli
avversari più acerbi, raggiungendo sottilmente una egemonia non esaurita,
capace di sopravvivere al fascismo. La prima idea concreta di una grande
enciclopedia [Cosi Garin nell’introduzione a Gentile, STORIA DELLA FILOSOFIA
ITALIANA, Firenze, Sansoni. L'idea era in tantissimi e si agitava da un
trentennio negli ambienti editoriali italiani, ricorda Formiggini rispondendo
all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva attribuito la paternità del
progetto ( L’Italia che scrive ). Un accenno a un non lontano tentativo di
Treves, Demarsico e Barbèra, in Formiggini, La FICOZZA FILOSOFICA del fascismo
e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini]
nazionale italiana e concepita nell'immediato dopoguerra, in ambienti di
interventisti culturalmente estranei all’idealismo imperante. Comincia a
prospettarla Martini, coadiuvato da Menghini, l’appassionato curatore
dell’edizione nazionale degli Scritti mazziniani. Ad essi si associerà in un
estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore Formiggini, attivissimo
nell’organizzazione e nella propaganda della cultura italiana. l progetto,
riconosciuto pi tardi punto di partenza per l’enciclopedia gentiliana, non e
cosa modesta come tutto ciò che si poteva concepire in quel tempo di
smarrimento politico, come cerca di far credere TRECCANI alludendo alla crisi
della democrazia liberale precedente la marcia su Roma e all’incertezza dei
primi tempi del fascismo. Il momento in cui nacque e la personalità del
promotore ne testimoniano l’ampiezza delle prospettive, anche se falli per
essere rimasto su un piano puramente editoriale, privo di un generale criterio
informatore dal punto di vista culturale ed esposto a quelle difficoltà
finanziarie e politiche che TRECCANI e il fascismo faranno superare a Gentile.
Si tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una Enciclopedia nazionale come
l’hanno la Francia, l'Inghilterra, e la Germania, scrive Martini al fedele
Donati, appena insediato il ministero di Giolitti, suo principale obiettivo
polemico assieme a Nitti e ai socialisti. Facciamo, per consolarci, qualcosa
che vada al di là dei giorni che viviamo tristissimi giorni. Dalla
constatazione della inferiorità italiana . Biblioteca nazionale centrale di
Firenze (d’ora in avanti BNF), Fondo Martini, lettere di Menghini, e G.
Treccani, Enciclopedia italiana. Treccani. Idea esecuzione compimento, Milano,
Bestetti. Discorso in occasione della presentazione al duce dell’Enciclopedia
italiana -- d’ora in avanti E.I., Treccani, Enciclopedia italiana Treccani.
Idea esecuzione compimento, Martini, Lettere, Milano, Mondadori. Su Martini ,
per un parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di Rosa a Martini,
Digrio, Milano, Mondadori. L’Enciclopedia italiana] nel campo
dell’organizzazione della cultura rispetto ai maggiori paesi europei,
scaturisce la necessità, e la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra
vittoriosa. Necessità che non è solo espressione dell’orgoglio per la forza
politica recentemente acquistata dal paese, da tradursi nell’affermazione della
filosofia italiana davanti al resto d’Europa. Essa indica anche un’opera
preliminare ancora da compiere, indispensabile alla conservazione di quella
forza. Combattere i contrasti interni costruendo, come strumento unificante di
egemonia, una cultura razionale. La fierezza per l’unità, indipendenza e
sicurezza finalmente conseguite, e la coscienza che l’Italia e arrivata, dopo
secoli di asservimento, ad eguagliare le grandi potenze europee, si une nel
dopoguerra al tentativo della disgregata classe dirigente liberale timorosa di
perdere le sue conquiste con l'avanzata delle masse popolari organizzate e
d’ispirazione neutralista, socialiste e cattoliche di rafforzarsi
egemonicamente; di qui l’importanza che la battaglia culturale, prescelta anche
dalle nuove forze antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza sul
significato nazionale o italiano della cultura tradizionale, esaltato dalla
guerra, mira a unificare e controllare, a difesa dell’ordine costituito, i
filosofi in gran parte già individualmente politicizzati, spesso in senso
conservatore, dal clima bellico. Il programma di rivolgimento spirituale sotto
il segno dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insiste Gentile di
Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di religione, e sostenuto da
pi voci nelle pagine di Politica , programma critico del giobittismo come
malattia italiana, e in questo senso solo la espressione piu articolata e coerente
della borghesia reazionaria che si riconosce nel fascismo, definito sforzo
rivoluzionario da VOLPE che lo contrapporta polemicamente a un'immagine di
comodo del socialismo. Muove dalla % Ci limitiamo a segnalare Garin, Cronache,
e, per un quadro europeo, Hughes, Coscienza e società: storia della filosofia
in Italia (Torino, Einaudi). Per un settore particolare Simonetti, Storici
italiani e rivoluzionari in Russia, in Il movimento di liberazione in Italia ]
accettazione della guerra, anzi dall’esaltazione di quella guerra, e si
alimenta di quelle energie morali, di quel senso di disciplina, di quella
capacità di iniziativa, di quel coraggio e spirito combattivo che la guerra ha
educato negl’italiani, nella borghesia italiana. Accetta ben presto i valori
tradizionali della nazione italiana, cioè si nutre di sostanza italiana:
condizione necessaria per poter far presa su di essa, per poter avere la
collaborazione o anche solo la benevola neutralità delle forze migliori del
paese. L’idea di una grande Enciclopedia nazionale, non semplice opera
compilativa e divulgativa come le enciclopedie popolari prebelliche, rientra in
questo programma di rafforzamento della borghesia italiana, in linea con la
ten: denza degli Stati moderni a darsi, dopo crisi di crescita e di
ricostruzione, una rinnovata organizzazione culturale (si pensi, per fare un
esempio contemporaneo anche se riferito ad un’esperienza opposta a quella
italiana, alla Grande enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nell’anno stesso
in cui il dibattito sui caratteri della cultura socialista vide prevalere i
sostenitori della tesi della cultura proletaria). La disponibilità di Martini a
questo programma VOLPE, Storia del movimento fascista, Milano, Ispi, Come
l’Enciclopedia popolare illustrate e la Grande enciclopedia popolare, entrambe
di Sonzogno. Se la Britannica fu l’enciclopedia da emulare, modello du seguire
per un’opera nazionale e piuttosto il Touring Club Italiano, giudicato dall’E.
I. nettamente nazionale per la sua vasta penetrazione in tutte le classi
sociali (44 vocerm): il suo Atlante Internazionale e utilizzato dall’E. I. in
seguito ad apposito accordo editoriale ( anche R. Almagià, Una grande opera
italiana di cultura, in Educazione fascista . AIUT.C.I, si richiamarono
Formiggini e Martini come modello per la Fondazione Leonardo ( L’Italia che
scrive e A.I°. Formiggini). Al carattere essenzialmente nazionale, del ‘T.C.I.
accenna Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a
cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, Sui caratteri generali del dibattito
sulla cultura svoltosi in U.R.S.S. l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e
lettera tura. Il dibattito al Congresso degli scrittori sovietici, Bari,
Iuterza. La storia dimostra che ogni classe ha creato la sua enciclopedia,
aveva affermato Bogdanov proclamando la necessità: di preparare una
Enciclopedia operaia ( Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia.
Lunabarskij e il Commissariato del popolo L’Enciclopedia italiana sarà
testimoniata dalla sua presenza nel consiglio direttivo dell’Istituto Treccani
che ne riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche in tutta la sua attività di
uomo politico e di cultura: auspice della impresa libica cui attribuiva questo
inapprezzabile rinnovamento nostro, questa concordia di popolo di cui l’Italia
non ha esempio nella sua storia, la sua azione per l’intervento era stata
determinante tanto da guadagnargli l'appellativo di grande apostolo di
italianità , come lo chiamò Treccani in occasione della fondazione del suo
Istituto. Nel corso della guerra aveva però saputo cogliere la profonda
spaccatura tra la classe dirigente liberale e le masse popolati affette dalla
tabe del materialismo, il popolo minuto non ha capito il perché della guerra:
della patria sente più poco, tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori
condizioni sociali, annotava nel Diario, che, a suo giudizio. Nitti e Giolitti
non erano riusciti a colmare per debolezza verso gl’elementi torbidi
socialisti. Nel dopoguerra si ripresentava il pericolo che di fronte ai primi passi
del movimento operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della Pubblica
Istruzione a manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli effetti del laicismo
liberale: per l’istruzione, Roma, Riuniti). L’E. I. giudica la Grande
enciclopedia sovietica condotta secondo un criterio rigorosamente bolscevico, e
particolarmente curata nella. parte scientifica e tecnologica (alla voce
Enciclopedia). Nella prefazione al vol. I dell’E. I., Gentile sottolineerà il
pregio delle vaste opere collettive, che danno disciplina agl'ingegni e forma
concreta e definita al pensiero di un popolo. fr. il brano del discorso citato
in Croce, dhe d’Italia, Bari, Laterza. Martini, Diarioe Gifuni, Lettere inedite
di Martini a Salandra, in L'osservatore politico letterario.Treccani. Kirk del
Diario,Giustamente Isnenghi giudica Martini, fra i protagonisti politici, uno
dei più franchi o meno reticenti nel collezionare gli indizi di
insubordinazione nel paese e di messa in crisi del rapporto tradizionale
d’autorità (Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari,
Laterza). Martini, Lettere,di ciò che il Quinet dice con grande efficacia di
parole e dimostra con grande autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni
politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono di
vista l’origine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare ogni cattivo
istinto delle plebi; di ciò io sono convinto da un pezzo. Ma dopo il male che
woî, tutti noi, caro Giosuè, abbiamo fatto, siamo in grado di provvedere a’
rimedi? A chi predichiamo? Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto
i miscredenti, intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi
che chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè, ritorneremo
fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede... abbiam
voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola doveva,
nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella sostituzione!
La sua estromissione dal parlamento dopo quaranta-cinque anni in seguito alle
elezioni, e le agitazioni sociali culminate nell’occupazione delle fabbriche,
convinsero Martini dell’impotenza del me- (Chabod, Storia della politica estera
italiana, Bari, Laterza, da integrare però col discorso di Martini alla Camera,
contro l’introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari (
opporre una religione di classe alla lotta di classe, come vorrebbe una
borghesia sgomentata dalle minacce del proletariato, sarebbe come trattenere
coi fuscelli la corsa delle locomotive : citato da S. Cilibrizzi, Storia parla
mentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto,
Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri). Ma sarebbe da
studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da prima quando fu ministro della
P.I. nel primo gabinetto Giolitti (su cui Bertoni Jovine, La scuola italiana,
Roma, Editori Riuniti), a quando dichiarò a Crispolti di essere favorevole
all'esame di stato per le scuole medie (Lettere). Né è da trascurare, nello
scrittore, l’aristocratica toscanità della prosa, guidata da un provinciale
buon senso, che si attirò i giudizi negativi di Croce (ora in La letteratura
della nuova Italia. Saggi critici, Bari, Laterza) e di Gobetti (ora in Scritti
storici, letterari e filosofici, a cura diSpriano, Torino, Einaudi), da
approfondire nel senso indicato da Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il populismo
nella letteratura contemporanea, Roma, Samonà e Savelli) che ha incluso Martini
fra i rappresentanti di una fase regionale , ma non per questo meno nazionale,
del populismo; tenendo tuttavia presente la vicinanza di Martini ad Ojetti, il
cui libro Mio figlio ferroviere (Milano, Treves) fu giudicato dall’amico la
vera storia d’Italia, dalle ultime fucilate dei combattenti alle prime
bastonate dei fascisti (Lettere), e da Prezzolini uno dei segni precursori
della reazione al disordine e alla debolezza dei governi italiani parlamentari
del dopoguerra (La cultura italiana, Milano, Corbaccio). L’Enciclopedia
italiana todo liberale a risolvere i problemi che il paese aveva ereditato
dalla guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel cammino che lo porta ad
aderire al fascismo. Lo spirito di riscossa nazionale da cui si senti animata
la borghesia liberale interventista nell’immediato dopoguerra e, insieme, i
pericoli oggettivi per i suoi propositi e la sua stessa posizione,
condizionarono anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle aspirazioni come nel
fallimento. Per il suo progetto quello di Treccani ne prevederà all’inizio 32,
diventati poi 36 Martini ottenne il patrocinio della Società italiana per il
progresso delle scienze (S.I.P.S.), la maggiore organizzazione scientifica del
paese che univa alla diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta
nazionale ‘; ma per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata
copertura finanziaria. Menghini interventista e antigiolittiano, non nuovo ad
imprese enciclopediche, che a Roma tenne i contatti con Volterra, Bonfante e
Almagià membri del consiglio direttivo della S.I.P.S., inizia trattative con
Bonaldo Stringher, direttore della Banca d’Italia e amministratore della
S.I.P.S. fin dalla fondazione. Nel Martini, Lettere, (per le elezioni). Per la
sua concordanza con Salandra nel giudizio sul fascismo anche R. De Felice,
Mussolini il fascista, I. La conquista del potere La, Torino, Einaudi e Gifuni
._ % F. Martini, Leztere, cSulla S.I.P.S. R. Almagià, La società italiana per
il progetto delle scienze, in L’Italia che scrive, e il breve cenno di L.
Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in
Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati. Scriveva a Martini:
Il popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con l’esempio che ha di
tanti malgoverni? Cosa debbono pensare le madri dei cinquecentomila figli
morti, quando sentono che la guerra si doveva evitare? ; anche, contro
Giolitti, la lettera. Sulle stesse posizioni era Alessandro Donati, ad es.
nelle lettere a Martini (BNF, Fondo Martini). Aveva diretto l’Enciclopedia
contemporanea illustrata edita da Vallardi, Milano (fra i collaboratori, Emilio
Bodrero e Roberto Paribeni). % Per l’elenco delle cariche sociali della
S.I.P.S. dal 1907 ad es. Atti della Società italiana per il progresso delle
scienze. Undicesima riunione, Trieste, Roma, Società italiana per il progresso,
attenuatesi le difficoltà economiche dell’anno precedente, Stringher che aveva
cointeressato anche Pogliani della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio della
Commerciale e il finanziere Della Torre che controllava un’imponente catena
editoriale promise il suo appoggio; fu incaricato della realizzazione l’editore
Bemporad, mentre Menghini cominciò ad interpellare gli eventuali direttori
dell'impresa fra cui, sembra, Gentile. Ma le incertezze delle banche non erano
ancora vinte anche dopo la presentazione da parte di Bemporad di un progetto
molto ridotto rispetto a quello originario , per cui Martini accettò il
consiglio di Stringher di affidare la realizzazione dell’enciclopedia a un
gruppo editoriale da promuoversi attorno a un editore di prima grandezza . La
scelta cadde su Angelo Fortunato Formiggini e sulla Fondazione Leonardo da lui
creata: fu questa la via per la quale l’idea passerà a Gentile. I propositi
culturali nazionali della Leonardo, analoghi a quelli di Martini che ne fu il
primo presidente, si affiancavano a quelli dei numerosi istituti di propaganda
culturale nati o nuovamente sviluppati nel dopoguerra, ma con un'impronta
originaria prima dei condizionamenti governativi e dell’intervento di Gentile
nettamente diversa dal deciso accento politico e nazionalistico che fin
dall’inizio aveva avuto, ad esempio, la Alighieri ‘ delle scienze. Si profilò
il pericolo di una concorrenza al progetto di Martini, da parte di un editore
di Bergamo, che sembra si fosse assicurata la collaborazione di Gentile,
Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo Martini, lettere di Menghini, e di Donati). Per
tutto l'andamento delle trattative le lettere di Menghini a Martini. Sulle
compartecipazioni editoriali di Pogliani, Fenoglio e Della Torre, utili notizie
in V. Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza.
Menghini a Martini. Passando per Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna?
Io potrei incaricarmi del Gentile: Martini, Stringher, Volterra son già de’
nostri. Come fare per Marconi, Luzzatti, Ciamician e Murri? (BNF, Fondo
Martini). Su Bemporad editore negli anni venti di Critica sociale , A. Gramsci,
Quaderni del carcere, e l'intervento di Piero Treves in La Toscana nel regime
fascista, Firenze, Olschki, Sulla funzione di grande milizia civile svolta
dalla Dante Alighieri, fondata da Ruggero Bonghi, Barbèra, La Dante.
L’Enciclopedia italiana l'opera di Formiggini si rivolgeva soprattutto
all’interno, in un tentativo di unificazione culturale che con la rivista
bibliografica L’Italia che scrive , trovava in tutta la sua attività prebellica
i motivi della sua estraneità all’idealismo e dell’avversione per la setta
filosofica gentiliana giudicata tirannide dottrinale contraria alla
manifestazione delle diverse correnti culturali L’intento di sviluppare all’estero
la conoscenza della cultura italiana aveva portato. Formiggini ad un incontro
con le prospettive nazionalistiche degli organi statali preposti alla stampa e
alla propaganda e, su queste basi, alla creazione dell’Istituto per la
propaganda della cultura italiana che, dopo aver ottenuto un sostegno anche da
parte degli industriali, fu inaugurato ufficialmente a Roma ed eretto in ente
morale, col nome di Fondazione Leonardo, nel novembre dello stesso anno, con
Alighieri, relazione storica al Congresso (Trieste-Trento), Roma, Società
nazionale Alighieri, e Id., Quaderni di memorie stampati ad usum delphini,
Firenze, Barbèra, dove è anche una professione di fede di Barbèra, segretario
del Consiglio centrale della Dante ( non son socialista, perché credo la
essenza di tal dottrina contraria a natura e giustizia, e poiché essendo essa
necessariamente internazionale è contraria al principio di nazionalità che è
anch'esso legge di natura), conforme ai fini della Dante, nata a rinnovare il
pensiero della Patria negli emigrati e nel proletariato che, ansioso di
migliorare le sue penose condizioni, sentî il bisogno di organizzarsi per le
rivendicazioni dei suoi diritti e di allearsi al proletariato degli altri paesi
con vincoli internazionali (Barbèra, L’Alighieri). E consigliere della Società
anche Martini. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. Sulla figura e
l’opera di Formiggini. Formiggini ottenne per le Guide bibliografiche il
patrocinio della Commissione per la propaganda del libro italiano all’estero,
presieduta dal nazionalista Gallenga Stuart (L'Italia che scrive), suscitando i
dubbi di Gobetti sull’efficacia e l’imparzialità culturale dell’iniziativa (ora
in Scritti politici); anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda
di guerra all’estero, in Storia contemporanea . E annunciata la costituzione
dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana sotto la presidenza di
Martini e Comandini (commissario per la propaganda all’Interno) e, fra i
consiglieri, il direttore del Giornale d’Italia Bergamini, Buonaiuti,
Formiggini, Croce, Einaudi, Prezzolini (L’Italia che scrive; anche il
frontespizio). Martini presidente, Orso M. Corbino vice-presidente, Gentile e
Amedeo Giannini delegati rispettivamente del ministro della Pubblica istruzione
e di quello degli Esteri, Almagià e Chiovenda consiglieri, Formiggini
consigliere delegato alle pubblicazioni. I nuovi accordi e le nuove compagnie
si dimostrarono subito pericolosi e condizionanti, tali da non permettere che
l’ente svolgesse quel compito di equilibrata armonizzazione di correnti opposte
che Formiggini sperava ereditasse dalla sua rivista. Il suo ideale di
imparzialità si rivelò un’arma a doppio taglio, permettendo in questa fase che
altri utilizzasse l’iniziativa per i propri fini. Il consiglio direttivo della
Leonardo, dicendosi convinto che la forza di espansione necessaria alla cultura
italiana non possa derivare da artificiali argomenti di propaganda, ma soltanto
dal valore stesso della nostra cultura, affermava con linguaggio trasparentemente
gentiliano che creare la cultura è la prima condizione della sua propaganda; ma
la cultura non esiste se non nello spirito che l’alimenta accogliendola e
sentendola ; considerava quindi necessario organizzare un lavoro di propaganda
interna diretto a ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura
italiana fu veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al
patrimonio spirituale dell'umanità, e affidava questo compito a una serie di
conferenze tenute da Gentile, Croce, Scialoia, Farinelli, Rossi, Ricci. Era un
chiaro rifiuto del programma culturale di Formiggini e della sua casa editrice.
L’iniziativa di quest’ultimo divenne impersonale , cioè nazionale , come egli
stesso dichiarò, e la Fondazione si propose, secondo le dichiarazioni di
Martini, di propagare il pensiero nazionale fra i popoli civili e ciò non con
intenti imperialistici, ma unicamente col proposito di far sapere chi siamo e
che cosa facciamo . Ma in breve tempo Gentile, forte dell’appoggio governativo,
riusci ad assumere il controllo della Fondazione presieduta da Bonomi,
separandola progressivamente da L'Italia che scrive , sull’esempio della quale
e utilizzando molti dei suoi collaboratori modellerà L’Enciclopedia italiana
più tardi il Leonardo affidato a Prezzolini e poi a Russo. L'assemblea sociale
della Fondazione, manipolata da Gentile promotore della marcia sulla Leonardo,
stando alle accuse di Formiggini®, rovesciò il consiglio direttivo, che fu
ristrutturato sotto la presidenza del nuovo ministro della Pubblica istruzione
del primo gabinetto Mussolini L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel
’25 dall’Istituto nazionale fascista di cultura, mentre Formiggini continuerà
ne L'Italia che scrive a inseguire ingenuamente il suo sogno di rispecchiare, in
una Italia in cui molte voci andavano ormai spengendosi, tutte le correnti
della cultura nazionale, senza comprendere come fosse ben diversa dall’opera di
armonizzazione da lui auspicata la volontà esplicita del Governo di assumere la
diretta gestione di tutti gli organismi di propaganda nazionale. La parabola
della Leonardo segna il destino dell’Enciclopedia nazionale progettata da
Martini: proprio nella seduta che sanzionò ad opera di Gentile il definitivo
distacco dell’Istituto da L’Italia che scrive , Formiggini comunicò al
consiglio direttivo della Leonardo di essere stato incaricato da un gruppo di
amici che facevano capo a Martini , rimasto presidente onorario della
Fondazione, di realizzare una Grande Enciclopedia Italica per sodisfare la
lunga attesa della Nazione e dar vita ad un’opera che, mercé una larga
diffusione in Italia e nei centri culturali stranieri, giovi gagliardamente al
progresso intellettuale del nostro Paese L'Italia che scrive. Formiggini. Con
Gentile presidente e A. Giannini vice-presidente, erano consiglieri R.
Bottacchiari, G. Calabi, Codignola, Giglioli, F. I Massuero, Radice, V. Rossi
(Leonardo). Cosî afferma Formiggini, ancora in epoca fascista (Venticinque anni
dopo, Roma, Formiggini; anche Trent'anni dopo. Storia di una casa editrice,
Amatrice, Formiggini). Ancora come attesta Salvemini, Scritti sul fascismo,
Milano, Feltrinelli. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. e al buon
nome dell’Italia nel mondo . Ritenendo impossibile ricalcare le orme della
Britannica, Formiggini ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto
originario di Martini 18 invece di 24 volumi, e ne affidò la realizzazione a un
costituendo consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche dei
maggiori periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della Società italiana
per il progresso delle scienze. I redattori sarebbero stati scelti fra i membri
di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e della Leonardo, che avrebbero
lavorato sotto la direzione non di un filosofo o di uno scienziato, ma di un
tecnico, un bibliografo e bibliotecario, per rendere la Grande Enciclopedia
Italica, come voleva Formiggini, specchio completo e obiettivo dello stato
presente della nostra cultura, opera espositiva e di coordinamento delle varie
dottrine : era respinto il consiglio di Croce di non fare opera eclettica,
perché una Enciclopedia deve avere un’anima sua, una sua coerenza, condiviso
anche da Gentile Ma la marcia sulla Leonardo travolse Formiggini, che fu
abbandonato da Martini; questi continuerà a coltivare la speranza di attuare
l’enciclopedia, finché non confluî nell’iniziativa gentiliana, mentre
Formiggini, abbandonato il vecchio progetto , riuscirà a dare inizio a una
nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- [All'annuncio dell’E.I.,
Formiggini scriverà che il Gentile di oggi (l’ho detto) non è più quello di
ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale avrebbe voluto una
enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale concorressero ad uno stesso fine
concettuale ( L'Italia che scrive ). Menghini scriveva a Martini che il trionfo
della tesi del Formiggini fu quello di Bemporad, e che non si tratta pit di una
enciclopedia scientifica, ma di una a base Larousse , e concludeva: appena
potrò, vedrò il Gentile, a cui narrerò tutto: e spero interessare il Governo
alla impresa (BNF, Fondo Martini). Martini, Lettere (a Formiggini). Formiggini,
Programma editoriale della collezione e L'Enciclopedia Italica, in L'Italia che
scrive. L’Enciclopedia italiana getti ®: ma quando ormai l’idea della
Enciclopedia italiana, ereditata da Gentile assieme alla Leonardo, era stata
rilanciata dall’Istituto Treccani. L'intervento di Treccani e Gentile Il
progetto di Martini fu realizzato fuori del ristretto ambito editoriale in cui
era stato confinato da Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile;
ma il rapido successo dell’iniziativa privata di Treccani e Gentile fu reso
possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fascismo, che favori una
stretta compenetrazione tra interessi politici industriali culturali, e fece
sentire l’opera utile, anzi necessaria © alla cultura e alla forza dello Stato
nel quadro di una più generale riorganizzazione del potere: il carattere
nazionale dell’enciclopedia non si presentò più solo come aspirazione da
raggiungere espressione di italianità frutto di tutte le forze intellettuali
del paese , ma anche come conseguenza del nuovo ordine che si autodefiniva
nazionale. Gentile, presidente della Leonardo e, fino al giugno di quell’anno,
ministro della Pubblica istruzione, riprese e sviluppò il progetto di Martini,
trovando un pronto aiuto economico nel senatore Giovanni Treccani, la cui
figura Cosî annunciata ne L'Italia che scrive. È noto che avevo studiato il
piano di una Grande Enciclopedia Italica e che altri sta realizzando con grande
abbondanza di mezzi quello che era stato il mio proposito. Mi si rimproverava
allora di voler dare uno specchio fedele di tutte le correnti del pensiero
degne di considerazione senza asservire l’opera ad una particolare tendenza:
oggi ho la giusta soddisfazione di vedere che quel mio concetto è stato
pienamente accolto. Le mutate condizioni della vita culturale italiana mi fanno
però rimeditare su quanto Croce ebbe a dirmi in proposito: egli affermava che
una Enciclopedia deve assolutamente avere un’anima sua propria, ed io allora
non vedevo quale delle tendenze spirituali avrebbe potuto imporsi come perno di
tutto lo scibile: oggi mi apparisce ben chiaro e non dubbio quale debba essere
il nucleo ideale di una simile impresa. L’E.I. è qualificata necessaria in
tutti i discorsi di Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento). Entrato io in Senato, il sen. Gentile (al quale mi legavano
rapporti di cordialità per la parte da lui avuta come Ministro della di
industriale-mecenate rappresenta il più ampio e politicamente nuovo intervento
dei grandi gruppi economici nell’attività editoriale. Alla morte di Rossi, il
protezionista considerato precursore dell’ideologia corporativa, cui Treccani
dedicherà un significativo ritratto nell’Enciclopedia, era entrato nel Rossi di
cui divenne presidente, e opera come amministratore delegato il salvataggio del
Cotonificio Valle Ticino, intorno al quale sorsero altre aziende tessili, tutte
basate sui principi, cari al Treccani, della divisione del lavoro e
dell’indipendenza della funzione industriale, a tutti gli effetti giuridici ed
economici, da quella commerciale, anche allo scopo di mettere le maestranze al
riparo dai disastri eventuali della speculazione, ma soprattutto, come Treccani
dichiarò di fronte allo spettro della rivoluzione leninista apparso con
l'occupazione delle fabbriche allo scopo di raggiungere la conciliazione
sociale spoliticizzando gli operai, cooptati nella direzione di aziende
puramente industriali di tipo corporativistico, private dei più vasti poteri
decisionali delle aziende puramente commerciali ©. Presidente di numerose
società tes Pubblica Istruzione, allora si diceva cost al recupero della Bibbia
di Borso d’Este) mi segnalò quel naufragato progetto, affinché io vedessi se
avevo la possibilità di attuarlo , ricorda Treccani. Il progetto prevedeva 32
volumi, diventati poi 36, e un Dizionario biografico degl’italiani; furono
spesi circa 15 milioni per i soli collaboratori, e 100 per tutta l’opera di 25.000
copie. Lanaro, Nazionalismo e ideologia del blocco corporativo-protezionista in
Italia, in Ideologie. Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in
Italia, Padova, Marsilio. Di Rossi Treccani scriverà nell’E.I. che considerava
primo elemento di potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo, preparato
con sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi sociali. Ebbe
vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i dipendenti e
considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da quello degli operai e da
quello della nazione : dove, pur fatte le dovute concessioni alla data di
stesura della voce, sono accennate le origini nazionaliste e cattoliche del
corporativismo. % l’anonima voce Treccani in E.I., eRossi, Dall’Olona ai
Ticino. Centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La tipografica Varese. In
modo che l’operaio industrializzato perderebbe l’abito di far L’Enciclopedia
italiana sili, chimico-meccaniche, agricole membro fondatore della società
agricola italo-somala ed editoriali, Treccani si prodigò in quell’opera di
mecenatismo che, soprattutto con l’acquisto e il dono allo Stato della Bibbia
di Borso d’Este, gli valse a nomina a senatore. Il mecenatismo di Treccani, e
di altri industriali o finanzieri quali Gualino, non era, come osservava
Gramsci, disinteressato: le loro iniziative culturali erano illuminate
autoprotezioni che, dichiarando paternalisticamente di favorire l’interesse
generale nazionale, aiutavano di fatto quello delle classi dirigenti e l'ordine
sociale costituito. A Enciclopedia compiuta Treccani affermerà che si può
contribuire al progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza
essere letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e aiutando questi; e
spetta specialmente a coloro che, in un determinato momento, detengono la
ricchezza promuovere atti di gene rosità e di rischio, perché solo facendo
compiere al capitale un'alta del lavoro una funzione politica, e questa
eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori e al di sopra di
quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori e al di sopra, che un
qualunque movente politico, in una eventuale lotta, non sarebbe possibile
concepire se non attraverso a un tentativo criminale di sovvertimento sociale,
o meglio a una aberrazione della coscienza operaia, la quale vorrebbe allora
precipitare nel baratro di una eclissi storica la nazione e la società.
Treccani, Capitale e lavoro, in Risorgimento . Il diritto nuovo. La rivista
Risorgimento , fondata da Treccani e diretta da Arrivabene, e su cui scrisse
anche Corradini, è definita dall'E.I. di spiriti nettamente nazionali (alla
voce Treccani). Per tutta la sua attività culturale e benefica Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, Milano, Bestetti,
(tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo rivolte
all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta nella
infornata ( Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza), era stata
raccomandata da GENTILE a MUSSOLINI (Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora
in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Quaderni
del carcere. Accenni a Gualino il fondatore della Snia-Viscosa e
vice-presidente della Fiat che finanziò le ricerche di Egidi e Chabod a
Simancas in AA.VV., ln memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica
pinerolese, Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni. funzione sociale, esso
può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che
l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del suo
progresso, del suo divenire; e che la scienza, alimentando le applicazioni
pratiche cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura è largitrice di beni
morali ed economici, che elevano la dignità del popolo e il suo tenore di vita.
Frutto del rafforzamento e della concentrazione dell’industria accelerati dalla
guerra e dal fascismo , l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta
compenetrazione dei gruppi di pressione economici Treccani vi interessò anche
il segretario dell’Associazione cotoniera Riva, e per la realizzazione
dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e Treves? con
interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala in Italia per la
prima volta dopo la grande guerra, condizionando in modo mediato l’editoria
divenuta, come la definî Vallecchi, industria delle industrie, e immediato la
stampa quotidiana. La libera iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò
che non era riuscito alla Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per
la ripresa e l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera
di organizzazione culturale promossa da Gentile, che dopo l’esperienza bellica
era venuto accentuando il valore politico della Enciclopedia Italiana Treccani.
Idea esecuzione compimento. Mori, Per una storia dell’industria italiana
durante il fascismo, ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo
d'industrializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti. L’E.I. fu realizzata
con grande fede nella disciplina e produttività delle forze intellettuali
italiane nonché nella resistenza dell'economia nazionale , affermò anche dopo
la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un enciclopedista. Come si
distribuisce l'immortalità, in Il Corriere della sera). Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento, e U. Ojetti, I taccuini. Firenze,
Sansoni, che parla anche di trattative tra Fracchia e Treccani su un nuovo
giornale letterario, probabilmente La fiera letteraria .Vallecchi, Ricordi e
idee di un editore vivente, Firenze, Vallecchi. L’Enciclopedia italiana
cultura, la critica alla scienza spettatrice della vita e all’arcadia, in vista
della formazione di una nuova classe dirigente. La direzione gentiliana di
Accademie e Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di case
editrici, affermatisi nel periodo fascista, ebbero nel campo dell’alta cultura
un’incidenza pari se non superiore, perché stabili per un quindicennio, alla
stessa riforma della scuola nel settore educativo. Quando questa comincia ad
essere svuotata dei suoi caratteri originari, GENTILE inizia proprio con
l’Exciclopedia e per mezzo del vasto potere di controllo su un gran numero di
intellettuali da essa conferitogli ad esercitare una vasta egemonia culturale
che induce a riconsiderare, nel quadro di tutta LA FILOSOFIA ITALIANA del
ventennio e del secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce attraverso La
Critica e la Casa Laterza, opera su cui finora si è insistito in modo esclusivo
e spesso pregiudiziale, identificando polemicamente la cultura con
l’antifascismo. Se la semplice somma numerica delle organizzazioni e degli
FILOSOFI controllati materialmente da GENTILE non è sufficiente, allo stato
attuale degli studi, a Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti ricordare
La moralità della scienza, in Scritti pedagogici, La riforma della scuola in
Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli; Che cosa è il fascismo, cit.;
Fascismo e cultura, Milano, Treves; Origini e dottrina del fascismo, Roma, Istituto
nazionale fascista di cultura. Quello del contatto organico tra l’intelligenza
e le classi dirigenti era allora il problema sostanziale di LA FILOSOFIA
ITALIANA posto fin dall’inizio della rinascita idealistica, ma rimasto insoluto
per la vittoria della vecchia Italia, osservava Togliatti a proposito de
coltura italiana di Prezzolini (Opere, a cura di E. Ragionieri, Roma, Editori
Riuniti). Ricordiamo solo la Commissione Vinciana, la Leonardo e l’Istituto
nazionale fascista di cultura, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Istituto
italiano di studi germanici, l'Istituto italiano per il medio ed estremo
Oriente, la casa editrice Sansoni, le collane di Le Monnier, il GIORNALE
CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Educazione fascista. ACS, Segreteria particolare
del Duce, Carteggio riservato. Bellezza, Bibliografia degli scritti di GENTILE
– LA FILOSOFIA DI GENTILE -- Firenze, Sansoni, Lalla, GENTILE, Firenze,
Sansoni). Cosi Garin, La Casa Editrice Laterza la filosofia italiana, ora in LA
FILOSOFIA ITALIANA, Bari, Laterza, che pur avverte sempre la larga
interdipendenza delle filosofie crociana e gentiliana. spodestare Croce dal suo
trono di papalaico ciò implicherebbe negare la persistenza dell’influenza
crociana, è da tener presente almeno l’importanza pratica delle iniziative
gentiliane: esse mirarono a coagulare attorno a un nucleo di tradizione
nazionale e fascista e quindi contribuirono a far sopravvivere nel quadro
dell’ideologia eclettica del regime forze intellettuali operanti in campo
filosofico. È significativo chequando le revisioni interne e gli attacchi
contro il ATTUALISMO si erano in gran parte già consumati, un rapporto anonimo
inviato a MUSSOLINI presentasse GENTILE come pericoloso inquisitore nel campo
dell’organizzazione della filosofia. Si va determinando nel campo dell’Editotia
Italiana, specialmente attraverso le sovvenzioni dell’I.R.I., un accaparramento
sempre più sensibile di case editrici da parte del Senatore GENTILE. Egli già
dirige direttamente o indirettamente le Case Editrici Lemonnier e Sansoni: le
quali, a loro volta, dispongono delle case dell'Arte della Stampa e di Ariani
in Firenze. Dirige l’Enciclopedia Italiana e controlla, perciò, un esercito di
FILOSOFI collaboratori che debbono per forza di cose obbedirgli. Sono note le vicende
delle case Treves e Tumminelli in cui Gentile era grande parte. Sano noti i
rapporti con le altre case attraverso i contatti con allievi o amici, quali
CARLINI e CODIGNOLA. Può dirsi quindi che oggi è molto difficile fare uscire un
saggio di FILOSOFIA in Italia senza il visto di questo nuovo Sant’Ufficio di
nuovo tipo. Si dice, inoltre, che presto la casa Bemporad e diretta da GENTILE,
venendo cosî ad aumentare il numero delle case affiancate o asservite.
Occorrerebbe vedere, con opportuni e delicati approcci, se non fosse il caso di
studiare il modo di immettere nella vita della filosofia fascista la Casa
Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una volta immessa nella
vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso all’attuale disquilibrdio
di forze editoriali Rapporto anonimo pervenuto a MUSSOLINI, in ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato; per l’accusa a GENTILE di estendere
la sua EGEMONIA FILOSOFICA attraverso l’E. I. GENTILE forma, più di CROCE, una
SCUOLA FILOSOFICA. Ed ha FILOSOFI discepoli entusiastici e fedeli, forse anche
troppo; ed appare un animatore e Documento di parte, certo, ma che accanto ai
limiti della opposizione crociana e alla spregiudicatezza ideologica del regime
pronto a strumentalizzarla indica solo per difetto i canali differenziati di
diffusione culturale di GENTILE e di I GENTILIANI. Nei primi anni del fascismo
l’opera di GENTILE e funzionale alla necessità politica del regime di unificare
e organizzare le disperse forze della FILOSOFIA della borghesia liberale.
Soprattutto dopo l’unificazione col nazionalismo pit attento ai problemi di
politica FILOSOFICA proprio perché da una tradizione filosofica nazionale vuole
trarre i motivi della sua collocazione nella storia della filosofia italiana, il
fascismo accompagna l’azione repressiva dello squadrismo con quell’opera di
graduale allargamento del consenso, fatta di concessioni ai gruppi
capitalistici e alle forze culturalmente egemoni che gli permette di
schiacciare le opposizioni. Valido strumento e dapprima la gentiliana riforma
della scuola con FEDELE resa p DIS conforme alle istanze della borghesia, poi,
superata la crisi Matteotti e instaurata la dittatura, l’opera di
appropriazione di correnti filosofiche diverse assegnata a GENTILE, parallela a
quella svolta contemporaneamente sul piano politico verso i fiancheggiatori, e
dopo sostituita dalla ricerca dell’appoggio dei borghesi. Non è un caso che
Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana e costituito. Salutato
con entusiasmo da GENTILE, segna la fine dei governi di coalizione. FARINACCI
divenne segretario del Pnf, carica che terrà fino al marzo direttore
spirituale. Sostiene le sorti della sua scuola e dei suoi scolari con la fede
di un uomo di parte, ricorda ancora PREZZOLINI (La filosofia italiana). Tomasi,
Idealismo e. fascismo nella scuola italiana, Firenze, È Nuova Italia. Gentile a
Mussolini. Eccellente il discorso di ieri. Il paese tutto si sveglia e torna a
Lei. La prego poi di ricordarsi che in questi giorni bisognerebbe dar forza ai
Quindici, emanando il Decreto Reale -- copia in ACS, Segreteria particolare del
Duce, Carteggio riservato. Sebbene l’opera si assicurasse l’alto patronato del
re e le dichiarazioni ufficiali di Treccani e Gentile non facessero quasi parola
del fascismo, la sua data di nascita indica il peso determinante che nella sua
realizzazione ebbe l’avvento della dittatura. La segreteria Farinacci
sembrerebbe contrastare con lo spirito informatore dell’impresa; in realtà la
linea estremista del fascismo, pur polemizzando con l’iniziativa gentiliana,
non riusci a condizionarla. Anche in campo filosofico le due anime del
fascismo, tradizionale e rivoluzionaria, trovarono ciascuna un proprio spazio e
una propria funzione. Che la nascita dell’Enciclopedia e l’indirizzo da essa
rappresentato non fossero casuali, frutto esclusivo di un’iniziativa
individuale, ma rientrassero in un più vasto programma di politica culturale
del regime, è dimostrato anche dal sorgere accanto ad essa di numerosi altri
istituti di alta cultura, quali l’ISTITUTO DI STUDI ROMANI di Paluzzi,
l’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA Istituto nazionale fascista erede
materialmente della Leonardo di Formiggini o delle varie Università popolari e
affidato a GENTILE, la SCUOLA DI STORIA di VOLPE e L’ACCADEMIA D’ITALIA, tutte
istituzioni rivolte, con programma e su piano filosofico, a promuovere studi e
ricerche ispirati sempre ad IL PRIMATO DELLA CIVILTA ROMANA nel mondo, con una
funzione interna analoga a quella svolta, all’estero, da appositi organismi
culturali che, in modo graduale e illuminato, miravano a orientare
favorevolmente verso il fascismo l’opinione pubblica, Come appare dal Manifesto
al pubblico (in Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento). Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e Istituti di
cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, Una prima ricerca è quella sul CNR di
Maiocchi, Scienza, industria e fascismo, in Società e storia . Sulla figura di
VOLPE v. Cervelli, VOLPE, Napoli, Guida, e, per qualche cenno sulla sua vasta
opera di organizzazione degli studi storici nel periodo fascista, ancora da
studiare, Turi, Il problema VOLPE, Studi storici. Frezza Bicocchi, Propaganda
fascista e comunità italiane in Lo specchio fedele e completo della cultura
scientifica italiana. Il governo facilita economicamente la realizzazione della
Enciclopedia, intervenendo su sollecitazione di GENTILE per l’accordo
editoriale fra l’Istituto Treccani e il Touring Club Italiano che fornisce il
corredo cartografico dell’opera, e costituendo l’ente nazionale ISTITUTO
DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA. E sempre il regime condiziona direttamente
l’impresa, garantendone il controllo ecclesiastico, e utilizzandola poi come
canale di diffusione della sua ideologia, come nella voce Fascismzo. Ma
l’Enciclopedia si presenta come opera nazionale, testimonianza di un primato
italiano da rivendicare di fronte agli altri paesi, nel senso già indicato da
MARTINI. Solo con l’uscita e in una diversa situazione politica, il suo
carattere nazionale e precisato con l’istituzione del rapporto di continuità
risorgimento/grande-guerra-fascismo. La Casa Italiana, Columbia, Studi storici.
La prefazione alla E.I. ricorda come il maggior tentativo di una enciclopedia
italiana e stato fatto in Italia negli anni forieri del Quarantotto, nel più
vivo fermento della ridesta coscienza nazionale del popolo italiano, come il
disegno e il proposito dell’Enciclopedia siano maturati dopo la grande guerra
in cui gl’italiani, per la prima volta dacché raccolti in unità nazionale,
fecero esperimento di tutte le loro forze materiali e morali, e superarono la
prova con una grande vittoria, e che il clima che rende possibile un'opera come
questa è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo. E Treccani. Ad
ogni movimento nazionale concluso, si è sempre sentito il bisogno di questo
esame delle proprie possibilità filosofica. Anche Filiberto, restaurato lo
stato, idea un’Enciclopedia col nome di Teatro Universale, rimasta però allo
stato di Progetto. Ed altrettanto fanno gl’uomini del nostro Risorgimento, che
ci diedero l’Enciclopedia Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del
Risorgimento, opera lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto dalla
guerra vittoriosa e dal fascismo, non puo rimanere sterile in questo campo.
Negli stessi termini Bosco, Enciclopedia Italiana, in Panorami di realizzazioni
del fascismo. Gl’Istituti del Regime, Roma, Panorami di realizzazioni del
fascismo. Già il Manifesto ricorda, oltre al clima della vittoria, il tentativo
fatto in Torino negli anni più maturi L’insistenza sul significato nazionale
dell’impresa di cui solo pochi colsero gli equivoci, e il pericolo di una
riduzione nazionalistica della filosofia si dissolve presso gl’incerti o
gl’oppositori del fascismo o di Gentile il dubbio che l’opera e politicamente e
FILOSOFICAMENTE di parte. Tutte le dichiarazioni di Treccani e Gentile
rispettivamente PRESIDENTE DELL’ISTITUTO e DIRETTORE dell’Enciclopedia sono
ispirate a questa preoccupazione. L’atto costitutivo dell’Istituto auspicava
che l’opera e scritta con la collaborazione di quanti filosofi sono in Italia
competenti in ogni ordine di scuole, e governata da un alto concetto di quello
che è stato ed è il carattere ed il valore della civiltà italiana nel mondo,
nonché dal desiderio e proposito che tutte le forze filosofiche della nazione
siano, per questo lavoro che interessa tutta la nazione, messe a profitto, in
modo che riuscisse opera, cosî dal rispetto filosofico, come da quello
nazionale, degna delle più nobili tradizioni del popolo italiano. L’art. 4 si
preoccupa di specificare che l’Istituto s’inspira bensi alla coscienza del
glorioso passato del popolo italiano e degl’alti destini a cui esso può e deve
aspirare. Ma è a-politico nel senso assoluto della parola. Anche il del
Risorgimento nazionale, quando tutto lo spirito italiano senti piu urgente il
bisogno del suo rinnovamento e di una vita più intense. Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Sulla Nuova enciclopedia
popolare del Pomba Bottasso, Le edizioni Pomba, Torino, Biblioteca civica, Cfr
l’articolo Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in L'Unità (lo
pseudonimo dell’autore non è completamente leggibile. Gl’uomini della dominante
borghesia italiana vorrebbero adesso nazionalizzare la internazionale della
filosofia, facendo un grande monumento di dottrina filosofica INDIGENA, mentre
una enciclopedia, per servire degnamente alla filosofia, deve essere opera
vastissima di filosofia universale, enorme massa di parole e di voci che vanno
distribuite fra quanti filosofi dotti possono più sicuramente parlare su
ciascuna di esse. Se si farà, sarà, pur troppo, un documento di fragorose
chiacchiere e di malfatte compilazioni, conclude l’articolista esprimendo il
dubbio sulla capacità del fascismo di realizzare un’opera di tanta mole e di
cosi universale sapete. Treccani, Exciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento. Treccani dichiara: La politica qui non c'entra, né deve
entrarci. E il caso anzi di dire che se la politica può dividere gl’uomini, LA
FILOSOFIA li deve tutti unire -- parole che ricordano quelle di GENTILE
nell’articolo Contro Manifesto al pubblico dichiarava l’IMPARZIALITA filosofica
e politica dell’Enciclopedia, quasi con gli stessi termini già usati da FORMIGGIN.
A questa ENCICLOPEDIA che e specchio fedele e completo della filosofia
italiana, sono chiamati a collaborare tutti i FILOSOFI d’Italia; e dove sia
opportuno non si tralascerà di invitare a fraterna collaborazione i filosofi
d’altri paesi, come la GERMANIA, più particolarmente versati, com’è naturale,
nelle materie – e. g. HEGEL -riguardanti le rispettive loro nazioni. Ma di
quanti sono in Italia che abbiano in una disciplina e in uno speciale argomento
una loro competenza, l’Istituto confida che nessuno vuole negare il proprio
contributo e il proprio nome a questo lavoro, che vuol essere opera nazionale
superiore a tutti i partiti politici come a tutte le scuole filosofiche, e puo
riuscire, per la sua complessità, la maggior prova filosofica dell’Italia nuova
Le dichiarazioni di imparzialità convinsero FORMIGGINI che giudica l’ATTUALISMO
ormai privo di aggressività per aver esaurito la sua funzione, non chi vede,
l’agnosticismo della scuola: la politica divide, e la filosofia unire (Che cosa
è il fascismo). Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento. Cosi VOLPE cerca di sostenere l’obiettività dell’E.I.: Se per
Enciclopedia fascista si intende un’opera in cui ogni articolo, pagina, rigo
sia coordinato e SUBORDINATO AD UNA DETERMINATA VEDUTA FILOSOFICA e politica,
questa nostra non è l’Enciclopedia del Fascismo. Non è, come la Enciclopedia
FRANCESE, la Enciclopedia dell’ILLUMINISMO. La Enciclopedia italiana neppure se
lo è proposto. Né e forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un
quadro PERFETTO della filosofia. E questo ha il suo valore per il Fascismo.
L’Enciclopedia italiana, per quel tanto che può avere una veduta filosofica, ha
una veduta che perfettamente ingrana col Fascismo: la filosofia come movimento
e divenire, come lotta e, insieme, solidarietà di forze. L’Enciclopedia è un
monumento all’Italia, in piena rispondenza al pensiero e all'anima del
Fascismo. L’Enciclopedia italiana. Nuova Antologia -- articolo rifuso,
accentuando l’apoliticità dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e
l’Enciclopedia Italiana, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze,
Sansoni. Ciò che IL SENATORE TRECCANI E IL SENATORE GENTILE hanno detto circa
gli spiriti filosofici che dovranno animare la grande impresa, pienamente mi
soddisfa. I nomi dei filosofi collaboratori scelti sono gli stessi che io avrei
scelto. Gentile d’oggi ha fatta sua la concezione formigginiana che una
enciclopedia nazionale deve essere il quadro completo dello spirito filosofico
della nazione – come a Bologna -- e non la espressione di una particolare
tendenza. L'Italia che scrive. al contrario, aumentare il pericolo di
un’egemonia gentiliana. TILGHER sulle pagine de Il Mondo svolge in quei mesi
una serrata polemica anti-attualista, mise in guardia senza tuttavia tener
conto del complesso gioco politico e culturale condotto dal fascismo contro l’
IMPERIALISMO filosofico dell’ATTUALISMO di Gentile: spirito chiuso, violento e
SETTARIO, pontificale e teologale, tabula rasa all’infuori di argomenti rinascimentali
e risorgimentali, cui avrebbe preferito, alla direzione dell’opera, CROCE, o
CHIAPPELLI, FARINELLI, OJETTI. L’Enciclopedia che usce dalle mani del senatore
Gentile non e una Enciclopedia, ma un Index librorum et virorum ad majorem
Actus Puri gloriam. Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla
vigliaccheria filosofica del nostro bel paese se crede che gli si lascia
compiere tranquillamente una simile impresa di annessione filosofica. Se no, se
l'Enciclopedia dovesse rimanere affidata a Gentile, credo che non trova
FILOSOFI collaboratori disposti ad aiutarlo nella sua opera d’imperialismo
intellettuale. E già so che più d’un FILOSOFO, RICHIESTO, RIFIUTA di
collaborare. Le previsioni di TILGHER di un’energica reazione contro l'impresa
gentiliana da parte della corrente filosofica, gli indirizzi, i movimenti, le
scuole, i filosofi massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria di
Gentile, non si realizzarono. A critiche del genere limitate a una polemica
culturale scadente spesso sul piano personale, Treccani puo facilmente opporre
la diversità di indirizzi rappresentata dai direttori di sezione
dell’Enciclopedia. In occasione della loro prima riunione, il presidente
dell’Istituto si preoccupa di confutare attacchi esterni e diffidenze interne
sull’opera ritenuta dogmatica, settaria, faziosa, asserendo che Gentile è uomo
di partito e di idee sf, ma è uomo leale e di fede. Tra lui e l’Istituto sono
poi stati stabiliti patti ben chiari ed egli ha già dato prova, nella
indicazione dei FILOSOFI, di aver tenuto fede a tali patti: basta uno sguardo
alle persone qui presenti per convincersi dell’infondatezza di ogni accusa.
Tilgher, Giovanni Gentile e l'enciclopedia italiana, in Il Mondo. Del resto, Vi
assicuro che io, che ho dato il mio nome a quest’impresa, non permetto mai ad
alcuno di venir meno al concetto fondamentale, che molto chiaramente è espresso
nell’atto costitutivo. Ma io ho fede nel Sen. Gentile. Lo stesso suo carattere
energico è garanzia di successo. La campagna ingiusta, iniziata contro di lui a
proposito dell’Enciclopedia, cade non appena pubblicammo i nomi dei FILOSOFI
collaboratori, i quali, italiani di sicura fede, rappresentano la idea, la
scuola, e la tendenza filosofica. Tutti gl’interpellati finora hanno aderito
con parole confortanti e lusinghiere. Se qualcuno fosse tentennante, bisogna
illuminarlo, persuaderlo dell’obiettività del lavoro e convincerlo a dare il
suo nome, sia pure per una sola voce. Nessun nome di insigne FILOSOFO italiano
deve mancare nell’Enciclopedia, anche perché, dato il duplice scopo che io miro
a raggiungere Enciclopedia come opera di valorizzazione della filosofia
nazionale e Fondazione per l'incremento della filosofia con gli eventuali
profitti non sarebbe simpatica la voluta assenza da parte di qualcuno A Bologna
si era appena chiuso il convegno sulle istituzioni fasciste di cultura in cui
Gentile presenta il fascismo come erede di tutta la storia italiana, rivolgendo
un appello all’unità e alla conciliazione che avrebbe dovuto rafforzare, sul
piano del consenso, la drastica conclusione della crisi Matteotti. Anche
l’Enciclopedia viene indicata con insistenza come opera nazionale, in cui ogni
filosofo italiano di sicura fede conserva la sua opinione filosofica – e
politica. Alcuni degl’avversari del regime riconosceno il suo sforzo, ma anche
la difficoltà, di acquisire l’appoggio di ogni filosofo. Cosi l’Avanti!, per il
quale, anche se il mondo filosofico italiano si è fascistizzato molto presto,
antifascista è la filosofia, la vera filosofia, quella disinteressata, quella
cioè che ha sempre odiato l’accademia, la chiacchiere, la rettorica, gl’alalà.
L'Unità invece, ritenendo che anche ideologicamente gl’intendimenti fa
Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Da Ireneo
ad Arpinati..., in Avanti! , a proposito del discorso bolognese di Gentile;
anche I filosofi e Farinacci, in Avanti! Fra il manifesto dei filosofi del
fascismo, leggi Gentile, e i discorsi di Farinacci, bisogna confessare che c’è
piu intelligenza nei discorsi di Farinacci. scisti di fascistizzare gli altri
partiti social-democratici possono col tempo realizzarsi come afferma
esaminando il Manifesto dei filosofi del fascismo, coglie proprio
nell’Enciclopedia la capacità del regime di ottenere consensi fra i filosofi.
Conosciamo bene quel che sia la spregiudicatezza scientifica dei sapienti del
fascismo e quel che sia l’antifascismo della gente accademica. In tempi
calamitosi per le pubbliche libertà uomini di scienza hanno talora opposto le
loro proteste, gravi e sensibili, se anche rare o taciturne. Oggi non abbiamo
di questi esempi in Italia, fra tanti uomini di dottrina che pure fanno
professione di indipendenza o di avversione ai poteri dominanti "; dove
però, più che l'individuazione della forza del fascismo che stava proprio
allora organizzandosi come regime reazionario di massa, vi è quella polemica
contro gli aventiniani, che porterà ancora a negare ogni differenza fra le
varie componenti della borghesia. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva ad
accreditare sotto l’etichetta nazionale era comunque strettamente condizionata
dalla situazione reale del paese, e si traduceva in una passività di stampo
prezzoliniano: nello % Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali
fascisti, in L'Unità . .Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in
L'Unità. Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in L'Unità, a proposito della
polemica Gentile-Interlandi sull’E.I., che esamineremo. Evidentemente
differenze fra i gruppi borghesi non esistono nelle idee fondamentali, ma nel
modo di fare. Il fascismo ha in tutti i modi l’energia di attrarre l’attuale
borghesia: ecco i confini tecnici fra pensiero ed azione . Nell’organo della
gentiliana Fondazione Leonardo, Prezzolini annunciò l’E.I. come l’esame di
stato della coltura italiana e lo sforzo dell’Italia nuova, in paragone degli
altri paesi. Il programma è ottimo. Lo sforzo è il più nazionale che si sia
tentato dopo l'unità italiana, ma l’Enciclopedia non sarà nazionalistica ; si
sarebbero superate le enciclopedie straniere se la scelta dei collaboratori,
com'è stata quella dei direttori delle singole sezioni, sarà severa e non
dipendente da criteri politici o di meno che serena volontà scientifica. Sarà
un altro dei meriti di Gentile verso la cultura italiana (Leonardo,
redazionale); e, pubblicando le Avvertenze ai collaboratori dell’E.I.: meglio
di ogni altro documento, varranno a fare scompatire nel pubblico ogni ombra di
dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia avrà, e a dissipare le voci
malevoli che pretendevano l’Enciclopedia fosse poteva riflettersi solo, la
cultura e l'ideologia del blocco borghese chiamato a collaborare col regime nel
momento in cui questo schiacciava le opposizioni. Era significativa, del resto,
la presentazione ufficiale che dell’Enciclopedia dava la rivista di Mussolini,
Gerarchia. Dopo aver affermato la necessità di un’affermazione di
intellettualità collettiva che rivelasse al mondo ciò che l’Italia era nel
dominio del sapere universale , e che in Italia non possediamo ancora la nozione
di quel sapere nazionale che invece posseggono e da secoli altre nazioni ,
l’autore dell’articolo auspicava che l’Enciclopedia, libro di un popolo , fosse
libro politico, ma soprattutto libro di conquista , espressione dell’
intelligenza dominante della collettività; essendo giunta l’ora che il mondo la
pensi anche all’italiana , compito dell’opera avrebbe dovuto essere quello di
chiamare a raccolta tutto quanto l’anima italiana ha in questo momento di lume
e di ardimento e farlo collaborare a questa grande azione che se ben mossa può
segnare il primo passo verso quel dominio intellettuale del mondo che noi da
tanti secoli abbiamo perduto e può segnare, prima ancora, il definitivo
sfrancamento italiano dalla coltura straniera. La politica di conciliazione di
Gentile La componente tradizionalista del fascismo, rappresentata in primo
luogo dai nazionalisti, cercò come ricorderà Bottai che della necessità di
conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale sostenitore
dalle pagine di Critica fascista e poi di Primato di opera di parte, concepita
con angusti criteri di scuola. Nella seconda ediz. de La cultura italiana si
limiterà a dire che V’E.I. dovrà rappresentare la capacità della coltura
italiana del dopo-guerra. Venturini, La nuova e mirabile fatica italiana.
L'Enciclopedia Nazionale, in Gerarchia , costruirsi una sua Weltanschauung che
fosse, da un lato, frutto della mediazione e del superamento delle diverse
correnti di pensiero dalle quali o contro le quali il movimento fascista era sorto
non rollandianamente 4% dessus de la mélée, ma con un suo impegno autonomo
d’arbitro tra due mondi in lotta, dall’altro, valorizzazione del primato
storico-culturale italiano ®. Per questo era necessario, inizialmente, fare
appello a tutti quanti erano disposti a collaborare con un regime che cercava
di mostrarsi erede di una tradizione nazionale : si pensi alla presentazione di
Croce precursore del fascismo, o ai tentativi, non ultimo quello
dell’Enciclopedia, di accaparrarsene l'appoggio. In quest'opera di assorbimento
di intellettuali incerti, fiancheggiatori od oppositori, analoga a quella
attuata in campo politico dagli ex nazionalisti Rocco e Federzoni, artefici
della simbiosi organica del Pnf col vecchio Stato monarchico, il regime si
rivesti piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore per usare le
parole di Bottai riferite a Mussolini, evitando i vuoti paurosi, e poté quindi
trovare uno strumento adatto in Gentile, la cui concezione dello Stato e della
storia italiani ne sottolineavano con motivazioni antitetiche a quelle che egli
riteneva il naturalismo deterministico, conservatore e illiberale dei
nazionalisti alcuni presunti elementi di continuità e sviluppo che facevano del
fascismo il vero liberalismo . G. BOTTAI, Vent'anni e un giorno, Milano,
Garzanti. Di Bottai è da vedere tutta l’antologia di Scritti, Bologna, Cappelli
(dove è riportata, ad es., la conferenza nella quale notò come attraverso il
Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo passo della sua
rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione politica, che potrà
essere discussa, ma non negata ). Di uno sforzo intellettualistico di tipo e di
gusto crociano da parte del gruppo di Bottai parla R. Colapietra, Benedetto
Croce e la politica italiana, Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario.
Sul revisionismo di Bottai, ma con una inaccettabile sopravvalutazione del suo
ruolo critico all’interno del regime, G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un fascista
critico, Milano, Feltrinellie A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista,
Bari, Laterza. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, L’Enciclopedia
italiana Nei numerosi interventi compiuti da Gentile sui rapporti tra fascismo
e cultura non vi sono né le contraddizioni che vi ravvisò Formiggini, né la
difesa dell’autonomia della cultura vista da Harris nella gentiliana politica
di conciliazione !: comune a tutti è la necessità già sostenuta a proposito del
problema scolastico!di organizzare e legare al nuovo ordine, indirizzandole se
possibile verso esiti attualisti, tutte le forze culturali del paese, con la
consapevolezza che ciò è possibile solo con la forza politica del fascismo. A
Firenze, di fronte a un uditorio politicamente composito, Gentile sostenne la
possibilità che ognuno intendesse il fascismo a suo modo: L’unità risulta da
questa molteplicità, da questa infinità di temperamenti e psicologie e sistemi
di cultura e concezioni della vita. La forza del fascismo deriva da questa
ricchissima inesauribile fonte d’ispirazioni e connessi bisogni ed energie spirituali.
Ed esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella monotonia meccanica delle formule
vuote se potesse definirsi e restringersi negli articoli di un credo
determinato!. Il giorno dopo, parlando all’Università fascista di Bologna di
prossima inaugurazione, ribadî il suo concetto di libertà che si attua nello
Stato come negazione dell’individualismo egoistico, e di fascismo come ultima e
più matura forma del nuovo concetto della libertà, figlia. Un appello ai
liberali e uno ai fascisti, per far tutti partecipi di un unico processo
storico sfociante nello Stato etico, ritenuto la forma suprema e la unità
cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo
successivo , che deve rampollare dalla stessa realtà e perciò Gentile ha contraddetto
a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando qui un grande
problema culturale, quello della Enciclopedia, ha dichiarato che intende di
affratellare, formigginianamente, nella grande impresa tutti i competenti senza
distinzione di scuole e di partiti ( L'Italia che scrive . Gentile, Scritti
pedagogici, La riforma della scuola in Italia,Che cosa è il fascismo, in Che
cosa è il fascismo, Libertà e liberalismo, aderirvi; e da questa aderenza
derivare la sua forza e la sua potenza ! sebbene criticato da Treccani per le
pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto pregiudicare l’impresa
cui si erano accinti, Gentile svolgeva anche se in maniera più scoperta
riguardo al fine le stesse idee poste a base dell’Enciclopedia. Cosî nel discorso
di chiusura del convegno per le istituzioni fasciste di cultura col quale Croce
motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia, Gentile obiettò a
PANUNZIO che il Partito fascista ha un suo vasto contenuto ideale, senza
bisogno di definire la sua dottrina e di fissare il suo sillabo , e sostenne la
necessità di immettere il fascismo (critico degli intellettuali che stanno alla
finestra) nella filosofia, senza bisogno di promuovere una filosofia del
fascismo, poiché il nostro partito non è SETTA, né chiesuola. Il nostro partito
vuol essere ... il popolo italiano; nell’attesa, tanta parte del passato doveva
essere rispettata e utilizzata: oggi nelle università dello Stato insegnano
tanti vecchi uomini, a cui molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro
mente e l’animo loro quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani giovani e
della guerra, non s'era accesa la scintilla della nuova fede; e non
c’intendono, e noi guardiamo ad essi con sospetto, ed essi verso di noi con un
sorriso sulle labbra, con l’anima chiusa. Ebbene, questa è l’università
italiana in gran parte: questa è la vecchia Italia, che noi non possiamo
cancellare; che anzi dobbiamo pur rispettare 1°. Che cosa è il fascismo.
Treccani a Tumminelli. Non condivido il Suo ottimismo. La macchina v4 scossa
affinché funzioni rapidamente. Vengo a sapere che non una delle lettere ai
collaboratori è partita. Ma vi è di più: Ojetti ha scritto più volte a Gentile
chiedendo schiarimenti e non ha mai avuto nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza
di modo di fare è questo? ... Le devo dire il vero che a me spiacciono le
conferenze che Gentile va a tenere sul fascismo nelle varie città:
l'enciclopedia non è, e non deve essere, di marca fascista... Mi sbaglierò, ma
con Gentile non incominciamo bene: egli non si rende conto dell’enorme
sacrificio e rischio mio e prende la cosa alla leggera. Dovrebbe aver capito,
indipendentemente dal contratto che ho firmato, che io non mi sono cacciato
nell’impresa per il gusto di buttar via quattrini (ACS, Segreteria particolare
del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Il fascismo nella cultura, in Che cosa è il
fascismo. Nessuna concessione alla barbarie dell’estremismo fascista. Anche il
Manifesto degli intellettuali del fascismo, frutto di quel convegno, ebbe
valore di documento politico anche perché fu, da parte di Gentile, un ennesimo
tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto l’idealismo , compreso quello
crociano, come ha osservato Colapietra !, e presentò il fascismo come
riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza della
civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni. Anche in seguito
Gentile riaffermerà la sua concezione dei rapporti fascismo-cultura. Nel
DISCORSO TENUTO IN CAMPIDOGLIO PER L’INAUGURAZIONE DELL’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA
DI CULTURA, in cui ricorda ai liberali la ben più drastica opera riformatrice
attuata dal liberale Sanctis a Napoli (documentata da Russo), riprese e
sviluppò motivi già affermati ', invitando a non disconoscere una certa cultura
strumentale, a norma della quale due più due farà sempre quattro, sia che si
sommino carezze sia che si sommino bastonate. E di questa cultura strumentale,
che è mero sapere, organizzazione di cognizioni bene accertate, critica,
erudizione, dottrina, non può essere il fascista a volersi disfare!, Concetti
ripetuti. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana,
Milano, Feltrinelli. Possiamo spogliarci di certe passioni della prima ora, e
riconoscere pertanto il valore nazionale cosi di certe forme di cultura, che a
noi riescono false in quanto insufficienti, come di tanti uomini che non ebbero
occhi né cuore per vedere in alto il segno a cui avrebbero dovuto guardare e
trarre gl’italiani, ma lavorarono pur seriamente, onestamente, a recare in
campo quelle pietre, con cui la giovane Italia ha cominciato a costruire il suo
grande edifizio. Noi a quelle pietre, i non dirlo?, non possiamo, non vogliamo
rinunziare ; ma il senso di questa apertura che Gentile raccomandava era
chiarito più avanti. Transigenza che diverrà ogni giorno più facile, via via
che, adempiuto il secondo termine, apparirà sempre più opportuno e più giusto
il primo termine del grande monito romano: parcere subiectis et debellare
superbos. Poiché non è lontano, se io non m’inganno, il giorno, in cui tutta
l’Italia sarà fascista (Discorso inaugurale dell'Istituto Nazionale Fascista di
cultura, in Fascismo e cultura. al Senato a proposito dell’Accademia d’Italia
nata a promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano (nessuna
dittatura, assicurò!', come fa MUSSOLINI quando l'ACCADEMIA D’ITALIA iniziò i
suoi lavori !); ad essi Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza del
fascismo fosse la sua capacità di assorbire e superare la tradizione !5: lo
stesso criterio seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio delle
riforme costituzionali, da lui presieduta !‘. Rispettare, utilizzare e
organizzare intellettuali di vario orientamento politico e culturale era più
difficile che inquadrare nell’apparato amministrativo dello Stato fascista la
burocrazia di estrazione liberale; ma era opera [Per l'Accademia d'Italia
Mussolini indicava fra i filosofi uomini di origini, di temperamenti, di scuole
diverse; uomini rappresentativi di un dato momento sono al lato di uomini
rappresentativi di un momento successivo, o attuale, o futuro. L’Accademia è
necessariamente eclettica, perché non può essere monocorde... Nell’Accademia è
l’Italia con tutte le tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente,
le anticipazioni del suo avvenire (in Mussolini, Scritti e discorsi, Milano,
Hoepli. Scriveva che il Regime si viene pacificamente guadagnando gli animi
nelle scuole, nelle università, nelle accademie, e in ogni libero campo di
attività letteraria od artistica. Cresce insieme spontaneamente l’interesse di
esso per ogni forma di cultura nazionale, e si fa sempre più profonda la sua
consapevolezza, che la sua forza, che è la forza e la potenza del popolo
italiano, non si può consolidare senza l’adesione e la libera collaborazione
delle più rappresentative intelligenze e di tutte le forze morali del Paese (Il
fascismo e gli intellettuali, ora in Origini e dottrina del fascismo). Afferma
che il fascismo è progresso in quanto è restaurazione: consolidamento delle
basi per edificarvi su un solido edifizio, alto, nella luce. Ogni originalità
senza tradizione, come ogni spontaneità senza disciplina, è velleità sterile,
non VOLONTÀ VIRILE (Risorgimento e fascismo, ora in Memorie To e problemi della
filosofia e della vita, Firenze, Sansoni. Nella relazione presentata da Gentile
a Mussolini, si affermava che la commissione non ha pensato un solo momento che
fosse da sovvertire lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione del Risorgimento.
E cosî ha creduto di rendersi fedele interprete dello spirito del fascismo,
nato a costruire, non a distruggere (Relazioni e proposte della Commissione per
lo studio delle riforme costituzionali, Firenze, Le Monnier. Sul significato
non eversore delle proposte della Commissione dei Diciotto, Aquarone,
L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi. necessaria, non
esistendo una cultura del fascismo . Né Volpe alla Scuola di storia moderna e
contemporanea, né Gentile all’Enciclopedia, quindi, chiesero tessere di
partito. Dopo la costituzione dell’Istituto Treccani, la prefazione all’
Enciclopedia in cui è evidente la mano di Gentile poteva già vantare i
risultati raggiunti, smentendo le previsioni degli oppositori: Il clima che ha
reso possibile un’opera come questa, alla quale non parve in passato possibile
in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo, che
scosse idee e sentimenti e accese una passione inestinguibile di rinnovamento e
di affermazione della potenza dell’Italia nel mondo... Il primo segno di questa
crisi gagliarda di rinnovamento fu la radicale riforma della scuola compiuta;
alla quale seguirono molte altre riforme organiche, onde si venne trasformando
la struttura dello Stato e si gettarono le basi di una nuova vita nazionale
demografica, economica, morale e religiosa. Mai, per nessuna opera, in Italia
si unirono come per l’Enciclopedia Italiana migliaia di scrittori a collaborare
con un disegno prestabilito, sotto una costante disciplina E il fatto che tanti
e si può quasi dire tutti gli studiosi d’ogni scuola e indirizzo, letterati,
scienziati ed artisti, si siano per la prima volta accordati non in un’idea da
vagheggiare, ma in un lavoro da eseguire, e che a tutti chiedeva disinteresse e
sacrificio, per lo meno d’altri lavori di maggior soddisfazione personale,
questa grande morale concordia degli scrittori italiani è il primo e il non
meno importante frutto che in vantaggio dell’alta educazione nazionale
l’Enciclopedia potesse produrre. Affinché fosse possibile tale concordia fin da
principio la Direzione dell’Enciclopedia riconobbe l’opportunità di un
ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità. Un’opera non di rapida
consultazione e volgarizzamento, come il LAROUSSE, ma a carattere monografico
come LA BRITANNICA, non avrebbe potuto avere carattere impersonale, come vuole
Treccani: l’ampiezza di una voce monografica Formiggini osserva che l’E.I.
riusce la più antifascista delle enciclopedie fasciste, e ciò non per mancanza
di buona volontà di render servizio al partito che gli ha dato ricchezze ed
onori, ma perché Gentile si è accorto che se avesse voluto fare una
Enciclopedia fascista avrebbe trovato come unico collaboratore volontario (e lo
ammettiamo per pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci ( L'Italia che scrive
implica una presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la
molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere
ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro vivo, pare
esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere cosa seria, è di necessità
opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo pensiero, il suo stile, la sua
anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per parte nostra, ci siamo studiati di
fare che ognuno, entro certi limiti, restasse, come scrittore
dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli era. Il che per altro non abbiamo
creduto che fosse per produrre l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e
discordi. Non c’è solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è
anche l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il punto
di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei connazionali e dei
coetanei che vivono la stessa vita e si sono formati nello stesso mondo
spirituale. Da quest’anima più vasta, non meno reale dell’altra che varia da
individuo a individuo, scaturisce l’unità di una scuola ben organizzata e
diretta, e scaturisce l’unità di un’enciclopedia ben disegnata e condotta.
Un’enciclopedia è infatti l’espressione del pensiero di un popolo e di
un’epoca; e propriamente degli elementi positivi, vitali ed attivi di questo
pensiero. Il quale evidentemente non consta della somma di tutte le idee di
tutti gl’individui, dotti e indotti, consapevoli e ignari degl’ideali della
nazione a cui appartengono e a cui sono indissolubilmente congiunti; ma si raccoglie
in sistema dalle menti che dirigono e perciò rappresentano tutti. E il loro
pensiero, presso ogni popolo, sbocca e si fonde nella coscienza nazionale, e in
ogni periodo storico ha una forma e certi caratteri, ha un’individualità, in
cui mille e mille voci si adunano in un grande concento. Concordia discors
[Concordia non facilmente raggiungibile anche nel nuovo clima del fascismo,
come ricorderà Gentile in termini meno idillici! Mezzo per attuarla, per
ridurre a unità argomenti E.I. Ricorderà prime difficoltà e diffidenze,
ostilità coperte e palesi (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e
battaglie concluse con la vittoria sempre della Direzione, ossia
dell’Enciclopedia, e cioè di tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile
(Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il
libro per tutti, Il Corriere della sera ). Pincherle osserva: differenze di
opinioni e di scuola, che spesso esplodono in battute polemiche, ora più ora
meno abilmente dissimulate (L’Enciclopedia italiana, in La Cultura; e Bosco,
redattore capo dell’E.I., ricorda. Il primo compito fu quello della raccolta
delle voci: diversi e autori di vario orientamento filosofico, e il criterio
storico: affinché tale discorde concordia si stabilisca e conservi, occorre una
regola che tutti gli scrittori capaci di contribuirvi mantenga nei limiti
ciascuno del proprio carattere, non pure per la materia che coltivano, ma anche
per l’indirizzo mentale con cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti
della cultura vengano a comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è
nelle sue note principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna
intolleranza, nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a ogni
dottrina, a ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno per sua virtà
s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per lo pi tutte le
dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in cui le varie dottrine
sono possibili, malgrado le loro divergenze, ciascuna con i suoi motivi, La
stessa grande imparzialità della storia, in cui non c'è nulla che non abbia la
sua ragion d’essere. La storia, in verità, suggerisce il metodo della
trattazione che si conviene a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana
potenza conciliatrice delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli
aspetti più diversi del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o
dottrina, ogni mito o teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua
storia, con la sua origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni
dommatismo. II metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo metodo
storico, cosi in ogni singolo articolo come nel sistema generale. Grazie a
questo metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere intorno a sé, assegnando a
ciascuno la parte sua, gli scrittori della più varia mentalità.] compito dei
più delicati, perché era in questa fase che si potevano concretare le
fondamenta dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere
dell’Enciclopedia: dizionario di cose, o raccolta di monografie, o qualche cosa
di mezzo? Non sono infatti mancate le divergenze: chi consultasse oggi i primi
elenchi delle voci proposte da ognuno dei direttori di sezione e, poi stampati
in forma di bozze, diffusi tra gli studiosi per raccogliere suggerimenti,
troverebbe che molto è stato cambiato Già nelle Avvertenze ai filosofi
collaboratori, (Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento), si diceva: I - Nella compilazione degli articoli, anche se teorici
e dottrinali filosofici, si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di
quello che è stato pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli
di considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia rilievo
alla persona di chi scrive e adoperando uno stile semplice e sobrio. ISono
dall’Enciclopedia BANDITE LE POLEMICHE. Ogni discussione vi dev'essere
mantenuta nei termini di un dibattito di valori puramente ideali, con la cura
più scrupolosa di mettere in luce anche le ragioni delle dottrine, che lo
scrittore stimi più deboli. Il metodo seguito nella trattazione
dell’Enciclopedia è quello storico, cosî in ogni singolo articolo come nel
sistema generale. I filosofi collaboratori, aggiungeva Gentile, operando
anch’essi nella cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa formazione
spirituale la misura del giudizio ; ma avrebbero dovuto elaborare gli elementi
vivi e vitali della cultura propria della classe elevata e dirigente, la quale
s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo stesso terreno, in una comune
vita intellettuale e morale !’. Enciclopedia, quindi, figlia del proprio tempo
!?, che come tale avverte Gentile avrebbe rispecchiato i progressi della
scienza e i cambiamenti storici avvenuti nel corso della sua realizzazione!!.
L’asserita imparzialità dell’opera corrispondente ad uno stretto legame con un
dato tempo comportava, accanto al clima del fascismo, il ricorso all’opera di
intellettuali di varia estrazione culturale e, anche, di diverso orientamento
politico: una sapiente azione di assorbimento, testimoniata dall’ampia scelta
dei direttori di sezione e dei collaboratori, che spingerà Salvemini incapace
di comprendere i motivi se non addirittura le manifestazioni della politica
articolata del regime a giudicare l’Enciclopedia quasi esclusivamente opera di
uomini appartenenti alla generazione maturata prima che il fascismo giungesse
al potere , di cui Mussolini aggiungeva semplicisticamente si era attribuita la
maggior parte dei meriti avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia Italiana
pubblicata sotto l’alto patronato di S. M. il Re d’Italia Imperatore d'Etiopia,
Roma. Già nel vol. I CALOGERO osserva il carattere essenzialmente storicistico
delle voci giuridiche, economiche e politiche (Nuovi studi di diritto, economia
e politica). L’Enciclopedia sarà il monumento della cultura dell’Italia di
Mussolini, afferma Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento; e l'opuscolo di propaganda sopra citato. L’Enciclopedia è al tempo
stesso documento fedele del periodo storico in cui è nata e contributo certo
non ultimo alla formazione di quella cultura intensa, vitale, capace di
espandersi e d’imporsi che dovrà essere la cultura italiana di domani. E.I.,
Appendice, ma già apparsa: Bellezza, Bibliografia. L’Enciclopedia Italiana, che
è senza dubbio superiore a tutte le [ L’Enciclopedia italiana I collaboratori e
le proteste del fascismo estremista Il consiglio direttivo dell’Enciclopedia
costituiva una specie di fronte nazionale, unendo, sotto la giunta di direzione
composta da Treccani, Gentile e Tumminelli, il primo ideatore dell’opera,
Martini; glorie (diversamente fortunate) della grande guerra come Cadorna e
Thaon di REVEL quest’ultimo ministro della Marina, e STEFANI, ministro della
Finanze; rappresentanti della tradizione liberale lontani dal fascismo quali
Einaudi e Ruffini che non parteciparono più all'opera, o cattolici come
Sanctis; e, ancora, Bonfante, Ojetti e Salata, accanto a Grassi, Longhi,
Marchiafava !. Nel comitato tecnico composto dai direttori delle 48 sezioni e
già formato vi erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da
Sanctis (Antichità classiche) a Pettazzoni (Storia delle enciclopedie
pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi italiani la cui
formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di Mussolini. Poiché essa
cominciò ad essere pubblicata, Mussolini se ne è attribuita la maggior parte
dei meriti. In realtà, essa fu progettata quando, secondo la leggenda fascista,
l’Italia era alle prese col bolscevismo. È il più gran monumento che si sia
potuto erigere durante il regime fascista alle due generazioni di uomini che
ricostruirono la cultura italiana durante il regime prefascista (G. Salvemini,
Il futuro degli intellettuali in Italia, Scritti sul fascismo, Milano,
Feltrinelli, Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento, Einaudi (che era stato consigliere dell’Istituto di Formiggini)
appare nel Manifesto e nel Primo elenco di collaboratori; Ruffini solo in
quest’ultimo, anche come direttore, con Santi Romano, della sezione Diritto
pubblico . Sulla partecipazione puramente decorativa di Martini le lettere di
Gentile a lui, (BNF, Fondo Martini); per la diffidenza sua e dei suoi amici
verso l’opera nella cui preparazione non furono ascoltati, la lettera di
Menghini e tutte quelle di Donati, che giudicava Gentile spirito dogmatico e
profondamente ztiscientifico , dubitando che la scienza italiana possa
subordinarsi a quel vaniloquio sciagurato ch’egli chiama la sua filosofia, ma
riconoscendo che l’idealismo è tanto attualista da trovar milioni che i
positivisti non sapevano mettere assieme religioni), da Federico Enriques
(Matematica) a Nicola Pende (Medicina), da Carlo Nallino (Letterature e civiltà
orientali) a Santi Romano (Diritto pubblico) a Gioacchino Volpe (Storia
medioevale e moderna). Ad essi era demandata la scelta dei collaboratori e
delle voci ! La consultazione dei collaboratori previsti iniziò subito dopo la
costituzione dell’Istituto; nonostante la sua ampiezza, Treccani poteva già annunciare
che gli uomini migliori che l’Italia vanta in tutti i campi del sapere hanno
aderito con entusiasmo; i collaboratori sono già circa 1200 !. In realtà, i
rifiuti che possiamo documentare ma significativi per le motivazioni politiche
sono solo quelli di Croce e Silva. Il primo, interpellato, tramite Alessandro
Casati, da Volpe la cui funzione all’interno dell’Erciclopedia fu all’inizio
probabilmente più vasta di quella di direttore di una sezione storica, in linea
con la funzione di primo piano da lui svolta, accanto a Gentile,
nell’organizzazione della cultura durante il fascismo, nella risposta
preannunciò quel distacco da Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso
definitivo dalla protesta contro il manifesto degli intellettuali fascisti: come
volete scrive a Volpe che io collabori a una Enciclopedia diretta da chi ha pur
testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere fascista? !
Motivi politici furone alla base anche del [Treccani, Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento, e Primo elenco, Tutto il lavoro di
preparazione (scelta dei collaboratori e formazione dello schedario) terminò.
Treccani, Racelonone Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta). Su una
riunione di alcuni direttori di sezione per impostare il lavoro, la
testimonianza di Ojetti (I taccuini, Gentile non conclude mai, chiede che i
direttori si accordino, Per i successivi rapporti di Ojetti con la Società
Treves-Treccani-Tumminelli, editrice di Pègaso e Dedalo, ACS, Segreteria
particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Treccani, Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione comDincato. Croce, Epistolario, Napoli, Istituto
italiano per gli studi storici, E a Casati, Dopo il discorso di Gentile a
Bologna, credo che mi avrai dato ragione nel rifiuto che opposi a partecipare
all’Enciclopedia. Come sarei potuto stare alla dipenrifiuto di Silva che, dopo
aver inizialmente accettato di collaborare cinque giorni dopo l’arresto del
maestro SALVEMINI scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come per
l’autore che solo un anno dopo accetterà la redazione di voci importanti
dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni di tanti. Voglia
consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei collaboratori dell’ Enciclopedia.
Nell’appello che Ella rivolse ai filosofi, quando la grande impresa fu decisa,
suonava alta e nobile la parola della conciliazione degli spiriti nel campo
degli studi e della scienza. E tale parola, che acquistava anche maggior valore
perché pronunciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia fiducia nella
possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è molto scossa per i
fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato SALVEMINI, il che significa l’inizio
di persecuzioni ai filosofi non fascisti. Vedo presentata una legge per la
dispensa dei funzionari, che mira, come hanno rilevato l’on. SALANDRA e l’on.
VOLPE, a colpire la libertà di pensiero e l’integrità delle coscienze, anche in
quel campo che Ella, nel Suo memorabile discorso inaugurale, voleva rimanesse
libero a tutte le opinioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali
condizioni, noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo rimanere a
collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a credere che in
tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno superate? Ecco
perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta opera. Son certo che Ella
apprezzerà al giusto valore questo mio atto...1? GENTILE dovette apprezzare
piuttosto le pronte e numerose adesioni che assicurarono all'impresa l’appoggio
dei principali rappresentanti della cultura italiana. Il Prizzo elenco di
collaboratori dell’Enciclopedia Italiana, pubblicato, ne annoverava 1.410,
quasi la metà dei 3.266 che daranno il loro contributo a tutta l’opera ! Non
appaiono ancora alcuni dei denza di un direttore, che ha quelle idee sulla
cultura? (Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici,
Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma [d'ora in avanti AEI],
Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi rapporti col fascismo il ritratto
che ne ha fatto nel 1954 Volpe (Storici e maestri, Firenze, Sansoni, La data di
pubblicazione del Prizzo elenco (non. indicata) si deduce dalle polemiche
giornalistiche che suscitò, futuri pilastri dell’Erciclopedia, come Pincherle,
Pagliaro, Enriques. Si leggono già, invece, i nomi di Aliotta e Carlini, Calò e
Codignola, o di Caggese, Ciasca, Chabod, Banfi, Calamandrei, Mondolfo,
Allmayer, Augusto Guzzo, e ancora tanti, da JEMOLO a Russo, da Cortese a
Schipa, oltre a Venturi e Rosa, e Gemelli. Il Primo elenco registra anche il
nome di quanti, dopo essere stati invitati e aver accettato, non collaboreranno
all'opera. La maggioranza di essi è costituita da persone culturalmente poco
rappresentative. Accanto a professori di scuola media superiore o scarsamente
noti professori universitari, troviamo militari, professionisti, o non
qualificati cultori della filosofia. La loro cospicua scomparsa ( sui 1.410
annunciati) dall’elenco finale degli effettivi filosofi collaboratori, per essere
sostituiti da studiosi pit qualificati, potrebbe indicare, da un lato, un
aumento reale dei settori accademico e di ricerca, dall’altro, una maggiore
progressiva adesione da parte degli esponenti dell’alta cultura, dapprima
diffidenti verso l’iniziativa gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i collaboratori
previsti dal Primzo elenco che poi non parteciperanno all’opera, anche
personaggi la cui iniziale accettazione val la pena di essere sotto Caggese
scriveva a Volpe, che lo aveva invitato a collaborare. Niente pregiudiziali
politiche, anche perché io sono completamente fuori di ogni attività politica,
ben sicuro come sono che è nostro primo dovere d’italiani non complicare in
alcun modo una situazione non lieta. Vivo nella solitudine pivi assoluta,
lavoro molto e, in confidenza, non potrei in alcun modo partecipare alle
vicende politiche perché sono troppo indulgente e, ahimè!, ancor troppo
sentimentale e bonario. Passare con i forti non posso perché non è lecito a
noi, uomini di studio, dare lo spettacolo di voler profittare comunque;
esaltare i cosi detti deboli non posso, perché moralmente sono proprio essi
quelli che nell’immediato dopo-guerra hanno scatenata la guerra civile. Non mi
resta che fare il buon cittadino che rispetta tutte le leggi del suo paese, e
augurare che presto ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somiglino.
Dunque, collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no proprio a
te. AEI, Lettere, Caggese. L'Enciclopedia italiana lineata: non tanto le
personalità politiche chiamate a dar lustro all’impresa, la cui adesione è una
riprova assieme alla presenza di uomini poco rappresentativi nel campo
scientifico del significato non strettamente culturale che l’Enciclopedia
voleva avere !, quanto liberali come Casati e Malagodi, o uomini come Baratono,
Berenson, Caramella, Limentani. Pochissimi fin d’ora gli stranieri, conforme al
criterio ispiratore dell’opera. La pubblicazione del Primo elenco di
collaboratori provoca le proteste del fascismo estremista. Su Il Tevere da lui
diretto Interlandi, dopo aver approvato le dichiarazioni di imparzialità e
apoliticità dell’Enciclopedia, affermava: Prima che l'Istituto Treccani,
superiore a tutti i partiti politici s'è dichiarato il Fascismo, che è
superiore allo stesso partito che fascista si intitola; appunto perché il
partito fascista ha una funzione tattica contingente e mutevole, laddove il
Fascismo è quella tale coscienza nazionale di cui più su si parla. Cosî stando
le cose, l'onorevole Consiglio direttivo dell’Istituto ha fatto bene ad
espellere i partiti politici dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe fatto ad
accogliervi il Fascismo. È stato accolto il Fascismo, in un’opera che vuole
essere il monumento culturale dell’età nostra e. alla quale attingeranno per i
loro bisogni spirituali molte e molte generazioni di italiani e di stranieri?;
vi erano ugualmente rappresentati, continuava Interlandi, fascismo e
antifascismo, impersonato quest’ultimo da almeno 90 firmatari del Manifesto
degli intellettuali antifascisti, come Einaudi, o Caramella in procinto di
essere allontanato dalla scuola per le sue prodezze al congresso dei filosofi:
era necessario fare a meno di simili collaboratori, per evitare un’enciclopedia
imparziale in cui avrà posto l’esaltazione delle categorie democratiche e di
quelle fasciste! Belluzzo, Boselli, Ciccotti, Giuliano, Giuriati, Loria, Mosca,
Salandra, Stringher, ecc. Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in
Il Tevere , (editoriale). L’articolo di Interlandi, parzialmente ripreso da La
Tribuna che da poco si era fusa con L’Idea Nazionale ed era passata sotto la
direzione del nazionalista Forges Davanzati, dette modo a Gentile di precisare
le sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera aperta inviata al
direttore de La Tribuna affermò che, su questo problema, il Pnf aveva ormai
direttive precise, come dimostrava l’approvazione, da parte del duce e de
L’Idea Nazionale, del discorso gentiliano tenuto per l’inaugurazione
dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo, obiettava a Interlandi,
non è venuto a distruggere, ma a edificare. Intende bensî animare tutta la vita
nazionale di un’ardente passione politica, che è passione morale e religiosa di
creazione di superiori valori; ma non tollera, non può tollerare che questa
passione abbia a disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in
gare ein cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé,
turpemente abusate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata
potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta milioni
d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito. Gli uomini da adoperare
, quindi, dovevano essere quelli che per attitudini e preparazione potranno più
utilmente aiutarci nella realizzazione della nostra idea. Cosî ha fatto sempre
MUSSOLINI con la sua sicura volontà realizzatrice. E chi fa della politica dove
c’è da risolvere un problema tecnico, non fa politica, ma spropositi; io
continuava Gentile facendosi forte della sua posizione politica mi riterrei indegno
della tessera che il Partito Fascista mi offri [Polemizzando con Forges
Davanzati critico del culturalismo ( il suo Fascismo e cultura, Firenze,
Bemporad), Vita nova la rivista di Arpinati molto vicina a Gentile affermava le
carenze del nazionalismo in campo culturale, mentre per fare della cultura
bisogna sul serio mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare di essa da un
punto di vista strettamente politico, cosa più saggia sarebbe indicare i mezzi
valevoli per promuovere efficacemente un vero rinnovamento culturale , perché
la cultura deve essere la più grande forza del nostro regime (Rusticus
[SAITTA], Politica e cultura, in Vita nova ). quando ravvisò in me uno dei
precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se scoprissi in me una mentalità
cosi gretta da non distinguere la politica dalla tecnica in un’opera che
riuscirà un grande esame sostenuto dal pensiero e dal carattere degl’ Italiani
innanzi a tutte le nazioni civili, la maggior parte delle quali ci precedette
in questo arringo: se per gusto inopportuno di chiudermi nella rocca forte dei
miei camerati, trascurassi di adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che
l’Italia può fornirmi alla costruzione di questo gran monumento nazionale
Questo, per me, è fascismo. È quel fascismo che può affermare con giusto
orgoglio: ic non sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che può e deve
chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl’Italiani: anche quelli
dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno all’appello, non verranno (stia
pur tranquillo Interlandi) per fare dell’antifascismo: verranno, almeno
nell’Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza: a far della
matematica o della chimica o della fisica, e insomma della scienza [La
distinzione gentiliana di scienza e politica non convinse Croce !, né, per
ragioni opposte, Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che in nome
della competenza oggi si affida a molti, a troppi competenti antifascisti, la
compilazione d’un’opera che a parer nostro non dovrà essere solamente un
monumento di tecnica, ma L’Enciclopedia italiana e il fascismo, ora in Fascismo
e cultura. Croce scrive a Casati. Hai visto come Gentile tratta i filosofi
collaboratori non fascisti? Hai visto che li considera apportatori di pietre al
monumento culturale del fascismo? Io previdi chiaramente quello che sarebbe
avvenuto, quando rifiutai l’adesione, che tu mi chiedevi, all’Enciclopedia.
Epistolario. E in una recensione critica di un articolo di Ruiz su L'individuo
e lo Stato, osservò come, anche chi, in questi tempi, è andato incautamente
predicando che scienza e politica sono tutt'uno e che la cultura dev'essere
asservita a un partito o a una frazione, debba in fretta e furia, per salvare
le proprie intraprese, tentar di ristabilire la differenza, come si è visto nei
giorni scorsi, nelle discussioni levatesi a proposito di una certa
enciclopedia. La Critica. In risposta a Croce, Vita nova difese tutta la
concezione di Gentile sui rapporti scienza-politica, concludendo con
l’identificazione gentiliana e fascista del partito con lo stato. Si dice che
l’intento dell’enciclopedia italiana è politico perché la filosofia, lî, vuol
riuscire a un monumento nazionale, e il nazionalismo del Gentile è il fascismo?
Ebbene Croce, lui, ch’è cosî fino nelle distinzioni quando gli fanno buon
giuoco, sa benissimo che questo fascismo non è più un partito o una fazione.
Egli sa benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia
andato predicando che la filosofia debba essere asservita al fascismo inteso in
quel senso (Urbanus, Piccolezze di un grand’uomo, in Vita nova . un monumento
del nostro tempo che, se non erriamo, è tempo fascista Se l’Enciclopedia i
fascisti non la sanno fare, perché non sono competenti, ebbene, non la
facciano; ne faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né l’Italia
Affermazione decisamente contestata da La fiera letteraria che pur assicurando
sulla scarsa libertà di movimento dei 90 firmatari dell’antimanifesto,
sottoposti come tutti i collaboratori al controllo dei direttori di sezione, e
quindi dei loro capi gerarchici Treccani e Gentile, che rispondono del loro
operato dinanzi alla Nazione e al mondo difese la posizione gentiliana e la
necessità di una vasta politica culturale da parte del fascismo: nessun Governo
come l’attuale ha fatto dei problemi della cultura nazionale oggetto di tanti
progetti e di cosî evidenti preoccupazioni. Una cosa è dunque polemizzare e
altra cosa è agire. Cosi una cosa è criticare l’operato degli Enciclopedisti, e
altra cosa è fare una Enciclopedia. Da questa specie di dilemma non si esce se
non dichiarando, come qualcuno ha fatto, che qualora l’Enciclopediu Italiana
non possa farsi senza il concorso dei novanta reprobi, è meglio che non si
faccia. Ma non può sussistere una politica intellettuale o culturale di un
grande partito fondata sopra simili paradossi 1%, La polemica tra Interlandi e
Gentile, tra il fascismo rivoluzionario e quello tradizionalista, si concluse a
favore di quest’ultimo. La lettera provocata probabilmente dal primo articolo
de Il Tevere inviata il 7 maggio dal segretario particolare del duce,
Chiavolini, al segretario del Pnf Turati, con un elenco dei collabo [} senso
del Fascismo e l’Enciclopedia, in Il Tevere Gli attacchi contro l'Enciclopedia.
Politica e Cultura, in La fiera letteraria , Gli attacchi dovettero continuare,
se Codignola avvertiva Gentile che i suoi avversari, ostili alla sua permanenza
nel Consiglio superiore della Pubblica istruzione, potrebbero forse chiedere e
ottenere anche il tuo ‘allontanamento dall’Istituto di Cultura e
dall’Enciclopedia. Tutto questo sarebbe molto grave per te e per le nostre
idealità comuni, ma sarebbe ‘ancora più grave per le ripercussioni che avrebbe
nel paese, già troppo po Vem e perplesso in questo momento (Archivio Codignola,
Firenze). L’Enciclopedia italiana ratori dell’Enciclopedia Treccani già
firmatari del noto manifesto degli intellettuali aventiniani , non ebbe grande
effetto, anche se ad essa e non a un ripensamento dei collaboratori previsti
fosse da attribuire l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui
Einaudi e Ruffini) degli 85 intellettuali nominati '. I principali filosofi
collaboratori non fascisti annunciati cui altri se ne aggiunsero, firmatari o
meno del contromanifesto crociano, parteciperanno all’opera, e tre firmatari,
Carrara, De Sanctis e Levi della Vida, vi rimarranno anche dopo il rifiuto del
giuramento fascista richiesto nel ’31 ai professori universitari !, Le
polemiche del fascismo estremista contro l’Enciclopedia cessarono nel 1926,
quando proteste come quelle del contromanifesto o del CONGRESSO NAZIONALE DI
FILOSOFIA non ebbero più possibilità di sbocchi politici; non c'è più
un’opposizione antifascista; e tutti son pronti a servire il Regime, che è lo
Stato , affermerà Gentile invitando gli iscritti al Pnf ad accettare la
collaborazione degli italiani capaci ed onesti, anche non fascisti : Anche
l’Italia intellettuale ha fatto molto cammino, e l’antifascismo va buttato,
finalmente, in soffitta ! Tuttavia, se l’opposizione politica era schiacciata,
la stessa opera gentiliana di conciliazione sta diventando meno necessaria con
l’inizio della costruzione dello Stato totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai
avviata, e poté continuare con la collaborazione di quanti seppure in alcuni
casi critici verso il suo direttore o verso il regime avevano aderito
all’impostazione nazionale che Gentile aveva dato all'opera nel ’25!. ACS,
Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Per i rapporti di De
Sanctis e Levi Della Vida con Gentile e YE.I. G. De Sanctis, Ricordi della mia
vita, Firenze, Le Monnier, e G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia,
Neri Pozza. Gentile, Fascismo e Università, in Educazione fascista , Volpe nega
l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori, che erano di ogni colore
politico (Giovanni Gentile,p. 359); cosî Pintor (che fu direttore della sezione
Biblioteche ), per il quale Gentile raccolse intorno a sé e indirizzò ad un
concorde e disciDiscussioni o contrasti si trasferirono per il momento
all’interno dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte culturali: il punto di
maggior frizione su cui ci soffermiamo perché essenziale alla comprensione dei
condizionamenti esterni dell’opera fu il settore religioso, dove Gentile dove
fronteggiare la pressione del mondo cattolico, che per acquistare un ruolo
egemonico nella cultura italiana fu pronto a sfruttare la politica di
riavvicinamento alla Chiesa promossa da Mussolini. Le dichiarazioni di
imparzialità di Treccani e Gentile avevano trovato subito un esplicito
correttivo nell’accettazione del controllo ecclesiastico. Nella prima riunione
del consiglio direttivo dell’Istituto, Treccani dopo aver ricordato le
incomprensioni e le critiche con cui l’iniziativa era stata accolta aveva
precisato: L’Enciclopedia nostra deve corrispondere ai sentimenti tradizionali
degli Italiani e perciò, deve essere non solo patriottica, ma anche bene
accetta alla Chiesa. Per raggiungere questo scopo, un accordo è già
intervenuto; Venturi dirige la sezione per le materie ecclesiastiche e sotto la
sua guida collaboreranno altri ecclesiastici, tra i quali Gramatica e Rosa !4%.
plinato lavoro migliaia di studiosi italiani e stranieri, di ogni credenza e di
ogni scuola: accolti con uguale fiducia i dissenzienti dalla sua filosofia, gli
avversari delle sue idee politiche Gentile negli studi storici e letterari, in
Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni. Più sfumata la
testimonianza di Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe e Gentile non
chiedevano, e nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti per lo stesso
fatto di entrare nelle Università, nelle Scuole storiche e nella Enciclopedia,
ci si inseriva in organismi fascisti, dove l'imbarazzo era costante e la
cautela diventava abito. Il motto che Croce ci dava il pane spirituale e
Gentile ci dava il pane materiale ricorse allora più di una volta in
conversazione. Una solidarietà implicita si stabiliva tra coloro che erano di
sentimenti antifascisti alla Università o alla Enciclopedia (Appunti su F.
Chabod storico, in Rivista storica italiana. Treccani, Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento. Le Avvertenze ai collaboratori
assegnavano agli argo- [La presenza stessa di ecclesiastici de La Civiltà
cattolica, in posizione privilegiata e non in nome del tanto invocato criterio
della competenza, indica prima ancora di poter esprimere un giudizio sulla sua
efficacia una forte incrinatura nell’impostazione gentiliana dell’opera.
L’accordo di Treccani corrispondeva al processo di avvicinamento in atto fra
Stato e Chiesa il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo trait-d’urzion fra
Mussolini e il Vaticano !', ma contrastava con la concezione agonistica dei
rapporti fra i due poteri propria di Gentile, fedele alla formula cavouriana e
contrario alla conciliazione di diritto . L’ingerenza della Chiesa, che proprio
scagliò la sua offensiva in campo culturale contro l’idealismo come principale
obiettivo da colpire, fu contrastata ma, soprattutto dopo il ’29, sempre più
subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data all’Enciclopedia, per cui
avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi culturali e affidarsi ai
competenti di ogni materia, fu unita all’accordo di Treccani un’arma a doppio
taglio di fronte alla organizzazione vasta e articolata della cultura cattolica
che sotto la protezione politica dei gesuiti poteva ora utilizzare la capacità
di penetrazione della neoscolastica, istituzionalmente rafforzata col
riconoscimento statale della Cattolica di Gemelli. Ma è anche menti religiosi
il primo posto nel punto III: Delle materie religiose e filosofiche, morali e
politiche gli scrittori dell’Enciclopedia avran cura di parlare con rispetto
assoluto dell’altrui pensiero e coscienza, in modo da consentire che
all’Enciclopedia insieme collaborino uomini di ogni fede e di ogni dottrina che
abbia un suo valore. A tutti i collaboratori dev’esser possibile incontrarsi
sopra un medesimo terreno, dove ognuno, pur mantenendo, com'è necessario, i
propri convincimenti, usi tuttavia un linguaggio che gli altri possano ascoltare.
Tutti i collaboratori sentiranno che soltanto cosî l’Enciclopedia Italiana
potrà riuscire, com'è suo proposito, un lavoro a cui partecipano tutte le forze
vive della scienza e dell’ingegno italiano. Broglio, Italia e Santa Sede dalla
grande guerra alla Conciliazione, Bari, Laterza, e Scaduto]., Venturi. La
Civiltà Cattolica. Felice, Mussolini il fascista, II. L'organizzazione dello
Stato fascista, Torino, Einaudi, Vasoli, I neoscolastici e la cultura italiana,
ora in Tra cultura e ideologia, Milano, Lerici, e Rossi, La filosofia vero che,
nonostante le polemiche molto accese proprio con i neoscolastici, il laicismo
gentiliano conteneva molte falle: l’importanza crescente assunta nella
filosofia di Gentile da una religione ambiguamente intesa, dai Discorsi su fino
alla voce enciclopedica e alla conferenza su La mia religione; la coscienza,
maturata dopo la guerra, del problema politico della religione necessaria al
rinnovamento della cultura da parte di uno Stato non più agnostico che, senza
combattere in nessun modo nessuna particolare forma religiosa, riconosca ed
affermi il valore della religione com’essa vive attraverso tutte le forme !9;
il generico spirito religioso attribuito ai profeti del Risorgimento (non solo
Mazzini e Gioberti), sottolineando però come per Capponi l'impossibilità di
astrarre una indeterminata e vaga religiosità mistica dal complesso concreto
della vita storica italiana, intimamente cattolica !f: tutto ciò favoriva la
trattazione di temi religiosi in un’opera rivolta a valorizzare la civiltà
romana e italiana, e costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e
incerto nei risultati, fra l’attualismo che si considerava vera religione , e
le forze cattoliche chiamate a dare il loro contributo. Ma l’accordo citato da
Treccani era destinato a far pendere la bilancia a favore di queste ultime, per
cui è probabile che l’Enciclopedia abbia assolto, nel campo dell’alta cultura,
la stessa funzione favoreggiatrice del pensiero confessionale svolta dalla
riforma scolastica nel settore dell’educazione elementare (e poi media).
neoscolastica e i suoi orientamenti storiografici, ora in Storia e filosofia.
Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi, Discorsi di religione,
ora in La religione, Firenze, Sansoni, Si pensi agli interventi di Gentile a
difesa della riforma scolastica (Scritti pedagogici, La riforma della scuola in
Italia, cit.), nei quali prevale, sull’idea del confronto fra pensiero laico e
cattolico, il concetto dello Stato non agnostico ma educatore, per concludere che
in Italia, se lo Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire in
funzione del passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica
Sul laicismo e la concezione gentiliana come elemento essenziale della
tradizione nazionale italiana, L'Enciclopedia italiana Gentile cercò di
contrastare l’offensiva cattolica, come dimostrano l’organizzazione iniziale
delle sezioni di argomento religioso e i loro successivi cambiamenti. La
sezione materie ecclesiastiche affidata a Tacchi Venturi, di cui aveva parlato
Treccani, non compare nel Primo elenco di collaboratori dell'inizio quando le
trattative col Vaticano segnavano il passo; appaiono invece quella di
Filosofia, Educazione e Religione sotto la direzione di Gentile, conforme alla
concezione per cui la religione solo idealmente è distinta da LA FILOSOFIA,
laddove in realtà ogni religione è sempre una filosofia, e ogni filosofia, se
degna del suo nome, è una religione !, la sezione Geografia sacra sotto la
guida di Gramatica, e quella di Storia delle Religioni con Pettazzoni, che fra
i primi aveva introdotto stabilmente in Italia la corrispondente disciplina,
cui Gentile riconosceva, sia pur con alcune cautele, validità scientifica. Nel
primo volume dell’Enciclopedia invece, uscito subito dopo i Patti Lateranensi,
la generica sezione Materie ecclesiastiche diretta da Venturi (probabilmente
non limitata all’agiografia sacra o alla liturgia) si affianca a quelle già
citate di Gramatica e Pettazzoni, alla sezione diretta da Gentile che assunse il
titolo Storia della Filosofia e Storia del Cristianesimo dove, accanto alla
significativa scomparsa della Pedagogia e della Religione (non sappiamo se come
la prima assortbita dalla Filosofia o dalle Materie ecclesiastiche ), si
registra il tentativo gentiliano di controllare tramite Omodeo, come vedremo la
Storia del Cristianesimo . Filosofia e pedagogia e Storia del cristianesimo
risultano distinte, entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco dopo, nei primi
mesi del 1931 (vol. XI), Storia del cristianesimo è scom le osservazioni di A.
Lo Schiavo, La religione nel pensiero di Giovanni Gentile, in La Cultura. Il
carattere religioso dell’idealismo italiano, ora in La religione, la recensione
alla Storia delle religioni di G. Foot Moore. parsa: assieme al ritiro di
Omodeo, ciò può essere interpretato come un indebolimento della posizione
gentiliana in questo settore, e un rafforzamento delle Materie ecclesiastiche
di Tacchi Venturi. L'offensiva ecclesiastica è evidente anche nel campo dei
collaboratori: mentre nel Prizzo elenco gli ecclesiastici sono 34 (pari al 2,4%
del totale dei collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di fronte a 13
francescani), nell’Enciclopedia sono già nella percentuale in cui
parteciperanno a tutta l’opera oltre il 4%, di cui il 27% è formato di gesuiti
che costituiscono il gruppo più numeroso; appaiono fin da ora i più eminenti:
oltre a Venturi, Bricarelli, Rosa e Vaccari e, se si eccettuano Omodeo e
Pincherle (storia del cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi
(agiografia e storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici,
nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani e della
Cattolica questi ultimi in numero di 6 che, osservava La Civiltà cattolica, per
sincerità di fede affidano chi consulti quest’opera 1°, L'assalto cattolico
all’Enciclopedia era cominciato meno di un mese dopo la costituzione
dell’Istituto Treccani e prima ancora che fosse annunciato l’accordo
intervenuto con le autorità ecclesiastiche: Gemelli fondatore della Cattolica e
paladino della neoscolastica, e uno dei maggiori critici dell’attualismo aveva
offerto il contributo suo (gratuito) e dei suoi amici proponedo per sé temi di
psicologia !, di cui si occuperà nell’Exciclopedia assieme all’altro argomento
in cui era competente , la Neoscolastica,' voce tutta impostata in senso
anti-idealistico, confutando coi fatti il giudizio negativo espresso
politicamente su di lui e su tutta la cultura cattolica dal gentiliano Giuseppe
SAITTA!. Busnelli], L’ Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. AEI,
Lettere, Gemelli. 152 Rusticus [Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in Vita nova
. L’infaticabile Gemelli ha lanciato Gentile accetta la collaborazione di
Gemelli e del gruppo neoscolastico, seguendo il criterio per cui l’opera doveva
essere specchio fedele di tutte le correnti intellettuali del paese. A questo
criterio si ispirò anche Omodeo, cui Gentile affidò fin dall’inizio
l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo storico del
cristianesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale sono guida
illuminante per seguire il peso crescente assunto all’ interno
dell’Enciclopedia da Venturi e dagli ecclesia stici (soprattutto gesuiti),
preparò elenchi di voci sull’esempio della Britannica cercando di impedire, con
una trattazione storica degli argomenti, gli interventi dogmatici dei
collaboratori cattolici, e assicurò il contributo di esponenti dei diversi
indirizzi religiosi: gli allievi di Buoniaiuti con in testa Pincherle !, e il
gruppo l’idea di contrapporre alla enciclopedia Treccani diretta dal Gentile
una enciclopedia cattolica. L’idea è buona, anzi ottima, e noi l’approviamo,
perché cosi l’illustre frate che ha il merito di aver fondato un Istituto
Universitario del Sacro Cuore, di cui ancora ignoriamo i risultati, dimostrerà
per l'ennesima volta che il pensiero cattolico nulla ha da dire di veramente
nuovo nel dominio scientifico. Si fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è
difficile, difficile assai, è trovare le teste, e di teste colte, sapienti, con
tutta la buona volontà, non ne scopriamo molte nel campo cattolico . Scrive a
Gentile: Non sono riuscito a intendere bene il criterio secondo cui è stabilito
lo sviluppo da dare alle singole voci. Noto che anche gli argomenti cattolici
sono contenuti entro limiti molto pi ristretti che nell’Enciclopedia
Britannica. Ciò non può dipendere dal fatto che sono aumentate le voci. Le voci
aggiunte non mi pare che superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me
depennati l’anno scorso dagli elenchi dell’Enciclopedia Britannica. Può darsi
che questo sia un criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia
cristiana ed ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente con la
collaborazione dei cattolici: di rendere questa parte dell’Enciclopedia
completamente insignificante come i trattati e i manuali correnti nei seminari,
che nessuno consulta. Massima obbiettività e pura esposizione dei problemi: sta
bene. Ma quella gente non si contenta di questo. Vuole che i problemi siano
ignorati, il che significa tradire lo scopo principale dell’Enciclopedia. È di
ieri la condanna d’un manuale ortodossissimo di storia ecclesiastica corrente
nei seminari, pel solo fatto che onestamente informava dei punti + Ag dei non
ortodossi (Gentile-Omodeo, Carteggio). A Gentile: Ognuno del loro gruppo
sceglierà le voci che meglio rispondono alla loro preparazione e le tratterà.
Ciò non vincola menomamente l’atteggiamento che noi o essi crederemo o crede
ranno di prendere in altre opere, negli apprezzamenti reciproci. L’Encidi
Bilychnis per la storia del protestantesimo. Ma le sue lettere a Gentile
rivelano le pressioni e poi il deciso intervento censorio degli ecclesiastici,
che forti degli accordi, costringeranno Omodeo ad abbandonare il lavoro
all’Enciclopedia, dove sarà sostituito da Pincherle ', Da questo momento i
gesuiti predomineranno nel settore, e La Civiltà cattolica , stendendo un
bilancio dei primi tre volumi dell’opera, poteva profondersi in lodi, pur
lamentando che parecchie voci fossero state affidate a laici non solo, ma di
sensi non cattolici, quali il Pincherle e l’Omodeo. Una particolare menzione
merita il saggio consiglio preso dall’Istituto Treccani di affidare in avvenire
la direzione della Sezione Materie ecclesiastiche e la compilazione degli articoli
nei quali più facilmente possono trascorrere abbagli ed errori, ad
ecclesiastici dell’uno e dell’altro clero, italiani e stranieri, uomini tutti
di sicura dottrina nel campo della sacra letteratura. C'è dunque ragione di
stare a buona speranza che per quel che riguarda direttamente la Chiesa, il
dogma, la storia ecclesiastica, la liturgia e le altre parti della dottrina e
della scienza cattolica, non s'incontreranno quei difetti, talora gravissimi,
che scemano il valore e la stima di altre enciclopedie, compilate con troppa
assoluta indipendenza, ignoranza o anche disprezzo del pensiero cristiano e
cattolico. Oltracciò convien notare come i Direttori dell’Enciclopedia, Gentile
e Tumminelli, insieme col Consiglio direttivo dell’Istituto Treccani, mentre
lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e
cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine
ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli
indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie
ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie
o malfondate !9?. Il giudizio dell’autorevole rivista suonava monito per il
futuro, non solo per le voci di argomento religioso. L’enciclopedia rifletterà
obiettivamente la situazione presente della cultura italiana. A Gentile.
ibidem, ed Omodeo, Lettere, Torino, Einaudi, in particolare la lettera a
Gentile [G. Busnelli], L’Enciclopedia italiana cacia del controllo
ecclesiastico, su cui esistono testimonianze di contemporanei e che sarà
verificata più avanti, poggiava ormai sulla nuova situazione politica e
culturale creata dalla Conciliazione. Con il contrasto fra cattolici e
idealisti si trasformò in aperta frattura, registrata immediatamente dal CONGRESSO
DI FILOSOFIA che vide lo scontro fra Gentile e Gemelli. Il pericolo
dell’ingerenza cattolica fu avvertito subito da Gentile, che cercò di reagire
attaccando il dogmatismo neotomistico '? e sottolineando il carattere religioso
dell’attualismo, La funzione da lui svolta era tuttavia destinata a indebolirsi
con la nuova alleanza stabilita dal regime, e l’Enciclopedia diverrà luogo di
uno scontro sempre più duro con i cattolici apertamente incoraggiati dalla
messa all’indice delle opere di Croce e Gentile. Il quadro storico generale in
cui nacque e fu realizzata l’idea dell’Enciclopedia fin qui tracciato ha
contribuito a spiegare le sue origini nel clima di riscossa nazionale del
dopoguerra, e la funzione di assorbimento di intellettuali di diversa formazione
da essa svolta, e in vista della creazione dello Stato totalitario; cercheremo
ora, attraverso la lettura interna dell’opera, di chiarire le scelte culturali
operate, che non possono essere dedotte Minimizzato da Volpe, il controllo
ecclesiastico è invece ritenuto esteso a tutti gli argomenti da Calogero,
Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico in La Cultura , e
testimoniato da Vida, ad es. le dichiarazioni di Gentile riportate in
Educazione fascista Alla lettera con cui Salvadori rifiutò l’invito gentiliano
di collaborare all’E.I., opera dove la filosofia dominante nega Dio vivo e vero
per adorare la divinità dell'uomo (pubblicata postuma da A. Frateili, Vita e
poesia di Salvadori, in Pègaso ; ora in Lettere di Salvadori scelte e ordinate
da Trompeo e Vian, Firenze, Le Monnier), Gentile rispose qualificando giudizi
temerari: 1) che nella detta Enciclcpedia domini una filosofia (che non è
vero); 2) che la mia filosofia neghi il divino vivo e vero (che è falso); 3)
che adori il divino dell’uomo (che è un equivoco molto grosso) (Giornale
critico della filosofia italiana). meccanicamente dal rapporto col clima
politico in cui vennero attuate, anche se di questo dovremo tenere conto.
Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani, rappresentanti non solo
quando li uni la politica di conciliazione di Gentile differenti indirizzi di
pensiero !, l’Enciclopedia fu considerata allora come uno strumento capace di
promuovere studi e ricerche in campi fin allora inesplorati dalla scienza
italiana. Nell’impossibilità di controllare questa affermazione, ci limiteremo
a verificare il giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di una cultura
accademica impermeabile al fascismo, positiva , costituita di fatti e di
informazioni, contro la quale polemizzeranno, in un ambiente sempre più chiuso
alle moderne esperienze contemporanee, i nuovi mistici della fede cattolica o
della dottrina fascista . Sarebbe tuttavia da verificare l’accenno di Volpe
alla diminuzione del numero dei collaboratori per volume, che potrebbe indicare
una maggiore progressiva uniformità di voci. ad es. Pincherle, per il quale
l’E.I. riproduce in sostanza lo stato odierno della cultura italiana, con i
suoi pregi e anche, è naturale, con le sue deficienze: a riparare alle quali la
preparazione di un'Enciclopedia è appunto stimolo efficace più di tanti
discorsi, e Gentile: è già interessante vedere come quest’alta cultura italiana
abbia avuto dall’Enciclopedia uno sprone e uno stimolo a misurarsi in campi
finora trascurati. L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora degli
storici italiani (e questo è un fatto nuovo) che si occupano di proposito di
storia delle altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente. Non uno o due
specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani (L’Enciclopedia
Italiana, in Rassegna italiana politica e letteraria . Tanto che Volpe potrà
dire che l’E.I. fu, per dieci anni, un gran porto di mare; fu la vera
Universitas studiorum non di Roma o d'altra città ma di tutta Italia e, un
poco, di tutta Europa. E un uomo di nome europeo, e pit che europeo, Gentile,
ne era il Rector Magnificus, sempre presente, anche se non ingombrantemente
presente. Di voci partigiane ma dignitose ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in
Il Corriere della sera). Significativi il giudizio di Speranza [Luca, uno dei
principali collaboratori ecclesiastici dell’enciclopedia], Temzpo
d'Enciclopedia?, in Il Frontespizio, Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei
propri giorni e la regola della vita terrestre ed eterna? L’Enciclopedia è
ormai cosa da positivisti ), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa
Critica fascista il Dizionario di politica del Pnf che sarà pubblicato :
prezioso repertorio dottrinale, a base del quale non sarà tanto l'informazione
quanto la valutazione di idee e fatti dal punto di vista fascista: opera, cioè,
come ben A molti dei filosofi che hanno valutato complessivamente i contenuti
dell’Enciclopedia, emblematica delle vicende culturali del periodo fascista, è
parso che in essa permanessero i valori di una cultura impermeabile al
fascismo, sia per la presenza di eminenti personalità antifasciste, come SOLARI
e MONDOLFO, sia per l’ampiezza di settori ritenuti difficilmente influenzabili
dall’ideologia del fascismo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli
geografico e artistico. È il caso di BOBBIO, per il quale l’opera è
indiscutibilmente la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino ad oggi
della cultura accademica del nostro paese, e non è, se non in qualche frangia
marginale, che appare una stonatura, un’opera fascista, in quanto tutto ciò.
che vi fu di fascistico, anzi disquisitamente fascistico, nei trentasei volumi,
fu concentrato nella voce Fascismo: un’interpretazione che, mentre coglie
nell’impresa la presenza di tutto o quasi tutto lo stato maggiore della
cultura. accademica post-fascista, tende a negare qualsiasi influenza
dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la nota tesi crociana. Né si
discosta molto dalla sostanza di questa interpretazione, pur con giudizio di valore
rovesciato, Rosa, che, attento a sottolineare la continuità del carattere di
classe della cultura borghese prima e durante il fascismo, si limita con
Momigliano a rimproverare agli intellettuali che parteciparono all’impresa che,
collaborando, si collaborava inequivocabilmente ad un’opera del regime ,
osservando tuttavia che in questo caso la fascistizzazione della cultura non
comportò neanche un’appropriazione ideologica, come quella verificatasi nel
campo della scuola, ma soltanto la gestione istituzionale di ampi settori
d’intellet sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente, di impostazione
e di finalità politiche, e non di una pura e semplice enciclopedia cultu rale
(Mattei, Cultura fascista e cultura dei fascisti. Bobbio, La cultura e il fascismo,
in AA.VV., Fascismo e società italiana, a cura di Quazza, Torino, Einaudi,
tuali di tendenze e opinioni diverse. Solo Badaloni, cogliendo la novità
rappresentata dal fascismo anche in campo culturale, ha avanzato l’ipotesi di
un legame fra l’ideologia del regime reazionario di massa e la cultura di cui
l’opera fu espressione, pur affermando che l’Enciclopedia si caratterizza
certamente per l’aspetto della continuità rispetto alla tradizione precedente,
assicurata dal ruolo svolto da Gentile, Un esame ravvicinato dell’opera
permette in realtà di individuare, accanto ai forti condizionamenti politici
del regime divenuti espliciti con il riconoscimento ufficiale dell’iniziativa
di Treccani e alla elaborazione di una cultura propria del fascismo ', l'impossibilità
dei non molti intellettuali non allineati al regime di mantenersi autonomi
all’interno di una istituzione fascista; e, infine, il carattere non
univocamente gentiliano dell’opera, non tanto perché, come ha affermato
Momigliano, Gentile si limitava in alcuni casi a dare ai collaboratori il pane
materiale mentre Croce forniva quello spirituale, quanto perché, più in
generale, l'impresa enciclopedica si pose come coronamento di quel processo di
selezione di una cultura di destra su cui ha insistito Amendola che si era
venuta rafforzando a partire dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non
completamente omogeneo a questa cultura, esso non fu rappresentato dal
liberalismo di Croce, bensî dalla componente cattolica che, Rosa, La cultura,
in Storia d'Italia, Dall'Unità a oggi, Torino, Einaudi, Badaloni-C. Muscetta,
LABRIOLA, Croce, Gentile, Bari, Laterza, Sulla cultura del fascismo.
l’introduzione di Garin a Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori
Riuniti, e la recensione di Amendola al volume di Garin (ora in Fascismzo e
movimento operaio, Roma, Editori Riuniti). Amendola, che ha tuttavia negato
l’esistenza di una cultura fascista. Non c’è stata una cultura fascista. C'è
stata una adesione politica degli intellettuali al fascismo, una accettazione
del regime sulla base di posizioni culturali molto diverse. Al fascismo
aderiscono positivisti e idealisti. Uomini di varie e contrastanti correnti
artistiche mantengono, nel quadro politico fornito dal regime, le proprie
posizioni culturali, e il regime lasciava correre (Id., Intervista
sull’antifascismo, a cura di Melograni, Bari, Laterza, mirò a sostituirsi
all’attualismo e al debole laicismo di Gentile. Definire idealistica
l’Enciclopedia, come da più parti è stato fatto !’, è insufficiente a
comprenderne la complessità e, probabilmente, la stessa capacità di durata
nella cultura italiana. Per far ciò è necessario ricordare che l’opera di
organizzazione del consenso intrapresa da Gentile e integrata, non senza forti
contrasti, dall'intervento cattolico: la constatazione acquista tutto il suo
valore, ove si pensi che all’impresa furono interessati 3.266 collaboratori
quel piccolo e rissoso e indisciplinato mondo dei filosofi il più riottoso,
individualista, disgregato ha dato e dà da anni un esempio di adattamento al
lavoro collettivo, ricorderà il revisore-capo Bosco, e che, ad avvalorare (in
positivo e in negativo) il giudizio di alcuni studiosi sulla continuità tra
fascismo e postfascismo, l’Enciclopedia ha attraversato impunemente la caduta
del regime per presentarsi ancora oggi, immutata nei contenuti dopo cinquanta
anni dalla sua apparizione, come strumento di lavoro di studiosi e di studenti.
Le Appendici che sono cominciate a uscire non hanno potuto modificare i
contenuti generali dell’opera che, ristampata fotoliticamente mentre PRESIDENTE
dell’Istituto era diventato Sanctis, non ha sentito il bisogno, a differenza
dell’Enciclopedia britannica, di rinnovarsi col mutare della società, degli
orientamenti politici e delle prospettive culturali, attuando cosî, molto al di
là delle sorti del regime al quale è legata la sua nascita, l’auspicio,
formulato da Gentile, di veder prolungare la nostra vita in un’opera che
continuerà ad essere ricercata e apprezzata dagl’Italiani per cui essa è stata specialmente
pensata e compilata e per gli stranieri che noi ci lusinghiamo di Essa fu
qualificata un enorme e informe cibreo idealistico-fascista da Togliatti,
Gramsci e don Benedetto, ora in I corsivi di Roderigo, Bari, De Donato. Di
enciclopedia dell’idealismo parlano Piovani, Il pensiero idealistico, in Storia
d’Italia, V.I documenti, 2, Torino, Einaudi, Spirito, Memzorie di un
incosciente, Milano, Rusconi (dove l’opera è considerata una prosecuzione del
fascismo), Bosco, Enciclopedia Italiana, aver legati all'Italia con nuovi
vincoli di simpatia e di stima, mentre l’Italia per l’azione potente d’un
grande Uomo e d’una grande Idea risorgeva per la terza volta a imperiale
potenza e riafferma nel mondo la sua missione. Il regime non si era limitato a
condizionare dall’esterno l’opera, ma ne aveva facilitato la realizzazione
facendo propria l’iniziativa di Treccani. Le difficoltà economiche
dell’Istituto originario insorte e aggravatesi con la grande crisi portarono ad
una sua fusione nell’ente editoriale Treves-Treccani-Tumminelli, e infine
all’intervento in prima persona del governo che, riconoscendo l’opera di
interesse nazionale, con d.l. costituî, con il finanziamento di banche
parastatali, l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Treccani, sotto
la presidenza di Marconi. A queste vicende editoriali si accompagnò un pit
stretto controllo da parte del regime e l’abbandono della politica di
conciliazione perseguita da Gentile; cosî, se ancora Gentile poteva
riconoscere, nella prefazione al primo volume dell’opera, l'opportunità di un
ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità , spentesi le battaglie
che si erano svolte nella fase preparatoria e di cui la vicenda di Omodeo è
l'esempio più significativo, il direttore dell’Enciclopedia notava che, perduta
per via qualche forza anche ingente, non fatta per questa disciplina
indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata ormai la famiglia, quale
io la sento intorno a me, dei direttori e redattori, si tratta piuttosto di
scaramucce e di semplici avvisaglie !?. Due anni dopo, intervistato
all’indomani del d.l., Gentile marcava la differenza fra la situazione attuale
e quella di otto anni prima, ricordando che nel 1925 WI E.I., Appendice, ACS,
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della cultura popolare,
Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta,
ciGentile, Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce
îl libro per tutti, in Il Corriere della sera , la collaborazione alla Enciclopedia
venne aperta a quanti avevano una fama sicura ed una competenza accertata nei
vari rami delle lettere, delle arti e delle scienze. Forse fu un errore. Ma
allora, mentre vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava che la nostra
Enciclopedia potesse fare opera di concordia, accogliendo uomini che, benché
non fascisti, avevano accettato il programma dell’Istituto che si inspirava
alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano e a quegli alti destini
cui esso può e deve aspirare; seguiremo fedelmente le direttive che il Duce ci
ha impartito, concludeva rispondendo a una domanda sui propositi per l’avvenire
!. È naturale che Il Tevere non riprendesse le polemiche, ma si limitasse a
notare come l’opera per l'ampiezza del testo e per la profonda dottrina della
compilazione avesse assunto il carattere di grande Enciclopedia nazionale.
Tanto pi che, a convalidarne l’aderenza al regime agli occhi di quanti vi
avevano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno di un anno prima
della costituzione del nuovo Istituto sull’Enciclopedia era stata pubblicata la
voce Fascismo firmata da Mussolini, subito presentata come la massima
espressione della dottrina del fascismo. Non mancarono tuttavia, anche in
questa fase, feroci attacchi all'opera da parte de La Vita italiana di PREZIOSI
e de Il Secolo fascista di Fanelli ‘, l’anti-gentiliano ben visto negli
ambienti cattolici ‘ e autore del pamphlet Contra Gentiles nel quale sosteneva
che nell’Exciclopedia i gentiliani Origini e finalità della monumentale opera,
in La Stampa Il nuovo atto costitutivo dell'Istituto dell’Enciclopedia italiana
firmato alla presenza del Duce, in Il Tevere All’apparizione dell’enciclopedia
il giornale aveva commentato: quanto ai gesuiti, si può star tranquilli:
giacché a curare, dell’Enciclopedia, la parte di cultura religiosa è stato
propriamente Venturi. Nel cantiere dell’Enciclopedia, in Il Tevere. La Vita
italiana IT? Il Secolo fascista ad es. la recensione di Bobbio a Contra
Gentiles di Fanelli. Studium.. hanno organizzato con una perfidia senza
precedenti, la controrivoluzione, demolendo sistematicamente tutti i valori
esaltati dal fascismo, mistificando e stravolgendo il significato delle sue
istituzioni. Ma furono voci minoritarie, espressione di divergenze ideologiche
e culturali, non politiche. Dubbi di natura politica, probabilmente collegati a
lotte di potere scatenatesi per il controllo dell’Istituto, furono avanzate
solo in un rapporto anonimo a MUSSOLINI, secondo il quale fra i collaboratori
dell’opera vi erano parecchi anti-fascisti, e veniva lasciata troppo mano
libera ai compilatori di cui son note le idee antifasciste. Ma Gentile poté
replicare di essere stato autorizzato esplicitamente da Mussolini a mantenere
le collaborazioni di Sanctis e di Vida, che avevano rifiutato il giuramento
imposto ai professori universitari, e di esercitare un ferreo controllo sulla
redazione e sull’esecuzione di tutta l’opera. Nella scelta dei collaboratori
esterni posso assicurare che si tiene il massimo conto delle tendenze politiche
degli scrittori scartando tutti gli antifascisti. Come posso altresi assicurare
che nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli
articoli sono soggetti a rigorosa revisione, Nelle sue memorie, del resto,
Sanctis non si mostra cosciente del significato politico dell’Enciclopedia e
quindi della sua partecipazione !, mentre Levi Della Vida ricorderà di essere
stato convinto a collaborare dopo un primo rifiuto dalla promessa di non
politicità dell’opera fatta da Gentile, pur riconoscendo che senza dubbio non
può non avvertirsi in alquante voci delFanelli, Contra Gentiles. Mistificazioni
dell’idealismo attuale nella rivoluzione fascista, Roma, Biblioteca del Secolo
fascista, anche, per l’accusa mossa all’E.I. di aver massacrato la storia di
Roma, Bortone, Mito e storia di Roma durante il fascismo, in Palatino Felice,
Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso Torino, Einaudi, Sanctis, Ricordi
della mia vita. Scrivendo a Ricciotti, in qualità di presidente dell’Istituto,
Sanctis dirà di voler continuare l’Ernciclopedia evitando peraltro, grazie al
nuovo clima di libertà, quelle sia pur lievi concessioni che la prima edizione
ha dovuto fare ai tempi (AEI, Lettere, Ricciotti). l’Enciclopedia il clima
peculiare all’Italia di quel tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal
discrezione, colla preoccupazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a
ogni modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia coscienza se
avessi persistito nel rifiuto. Ciò che emerge con chiarezza dalla vicenda
dell’Enciclopedia è lo sforzo del regime, che appare in larga parte riuscito,
di organizzare il consenso degli intellettuali. Questa novità del fascismo era
colta con difficoltà dagli antifascisti; più attenti ai problemi della cultura
e degli intellettuali furono gli esponenti di Giustizia e Libertà, fra i quali
Venturi, che afferma: Sono abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo
per organizzare i corpi armati contro gli italiani oltre che contro gli
stranieri, e gl’istituti finanziari ed economici a favore di pochi arrivati al
potere. Ma non è ancora stato analizzato il successo del fascismo nel
promuovere la cultura in Italia. Mussolini ha compreso l’importanza di una
cultura foggiata a sostegno del regime, e, privo di ogni ideale da offrire come
meta all’intelligenza, convinto che solo il denaro può interessare gli uomini,
ha largheggiato di mezzi verso gl’intellettuali in un modo inconsueto in
Italia. Ma anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il
contenuto di classe di questa nuova cultura, e la capacità del regime e poi dei
cattolici di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere utile un
sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci dell’Enciclopedia
politiche, storiche, religiose, cerchi di valutare i contenuti culturali
dell’opera nel più generale contesto politico in cui fu realizzata: non tanto
per rilasciare patenti di fascismo e di antifascismo a singoli collaboratori,
quanto per vedere se nei loro contributi emergessero o meno elementi funzionali
all’ideologia che il fascismo veniva elaborando. Con ciò non si potrà ritenere
esaurito, del resto, l’esame dell’opera, in cui ampio è l’apparato di voci
illustrative (tecniche, geografiche e artistiche); anche Vida, Fantasmi
ritrovati, Travi (Venturi), La cultura italiana sotto il fascismo, in Quaderni
di Giustizia e Libertà, se un ulteriore approfondimento dovrà valutare fino a
qual punto queste ultime possano essere considerate esposizioni asettiche, dal
momento che, ad esempio, un geografo come Almagià, ben inserito nelle
istituzioni culturali e negli organismi politici del regime e direttore, con
Biasutti, della sezione Geografia dell’Enciclopedia, poteva affermare che le
trenta pagine dedicate alla geografia dell'Albania costituivano uno spazio non
certo soverchio, relativamente alla importanza che questo paese ha oggi per
l’Italia. Resteranno fuori dalla nostra analisi, fra gli altri, due settori
molto importanti, quello filosofico e quello scientifico. Il primo, com'è
naturale, fu più direttamente controllato da Gentile, la cui influenza è
facilmente avvertibile; ma può essere interessante notare come in esso non
manchino anche riferimenti all’attualità politica: la trattazione
dell’Idealismzo offre ad esempio a Calogero l’occasione per osservare che dalla
sinistra hegeliana muovevano quei pensatori che, come Marx, Engels e Lassalle,
tradussero il dialettismo genetico dell’idealismo in un evoluzionismo
naturalistico, condannando ogni spiegazione delle cose che non si riferisse
nudamente alle ferree leggi della natura e tramandando tale fiero odio per ogni
ideologia e idealismo fino ai giorni nostri, in quei paesi, come la Russia, che
da essi hanno mutuato la concezione politica. D'altro lato, Spirito considera
come filosofia del fascismo, sia pur allusivamente, l’Attualismo, che ha
condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e alla sua
identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega come l’attualismo
non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi
della cultura e della vita politica, e abbia condotto a un profondo
rinnovamento della coscienza nazionale. Almagià, La geografia nella
Enciclopedia Italiana, in Bollettino della R. Società geografica italiana.
Biasutti-Almagià, Le geografia nella nuova Enciclopedia italiana, in Atti del X
congresso geografico italiano, Milano, Capriolo e Massimino. Particolari cure
sono rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti
rapporti col nostro. Nel settore scientifico, in particolare per quanto
riguarda la storia della scienza dove fu dato largo spazio al genio italiano,
si assiste invece a una divisione del lavoro tra studiosi non attualisti e
gentiliani. Spirito aveva sostenuto, al CONGRESO DI FILOSOFIA,
l’identificazione di filosofia e scienza, spingendo Gentile a riconoscere
l’importanza della storia della scienza per la stessa ricerca scientifica; ed è
proprio Spirito l’autore della voce Scienza nella quale, dopo aver tratteggiato
storicamente il problema dell’unità o della distinzione tra scienza e
filosofia, oppone a CROCE, teorico del dualismo, il Gentile negatore di ogni
distinzione tra concetti puri e concetti empirici, e rivendica a se stesso e ad
Volpicelli il merito di aver tentato di dimostrare che la distinzione dialettica
dei momenti, essendo implicita in ogni procedimento logico non può
caratterizzare in concreto la differenza di determinate scienze empiriche e
filosofiche, e che la distinzione di diversi gradi filosofici, naturalistico e
idealistico, deve essere superata anche nel campo delle scienze particolari. Il
dualismo fu allora superato solo apparentemente, nonostante la volontà degli
attualisti di impadronirsi della tematica scientifica da un punto di vista
filosofico. Enriques, lo storico della scienza che dirigeva la sezione
Matematica, concludeva significativamente cosî una lettera a Gentile in cui
illustrava le proprie idee sulla redazione della voce Scienza: niente impedisce
se l’articolo Le apparirà manchevole che sia integrato da un successivo
articolo filosofico, nel senso che la parola ha per Lei, diverso dal mio. Fu
questo il criterio che, se non fu adottato per questa voce, guidò la redazione
di molte altre di carattere storico-scientifico, che vennero suddivise in due
parti: una Gentile, Introduzione alla filosofia, Milano-Roma,
Treves-Treccani-Tumminelli, A1 fatto che Gentile dette una certa estensione
alle voci di storia della scienza nell’Enciclopedia accenna Bulferetti, Gli
studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove questioni di
storia contemporanea, Milano, Marzorati, AEI, Lettere, Enriques. più
propriamente scientifica, riservata a studiosi di formazione positivistica, e
una filosofica, affidata ad attualisti, come nel caso di GALILEO, scritta da
Marcolongo e Allmayer, o di VINCI, dove accanto ai vari specialisti della
multiforme attività dello scienziato volle apporre la sua firma lo stesso
Gentile. L’esame delle principali voci di carattere politico conferma
pienamente l’esistenza non solo di una ideologia, ma anche di una cultura
fascista, attraverso la quale il regime cerca di costruirsi una legittimazione
storica. Resta ancora da compiere una ricognizione degli studi di scienze
politiche che si vennero elaborando in Italia tra le due guerre mondiali e che,
non limitandosi a ricostruire le discussioni metodologiche sulla storia delle
dottrine politiche, sia attenta al legame con la tradizione inaugurata da
Mosca, Pareto e Michels, e a quello tra elaborazione teorica e ricostruzione
storica, al rapporto con la politica sviluppata dallo Stato fascista e alle
istituzioni in cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui,
proprio a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze politiche
dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe dirigente. Le
voci enciclopediche sono solo una spia della estrema ideologizzazione cui era
soggetta questa tematica, e della fortuna della concezione gentiliana dello
Stato, che più di quella di Croce cercò di affrontare il problema dell’emergere
delle masse sulla scena politica nazionale, Non ci sembra di poter condividere
l’opinione di Bob ad es. Testoni, La storia delle dottrine politiche in un
dibattito ancora attuale, in Il Pensiero politico Un interessante tema di
ricerca suggerisce in questo senso Montenegro, Politica estera e organizzazione
del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale., in
Studi Storici le osservazioni di Racinaro, Intellettuali e fascismo, in Critica
marxista-- Bob bio che la presenza dell’ideologia fascista nell’Enciclopedia
sia avvertibile solo nella voce Fascismo. Anche se gia Treccani aveva potuto
affermare, ringraziando Mussolini per la promessa fatta a Gentile di
collaborare per questa voce, che l’Enciclopedia non poteva ottenere pit
importante e significativo suggello del carattere suo, di opera italiana del
regime !, la voce, scritta frettolosamente da Gentile per la prima parte ( Idee
fondamentali ) e da Mussolini per la seconda (Dottrina politica e sociale)
!", non è, all’interno dell’opera, l’unica né, forse, la più articolata
espressione dell'ideologia e della cultura politica del regime. Uscita nello
stesso anno in cui Croce pubblicava il manifesto del liberalismo, la Storia
d’Europa, quella che i contemporanei considerarono la summa dottrinale del fascismo
colpisce infatti per la sua genericità, dovuta probabilmente anche alla volontà
di non dare appigli a quanti, all’interno del regime, cercavano di
appropriarsene la dottrina. Se la mano di Gentile è indubitabile, come
rilevarono subito i commenti degli antifascisti La Libertà sottolineò nella
voce la concezione dello Stato propria del filosofo della Enciclopedia
Treccani, mentre Lo Stato operaio colse nella prima parte dello scritto la
marca di fabbrica della ditta intitolata a Gentile !, non è meno significativo
il fatto che i commentatori di parte fascista non dessero un particolare
rilievo alla influenza attualista, e ciò non solo per piaggeria verso
Mussolini, che aveva firmato tutta la voce. Un accenno, sia pure sfumato, vi è
solo in Bottai più vicino al filosofo siciliano il quale osservò che con la
Dottrina del fascismo la cultura moderna era giunta a Treccani a Mussolini
(ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato). Segreteria
particolare del Duce, Carteggio ordinario, e la testimonianza di A. Iraci,
Arpinati l'oppositore di Mussolini, Roma, Bulzoni. A parte questo caso,
l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle lettere e sullo
schedario per autori conservati presso l'Archivio dell’Enciclopedia italiana.
IL DUCE-FILOSOFO E LO STATO FASCISTA, in La Libertà; Donini, Il fascismo
secondo Mussolini, in Lo Stato operaio quella critica del socialismo e del
liberalismo, a quel senso realistico della storia e a quel pensiero
idealistico, che sono stati, prima oscuramente ora chiaramente, i caposaldi del
pensiero mussoliniano. Gli anti-gentiliani furono invece assai espliciti nel
distinguere la dottrina del fascismo dall’attualismo: non solo, naturalmente,
Fanelli, ma anche Carlo Costamagna, autore di parte della voce Corporazione:
dopo aver affermato che il fascismo, pur possedendo una dottrina, non può e non
deve possedere una filosofia, perché non esistono verità assolute, eterne e
universali, fuori del dogma religioso per il credente, nota che l’attivismo
fascista è lo sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla ha di
comune con quell’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di assorbire e
superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti espedienti
dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non una esercitazione di parole,
buona a giustificare qualsiasi comportamento pratico, ricadendo negli eccessi
dialettici propri ad ogni filosofia delle epoche di decadenza ! E particolare
significato assume il commento della rivista ufficiale di Mussolini, Gerarchia,
che sembra attaccare, oltre a Gentile, gli esiti di sinistra del gentiliano
Spirito quali si erano manifestati, nel maggio [ II secolo di Mussolini, in
Critica fascista. Bottai insisteva su una presentazione di sinistra della
dottrina del fascismo: nega l’ideologia marxista, ma accoglie il movimento
operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello Stato; nega l'ideologia
democratica, ma non intende restituire gli individui alla condizione di bruti
privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno Stato di polizia ; La dottrina
del fascismo, che non ignora né l’esperienza democratica né quella socialista,
concepisce lo Stato come il sistema dei diritti-doveri degli individui
organizzati per raggiungere i più alti fini etici della personalità umana (nella
sua concretezza nazionale), e non può fare a meno di tendere verso una
giustizia sociale che, in regime liberale, non poteva non essere calpestata. In
questo senso se il nostro secolo, come dice Mussolini, sarà un secolo di
destra, esso, proprio perché è il secolo dello Stato (se lo Stato non è, e non
dev'essere, strumento della prepotenza dei pi forti), sarà un secolo di
sinistra. E l’organizzazione corporativa italiana ne è una prova . Bottai sarà
autore della voce Corporativismo nell’Appendice. Fanelli, Contra Gentiles.
Costamagna, Pensiero ed azione, in Lo Stato, precedente, al II Convegno di
studi corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva fine, secondo la
rivista, al tentativo delle varie correnti culturali italiane di monopolizzare
la dottrina del fascismo, la quale fu identificata anche con il benedetto,
onnipresente liberalismo: sia con quello vero, che, partendo dal mito delle
intangibili libertà individuali, si ferma allo stato come complesso di servizi
utili e giungeva, al massimo, ad accettare un forte stato di polizia, guardiano
notturno dell’ordine pubblico; sia col liberalismo ancora pié vero, che dalla
base della fantastica acrobazia dialettica della identità assoluta fra stato e
individuo, finiva, logicamente, con l’identificare la dottrina fascista con
l’utopia comunista. Colpisce infatti, soprattutto nella parte sulla Dottrina
politica e sociale, che alle istituzioni corporative sia fatto solo un cenno
assai rapido, nonostante che l’elaborazione della dottrina corporativa fosse andata
molto avanti, e nella voce si insista sul fatto che proprio dopo la crisi chi
può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato . Il
motivo, suggerito da Gerarchia, è reso esplicito da Vita nova, la rivista del
gentiliano Saitta, per il quale dopo il mirabile articolo del Duce sulla
dottrina del fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia Treccani, discutere sulla
struttura filosofica e politica della relazione Spirito al Convegno di studi
corporativi, è non solo vano ma temerario, in quanto la corporazione
proprietaria ci riporterebbe pari pari all'esperienza bolscevica. Nonostante
queste prese di distanza ma è da ricordare che anche Gentile precisò il suo
pensiero rispetto a quello di Spirito, risulta evidente la marca di fabbrica gentiliana
della voce, anche se alcuni passi possono ricordare formulazioni di Rocco: cosî
nella dichiara[Caparelli, La dottrina fascista nel decennale, in Gerarchia
Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Noi, La corporazione
proprietaria, in Vita nova, ad es. il discorso di Rocco, La dottrina zione del
carattere assoluto dello Stato e nell’affermazione della preminenza dello Stato
sulla nazione fatta in implicita polemica con i nazionalisti, che sarà ripetuta
da Battaglia in Nazione, e non sarà negata nella voce Nazionalismo di D'Andrea
e Federzoni, preoccupati solo di dimostrare le origini antidemocratiche del
nazionalismo europeo, e contestare la primogenitura francese sul nazionalismo
italiano di Corradini; o nel paragrafo sulla religione cattolica, in cui si
dice che il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e
anche il Dio cosi com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del
popolo . Pi accentuata che non in Gentile è invece la negazione del secolo del
liberalismo, che vide, al contrario, la vittoria di Napoleone III e di Bismarck
il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di
quali profeti si servisse, e, nel Risorgimento italiano, l’apporto decisivo di
Mazzini e Garibaldi, che liberali non furono. Ciò che comunque interessa
rilevare, al di là della ricerca delle sue fonti teoriche, è il fatto che la
voce, pur nella sua genericità, condensa quei capisaldi dell’ideologia del
fascismo che circolarono ampiamente negli scritti di studiosi di scienze
politiche, di giuristi, storici, economisti; né sarà da dimenticare che, oltre
a essere diffusa e commentata in numerosissime edizioni, essa nella sua parte
propriamente mussoliniana (Dottrina politica e sociale), fu premessa allo
statuto del Pnf. Non vanno quindi considerate semplici enunciazioni
propagandistiche la.negazione del materialismo storico e della lotta di classe
con espressioni in cui Gramsci coglieva l’in-flusso di Loria, o quella del
pacifismo ribadita in Pacifismo di Vecchio, l’affermazione della vocazione
impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa del fascismo di presentarsi
come il superatore, e l’inveratore, politica del fascismo, in Scritti e
discorsi politici, La formazione dello Stato fascista, Milano, Giuffrè, Per una
polemica esplicita Gentile, Origini e dottrina del fascismo, Gramsci, Quaderni
del carcere, del liberalismo classico e del socialismo: un punto, quest’ultimo,
sul quale insisterà anche Volpe nella parte della voce dedicata alla storia del
movimento fascista, in cui cercherà di dimostrare che, nell’età della politica
delle masse, il fascismo era l’erede genuino del socialismo: come il socialismo
di MUSSOLINI che era specialmente una posizione di lotta si aprî
all’accettazione piena dei valori nazionali, cosf questi valori non misero
troppo nell’ombra quel socialismo: il quale, respinto energicamente come
partito, respinto anche come dottrina e come filosofia a fondo materialistico,
rimase come sentimento, rimase come simpatia per il mondo del lavoro, come aspirazione
a liberare le masse dal giogo del partito e dalla corruzione della politica,
allo scopo di promuoverne l’autoeducazione, farne l'artefice diretto della
propria fortuna, come del resto era nella concezione dei sindacalisti. Con
questa mistificazione si completava cosî quella soprastruttura ideologica della
borghesia italiana che, osservò Lo Stato operaio, usa ora nuovi e pit raffinati
mezzi di oppressione e di sfruttamento per consolidare il proprio dominio e
prolungare la propria esistenza, Alle formulazioni di Fascismo si fa un rinvio
non solo formale nelle principali voci politiche e politico-economiche affidate
a esponenti dell’attualismo come Battaglia e Spirito. Battaglia, che fu uno
degli animatori del dibattito sulla storia delle dottrine politiche sviluppando
la distinzione crociana fra teoria e prassi politica, tanto da ritenere che la
storia delle dottrine politiche non debba direttamente servire alle nostre
attuali finalità, dimostra in realtà, in voci come Democrazia, Partito, Stato,
una stretta dipendenza dall’elaborazione gentiliana e una precisa
strumentalizzazione di questi concetti in funzione dell’ideologia fascista.
Occupandosi della Demzocrazia nel periodo medievale e moderno, dopo aver
sostenuto, sulla traccia degli studi di Ercole sui Testoni, Battaglia, Oggetto
e metodo della storia delle dottrine politiche, in Rivista storica italiana,
comuni e sulle signorie venete che, come osserverà Chabod, anch'egli debitore
di Ercole, influirono largamente sul pensiero storiografico fra le due guerre,
con il loro assillo di cercare, ad ogni costo, lo stato moderno già nel passato
italiano, che la signoria non è negazione sic et simpliciter del principato
popolare, ché anzi le sue origini in Italia derivano proprio dal popolo, di cui
il tiranno si atteggia difensore contro le classi privilegiate, e dopo ‘aver
osservato che l'ideale di piena democrazia vagheggiato dal Rousseau era
inattuabile, un regime di dei più che di uomini , Battaglia nota che anche
nelle società moderne la democrazia ha bisogno di alcuni presupposti senza i
quali non solo non fiorisce, bensî decade e conrrompe i popoli. Facendo sue le
tesi espresse dal liberale Bryce in Democrazie moderne un’opera tradotta in
italiano da Occhi, e che è nella sostanza una critica da secondo le quali la
democrazia si sviluppa su un sostrato di diffuso benessere collettivo e
fiorisce solo nei paesi abituati al governo locale , pur essendo in crisi anche
in paesi evoluti come la Francia, Battaglia conclude che in Italia la
democrazia intesa come pratica di autogoverno non ha avuto una tradizione e una
linea. Lo stesso processo unitario ci spiega ciò. L’unificazione amministrativa
imposta da Torino tolse in fondo la possibilità di quell’autogoverno locale che
costituisce il fondamento della vera democrazia e inutile fu anche
l’allargamento del suffragio, perché Chabod, Gli studi di storia del
Rinascimento, Cinuant'anni di vita intellettuale italiana, Scritti in onore di
Croce per a cura di Antoni e Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane,
Per l’influenza di Ercole su Chabod, all’inizio della sua attività, Pizzetti,
Chabod storico delle Signorie, in Nuova rivista storica, Lu Sebbene la
democrazia si sia diffusa, e quantunque nessun paese, che ha provata, dia dei
segni di abbandonarla, noi non siamo autorizzati a ritenere, cogli uomini, che
essa sia la forma di governo naturale, e, perciò, a lungo andare inevitabile
(Bryce, Democrazie moderne, Milano. L'opera sarà ristampata da Mondadori,
sempre a cura di Occhi, c’è rappresentanza vera solo dove c’è coscienza, ciò
che in Italia mancava [...; cosi] la democrazia italiana continuò la sua vita
stentata e in fondo illiberale nel trasformismo, che palliava conati di
dittature singole, finché si dimostrò impotente ad arginare un moto come il
fascismo, in parte espresso da quelle stesse forze sindacalistiche che essa
aveva ignorato. Parallela a questa svalutazione della democrazia condotta sul
piano storico, è la negazione dell’esistenza di una vera e propria tirannia
nelle moderne società di massa (Tirannia e tirannicidio; da notare che
nell’Exciclopedia manca la voce Dittatura: c’è solo Dittatore per l’età
romana): infatti, spiega Battaglia, a parte che la pratica possibilità della
tirannia è ognora più ridotta, oggi il sistema dei controlli giuridici e
politici e la pressione dell’opinione pubblica sono tali che la figura del
despota exercitio appare affatto letteraria, Le moderne dittature facendo
appello al popolo, non solo per costituirsi attraverso i plebisciti i titoli
giuridici del potere o per sanarli se difettosi, bensi anche per suffnagare del
consenso nazionale ogni loro attività, appaiono poggiare sulle masse più che le
stesse democrazie. Insomma i fenomeni e le teorie accennate a proposito della
tirannia hanno significato con riferimento a piccole società politiche e non
agli enormi aggregati statali moderni. Mentre Ghisalberti svaluta la funzione
svolta dal Parlamento nella storia dell’Italia liberale col fascismo invece il
parlamento, che si avvia a un'ulteriore riforma in senso corporativo, superiore
alle piccole lotte d’un tempo, restituito alla sua naturale funzione, ha svolto
attiva, proficua opera legislativa , e Volpicelli sviluppa una dura critica del
concetto di rappresentanza (Rappresentanza politica), che nella esposizione della
storia del principio maggioritario Ruffini non è in grado di controbilanciare,
Battaglia Lo Stato in quanto organizzazione totalitaria del corpo sociale, non
può né deve agire iure repraesentationis, ma iure proprio ; solo lo Stato
corporativo fascista si afferma e si attua sempre più come uno stato
coincidente con la stessa e intera collettività nazionale corporativamente
organizzata , perciò appunto sarà davvero libero e generale. Anche la prima
parte della voce, scritta da Luigi Rossi, critica i vari sistemi di
rappresentanza politica. Nella voce Maggioranza Ruffini, autore svolge
(Partito) la concezione del partito unico, che sembra legarsi in parte alla
tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel partito. Non
rinnegando l’ampio fondamento democratico, esalta l’aristocrazia militante dei
primi confessori dell’idea e sublima religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il
partito divien stato; acquista rilievo giuridico, assurge personalità morale; è
cosî composto, gentilianamente, il contrasto individuoStato: l’esperienza del
fascismo e del nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre operosa
nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito unico
s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e questo sopra
di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione etica, quindi nel
partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si trasformi arricchendo i
suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni. Elidere ogni varietà di motivi
in un’instaurazione dogmatica di principi rigidi è vano sogno, ché oltre gli
schemi irrompe la vita e il contrasto. Ciò non esclude che questa debba
ricondursi nell’ambito totalitario dello stato, nell’unicità etica che questo
rappresenta, Dove più esplicito e dispiegato è il debito di Battaglia verso
Gentile, è nella voce Stato, riprodotta negli Scritti di teoria dello Stato, a
testimonianza che l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini
dell’Enciclopedia. La storia dell'idea di Stato è ricostruita de Il principio
maggioritario, si limita ad affermare che il principio maggioritario ha avuto
contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversari delle istituzioni
democratiche, i quali spesso commisero l'errore di colpire il concetto tecnico
giuridico di maggioranza quando volevano colpire quello generico politico di
moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico . Questa voce ci sembra
sopravvalutata in senso antifascista da S. Caprioli nella riproposizione di
Ruffini, Il principio maggioritario, Milano, Adelphi. Nei termini della
concezione dello Stato assoluto è condotta anche la voce Reazione politica, in
cui Battaglia afferma che sia la rivoluzione sia la reazione hanno un motivo di
verità. I! loro contrasto è la vita dello stato, che ha sempre in sé
rivoluzione e reazione come libertà e autorità, diritto ideale e diritto
positivo da riaffermare. Sempre di Battaglia, ma più espositiva e con una nota
polemica contro gli assurdi del superuomo e il razzismo affermatisi nella
Germania nazista, è Politica, rifusa in F. Battaglia, Lineamenti di storia
delle dottrine politiche, Roma, Foro italiano, dove però la nota polemica ora
accennata viene attenuata In una lettera a Bosco Battaglia dichiarava in
funzione della concezione attualista, difesa da Gentile, contro le critiche dei
cattolici, come una delle poche dottrine o miti elaborati dal fascismo. Cosi,
all'affermazione che senza l’inversione di valori, non si sarebbe mai potuto
addivenire all’idea di uno stato interiore ai soggetti, quale l’età moderna esige
e svolge, segue la critica del giusnaturalismo, che conosce l’individuo,
astrazion fatta dai gruppi nei quali pur vive. La società nelle sue forme
molteplici gli è estranea. Si spiega quindi come esso, liberale e indifferente,
ritenendo nella tutela giuridica esaurito il suo compito, finisca per rivelarsi
impotente a disciplinare la vita delle classi inferiori, allorquando queste nel
sec. XIX cominciarono ad acquistare il senso della propria importanza. Donde
ciò che si è detto crisi dello stato , come l’esigenza di un'ulteriore
integrazione, che, se nell’ordine pratico ha trovato la sua realtà solo di
recente con il fascismo, nell’ordine teorico già era stata proclamata
necessaria da più di un autore come Fichte e Hegel ( avere riconosciuto la
spiritualità dello stato è il suo grande merito. I suoi problemi riprenderà al
principio del secolo presente il neoidealismo italiano, rivivendoli in una
esperienza affatto nuova ). Assai estesa è l’esposizione della concezione
gentiliana dello Stato etico, tanto che Carlini accusa Battaglia di aver voluto
accreditare la filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando invece
l’originalità della dottrina fascista, non solo integrazione pratica di quella
gentiliana; di avervi messo le mani due volte come la Direzione desiderava
(AEI, Lettere, Battaglia). Gentile, Ideologie correnti e critiche facili, in
Politica sociale. Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del fascismo
cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al fascismo, taluno
ci parla con grande compunzione della necessità di non lasciarsi attrarre dalla
diabolica filosofia dello Stato etico. Uno spunto in questo senso era stato
fornito da Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze, Sansoni,
anche F. Battaglia, I/ corporativismo come essenza assoluta dello Stato, in
Archivio di studi corporativi, che rinvia al capitolo sulla concezione dello
Stato di Solari, Ts etica e filosofica dello Stato moderno, Torino, L'Erma,
Carlini-Battaglia, Orientamenti, in Critica fascista, mai come ora,
specialmente in Italia, lo stato è reale nell’intendimento speculativo. La
filosofia non solo ne ha approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito a
potenziarlo nella sua funzione storica, promuovendone il sentimento nel popolo
e l’uomo sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio,
certo di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per celebrarli
ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con l’esposizione della dottrina
fascista continui sono i rinvii a Fasciszzo, nell’intento di dimostrare che lo
Stato fascista non è teocratico o assolutista, che, opponendosi a due posizioni
tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il
socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta, e che la
corporatività è la nota dominante dello stato fascista , nel quale cittadino
lavoratore e soldato si convertono assolutamente. Nella delineazione di aspetti
essenziali dell’ideologia e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti
personali, le voci di Ugo Spirito Economia politica e Liberalismo, scritte nel
periodo in cui più intensa fu la sua partecipazione al dibattito sul
corporativismo, che si collegò strettamente con la direzione, assieme ad
Arnaldo Volpicelli, dei Nuovi studi di diritto, economia e politica.
L’importanza di queste voci è evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da
Spirito nell’Enciclopedia, nella quale fu redattore per ben otto materie
(filosofia, economia, statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie
ecclesiastiche e, storia del culto), finché divenne segretario generale
dell’opera, sempre in un rapporto strettissimo con Gentile, ciò che dovette
costituire un motivo di preoccupazione per quanti temevano che la sua
concezione del corporativismo, quale si era espressa al convegno di Ferrara,
influenzasse Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia Santomassimo,
Spirito e il corporativismo, in Studi storici. U. Spirito, Memorie. gran parte
dell’opera. Echi della sua posizione si avvertono in effetti in queste due
voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la proposta della corporazione
proprietaria , rivendica il carattere pubblicistico della proprietà privata.
Nella parte storica delle voci l’autore svolge, più che una descrizione delle
concezioni precedenti quella fascista, una serrata discussione con queste,
diretta a condannare l’individualismo delle teorie fisiocratiche, liberali e
socialiste. Come quella fisiocratica si dice in Economia politica, la scuola
classica rimase tutta informata dal principio individualistico e liberistico
proprio dell’illuminismo, e anche quando l’economia nazionale o il socialismo
affermavano la superiorità dell’ente nazione o classe o società su quello
d’individuo, muovevano tuttavia dal presupposto illuministico e liberale che
l’individuo particolare in qualche modo esistesse e avesse una realtà propria
diversa da quella dell’organismo di cui faceva parte, affermavano cioè una
superiorità della nazione o della società sull’individuo o una subordinazione
di questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne l’essenziale identità
dialettica. Solo in Italia il rinnovamento dell’economia politica ha raggiunto
politicamente e scientificamente uno sviluppo d’importanza fondamentale.
Proprio in Italia, infatti, la critica del pensiero illuministico era stata più
perentoriamente condotta e i suoi risultati erano stati più decisivi. Né le
nuove affermazioni idealistiche erano state al margine della vita politica, ché
anzi questa ne ha risentito fortemente l’influsso, giungendo ad affermazioni
pra [Cosf Preziosi, Spirito, in La Vita italiana, È da ricordare che nel corso
dei lavori preparatori del Codice civile vastissimo fu il dibattito sulla
funzione sociale della proprietà: uno dei suoi partecipanti più insigni e Pugliatti,
di cui ad es. la raccolta di saggi La proprietà nel nuovo diritto, Milano,
Giuffrè. Gl’economisti italiani come Galiani, aveva notato Spirito, anche
quando più si discostano dalle teorie mercantilistiche e più decisamente
concordano con i fisiocrati, non accettano senza riserva il dogmatismo
individualistico e liberistico di questi ultimi e spesso fanno posto a
considerazioni di carattere che potremmo già definire storicistico .tiche
addirittura rivoluzionarie : con la Carta del lavoro, ad esempio, si dava il
colpo di grazia al tradizionale liberismo individualistico. Affermato il
carattere pubblicistico della proprietà privata, cadeva il fondamento
dell’economia liberale -- l’homo oeconomicus guidato dall’ofelimità --, e
ragione della vita economica diventava l’identità del fine statale e del fine
individuale. In questa ultima formulazione si riflette il ripiegamento di
Spirito rispetto alla sua primitiva proposta, che era decisamente accantonata,
anche se in Mussolini continuò a manifestarsi una comprensione dei vantaggi che
il regime poteva trarre dal vigilato dispiegarsi di tendenze come quella
impersonata da Spirito, presentando Capitalismo e corporativismo, Spirito
affermava che nessuno più ardisce di scandalizzarsi se si parla di crisi del
capitalismo e di trasformazione in senso pubblicistico della proprietà.
Quell’economia programmatica, che allora non si sapeva scindere dal sistema
bolscevico, è ormai accettata come propria dal corporativismo . La fondazione
dell’Iri dimostrava che l'iniziativa privata non è più l’idolo intangibile;
rimarrebbe la terribile formula della corporazione proprietaria, quella che ha
generato tanto putiferio. Ebbene, lasciamola pure da parte e non ci pensiamo
pit. Io per conto mio ci ho pensato su fino ad oggi e mi son convinto che, se
si accetta tutto il resto, la corporazione proprietaria può addirittura
sembrare sorpassata. Analoga a quella della voce, e tutta interna alla tematica
gentiliana di individuo e Stato, è la conclusione di Liberalismo, di cui è
posto fin dall’inizio il problema del suo sbocco nel corporativismo. La
concezione che colloca l’individuo al centro dell’universo è seguita attraverso
il Rinascimento e la Riforma, il razionalismo cartesiano che è già il principio
della demo[Santomassimo, Spirito, Capitalismo e corporativismo, terza edizione
riveduta ed ampliata, Firenze, Sansoni, La voce era già stata pubblicata in
Nuovi studi di diritto, eco nomia e politica, Nella nota bibliografica Spirito
giudica libri sbagliati la Storia del liberalismo europeo di Ruggiero e la
Storie d’Europa di Croce.] crazia del pensiero, la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino dove è il nucleo dell’individualismo liberale e
insieme il limite che il liberalismo non riuscirà mai a superare davvero, con
l’affermazione dell’ANTI-STATALISMO e della proprietà privata. Conseguenza del
liberalismo sono considerati il dualismo tra governanti e governati, che si
manifesta attraverso l’istituto della rappresentanza, trionfo materialistico
del numero, e la democrazia, che in Rousseau mostra i suoi aspetti deteriori,
convertendosi nel suo contrario e generando, nella sete della libertà, la
peggiore schiavità . Le contraddizioni del liberalismo, sorte col
riconoscimento della necessità di uno Stato e di un suo intervento soprattutto
nel campo economico, impongono secondo Spirito una revisione radicale del
problema, e questa è individuata nella tradizione italiana di pensiero,
ricostruita secondo l’ottica gentiliana, e nel corporativismo: I precedenti di
tale revisione vanno ricercati nel pensiero idealistico, che comincia a
contrapporsi all’affermazione del pensiero illuministico, razionalistico ed
emiristico. Il pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più
profondo e spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e
l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori, in
contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-inglese. Nei pubblicisti della
nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo tedesco, negli spiritualisti
italiani della prima metà dell'Ottocento, comincia a farsi strada un concetto
di libertà politica, in cui il dualismo di libertà e autorità, e quindi di
individuo e stato, è riconosciuto come il fondamento necessario della superiore
sintesi in cui consiste la vera libertà. In particolare, da Spaventa a Gentile,
la tradizione del pensiero italiano ed europeo viene determinata nelle sue
linee essenziali, e in essa si ritrovano gli elementi della nuova e più
profonda fede nella libertà, che avrà poi il suo sbocco nella rivoluzione
fascista. Con il corporativismo integrale il fascismo si avvia infatti a
risolvere, afferma Spirito, le antinomie del liberalismo: l’individuo deve
realizzare la sua libertà e la sua iniziativa nella collaborazione, e riconoscere
il carattere pubblicistico della proprietà, mentre si svuotano cosî di
contenuto tutti i concetti tradizionali del liberalismo individualistico e
della democrazia, da quello di rappresentanza a quello di maggioranza, da
quello di eguaglianza a quello di elettoralismo; iniziativa privata e
intervento statale, e in conseguenza il problema dei rispettivi limiti,
diventano termini e problema senza significato. Il corporativismo di Spirito
sposta cosî l’accento sulla costruzione gerarchica dello Stato, e negli anni
seguenti, dopo la chiusura dei Nuovi studi, si ridurrà, in campo economico,
alla difesa della economia programmatica, in cui l'affermazione del carattere
pubblicistico della proprietà che come la proposta della corporazione
proprietaria mostra di non collocarsi al di fuori della logica capitalistica si
precisa nella richiesta dell’intervento statale reso necessario dalla crisi, A
scanso di equivoci, comunque, Maroi ricordò nella voce Proprietà che alcuni
filosofi (Spirito, A. Volpicelli) hanno sostenuto che in regime fascista il
lavoro non può produrre una proprietà privata perché l’individuo, come tale, in
regime corporativo non esiste, e che il sistema corporativo sboccherà nella
corporazione proprietaria: questa concezione è però autorevolmente combattuta ,
concludeva, rinviando alla nota su Individuo e Stato nella quale Gentile allora
impegnato a redigere le Idee fondamentali della voce Fascismo, a commento della
posizione assunta da Spirito a Ferrara precisava che la socializzazione e
statizzazione corporativa importa sempre un margine individualistico, in cui il
processo corporativo deve operare. In , nell’Appendice, Autarchia, Capitalismo
(tutta la voce è dedicata alla crisi del capitalismo), Economia programmatica.
I precedenti delle nuove teorie scrive Spirito in quest’ultima voce vanno
ritrovati per una parte nei postulati del socialismo e per l’altra nelle
indagini circa l’organizzazione scientifica del lavoro. Sul fordismo di Spirito
Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra. La ASA, corporativa di Spirito, in
Belfagor questo margine, ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo stesso
rispetto della corporazione: l’autolimitazione conseguente dello Stato è la sua
effettiva autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse davvero l'individuo, riuscirebbe
un pallone destinato subito a sgonfiarsi. Il corporativismo, sente, sia pure
confusamente, questo pericolo, anzi questo destino del comunismo; e se ne vuol
distinguere non annullando quella sorgente di vita economica e morale che è
nell’individuo. Il timore che la posizione di sinistra di Spirito influenzasse
la trattazione delle materie economiche dell’Enciclopedia, non aveva quindi
ragion d’essere, come dimostrano del resto le voci di Graziani fra cui Bisogni,
Capitale, Lavoro, Salario, il quale aveva sostenuto che il Capitalismo e nel
rispetto della produzione e in quello della distribuzione, manifesta
superiorità spiccata sugli altri sistemi che lo precedettero, e su tutti i
sistemi imperniantisi sulla collettivizzazione dei mezzi produttivi, nei quali
si urterebbe contro la fondamentale difficoltà dell’assegnazione rispettiva dei
compiti e si dovrebbe ad ogni modo attuare una distribuzione che toglierebbe i
maggiori impulsi all’operosità e all’accumulazione; se si aggiunge la forte
coercizione, intollerabile in paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi
necessariamente addurrebbero a decremento enorme di produzione e ad arresto di
progresso economico e sociale. Può essere infine interessante notare come,
almeno nell’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa corrispondenza fra
le formulazioni di questi studiosi di scienze politiche e storico-economiche, e
quelle di alcuni storici. Mentre ad esempio Spirito svolgeva una critica a
fondo del liberalismo, nella voce Borghesia Chabod avvalorava la pretesa del
fascismo di presentarsi antiborghese, negando l’esistenza, nell’età
contemporanea, di quella classe che del liberalismo aveva fatto la propria
bandiera politica. Come il primo utilizza Gentile, il secondo riprende, con
alcune correzioni, le osservazioni di Croce intese a distinguere la borghesia
in significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per metafora (e per
non felice metafora) dalla bor- [Gentile, Individuo e Stato, in Giornale
critico della filosofia italiana ghesia in senso economico, con la quale la
prima si suole scambiare, e, peggio ancora, deplorevolmente contaminare, con
danno non solo della storiografia ma del sano giudizio morale e politico.
Mentre Croce respinge i termini borghese e borghesia per indicare una personalità
spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in cui tale
formazione spirituale domini o predomini, Chabod che in quegli anni fa sua la
negazione ottokariana del criterio di classe nella storiografia, e partecipa
del largo interesse che circondò nell’Italia fra le due guerre, non solo fra
gli studiosi cattolici, l’opera di sociologi come Weber e Sombart che in
opposizione al marxismo avevano dato la dimostrazione scientifica della
priorità dello spirituale sul materiale, della religione sulla economia ritiene
che storia dello spirito borghese non è altro se non storia dello spirito
moderno, che ha certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli
bomzines novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò alle
concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et simpliciter, con
un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora certi atteggiamenti
spirituali e morali fondamentali paiono più strettamente connessi con la
borghesia, classe sociale; in effetto sfuggono al dominio di un’etichetta
sociologica, e sono atteggiamenti anche di molti di coloro che combattono la
borghesia in quanto ceto sociale . A differenza di Croce, e pur distinguendo
fra borghesia e capitalismo rimane, mal[Croce, Di un equivoco concetto storico.
La borghesia , ora in Etica e politica, Bari, Laterza, Garosci, Sul concetto di
borghesia. Verifica storica di un saggio crociano, in Miscellanea Walter
Maturi, Torino, Giappichelli, Croce. Pizzetti, Federico Chabod storico delle
Signorie. ZI È un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori (ora in Storici
e storia, Torino, Einaudi. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di
Weber fu presentata nei Nuovi studi di Spirito e Volpicelli da Sestan, che vi
notava una reazione al marxismo ( l’introduzione di Sestan alla nuova edizione,
Firenze, Sansoni, Chabod recensi Der Bowrgeois di Sombart in Rivista storica
italiana grado tutto, l’ideale della vita ordinata e scevra di troppo gravi
turbamenti: onde i borghesi si trovarono fuori del trionfo pieno di quella
stessa mentalità capitalistica, di cui pure avevano nei secoli precedenti
costituito il prodromo, Chabod ammette quindi per l’età moderna l’esistenza di
una mentalità borghese , proiezione spirituale della borghesia come classe
(idee di tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel periodo della
rivoluzione francese, idee astratte, antistoriche talora anche puerili ), ma
ribadisce che di essa non è più possibile parlare nell’età contemporanea, nella
quale siffatta mentalità non è più esclusiva della borghesia, come ceto
sociale. Ché, anzi, proprio per l’influsso della borghesia cioè del ceto
socialmente, politicamente, culturalmente dominante nell’Europa tale mentalità
ha permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà, e specialmente gran
parte degli strati inferiori della popolazione. Il lavoratore si è contrapposto
al borghese, nell’Europa: ma quanti punti di contatto tra la mentalità dell’uno
e quella dell’altro: quale influsso del secondo sul primo! I miti di progresso
e d’umanità, di fratellanza e d’uguaglianza, che ai borghesi avevano servito di
arma contro le vecchie classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori
socialisti contro la borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con
altro bersaglio. Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La
forma mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato sociale; si
è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva potuto costituire
veramente la forma mentis caratteristica d’un determinato ceto sociale, ora si
dissolve come tale, perde le sue peculiarità classiste . Dove si evidenzia
l’affinità con la conclusione della voce Borghesia scritta per il Dizionario di
politica del Pnf da Salvatore Valitutti: La società fascista che nello Stato
totalitario ha la sua espressione ignora l’esistenza di ceti o classi a sé
stanti e pertanto la parola borghesia è destituita di ogni significato attuale.
La voce di Chabod dimostra quindi come la mistificazione arrivasse, per forza
di cose, fino alle sfere più rarefatte di quella cultura che pure,
soggettivamente, si ritene del tutto indipendente dai volgari messaggi rivolti
alla massa, secondo quanto ha osservato Badaloni, e indica come molteplici
fossero in questo caso Weber e Sombart, e la stessa riflessione crociana i
contributi utilizzati per definire un’ideologia e una cultura del fascismo.
Sempre nell’ambito delle voci politiche incontriamo due casi particolari,
quelli degli antifascisti Solari e Mondolfo, utilizzati per le loro competenze
specifiche argomenti di filosofia del diritto, connessi con la tematica della
libertà, il primo; storia del socialismo e del movimento operaio, il secondo, e
la cui presenza potrebbe confermare il giudizio di quanti hanno negato la
connessione fra la vera cultura e il fascismo, ricavandone, in particolare, una
valutazione assolutoria nei confronti dell’Enciclopedia. Ci sembra tuttavia
azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in un’opera collettiva il
carattere oggettivamente antifascista della loro collaborazione scritta, senza
cercare di cogliere lo spazio dei loro contributi rispetto ad altri, e di
approfondire gli eventuali punti di convergenza o di non contraddizione fra la
loro produzione scientifica e quanto probabilmente lo stesso Gentile, in assenza
di una specifica sezione dedicata alla Politica, chiede loro. [La
partecipazione di Solari, il quale aveva accettato con entusiasmo di
collaborare all’Enciclopedia, che vuol essere espressione del pensiero italiano
nei suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni, pone forse più
problemi di quella di MONDOLFO. Solari è infatti impegnato, in quegli stessi
anni, in un’importante ed equilibrata opera di delucidazione della concezione
liberale dello Stato e dei concetti di liberalismo, costituzionalismo, Badaloni
-Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Solari a Gentile,(AEI, Leztere, Solari.
democrazia nelle dottrine politiche, che contrasta col metodo inquisitorio con
cui questi erano esaminati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia non è giusto
fare il Rousseau responsabile della degenerazione in senso realistico e
materialistico dell'ideale democratico, sembra rispondergli Solari ; egli
oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/ concetto dello Stato in Hegel fatta
da Gentile, la scoperta hegeliana della società civile la scoperta della
società civile come concetto autonomo fu il grande merito di Hegel, maggiore di
quello che solitamente gli si attribuisce di aver rinnovato il sentimento e la
dignità dello Stato ?!, e confutando la concezione dello Stato corporativo
espressa da Volpicelli osserva che il neoidealismo ha deviato dalla tradizione
hegeliana (almeno quale io la intendo) circa la natura e i fini dello Stato. Il
neo-hegelismo tende, a mio credete, verso un individualismo idealistico quando
concepisce lo Stato non in sé e per sé, ma nelle forme e nei limiti
dell’individuo concreto, singolo o associato che sia. Lo Stato è etico non
perché vive in interiore homine, ma perché è esso stesso realtà e sostanza
etica che non si concreta solo negli individui, ma progressivamente nella
famiglia, nelle associazioni, nella nazione, nell’umanità. E tuttavia sarebbe
necessario valutare come poté inse Solari, La formazione storica e filosofica
dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, DI Solari, Il concetto di società
civile in Hegel, in Rivista di filosofia , ora in La filosofia politica, a cura
di Firpo, Bari, Laterza, anche Solari, Lo Stato conse libertà, in Rivista di
filosofia : come organo di valori universali e non solo di interessi nazionali o
corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente etico, purché sia ben fermo
che esso non è valore supremo e neppure esclusivo, che la sua eticità è
misurata dal grado con cui realizza esteriormente, cioè coi mezzi imperfetti e
limitati dal diritto, la socialità che è la forma concreta nella quale
individui e popoli affermano la loro libertà. Per una riflessione sulla società
civile parallela a quella di Solari Zaccaria, L'itinerario politico di
Capograssi. Il problema del rapporto tra la società e lo Stato, in da Pensinto
politico, Solari, Stato corporativo e Stato etico (Lettera aperta al prof. A.
Volpicelti in Nuovi studi di diritto, economia e politica; anche la Risposta dl
prof. Solari di Volpicelli. rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua ricerca
di una filosofia sociale del diritto, fermissima sempre nel respingere
l'egoismo implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate dal
giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al materialismo
dialettico marxiano, e vedere se ciò fu possibile solo per l’esistenza di
comuni negazioni l’individualismo e il marxismo, o anche perché la sua
riflessione, dopo aver abbandonato, all’inizio del secolo, i suoi presupposti
positivistici (e tendenzialmente filosocialisti), sviluppandosi come idealismo
sociale trova più che un semplice correttivo nel neoidealismo italiano. In
questa sede si può solo propendere per la prima ipotesi, constatando come nella
maggior parte delle voci di Solari vi siano con la messa in sordina del tema
della società civile forti scarti rispetto a quanto scriveva contemporaneamente
fuori dell’Ewciclopedia, per cui esse non turbano l’immagine generale dello
Stato fornita dall'opera, anche se esprimono in maniera più equilibrata e
problematica di quanto non facciano gli attualisti il problema dei rapporti fra
diritti individuali, società e Stato. Una esplicita distinzione fra il proprio
idealismo sociale e quello di Croce e di Gentile si ha solo in una delle prime
voci, Filosofia del diritto, sottovoce di Diritto. L’idealismo del Croce e del
Gentile, fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava
logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella etica
dello spirito. Legittima pertanto deve apparire l’esigenza di cercare al diritto
un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività giuridica come attività
autonoma dello spirito. Come espressione di questa esigenza fu in ogni tempo il
diritto inteso come attività dell'uomo storico e sociale, come rela- [Cosî
Firpo nella Introduzione a Solari, La filosofia politica, Bobbio non vede nel
passaggio di Solari all’idealismo un rivolgimento dei suoi principi
(L'insegnamento di Solari, ora in Italia civile, Manduria-Bari-Perugia,
Lacaita). Per una valutazione complessiva dell’opera di Solari anche AA.VV.,
Solari Testimonianze e bibliografia nel centenario della nascita, Torino,
Memorie dell’Accademia delle scienze, in particolare il saggio di Bobbio su Lo
studio di Hegel. L'Enciclopedia italiana] zione, come proporzione personale e
reale, come manifestazione della coscienza collettiva. In Italia la scuola
giobertiana, rivissuta dal CARLE nelle sue applicazioni al diritto, sostiene
che in tal senso si affermò la costante tradizione della filosofia italiana. Il
dogma della nazionalità e socialità del diritto è incompatibile con l’idealismo
economico e morale, l’uno e l’altro fondati sul presupposto che il diritto è
attività dello spirito individuale. Ma a liberare l’idealismo nazionale e
sociale dagli elementi empirici e contingenti con i quali va congiunto, è
necessario elaborare una dialettica dello spirito collettivo e riprendere la
tradizione storico-romantica del periodo post-kantiano, la quale pose le
condizioni di una concezione idealistica del diritto come espressione dell’Io
sociale. Ma la posizione di Solari non ebbe poi modo di dispiegarsi. In alcune
voci l’accento cade, come in quelle di Battaglia e di Spirito, sulla condanna
delle teorie individualistiche cui viene opposto il valore supremo dello Stato:
mentre il contrattualismo tende logicamente a una teorica individualista dello
stato, in modo da giustificare cost l’estremo assolutismo, come l’estremo
liberalismo, in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di Hegel, per dire
che in lui la giustizia è libertà ma questa non esclude, anzi postula la
necessità e la naturalità; essa si attua astrattamente nell’individuo e nei
rapporti interindividuali, ma solo nello stato si afferma in forma concreta e
universale ; in modo altrettanto conciso si sostiene che eticità per Hegel è
sinonimo di socialità, e questa è il risultato di un processo dialettico che
culmina nello stato (Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà,
citata da Bobbio come esempio di antifascismo, è da notare che è solo una
sottovoce di Libertà affidata nei suoi termini generali, ed esclusivamente
filosofici (per la bibliografia si rinvia a Etica), ad Guzzo, un attualista
mosso da una forte esigenza religiosa, per il quale la libertà è oggi
considerata come la spiritualità stessa , e che in essa Solari non esprime un’opinione
personale: pur partendo dall’affermazione che condizione di sviluppo della
personalità è la libertà, vi espone infatti la teorica dei diritti di libertà
elaborata da Locke e da Kant, e quindi la reazione Bobbio, Le cultura e il
fascismo. da essa suscitata, prima con Hobbes, Spinoza e Rousseau, poi nel
periodo postkantiano, fra gli altri da Hegel, che poneva in rilievo il processo
dialettico per cui la libertà astratta dell’individuo diventa reale nello
stato. Un discorso per certi versi analogo a quello di Solari può essere fatto
per la collaborazione di Mondolfo, autore delle voci principali relative alla
storia del socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che era
stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia, dopo la
sconfitta del movimento operaio ad opera del fascismo, corrisponde anche in
questo caso al criterio della competenza , ma non appare in contraddizione con
i motivi ispiratori dell’Enciclopedia: era lo stesso criterio che aveva
suggerito a Bevione e a Salata di affidare a Bonomi la biografia di Bissolati,
poi redatta dall’ex bissolatiano Cabrini, che aveva messo in risalto
l'orientamento nazionale pit che quello socialista del biografato. Le voci di
Mondolfo, che non sembra abbiano subîto censure, sono lontane dal taglio
anonimo, anche se cor[Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del
Novecento, in Storia d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi. Bevione
scrive a Salata, che dirigeva allora la sezione Storia contemporanea : penso
che qualcuno può scrivere l’articolo con ben maggiore ricchezza di dati e
intima conoscenza del tema: ed è Bonomi né obbiezioni potranno venire alla
Direzione dell’E.[nciclopedia] da alcuno per questo incarico, data la purezza e
la serenità di Bonomi, da tutti riconosciuta. A Bonomi avevo pensato anch'io,
fin da principio scriveva Salata a Menghini. Ma allora mi era parso di dover
evitare la scelta di un uomo cosî in vista nelle vicende politiche
post-belliche. Ora il giudizio su Bonomi è credo anche nelle altissime gerarchie
del partito fascista più calmo (AFI, Lettere, Salata). Cabrini era stato
cancellato nel 1929 dall’elenco dei sovversivi ( la voce di A. Rosada in F.
Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico,
Roma, Editori Riuniti). Mondolfo, da me interpellato sulla sua partecipazione
all’Enciclopedia, risponde.Per la mia collaborazione ho avuto solo rapporti
diretti con Gentile, che era mio amico personale, come antico condiscepolo a
Firenze, e che sempre rimase tale benché io polemizzassi con lui a proposito di
Feuerbach e Marx e di Bruno e Tocco. Ciò non impedî che egli m'’invitasse a
collaborare alla Enciclopedia proprio su un tema (Bruno) che e oggetto di una
nostra polemica.] retto, di voci come Exgels scritta da Manfredi Gravina, alto
commissario per la Società delle Nazioni a Danzica, o da quello polemico del
Marx di Graziani, che mette in rilievo le censure gravi cui andrebbe incontro
ad esempio la teoria marxiana del valore; esse invece, mentre ambiscono ad
avere un andamento espositivo ed obiettivo, riflettono al tempo stesso la
concezione dell’autore de I/ materialismo storico in Engels e di Sulle orme di
Marx, per cui evidenziano, al di là della competenza, la profonda consonanza di
Mondolfo con l’impostazione idealistica e gentiliana. Anche se queste voci
rappresentano dopo la biografia di Labriola di Dal Pane e l'edizione Croce de
La concezione materialistica della storia di Labriola, l’esposizione più ampia
della teoria e della prassi del socialismo e del comunismo, è quindi difficile
convenire con l’opinione di chi ha affermato che esse erano le fonti più
accessibili, senza suscitare sospetti, alle quali i giovani, che studiavano sul
serio, potevano attingere per cercare una spiegazione e una giustificazione
alle continue denigrazioni che il fascismo faceva di quelle idee e dei loro
movimenti. Per chi studiava sul serio dovette. avere maggiore efficacia la
diretta riproposizione crociana di Labriola, che non la valutazione mondolfiana
della concezione marxista e socialista, profondamente influenzata dalla lettura
di Gentile, e scissa da una positiva considerazione dei movimenti reali.
Parlando dell’influenza di LABRIOLA (si veda) su Mondolfo, Garin ha osservato
che in quest’ultimo. l’equilibrio della filosofia della prassi è tanto
insidiato in E debbo dire che né per questa né per le altre voci si limitò
affatto la mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu quello dello
spazio disponibile), di giudizio e di espressione; né mai mi chiese o propose
il minimo cambiamento, neppure di una virgola. Credo pertanto di dover
riconoscere che Gentile si mantenne con me al di sopra dei dissensi politici e
filosofici che ci dividevano, e credo che ispirò a criteri ed esigenze di
carattere scientifico i rappotti con i collaboratori, nella sua direzione
dell’impresa dell’Enciclopedia Bassi, Mondolfo nella vita e nel pensiero
socialista, Bologna, Tamari Suggerimenti per una corretta lettura delle voci di
Mondolfo ha fornito Garin, Mondolfo e la cultura italiana, in Filosofia e marxismo
nell'opera di Mondolfo, Firenze, La Nuova Italia, direzione idealistica, da
suscitare in lui una sintomatica interpretazione in senso deterministico della
concezione dell’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione verbale,
aveva ben altro valore. E non a caso, riproponendo sulle pagine della Rivista
di filosofia la lettura mondolfiana del materialismo storico, Levi osserva che
la gnoseologia del calunniato materialismo storico coincide in alcuni punti
fondamentali con quella di una delle più celebrate correnti dell’idealismo
storico, cioè con la gnoseologia di VICO (si veda), e, infine, che il concetto
marxistico della umwélzende Praxis sembra convenire con quella, che io
chiamerei l’orientazione storicistica del liberalismo. Come non si conosce e
non s’intende se non facendo (ripete Marx con VICO), cosi non si mutano le
condizioni esteriori se non mutando se stessi, e reciprocamente non si muta se
stessi se non mutando le condizioni del proprio vivere, afferma Mondolfo
trattando del Muaterialismo storico sottovoce di Materialismo di Allmayer,
ribattezzato concezione critico-pratica della storia. Dopo aver opposto alle
interpretazioni economicistiche quella di Man, Mondolfo sottolinea infatti il
carattere soggettivistico, e quasi vitalistico, ma non per questo meno
deterministico, del materialismo storico: Vita che è lotta, in cui né le forme
e condizioni esistenti possono arrestare le forze vive che si volgono contro di
esse, né le forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme
e condizioni esistenti, sia pure per rovesciarle e superarle . Ne risulta un’
accentuazione gradualistica del processo storico, che si riassume nella
definizione di Sorel del materialismo storico come consiglio di prudenza ai
rivoluzionari . Manifestazione della continuità della storia, che non A,
Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con
un'introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, Nella voce Labriola Mondolfo
scriveva: C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma le cose
sono la praxis stessa umana Levi, Um'interpretazione del materialismo storico,
in Rivista di filosofia . Anche Levi aveva considerato sbagliato il termine
materialismo storico.] conosce fratture rivoluzionarie nel progresso, che è
incremento, non è il caso di andar cercando assoluti cangiamenti qualitativi
ossia creazioni di novità assolute e senza precedenti, aveva affermato Mondolfo
sulla base del pensiero di Bruno, in discussione con Barbagallo, è la stessa
storia del comunismo e del socialismo: i due termini sono dilatati
cronologicamente fino a comprendere l’antichità. Ciò vale in primo luogo per il
comunismo, che non è soltanto programma di rivendicazione e d’azione di una
classe proletaria, ma si presenta nella storia anche come stato di fatto, dovuto
sia alla primordialità indifferenziata della società umana, sia a necessità
belliche (Lipari), sia ad ascetismo religioso che svaluta i beni terreni e
reprime il desiderio del possesso individuale (es., comunità monastiche), e può
anche essere un ideale etico-politico di società, che voglia eliminati gli
interessi particolari fonte di conflitti, per la solidale ricerca del bene
comune (come in utopie antiche e moderne) (Socialismo). Il comunismo, mentre è
in certe forme storiche estraneo alle esigenze socialistiche di elevazione ed
emancipazione di classi, nella società contemporanea rappresenta la forma
estrema del socialismo, che alle altre si oppone per il radicalismo dogmatico
del suo programma, per la fede nell’efficacia risolutiva della violenza, per la
decisione rivoluzionaria della sua azione, e trova espressione nella dottrina
più mista di bakuninismo, blanquismo e sindacalismo, che aderente al marxismo
professata dai socialisti maggioritari (Comunismo).Ma anche per [Mondolfo,
Razionalità e irrazionalità della storia. Per una visione realistica del
problema del progresso, in Nuova rivista storica A proposito di BRUNO (si veda)
Mondolfo scrivea Gentile. Vedrai dal manoscritto che le mie opinioni sulla
distinzione delle fasi del pensiero bruniano, fatta da TOCCO, si sono
modificate per cedere il posto allo sforzo di coglierne l’unità e continuità,
pur fra le contraddizioni ed oscillazioni (AEI, Lettere, Mondolfo). La
concezione critico-pratica del marxismo conclude la voce, che per ogni
esperimento storico domanda la maturità delle condizioni oggettive e
soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in favore della
concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista del potere. E le
difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della rivoluzione bolscevica, non
lasciano prevedere ancora a quale porto essa sia destinata ad approdare . Per i
giudizi di Mondolfo sulla Rivoluzione d’ottobre Studi sulla rivoluzione russa,
Napoli, Morano, il socialismo è necessario risalire all’antichità classica e al
cristianesimo, contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano il
socialismo sviluppo esclusivamente moderno, prodotto della doppia rivoluzione
politica e industriale con cui si passa dalla società feudale alla
capitalistica (Socialismo). Già prima della duplice rivoluzione una tappa
decisiva per lo sviluppo del socialismo e del comunismo moderni è costituita
dal pensiero degli illuministi, Montesquieu e Turgot in primo luogo. E
l’elemento costitutivo del socialismo era individuato da Mondolfo nella
buzzanitas, cioè nella affermazione storica più vasta e universale di quella
coscienza e dignità della persona umana in quanto tale, che è l’essenziale
concetto di Rousseau, inspiratore degli immortali principi della rivoluzione
francese 2%, ora la sua essenza è vista in quella esigenza morale di libertà,
di affermazione e sviluppo della personalità umana nel lavoratore, che
costituisce la forza viva e il valore etico del socialismo moderno, con le sue
rivendicazioni di autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze
di classe (Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un movimento
reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi in una generica
aspirazione alla giustizia che percorre, in forme diverse, tutta la storia
dell'umanità: era una presentazione che, indipendentemente dalle intenzioni
dell’autore, poteva trovare punti di convergenza, o quanto meno di confusione,
con quella fatta dalla voce Fascismo, secondo la quale, colpito il socialismo
nei suoi due capisaldi del materialismo storico e della lotta di classe, di
esso non resta allora che Sul rapporto di continuità-rottura fra illuminismo e
storicismo quanto Mondolfo scrive nella voce Helvétius. Osserverà Marx contro
Owen, discepolo di Helvétius: l’educatore stesso deve venire educato. Il
coincidere del variare dell'ambiente e dell’attività umana può essere inteso
razionalmente solo come praxis che si rovescia, ossia come concreto processo
dialettico della storia, in cui di continuo l’effetto si converte in causa e
l’uomo non è prodotto passivo, ma antitesi operosa alle condizioni esistenti.
La contraddizione in cui Helvétius resta impigliato si risolve nello
storicismo. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, introduzione di
Bobbio, Torino, Einaudi l'aspirazione sentimentale antica come l’umanità a una
convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della
più umile gente. Il socialismo come umanesimo universalistico, già affermato in
polemica con Rosselli, fino ad accettare la trasformazione della lotta di
classe in collaborazione di classe, trova nell’Enciclopedia una delineazione
concreta nella trattazione del movimento operaio italiano. Lo smarrimento e la
confusione sorgono più gravi nell'immediato dopoguerra, per l’irruzione
improvvisa di masse caotiche nelle organizzazioni a portarvi l’ondata dei
malcontenti incomposti e la suggestione del mito russo: il rivoluzionarismo
delle nuove reclute sopraffà d’un tratto i vecchi cauti condottieri. Ma questo
sindacalismo rivoluzionario è presto sgominato dall'insorgente sindacalismo
fascista; la nuova legislazione si avvia grado a grado a convertire il
sindacalismo in corporativismo, che al principio della lotta di classe
sostituisce quello della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il
corporativismo fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro
e l’importanza e i diritti della classe operaia. I fini universali del
movimento operaio si realizzano nel potenziamento della nazione: La stessa
lotta contro il capitalismo avido di profitti è affermazione di un più alto
concetto della ricchezza: non privilegio e dominio, rientrante nella sfera
dell’arbitrio individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini
di utilità nazionale. E nell’atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno
portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche impresso
all’industria e all’agricoltura un fecondo impulso di rinnovamento, che ha
significato un accrescimento della produzione e, quindi, un elevamento generale
Mondolfo, Ursanismo di Marx, Sulla base di un ampio esame degli scritti di
Mondolfo, Marramao ha affermato che saranno proprio le categorie di coscienza
di classe e di rovesciamento della prassi i cardini teoretici della difesa ad
oltranza della collaborazione, e che è sintomatico come il nostro autore
trascorra dal concetto di totalità della classe a quello di collaborazione,
logica conseguenza politica dell’universalismo che si realizza progressivamente
nella coscienza di classe (Marxismo e revisionismo in Italia, dalla Critica
sociale al dibattito sul leninismo, Bari, De Donato, delle possibilità e dei
tenori di vita nazionali (Operaio movimento, In questo modo le contraddizioni
sociali si annullano, e ai fini della produzione e della distribuzione della
ricchezza nazionale il movimento operaio viene a svolgere una funzione analoga
a quella delineata da Michels per Li LI, di equilibrato rafforzamento di tutte
e classi: È evidente, in realtà, che dall’impetialismo economico possono
nascere, per le classi inferiori, vantaggi effettivi anche dal lato del
consumo, qualora esso abbia per effetto l’incremento dell’importazione di
materie di prima necessità il cui buon mercato faccia calare i prezzi locali
aumentando correlativamente la capacità d’acquisto dei salari e dei piccoli
redditi. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico Se operiamo un’altra
verifica nel settore storico, con particolare riguardo alla storia italiana
moderna e contemporanea, troviamo confermata l’impressione che il rapporto fra
gli intellettuali e le scelte politiche o politico-culturali del periodo
fascista sia stato assai stretto e passasse attraverso mediazioni culturali che
sono precedenti al fascismo ma che col fascismo si chiariscono, come nel caso
di Volpe; e ciò vale anche per quegli intellettuali che, per abito scientifico
o per temi studiati, sono stati considerati più lontani da una compromissione
con l’ideologia del fascismo. Lo stesso Momigliano, che alle voci sto- [In
Sindacalismo Mondolfo afferma: Del sindacalismo rivoluzionario parve per un
momento allo stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli
operai e contadini; ma ben presto è apparso evidente che tutto quanto il
sistema sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello
stato. E nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi del
sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato poi dal
socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l’esigenza dei valori
eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in cui l’uomo è
cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di classe: i sindacati
di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella corporazione, tutte le
corporazioni nella nazione, la cui personalità morale si riassume nello stato.]
riche dell’Exciclopedia dette un larghissimo contributo e fu in stretto
contatto con gli storici che vi lavoravano, ha parlato di un bilancio in
perdita per tutto quel gruppo di storici, fatta eccezione per Cantimori e
Chabod?: osservazione probabilmente troppo drastica, ma che invita ad un
approccio alla storiografia del periodo fascista non solo in termini di pura
storia delle idee; anche attenendosi a questo solo piano, comunque, da un esame
di alcune voci vedremo che molteplici sono le influenze che agiscono su storici
come Chabod e Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi hanno finora
valorizzato esclusivamente l’insegnamento di Croce. Non è infatti possibile non
tener conto del quadro complessivo di cui fa parte lo stesso settore storico
dell’Erciclopedia, cioè di quella vasta opera di organizzazione della cultura
storica che si ebbe durante il fascismo e che attende ancora di essere
studiata. Protagonista ne fu, per la storia moderna e contemporanea, Gioacchino
Volpe, che riuscî a coinvolgere pienamente nei suoi programmi di lavoro anche
storici che, come Morandi, avevano già manifestato un diverso e autonomo
orientamento culturale, e che sotto la sua guida, o negli istituti, nelle
riviste e nelle collane da lui diretti, si dedicarono a una intensa attività di
ricerca in campi diversi per poi concentrarsi attorno alla storia della
politica estera italiana, in un momento in cui l’imperialismo fascista esaltava
la politica di potenza dello stato , risentendo in varia misura dell’
eclettismo storiografico e di singoli giudizi di Volpe. Negando contro
l’opinione di Maturi l’esistenza di una svolta nella storiografia italiana,
Ottokar lamenta la persistenza dei vecchi preconcetti della scuola
giuridico-economica (È illusione credere che la formula del materialismo
storico sia superata nella produzione storiografica odierna), e indicava a
modello Volpe, fin dall’inizio del secolo sostanzialmente immune Momigliano,
Appunti su Chabod storico, le osservazioni di E. Ragionieri, Carlo Morandi, in
Belfagor, da questi semplicismi materialistici, perché sembra che nel marxismo
egli abbia soprattutto sentito la parte più profonda e pit feconda, vale a dire
l’idea dell’unità e dell’interdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e
dei contrasti che porta ad una visione isolatrice e materializzatrice. Comunque
si voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità o del
cambiamento, nel periodo fascista essa si propose effettivamente come modello
di una storiografia politica di impronta nazionalistica ed esaltatrice dello
Stato-potenza, pur mantenendo alcuni residui del precedente interesse per la
storia sociale. Essa ebbe modo di imporsi attraverso gli istituti storici di
cui magna pars fu Volpe, impegnato fra l’altro a dissolvere anche
istituzionalmente la storia del Risorgimento nella storia secolare della
nazione italiana sorta col Medioevo, pur se a questo programma fece resistenza
la Società nazionale per la storia del Risorgimento: la Scuola di storia moderna
e contemporanea, collegata fin dalle origini con il COMITATO NAZIONALE PER LA
STORIA DEL RISORGIMENTO, si propose infatti la pubblicazione delle fonti di
storia italiana, programma che fu fatto proprio dal Comitato sotto la direzione
di Gentile, per poi passare all’Istituto storico italiano per l’età moderna e
contemporanea che assorbi il Comitato. Oggi infatti scrive Gentile
riecheggiando Volpe il quadro della storia del Risorgimento italiano, malgrado
la superstite specializzazione di alcuni suoi cultori, si slarga; e comprende
non solo gli immediati antecedenti del secolo delle riforme, ma tutta la storia
moderna d’Italia dal declinare di quella frammentaria vita comunale, che è il
primo erompere della vita nazionale ancora in- [Ottokar, Osservazioni sulle
condizioni presenti della storiografia in Italia, in Civiltà moderna ,
Interessanti notazioni sul rapporto Volpe-materialismo storico anche in
Volpicelli, Volpe, in La Fiera letteraria. Cervelli, Volpe, e le mie
osservazioni in Il problema Volpe, Una prima riflessione su questa complessa
rete organizzativa è stata fornita da S. Soldani, Risorgimento, ne Il mondo
contemporaneo, Storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia, conscia e incurante
della propria unità e ignara di ogni esigenza di organizzazione, fino alla
formazione del regno d’Italia e alla prima grande prova della sua volontà e
della sua potenza nella guerra mondiale. Le sezioni enciclopediche su alcune
delle cui voci ci soffermeremo, quella di Storia medievale e moderna diretta da
Volpe, e quella di Storia del Risorgimento diretta da Menghini legato a Gentile
anche per altre iniziative editoriali, come la collana Studi e documenti di
storia del Risorgimento di Le Monnier, si presentano come uno dei frutti di
questa vasta opera di organizzazione culturale, e videro impegnati quasi tutti
gli storici che prestavano la loro opera negli istituti di ricerca del regime.
Con ciò non si vuol dire che questi intellettuali si ridussero a funzionari del
regime, ma solo indicare la loro relativa omogeneità raggiunta negli anni ’30 e
la permeabilità di molti di loro all’ideologia nazionalistica propagandata dal
fascismo e che nell’Enciclopedia si manifestò nel larghissimo spazio concesso
alla storia di Roma e a quella d’Italia, pur nella varietà delle influenze sul
piano del metodo e dei giudizi: per cui la presenza della lezione crociana non
è di per sé un segno, in molti casi, di differenziazione ideologica
dall’orientamento nazionalistico. Sul piano metodologico nell’Enciclopedia,
come in quasi tutta la storiografia italiana del periodo, trionfa quella
concezione idealistica, sia etico-politica alla Croce sia realistica alla
Volpe, che aveva trovato un elemento unificatore nel concetto di classe
politica . Sul concetto di classe politica osserva Maturi, inteso eticamente o
realisticamente, sono tutti d’accordo: Croce e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad
esso si riduce in fondo anche il concetto di nazione nel Volpe, Prefazione di
Gentile all’Annuario del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, Bologna,
Zanichelli. anche G. Gentile, Dal Comitato nazionale per la storia del
Risorgimento dl R. Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea.
Relazione a S.E. il Ministro della Educazione nazionale, Sancasciano Val di
Pesa, Stianti, Secondo quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e
fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, ad es. a15. come si vede
dal suo libro L'Italia in cammino, ove, al centro della narrazione, è l’analisi
dei ceti dirigenti del Risorgimento e della nuova Italia, Non a caso alcuni
anni dopo nella voce Storia Antoni annoverava fra i rinnovatori della
storiografia italiana, accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È indubitabile
dunque che, al di là di scuole o di parti politiche, agli storici dell’Erciclopedia
fosse ben presente anche la lezione di Croce, come testimonia il fatto che
Nicolini, incaricato di predisporre un piano di voci di storia della
storiografia, si sentisse autorizzato a chiedere consiglio a Croce, che
nell’argomento è forse lo studioso più competente di Europa , e a proporre per
sé una sottosezione di storia della storiografia, in modo che le voci
passerebbero sotto gli occhi di Benedetto. Ma non permette di cogliere la
complessità delle influenze che si esercitarono sui maggiori storici operanti
fra le due guerre, ridurre tutto il problema alla questione del metodo e
privilegiare quindi l’insegnamento di Croce, per affermare che l’attualismo
gentiliano nel campo degli studi storici non esercitava che un’influenza
limitata, e in nessun modo tale da far sf che esso fosse accolto in prima
persona dagli storici migliori della nuova generazione idealistica #. Se
spesso, come nel caso di Maturi cui in particolare si ‘riferisce questa
osservazione, il metodo è quello di Croce, scelte tematiche e singoli giudizi
nad fonti diverse e talvolta contrastanti, e rinviano in molti casi, come
vedremo, a Volpe e a Gentile. Volpe aveva del resto cercato di orientare il
lavoro dei collaboratori della sua sezione suggerendo delle Norme e criteri per
la redazione degli articoli di storia medioevale e moderna, in cui invitava
alla valorizzazione della storia italiana, ma richiamava anche la necessità
come già Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in Rivista
storica italiana. AEI, Lettere, Nicolini. Cosî Salvadori, Maturi, in Nuova
rivista storica. Per alcune considerazioni sugli interventi storiografici di
Gentile A. Negri, L’interpretazione del Risorgimento di Gentile, in Critica
storica. Non apologie, né propaganda, né polemiche. Tuttavia, poiché aveva
fatto nel Programma per una storia d’Italia di combinare storia politica e
storia sociale, attenzione per lo Stato e per la vita economica, e avvertiva
ditener conto delle implicazioni politiche ed economiche della storia della
Chiesa. Sembra che a queste indicazioni, in cui si intrecciavano le varie
componenti della storiografia volpiana se pur spicca l’accento posto sulla
ricerca dello Stato anche nell’età comunale, ci si sia attenuti in molti casi,
ad esempio in alcune voci giudicate esemplari da Chabod nei primi volumi, come
Amburgo di Luzzatto, attento alla vita economica della città, o la Storia
dell’America di Doria, dove l’autore si sofferma sulle caratteristiche della
colonizzazione e sulla riduzione in schiaviti degli indios, senza nascondersi
gli interessi economici dei missionari, che in taluni casi furono piu spietati
dei conquistatori . Pi in generale, nelle voci dedicate agli Stati non italiani
che costituirono un banco di prova si tratta di una Enciclopedia Italiana, ai
collaboratori incaricati di trattare la storia degli altri paesi si chiede che
si compiacciano di dar rilievo a quella che può essere stata la ripercussione
di avvenimenti e personaggi italiani su la vita dei paesi stessi . Le Norme
sono riprodotte in Le predisposizione del lavoro in una grande impresa
scientifico-editoriale. L'Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani, in
L'organizza-zione scientifica del lavoro, Gli articoli sugli Stati, piccoli o
grandi, medioevali e moderni, non siano il quadro delle vicende dinastiche
(apposite voci sono dedicate alle dinastie e famiglie regnanti), né il mero
racconto degli avvenimenti politico-militari, ma presentino la storia politica,
largamente intesa, di una nazione o popolo, ne mettano in luce la struttura
economica e sociale e le vicende demografiche. Un posto maggiore che non le
altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla storia delle città, e in
particolare di quelle italiane, specialmente nell’epoca in cui le città furono
centri autonomi di energica vita, piccoli Stati di fatto, se anche
giuridicamente limitati. Quindi si devono presentare queste città nel loro
nascere o rinascere medioevale e anche moderno, le forze sociali che in esse si
raccolgono, la loro vita economica, le loro istituzioni, i personaggi più
notevoli, Negli articoli di Storia della Chiesa, che è quasi sempre anche
storia civile e politica, sarà da tener conto dell’uno e dell’altro elemento,
salvo i casi speciali in cui sarà espressamente avvertito che dell’elemento
religioso debba trattare a parte un altro scrittore. Discorrendo di missionari,
non si trascurino le finalità, i moventi e i riflessi culturali, economici,
spesso politici e nazionali della loro azione. Degli ordini monastici si metta
in luce l’importanza civile ed economica. Archivio storico italiano,
completamente nuovo per gli storici dell’Enciclopedia si può osservare
un’attenzione per i molteplici aspetti della loro storia e un notevole
equilibrio di giudizio come in Stati Uniti di Sestan e in URSS (anonima), anche
se, quando ci si avvicina alle vicende contemporanee (e quindi soprattutto
nell’Apperndice), si avverte l'influenza della propaganda politica del
fascismo: ad esempio occupandosi della Francia di Morandi che faceva cosî la
sua prima esperienza di commentatore politico, nelle cui vesti sarà
particolarmente attivo sulle pagine de Il Mondo minimizzerà il significato
dell’esperienza del Fronte popolare. Quando invece si tratta di valutare i
momenti rivoluzionari o i punti cruciali del dibattito storiografico, si tende
a tacere è il caso della Comune di Parigi, cui è dedicato appena un accenno da
Georges Bourgin ( governo municipale di radicali e socialisti ) sotto la voce
Parigi, storia, o a evidenziare i motivi ideologici nella ricostruzione
storica, come nelle voci dedicate alla Rivoluzione francese e alla storia
italiana. Appare naturale che il significato della Rivoluzione francese sia
sottoposto a severa critica nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica, da
Croce al fascismo, contro i principi. Né stupisce, pur apparendo in un’opera
scientifica, la rozzezza con la quale Francesco Ercole tratteggia la figura di
Danton (La sua crescente influenza sugli elementi più torbidi e inquieti del
popolo parigino era dovuta, non meno alle sue qualità fisiche, alla massiccia
vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva del volto butterato dal
vaiolo, alla voce stentorea, che alla suggestione morale esercitata dalla sua
consueta audacia di parole e di gesti. Ciò che interessa notare è invece, da un
lato, Chabod giudicò l’Enciclopedia mezzo e incentivo ad arricchire gli
interessi della nostra cultura, ad ampliare lo sguardo dei nostri studiosi a
determinare sia pure in pochi uomini volontà e proposito di affrontare,
finalmente, problemi che non siano quelli soliti, cari alla nostra
storiografia. anche Gentile, L'Enciclopedia Italiana, Eppure Bourgin era autore
di vari studi sulla Comune, dall’Histoire de la Commune a Les premières
journées de la Commune l'ampiezza dei giudizi negativi su di essa che sono
fatti propri anche da Chabod Ma le idee, una volta messe in circolazione,
sfuggono al controllo di chi le crea: e cosî fu che all’illuminismo,
alienissimo dalle violente e aperte rivoluzioni politiche e sociali,
s’appellassero quelli che, poco più tardi, dovevano far sorgere il novus ordo:
alquanto diverso, in verità, da quello auspicato dai filosofi, e grondante di
sangue (Illuminismo); e, dall’altro, la stretta interscambiabilità fra
posizioni scientifiche e ideologiche, per cui tornano alla mente i contenuti di
alcune voci politiche. L'importanza della Rivoluzione francese nella storia
europea non è certo disconosciuta da Ghisalberti che, dopo aver analizzato le
differenti posizioni delle varie classi sociali nell’89, afferma che essa recò
a termine con la sua violenza l’opera condotta nei secoli dalla monarchia
dell’antico regime e abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali,
consacrò l’importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il governo
e l’amministrazione, accelerò il già iniziato trapasso della proprietà, rese
uguali gli uomini davanti alla legge (Francese, rivoluzione). Anche nella voce
Rivoluzione Crosa cita del resto la Rivoluzione francese accanto alla
rivoluzione fascista come rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui,
o direttamente o indirettamente, si produssero trasformazioni politiche di
suprema importanza. Ma, come in Fascismo si era detto che il fascismo è contro
tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica; ed è contro tutte
le utopie e le innovazioni giacobine, cosf Ghisalberti precisa subito la sua
valutazione della Rivoluzione francese affermando che mezzo secolo di
dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei giacobini ; e,
mentre alle critiche all’ordinamento sociale fondato sulla proprietà mosse da
Morelly o Brissot contrappone, come più rivoluzionarie, le proposte dei
fisiocratici, coglie il difetto della Dichiarazione dei diritti nel fatto che
l’umanità è anteposta alla Francia, l’individuo alla società: un giudizio che
ricorda quello espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce
quando afferma che con la costituzione figlia della paura , la rivoluzione ha
trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del privilegio ha
sostituito quella del censo, gettando cosi i germi di futuri conflitti sociali
S, Il giudizio limitativo dei principi coinvolge naturalmente l’illuminismo e i
suoi esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo di Chabod, che pur ne
riconosce tutta l’importanza per la storia del progresso umano: quello che non
andò perduto cosî conclude la voce fu il nocciolo stesso dell’illuminismo e
cioè l’aver fissato su basi puramente umane e razionali la vita dell’uomo e
dell’umanità. In questa concezione d’insieme che corona e completa e sistema
definitivamente le prime conquiste del Rinascimento italiano è il valore ideale
dell’illuminismo . Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul collegamento
col Rinascimento italiano e, mentre sulla traccia di Philosophie der Aufklirung
di Cassirer trascura l’opera dei pensatori sensisti, non nasconde la sua
diffidenza per l’elemento che distinguerebbe l’illuminismo dal Rinascimento,
cioè l’interesse dei philosophes per la diffusione universale della cultura,
anche presso quella moltitudine che doveva sentirsi facilmente e pienamente
appagata dalla chiarezza e linearità delle idee che le venivano poste innanzi,
da una filosofia che s’appellava alle leggi di una ragione molte volte
identificabile col buon senso comune, e quindi di facilissima recezione, e che
in nome di questa ragione-buon senso bandiva le sue crociate contro certa
storia, vicina o remota: proprio come piace alle moltitudini, per le quali il
senso storico rappresenta il più difficile e complicato del misteri, e proprio
com’era necessario allora, dato il clima storico di quell’età, Ancora più
evidente è il carattere ideologico della ricostruzione storiografica per cui
quest’ultima si trasforma nell’ apologia che Volpe aveva invitato ad evitare
Per trovare una valutazione complessiva della politica di Robe spierre bisogna
ricorrere non alla voce dedicatagli da Francesco Lemmi, e ne fa il responsabile
del carnaio, ma a Terrore di Maturi. Anche l’opera di Federico II di Prussia è
opposta da Chabod al dottrinarismo astratto di un Giuseppe II . nella voce
Italia, scritta proprio da Volpe, da Rodolico, e Ghisalberti. La voce non
affronta esplicitamente, come è stato osservato, il problema dell’unità della
storia d’Italia, ma riproduce tuttavia la periodizzazione posta a base del
Programma, che vedeva profilarsi la nazione italiana fin dall’alto Medioevo. In
essa assai più marcato è però il motivo della continuità con la storia romana
alla quale, con la preistoria, è dedicata la prima parte della voce, in modo da
far risaltare come l’Italia, culla della civiltà latina e sede della Chiesa
cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il privilegio di essere il centro del
mondo: è lo stesso Momigliano ad affermare che con la dissoluzione di L’IMPERO
ROMANO l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La quale continua bensi e non dimentica
quella di Roma e del suo impero, anzi, con la Chiesa, che continua
l’universalità dell'impero, mantiene la sua funzione di primato spirituale; ma
solo dalla caduta dell'impero la storia italiana si svolge autonoma e con
propri destini: la faticosa conquista d’una forma politica per l’unità
nazionale del popolo italiano. L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza
nazionale e di una tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche
rispetto a suoi giudizi precedenti:nella prefazione al Medioevo italiano, egli
coglieva nell’età comunale uno dei momenti di più energica fecondità della
storia d’Italia, anzi come l’inizio ricco e promettente di questa storia,
segnato appunto dal sorgere dello Stato (Stato di città nel Nord e nel centro
d’Italia, Stato monarchico e territoriale nel sud) e della borghesia italiana,
e dal delineatsi di un popolo italiano che è creatura nuova e pur sente lo
stimolo a crearsi una tradizione e trovarla in Roma, nella voce enciclopedica,
dopo aver affermato che già con Odoacre, si ha il restringersi alla sola
penisola del senso politico della parola Italia , Volpe insiste più Sestan, Per
la storia di un'idea storiografica: l'idea di una unità della storia italiana,
in Rivista storica italiana, Ora in Volpe, Storici e maestri, di quanto non
avesse fatto Solmi sull’importanza del dominio longobardo che fondò in Italia
una tradizione politica di unità . Tutta la storia successiva gli appare un
progressivo disvelamento della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal
secolo XI c dalla nascita dei Comuni, e quindi con ALIGHERI e Cola di RIENZO,
con la crescente unificazione dello spirito ita- liano promossa dall’Umanesimo,
visto come un momento del Risorgimento, che è cosa del pasato ed è cosa
presente e immanente a tutta la storia italiana, dalla caduta di Roma e dalle
invasioni in poi afferma Volpe che tendeva appunto a una d ilatazione e
dissoluzione del concetto di Risorgimento, finché a Vittorio Amedeo II appare
chiaro il fine ultimo della politica sabauda: che era quello di chiudere le
porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi signori col tempo di gran parte
della penisola . Accanto alla precoce affermazione di una coscienza nazionale,
Volpe individua nel Comune e nel podestà il delinearsi più netto di un ente, lo
stato che nasce , e sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel Programma
per una storia d’Italia, la funzione italiana e quasi nazionale che assolve il
papato: questa comincia ad apparire già al tempo di Carlo Magno, ritorna
all’epoca di Federico II, per poi affermarsi con la Controriforma quando il
pontificato romano, nella lotta al protestantesimo, si mosse nella direzione
segnata dallo spirito del popolo italiano, e l’Italia, politicamente divisa, ma
unita nella cultura, priva ancora come è di più intimi e propri centri, si
appoggia, nel lento maturare della sua coscienza nazionale, al papato. Come
aveva tratto nel suo cerchio ideale Roma antica, cosi ora Roma papale, nella
quale vedeva, accanto a una funzione cattolica, anche una funzione nazionale e
italiana. Molti altri aspetti potrebbero essere sottolineati nella
ricostruzione volpiana come l’ampio rilievo dato alla rivolta antispagnola ,
mentre non mette conto Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia, Firenze, La Nuova
Italia, soffermarsi sulle parti della voce redatte da Rodolico e Ghisalberti
improntate a una storiografia puramente événémentielle e aproblematica, in cui
le preoccupazioni ideologiche si fanno via via prevalenti, se non per rilevare,
nel primo, l’esaltazione del sanfedismo ( pagine di fierezza di popolo) e della
missione nazionale assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel
secondo, la caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che si conclude
con una apologia del fascismo. Due contributi, questi, che non reggono il
confronto con la narrazione volpiana, capace in alcuni momenti di presentare la
complessità del processo storico e di aprirsi alla considerazione di aspetti
economici e sociali: con più forza nella connotazione delle origini del Comune
già Ottokar aveva rilevato come esso fosse composto di elementi economicamente
e socialmente assai eterogenei (Comune), ma anche nella valutazione delle basi
sociali della Signoria, per cui Volpe accetta nelle linee generali la tesi di
Ercole della sua origine popolare anche se poi opera delle differenziazioni fra
Venezia e Firenze e tra le vatie fasi della storia fiorentina; ma sempre con un
certo interesse per la correlazione tra storia politica e storia sociale, che
manca invece in Giorgio Falco, il quale nella Signoria un tema su cui si
concentrò l’attenzione di gran parte della storiografia italiana tra le due
guerre, in cerca dell’origine dello Stato moderno e di una nuova classe
dirigente sottolinea la tendenza all’affermazione di potenti individualità e la
prefigurazione della futura storia d’Italia: il Principe di MACHIAVELLI,
infatti, con la sua esaltazione della sovrana virt4 fondatrice di stato,
liberatrice d’Italia, riassume i due motivi dell’età delle signorie: ciò che
essa aveva prodotto, lo stato creazione dell’uomo; ciò che essa aveva invocato,
la nazione, ed era il compito dell’avvenire Pizzetti, Chabod storico delle
Signorie, Se alla radice delle signorie sta, non di rado afferma Falco, un
conflitto di natura sociale ed economica e se, com'è ovvio, gl’interessi
economici hanno parte in maniera generica nell’origine e nello svolgi Se
infine, in questo assai rapido e incompleto esame del settore di storia moderna
e contemporanea, prendiamo in considerazione alcuni contributi di storia
italiana di due intellettuali, come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si
è sottolineata l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro giudizi essi
sono largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi, almeno indirettamente,
dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con ciò non si vuole esprimere,
com’è naturale, un giudizio generale sull’opera di Chabod e di Maturi nel
periodo fascista che dovrebbe tener conto ad esempio, per il primo, e per
limitarsi all’Exciclopedia, anche del contributo su Machiavelli, che nel suo
rigore scientifico si contrappone alla presentazione decisamente nazionalistica
che ne aveva fatto Ercole, ma solo contribuire a chiarire le caratteristiche
complessive dell’Enciclopedia come manifestazione culturale del fascismo.
Accenti nazionalistici sono presenti, infatti, in Rimascimento di Chabod, che
pur qui (come nella comunicazione su Il Rinascimento nelle recenti
interpretazioni) si preoccupa di negare in un periodo in cui assai accese, e
non immuni da preconcetti ideologici, erano le controversie sulla
periodizzazione la continuità col Medioevo, contestando la tesi di quanti, come
Thode e Burdach, hanno messo in luce gli elementi storico-ideologici che
ricollegano il trionfante movimento dei secoli XIV e XV ad aspirazioni,
credenze, idee dell’età precedente, e di quanti, come Volpe, hanno operato un
analogo allargamento del quadro cronologico mettendo in rilievomento della
nuova istituzione, caratteristica di essa, quando riesce a mettere radice, è
essenzialmente l’affermazione e il trionfo di una volontà politica, una
dissociazione dell’esercizio del potere dalle attività della produzione e dello
scambio, dalle organizzazioni di arte e di classe, una soggezione lenta e
progressiva di queste e di quelle agli scopi dell’uomo di governo, infine,
dello stato (Signorie e Principati,Per alcune indicazioni sul dibattito su
Machiavelli nel periodo fascista M. Ciliberto, Appunti per una storia della
fortuna di Macbhiavelli in Italia: Ercole e Russo, in Studi storici, Ora in
Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, gli elementi storico-pratici
che collegano età dei comuni e Rinascimento tradizionale, e hanno prospettato
il Rinascimento come il moto stesso di ascesa del popolo italiano, nella sua
coscienza di nazione, nella sua attività politica ed economica oltre che
culturale e artistica, e hanno pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e
storia del popolo italiano a partire dal sec. XI . In realtà il distacco da
Volpe si manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione degli aspetti politici
ed economici rilevati da Volpe già in Bizantinismo e Rinascenza, e ancora nella
voce Italia, e nella caratterizzazione kulturgeschichtlich del periodo, per cui
se il Rinascimento è divenuto una categoria storica, lo è al pari degli altri e
simili concetti di Illuminismo e Romanticismo nell’unico significato possibile,
e cioè di un momento storico della vita spirituale europea, di un periodo
filosofico, letterario, artistico, che si origina certo da una determinata
realtà politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento, si dispiega per
cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il succo vivo di cui
alimentarsi, lo elabora poi concettualmente e immaginativamente, ne fa un mondo
a sé, mondo di idee di dottrine di creazioni artistiche che si dispiega sino ad
esaurimento della sua interiore virtà. Ma nella voce enciclopedica, a
differenza della comunicazione, la distinzione iniziale tra il Rinascimento e
il periodo precedente, affermata nell’analisi delle interpretazioni, è
contraddetta quando Chabod passa a enucleare gli elementi costitutivi dell’
epoca. Mentre nega la tesi di un rinnovamento spirituale europeo che si sarebbe
verificato in Francia e nei Paesi Bassi, riprende il motivo della continuità e
insiste sul carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del
Rinascimento, preparato lentamente, che vide in Italia lo sviluppo dei Comuni e
della borghesia: Nel Rinascimento, afferma Volpe, è come se la società
italiana, la borghesia italiana nata dalle città, celebri se stessa riuscita a
essere, da nulla che era, tutto o quasi tutto; come se celebri la signoria e il
signore, che era pur egli, a modo suo, creatura di quella borghesia e, a modo
suo, attuava quell’ideale dell’uomo che si fa da sé (Italia). E la graduale
conquista di un proprio mondo spirituale da parte di chi aveva, già prima, dato
nuove basi alla propria attività pratica e alla propria vita quotidiana. Era
infatti una società nuova, quella ch’era venuta affermandosi nell’Italia, e
specialmente nell’Italia settentrionale e centrale. Come ceio sociale, era già
ben robusto e capace quello che, con termine moderno, chiameremmo borghesia,
ormai differenziato nettamente dai chierici e dai feudatari. Questo gagliardo e
irrompente fiotto di vita nuova trovava presso che subito una sua prima, grande
espressione morale e spirituale, ma non sul terreno della cultura cosiddetta
laica, bensf su terreno prettamente religioso.] ora, all’inizio del secolo
XIII, era la società italiana tutta quanta che appalesava le sue rinnovate esigenze
di vita morale nel movimento francescano. Che era il grande apporto della nuova
nazione italiana alla storia della religiosità europea. In questo recupero
dell’interpretazione volpiana anche Cantimori, sul Dizionario di politica,
aveva individuato nel Rinascimento la presenza di un sentimento nazionale
unitario italiano il trasferimento nell’ambito prettamente umano di idee che
prima avevano trovato la loro ragion d’essere nella fede in Dio è seguito nel
suo lento cammino, che dal francescanesimo porta a Dante, a Cola di Rienzo, a
Petrarca e infine a Machiavelli, cioè attraverso l’erompere delle nuove,
giovani forze che danno vita alla nazione italiana, con una genealogia che
richiama quella proposta da Gentile nella sua ricerca della nazionalità della
filosofia. Per converso, il tramonto del Rinascimento si ha, afferma Chabod in
un passo finale della voce in cui già Cantimori ha colto il ripiegare sul piano
della storia nazionale dell’interesse precipuo dello storico valdostano per il
fenomeno europeo e cosmopolitico del Rinascimento, Cola di Rienzo e oggetto di
grande attenzione nel periodo fascista in quanto espressione come afferma Falco
nella voce a lui dedicata lella coscienza italiana. le osservazioni di Garin in
Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, Cantimori, Chabod
storico della vita religiosa italiana, ora in Storici e storia, Analizza la
voce, come caratterizzazione spirituale del Rinascimento, E. Sestan,
Rinascimento e crisi italiana del Cinquecento nel pensiero di Chabod, in
Rivista storica italiana, in stretta connessione con l’infiacchimento della
vita italiana, con la iniziantesi decadenza politica ed economica, con il venir
meno delle grandi speranze e della volontà d’azione, in una parola con il
tramonto delle forze creatrici che avevano dato alimento ed essere alla muova
civiltà e ne avevano fatto l’espressione piena del vigoroso sorgere della
nazione italiana. Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che
accanto a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su cui
aveva attirato l’attenzione Meinecke , si può riscontrare in alcune voci
risorgimentali di Maturi, che pur Volpe giudicherà liberale, liberalissimo,
come in politica, cosi in storiografia, assai aperto alle influenze di
Benedetto Croce , e tra i suoi allievi forse il più distaccato, nell’intimo,
dal mondo del fascismo, Tornando a valutare la sua celebre voce Risorgimento,
Maturi la presentò come una decisa risposta alla tesi nazionalistica ?;
tuttavia, se è vero che in essa l’autore si opponeva alla dissoluzione del
Risorgimento nella secolare storia italiana, non è sufficiente limitarsi a
definirla una interpretazione rigorosamente etico-politica senza precisarne le
fonti ?. Assai netta appare infatti la sottolineatura delle origini autoctone
del Risorgimento, L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata fatta
conoscere da Chabod in un articolo (ora in Lezioni di metodo storico, a cura di
L. Firpo, Bari, Laterza), mentre Cosmopolitismo e Stato nazionale era stato
tradotto da La Nuova Italia : sono testi probabilmente presenti a Maturi, che
anche nelle voci enciclopediche avverte il contrasto tra politica e morale, tra
Stato e idea di nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale si
elaborano da un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro quelli
di libertà e di civiltà (Restaurazione). L’opera degli Svizzeri e dei Tedeschi
fu immensa per la formazione delle coscienze nazionali europee, ma fu opera
essenzialmente culturale: per fare trionfare in pratica il principio ci
volevano diplomatici e rivoluzionari. Alessandro fu il primo ad agitare l’idea
della nazionalità (Storia del principio di nazionalità, sottovoce di Nazione di
Battaglia). Volpe, Storici e maestri, Maturi, Gli studi di storia moderna e
contemporanea, in Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, La sua
interpretazione è stata fatta propria da E. Sestan, Maturi, in Rivista storica
italiana, (l’articolo esamina anche le altre voci di Maturi), e da Salvadori,
Maturi, cSalvadori, Walter Maturi, sganciato da ogni rapporto con la
Rivoluzione francese. Ma, allora, avrebbero ragione gli storici francesi, che
fanno ancora risalire alla rivoluzione francese il nostro Risorgimento, si
chiede Maturi una volta confutate le tesi sabaudista e diplomatica delle
origini del Risorgimento: Ciò che distingue la nostra tesi da quella francese,
rappresentata ancora dal Bourgin, è il valore che noi diamo all’epoca del
dispotismo illuminato e al principio della lotta delle nazioni. Senza le
riforme del Settecento, senza l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali
pit intelligenti verso lo stato regionale, senza lo stacco che l’opera
riformatrice aveva posto in Italia tra minoranze sovvettitrici di vecchi ordini
statali e masse meccanicamente attaccate a quegli istituti, la rivoluzione
francese non si sarebbe potuta inserire tra le lotte politiche e sociali
italiane e non avrebbe trovato il germe fertile, il terreno fecondo. D'altro
canto le grandi lotte settecentesche tra Francia e Inghilterra avevano
insegnato agl’Italiani la fecondità delle lotte nazionali. Diversamente da
quanto dirà nel saggio su Partiti politici e correnti di pensiero nel
Risorgimento, Maturi considera quindi il Risorgimento un movimento che affonda
le sue radici nell’età delle riforme. Anche Volpe aveva sottolineato i Principi
di Risorgimento italiano; ma il richiamo a Volpe si fa ancora più preciso
quando Maturi coglie l'elemento propulsore del Risorgimento in un piemontese
non conformista, Alfieri col quale si afferma il primo presupposto d’una
nazionalità: la volontà di essere uno stato-nazione. In Problemi storici e
orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di Rota, Como, Cavalleri,
Romeo ha invece scritto: Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il rifiuto delle
posizioni nazionalistiche e, dunque, di ogni tesi sul carattere
pre-risorgimentale del Settecento o peggio, sulla funzione risorgimentale dei
Savoia; e nessuna adesione, di conseguenza, al tentativo di negare il nesso
Rivoluzione francese-Risorgimento (Maturi storico della storiografia ora in
L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Bari, Laterza. Il pensiero
riformatore fu giudicato astratto da Rota, fuorché in Italia, dove avrebbe
avuto carattere autonomo e nazionale (Riforme, età delle, Rivista storica
italiana (il tema dell'articolo era stato anticipato da Volpe al Congresso per
la storia del Risorgimento sulla base del celebre passo di Del principe e delle
lettere in cui si auspica che l’Italia, inerme, divisa, avvilita, non libera,
impotente, possa risorgere virtuosa, magnanima, libera e una: lo stesso passo
parafrasato da Volpe per dimostre che con Alfieri il lento processo storico che
da secoli veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e volontà. È
questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola ampiamente, da
Rodolico, che vede in Alfieri i primi albori del Risorgimento nazionale
(Italia), a Manfredi Porena, per il quale il letterato piemontese ebbe con
maggior chiarezza di ogni altro suo precursore il concetto dell’unità politica
d’Italia fondata sull’indipendenza e sulla libertà, e con maggior ardore e
fiducia la profetò (Alfieri). Ma le date e il linguaggio di queste voci ci
suggeriscono che all’origine dell’interpretazione di Maturi non c’è soltanto
Volpe; e se pensiamo alle: altre tappe della creazione del mito risorgimentale,
tutte segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci accorgiamo che la matrice è
il Gentile de L'eredità di Alfieri, I profeti del Risorgimento italiano,
Vincenzo Cuoco. Cuoco scrive Maturi riprendendo la genealogia gentiliana della
nuova Italia accolse tutto l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta
delle plebi italiane e predicò come dovere morale l’opera di colmare l’abisso
tra popolo e minoranze intellettuali. E un altro grande contributo portò il
Cuoco al concetto di Risorgimento: il culto del VICO (si veda). Se Alfieri
insegnò agl’Italiani ad agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in grande;
se con l’Alfieri l’Italia s’individuò come volontà di essere stato tra gli
stati europei, col Vico acquistò coscienza di avere una propria personalità
nella cultura europea. Dalla fusione delle dottrine di questi due grandi nacque
la nuova Italia, pensante e operante con una sua particolare fisionomia. nel
seno dell'Europa. Può essere curioso notare che, pur polemizzando con
l’interpretazione autoctona di Gentile, anche Gobetti aveva visto in Alferi
l’iniziatore di un Risorgimento e un liberalismo che ben si può dire originale,
e in cui si trovano le premesse della nuova cultura politica italiana (La
filosofia politica di Vittorio Alfieri, tesi di laurea in filosofia del diritto
discussa con Solari, ora inGobetti, Scritti storici, letterari e filosofici, a
cura di Spriano, con due note di Venturi e Strada, Torino, Einaudi). Anche per
Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di mettere in circolazione Vico, in
particolare quella posizione storicistica, che in Se quindi Maturi rifiuta la
tesi sabaudistica e quella diplomatica delle origini del Risorgimento, è per
costruirne un’immagine etico-politica che rinvia a Gentile, ma anche a Volpe.
Non è del resto possibile dimenticare che non di vero e proprio antisabaudismo
si tratta nel caso di Maturi, uno dei patiti del Piemonte ?. Nell’ampia voce
Savoia, il giudizio positivo sull’opera di riorganizzazione dello Stato di
Filiberto e di Emanuele I diventa entusiastico per il ’700 ( Da molteplici
punti di vista lo stato sabaudo nel Settecento appariva uno stato perfetto ),
mentre Carlo Alberto è definito un principe paterno modello e la sua opera
prima del 1848 è qualificata come nazionale; per cui sembra corretta la critica
che di lf a poco Cortese muoverà a Risorgimento di Maturi ( non crediamo che ci
siano elementi che ci autorizzino a fare della classe politica piemontese della
fine del Settecento la creatrice del mito del Risorgimento nazionale. Un altro
motivo che torna anche in alcune voci enciclopediche di Maturi, laureatosi in
filosofia con Gentile con una tesi su De Maistre, è quello della religione e
dei suoi rapporti col potere politico. Proprio nell’opera di De Muistre egli coglie
i primi germi di alcune eresie: del modernismo con i suoi accenni
all’evoluzione dei dogmi e delle credenze religiose; del nazionalismo francese
di Ch. Maurras con la sua eccessiva Politisierung della Chiesa nel Du a , e,
più in generale, in Restaurazione nota che per rendere più docili le nuove
generazioni e amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro mezzo
che all’educazione ecclesiastica e si commise l’errore di abbassare la Chiesa a
instrumzentum regni in un’età di delicatissima sensibilità etico-religiosa, con
l’unico parte si fonde con la filosofia antilluministica , e aggiungeva che
l’opera sua resta nei limiti della tradizione nazionale, che egli riconquistò
alla filosofia ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si
ricollegarono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso Cantimori,
Studi di storia, Torino, Einaudi, Cortese, Orientamenti storiografici intorno
alle origini del Risorgimento, in Problemi storici e orientamenti
storiografici, frutto di provocare per reazione la genesi del cattolicesimo
liberale e d’insinuare con esso il nemico nella cittadella religiosa del
passato. Queste affermazioni non sono tuttavia univoche, come dimostra oltre
alla valutazione positiva dei Patti lateranensi (Romana questione) il giudizio
sul Neoguelfismo, che trasformò in sentimento politico nazionale il sentimento
politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le culture
regionali, e quindi compî, sotto certi aspetti, un’opera d’educazione nazionale
maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal seno stesso delle vecchie
formazioni statali italiane e ne produceva la crisi morale. Del neoguelfismo,
restò, trasformandosi ed evolvendosi, il liberalismo nazionale o partito
moderato col nuovo ideale d’Italia e casa Savoia, elaborato dalla storiografia
piemontese; restò il cattolicesimo nazicnale, che abbandonò le idee di riforma
cattolica, si restrinse ad aspirare alla conciliazione tra il papato e la
patria italiana e ha visto realizzato il suo sogno dalla nuova politica
ecclesiastica di B. Mussolini; restò l’ideale del primato, che è stato ripreso
dal fascismo Dove in quel si restrinse traspare comunque una posizione laica,
alla quale fa riscontro per alcuni aspetti il giudizio su Gioberti di Saitta,
il direttore di Vita nova che ospitò, come vedremo, alcune critiche alle voci
religiose dell’Enciclopedia: un Gioberti a proposito del quale, in linea con
l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai la funzione da lui assegnata
al pontefice, ma è visto come l’esponente di una visione laica e democratica e
il maggior teorico del liberalismo, che è in antitesi col mazzinianesimo
antimonarchico e col guelfismo dei conservatori che consigliavano il re ad una
politica di mode Di Sanctis Maturi evidenziò gentilianamente il fatto che,
vichiano, senti il valore della religione per il popolo, ma criticò fino in
fondo il principio della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di conserva
col Mancini, per far mantenere nel sistema separatista italiano alcune cautele
giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica, altamente
educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesistente con quello
laico.] Gentile parla di un incessante svolgimento del programma giobertiano
verso quella concezione nettamente laica e democtatica, o in una parola,
liberale dello Stato, innanzi alla quale i neoguelfi ricalcitrano (I profeti
del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi.] razione e di prudenza, la quale
si risolveva nella diserzione dalla causa nazionale , ed è esaltato per il suo
tentativo di conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della
chiesa . Busnelli, un critico severo dell’ attualismo che troviamo fra i
collaboratori dell’Enciclopedia, recensendo su La Civiltà cattolica i primi volumi
dell’opera notava con compiacimento, come abbiamo visto, che i suoi direttori,
mentre lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto
cristiano e cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda
indagine ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli
indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie
ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie
o malfondate. Il giudizio rispecchiava il posto privilegiato riservato
nell’Enciclopedia ai cattolici, l’unica voce organizzata non completamente
omogenea con la cultura del fascismo quale era auspicata da Gentile, ma tale,
per ampiezza e incisività, da caratterizzare nettamente l’opera nel suo
complesso, che non può perciò essere qualificata solo come idealista o
attualista. Questo aspetto non è stato messo nel dovuto rilievo dai testimoni
di allora, nemmeno da quanti hanno ammesso la presenza della censura
ecclesiastica ??; del resto nelle stesse ricostruzioni generali della cultura
nel periodo fascista solo di recente se prescindiamo dalle Cronache di Garin è
stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come componente es
Busnelli], L’ Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. Busnelli aveva
pubblicato. I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati. Cosî Vida, Fantasmi
ritrovati, e Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico in
La Cultura. Sulla tematica affrontata in per pagine M. De Cristofaro, Le voci
di argomento religioso nel°Enciclopedia italiana, tesi di laurea presso la
Facoltà di Lettere e Filo sofia di Firenze, anno acc. senziale del regime,
anche se in concorrenza con l’attualismo. Ma l’esistenza di una loro vasta
organizzazione intellettuale e il loro incontro con altri settori conservatori
della cultura laica sono forse ravvisabili già prima del Concordato. Proprio le
vicende dell’Enciclopedia suggeriscono infatti una prospettiva di più lungo
periodo, capace di individuare le tappe decisive della riconquista cattolica
anche in campo culturale in un confronto continuo con la cultura laica
contemporanea nell’iniziativa neoscolastica all’indomani della sconfitta del
modernismo, nella prima guerra mondiale che offri ai cattolici numerosi spazi
di intervento in tutti i settori della società, e nella soluzione della crisi
Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha visto l’origine di un regime
clerico-fascista Le osservazioni sul Concordato e sui neoscolastici svolte da
Gramsci nel breve periodo che intercorre fin allal messa all'indice delle opere
di Croce e di Gentile, possono probabilmente essere anticipate di alcuni anni,
al momento in cui, nell'immediato dopoguerra, il celebre appello di Gemelli al
medioevalismo Noi siamo medioevalisti; lo siamo perché riconosciamo che la cosî
detta cultura moderna è il nemico pit fiero del Cristianesimo e perché
riconosciamo che è vano parlare di adattamenti, di penetrazione ?° diventa
prospettiva concreta di attacco in tanti interventi di cattolici, fra cui
spicca per L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la
rivista Il Frontespizio , in Modernismo, fascismo, comunismo, a cura di
Rossini, Bologna, Il Mulino. L’interventismo della cultura. Intellettuali e
riviste del fascismo, Bari, Laterza, e Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste
dell'Università Cattolica negli anni del regime, Firenze, Cooperativa editrice
universitaria. Su un altro aspetto, non meno importante, S. Pivato,
L’organizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo , in
Italia contemporanea. Scoppola, Sviluppi e differenti modalità della presenza
culturale e politica dei cattolici nelle vicende italiane, in Quaderni di
azione sociale Gramsci, Quaderni del carcere. L'articolo è riprodotto in A.
Gemelli, Idee e battaglie per la cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero]
chiarezza l’invito rivolto da don Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli: Nelle
nostre file s'è troppo indugiato sulla difesa. Che fanno oggi i cattolici
studiosi se non difendere dagli attacchi dei nostri nemici? Perché non occupare
noi primi le scienze, le lettere? Perché non dar neppure il motivo agli
avversari? Pigliamo la cultura, e studiamola e facciamola nostra: quali timori?
Una università cattolica, non una chiesuola; o meglio ancora dare degli
elementi vigorosi e inserirli negli istituti laici. Si assiste infatti a uno
sforzo cospicuo dei cattolici di organizzare una propria cultura per il clero e
per il laicato: dal rilancio del tomismo prospettato dall’enciclica Studiorum
ducem che troverà una espressione organizzativa nella costituzione Deus
scientiarum dominus, alle tante iniziative che come l’Università cattolica o la
fondazione della casa editrice Morcelliana si ispirano al suggerimento di
Gemelli, secondo il quale perché i cattolici italiani abbiano da esercitare una
influenza culturale, quale la tradizione cattolica in Italia rende possibile, è
necessario innanzitutto che i cattolici non siano reclutati solo nelle classi
popolari, ma anche nelle classi elevate. Gentile aveva cominciato ad avvertire
il pericolo della concorrenza cattolica’, che diventerà sua preoccupazione
costante. Eppure proprio nell’Enciclopedia da lui diretta egli aveva dovuto
accettare fin dall’inizio la presenza condizionante dei cattolici, fino a
perdere ogni controllo sulle sezioni Religione e Storia del cristianesimo, e a
conferire uno spazio larghissimo a Materie ecclesiastiche di Tacchi Venturi e a
Geografia sacra di Luigi Gramatica. La vicenda di Omodeo, cui Luca et l’abbé dr
Bremond, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Gemelli, I/ compito colturale
dei SE, in Idee e battaglie, Le università cattoliche dovrebbero, secondo loro,
col tempo e col favore di Dio, sostituirsi interamente alle università laiche
dello Stato (discorso al Congresso di cultura fascista di Bologna, in Gentile,
Che cosa è il fascismo. Gramatica, direttore della Rivi L’Enciclopedia italiana
inizialmente era stata affidata la Storia del cristianesimo, è indicativa del
tentativo di Gentile affiancato da altri direttori di sezione di contrastare
l’offensiva ecclesiastica, ma anche della sua sconfitta. La scelta di Omodeo da
parte di Gentile era coerente all'impostazione critico-storica che la direzione
avrebbe voluto dare alla trattazione di tutte le voci; ben note erano del resto
le aspre critiche che da parte cattolica avevano accompagnato gli studi di
Omodeo sul cristianesimo antico, come il Paolo di Tarso, giudicato dalla
Civiltà. cattolica opera di un compilatore di seconda o terza mano. La sua
rivendicazione della storia del cristianesimo e in genere della vita religiosa
come storia etico-civile, come storia della società umana, da studiare,
ricercare e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confessionali di ogni
genere %, non era infatti tale da accattivargli le simpatie degli studiosi
cattolici; la sua impostazione idealistica e storicistica era avversata anche
da Buonaiuti che, pur giudicando la Mistica giovannea un sensibile progresso
sulla precedente produzione dell’Omodeo , la considerava tuttavia una mal
digesta sta illustrata della esposizione missionaria vaticana , aveva chiesto a
Gentile di affidargli la Geografia sacra: Per Geografia Santa o Sacra io non
intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che immediatamente
o mediatamente prepararono la diffusione del Cristianesimo; ma intendo parlare
altresi di tutte le regioni o località del mondo in rapporto al governo della
Chiesa e in quanto sono assegnate alla cosiddetta geografia sacra (AEI,
Lettere, Gramatica). Sanctis scrivendo ad Antonino Pagliaro, redattore della
sezione Antichità classiche, si dichiarava deluso dell’elenco di voci di
Geografia sacra : mi pare che non si tratti se non di geografia ecclesiastica,
cioè l’indicare Stato per Stato le circoscrizioni ecclesiastiche, il numero dei
preti e dei fedeli ecc. Invece sarebbe stato bene che la geografia sacra
registrasse i centri importanti di culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi
famosi nella storia evangelica o nella storia della Chiesa (AEI, Lettere, De
Sanctis. Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A. Omodeo, in La Civiltà.
Cattolica. Di retorica romanzesca era tacciato anche il volume di Omodeo su
L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie retoriche e
modernistiche, in La Civiltà cattolica , Cantimori, Commemorazione di Omodeo,
ora in Storici e storia, accozzaglia di elementi eterogenei ed avventizi. Le
preoccupazioni cattoliche erano giustificate anche dall’orientamento che Omodeo
avrebbe voluto dare alla sezione enciclopedica, puntando essenzialmente su
collaboratori laici in modo da salvaguardare un approccio critico-storico ai
problemi. Egli scriveva a Gentile che molte voci, anche quelle di sapore
strettamente ecclesiastico non si possono neanche affidare a preti, senza il
pericolo di perdere l’informazione sugli studi critici e protestanti, e per
converso non si possono affidare neppure a protestanti sia italiani che
stranieri , pur aggiungendo che si sarebbe rivolto al gruppo di Bilychnis per
la storia protestante e a Loisy per la storia della critica e la storia del
canone Gentile approvava, ma lo avvertiva che, mentre la trattazione dei papi
sarebbe spettata alla sezione diretta da Volpe, dei Sanzi, salvo contrario
avviso, penserei dare la cura ad ecclesiastici, con cui sono in trattative.
Largo restava comunque l’intervento dei laci nelle voci di storia religiosa ®;
le stesse voci riguardanti dottrine teologiche, riti e culti, aggiungeva Omodeo
avrebbero bisogno d’una trattazione laica anche quando pare si riferiscano a
concetti teologali o liturgici, pur, ben inteso, rispettando quelle norme di
prudenza ed obiettività di cui abbiamo parlato. Il piano delle voci e dei
collaboratori era completato, Omodeo poteva già presentare un abbozzo della
voce Apostoli, che poi corresse seguendo il consiglio di Gentile Ricerche
religiose. Gentile-A. Omodeo, Carteggio. Gentile scrive che l’altera pars [gli
ecclesiastici] mi consegna in questi giorni tutte le sue proposte sulle materie
ecclesiastiche. Omodeo prevedeva ad es. la partecipazione di Marchesi per la
patristica latina, di Pasquali per quella greca, di Cognasso per la storia
religiosa bizantina, L. F. Benedetto per il giansenismo francese, Rota e
Rodolico per quello italiano, Macchioro per Lutero e la Riforma, Spampanato e
Capasso per la Controriforma, e inoltre la partecipazione dei collaboratori di
Bilychnis, di Caramella e Minocchi. L’Enciclopedia italiana di lasciare aperte
alcune questioni; quantunque sia già molta la prudenza da te adoperata: cautele
che non impediranno, una volta pubblicata, le critiche de La Civiltà cattolica.
Ma, in coincidenza con la pubblicazione del Primo elenco di collaboratori, a
Omodeo era giunta voce di un veto del Vaticano alla sua partecipazione, tanto
da suggerirgli il proposito di tirarsi da parte. Gentile continuò tuttavia a
ricercare la collaborazione di Omodeo solo tre giorni dopo il Concordato,
intervenne per criticare varie voci, fra cui Apocalisse e Apocalittica,
letteratura, perché alcune frasi danno come risolte definitivamente in senso
che i cattolici non approvano, alcune questioni critiche, a proposito delle
quali occorrerebbero almeno delle delucidazioni. La risposta di Omodeo, del 16
febbraio, è articolata nella difesa delle sue ragioni scientifiche, ma
intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia, è una forma di buona creanza,
ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Metter d’accordo
indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come conciliare sistema
tolemaico e sistema copernicano. La scienza ha il suo cursus, e un’enciclopedia
deve riconoscerlo ed affermarlo. Io per conto mio nella scienza sono
intransigente e non mi sento l’animo per concordati e compromessi. Mi creda,
professore, a dar retta ai preti si finisce a impazzire. Nella scienza erano
sono e saranno capita mortua Per la Storia delle religioni Gentile aveva fatto
preparare da Pincherle le proposte dei collaboratori da incaricare per le voci,
che non conviene affidare alla redazione degli ecclesiastici. Escluso solo
Buonaiuti. Busnelli]. Gentile-A. Omodeo, Carteggio,365. Nel giugno 1927 anche
Pincherle minacciò di abbandonare l’impresa facendo cosî, osservava Omodeo, con
un’impulsiva rinuncia, il gioco dei gesuiti che lui mostra di temere.
Apocalittica letteratura di Omodeo non fu pubblicata, e apparve a firma di
padre Giuseppe Ricciotti, redattore di Materie ecclesiastiche . Omodeo
pubblicherà due voci su Civiltà moderna. Le lettere dell’Apostolo Paolo alla
Chiesa di Corinto e La lettera dell’Apostolo Paolo ai Colossesi). Sulla
mutilazione di cui furono oggetto altre voci A. Omodeo, Lettere Gentile-A.
Omodeo, Carzeggio, Gentile cercò di dirottarlo su argomenti di storia civile,
ma Omodeo dichiarava che non avrebbe continuato la collaborazione: Son sicuro
che anche nella storia civile non avrei maggior libertà che in quella
religiosa, una volta ammesso il principio del controllo di una parte sul lavoro
dell’altra ; se fosse stato possibile accordarsi su un principio di completa
libertà , io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han fatto, Abramo
quale personaggio storico, o di far l’apologia, se crederanno, del miracolo di
S. Gennaro: a condizione che essi non avessero inquisito nei miei lavori.
L’enciclopedia avrebbe fotografato la cultura italiana, in cui c'èVaccari, e
c'è A. Omodeo ?!. Cosî le voci di Omodeo restano una delle poche testimonianze
di trattazione critica dei problemi religiosi nell’Enciclopedia, in genere
appiattiti dall’impostazione ‘dogmatica e apologetica degli autori cattolici.
Ammiratore della scuola storica di Tubinga fondata da Ferdinand Christian Baur
la cui opera era definita uno dei maggiori monumenti dello storicismo hegeliano
, Omodeo cercò di attenersi ad una esposizione obiettiva dei fatti e delle
diverse interpretazioni, ma senza riuscire a nascondere la sua preferenza per i
risultati dell’indagine critica rispetto alle affermazioni aproblematiche degli
studiosi cattolici: in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto l’opinione di
quanti negavano l’apostolicità dello scritto concludeva che in opposizione a
questi indirizzi critici, il cattolicesimo si mantiene saldo nell’affermare
l’apostolicità dell’opera ormai abbandonata quasi da tutti nell’altro campo e
nel ribadirne l’ispirazione divina, e l’esegesi spiritualizzante . Rispetto a
un giudizio del genere, si può notare un vero e proprio capovolgimento di segno
nella voce, esecrata da Omodeo, in cui padre Eerembeemt aveva sostenuto la
storicità della figura di Abrarzo affermando la insussistenza delle teorie di
chi la negava, o in Abramo è un personaggio storico? Pei credenti, si; e sotto
Abramo trovi un paragrafo dove sono oggettivamente esposti gli argomenti per la
storicità di Abramo, osservò Ugo Ojetti, I primzi ser volumi del-
L’Enciclopedia italiana Deuteronomio voce prima affidata a Omodeo e poi
respinta dalla direzione dell’Enciclopedia, in cui il. gesuita Tramontano
avvalorava le tesi degli studiosi cattolici che attribuivano l’ultimo libro del
Pentateuco a Mosè, confutando recisamente quelle dei critici acattolici. Omodeo
avrebbe dovuto trattare anche la storia della Chiesa dalle origini al concilio
di Nicea, ma il 29 giugno 1929 egli aveva avanzato delle riserve per i limiti,
molto ristretti, di libertà di parola che consente l’enciclopedia, Se per le
voci bibliche io arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il contenuto e
narrando la storia della critica, per [questa] voce non è cosî. Non posso
narrar la storia della chiesa, senza prender posizione, altrimenti la
narrazione non procede. Nelle questioni spinose dell’origine dell’episcopato,
del primato romano, della struttura dogmatico-disciplinare della chiesa, della
prassi penitenziale, dei sacramenti ecc. non potrei non dare scandalo ai preti,
divenuti cosî intolleranti, Subito dopo Gentile lo cavava d’ impaccio
affidandone la stesura a don Giuseppe De Luca, che senza troppe preoccupazioni
spiegava la rapida diffusione del cristianesimo con i caratteri della dottrina
stessa ( per tutti che sentissero lo stimolo di una vita non solamente animale,
[la dottrina cristiana significava] la formula risolutiva della propria umanità
in ciò che ha di buono e di cattivo, con la tecnica della propria cultura
interiore ), giustificava l’impiantarsi della gerarchia e del primato romano, e
spiegava come da contaminazioni e compromissioni della dottrina cristiana,
consumate per opera di menti ansiose e irrequiete, nacquero le prime eresie. Alla
luce della vicenda di Omodeo è facile presumere che l’ingerenza degli
ecclesiastici si sia estesa ben presto a l’Enciclopedia italiana, in Il
Corriere della sera. In Pentateuco il gesuita Alberto Vaccari espose i motivi
per cui la scienza [può] trovare nel Pentateuco un buon nucleo autenticamente
mosaico frammezzo ad accrescimenti d’età posteriore. Né pi sembra domandare la
fede cattolica, quando vuol salva la sostanziale autenticità e integrità del
Pentateuco, e lascia passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni accidentali
posteriori a Mosé (v. il decr. della Commissione biblica. Gentile-A. Omodeo,
Carteggio, c tutti i settori in cui erano presenti voci o riferimenti
religiosi, vanificando l’impronta laicista che non solo Gentile e Volpe, ma
anche, con particolare forza, Francesco Salata avrebbe voluto dare alla sezione
Storia contemporanea , di cui perderà la direzione nel corso della preparazione
dell’opera: senza invadere il campo riservato alle sezioni Filosofia,
educazione, religione e Storia delle religioni , scriveva Salata in un
promemoria, ritengo che la parte prevalentemente politica della storia
contemporanea delle religioni e specialmente della Chiesa cattolica, e quindi,
ad esempio le voci personali dei papi, dei cardinali segretari di Stato, dei
nunzi, quelle dei concili, di alcune istituzioni amministrative della Chiesa,
di alcune dottrine politico-religiose ecc. trovino posto più proprio nella mia
sezione. Per alcune voci relative alla Chiesa cattolica ciò non può mettersi in
dubbio per il periodo precedente, ma anche per il periodo successivo è troppo
chiara l’importanza politica del papato non solo per l’Italia ma anche in tutta
la politica internazionale, perché tali voci siano sottratte alla sezione che
ha cura e responsabilità della storia politica di questo periodo Ma, quando
Salata avanzava queste pretese, la presenza dei cattolici tendeva già a
dilatarsi all’interno dell’Enciclopedia, favorita dalla singolare concezione
dell’obiettività propria di Gentile, consistente nel rivolgersi ai competenti ,
ma in ultima istanza ai diretti interessati , Cosi le voci sui gesuiti furono
attribuite prevalentemente a esponenti dell’ordine con un cospicuo intervento
di Tacchi Venturi, Rosmini al rosminiano Caviglione, con l’interpretazione del quale
Gentile aveva polemizzato, Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco
Pelster e Martin Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli, allievo di
Buonaiuti, voci come Gioacchino da Fiore e Modernismo. Il fatto che queste voci
di storia religiosa fossero affidate a rappresentanti di vari indirizzi di
pensiero AFI, Lettere, Salata. Da Barnabiti particolarmente desidererei gli
articoli relativi ai Barnabiti , aveva scritto il 18 aprile 1925 Gentile a
padre Semeria (AEI, Lettere, Semeria). 39 G. Gentile, Storia della filosofia
italiana, La voce fu riprodotta, assieme a quella Rosminiani, congregazione dei
di Bozzetti, in Rivista rosminiana comportò l’esistenza di inflessioni diverse
nel giudizio e nel taglio metodologico: ad esempio, presentando la figura di
Gioacchino da FIORE (si veda) Niccoli non solo riprese l’interpretazione che ne
dava Buonaiuti in quegli stessi anni °° una delle figure più notevoli della
spiritualità cristiana durante il Medioevo , la cui opera ha un contenuto
intimamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale , ma si differenziò
anche da altri autori spiegando in termini economici e politici la genesi della
sua profezia sull’avvento della Chiesa della realtà spirituale sostituita a
quella della gerarchia e dei simboli. Tuttavia, al di là di queste distinzioni
interne, l'intervento dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione dello
spazio concesso alle voci religiose come dimostra anche un rapido confronto tra
l’Enciclopedia britannica e l’opera diretta da Gentile, in cui voci specifiche
sono attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata o a Comunione dei santi ;
e, dall’altro, l’apologia del cattolicesimo più tradizionale, che non investe
solo la storia della Chiesa medievale sulla quale la cultura cattolica vantava
anche allora una ricca tradizione di studi il fascismo inquinò anche la
storiografia medievalistica con un clericalismo nauseante nell’esaltazione in
blocco di tutta la storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali
vengono esaltati nell’Enciclopedia italiana) , ha osservato Gabriele Pepe , ma
riguarda tutti i periodi storici. Basti pensare alla voce su S. Gerzaro in cui
il gesuita Romano Fausti sostiene la veridicità del miracolo, secondo quanto
aveva La voce ha molte assonanze, ad es., con E. Buonaiuti, Gioacchino da
Fiore, in Rivista storica italiana , Gioacchino, con tutta probabilità servo
della gleba per nascita, è giunto al suo riscatto e alla formulazione del suo
messaggio attraverso l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense,
di origine e caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul
terreno sociale come fattore di disgregazione dei superstiti istituti feudali
anche nell'Italia Meridionale si palesa oggi sempre più evidente. Sarà infine
necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di Gioacchino
coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno in Italia:
tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno mostrato
riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino. Pepe, Gli studi di
storia medioevale, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, cprevisto
Omodeo, o allo sconcertante giudizio con cui Palmarocchi minimizza il ruolo di
un personaggio scomodo come Savonarola, spiegandone la condanna: secondo alcuni
essa ricade sui fiorentini, secondo altri sulla corte di Roma. È certo che il
Savonarola stesso diede ai suoi nemici l’occasione di abbatterlo,
immischiandosi e invischiandosi nelia politica e avallando con la sua autorità
morale i fatti e i misfatti di una fazione. Ma la causa più profonda della sua
caduta fu la sua illusione di arrestare il cammino dei tempi, il suo sforzo
d’impotre agl’italiani del quattrocento una concezione di vita ormai superata.
In questo quadro non mancano tuttavia delle eccezioni, costituite non solo
dagli interventi di Chabod e di Cantimori su figure di protestanti e di
eretici, ma anche da alcune voci di Pincherle e di Jemolo che affrontano
tematiche più ampie di storia della Chiesa, con un’attenzione particolare ai
collegamenti fra storia religiosa e storia politica. Questi evitano infatti di
pronunciarsi sulle questioni propriamente teologiche seguendo la via proposta
da Gentile quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per la compilazione di
voci di storia della Chiesa, osservava che anche delle singole controversie
teologiche sarà da rilevare il significato intimo, le azioni e reazioni sulla
politica anche degli Stati, sull’organizzazione gerarchica, sulla pietà e le
manifestazioni del sentimento religioso, pit che non l’aspetto tecnicamente
teologico e le singole fasi della disputa?. A un ambito di intervento laico
sono infatti riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio
severo sul carattere malevolo o petsecutore del liberalismo ottocentesco che
non tollera i conventi, vuol spogliare la Chiesa dei suoi beni e sottometterne
tutta la vita a un regime di polizia (Chiesa), forni un’interpretazione del
Ga/-licanismo che lo espose a interventi censori, Gentile a Jemolo (AEI,
Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi con la direzione per le varianti apportate
alla sua voce, il 22 giugno 1932 Jemolo osservava che a mio avviso non risponde
al vero nascondere la decadenza del gallicanismo nel settecento, e dargli parte
prevalente in quel complesso fatto europeo che fu la soppressione della
Compagnia di Gesti (ibidem). E la decadenza del gallicanismo è riaffermata
nella voce. cercò di distinguere aspetti religiosi e aspetti politico-culturali
nella valutazione della Controriforma: Chi da un punto di vista strettamente
religioso instauri raffronti tra lo spirito dei primi secoli del cristianesimo,
quello della cristianità medievale, e quello della controriforma, potrà pur non
preferire quest’ultima età alle due precedenti. Ma è certo che la controriforma
ebbe, accanto alle sue pagine sanguinose, pagine bellissime segnate dal rapido
miglioramento del costume cattolico; fu una ricca sorgente d’iniziative
religiose, di opere di carità e d’intraprese culturali, che a quasi quattro
secoli di distanza sono ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto diede alla
Chiesa un’intima struttura che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre
meglio adatta a difenderla contro ogni tentativo, esterno e interno, di
disgregazione, contro ogni influenza perturbatrice che miri a deviarla dal suo
cammino. Complesso e articolato appare anche il giudizio di Pincherle sulla
Riforzz4, che su un piano religioso è in assoluta antitesi con la teologia
umanistica nulla più della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero ;
Lutero è un uomo nettamente di tipo medievale, mentre sul piano della storia
politica e culturale essa preannuncia veramente il mondo moderno perché
rafforza l’assolutismo dei principi e costituisce, con il calvinismo, il mondo
ideale entro cui nacque e si sviluppò lo spirito capitalistico e, pertanto, il
capitalismo moderno . E assai distante da toni apologetici e dogmatici si
dimostra Pincherle accomunato da Civiltà cattolica a Omodeo come ugualmente di
sensi non cattolicinella voce Cristianesimo, in cui giudica con simpatia
l’opera dello storicismo che aveva considerato il cristianesimo come fatto
storico, osservando che la mentalità storicistica ha nello stesso tempo
distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il cosiddetto cristianesimo
di Ges con quello praticato nel seno della sua particolare confessione e dal
giudicare e condannare dogmaticamente; in questo stesso Busnelli], aMussolini
si lamentò che alla voce Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine, contro
le 66 di Cotone (appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare del Duce,
Carteggio riservato, senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga
diffusione delle idee di tolleranza e di libertà religiosa . Accanto a questi
interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di obiettività
dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di alcune delle voci
maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o attualisti dall’altro: è il
caso ad esempio di Dio, dove la dottrina cattolica è esposta dal gesuita
Giuseppe Filograssi mentre Dio nelle varie concezioni filosofiche è opera di
Banfi per il quale la pit totalitaria trasposizione in senso razionale
dell’idea di Dio è quella compiuta da Hegel, per cui Dio è il processo eterno
in cui l’idea come principio razionale del mondo giunge a coscienza della sua assoluta
universalità e autonomia ; e di Religione in cui il gesuita Enrico Rosa
analizza il concetto cattolico che raccoglie in sintesi, integra e chiarisce
gli elementi di verità che si possono trovare sparsamente confusi anche nei
concetti pagani o eterodossi , e Gentile in persona ne esamina l’aspetto
filosofico per affermare la universalità e indefettibilità della religione la
necessità e l'universalità della religione sono la più efficace convalidazione
del suo valore, e cioè della sua verità e per ribadire, contro materialisti e
mistici, che l’uomo che non si può concepire senza concepire Dio è l’uomo che
attua l’esperienza della sua umanità, realizzando nella vita spirituale quella
coscienza di sé ond’egli in fatti si distingue dalle cose . Significativa è,
già nel primo volume, anche la voce Agostino il santo al quale saranno dedicati
vari studi riservata all’agostiniano Casamassa per la vita e le opere (e La
Civiltà cattolica si esprimeva positivamente per questa parte), ad Guzzo per lo
sviluppo del pensiero e ad Alberto Pincherle per la critica e le edizioni. Su
di essa si soffermava la Rivista di filosofia , che coglieva la notevole
sproporzione tra la parte che riguarda la vita e le opere (esattissima di
certo, ma utile solo allo specialista) estesissima, e quella che riguarda il
pensiero e le controversie critiche sui testi agostiniani, di interesse più
universale, ma molto più breve, e soprattutto alquanto disordinata e incompleta
. Dopo aver notato che la voce iniziava con la strana dizione Agostino Aurelio,
santo , l’autore dell’articolo sosteneva che manca del tutto la filosofia di
Agostino, come manca la considerazione filosofica della teologia agostiniana ,
e accusava di illecita lettura attualistica un passo in cui Guzzo affermava che
nel De vera religione si legge quel celebre appello: Noli foras ire; in te
redi, in interiore bomine habitat veritas (De vera religione), che non sarà più
dimenticato né dalla mistica medievale e moderna, né da quante filosofie,
nell’età moderna e contemporanea, riterranno di dover richiamare l’uomo dalla
dispersione del mondo esterno al raccoglimento dell’analisi interiore . Accusa
non immotivata, se pensiamo che anche in Pedagogia Codignola, trattando di
Agostino, riprenderà lo stesso concetto, che Gentile stesso aveva contribuito a
diffondere: L’intuizione religiosa della filiazione divina, approfondendosi e
interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima
affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del vero, con cui
il cristianesimo tentava di svincolarsi, anche nell'ambito della speculazione,
dall’antinomia che aveva alimentato lo scetticismo del tardo pensiero classico:
ineliminabile individualità di ogni atto di conoscenza, ultra-individuale
oggettività del vero. Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore bomine
habitat veritas. Un’interpretazione alla quale la Rivista di filosofia poteva
opporre che per Agostino la veritas presente all’io è Dio stesso, oggetto rel
soggetto, mentre ciò è alieno essenzialmente dalla dottrina idealistica.
Tuttavia, nonostante questi accorgimenti, Gentile non poté impedire che
nell’Enciclopedia fosse assai marcata l'impronta del cattolicesimo ortodosso e
che, addirittura, in alcune voci i cattolici operassero un forte ridimensionamento,
o una critica aperta, del neoidealismo italiano. Gemelli, dopo aver definito la
Neoscolastica la restaurazione del pensiero medievale nell’ambito della civiltà
moderna, considerando il pensiero medievale non Firenzi, Note sulla storia
della filosofia medioevale, in Rivista di filosofia , come espressione
transitoria di una civiltà, ma, quanto alla sostanza, come definitiva conquista
della ragione umana nel campo della metafisica , ne accentuava il carattere
antiidealistico: La restaurazione scolastica doveva in Italia affermarsi non
tanto in relazione al positivismo, quanto in relazione all’idealismo, che in
Italia maturava con Croce e con Gentile. Ne sarà criticata la metafisica
(immanentistica) e accettata invece quella valorizzazione della storia, che è
caratteristica dell’idealismo stesso: non però come filosofia, sibbene come
storia. Niccoli difendeva il Modernismo contro i suoi critici, in primo luogo i
rappresentanti di quella filosofia che, negando possa conoscersi un reale fuori
dell’uomo e del pensiero, non solo si è iscritta in falso contro quelli che
erano stati in passato i cardini di ogni metafisica, ma ha scrollato le basi
stesse della fede religiosa; e l’allievo di Buonaiuti cercava di rafforzare la
sua difesa opponendo il movimento modernista al socialismo e all’idealismo: Chi
avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risultati negativi ai
quali la critica storica, filosofica e sociale affermava di essere giunta, non
poteva avere che due alternative: o ripudiare nettamente tutto il patrimonio
religioso cattolico e cristiano, sia affermando di contro ai valori cristiani i
nuovi valori sociali, sia conside rando il cristianesimo e il fatto religioso
in genere come un momento ormai superato della vita dello spirito (fu questo in
sostanza il punto di vista difeso dall’idealismo italiano); o affermare che il
cattolicesimo si raccomanda a valori più alti, non toccati dai colpi portati
dalla critica moderna all’interpretazione scolastica del cattolicesimo e quindi
costruire su di essi una nuova apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la
sua efficacia fra gli uomini. E fu questo l’atteggiamento assunto dal movimento
modernista.Nel complesso, e tenuto conto di alcune assenze significative come
Clericalismo, che Carlo Morandi non accettò, o Laicismo, voce che è invece
presente, a firma di Maturi, nel Dizionario di politica, si comprende quindi la
soddisfazione dimostrata per il settore religioso la lettera di Morandi (AEI,
Lettere, Morandi). da Civiltà cattolica quando pit forte era l’influenza di
Gentile e di Omodeo, e, per converso, la preoccupazione di Vita nova del
gentiliano Giuseppe Saitta che, prendendo spunto dalla critica della voce
Adazzo di Ricciotti, allargava il discorso per lamentare la intrusione
nell’Enciclopedia di questa pseudo-scienza teologica. I gesuiti sanno troppo
bene a che cosa mirano, e qual forma ed estensione assumerà, nel loro campo, la
sezione di materie ecclesiastiche. La Bibbia intera e specialmente il Nuovo
Testamento, le origini del cristianesimo, la storia dei dogmi e della Chiesa,
anzi dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e rappresentato dal punto di
vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in contrasto e negazione con la
vera scienza storica del cristianesimo, quale si insegna nelle nostre scuole
universitarie. È la teologia esclusa dalle università definitivamente con la
legge del Concordato, che rientra, come unica scienza della religione, nella
nostra coltura nazionale. L’Enciclopedia avrebbe tutelato meglio i diritti
della scienza e quelli della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo
semplicemente, senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della
Civiltà cattolica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi svolte con
diffusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro necessario; ed entra quei
limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un punto di vista. EE scientifico,
evitando di accettare i presupposti della teologia. Non solo i timori di Vita
nova non erano infondati,. come abbiamo visto, ma possiamo supporre che molte
altre sezioni, oltre quelle direttamente interessate alle questioni religiose,
furono oggetto del controllo ecclesiastico. Per la Questione Romana informati
scriveva Maturi a Morghen, perché la mia polizia segreta mi ha avvertito: che
essa con tutto il gruppo di voci romane è stata sottratta. alla giurisdizione
della sezione storica. E Nicolini scriveva a Gentile, a proposito della voce
Giannone, che si sarebbe posto da Anche Gemelli notava nel 1930 che Gentile ha
chiamato a collaborare all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha affidato loro
la trattazione di delicati problemi religiosi (L'Università cattolica e
l’idealismo, in Idee e battaglie,391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia
Italiana, in Vita nova. AEI, Lettere, Maturi. un punto di vista che non potrà
piacere al certo a chi, nell’Enciclopedia, soprintende alle materie
ecclesiastiche. Se dunque mi si promette formalmente piena libertà di parola, e
sopra tutto che la mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta, corretta o
attenuata in senso clericale, sono prontissimo a fare l’articolo. Ma se codesta
promessa formale non mi può essere fatta e mantenuta, anziché sottopormi
all’alea di trovare (come accadde a Omodeo) stravolto e mutilato il mio
pensiero, preferisco rinunziare a scrivere l’articolo. Tu, che mi conosci, sai
bene che non sono uomo da porti nell’imbarazzo facendo dell’anticlericalismo
intempestivo. Ma, alla fin dei conti, debbo pur dire pane al pane e vino al
vino, e presentare il Giannone quale egli fu, cioè quale un martire
dell’anticurialismo. Non posso elogiare l'agguato di Vesnà come un’azione
pulita o l’imposta abiura e la dodicenne prigionia come atti di carità
cristiana Questi propositi non sembrano tuttavia essersi tradotti in pratica
nella stesura della voce, dove le ultime vicissitudini di Giannone sono
presentate in maniera anodina e, pur riconoscendo che l’Istoria civile del
Regno di Napoli è stata per decenni la bibbia dell’anticurialismo un
anti-curialismo lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma già volterriano
nello spirito , si coglie in essa una astratta e fantastica configurazione
dello stato come bene assoluto, progresso, civiltà, forza generosa, e della
chiesa come male, regresso, oscurantismo, malizia frodolenta . Analogamente
nella voce Romana questione Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge
delle guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa
elogiando i patti: Mussolini coronava con un concordato la sua nuova politica
ecclesiastica, con l’ininzio della quale aveva scompigliato le file del partito
popolare e assorbito nel fascismo il cattolicesimo nazionale; d’altra parte,
nella politica estera egli tolse all’Italia una passività diplomatica. Da parte
della Chiesa il riconoscimento dello stato nazionale italiano s’inquadra nel
riconoscimento di molti stati nazionali europei avvenuto coi concordati
postbellici. Dove sono ripresi alcuni dei giudizi più favorevoli di parte
fascista anche per Volpe i patti erano tesi, per il fascismo, a togliere una
non piccola causa di nostra debo AEI, Lettere, Nicolini. lezza internazionale,
senza tuttavia i timori, pur assai diffusi, che lo Stato potesse abdicare al
suo spirito laico. I patti lateranensi dovettero del resto riflettersi
pesantemente sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo ecclesiastico e
arrivando fino a minacciare l’esistenza di singole voci: Angelo Sraffa, che
curava con Mariano D’Amelio la sottosezione Diritto privato , giunse infatti a
proporre la soppressione della voce Divorzio, già in bozze, perché era cosa
estremamente delicata trattarla oggi a parte, date le interferenze con
l'annullamento del matrimonio, che è diventato di fondamentale importanza di
fronte al trattato del Laterano, ed alla estensione che dinanzi ai Tribunali
ecclesiastici l'annullamento sta prendendo. La sua proposta non fu accolta e la
voce rimase, a sostenere però la particolarità dell’ordinamento italiano e a
riconoscere che gli stessi contrattualisti a oltranza , cioè quanti erano
favorevoli al divorzio, compresi della serietà delle contrarie obiezioni, sono
d’accordo nel ridurre a un piccolo numero di casi la facoltà di ricorrere al
divorzio. Dove non arrivò il diretto intervento ecclesiastico padre Gemelli non
scrisse la voce Psicanalisi, che si era offerto di fare e che a sua firma apparirà
invece nel Dizionario di politica ( Distruttiva della religione, della quale
nega ogni valore, nel dominio politico la psicoanalisi orienta le sue speranze
verso il comunismo ), giunsero puntuali le critiche dell’organo dei gesuiti.
Carlo Bricarelli, collaboratore della sezione artistica dell’Enciclopedia,
intervenne sull’esposizione dell’arte medievale e moderna fatta in Arte da
Schlosser, al quale Gentile aveva suggerito di parlare dell’arte come
conseguenza di bisogni materiali e spirituali delle varie fasi di civiltà, e
quindi dei compiti e delle forme dell’arte in relazione alle mutate condizioni
sociali, similmente, in un certo senso, a quanto ha fatto il Dvorak nel suo
saggio sull’idealismo e Volpe, Il patto di S. Giovanni în Laterano, in Gerarchia),
ora in Pagine risorgimentali, Roma, Volpe, SRAFFA (si veda) a Spirito (AEFI,
Lettere, Sraffa). naturalismo nell’arte gotica. La tendenza di tutto ridurre
all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso d’intenti
terreni propri, oppure a lei imposti per forza, è un altro preconcetto che
turba anzi sconvolge addirittura il giudizio storico , osservava Bricarelli
appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un passo in cui Schlosser
affermava che la crisi di questo cristianesimo primitivo cominciò nel secolo IV
col suo riconoscimento ufficiale come religione di stato, sotto la forma
universale del cattolicismo . L’al di qua reclamava oramai i suoi diritti. Il
vecchio Impero, divenuto cristiano, rivestito di tutta la pompa della sua missione
divina e di tutto il suo fasto, nella sua qualità di potenza protettrice della
Chiesa, determinò anche il contenuto iconografico dell’arte che si rivela nei
fastosi musaici parietali delle grandi basiliche post-costantiniane Cosî
Busnelli criticava il giudizio su Leonardo dello storico della medicina
Giuseppe Favaro secondo il quale di fronte alla rigida concezione teologica
dell’origine del mondo, Leonardo non si peritava di confutare il racconto
biblico della genesi, la storia della terra creata da seimila anni e la
leggenda del diluvio universale, sostenendo invece che la fede e dottrina
cattolica di Leonardo è fuori d’ogni dubbio e accusa, chi voglia scandagliarne
senza preconcetti le espressioni ; e, passando a esaminare la parte della voce
su Leonardo ‘filosofo che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e negava
fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in lui il pensiero
comincia dall’esperienza, ma per affrancarsene e tornare alla ragione ,
Busnelli affermava che in Leonardo l’appello all’esperienza sensibile era il
frutto dell’insegnamento dei peripatetici e degli scolastici, e che la ragione
che infusamente vive nella natura, come attuante la sua efficacia, non è,
conforme alla dottrina dell’Aquinate, Gentile a Schlosser, (AEI, Lettere,
Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile (su cui le
osservazioni di Croce in La Critica , Bricarelli, L'arte nell’Enciclopedia
Treccani, in La Civiltà cattolica , la ragione umana, ma la divina. Infine La
Civiltà cattolica , affermando recisamente che ogni altra pedagogia, fuori
della cattolica, è ampiamente divergente e dispersiva nei sistemi fino alla
confusione babelica, e nei metodi è angusta, ristretta ed unilaterale ,
criticava che nella voce Pedagogia Codignola avesse interpretato
idealisticamente, come evolutiva, la pedagogia cristiana, e all’unitarietà di
questa opponeva la babilonia di antitesi e contrasti, di ideali e sistemi ,
imperante nel campo idealistico esaltato da Codignola, per il quale le opere di
Gentile sull'educazione, accanto a quelle del Croce sui problemi dell'estetica
e della storiografia, segnano il culmine cui si è sollevata la speculazione
contemporanea . La durezza dell’attacco, e l’ampiezza della difesa di Codignola
comprendente Croce, non necessaria per l'argomento trattato, possono forse
spiegarsi con la condanna da parte del S. Ufficio, avvenuta l’anno precedente,
delle opere di Croce e di Gentile. Un documento anonimo osserva come, secondo
gli ambienti ecclesiastici, obiettivo principale da colpire fosse Gentile: Si
nota che la condanna in ordine cronologico è stata fatta prima per la opera del
noto antifascista Croce, per poter poi giustificare anche la condanna delle
opere del Gentile. Si aggiunge che oramai era inutile la condanna del Croce ,
cui la gioventii italiana è ben lungi dal ricorrere come un tempo, come ad un
oracolo indiscutibile. Oggi la gioventù italiana ha altro da fare e, c’è da
scommettere, che moltissimi giovani, delle classi più acerbe ignorano l’uomo,
o, se non l’uomo, almeno la quasi totalità delle sue opere. Anche questa volta
la Chiesa, volendo colpire uno cioè il Gentile è andata alla ricerca di un
cadavere per poter avere un alibi, nel quale nessuno crede. Pi grave è la
condanna di Giovanni Gentile, che in qualche centro è giudicata come una mossa
contro le teoriche accettate dallo Stato fascista. Si indica come il principale
postilatore di questa condanna padre Gemelli Busnelli, Leonardo da Vinci nel
vol. XX dell’ Enciclopedia italiana , in La Civiltà cattolica Barbera], Intorso
dl concetto della pedagogia cattolica, in La Civiltà cattolica , ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Anche Giustizia e Libertà
, dopo aver individuato in padre Gemelli l’ispiratore della condanna di
Gentile, aggiungeva: bisoMolte osservazioni potrebbero farsi a questi giudizi,
riprendendo le notazioni di Gramsci sulla diversa popolarità delle filosofie di
Croce e di Gentile. Appare probabile comunque che la condanna del 1934 colpisse
più duramente Gentile, che in qualche caso aveva cercato un accordo con i
cattolici, coronando l’indebolimento della sua posizione interna al fascismo
iniziato nel 1929. Consapevole di questo fatto di cui gli scontri avvenuti
nell’Enciclopedia erano stati una riprova, nel 1936 Gentile concludeva un
articolo su L’ideale della cultura e l’Italia presente mettendo in guardia
contro il pericolo che può derivare dalla restaurazione religiosa desiderata e
promossa dal fascismo come corroboratrice della coscienza civile e delle morali
istituzioni. Restaurazione, che in massima parte non poteva essere che un
ritorno alle tradizioni cattoliche del popolo italiano, col rischio di
riassoggettare la cultura nazionale a forme praticistiche e meccaniche d’una
religiosità esteriore, e a conseguenti limitazioni dell’interna libertà
spirituale, dalle quali gl’italiani avevan durato secoli a riscattarsi. gna
vendicarsi e fingere l’equità: sono messi all’Indice i libri non di Gentile
soltanto ma anche di Croce. Croce sorride e Gentile si spaventa (Preti e fascisti.
Gentile, Mezzorie italiane e problemi della filosofia e della vita. Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo La parola, veicolo di fraternità
universale Né ferro, né piombo, né fuoco / posson salvare la Libertà, / ma la
parola soltanto. / Questa il tiranno spegne per prima, / ma il silenzio dei
morti / rimbomba nel cuore dei vivi !. Cosî scrive, fra tante altre epigrafi
messe a suggello della propria vita e a testimonianza degli ideali che
l’avevano ispirata, Angelo Fortunato Formiggini, lucidamente deciso a chiudere
con un sacrificio personale che servisse a dimostrare l’assurdità malvagia dei
provvedimenti razzisti come scriveva alla moglie? un’esistenza dedicata a
perseguire, primo fra tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso la
forza di convinzione della parola. Se la stampa del regime mantenne il più
rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese, gettatosi dall’alto della
Ghirlandina il 29 novembre 1938, impedendo cosî che Formiggini potesse
raggiungere lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle
leggi razziali, il suo gesto fu sottolineato dagli ambienti dell’antifascismo,
non solo ebraico, che ne dettero l’annuncio: Molti italiani d’Italia, costretti
purtroppo a mantenere l’incognito, amici e ammiratori di A. F. Formiggini
Maestro Editore annunciano, straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio.
Questo annuncio non ha potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi
razziste impediscono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei . E Giustizia
e Libertà annunciava in una corrispondenza dall’Italia l’atto di protesta di
Formiggini, Formiggini, Parole în libertà, Roma, Edizioni Roma, ricordando che
egli non era mai stato un conformista e che ogni suo piano, tendente alla
difesa e alla elevazione della cultura italiana, aveva trovato nel fascismo una
opposizione aperta o una resistenza insidiosa. E ai posteri , perché gli orrori
e le iniquità di oggi non abbiano a rinnovarsi mai più nel più lontano avvenire
, Formiggini volle lasciare in eredità alcune sue Parole in libertà, testamenti
spirituali indirizzati ai familiari, ai concittadini modenesi, agli ebrei
d’Italia e al tiranno in persona, tutti ispirati, più che da una chiara presa
di coscienza politica, da una fede quasi religiosa nell’amore fra tutti gli
uomini, secondo quella visione del mondo che egli aveva condensato nel motto
arzor et labor vitast. Fra i testamenti possiamo annoverare anche il bilancio
del suo lavoro editoriale, Trenta anni dopo, che, seppur scritto pensando alla
pubblicazione, è significativamente considerato dall’autore il suo canto del
cigno , steso a giuoco finito , quando un motivo di speranza può essere visto
solo al di là della tormenta . Accanto alla testimonianza delle proprie idee
non poteva mancare quella della propria fatica, in un uomo in cui la scelta
dell’attività editoriale si era saldata fin dall’inizio con il perseguimento di
obiettivi che non esiteremmo a definire etici prima ancora che culturali o
politici, ma tali da divenire punto di riferimento di indirizzi di pensiero
determinati ‘. A scrivere il bilancio dei trenta anni della casa editrice e di
sessanta anni della sua vita Formiggini aveva pensato da tempo, fornendo via
via parziali anticipazioni. Convinto che anche lo scrit 3 L'editore Formiggini
si uccide a Modena per protestare contro il razzismo, in Giustizia e Libertà
(e, per l’annuncio di morte); anche Felice, Storia degli ebrei italiani sotto
il fascismo, Torino, Einaudi] censura fascista colpirà con particolare
accanimento la produzione dell’editore modenese ed anche i libri della
Biblioteca circolante da lui fondata a Roma, di cui qualche volume è escluso
dalla lettura per motivi politici come il Capitale ; ma si atrivò perfino a
impedire la diffusione di molti testi dei Classici del ridere , come il
Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava dall’esemplare,
conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo della biblioteca
circolante Formiggini, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo
e fascismo tore più mediocre e più oscuro farà sempre cosa interessante
scrivendo la propria autobiografia, specie se questa, anziché circoscriversi a
fatti puramente personali (che avrebbero pur sempre un interesse umano e
psicologico) si innesterà nella storia viva del suo tempo era stato spinto dal
contrasto con Gentile a scrivere una parte dell’opera in un curioso volume che,
oltre a presentarci alcune fra le più interessanti iniziative dell’editore e il
suo carattere caustico seppur non intransigente, costituisce un efficace documento
della marcia del fascismo alla conquista delle istituzioni culturali: da quando
iniziai la mia attività editoriale scriveva proprio allora Formiggini non ho
mancato di raccogliere materiale per una autobiografia che avrebbe dovuto
riuscire qualche cosa di mezzo fra le Memorie di un editore di Gaspero Barbèra
e il Catalogo ragionato delle edizioni Barbèra, fusi insieme i. Nel modello
indicato e al quale Formiggini cercherà di mantenersi fedele in Trenta anni
dopo come già in un precedente, più conciso bilancio della sua attività
editoriale non vi era certo la presunzione di avere svolto un’opera di
promozione della cultura nazionale paragonabile a quella dei maggiori editori
ottocenteschi, da Vieusseux a Pomba, da Barbèra a Le Monnier, ma pur sempre la consapevolezza
di aver reso un servizio alla cultura del proprio paese, e di essere fra i
pochi editori del suo tempo che, come i grandi dell’ottocento, riunissero nella
propria persona le qualità dell’imprenditore e del principale animatore delle
iniziative culturali della casa editrice. Quello che fu caratterizzato, poco
dopo aver tratteggiato i primi venticinque anni della sua attività, come un
editore che scrive 7, non avrebbe condiviso l’opinione di un Luigi Russo, che
Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo.
Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini, Formiggini, Venticinque anni
dopo., seconda edizione con prefazione di Giulio Bertoni, Roma, Formiggini, .
Costantino, Smorfe e sorrisi. Scritti critici, Catania, Casa del libro, di una
casa editrice non si fa storia. Da uomo positivo che vuole documentare il duro
e contrastato lavoro da lui compiuto, Formiggini ci ha lasciato con i Trenta
anni dopo una testimonianza d’eccezione, la cui lettura può risultare utile non
solo per precisare il giudizio sulla cultura italiana del primo novecento alla
luce anche di vicende individuali minori, ma anche per riproporre il problema
della storia delle case editrici, spesso disattesa perché considerata una
classificazione forzata di prodotti culturali il cui marchio di fabbrica
sarebbe dato solo dalla collocazione intellettuale dei singoli autori, uniti o
in maniera casuale o da vincoli ideologici tanto stretti da vanificarne le
differenze. Ma, come è stato giustamente osservato, proprio perché luogo
organizzato d’incontro di più generi di collaboratori, e di più fattori e
interessi, una casa editrice di tipo ancora tradizionale rispecchia
orientamenti e programmi di gruppi di intellettuali che verificano sul piano
dell’azione pubblica la loro consistenza, e dichiarano tutti i loro sottintesi
nel punto in cui, mettendo in circolazione strumenti concreti come libri e
riviste, si scontrano con poteri reali, economici e politici, in situazioni di
fatto, per modificarle (o per accettarle e conservarle). Per questo la
responsabilità di una casa editrice di cultura, a qualsiasi livello essa operi,
è grandissima. Inserita in un tessuto sociale ed economico definito, è legata
ad ambienti e istituti di istruzione, e di ricerca, per attingervi, ma anche
per reagire su di essi, in una trama di rapporti la cui dialettica è necessario
mettere in luce quando si voglia ricostruire il corso degli eventi di un
determinato periodo storico 5. È un campo, questo, per il quale assai scarse
sono le nostre conoscenze, e non solo per la difficoltà a scendere
concretamente su un terreno per tanti versi accidentato. In realtà, se in linea
di massima può essere accettato il giudizio di Russo, che significato e valore
di una casa editrice sono consegnati nei suoi cataloghi, e che in alcuni casi,
come in Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività
editoriale (Venezia Firenze): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia,
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo quello della Laterza, se ne
può seguire la storia ripercorrendo l’opera di organizzazione della cultura
sviluppata da una personalità come Croce, è da respingere quel pregiudizio
idealistico che, considerando il processo storico come germinazione di idee da
idee o proclamando in astratto la separazione tra cultura e politica fino a
vedere la propria produzione culturale come un sistema chiuso e perfetto, per
cui la storia reale può confondersi con una critica di se stessi esclude
dall’oggetto privilegiato del suo interesse le istituzioni culturali. Non è un
caso che proprio un’analisi che come oggi si comincia a fare abbia al suo
centro il tema dell’organizzazione della cultura e della sua diffusione,
permette di articolare meglio nei tempi e nei modi, per quanto riguarda il
novecento, il giudizio che il neoidealismo italiano dette di sé, e che
ritroviamo facilmente ripetuto come un canone interpretativo indiscusso ’,
sulla rottura netta da esso operata all’inizio del secolo nei confronti delle
vecchie correnti di pensiero, e sul suo deciso trionfo che non avrebbe lasciato
spazio ad alcuna sacca di resistenza che non si ponesse in termini di
superamento dell’idealismo stesso. In realtà ci sembra estremamente valida,
tanto più ove la si riferisca non solo alla cultura di élite, ma anche al più
vasto e intricato substrato ideale che percorre nei primi decenni di questo
secolo tutti i settori della cultura italiana riflettendo la disgregazione
sociale del paese e, insieme, le contraddizioni o le resistenze che
accompagnano la rifondazione dell’egemonia borghese, l’osservazione di Garin,
per il quale una delle deformazioni prospettiche più diffuse, e più dannose per
un’esatta comprensione delle vicende culturali italiane di questo secolo, è
quella che proietta alle origini il risultato di una battaglia non solo ideale
che si concluse, almeno in una sua fase, intorno agli anni venti, dopo la prima
guerra mondiale, con l’ascesa del fascismo. L’egemonia idealistica, piuttosto
gentiliana che crociana, non era affatto affermata, e tanto meno scontata,
prima della guerra libica. Solo se ci si liberi fino in fondo dell’eredità 9
Cosî ancora A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1
del provvidenzialismo idealistico, col suo trionfalismo storiografico, sarà
possibile evitare l’appiattimento uniforme di posizioni contrastanti, e insieme
una polemica sterile, forse interessata soltanto a simmetrici rovesciamenti !°,
Per il periodo che dalla svolta del nuovo secolo arriva al fascismo le vicende
delle case editrici, anche di quelle minori o comunque non in grado di
rappresentare un intero movimento d’idee come appariva a Gobetti la Treves,
simbolo di tutta la vuotezza italiana per il suo eclettismo positivistico di
cosî lunga e infausta durata e memoria !", possono costituire una guida assai
utile per disaggregare e ricomporre una trama culturale complessa, per
stabilire accostamenti o distinzioni ideali o politiche altrimenti non sempre
evidenti o per valutare la capacità di penetrazione e di orientamento di
correnti di pensiero non necessariamente lineari in un pubblico colto che
proprio nell’età giolittiana cresce enormemente e in parte si rinnova
diversificandosi dal punto di vista sociale, con l’apparizione sulla scena di
una opinione pubblica alla quale si richiede sempre più un consenso agli
obiettivi politici perseguiti dalla classe dirigente. Aumentano per numero e
tiratura i quotidiani, ci si rivolge a un più vasto pubblico popolare
attraverso la scuola, i corsi organizzati dalle università popolari o le
biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi di una classe media
colta che desidera legittimare sul piano culturale il peso politico cui aspira,
o al tentativo della borghesia di affinare gli strumenti del suo dominio. Fra
questi piani diversi esistono connessioni e influenze, nel quadro di una lotta
per l’egemonia che vede un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la
crisi di fine secolo e la svolta giolittiana, che alle case editrici
accademiche e a quelle di orientamento popolare o dichiaratamente socialista
come Sonzogno e Nerbini !! se ne affiancano nuove e pi Garin, Intellettuali
italiani, Roma, Editori Riuniti. Gobetti, La cultura e gli editori, in Scritti
storici, letterari e filosofici, a cura diSpriano, Torino, Einaudi. Tortorelli,
Una casa editrice socialista nell'età giolittiana: agguerrite, il cui
interlocutore privilegiato è un pubblico colto e medio-colto in grado di
acquistare libri e riviste: da Laterza a Ricciardi a Rizzoli a Mondadori a
Vallecchi editore di Lacerba . In assenza di ricerche specifiche si comprende
quindi l’importanza di testimonianze come quella di Formiggini che illustra,
anche se solo parzialmente, le vicende di una casa editrice fondata negli
stessi anni in cui videro la luce altre destinate ad acquistare un peso ben
maggiore, ma allora di dimensioni ancora ridotte. L’unico testo a cui si possa
in qualche modo avvicinare sono i Ricordi e idee di un editore vivente scritti
da Vallecchi, che tuttavia, pur trovando concordanze significative nella difesa
di una cultura italiana intesa come strumento di rinnovamento nazionale ,
ripercorre lo stesso arco cronologico con l’ottica del protagonista precursore
vittorioso dell’ideologia fascista in cui l’editore fiorentino si vanta di aver
contribuito a convogliare nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi,
vociani, cattolici. Secondo il proposito dell’autore, i Trenta anni dopo si
presentano invece come una sorta di catalogo ragionato, in cui la personalità
dell’editore è ridotta al minimo, e, a differenza del pamphlet, restano sullo
sfondo anche i tempi in cui ha operato: spentasi la carica polemica di quindici
anni prima suscitata dalle vicende della Leonardo e che si era manifestata in
feroci attacchi antiattualisti (con alcuni spunti antifascisti), escluse
espressamente le testimonianze morali che Formiggini veniva consegnando ai suoi
scritti privati, nel volume non appaiono nemmeno - se non incidentalmente i
nomi dei numi tutelari della cultura italiana del primo novecento. Accanto alla
difficoltà, ma anche al rifiuto di prendere nettamente posizione !, in questo
silenzio si riflettono, più che i risultati di una parabola politica, alcuni
limiti di fondo di un editore la Nerbini, in Movimento operaio e socialista ,
Una testimonianza in questo senso in Trevisani, Le fucine dei libri. Gli
editori italiani, Bologna, Barulli. che i contemporanei Prezzolini in testa!
giudicarono non tanto un uomo di cultura quanto un grande arti giano e
propagandista del libro, e che per primo amava presentarsi come il sostenitore
dei valori universali di una cultura senza ulteriori determinazioni, quasi al
di sopra della mischia, ideale morale e religioso, più che politico. Riconosco
di avere avuto certe qualità che sono essenziali per rappresentare
efficacemente un indirizzo, un pensiero, per portare nella fucina intellettuale
del paese un non inutile soffio di ossigeno , scrive Formiggini, ma sarebbe
vano cercare di identificare questo indirizzo nell’ambito della classificazione
usuale delle correnti culturali italiane all’inizio del secolo. Per comprendere
cosa questo fosse concretamente, o come fosse possibile che determinati
indirizzi di pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro, confluissero e
si riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna risalire ancora una volta ai
motivi ispiratori della sua vita. Il libro mi apparve allora, e mi è apparso
poi sempre scrive ricordando gli inizi della sua attività, il vincolo delle
intese, il vincolo del parallelo cammino verso mete elevate e concordi. Questa
mia fede di fraternità universale, alla quale s’ispirò fin dagli inizi la mia
attività editoriale, era già trionfante nel mio animo fin dalla prima
giovinezza 5, ed era una fede religiosamente sentita, se teneva a riaffermare
ponendo a coronamento della sua fatica la collana delle Apologie delle religioni
che suo intento era stato non di insidiare le fedi sentitamente professate, ma
soltanto di divulgare l’intima essenza delle varie religioni, per affrettare
quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione fra gli uomini che condurranno
l’umanità a quell’affratellamento universale che fu il cardine massimo della
dottrina del Cristo e che mi ostino a credere che sia la più alta e la più
benefica di tutte le aspi Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio.
Formiggini ha particolarmente sviluppato, oltre le sue collezioni, il lato
direi tecnico della propaganda libraria. Formiggini, Trenta anni dopo. Storia
di una casa editrice, Amatrice, Formiggini, razioni umane !. Ma questo ideale
di fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o neutrale, se nel periodo
che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla nascita de La Voce arriva fino al
fascismo e alla dittatura gentiliana la casa editrice Formiggini poté
rappresentare riunendo soprattutto quanti nell’idealismo non si riconoscevano
un capitolo significativo e abbastanza determinato, anche se minore, della
cultura italiana. Nato a Modena, dove contrasse affetti e amicizie che come
quella con il futuro ministro della giustizia di Mussolini, Solmi lo
accompagneranno nei successivi spostamenti della casa editrice, da Bologna a
Modena, quindi a Genova e infine a Roma, Formiggini apparteneva a una famiglia
ebraica di cui molti rami erano cattolici da generazioni remote; e in questa
origine è forse da ricercarsi uno dei motivi della sua insistenza sulla
necessaria unità tra ariani e semiti e sul tema della fratellanza universale.
In gioventi aveva compiuto indagini di storia delle religioni, le quali
ricorderà con parole certo immodeste, ma che testimoniano di un clima culturale
intensamente vissuto mi portarono ad affermare, su dati puramente giuridici ed
etici, quella identità di origine degli ariani e dei semiti che l'Ascoli aveva
già riconosciuto nello stretto campo della filologia e che gli scritti del
Delitzsch, in Germania, sei anni dopo di me, con grande autorità confermarono.
Il suo interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla tesi di
laurea in legge discussa a Modena, dal titolo programmatico (La donna nella
Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo storico-giuridico ad un
riavvicinamento tra la razza ariana e la semita), e da un intervento del 1902
nel quale Formiggini lamentava l’assenza nel nostro paese di un insegnamento
critico delle religioni nonostante gli sforzi di Gaetano Negri, David Castelli,
Raffaele Mariano, Alessandro Chiappelli e, soprattutto, di Baldassarre Labanca,
pur avvertendo che il desiFormiggini, Parole in libertà, Formiggini, Parole in
libertà, derio di una ripresa degli studi storico-religiosi non deve essere
interpretato come l’efflorescenza di un sentimento nostalgico verso un passato
mistico per me e per altri molti ‘ormai superato. Richiamandosi cosî alla
concretezza degli ideali terreni aliena, più che in uomini a lui vicini, come
Buonaiuti o Quadrotta, da ascetismi medievali e da ogni forma di spiritualismo,
Formiggini seguîf con interesse quel parziale sviluppo di una scienza delle
religioni che si ebbe in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del nuovo
secolo, ad opera inizialmente di studiosi non cattolici e sulla base di quella
identificazione fra idee teologiche e religiose e pensieroche divenne
tradizionale negli studi storici italiani dai tempi del Tocco e del Labanca in
poi. Frequentando i corsi di lettere e filosofia dell’università di Roma
(conseguirà poi la seconda laurea in filosofia morale a Bologna), Formiggini e
infatti attento soprattutto alle lezioni di storia del cristianesimo di
Labanca, critico di ogni dogmatismo e almeno nelle intenzioni del misticismo,
in nome di un Dio concepito come ragione e coscienza. Meno avvertibile risulta
la traccia dell’insegnamento romano di Labriola, anche se proprio alla
trascrizione di Formiggini dobbiamo la conoscenza del suo corso di filosofia
della storia Sul materialismo storico, e se fu proprio il futuro editore a
portare il saluto degli universitari italiani alla salma del buon Maestro La
coltura religiosa in Italia, Modena, Forghieri e Pellequi, Cantimori, Storici e
storia, Torino, Einaudi; un ‘accenno ai legami di Formiggini con Labanca e
Quadrotta inScoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia,
Bologna, il Mulino, le notazioni di G. Gentile, Storia della filosofia
italiana, a cura di E. Garin, Firenze, Sansoni, Tu, buon Maestro, ti servivi
della mia voce per trasmettere il tuo pensiero alla scuola ( Corda Fratres
Allieva di Labriola fu anche la moglie di Formiggini, Emilia Santamaria, la cui
tesi di laurea su Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel 1904
da Laterza con una breve prefazione di Labriola (ora in Labriola, Scritti
politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, A.F. Formiggini: un editore
tra socialismo e fascismo suoi maestri dell’università di Roma dovettero
comunque contribuire a rinsaldare quello spirito democratico di matrice,
ripetiamo, pit etico-religiosa che politica al quale è improntata l’attività
svolta da Formiggini, come console e poi presidente della sezione italiana
dell’associazione internazionale studentesca Corda Fratres, di stampo
radical-massonico, che si proponeva di raggiungere amore e fratellanza fra
tutti i popoli e le classi prescindendo dalla politica . All’interno
dell’associazione Formiggini si batté infatti contro le tendenze che ne
interpretavano le finalità in chiave nazionalistica, sviluppando le sue
convinzioni soprattutto a proposito del movimento sionista: secondo me, e
vorrei che cosî fosse scrive a commento del sesto congresso sionista di
Basilea, molti di quelli che in Italia hanno aderito al sionismo, non furono
spinti dal sentimento di solidarietà di razza, ma da quello molto più ampio e
liberale di solidarietà umana. Per costoro non dovrebbero aderire al sionismo
gli ebrei soltanto, ma anche tutti quelli che hanno il pensiero
sufficientemente evoluto per riconoscere che ad ogni uomo, indipendentemente
dalla razza cui appartenga e dalla fede che professi, deve esser riconosciuto
il diritto alla vita ed alla dignità umana ?. Concetti che saranno
letteralmente ripresi per negare ogni fondamento all’antisemitismo, che avrebbe
potuto essere meglio combattuto e vinto ove il sionismo fosse rimasto una corrente
umanitaria, senza trasformarsi in un movimento nazionalista inteso a
ricostruire la potenza politica d’Israele. Questo ideale etico-umanitario
veniva ribadito da Formiggini, assieme a preoccupazioni per l’insorgere delle
correnti irrazionalistiche e idealiste, in una recensione a L’anarchia del
modenese Ettore Zoccoli nella quale, dopo aver condiviso il giudizio
dell’autore sulle teorie immorali e antigiuridiche degli anarchici, lo
rimproverava di Non era ancora un'associazione puramente corpotativa , come
apparirà negli anni venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita, Milano,
Rizzoli). Corda Fratres Formiggini, Parole in libertà, non aver mostrato la
efficacia, per quanto indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia per
sospingere l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà politica e
religiosa e di universale affratellamento , e aggiungeva: Dobbiamo ad ogni modo
auguratci che la crisi che sta attraversando il pensiero filosofico
contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla preoccupazione etica, si è già
annunciato come una vivace reazione contro la filosofia della seconda metà del
secolo XIX, si possa risolvere, non in un ritorno a forme mistiche, la cui
inconsistenza è già stata provata dall’esperienza storica, ma in una
confortante e serena consacrazione di una morale intesa come necessità
imprescindibile della vita: necessità non d’ordine logico né d’ordine fisico,
ma però tale da avere rispetto alla vita delle coscienze: quello stesso imperio
assoluto che hanno le necessità logiche per il pensiero e le necessità fisiche
per tutto l’ordine meraviglioso della natura Dove sono espressi sinteticamente
non solo la concezione ottimistica del progresso e l’ideale di conciliazione di
quei positivisti in crisi che graviteranno attorno alla casa editrice di
Formiggini, ma anche il senso di un assedio che si andava stringendo da parte
degli idealisti. Ben diverso, quasi contrapposto, era il giudizio sull'opera di
Zoccoli formulato da Croce, che la considerava moralistica (mentre una teoria
filosofica sarà esatta o sbagliata, ma non mai morale o immorale ) e, da
osservatore apparentemente distaccato, ne traeva spunto per notare
nell’affermarsi di tendenze sindacaliste rivoluzionarie contro il riformismo
socialista l’influenza dell’anarchismo, che forse, considerato nel suo insieme,
giova a mantenere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la
borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispensabile al progresso
sociale ; lo stesso Croce che in un momento decisivo dello scontro col
positivismo, bandiva dal vocabolario di coloro i quali anelano a un risveglio
della filosofia e della cultura, salutare alla patria italiana , i termini di
tolleranza e temperanza , sinonimo, quest’ultimo, di debolezza, incapacità di 3
Rivista italiana di sociologia, La Critica , Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo sintesi, tendenza alla combinazione e conciliazione
estrinseca, che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti, ha paura delle
opinioni della gente volgare, cerca di non svegliare opposizioni, e rifugge dai
partiti che richiedono risolutezza e responsabilità Positivisti, modernisti,
socialisti La fisionomia alla quale la casa editrice rimarrà sempre fedele
venne definendosi nel giro di pochi anni, tanto che Serra, tracciando i caratteri
distintivi dei due editori-tipo italiani, Laterza e Treves, espressione il
primo del libro di cultura e, il secondo, di quello di bella letteratura, ma
con la tendenza sempre più marcata a entrar nel campo della cultura , poteva
annoverare in quest’ultima categoria le edizioni Formiggini, di cui metteva in
evidenza le intenzioni brillanti e un certo decoro . Notevole rilievo ebbero
infatti anche le collane letterarie, significative di una scelta e di un gusto:
i Poeti italiani si apre nel 1910 con le Odi di Massimo Bontempelli uno degli
autori pi cari a Formiggini, fino alla rottura , proprio in quell’anno
schieratosi nella polemica carducciana con Ettore Romagnoli contro Croce e
Prezzolini in difesa della critica di tipo letterario contro quella di impianto
filosofico, e annovera altri poeti che inseguono il modello del grande artiere
di Carducci con accenti tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco
Pastonchi e Severino Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con
Liolà); e grandissima fortuna ebbero i Classici del ridere cui Formiggini
affiancò la raccolta Casa del ridere , che raccogliendo Croce, Il risveglio
filosofico e la cultura italiana, in Cultura e vita morale, Bari, Laterza,
Serra, Le lettere, in Scritti letterari, morali e politici, a cura di M.
Isnenghi, Torino, Einaudi, Bontempelleide, con interventi di Formiggini e
Fernando Pa. lazzi, in L’Italia che scrive, gli interventi di E. Manzini ed E.
Milano in Formiggini testi italiani e stranieri, riflettono l’utopistica
speranza dell’editore che l’ universale fusione di spiriti che deve essere la
meta costante di ogni più alta manifestazione di civiltà, sarà affrettata di
altrettanto di quanto l’affrettarono la macchina a vapore e il telegrafo ®.
L’impronta culturale e civile della casa editrice è data tuttavia dal largo
spazio accordato ad argomenti filosofici, pedagogici e religiosi, con un
orientamento che, se difficilmente può essere definito in positivo, può essere
considerato schematicamente come espressione di gruppi non-idealisti.
Positivisti e modernisti di varie venature, e spesso di orientamento politico
socialista e socialisteggiante, contraddistinsero le origini della casa
editrice, che continuerà ad annoverarli tra i suoi collaboratori anche quando
le convinzioni di alcuni si vennero modificando sensibilmente (ma altri si
aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, nel momento del loro
distacco dall’idealismo). I nomi di Achille Loria e Alessandro Levi, di Emilia
Formiggini Santamaria e Giuseppe Tarozzi, di Ernesto Buonaiuti e Felice
Momigliano, ricorrono con frequenza, anche per l’intero trentennio di vita
delle edizioni Formiggini, a conferma di una scelta e di una adesione non
casuali. Sui gruppi positivisti di questi anni, di filosofi e pedagogisti in
particolare, come sui vari filoni modernisti e sui loro esiti, sono state
scritte pagine illuminanti che hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto
l'impatto del neoidealismo. Restano tuttavia da verificare le convergenze e le
alleanze che, contro lo stesso nemico, si stabilirono tra correnti e uomini per
vari aspetti spesso culturalmente e politicamente diversi e distanti, e che
videro seguaci di Ardigò, neokantiani e fautori di un rinnovamento della chiesa
laici e religiosi, mistici e razionalisti confluire insieme a combattere per la
loro sopravvivenza, uniti solo, nel comune disorientamento, da condanne
idealiste o pontificie. Editore. Mostra documentaria, Modena, S.T.EM. Mucchi,
Formiggini, Trenta anni dopo, Garin, Cronache di filosofia Sialiona Bari,
Laterza, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo Di questi e altri
accostamenti, come quello tra socialismo e religione in cui si impegnarono ad
esempio Alfredo Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le
edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice può
essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: Profetismo,
Mazzini, socialismo rimasero per Felice tre nozioni difficilmente separabili.
La purificazione dell’ebraismo, il rinnovamento spirituale d’Italia e lo
stabilimento della giustizia sociale in Europa erano nella sua mente tre
aspetti di un problema solo. Un vivo senso della nazionalità e un vago
socialismo sconfinante nel populismo borghese e inteso come prosecuzione della
democrazia risorgimentale sono infatti le caratteristi-. che di uno dei più
assidui collaboratori di Formiggini, Alessandro Levi , e si ritrovano in molte
delle iniziative dell’editore modenese. Nelle collane di saggistica si possono
comunque individuare tre filoni principali di interesse: quello religioso,
presente ovunque ma che per un certo periodo ebbe il suo posto privilegiato
nella Biblioteca di varia coltura dove usci il Mosé e i libri mosaici dell’ex
prete modernista Salvatori Minocchi in questo momento convinto che il futuro
cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del socialismo ; quello pedagogico, che
vide l’intervento assiduo di Emilia Formiggini Santamaria con studi storici è
didattici ispirati alle teorie di Fròbel ed ebbe un punto di riferimento
costante non quando. fu pubblicata dall’editore modenese nella Rivista
pedagogica , l’organo dell’Associazione nazionale per gli studi pedagogici
fondato nel 1908 da Luigi Credaro e che, Momigliano, Momigliano, ora in Terzo
contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Edizioni
di storia e letteratura, Poggi Socialismo e religione. Modena, Formiggini,
1911, e, sull’autore, la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti, Il
movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, le
osservazioni di Piero Treves nel numero speciale di Critica sociale dedicato a
Levi Cit. da A. Agnoletto, Minocchi, vita e opera; Brescia, Morcelliana, seppur
influenzato dall’herbartismo del futuro ministro della pubblica istruzione, fu
aperto ai collaboratori delle più varie tendenze (da Colozza a Calò, da Varisco
alla Formiggini Santamaria) . Il terzo filone, e forse il più significativo
perché comune denominatore anche degli altri, fu rappresentato da un generico
interesse per i temi filosofici, mutuato dalla Società filosofica italiana e
dalla Rivista di filosofia attenta, del resto, anche alle problematiche
religiose e pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti
strettamente connesso con la fase di riorganizzazione della Società filosofica
italiana, di orientamento prevalentemente (anche se vagamente) positivista,
apertasi in concomitanza con l’intensificarsi del programma culturale di Croce
e di Gentile attorno alla casa editrice Laterza con il congresso di Parma della
società. In questa sede fu deliberata in vista di una degna affermazione
dell’attività filosofica italiana al terzo congresso internazionale di
filosofia di Heidelberg la preparazione di quel Saggio di una bibliografia
filosofica italiana che, compilato da Alessandro Levi con la collaborazione di
Bernardino Varisco e, per la parte pedagogica, di Emilia Formiggini Santamaria,
apparve nel 1908 per i tipi di Formiggini e fu giudicato da Gentile la prima
manifestazione di qualche cosa di concreto e di utile agli studi di filosofia
da parte della Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la Biblioteca di
filosofia e di pedagogia che accolse, oltre agli atti dei congressi della
società, scritti della Formiggini Santamaria, I/ materialismo storico in
Federico Engels di Rodolfo Mondolfo di cui è possibile cogliere l'origine
tormentata nelle lettere dell’autore all’editore , e altri testi in cui
l'impronta antiidea D. Bertoni Jovine, La scuola italiana, Roma, Editori
Riuniti, La Critica Attendo presentemente a un lavoro su La filosofia del
comunismo critico. Una parte di questo, I/ materialismo dialettico e il
materialismo storico di F. Engels spero averla pronta entro brevissimo tempo ,
scrive Mondolfo proponendone la pubblicazione. Ma ancora confessava: La parte
che ancora rimane per il termine del lavoro io l’avevo molto tempo addietro
abbozzata e in Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo lista è, almeno
prima della guerra, ben documentabile. Se meno precisamente definibile è la
posizione di Ludovico Limentani, assertore del metodo positivo ma aperto alle
istanze idealistiche, che pubblica due volumi (I presupposti formali
dell'indagine etica, e La morale della simpatia) in cui, come in tutta la sua
opera, è filosoficamente argomentato e approfondito l’ideale stesso di Formiggini,
in quanto l’autore fa l’ esaltazione, sul piano politico-sociale, del diritto
ad esistere di ogni spinta ideale, che scenda a collaborare sul piano della
concreta discussione con le altre idealità ; assai netta è, nel 1913, la
posizione di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno dei più
continui collaboratori della casa editrice, che presentando le Pagine scelte di
Ardigò lancia un violento atto d’accusa contro idealisti e pragmatisti, in una
difesa patetica di quella cultura positivista che stava scomparendo:
Sinceramente, scriveva chi scorra senza spirito di parte o di setta e senza
quel vanissimo orgoglio di superfilosofismo che è oggi venuto di moda, e che
infuria, talora con veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqualificabile
volgarità, specialmente, si capisce, contro il positivismo, le pagine che il
Gentile e l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De Ruggiero hanno, bontà
loro, dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire che non mai parzialità e
superficialità, trivialità e accanimento hanno intessuto una trama di più fatue
leggerezze e di più dolorose malizie, intorno ad un uomo e ad un pensatore che
ha pur il diritto di vivere e di pensare; mentre quei critici stessi si
svociano parte stesa in una forma però che, essendo stato poi da me modificato
tutto il piano del lavoro, non può più affatto andare. È dunque da rifar da
capo bisogna che torni a rivivere il mio tema . Finalmente 1°11 ottobre dello
stesso anno poteva annunciare: Ho scritto l’ultima cartella ; ma i dubbi non
erano finiti, se, approfittando della necessità di cambiare il frontespizio del
volume per il trasferimento dell'editore da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva
di togliere dal titolo Il materialismo dialettico lasciando le parole Il
materialismo storico, che costituiscono la parte più importante e interessante
del titolo. Archivio editoriale Formiggini presso la Biblioteca Estense di
Modena [dora in avanti AF], Mondolfo Garin, I/ pensiero di Ludovico Limentani,
in Rivista di filosofia. In/ e si sbracciano ad osannare i pretenziosi ma
altrettanto inconcludenti fra professori e conferenzieri di marca tedesca e
anglo-americana, e francese, i cui nomi sono ormai sulle bocche di tutti; o i
più ciarlatani, tipo Sorel; o pit insulsi tra gli affiliati nostrani della
congrega hegelianoide Fuori collana apparvero altri testi filosofici, di
particolare rilievo i primi due volumi degli Scritti di Michaelstidter; non
andò in porto, invece, la proposta di Levi di pubblicare gli scritti di
Vailati, avanzata subito dopo la morte di questi. Questi contributi erano il
frutto di un rapporto diretto con la Rivista di filosofia, l’organo della
Società filosofica italiana, per i tipi di Formiggini, dalla fusione della
Rivista di filosofia e scienze affini di Giovanni Marchesini con la Rivista
filosofica fondata da Carlo Cantoni; e che non si trattasse di un rapporto
puramente tecnico o commerciale, è dimostrato dalla notevole consonanza di
accenti tra la rivista e tutta l’attività della casa editrice. Non costituiamo
una scuola; siamo una collezione d’uomini, unit: dal comune amore della verità,
ma che non abbiamo tutti lo stesso concetto di quello che la verità sia Ma
tutti siamo persuasi che, per arrivare a conoscere la verità e a farla
trionfare, la discussione seria de’ problemi, sotto ciascuno de’ loro aspetti,
sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi, ci farà conseguire il
fine desiderato £: cosi dichiaravano nel 1909 i redattori della rivista
criticando il programma della Rivista di filosofia neo-scolastica che si diceva
espressione dei pensamenti di una scuola determinata . Questo vago amore della
verità era il segno, più che della temperanza combattuta da Croce e dai
neoscolastici, di uno sbandamento e di una debolezza di fondo, appena
mascherati da un ottimismo ingenuo e perdente, data l’indeterminatezza del fine
da rag Ardigò, Pagine scelte, a cura di E. Troilo, Genova, Formiggini, PED 4
AF, n di filosofia, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo giungere:
un amore della verità tale non solo da provocare il rapido manifestarsi di
contrasti interni alla redazione tra i due gruppi di Pavia e di Padova, ma
anche da permettere che già nel 1910 padre Gemelli venisse accolto fra i membri
della società. E tuttavia il programma dei fondatori, inteso a dare all’Italia
una rivista autorevole aperta ugualmente a tutte le opinioni e perciò adatta a
chiarire le profonde ragioni ideali, da cui le scuole filosofiche traggono
origine , introduceva subito sintomatiche puntualizzazioni: la patria nostra,
risorta da cinquanta anni ad unità di nazione, vuole rivendicare le alte
tradizioni del suo pensiero che informa tutta la cultura e la vita moderna.
Infatti, dobbiamo costantemente ricordare che naturalismo ed umanismo, i due
atteggiamenti fondamentali della speculazione europea, sorgono ugualmente col
rinascere degli studii per opera del genio italiano, universale e concreto;
sicché tutta la filosofia posteriore può rannodarsi ai nomi di Galileo e di
Vico, che ne simboleggiano gli spiriti. Da questi eroi tragga incitamento ed
auspicio la nuova filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza ideale
degli italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle sue pagine tutti gli
indirizzi del pensiero filosofico trovassero libera espressione ‘, e i passi
compiuti in questo senso verso i circoli di filosofia di Roma e di Firenze di
tendenze prevalentemente idealistiche , la rivista diretta da Faggi, Juvalta,
Levi, Marchesini, Vailati (sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo),
Valli e Varisco ai quali si aggiungeranno in seguito Pastore e Buonaiutirisultò
voce di positivisti il cui eclettismo trovò un limite di fronte all’idealismo.
Ci sembra assai valido ed estensibile alla casa editrice il giudizio di Santino
Caramella, per il quale la rivista accoglieva I due circoli aderirono alla
Società filosofica nel corso, ma quello di Firenze ritirò la propria adesione
tramite il suo segretario Giovanni Amendola: fra il Circolo e la Società,
dichiarava, non esiste affinità alcuna, né di scopo, né di tendenze, né di
metodi d’azione ( Rivista di filosofia , I tutti, dal neopositivismo del Troilo
all’hegelismo del Losacco, dal misticismo del Rensi al fichtismo del Til gher e
del Ravà, dall’ardigioianesimo al neokantismo e chi più ne ha più ne metta,
ogni indirizzo poté salire in tribuna. Ma non per questo cessava la
intolleranza verso gli intolleranti di questa amorfa tolleranza: il Croce,
Gentile restarono sempre i maligni avversari che avevano guastato l’Eden
filosofico: e specialmente i positivisti ebbero cura di non lasciar mai
spegnere il fuoco della battaglia . Possiamo aggiungere, a integrazione del
quadro solo in negativo fornito da Caramella, l’esplicita connessione di
interessi filosofici e religiosi ne è testimonianza anche l’ingresso nella
redazione di Buonaiuti, subito impegnato a confutare sulle pagine della rivista
la pretesa gentiliana di individuare in Vico un precursore dell’attualismo 4 e
l'insistenza sul genio italiano che, pur senza assumere fin dall’inizio precisi
connotati nazionalistici come cercherà invece di far intendere Troilo, era
indice di una chiusura nei confronti del pensiero contemporaneo non italiano. È
un aspetto, questo, che risalta con forza ove si confrontino i Classici della
filosofia moderna che Croce iniziò per Laterza con l’Enciclopedia di Hegel, e
l’iniziativa formigginiana dei Filosofi italiani , la collezione promossa dalla
Società filosofica italiana e diretta da Felice Tocco. Le differenze,
naturalmente, non sono segnate solo da confini geografici, pur importanti. Il
fatto è che, come riconosceva e paventava la stessa Rivista di filosofia , il
programma crociano si proponeva la valorizza Caramella, Le riviste filosofiche
italiane nell'ultimo quarto di secolo, La Cultura Buonaiuti, Il carattere
storico della filosofia italiana, in Rivista di filosofia In L'Italia che
scrive Recensendo positivamente per l’accesso diretto alle fonti che offrivano
i Classici della filosofia moderna , Michele Losacco osservava: È ben difficile
creare un movimento speculativo che lasci tracce profonde, se l’ambiente in cui
si lavora non è sufficientemente preparato ad intenderlo; ne fu prova non
dubbia l'indirizzo idealistico, promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che
non trovò il meritato seguito, perché si concentrò in alcuni pochi spiriti,
solitari e incompresi. Ora ogni nuovo Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo zione di una linea di pensiero che assegnava all’Italia un ruolo
centrale con Spaventa, De Sanctis, Labriola e Croce, ma era tanto pi forte in
quanto riproposta attraverso una determinata lettura di Vico, di Kant e di
Hegel, mentre Tocco si preoccupava di riportare alla luce soprattutto la
filosofia della Rinascita che è nella maggior parte italiana, come italiano è
quel movimento umanistico che la promosse. E questo periodo cosi arruffato
della speculazione, che in mezzo al rifiorire della scienza e della medicina
antica, in mezzo al ripullulare dell’antica magia alchimia ed astrologia
prepara l’avvento della nuova scienza e della coscienza nuova, merita di essere
studiato . Ben diversa da quella di Croce e Gentile fu anche la capacità di
promozione della Società filosofica italiana: bastò la morte di Tocco a
impedire che avesse seguito, dopo i primi due volumi del De rerum natura di
Telesio curati da Vincenzo Spampanato la proposta avanzata in prima persona
dall’editore modenese al terzo congresso della società (Roma, ottobre 1909), e
da questa assunta in proprio con l’impegno del suo presidente di dare ogni
aiuto possibile , di raccogliere in una accuratissima edizione i testi critici
dei maggiori filosofi italiani, per rendere accessibili a tutti le opere meno
agevolmente ostili e più importanti per la storia del pensiero nazionale , e
serio conato speculativo, come fu, per esempio, quello della Rinascenza,
presuppone sempre lo studio e il riconoscimento delle migliori tradizioni
filosofiche, e nazionali e straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere e
l’ispirazione ( Rivista di filosofia , Prefazione di Tocco al vol. I del De
rerum natura di Telesio (Modena, Formiggini, anche E. Garin, Per un'edizione
dei filosofi italiani, in Bollettino della Società filosofica italiana Perché
la direzione dei Filosofi italiani fosse affidata a Tocco intervenne Croce,
come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo commento al congresso di
Roma, in cui dichiarò in piena liquidazione il positivismo (ora in Pagine
sparse, Bari, Laterza, Contro le fauci ingorde di Formiggini, che per
l’edizione di Telesio avrebbe cumulato i contributi finanziari del Comitato
telesiano di Cosenza e dello Stato, lo sfogo di Gentile nella lettera a Croce
(G. Gentile, Lettere 4 Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni
Gentile scriveva a Croce degli spropositi vergognosi presenti nella prefazione
di Spampanato Accanto a una cultura in varia misura positivista che si
organizza sul piano accademico che è proprio della Rivista di filosofia e anche
su questo terreno sarebbe da valutare la resistenza opposta dai positivisti al
neoidealismo, testimoniata dalle lagnanze ricorrenti nelle lettere di Croce,
Gentile, Omodeo, è da segnalare la vocazione illuministica di questi gruppi a
farsi educatori di masse le più larghe possibili. Se l’idealismo incontrò forti
limiti ad una sua penetrazione o traduzione popolare, ciò non si dovette solo a
sue carenze originarie o élitari rifiuti, ma anche all’esistenza di una cultura
media o popolare resa impermeabile alla sua influenza da precedenti
incrostazioni di segno diverso o contrario, depositate lentamente attraverso
periodici, università popolari o certe collane, non solo di istruzione tecnica
o di letteratura d’appendice ad opera dei positivisti che avvertivano il dovere
di divulgare tra il popolo quella scienza che consideravano parte integrante
della realtà , fiduciosi che individui appartenenti a ogni strato sociale potessero
rispondere al richiamo illuminante e liberatore della verità, la stessa verità
in cui essi credevano Alla divulgazione erano appunto rivolti, come altre
iniziative contemporanee e sulle orme della Biblioteca del popolo di Sonzogno,
i Profili di Formiggini, nati nel 1909 con l’intento di soddisfare il più
nobilmente possibile alla esigenza caratteristica del nostro tempo, di voler
molto apprendere col minimo sforzo . E non a caso Critica sociale la giudica
una utilissima collezione Alla tendenza allora predominante di dare una
immagine del passato o del presente attraverso singole figure di protagonisti
gli eroi di cui parlava la Rivista di filosofia nella sua pagina d’apertura,
gli uomini simboli di un’epoca su cui era costruita la prima storia del Rosada,
Le università popolari in Italia, Roma, Editori Riuniti, A.F.F, Trenta anni
dopo, 53 V. Osimo, ‘arlo Porta, in Critica Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo socialismo tentata da Angiolini e Ciacchi si ispirarono
numerose collezioni, la più nota ed aulica di tutte, ma di breve durata, quella
dei Contemporanei d’Italia intrapresa da Ricciardi sotto la direzione di
Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini a preoccuparsi di divulgare i suoi
Profili attraverso le biblioteche popolari, queste istituzioni scriveva
presentando la collana che stanno ora sorgendo e moltiplicandosi e che saranno
i focolai donde uscirà la dignità nuova e la nuova fortuna della patria ,
rivolgendosi in particolare al mondo della scuola. E i Profili raggiunsero un
pubblico per quei tempi molto vasto: uno dei primi titoli, il Ges di Labanca,
di cui nel 1918 fu stampata la terza edizione, solo nella prima ebbe una
tiratura di 2.500 copie Nel capitolo de Le lettere dedicato alla critica
letteraria , Serra faceva un bilancio delle collane comprendenti l’essaî
dedicato a una questione o a una figura , e annotava: Ne abbiamo parecchie: i
Profili, i Contemporanei, gli Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e che so
io. Ma o si sono arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze da una parte,
e dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non riescono a fare il
libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei Profili; appunto perché il
suo modulo, anche materialmente, modesto e facile da riempire, si impone alla
personalità degli autori con una certa economia necessaria di notizie e di
disegno, che non lascia posto a digressioni o erudizioni o analisi, come
dicono, originali. Potrebbe parere un difetto; ed è, tra noi, una fortuna.
Senza dire che anche in quei limiti si possono ottenere cosette buone; per un
esempio, l’Esiodo del Setti o il Bodoni del Barbera . La mancanza di
originalità di questa produzione non impediva tuttavia che essa avesse un
taglio preciso per gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio
della % Illustrando sulla Rivista di filosofia un suo progetto sull’istituzione
di biblioteche per gli studenti delle scuole medie, già accennato al congresso
per le biblioteche popolati di Roma nel dicembre 1908, Giovanni Crocioni
affermava: Non vi mancheranno le opere d’arte, le vite di uomini insigni, le
edizioni popolari; vi troveranno, ad esempio, luogo opportuno i Profili che il
nostro coraggioso e geniale editore vien pubblicando con fine gusto di arteAF,
Labanca. 5% Serra, competenza suggeri in un primo tempo a Formiggini di
rivolgersi a Croce e poi a Gentile per il ritratto di Hegel, a Papini per
quello di Sarpi o a Prezzolini per Baretti contatti che non ebbero poi esito
positivo, gli autori dei Profili furono e rimarranno in maggioranza esponenti
di ambienti positivisti o modernisti, e spesso toccati dal materialismo
storico. Per i personaggi-chiave, dove le digressioni erano pit facili e
significative, troviamo Achille Loria autore del Malthus uno dei più ricercati
della mia fortunata collezione , gli scriveva Formiggini che raggiunse la
quarta edizione, dei ritratti di Marx e Ricardo; Tarozzi con Rousseau, Ardigò e
Socrate ed Troilo con TELESIO (si veda), Bruzo e Kaxt; Labanca con Ges# di
Nazareth, Momigliano con Tolstoi e Buonaiuti con una lunga serie di ritratti:
Sant'Agostino, San Girolamo, Sant'Ambrogio, AQUINO (si veda), San Paolo, Gest
il Cristo (che sostituî il profilo di Labanca) e San Francesco; Barbagallo
tracciò i profili di Giuliano l’Apostata e Tiberio, mentre Concetto Marchesi
delineò quelli di Marziale, Giovenale e Petronio. Alcune, poche concessioni del
periodo fascista non alterarono le caratteristiche originarie della collezione,
che accanto alle figure principali della letteratura italiana e straniera dava
largo spazio più di quanto ne concedessero la Collana biografica universale
delle edizioni Quattrini di Firenze o i Pensatori celebri e i Pensatori d’oggi
della milanese Athena ad esponenti del pensiero filosoficoscientifico (Telesio,
Bruno, Galileo, Newton, Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari
alla genealogia positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx, Lombroso,
Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina di Darwin l’autore del suo
ritratto, il naturalista Alberto Alberti, riteneva necessario fissare fin
dall’inizio le fattezze del biograAF, Loria. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo fato ( cupola immensa il cranio. Dentro, un cervello che
come quello di Volta e forse come quello di Leonardo, non pesava meno di due
mila grammi), convinto, in base a un ingenuo positivismo, che i tratti fisici
giovano a far intendere come per la larga, possente grandiosità del lavoro
intellettuale compiuto da Darwin ben occorresse anche una struttura fisica non
diversa ma più vigorosa di quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini
; l’autorevolezza delle biografie di Malthus e di Marx è affidata al loro
autore, quell’Achille Loria tanto disprezzato da Labriola e da Gramsci, ma che
rimane pur sempre, come è stato sottolineato di recente, una figura
rappresentativa dell’età del positivismo evoluzionistico e del nascente
movimento socialista alla quale si deve la diffusione in Italia della nozione
di un’economia non immutabile, non governata da leggi esterne, ma mossa dalla
lotta delle classi sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di là dello
stadio proprietario e capitalistico . I giudizi e gli accostamenti di Loria non
sono per questo meno disinvolti: la teoria della popolazione di Malthus, sorta
quale teoria di regresso , se debitamente svolta ed ampliata, si torce invece
nella più radicale fra le teorie sociali. Dacché essa insegna che il flutto
incessante della popolazione è il fermento irresistibile di distruzione delle
forme sociali successive 9; invece Marx, nonostante la grandiosità michelangiolesca
del suo pensiero, sta di molto al disotto dei grandi maestri della scienza
positiva : Se invero è mirabile e enorme questtuomo notava Loria, il quale
riesce a contenere tutto un mondo fra le pieghe di un semplicissimo principio
iniziale, e la cui vita non è pi che lo sviluppo di una equazione, che egli ha
posta agli esordi quanto più onesto, più leale, più scientifico il procedere di
Darwin, il quale non pone principj aprioristici, ma accoglie senza preconcetti
5 A. Alberti, Darwin, Modena, Formiggini, Faucci, Revisione del marxismo e
teoria economica della proprietà in Italia, Loria (e gli altri), in Quaderni
fiorentini, Loria, Malthus, Roma, Formiggini, i fenomeni nell’ordine di
complessità progressiva che la vita stessa gli affaccia! La storia italiana
recente era illustrata con un forte senso della nazionalità, accentuato dalla
grande guerra, ma con tonalità democratiche: al ritratto dei fratelli Bandiera
seguivano -16 quello di Abba, e un Cavour di Murri che presentato da una
Lettera ai combattenti del capitano Formiggini come una potentissima sintesi
non solo delle concezioni dello statista piemontese, ma di tutte le correnti
del pensiero collettivo che portarono al trionfo della idea nazionale si
preoccupava di definire valore e limiti del realismo politico del biografato
per dare sbalzo alla fede mazziniana ( sollecitando, con il suo titanico
ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour] disperse, in parte, quel tesoro di
energie spirituali che Mazzini aveva preparato per pi lunga e profonda e dolorosa
opera Cavour ha avuto ragione per il suo tempo, Mazzini torna ad aver ragione
oggi. Elemento caratteristico della collezione formigginiana resta comunque
l’ampio interesse per la storia religiosa, toccata sia attraverso le figure di
Ges, di Savonarola £ e dei santi, sia per inciso nei profili degli imperatori
romani che videro l’affermarsi del cristianesimo o nel ritratto dedicato a
Tolstoj da Felice Momigliano. Pi che l’editore, tu sei il critico degli autori
tuoi , scrive Marchesi a Formiggini : e il rapporto dell’editore con gli autori
di profili religiosi si rivela particolarmente stretto e franco, come nel caso
di Labanca e di Buonaiuti; indice della sua diretta partecipazione è ad esempio
l’affettuoso rimpro A, Loria, Marx, Genova, Formiggini, Murri, Camillo di
Cavour, Genova, Formiggini, Rispetto al giudizio minimizzatore di cui sarà
oggetto nell’Enciclopedia italiana, come abbiamo visto, Savonarola era
eroicizzato da Galletti come colui che riconciliò la libertà colla religione,
ravvivò negli animi il sentimento cristiano offuscato o pervertito, ordinò un
governo libero e onesto sul fondamento della dignità morale , dimostrandosi,
con tutto ciò, veramente italiano (Savonarola, Roma, Formiggini, AF, Marchesi.
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo vero mosso a quest’ultimo, che
aveva sottolineato la continuità tra ebraismo e cristianesimo: Mi sono letto il
profilo del Cristo gli scrive, contemporaneamente all’uscita di Gesz il Cristo
di Buonaiuti,. un titolo che Labanca aveva esplicitamente rifiutato per il suo
Gesg di Nazareth e ti confesso che non mi è piaciuto e che non piacerà. Non è
il profilo del Cristo rispetto ai Farisei ma il profilo tuo rispetto a padre
Gemelli e hai fatto senza volere un’apologia del fariseismo che non la meritava
e hai fatto del povero Cristo uno scocciatore e tale forse non fu. Ho rimorso
di aver fatto un corno al povero mio maestro Baldassarre Labanca, tu sai
scrivere in modo meraviglioso, egli non sapeva scrivere ma nel suo ruvido
libretto c’era pur qualche cosa che restava. in tasca a chi lo leggeva. Insomma
se vieni ti parlerò di Dio, perché mi sento di poterti dare qualche utile
consiglio ©. Per la loro destinazione e per lo stretto rapporto editore-autori
che rivelano, i Profili risultano quindi una guida utilissima per seguire le
tematiche allora più largamente diffuse e gli orientamenti politici e culturali
della casa editrice: dal giudizio formulato da Felice Momigliano su Tolstoj
subito dopo la sua morte che corrisponde a una diffusa lettura del romanziere e
pensatore russo ( un distruttore ben pit radicale di Marx 4), a quello di
FrLosini, che al presunto carattere della rivoluzione d’ottobre suppellettile
d’importazione senza radici nella tradizione russa oppone l’ammonimento del suo
biografato, Turgenev, a non prescindere: dalla nazionalità nella preparazione
dell'avvenire della Russia ‘, fino ai mutamenti significativi che, da
un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come nel
Telesio di Troilo, che nella prima edizione si conclude con il rimprovero alla
filosofia contemporanea di dare espressione al suo antiintellettualismo
ricorrendo al pragmatismo che è solo un getto, un po’ morbido, del saldo
profondo tronco antico del radicale empirismo Buonaiuti. 6 F. Momigliano, Leone
Tolstoi, Modena, Formiggini, Losini, Ivan Turghenieff, Roma, Formiggini,
presocratico , laddove nella seconda edizione del 1924 termina affermando che
vedere nel pensiero del cosentino l’avvio del processo che sfocierà nella
dialettica trascendentale kantiana è più legittimo che non fare di Bernardino
Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto £. Anche in periodo fascista
la collana cercò di mantenersi fedele all’ideale di equilibrio e di
conciliazione di Formiggini: e se non mancarono concessioni alla retorica
fascista, come nell’esaltazione del ricostruttore dello Stato sabaudo,
Filiberto, fatta da Silva, Levi traccia un profilo di Romagnosi, il severo
giudice dell’assolutismo il quale nella Scienza delle costituzioni ricordava
Levi in pieno regime aveva affermato che la luce del vero e del giusto
appartiene al genio onnipossente e beatificante della libertà, le tenebre
dell’ignoranza appartengono al dèmone della tirannia, d’onde sorge la discordia
e la distruzione degli Stati. Una cultura al di sopra della mischia Il breve e
tormentato periodo del dopoguerra, fino al pieno affermarsi del fascismo, vide
il massimo sviluppo dell’iniziativa di Formiggini, e il suo tentativo di
allargare l’ambito di intervento dall’editoria a più ambiziosi programmi di organizzazione
della cultura. Ma è proprio nel clima teso di questi anni, fortemente
condizionato dal nazionalismo e poi dal fascismo, che egli subirà la più
cocente delle sconfitte, la sconfitta di una utopia, di un ideale non ancorato
a un preciso orientamento politico. Il capitano Formiggini aveva partecipato
con entusiasmo alla guerra, momento di doveroso lavoro per tutti, ricorderà la
moglie. Troilo, Bernardino Telesio, Modena, Formiggini; seconda edizione, Roma,
Formiggini, Levi, Romagnosi, Roma, Formiggini, Formiggini Santamaria, La mia
guerra, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo E la
guerra non fece che rafforzare l’ideale di Formiggini di una Europa nuova ,
civile e fraterna , fondata sulla comunione di cultura tra i popoli, ma come
presupposto per la sua piena realizzazione si fece sempre pit frequente in lui
come in tanti altri intellettuali di fronte alla prima grande vittoria dello
stato italiano la rivendicazione dei valori nazionali e patriottici
(simboleggiati dai fregi classicheggianti di Adolfo De Karolis, già
illustratore di Leonardo ed Hermes, contro il quale si scaglieranno in nome
dello spirito popolaresco i giovani del Selvaggio ). L’insistenza su questi
ultimi farà ben presto relegare in secondo piano l’ideale originario, e si
tradurrà in un servizio reso alle forze che con maggiore coerenza puntavano ad
una riscossa nazionale della borghesia italiana. Un eclettismo culturale
fiduciosamente perseguito (ma di rado realizzato) e la mancanza di un netto
orientamento politico furono infatti i motivi della sostanziale debolezza
nonostante i successi iniziali delle ambiziose iniziative concepite da
Formiggini al termine della guerra. Il suo sarà un destino analogo a quello
della Rivista di filosofia , che si apriva con un Programma di lavoro in cui
Bernardino Varisco rincorreva l’ideale di una suprema armonia tra gli stati le
classi e le singole culture , fino a incontrare, per la sua genericità, il
consenso di quel Gentile ? che poche pagine dopo, sulla stessa rivista, era
duramente attaccato da Buonaiuti. Frutto del modo col quale Formiggini avverti
le lacerazioni prodotte dalla guerra in campo internazionale, e della volontà
di difendere e rafforzare anche sul piano spirituale l’unità nazionale
pienamente conseguita sul terreno politico, sono il progetto, poi non attuato,
di una collezione italiana di classici greci e latini i mostri classici
Formiggini, Trenta anni dopo. Era una speranza formulata confusamente anche da
Troilo, che pur non tralasciava l’occasione per lanciare una nuova accusa
contro l’ idealismo assoluto, una vera e propria Metafisica di guerra (La
conflagrazione. E storia dello spirito contemporaneo, Roma, Formiggini, G.
Gentile, Guerra e fede, Napoli, Ricciardi, per i quali doveva finire il vassallaggio
nei confronti della Germania e, soprattutto, il mensile L’Italia che scrive ,
forse la creatura più cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, agli albori
di una età nuova , il periodico nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista
bibliografica, ambizioni culturali più ampie, riproponendosi di registrare
nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi nel nostro paese e di
farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di quanti, in Italia o fuori,
apprezzano e vogliono conoscere il lavoro intellettuale degli italiani . La
struttura agile e articolata che sarà presa a modello dal Leonardo e da La
Nuova Italia editoriale, profilo di un contemporaneo, inchieste su istituzioni
culturali, recensioni, confidenze degli autori, spoglio di libri e articoli per
argomento, libri da fare , eccetera fece ben presto affermare il mensile (che
nei primi anni ebbe una tiratura non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a
toccare le 30.000 ) come un esempio di quelle riviste-tipo che Gramsci
catalogherà nel genere critico-storico-bibliografico : legata all’attualità e a
carattere divulgativo, rivolta a quel lettore comune al quale non basta dare
concetti storici, ma occorre fornire serie intiere di fatti specifici, molto
individualizzati ?. E proprio Il grido del popolo segnalò la vivace, varia
rivista di Formiggini uno dei più giovani ed intelligenti industriali italiani
del libro come quella che prometteva di diventare un ottimo ed utilissimo
strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e la cui mancanza
era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del nostro paese, della
Formiggini, Trenta anni dopo Sulla funzione attribuita ai classici di mantenere
vivo il senso di continuità col passato e nello stesso tempo contribuire a un
compito di rinnovamento nazionale , richiama l’attenzione A. La Penna a
proposito di una successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi sulle
letterature classiche in Italia, Testimonianze per un centenario. Contributi a
una storia della cultura italiana, Firenze, Sansoni, Formiggini, Trenta anni
dopo, Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Gramsci, Quaderni del
carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino,
Einaudi, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo poca diffusione dei
libri e quindi delle idee, della nostra spaventosa impreparazione spirituale .
Prefiggendosi il compito di armonizzar le varie correnti della cultura
nazionale perché potessero concorrere al fine comune della valorizzazione nel
mondo dell’attività intellettuale italiana , Formiggini sostenne anche nel
momento della sua sconfitta che un giornale editoriale nazionale non può essere
che un giornale eclettico , contro il consiglio di Ettore Romagnoli di avere un
partito, essere con qualcuno o contro qualcuno . Ma, nonostante
l’idealizzazione della capacità unificante di una cultura al di sopra delle
parti nel marzo 1917 Formiggini aveva offerto la condirezione della rivista a
Prezzolini che stava per assumere un'iniziativa analoga, ma che rifiutò
l'invito perché, rispondeva le nostre concezioni differiscono ancora troppo ,
le scelte de L’Italia che scrive furono fin dall’inizio precise: pedagogia con
Emilia Formiggini Santamaria e filosofia con Tarozzi e Troilo, il quale dedica
un ritratto ad Ardigò in cui riafferma la funzione storica, tutt'altro che
esaurita, del positivismo con maggior convinzione di quanto non facesse nello
stesso momento sulle pagine della Rivista di filosofia ; storia con Pietro
Silva autore di un commosso ritratto di Salvemini mazziniano per l’alto
idealismo che informa la sua propaganda, e per la sua fede nel progressivo
cammino dell’umanità verso la giustizia, con Barbagallo che traccia i profili
di Ferrero e di Ciccotti e informa sulla Nuova rivista storica da lui diretta,
Falco ed Michel. Un largo spazio è accordato agli argomenti scientifici
trattati da Mieli, Almagià, Timpanaro, Vacca, e soprattutto ai problemi
religiosi, ove l'intervento di Formiggini è spesso Il grido del popolo. A.F.
FOGnIEziol, La ficozza filosofica del fascismo, cdiretto ®, e di cui si
occupano Turchi, Pincherle e con particolare frequenza, fino al 1926, Ernesto
Buonaiuti, autore di rassegne su riviste di cultura religiosa e di inchieste su
istituzioni culturali, di articoli sul neotomismo o sull’insegnamento della
religione nella nuova scuola, e di recensioni tanto sferzanti da essere
richiamato all'ordine dal direttore della rivista @. Ma è da notare anche, nel
settore politico-culturale, la presenza dell’antigentiliano Tilgher e di un
altro collaboratore de Il Mondo oltre che de La Rivoluzione liberale , Mario
Ferrara, autore dei ritratti di Turati, Treves e Salandra, e quella di
Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei suoi interventi: nel maggio
del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel dicembre del 1922 vede in Gentile
il creatore della filosofia delle filosofie e colui che ha immedesimato lo
sviluppo della coscienza nazionale con lo sviluppo della speculazione nazionale
. Ma questa che Formiggini defini l’apologia di Gentile che ha avuto più larga
eco in tutto il mondo , non salverà l’editore modenese dall’attacco del nuovo
ministro della pubblica istruzione, verso il quale la rivista aveva mantenuto
fino ad allora un critico distacco. 81 Presentando sul primo numero della
rivista le recensioni alle discipline critico religiose , affermava: poiché la
terribile prova spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la bufera
[della guerra], una revisione immancabile dei valori su cui era poggiata la
nostra vecchia vita etica, noi possiamo essere sicuri che le indagini
consacrate a rintracciare il corso storico della vita cristiana nel mondo
avranno una fioritura insperata e diverranno fattore notevolissimo di una
coltura veramente nazionale ( L'Italia che scrive Formiggini faceva rilevare a
Buonaiuti che alcune sue recensioni non rispondevano né per misura né per
intonazione a quell’ideale sereno a cui vorrei che si ispirasse L’Italia che
scrive. Dovresti perciò, per non mettermi in un imbroglio spirituale, recensire
quelle opere che si riferiscono alla storia del cristianesimo come scienza e
tralasciare quelle che possono darti adito a sfogare i tuoi sentimenti politici
o la tua passionalità religiosa (AF, Buonaiuti). L'Italia che scrive
Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo La sconfitta di un'illusione e una tenue resistenza Il
programma de L’Italia che scrive di essere specchio fedele della
intellettualità italiana si scontrò infatti con l’ intolleranza gentiliana
quando Formiggini cercò di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per
la diffusione della cultura italiana. I suoi propositi si erano saldati con le
prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la propaganda all’estero
e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart: chiamato a far parte della
commissione per la proganda del libro italiano all’estero nell’ambito della
quale propose la pubblicazione di Guide bibliografiche per materie dove
uscirono, fra l’altro, la Geografia di Roberto Almagià e i Narratori di Luigi
Russo, Formiggini stabili i contatti politici necessari a lanciare un’impresa
l’Istituto per la propaganda della cultura italiana, poi Fondazione Leonardo
che doveva rappresentare non l’ultimo atto dell’Italia in guerra, ma il primo
dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con onore vorrà, senza invidia
delle altre nazioni, mettere in valore equamente il contributo non trascurabile
e finora trascurato che essa ha portato, anche negli ultimi decenni, al
progresso del sapere Abbiamo visto come l’iniziativa passasse nelle mani di
Gentile. Invano Formiggini lodò Croce per aver denunciato la balordaggine di
chi vorrebbe istituire una filosofia di stato e denunciò la marcia sulla
Leonardo di Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto l’idea di
una Grande enciclopedia italica l'editore modenese cercherà di realizzarla per
suo conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali e, in particolare, di
Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo patrimonio erano desti Formiggini,
Trenta anni dopo, L’Italia che scrive , Dalle lettere Buonaiuti appare
impegnato a redigere il piano generale della formigginiana Enciclopedia delle
enciclopedie; ne usciranno soltanto i volumi I, Economia domestica;
turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena, Formiggini e II, Pedagogia, Modena,
Formiggini, quest’ultimo coordinato da Fornati ad essere assorbiti,
nell’Istituto nazionale fascista di cultura, rassegna mensile della coltura
italiana pubblicata sotto gli auspici della Fondazione Leonardo diventava, il
Leonardo diretto da Prezzolini al quale l’anno successivo subentrerà Luigi
Russo ed esemplato su L’Italia che scrive con un contornetto (si capisce) di
4ff0 puro, se no il cataclisma non avrebbe avuto ragion d’essere , osservava
Formiggini che ruppe con Prezzolini riaffermando in pubblico, e in una lettera
privata a lui i propri ideali: Voialtri attualisti avete innegabile dottrina,
robusto ingegno, e disponete della forza formidabile di quel partito che
giudicaste cosî aspramente prima che esso subisse in pieno la vostra influenza
nefasta. Voi godete ormai persino di una insperata agiatezza che non vi
invidio. Io non ho né dottrina, né ingegno, né forza politica. Lavoro per
passione e per una esasperata volontà di bene e il lavoro mi costa tutta la
sostanza e mi costringe ad una vita sobria. Ma ho qualche cosina che voi non
avete: il cuore. La parola umanità vi fa ridere, e sarà l’umanità a fregarvi®9.
Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa tutta la carica etica di una
battaglia culturale ma anche, nella confusione del giudizio sul fascismo, i
limiti di una sua traduzione sul terreno politico. Tracciando un doloroso
bilancio della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia in un invito alla
conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento morale di Limentani:
soprattutto di pace c’è bisogno oggi. Occorre che l’uomo ritrovi nell’uomo il
proprio simile e che ciascuno rispetti nell’altrui dignità la propria. Quella
di Formiggini può essere considerata una vicenda esemplare, da un lato, dei
modi e dei tempi con i quali il fascismo procedette all’accaparramento delle
istitu miggini Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono un'impronta
antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco L’Italia che
scrive AF, Prezzolini. L'Italia che scrive , Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo zioni culturali esistenti per acquisire un consenso
sempre più vasto e, dall’altro, delle reazioni degli intellettuali di fronte al
tentativo fascista di utilizzarli. L’insidiosa politica di conciliazione
affidata dal fascismo a Gentile, e la stessa dichiarata assenza di una cultura
fascista , aprirono facili varchi al consenso presso molti intellettuali senza
precisa collocazione politica o portati a distinguere nettamente la politica
dalla cultura e, spesso, a privilegiare quest’ultima per le loro scelte. Ma,
proprio per questi stessi motivi, non sarebbe nemmeno corretto considerare come
incondizionato il consenso cosî estorto, o vederlo come un blocco uniforme
senza incrinature fin dall’inizio, al cui interno non permanessero adesioni
esteriori o ambigue capaci di ribaltarsi, attraverso maturazioni personali,
dove il comportamento politico immediato era contraddetto dal legame con una
cultura che voleva mantenersi in qualche modo autonoma. In questo quadro sono
collocabili molti collaboratori della casa editrice e lo stesso Formiggini, che
in nome del suo antico ideale di fratellanza pubblica un pungente pamphlet
antigentiliano nel quale il giovane cattolico Carlo Morandi riconosceva il
coraggio e la schiettezza di una difesa . Giustificando il proprio intervento
polemico contro la marcia sulla Leonardo , Formiggini scriveva ne La ficozza
filosofica del fascismo di avere reagito per legittima ritorsione e per il
pericolo d’ordine generale che ci sarebbe per la cultura italiana se l’assurdo
di una dittatura e di una tirannide dottrinale dovesse farsi piede nel nostro
paese . Ma i limiti della sua impostazione non si rivelano soltanto nella
contrapposizione fra il ruolo di armonizzatore di varie correnti culturali, da
lui impersonato, e quello di Gentile capo partito o nella riduzione
dell’attualismo a una semplice moda filosofica dai larghi consensi e di Gentile
a un giocoliere di idee , bensi anche nel giudizio sulla filosofia gentiliana
vista come una fortuita e non felice escrescenza [ficozza in roma 9 Studium
nesco] del fascismo . La distinzione operata da Formiggini è netta: da un lato
gli attualisti, sostanzialmente estranei ed equidistanti sia dal fascismo che
dal nazionalismo che si sono assunti ix foto il problema culturale di un
movimento puramente politico , dall’altro il fascismo che, come scriverà anche
in seguito, nelle sue prime manifestazioni, non negò affatto i diritti
dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento energico dell’ordine sociale che
era stato scosso. Nulla di strano che dei cittadini liberi vedessero questo
movimento con simpatia. Il mescolare il sapere con la politica è per noi cosa
delittuosa , affermò Formiggini motivando il suo rifiuto di sottoscrivere il
manifesto Croce, pur firmato da molti collaboratori della casa editrice ;
l’unica condanna esplicita di fascismo e attualismo, uniti sul piano morale, fu
formulata sulle pagine de L’Italia che scrive in occasione della crisi
Matteotti, in un articolo significativamente intitolato La filosofia del
manganello in cui, dopo aver ironizzato su Mussolini egli sa di filosofia e di
pedagogia qualche cosa meno di una vacca spagnuola Formiggini affermava che per
il fascismo la delusione più amara fu quella di non aver potuto trovare una
teoria morale che ne giustificasse i metodi e si comprende quanta riconoscenza
sentisse per il moralista di professione che, applicando il suo visto: si manganelli
agli atti violenti del fascismo, dava a questi una sanatoria di incalcolabile
valore . In realtà, una sia pur tenue difesa dalla scaltra politica di
conciliazione di Gentile e del fascismo verso gli intellettuali poteva essere
consentita da iniziative che si propoFormiggini, La ficozza filosofica del
fascismo, Il libro non ci sembra quindi, per la sua distinzione tra politica e
cultura, uno dei primi e più caustici pamphlets contro il fascismo , come è
apparso a R. De Felice (Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, c
L’Italia che scrive , Formiggini, Parole in libertà, cCome è falso che gli
ebrei costituiscano una razza, è anche falso che abbiano una loro forma mentis
che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente alle forme politiche
cosi dette totalitarie. L'Italia che scrive , L’Italia che scrive Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo nessero come apolitiche, ma fossero aperte
a intellettuali accomunati dall’opposizione alla filosofia del manganello . Fu
questo il caso, denso di compromissioni e contraddizioni profonde, di
Formiggini, che dopo la polemica antigentiliana sembra non desiderasse
discostarsi dall’ideale di equidistanza e di armonia perseguito in passato.
Cominciano ad apparire le Apologie che al posto delle religioni costituite
intendevano valorizzare il sentimento religioso in astratto, come quello che
può fare l’umanità migliore e più fraterna , e che annoverarono, accanto a
quelle dell’ebraismo di Dante Lattes e del cattolicesimo di Buonaiuti
(provvista ancora dell’imprimatur ecclesiastico nella seconda edizione poco
prima della scomunica del marzo, quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e del
positivismo di Tarozzi, il quale affermava che la posterità prossima e lontana
non vedrà fra l’idealismo e il positivismo, specialmente italiani, quella
divergenza assoluta e totale che oggi apparisce per la violenza della polemica.
Nella collana delle Medaglie , brevi profili di contemporanei all’elogio di
Mussolini ( una forza venuta nel momento storico opportuno ) scritto da
Prezzolini , Levi opponeva quello di Turati, esaltato nonostante l’autore
dichiarasse all’editore di essere stato molto sobrio negli accenni all’ora
presente per la probità della sua coerenza, la coerenza della sua probità Con
questa forza, che ignora, che sdegna i funambolismi di tutte le demagogie, ma
ha il coraggio e la pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più o
meno effimere fortune o dittature personali, ma si squadra almen qualche pietra
per costruzioni destinate alla storia !°, Co Formiggini, Trenta anni dopo,124.
anche il giudizio di Vida, Apologie religiose, in La Cultura , ITarozzi,
Apologia del positivismo, Roma, Formiggini, Prezzolini, Benito Mussolini, Roma,
Formiggini, Levi, Turati, Roma, Formiggini, Levi si adoperò anche per la
diffusione del volumetto: duecento ne hanno prese di copie, in attesa delle
immancabili bastonature gli eroici lavoratori di Molinella, che riscattano col
loro contegno di fierezza la vile acquie si, accanto al D'Annunzio di Antonio
Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini dedicava nel 1925 un ritratto
ad Amendola che, nonostante l’elogio del suo coraggio fino al rischio della
vita e le successive proteste di equanimità dell’autore !, si rivelava
impietoso e cinico: costringendolo a tacere nel parlamento, restituendolo al
giornalismo militante e all’opposizione attiva [il fascismo] gli ruppe quella
specie di ingessamento parlamentare, che pareva averlo stretto e immobilizzato
entro le formule e gli interessi di Montecitorio !. E la collana Polemiche
presentava insieme alle Battaglie giornalisti che del teorico del governo dei
migliori , Mussolini, Je Invettive di Marat, il teorico del governo dei molti .
Con questa sorta di do uf des si parlava comunque di uomini politici e
personaggi storici invisi al fascismo, pur con quell’ambiguità che è la nota
caratteristica anche di molti giudizi apparsi ne L’Italia che scrive . È
sintomatico ad esempio che La libertà di Stuart Mill pubblicata da Gobetti con
la prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata come opportuna non solo per gli
avversari della libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di oggi , o che,
mentre La rivoluzione liberale era giudicata programma di ardimento morale
della borghesia , come un violento spalancar d’usci all’irrompere di una nuova
coscienza proletaria e il ritratto di Matteotti una vita esemplare della
Rivoluzione liberale , nell’annuncio della morte di Gobetti il giudizio sul suo
anelito di ritrovare e d’imporre un fondamento etico al pensiero in tutte le
sue espressioni sia limitato da quello sulla sua cultura, costruita su basi
filosofiche e storicistiche un po’ astratte, per quanto profonde, che lo
allontanarono dal veder la vita scenza del popolo italiano , scriveva a
Formiggini (AF, Levi). Prezzolini affermerà di aver scritto la biografia di
Mussolini solo a patto che il Formiggini ne pubblicasse anche una
dell’Amendola. Prezzolini, Amendola e La Voce , Firenze, Sansoni,Prezzolini,
Giovanni Amendola, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo nella sua complessa realtà effettiva e gliela fecero giudicare per
schemi e teorie . E in settori più strettamente culturali, mentre Finzi
divenuto collaboratore assiduo del periodico considerava interessante
l’interpretazione marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e
verità, dal Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli col quale finalmente anche in
Italia si comincia a studiare seriamente il movimento operaio come fatto
storico, all’infuori di ogni preoccupazione di propaganda politica si traeva
motivo per mettere in luce l’azione insidiosa di Carlo Marx che si sarebbe
servito dell’anarchico russo per gettare i primi germi malsani onde poi in
Italia, unica tra le grandi nazioni, il socialismo nasceva e cresceva colorito
di quell’antipatriottismo che doveva essergli fatale durante e dopo la grande
guerra !°. Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi che
richiederebbero tuttavia un discorso a parte di alcuni collaboratori della
rivista provenienti dalle file del socialismo. Bisognerebbe poter seguire tutte
queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a ex socialisti come
l’Andriulli , notava Gramsci ' a proposito della recensione di quest’ultimo al
volume di Bonomi su Bissolati, uscito a Milano presso ere ma originariamente
proposto dall’autore a Formiggini Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto
l’impressione recente della disfatta prima morale che politica del socialismo
italiano scriveva l’ex collaboratore de La Difesa Andriulli, e con
semplicistica generalizzazione pensa ad esso come ad una delle forme di
maggiore aberrazione della vecchia Italia prebellica. Eppure, L'Italia che
scrive , Gramsci. ts Il libro è... purgatissimo scriveva Bonomi Il fascismo non
esisteva ancora durante l’attività politica di Bissolati, il quale gode non so
se goda veramente...! le simpatie fervidissime dei fascisti cremonesi e anche
quelle del Duce che inaugurò con un discorso nel 1923 una lapide in memoria di
lui . Ma Formiggini, che già nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al
fascismo di Bonomi, non aveva potuto accettare l'offerta anche se gli scriveva
un libro scritto da lei non può essere che interessantissimo e tale da non
procurare fastidi a chi lo pubblicasse (AF, Bonomi).solo che si pensi come il
socialismo italiano è stato la grande matrice di tutti i movimenti rinnovatori
del tempo nostro non esclusi né il nazionalismo né il fascismo si sarà tratti a
sospettare che ben altro fenomeno che non quello apparso nell’ultimo ventennio
deve essere stato il partito socialista italiano, e che soprattutto esso deve
essere stato una grande forza ideale se ebbe tanta virtà espansiva da
diffondersi rapidamente non solo nelle classi operaie ma in una gioventù
intellettuale generosa e disinteressata e da permeare di sé per un quarto di
secolo la vita italiana. Dove l’antica milizia politica del recensore,
approdato ciecamente alla rivoluzione fascista, è rivelata dal richiamo alla
forza ideale del partito e non solo all’efficacia pratica del movimento
socialista, come nell’interpretazione di un Gioacchino Volpe e dalla
considerazione finale sul fatto che avrebbero letto il libro con un senso di
soddisfazione specialmente coloro che, avendo a quel socialismo consacrato i
primi entusiasmi giovanili, anche dopo aver seguito opposte vie non sanno rinnegare
la loro disinteressata giovinezza. Apparentemente pit distaccate, ma sempre
puntuali e pronte a sottolineare il valore della persona umana, sono le
recensioni di argomento filosofico e giuridico con un interesse precipuo per i
rapporti Stato:chiesa di un altro socialista, Alfredo Poggi, che da Critica
sociale e dalla Rivista di filosofia passa in questi anni al gruppo di Pietre ,
per poi rispuntare come responsabile del partito socialista subito dopo 1°’8
settembre, e che collabora assiduamente a L’Italia che scrive fino all’ anno in
cui fu denunciato e arrestato per antifascismo. E mentre Rensi, al termine del
viaggio dal socialismo idealista allo scetticismo, insiste in un profilo di
Spinoza sui limiti dello stato di fronte alla libertà di pensiero dei
cittadini, sul suo dovere di non comandare cose che urtino le leggi della
natura umana al coordinamento perfetto di autorità e libertà, alla
determinazione cioè della misura di libertà che l’autorità deve concedere
appunto per poter essere e conservarsi autorità quale indicata da Spinoza,
anche oggi potrebbe forse essere rivolto util L'Italia che scrive Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo mente lo sguardo !, sulla rivista faceva
una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una recensione, giudicata
notevole e acuta da Gramsci, che costitui una delle poche stroncature del
Superamento del marxismo di De Man pubblicato da Laterza, di cui si metteva in
luce lo psicologismo incapace di contrastare realmente il marxismo e di
spiegare i fatti storici. Sono pochi esempi che sarebbe errato sopravvalutare,
considerata anche la sempre minore incisività della casa editrice, che di lî a
poco accuserà duramente i contraccolpi della grande crisi. Essi indicano
tuttavia, accanto a un’estrema confusione, la esistenza di dubbi e di una prima
presa di distanza non solo culturale, nella quale certezze sempre coltivate si
incontrano con altre maturate di recente. Attorno a Formiggini troviamo uomini
emarginati dal fascismo, come prima erano stati emarginati dall’idealismo:
anche attraverso questo canale passa quindi una cultura, seppure minore, che
non si riconosce in quella ufficiale del regime. Le scelte di venti anni prima
dimostrano una loro tenuta anche dopo l’avvento del fascismo, pur dovendo
nascondersi tra le righe di una rivista bibliografica o sotto il più antico
degli espedienti mimetici. Al linguaggio degli animali ricorre infatti un amico
di vecchia data dell’editore modenese, forse il più caro, Concetto Marchesi.
Conosco le tue vicende: e perciò ti ho voluto bene , gli scrive Marchesi. Le
lettere dell’intellettuale comunista all'editore che ha sempre aborrito la
politica gettano luce sull’antifascismo del primo e sull’ironico distacco dalla
realtà del secondo, non alieno tuttavia dal gioco dell’allusione politica. Le
Favole esopiche il tuo più che mio, Esopo , scrive il curatore escono con una
prefazione in cui Marchesi si sbizzarrisce a capriccio; e non ci sarà niente da
ridire perché siamo nel mondo fantastico delle bestie !, inserendovi un ri Rensi,
Spinoza, Roma, Formiggini, L’Italia che scrive , Gramsci, Marchesi. Per la
figura politica di Marchesi la mia voce in F. Andreucci - T. Detti, Il movi
cordo autobiografico sul periodo del primo arresto, studente socialista:
‘odiavo la macchina, l’ornamento civile del nostro tempo. La macchina era per
me, allora, lo strumento maledetto onde la ricchezza dei pochi si era
impadronita di tutte le povere braccia della terra: era il vortice metallico in
cui la miseria del mondo precipitava per farne uscire torrenti di oro e di
sangue, a ristoro della superbia e dell’avarizia. Si chiariscono cosi in tutta
la loro ironia, per acquistare valore di impegno civile, le parole con le quali
Formiggini si rivolgeva al lettore nella nota che apre il volume: se tu leggerai
questa versione del magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre
sinuosità della sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti
parrà di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario !°. mento
operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, ed E.
Franceschini, Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo
inquieto, Padova, Antenore, In una lettera Rossi commentava dalla galera
fascista la notizia del suicidio di Formiggini, con parole che ci sembra
possano riassumere tutta la sua esperienza: Pare ci sia una vera epidemia di
suicidi. Quello che a me ha fatto più impressione è stato il suicidio del
vecchio Formiggini. Aveva fatto per l’incremento della cultura italiana più di
quanto hanno fatto molti illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri
Eterni. Lui non aveva mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative
editoriali eran sempre intelligenti e di buon gusto. La collezione dei Classici
del ridere era la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea,
della sua serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto
molto che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto
gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di
chierico della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli uomini
quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su cui poggiare i
piedi. E lui era vecchio ed era sempre rimasto estraneo il più possibile alle
lotte della politica, vivendo solo fra i suoi libri e per i suoi libri (E.
Rossi, Elogio Ft ia Lettere, a cura di M. Magini, Bari, Laterza, I limiti del
consenso: le origini della casa editrice Einaudi Il futuro verrà da un lungo
dolore e un lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e
smarrimento che sia umiltà, la scoperta insomma di nuovi valori, un nuovo mondo
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere) 1. Iniziative editoriali negli anni 30
Il problema della formazione della cultura post-fascista, quale si venne
elaborando non nell’antifascismo dell'emigrazione, ma nell’Italia degli anni
’30 e a cavallo della seconda guerra mondiale, non è stato ancora affrontato
con puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti in presenza di uno iato
assai profondo fra le ricerche su intellettuali o riviste del ventennio, che
culminano nell’esperienza di Primato , e alcuni sondaggi sulla cosiddetta
ideologia della ricostruzione del dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due
momenti si traduce, ovviamente, in carenze interpretative, che si manifestano
in tesi troppo rigidamente contrapposte, sia che insistano ma con sempre minore
frequenza sugli elementi di rottura , sia che sottolineino, in negativo o in
positivo, quelli di continuità tra fascismo e post-fascismo. La questione è
certo assai complessa, ma non può essere risolta dando credito a improvvise
conversioni di coscienze indivi. duali, né applicando ad esempio a Cantimori il
nicodemismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricorrendo alle
categorie del trasformismo o del populismo degli intellettuali, senza tener
conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la posizione degli
intellettuali e le trasformazioni sociali e politiche del paese. La complessità
del problema storiografico, è necessario riconoscerlo, corrisponde alla
complessità del processo storico reale, a un aspro scontro politico e culturale
insieme che non solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le varie
correnti dell’antifascismo italiano, con quegli elementi di incertezza e di
contraddizione di fronte all’idealismo che ricorderà anche Togliatti !. E, pur
ammettendo l’esistenza di differenziazioni culturali che si vanno manifestando
in particolare con l’inizio della guerra di Spagna, non possiamo prescindere
dal forte condizionamento, culturale e politico, esercitato dalle istituzioni
del regime, che raggiunsero il punto pit alto di consenso, almeno formalmente,
nei primi anni di guerra, quando vediamo Salvatorelli e Omodeo collaborare
all’ISPI, o Cantimori al Dizionario di politica del Pnf ?. Se queste
collaborazioni non significavano automaticamente, da un punto di vista
soggettivo, adesione alla politica del regime, non bisogna tuttavia dimenticare
che come aveva osservato Volpe il loro colore era dato, agli occhi dei lettori
e indipendentemente dai riposti pensieri degli intellettuali, non tanto dai
contenuti, quanto dalla veste ufficiale in cui questi apparivano . Spesso,
inoltre, collaborare alle iniziative del regime poteva spiegarsi con
l'illusione di una apoliticità della cultura, la cui difesa può aver costituito
per alcuni intellettuali una tappa importante per cominciare ad allontanarsi
dal fascismo, senza essere, per questo, indice di un antifascismo già maturo
politicamente. È infatti solo sotto la veste culturale che è possibile rinvenire,
nell’Italia, il tentativo di differenziarsi dall’ideologia del regime, anche se
con il rischio, come osservò Marchesi a proposito dell’università, di chiudersi
nella indifferenza poli 1 il suo intervento alla commissione culturale
nazionale inTogliatti, Le politica culturale, a cura di L. Gruppi, Roma,
Editori Riuniti, Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la
seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea ,Volpe rispose in fatti a
Rosselli, a proposito dei collaboratori della Rivista di storia europea
vagheggiata da quest’ultimo, che bisognava essere ben certi che è la rivista a
dar loro il colore desiderato, e non viceversa (cit. in Rosselli. Uno storico
sotto il fascismo. Lettere e scritti vari, a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze,
La Nuova Italia, Le origini della casa editrice Einaudi tica e morale ‘. Il
significato politico di una scelta culturale va quindi verificato caso per
caso, guardandosi dal tradurre immediatamente in consapevolezza politica una
cultura che non si riconosce in quella ufficiale del fascismo. Per questo
preferiamo parlare di limiti del consenso piuttosto che di antifascismo :
termine e categotia che non è certo da escludere e allora occorrerà precisarne
meglio le caratteristiche, ma che per singoli intellettuali o per imprese
culturali collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con estrema
cautela sotto il regime, può prestarsi a frettolose retrodatazioni di prese di
coscienza che acquistarono spesso peso politico solo con la guerra o dopo il 25
luglio 1943, e che può comportare un giudizio altrettanto generico del termine
avalutativo di afascista troppo frequentemente usato per qualificare, come
fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici. Queste cautele ci
paiono necessarie anche nello studio di una casa editrice come quella di Giulio
Einaudi che, centro di attrazione di aderenti a Giustizia e Libertà, di
azionisti e poi di comunisti, all’indomani della Liberazione potrà vantare i
maggiori meriti antifascisti, tanto da fiancheggiare la politica del PCI che le
affiderà la pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste sue
caratteristiche di punta , comunemente accettate tanto da farne ritenere meno
interessante l’analisi, in quanto anticonformista e antifascista fin dalla
nascita, per la presenza di Pavese e di Ginzburg, che la scelta di studiare
questa casa editrice ci è parsa particolarmente significativa per verificare al
massimo , nei punti più alti, i limiti del consenso al regime, e gli elementi
di continuità o di rottura tra fascismo e postfascismo. Un'indagine del genere
dovrebbe tener conto, oltre che dei condizionamenti oggettivi propri di
un’azienda economica e di un’iniziativa culturale rivolta al pubblico 4 C.
Marchesi, Fascismo e università (1945), ora in Umanesimo e comunismo, a cura di
M. Todaro-Faronda, Roma, Editori Riuniti, Cosî Isnenghi, Intellettuali
militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino,
Einaudi, sotto il regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa editrice si
riproponeva, anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo conosciamo solo
la ristretta élite dei recensori, pur assai significativa, se pensiamo che fra
i giudizi favorevoli alla produzione storiografica meno conformista di Einaudi
spiccano quelli della Nuova rivista storica che negli anni ’30, sotto la
direzione di Luzzatto, veniva anch’essa configurandosi come centro di
aggregazione di intellettuali operanti ai margini del regime. Gli obiettivi
dell’editore torinese sono ricavabili, ma solo parzialmente, dal carteggio con
i collaboratori, a differenza di Formiggini, che fino al 1925 poteva esporre
pubblicamente i suoi programmi e le sue proteste; per le testimonianze esterne
le carenze sono invece comuni, anche se su Einaudi il ricordo di Ambrogio
Donini la sua attività editoriale, appena agli inizi, si andava già orientando,
tra difficoltà e persecuzioni di ogni genere, verso temi nazionali e interna.
zionali atti a staccare l’Italia dal disastroso clima di provincialismo in cui
si esaurivano le energie dei suoi giovani studiosi concorda con il giudizio di
Cantimori, che in lui vedrà l’inventore dell’editore come educatore. In assenza
di un campione di lettori, bisognerà chiedersi, almeno fino alla caduta del
fascismo, come un eventuale lettore poteva accogliere i messaggi culturali
forniti dalla casa editrice, e se questi erano traducibili politi. camente;
tenere presente, inoltre, il panorama pi generale dell’editoria italiana, o
almeno delle case editrici meno aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove
ciò sia possibile, data la mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di
testimonianze. Pur nella loro parzialità, anche queste ultime possono essere
indicative di alcune linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà come, contrario
a stabilire un difficile e pericoloso collegamento con gli antifascisti
all’estero, egli 6 Sulla Nuova rivista storica A. Casali, Storici italiani tra
le due guerre. La Nuova rivista storica Napoli, Guida, Prefazione aRobotti, La
prova, Bari, Leonardo da Vinci, Cantimori, Conversando di storia, Bari,
Laterza, avesse sostenuto la necessità di alimentare la formazione ideologica
dei giovani con i libri disponibili in Italia, e indicherà le case editrici più
utili a questo scopo in Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli Elementi di
un'esperienza religiosa (editi da Laterza), che fu in con-. tatto anche con
Einaudi, citava fra i testi di Guanda un editore particolarmente attento alla
tematica religiosa quelli di Martinetti, Tilgher e Rensi, espressione di un
filone spiritualista, critico dell’ottimismo storicistico, che si ritagliò un
ampio spazio editoriale nella crisi di valori. Le iniziative a carattere
religioso ebbero certo una maggiore libertà di azione, come testimonia la
fondazione della Morcelliana !°, ma probabilmente, a differenza della politica
di stretto controllo usata nei confronti della stampa periodica, il fascismo
lasciò un certo grado di autonomia a tutto il settore editoriale che si
rivolgeva a un pubblico più ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e
comportava quindi minori pericoli, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la
Federazione nazionale fascista dell’industria editoriale, il cui presidente,
Franco Ciarlantini, lamentando la crisi del libro, inviterà il governo a misure
di controllo sulle piccole iniziative private, e a un’opera di promozione
economica e morale ; ma la censura dei libri non fu condotta con criteri
precisi, e rimase affidata alla discrezionalità dei prefetti anche quando essa
passò, nel 1935, dalla competenza del ministero dell’Interno a quella del
ministero per la Stampa e la propaganda, mentre la Commissione per la bonifica
libraria, concentrò la sua attenzione sui testi di autori ebrei !!. Ed è forse
questa parziale autonomia che spiega come nel corso degli Capitini, Antifascismo
tra î giovani, Trapani, Célèbes, 1 Morcelliana Humanitas Brescia, Morcelliana,
BaroneA. Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in
Italia, Milano, Mazzotta, Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Milano,
Ceschina, Cannistraro, Le fabbrica del consenso. Fascismo e mass media,
prefazione di R. De Felice, Bari, Laterza, tanti intellettuali tendano a
divenire organizzatori di cultura attraverso l’editoria: accanto alle edizioni
collegate a riviste, e agli effimeri tentativi di Domenico Petrini con la
Bibliotheca editrice di Rieti o di Carlo Pellegrini con la Taddei di Ferrara,
vediamo che nel 1926 viene fondata da Elda Bossi e Giuseppe Maranini La Nuova
Italia, che nel 1930 passerà a Firenze sotto la direzione di Codignola, nel
1927 la Slavia dell’ex sindacalista rivoluzionario Alfredo Polledro, nel 1929
la casa editrice di Valentino Bompiani, formatosi alla Mondadori; e, mentre
Gentile, già direttore di due collane, filosofica e storica, presso Le Monnier,
assume la direzione della Sansoni trasformandone rapidamente il catalogo
secondo il proprio orientamento culturale e politico !?, due intellettuali
antifascisti di diversa matrice ideologica, Franco Antonicelli e Rodolfo
Morandi, trovano nell’editoria uno strumento per tentare di allargare i sempre
più stretti confini culturali del paese: il primo si associa con il tipografo
Carlo Frassinelli per proporre testi della letteratura straniera contemporanea,
il secondo con l’editore Corticelli per far conoscere La rivoluzione francese
di Mathiez o il Napoleone di Tarlè, e far riflettere sulle esperienze di nuove
realtà politiche, come la Cina e l’Unione Sovietica . È in questo contesto che
si colloca, alla fine del 1933, la fondazione della Einaudi da parte di un
nucleo originariamente ben definito di intellettuali, molti dei quali aderenti
a Giustizia e Libertà, la cui opera culturale ha quindi larvati risvolti
politici, che imporrebbero un confronto puntuale con alcune delle case editrici
che si sono presentate, all'indomani della Liberazione, con una patente
antifascista. Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della
cultura italiana, Firenze, Sansoni, Su Antonicelli editore che nel 1942 fonderà
la casa editrice De Silva ( la sua testimonianza in Rinascita, Bobbio, Trent'anni
di storia della cultura a Torino, Torino, Cassa di Risparmio, Fubini, Il
mestiere del letterato, in AA.VV., Su Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero
Gobetti; un cenno all’attività editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti,
Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, Laterza, Le origini
della casa editrice Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai scarse
e promosse da occasioni celebrative o fornite dai diretti interessati, pur
offrendo utili spunti interpretativi, avrebbero bisogno di ulteriori
approfondimenti. È il caso, ad esempio, di Laterza, de La Nuova Italia e di
Bompiani. ‘ Nella casa editrice barese, durante il periodo della difesa eroica,
Croce è stato scritto accolse anche chi era da lui lontano, e contribuf a
preparare non pochi che, poi, scelsero posizioni a lui avverse. Sui libri che
fece leggere agli italiani, con la collaborazione di Giovanni Laterza, si
formarono cosi liberali come socialisti e comunisti, cosî idealisti come
materialisti ; e, riprendendo il discorso, Garin ha individuato nelle opere
uscite nel ventennio nella Biblioteca di cultura moderna l’accorta opera
d’informazione unita alla difesa di una vocazione umana anteriore a ogni lotta
o differenza di parte. Nei libri, a volte assai mediocri, di storici, filosofi,
critici, economisti, offerti con una apertura eccezionale , c'è sotteso
l’invito a non dimenticare mai quella dimensione umana che, pur nel divenire
temporale e nelle dislocazioni spaziali, è capace di comprendere anche
l’avversario. Che fu il valore di uno storicismo e di un umanismo tutt’affatto
particolari, di una difesa della razionalità e della libertà, che in un’epoca
intesa a celebrare l’hbomo bomini lupus ricordò costantemente il senso
dell’homo homini deus !8. Giudizio che andrebbe, a nostro parere, sfumato, in
quanto, se accanto a Omodeo, Russo o De Ruggiero, Croce accolse un Rodolfo
Morandi, la linea generale della casa editrice fu orientata in un senso ben
determinato che non si apriva a tutti gli avversari , come testimonia nel 1938
il commento crociano alla ristampa dei saggi di Labriola, 0, nel 1929-31,
l'edizione de Il superamento del marxismo e La gioia del lavoro di De Man. Un
discorso analogo può essere fatto per La Nuova Italia di Codignola: se è vero
che fu centro di aggregazione di esponenti di rilievo del Partito d'Azione e
che, col suo 14 E. Garin, La Casa editrice Laterza e mezzo secolo di cultura
italiana (1961), ora in Id., La cultura italiana tra ‘800 e ’900. Studi e
ricerche, Bari, Laterza, 1963,170, e Id., Il mestiere di editore, prefazione al
Catalogo generale delle edizioni Laterza impegno, insieme, di socialismo, di
liberalismo rivoluzionario, di laicismo intransigente , contributi
all’organizzazione del dissenso !, è necessario tuttavia non anticipare un orientamento
politico che si venne delineando, e manifestando, a fatica e non senza
contraddizioni, se pensiamo al persistente legame, ancora negli anni ’30, di
Codignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato in
senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del regime
'‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia della propria casa
editrice, pur riconoscendo il suo iniziale disimpegno ideologico , valorizza
giustamente la scoperta, alla fine degli anni ’30, della letteratura americana,
con Uomini e topi di Steinbeck e Piccolo campo di Caldwell, tradotti
rispettivamente da Pavese e Vittorini, due libri che parlavano dell’uomo, della
sua condizione e miserià, con diretto impegno sociale e politico . Ma come non
riflettere di fronte al fatto che, mentre la censura interveniva duramente e
con particolare ottusità '" come testimonia l'editore, lo stesso Bompiani
proponeva nel 1940 al Ministero della cultura popolare un accordo per lanciare
una Biblioteca essenziale dell’italiano , incentrata sui temi patria,
religione, cultura, famiglia, fra i cui autori dovevano comparire Bottai,
Bargellini e De Luca, costituita 15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare,
in 50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova Italia,
Firenze, La Nuova Italia, 1976,XII; anche, oltre al ritratto di Ernesto
Codignola tracciato da Garin, Intellettuali italiani del XX. secolo, Roma,
Editori Riuniti, 1974,137-169, gli interventi di E. Garin, N. Bobbio e T.
Codignola in occasione del cinquantenario della casa editrice, ne Il Ponte
Questi elementi sono ben messi in luce da S. Giusti, La ‘casa editrice La Nuova
Italia 1926-1943, di prossima pubblicazione. . 17 V. Bompiani, Via privata,
Milano, Mondadori, 1973,43, 143. 18 In un rapporto anonimo al duce del 26
giugno 1943 si diceva: Proprio nei giorni dei massacri di Grosseto, di Sardegna
e Sicilia, l’editore Bompiani mette sfacciatamente fuori un mattonissimo
intitolato Americana, antologia di scarso valore con prefazione di un
accademico e traduzione di Vittorini; antologia condotta sui modelli dell’ebreo
Lewis. E lo stesso Bompiani continua nelle stampe e ristampe di Cronin,
Stein‘beck, ed altri, bolscevichi puri e in ogni caso perniciosissimi (AGS,
Ministero della cultura popolare, b. 27, fasc. da alcune centinaia di migliaia
di volumetti da diffondere nei centri con popolazione minore a 10.000 abitanti,
distribuendoli ad esempio, a partire dal Natale di Roma , a tutti coloro che si
sposano nel corso dell’anno, affermando cost il principio che non si deve
costituire una famiglia senza avere in casa quei pochi libri che diano a un
cittadino italiano la conoscenza e la coscienza della sua Patria ? !
Condizionamenti politici, autocensure, necessità economiche proprie di ogni casa
editrice in quanto azienda industriale, costituiscono quindi il quadro entro il
quale deve essere valutata anche l’opera della Einaudi, verificando
puntualmente senza stabilire schematiche equivalenze la traducibilità politica
dei suoi messaggi culturali. Con ciò non vogliamo disconoscere, in linea
generale, quanto ha ricordato Giulio Einaudi il primo modo di sfidare il
fascismo era quello di non parlarne mai, di fare come se non esistesse ?, anche
se in qualche caso il fascismo si affaccia nella produzione della casa, né,
quindi, negare la prospettiva in cui si muoveva l’editore, che era, come ha
osservato Bobbio, quella di offrire alla giovane cultura torinese lo strumento
più adatto e meno pericoloso dati i tempi per esprimere la propria voce, e di
non lasciare svanire nel nulla la grande esperienza gobettiana ?. Si tratta
piuttosto di misurare la possibilità o capacità di attuazione di questi
propositi, di vedere se sono univoci o differenziati e contraddittori e, in
questo caso, quali voci culturali politicamente significative predominano, e in
quale periodo; verificare, infine, quali elementi di continuità o di
rinnovamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo postbellico. La
decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa editrice non è comprensibile se
prescindiamo dall’ambiente torinese, sia quello rappresentato dalla Slavia di
Alfredo 19 Ibidem. Alcuni testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia
della patria di Piero Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi
(Archivio della casa editrice Einaudi (d’ora in avanti AE), G. Einaudi). © N.
Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, Polledro, che nella
collana Il genio russo presentò per la prima volta in Italia traduzioni
integrali alcune opera di Leone Ginzburg di Turgheniev, Gogol, Dostoevskij,
Tolstoj e Cechov, da cui attingerà in parte la collana einaudiana dei Narratori
stranieri tradotti ; sia quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di
educatore di Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di Antonicelli,
Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de La Cultura passata sotto la
direzione di Arrigo Cajumi. Un modello che Einaudi terrà presente fu la
Biblioteca europea , diretta da Antonicelli, presso il tipografo Frassinelli,
dal 1932 al 1935 quando fu arrestato, dove uscirono L’armata a cavallo di
Babel, e, tradotti da Pavese, Moby Dick di Melville, Riso mero di Anderson e
Dedalus di Joyce 2. Ispirandosi a Gobetti, l’editore ideale #, Antonicelli
raccolse per primo le forze intellettuali torinesi che si erano formate sotto
il magistero di Monti, ma in una prospettiva ancora liberale: Al di là di Croce
non vedevo. I marxisti non sapevo cosa fossero , ricorderà più tardi,
riconoscendo che le proprie convinzioni politiche erano maturate solo dopo la Liberazione
. Da un innesto tra crociana religione della libertà e tradizione gobettiana
partiva anche Ginzburg, il quale ebbe gran parte nella fondazione della casa
editrice Einaudi . Ai numerosi interessi culturali dalla letteratura russa alla
storia egli univa, a differenza di Antonicelli, un saldo impegno politico da
quando aveva aderito, nel 1932, a Giustizia e Libertà. Noi non crediamo utile
ai fini della lotta antifascista che ci si debba sottoporre a una specie di
rinuncia intellettuale , scriveva sul periodico del movimento clandestino, dove
invitò ad approfondire la proGobetti, L’editore ideale. Frammenti
autobiografici con icoRO ehe; a cura e con prefazione di F. Antonicelli,
Milano, Scheiwiller, 24 F. Antonicelli, Le pratica della libertà. Documenti,
discorsi, scritti politici 1929-1974. Con un ritratto critico di C. Stajano,
Torino, Einaudi, 1976,X-XI. 25 l'importante introduzione di N. Bobbio a L.
Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi pria coscienza rivoluzionaria con la
meditazione, lo studio, l’attività clandestina , a riflettere sulla visione
gobettiana della rivoluzione russa e a studiare Cattaneo, scrisse assieme a
Croce il famoso articolo contro la centralizzazione delle istituzioni culturali
operata dal ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, e rivendicò
come principale ragion di vita di Giustizia e Libertà il lavoro,
d’organizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i suoi auspici #.
E della sua capacità di mobilitare altre intelligenze dette atto nel dicembre
1934, pochi giorni dopo il suo arresto, Giustizia e Libertà : È uno dei pochi,
anzi dei pochissimi, che in regime legale di fascismo riescono ad avere un
pensiero e un'influenza sul pensiero degli altri 7. Mentre già nel 1930 Cajumi
aveva pensato a una casa editrice espressione de La Cultura # alla quale
Ginzburg collaborava dal 1929, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra l’ambiente
torinese ed esponenti dell’ambiente fiorentino tra loro vicini, Nello Rosselli
e il gruppo di Solaria . Rosselli, che stava cercando di varare una Rivista di
storia europea di cui Ginzburg avrebbe dovuto essere gerente responsabile e
coredattore, fu contattato per preparare un volume su Mazzini per la progettata
Biblioteca di cultura storica ?; Alberto Carocci, il direttore di Solaria che per
le difficili condizioni finanziarie della rivista stava già cercando l’appoggio
di un editore per questa e le sue edizioni, entrò in rapporto, tramite
Ginzburg, con Giulio Einaudi che alla fine di novembre del 1933 quando già, il
15 del mese, si era iscritto alla Camera di commercio di Torino come editore,
pur rifiu 26 Ibidem, in particolare5, 16, 29. © Leone Ginzburg, Giustizia e
Libertà , 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che il 6 novembre 1934 lo
condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò come l’anima di GL a Torino
(ACS, Ministero della giustizia e degli affari di culto. Direzione generale per
gli istituti di prevenzione e di pena, fasc. 46489). 2 Ginzburg mi ha accennato
a una Sua intenzione di formare una casa editrice la Cultura , scriveva Pavese
a Cajumi il 27 settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L.
Mondo, Torino, Einaudi, 1966,241). 2 Nello Rosselli. Uno storico sotto il
fascismo, in partico lare139 e 143-45, e AE, N. Rosselli TI fascismo e il
consenso degli intellettuali tando la proposta di Carocci di trasformare
Solaria in casa editrice, fece l’offerta, poi caduta, di rilevare la sola
rivista, osservando che qualche volta sarebbe bene trattare qualche argomento
non puramente letterario, ma che presenti interesse dal punto di vista sociale
contemporaneo °: un’indicazione di lavoro che darà anche per La Cultura , e che
testimonia quella volontà di impegno civile che in quello stesso anno era
avvertita anche da Carocci. La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio
quando un decreto prefettizio del 1934 metteva fine a Solaria , accusata di
contenuto contrario alla morale per un numero che pubblicava una puntata de I
garofano rosso di Vittorini: la rivista che si era rifugiata nella repubblica
delle lettere accettando di convivere col fascismo, nell’illusione di
conservare intatta l’autentica superiorità dell’intelligenza borghese,
l’eredità lasciata dall’attivismo barettiano e dall’attendismo rondiano ,
terminava la sua vita proprio quando cercava, nel 1933-34, di impegnarsi
ideologicamente, trasformandosi, come era nelle intenzioni di Carocci, in
rivista d’idee , e quindi di discussione anche col fascismo . Forse non fu solo
una coincidenza, se si pensa che gli intellettuali fiorentini si dimostrarono
per il momento incapaci, come gruppo, di trasformare la letteratura in impegno.
Sarà quanto tenterà di fare quella che un rapporto della polizia del marzo 1934
definiva una nuova casa editrice torinese la quale avrà il compito di
diffondere pubblicazioni antifasciste abilmente compilate e attorno alle quali
da ora in avanti si andranno raggruppando gli elementi antifascisti del mondo
intellettuale , fra i quali si indicavano i senatori Francesco Ruffini e Luigi
Della Torre, Luigi Einaudi e Nello Rosselli . Che fisionomia ha que 30 Lettere
a Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979, passizz,
e, per la lettera di Einaudi a Carocci del 30 novembre 1933,461. 31 G. Luti,
Cronache letterarie tra le due guerre 1920-1940, Bari, TARA: 1966, in particolare96
e 127, e Lettere a Solaria Cit. in R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni
del consenso Torino, Einaudi, 1974,115 n. Bottai, che durante la guerra 204 Le
origini della casa editrice Einaudi sta Casa editrice? Quale programma si
propone di svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E tu fino a che punto
ci sei interessato? , scriveva Rosselli a Ginzburg : ad alcune di queste
domande non saremo in grado di rispondere, in particolare a quella relativa al
finanziamento della casa editrice, che provenne probabilmente da Luigi Einaudi,
al quale è forse da attribuire anche una funzione di copertura politica
all’iniziativa del figlio, come si può dedurre dalla marcata impronta
conservatrice della prima collana, Problemi contemporanei . Ci limiteremo perciò,
anche in assenza, prima del 1945, di dati sulle tirature e sulle vendite, a una
storia prevalentemente interna della casa editrice, dedicando tuttavia
particolare attenzione alle collane, ai volumi e ai temi culturali nei quali
sia più facilmente ravvisabile un orientamento politico, nell’intento, indicato
all’inizio, di verificare, oltre ai limiti del consenso al fascismo, se negli
anni ’30 sono rinvenibili alcune delle matrici della cultura del dopoguerra. 2.
L'ideologia conservatrice di Luigi Einaudi Le prime, cospicue forze della casa
editrice furono raccolte tramite le due riviste di grande prestigio rilevate da
Giulio Einaudi nel 1934, La Riforma sociale e La Cultura mentre resta
eccentrica rispetto al nostro discorso La Rassegna musicale , che pur
testimonia come fin dall’inizio l’editore cercasse spazi culturali
differenziati. La Cultura , da cui la nuova impresa editoriale riprese come
proprio segno distintivo il simbolo dello struzzo, costitui nella sua pur breve
esistenza in veste einaudiana, il collegamento dei giovani sarà in stretto
contatto con l’ambiente della casa editrice, giudicando antifascista la
posizione espressa dal crociano Francesco Flora in Civiltà del Novecento
pubblicato da Laterza nel 1933, osservava che Laterza è, insieme con Giulio
Finaudi della Riforma sociale, uno degli editori italiani, che ignora che siamo
nell’anno XII dell’Era Fascista (G. Bottai, Appelli all'uomo, in Critica
fascista , XII (1934), n. 1,4). Rosselli. Uno storico sotto il fascismo,150.
allievi di Monti fra cui Giulio Einaudi con la tradizione gobettiana, ma solo
in una più lunga prospettiva i suoi collaboratori e le sue curiosità culturali
diverranno punto di riferimento per gli orientamenti della casa. In questa
maggiore peso politico ebbe all’inizio, con La Riforma sociale , il gruppo di
liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi Einaudi, nel quale si può forse
ravvisare, se non l’ideatore, la forza decisiva per la nascita della casa
editrice. È questo un elemento di conoscenza che pare confortato da alcuni
documenti e anche da un semplice esame del catalogo editoriale, e che, finora
trascurato dalle testimonianze, fornisce una caratterizzazione meno
provvidenzialistica , in senso progressivo, dei primi passi della casa
editrice. La rivista La Riforma sociale suona un avviso di Luigi Einaudi
databile al 1933 allo scopo di contribuire alla illustrazione dei problemi
sociali ed economici e specialmente di quelli determinati dallo stato presente
di crisi e dai piani di ricostruzione e di regolazione sia nei rapporti
nazionali che internazionali, pubblicherà accanto ai fascicoli bimestrali,
destinati ad ospitare studi di mole relativamente tenue, volumi atti a
trattazioni più larghe, di circa 150 pagine e con una tiratura di 1.000 copie,
dal carattere rigorosamente scientifico , tuttavia accessibile al pubblico
colto in generale . Votrei preparare un piano di collaborazioni , scriveva il
31 ottobre 1933, poco prima della fondazione della casa editrice, Luigi Einaudi
ad Attilio Cabiati, l’amico fidato che inaugurerà nel 1934 la collana Problemi
contemporanei e che si dimostrerà particolarmente attivo nel suggerire
all'editore proposte di traduzioni . Problemi con 3 L'avviso dattiloscritto si
trova nell’Archivio della Fondazione Luigi Einaudi di Torino, sezione 2 (d’ora
in avanti AFE), nel fasc. Croce. L’intervento di Luigi Einaudi nella casa
editrice è testimoniato anche da una lettera che il figlio gli scrisse il 17
novembre 1942, inviandogli il progetto di un volume di Sismondi: Per altri
classici dell'economia, che possono avere un interesse vivo anche in avvenire,
ti sarò grato se mi vorrai favorire i testi originali con un breve giudizio
(AE, L. Einaudi). 35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi, prevalentemente rivolti
al mondo anglosassone, A. Cajumi, Ricordo di Attilio Cabiati, in L'Industria
Allorché capitò la faccenda del giuramento, si consultò con Francesco Ruffini e
con Einaudi, e salvò il salvabile, ossia 206 Le origini della casa editrice
Einaudi temporanei nasce infatti come Biblioteca della rivista La Riforma
sociale , controllata e orientata personal mente da Luigi Einaudi fino al 1944,
come la Collezione di scritti inediti o rari di economisti (1934), le Opere di
Luigi Einaudi , la Collezione di opere scientifiche di economia e finanza
(1934) e la Biblioteca di cultura economica (1939); e, nel magro bilancio dei
volumi pubblicati nei primi anni solo con la guetra la casa editrice assumerà
proporzioni ragguardevoli, tutti i 9 titoli del 1934, e 9 su 11 nel 1935, sono
testi economici di queste collezioni, che nel periodo 1934-44 rappresenteranno
sempre un quarto di tutte le pubblicazioni 55 su 212 titoli , in cui spiccano,
per il peso del loro messaggio cultutale e politico, i 35 volumi di Problemi
contemporanei . La presenza di Luigi Einaudi aveva un altro punto di forza
nella direzione della Rivista di storia economica , pubblicata per i tipi della
casa editrice, cui fu permesso di continuare sotto un titolo apparentemente
accademico e asettico la battaglia liberista de La Riforma sociale , soppressa
nel 1935 perché coinvolta, solo editorialmente, negli arresti di Giulio Einaudi
e dei suoi amici e collaboratori appartenenti a GL, alcuni dei quali animatori
de La Cultura , alla quale la censura fascista non concesse possibilità di
reincarnazione, sotto nessuna veste . Appare quindi necessario analizzare
l’ideologia del gruppo liberista quale si manifesta non solo nelle collane, ma
anche nelle riviste dirette da Luigi Einaudi e, in parte, ne La Cultura , alla
cui influenza è forse da attribuire lo stesso orientamento anglofilo di altre
collane storiche o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto, la profonda
conoscenza del mondo britannico di colui che durante il difese in extremis le
cattedre non ancora infestate dall’economia corpo rativa (ibidem,407). 36
Secondo Francesco A. Repaci, stretto collaboratore di Einaudi, la soppressione
de La Riforma sociale sarebbe invece da addebitarsi alla sua battaglia
anticorporativista (Ricordo di Luigi Einaudi attraverso alcune lettere,
Giornale degli economisti e annali di economia ; in realtà, come vedremo, la
Rivista di storia economica non farà che riprendere la linea de La Riforma
sociale , senza per questo essere soppressa. ventennio fu collaboratore stabile
dell’ Economist . La funzione culturale e politica svolta da Luigi Einaudi
durante il periodo fascista resta ancora da studiare, e il tema non è di poco
conto se si pensa che il partito dei liberisti , dopo aver conosciuto dalla
fine dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui sembrava non potesse
pit risollevarsi, riusci nel secondo dopoguerra a prendersi una cosî piena
rivincita , riuscendo a influenzare in misura determinante i programmi di
ricostruzione e l’impostazione generale della politica economica italiana dei
governi di coalizione successivi alla Liberazione ’’. Funzione che Einaudi si
ascriverà a merito nei suoi risvolti anticorporativisti , ma che ebbe, più in
generale, i suoi obiettivi polemici in tutte le ipotesi programmatrici o
keynesiane che presero piede con la grande crisi non è un caso che a tutto ciò
egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di una biblioteca de La
Riforma sociale , e lo vide chiuso in una difesa ostinata della sua quasi
religiosa fede nel liberismo, che gli impedî di individuare la crisi economica
del ventennio tra le guerre come una prova delle fallacie neoclassiche , le
quali saranno invece da lui ri 37 Cosîf V. Castronovo nell'intervento in
occasione della commemorazione di Luigi Einaudi in occasione del centenario
della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974,
Torino, Fondazione Luigi Einaudi La scienza economica italiana non ha da
vergognarsi di quel che fece durante il cinquantennio crociano. Carità di
patria vuole si dimentichi quel che fu scritto di falso e di consapevolmente
falso intorno al cosidetto corporativismo. Quegli errori sono riscattati dalla
resistenza dei più , affermerà Einaudi ricordando La Riforma sociale e il
Giornale degli economisti (La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant'anni
di vita intellettuale italiana 1896-1946, vol. II,313). E ancora: la Rivista di
storia economica forse parve ai governanti del tempo meno fastidiosa a cagione
della sua limitazione a cose passate. Ma già il Sismondi, in una lettera del
1835 al Brofferio aveva avvertito i vantaggi che la censura offre agli
scrittori costringendoli ad essere avveduti nel dichiarare la verità invisa ai
tiranni . 1 saggi datati dal 1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato
velo storico non vietò mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei (L.
Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1953,VII). 39 M. De Cecco, La politica
economica durante la ricostruzione 19451951, in Italia 1943-1950. La ricostruzione,
a cura di Stuart J. Woolf, Bari, Laterza, 1974,291. 208 Le origini della casa
editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945, come governatore della Banca
d’Italia e come ministro del bilancio nel quarto e quinto governo De Gasperi
nel 1947-48. Gli unici studi che hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi
anche nel periodo fascista, compiuti in occasione del centenario della nascita,
si sono preoccupati di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al
1925, ad un equivoco destinato a dissiparsi quando la politica liberistica di
De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corporativismo ‘, o si sono limitati ad
analizzarne le indicazioni per lo studio delle dottrine e dei fatti economici,
senza cogliere i presupposti ideologici della sua posizione metodologica, o
arrivando ad espungere volutamente dall’analisi le sue concezioni
antisocialiste e antistataliste, in quanto: non sarebbero mai state da lui
proposte come formule ‘. Per meglio comprendere la linea interpretativa della
collana Problemi contemporanei è invece opportuno soffermarci su questi
presupposti ideologici, per i quali l’attività di Einaudi durante il fascismo
ha punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce.
Seguiremo i motivi di questa riflessione sulla storia e la politica economica
fino al 1944, data l'omogeneità di questa tematica, che corre parallela con gli
altri filoni di pensiero della casa editrice. È da rilevare in primo luogo che
le indicazioni di Luigi Einaudi sul modo di fare storia economica sono esplicitamente
basate sulla preoccupazione di non privilegiare il fattore economico nella
ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro della Rivista di
storia economica con Gino Luzzatto il direttore della Nuova rivista storica che
ribadiva ancora in quegli anni la validità della storiografia
economico-giuridica, egli sosteneva che allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione
a L. Einaudi, Scritti econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano,
Milano, Mondadori, 1973, XXXILIOXVII. 4 , per il primo appunto, R. Romeo, Luigi
Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e M. Abrate, Luigi
Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi Einaudi nel centenario
della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,121-141, 151-163, 39-51
(in particolare, per l’affermazione di Caffè storico era necessario solo il
punto di vista economico: Punto di vista e non prevalenza né specializzazio e.
Non si diventa storici dell'economia dando, come fecero molti nel tempo verso
il 1900, rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle
spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Cosi scrivendo, si fa
buona (esistono, nonostante la cosa tenga del miracoloso, persino buoni libri
di storia informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia
politica, non storia economica . La storia economica non deve supporte che il
fattore economico sia più importante degli altri, né accettare la tesi che le
teorie economiche siano un mutevole frutto dei tempi, affermava, concludendo
che per scrivere storia economica fa d’uopo che lo scrittore abbia l’occhio od
il senso economico ‘. Di qui l'apprezzamento per la Storia economica e sociale
dell'impero romano © Città carovaniere di Rostovzev pubblicate rispettivamente
da La Nuova Italia e da Laterza, in quanto l’autore ha visto che alla radice
della storia non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento tecnico, la
terra arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si invece le 4 G.
Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro, in Rivista di storia
economica , I (1936),201. Luzzatto, che in una lettera a Einaudi del 5 novembre
1936 accettò in sostanza la sua opinione (AFE, Luzzatto), salutò con entusiasmo
la nascita della Rivista di storia economica , perché può rappresentare per i
giovani studiosi italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui
si sentiva estremamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti
di ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse, creando
soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca storica, che finora è
in gran parte mancato ( Nuova rivista storica , XX (1936),282). A Luigi Dal
Pane dal quale non riuscirà tuttavia ad ottenere una collaborazione Luigi
Einaudi spiegò il 4 luglio 1936 il tipo di articoli desiderati: 1) un problema
teorico importante studiato da un economista passato; 2) un problema di fatto
interessante in sé, interessante per qualche attacco al presente, su cui
l’esperienza di un tempo passato dice qualcosa di rilevante (L. Dal Pane, Il
mio carteggio con Luigi Einaudi, in Annali della Fondazione Einaudi, vol. VI,
1972, Torino, Fondazione Luigi Finaudi Einaudi, Lo strumento economico nella
interpretazione della storia, in Rivista di storia economica (in discussione
con Lucien Febvre}. Nello stesso senso T. Codignola, Esiste una storia
economica ?, in Rivista di storia economica , idee che la classe politica si è
fatta #: dove è evidente la polemica contro quella vulgatio del materialismo
storico in cui Gramsci rinveniva uno specifico influsso loriano, presente anche
nel commento a Economic planning and international order di Lionel Robbins, un
autore quanto mai caro a Einaudi e alla casa editrice, lodato per la tesi che
la continuità della coesistenza di diverse nazioni del mondo è incompatibile
con qualunque piano diverso da quello economico liberale , e che un piano è un
fatto politico: È un capovolgere la storia cercare nell’economia la spiegazione
degli avvenimenti politici, sociali, intellettuali. Bisogna invece cercare
nella politica la spiegazione degli avvenimenti economici 4. Gli esempi
potrebbero moltiplicarsi, a testimoniare come l’assai vaga asserzione che allo
storico economico necessiti, e sia sufficiente, l’occhio od il senso economico
, si connetta con la fede nel carattere assoluto ed eterno delle leggi
economiche, con la polemica nei confronti del materialismo storico e del
socialismo, e con la difesa del liberismo come vero liberalismo. Rispondendo a
quanti parlavano di superamento delle teorie economiche, di quella ricardiana
in particolare, Einaudi affermava che una ideale storia delle dottrine
economiche potrebbe semplicemente consistere nel ricordo che si facesse, nel
trattare sistematicamente la dottrina oggi ricevuta, del debito da questa
contratto verso le precedenti meno perfette formulazioni che via via la
precedettero. Il legittimo uso della parola superamento implica l’accoglimento
contemporaneo dell’idea che nulla è superato, nulla è fuor del tempo presente
ed ogni teoria che visse vive 4 L. Einaudi, Il valore economico del libro del
Rostovzev, in La Riforma sociale Sulla conoscenza da orecchiante del
materialismo storico da parte di Einaudi mediata da Croce e Loria, A. Gramsci,
Quaderni del carcere, vol. II,1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini
economiche della grande guerra, della crisi e delle diverse specie di piani, in
Rivista di storia economica, II (1937),278. Il 30 novembre 1946 Giulio Einaudi
scriverà a Robbins: se durante la deprecabile ultima guerra Voi ricordavate con
simpatia l’ambiente che faceva capo a mio padre, noi altri giovani durante
quegli anni terribili non cessammo mai di guardare con venerazione e speranza
alla Vostra Patria e ai suoi uomini più rappresentativi (AE, Robbins). ancora
perfezionata ed affinata nella teoria attuale ‘. L’insistente difesa di
Ricardo, di Smith, di Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson pour
mieux gouverner, il faudrait gouverner moins , si accompagna a uno sprezzante
giudizio su Keynes, nelle cui pagine si può trovare la esposizione pi ingegnosa
e raffinata che immaginar si possa di quella qualunque tesi egli, con pieno
provvisorio convincimento, sostenga in un dato momento £ all’assunzione a
modello dei discorsi di Cavour, in quanto mutano i problemi; ma l’arte
dell’analizzarli criticamente con spirito non preoccupato damiti e da formule
verbali, non muta ‘; o, in polemica col corporativismo fascista non molto
frequente, tuttavia, sulla Rivista di storia economica , all’esaltazione delle
corporazioni medievali mai configuratesi come caste chiuse : La lotta, il
tumulto, le inimicizie, le cacciate e l’esilio sono i segni distintivi di
quell’epoca che poi fu voluta idealizzare come tesa verso la pace sociale. Ma,
perché lottava, amava ed odiava, quell’epoca partori credenti artisti e poeti
grandi; ma perché era un’epoca di rivolgimenti politici economici e sociali,
essa creò ricchezza potenza arte e poesia . Una difesa della necessità della
lotta e del contrasto che non si traduce mai, però, nella comprensione delle
novità del processo storico, cui l’ottuso conservatorismo di Einaudi oppone
un’immagine statica della vita sociale, assai distante dalla stessa concezione
crociana della storia etico-politica L. Einaudi, Superamento, in La Riforma
sociale, Einaudi, Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti,
in Rivista di storia economica. 4 Si riferisce ai s aggi di Keynes La fine del
laisser faire e L’autarchia economica tradotti nella Nuova collana di
economisti stranieri ed italiani diretta da G. Bottai e C. Arena ( Rivista di
storia economica , II (1937),374). Per una critica agli Essays in Bibliography
di Keynes anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori pubblici in Maltbus e del
tipo delle sue profezie, in La Riforma sociale Einaudi, Una nuova edizione dei
discorsi del conte di Cavour, in La Riforma sociale ,(a proposito dei Discorsi
parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo per La Nuova Italia). 5 L.
Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d'arti e mestieri, in Rivista di
storia economica , VI (1941),96-97. Einaudi non riusciva ad afferrare i motivi
del movimento storico , ha affermato L. Dal 212 Le origini della casa editrice
Einaudi È del resto noto come, sul piano politico, il liberalismo di Einaudi
non sia assimilabile a quello di Croce, tanto da spiegare come vedremo
dall’analisi di alcuni volumi della collana Problemi contemporanei un maggior
possibilismo del primo nei confronti del fascismo. E ciò, nonostante il
rapporto personale e gli elementi di convergenza che legano i due intellettuali
durante il regime. Ne è testimonianza la segnalazione simpatetica che sulla
Rivista di storia economica Einaudi fa, in due occasioni, delle edizioni
Laterza: valorizza ad esempio l’opera dei meridionalisti conservatori Jacini,
Turiello, Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato analizzati da Enzo
Tagliacozzo in Voci di realismo politico dopo il 1870; apprezza
incondizionatamente a differenza di Ginzburg l’immagine fornita da Nicola
Ottokar nella Breve storia della Russia, un paese la cui tragedia sarebbe stata
quella di non aver mai avuto un ceto intermedio numeroso, ma solo padroni e
servi, dove i primi erano una volta i nobili, ora la burocrazia sovietica .
Sempre per rendere testimonianza di onore all’editore colto e tenace, il quale
in tempi volti ad altri problemi persegue un alto ideale di cultura , Einaudi
segnala La concezione romana dell’impero di Ernest Barker, accogliendone la
distinzione fra la rivoluzione francese, da cui discendono lo stato napoleonico
ed il comunismo economico , e la rivoluzione puritana inglese, da cui derivano
la libertà di coscienza e di Pane, Commemorazione di Luigi Einaudi, in Memorie
dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze
morali, e Franco Venturi ha osservato che la storia economica, quale egli fa
concepî, non produsse in Italia quel rivolgimento, quella trasformazione
profonda che compirono in varie forme altrove il marxismo, la scuola delle
Annales, le moderne teorie dello sviluppo e la cliometria. Personalmente sono
convinto che l’elemento conservatore presente nel pensiero di Einaudi agi da
freno, da remora a questa rivoluzione storiografica. Riproporre a modello Le
Play nel secolo XX era un paradosso (in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,
vol. VIII,180). 51 Le osservazioni di Ottokar sono giustapposte, e non
concatenate, sf che l'avvento del bolscevismo può configurarglisi come una
specie di cataclisma, che interrompa la continuità storica , notava ad esempio
Ginzburg ( Nuova rivista storica (1937), ora in Scritti,111). 5 L.E., Edizioni
Laterza, in Rivista di storia economica , II (1937), 196-198. pensiero, la
società economica a tipo di concorrenza, l’unionismo operaio, il regime di
discussione ; ma la lettura più vantaggiosa è per Einaudi la Storia d’Europa di
Fisher, nella quale egli vede la dimostrazione dell’assenza di basi economiche
nei diversi ordinamenti politici. Prende invece nettamente le distanze da un
libro laterziano allora famoso in quanto espressione della crisi dei valori
borghesi, Democrazia in crisi del laburista Harold J. Laski un autore che la
casa editrice accoglierà solo nel dopoguerra, mentre nel 1936 Mario Einaudi lo
aveva accusato di marxismo per l’opera The Rise of Liberalism, in quanto dalla
parificazione laskiana di democrazia ad uguaglianza vien fuori un’economia comunistica
a tipo termitario . Il liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor respiro
ideale di quello di Croce, come dimostra la discussione tra loro intercorsa
negli anni ’30 e ’40 sui rapporti tra liberismo e liberalismo: mentre Croce,
pur nella comune ripulsa del comunismo, negava la necessaria identità dei due
termini, Einaudi sosteneva la loro inseparabilità, in quanto l’idea della
libertà vive, si, indipendente da quella norma pratica contingente che si
chiamò liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei
molti e dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero
essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di organizzazione
economica adatti a quella vita libera . Data questa rigida identificazione per
cui la presa di distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo di fondo
nella politica protezionista e corporativa del regime, si comprende come più
numerosi e acri che ne La Critica siano gli attacchi antisocialisti nella
Rivista di storia economica , condotti in primo luogo dal suo direttore con
accenti che dimostrano la carica politica, prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a
proposito di edizioni e di alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in
Rivista di storia economica , III (1938), 349-354; M. Einaudi, Di una
interpretazione puramente economica del liberalismo, in Rivista di storia
economica , Einaudi, Tema per gli storici dell'economia: dell’anacoretismo
economico, in Rivista di storia economica , II (1937),195. I testi del
dibattito sono raccolti in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a
cura diSolari, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957. Le origini della casa editrice
Einaudî che scientifica, dei suoi obiettivi. Ne è documento esemplare, nel
1934, la recensione a Socialism's New Start, traduzione di un’opera di
socialisti tedeschi nascosti dall’anonimato, critici dei partiti tedeschi
socialdemocratico e comunista accusati di aver consegnato le masse operaie al
nazismo; con le minacce di simili untorelli , scrive Einaudi, il regime hitleriano
può dormire sonni tranquilli: I socialisti del continente europeo, sia quelli
dei paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria, nei quali essi sono stati
spazzati via, sia quelli dei paesi come la Francia, nei quali si danno un gran
da fare per farsi mandare a spasso, non hanno ancora capito che il capitalismo
è una irrealtà, uno schema partorito dalla loro scarsa cultura storica e dalle
loro rudimentali attitudini psicologiche; e quindi, essendo un meccanismo
tecnico, una costruzione meramente amministrativa e contabile, può essere
rivoluzionato o riplasmato pit o meno in meglio od in peggio, senza grandissime
difficoltà. La società tollera chiacchiere socialistiche più o meno
interessanti e consente talvolta che in nome di ideali socialistici si compiano
ai margini sperimenti più o meno costosi intesi a tener quiete le moltitudini.
Ma le chiacchiere e gli sperimenti non devono andare oltre un certo segno; non
devono toccare istituti che hanno nell’animo umano radici ben più profonde del
capitalismo: la proprietà della terra, della casa, dell’opificio, il risparmio,
la famiglia, la eredità, la tradizione, la religione. Responsabili della
nascita dei regimi totalitari sarebbero stati i socialisti, in quanto Blum in
Francia, Cripps e Laski in Inghilterra appaiono a Einaudi magnifici alleati e
profeti e sostenitori di nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno estendendo,
sotto forme variabilmente adattate alle diverse contrade, un po’ dappertutto 5.
Proprio riferendosi a questa recensione, e alla raccolta dei Nuovi saggi di
Einaudi pubblicata nel 1937 dal figlio, Giustizia e Libertà espressione del
movimento nel quale si riconoscevano vari collaboratori della casa editrice
critica violentemente l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né
antifascismo, né liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un liberale è /a
page , lealista 55 L. Einaudi, Afforno ad una spiegazione della disfatta dei
partiti socialistici, in La Riforma sociale , XLI (1934),713-714. verso il
regime, mosso da una meschina preoccupazione di antisocialismo, che non ha a
che vedere con il bisogno di libertà che ogni uomo prova, ma semplicemente con
un sentimento originario, più forte di qualunque ragionamento, di disprezzo per
il salariato e per il lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da solo .
Ispirato da un velenoso odio di classe continua articolista, Einaudi arriva a
sostenere la legittimità della reazione fascista, che non sarebbe l’avventura
di un gruppo di spostati né reazione di privilegiati, ma la reazione legittima
della società contro quei faccendoni dei socialisti che le impedivano di
lavorare ; il suo cieco conservatorismo si spiega con la sua sfiducia totale in
qualunque tentativo di miglioramento, che tolga gli individui alla classe in
cui essi sono costretti a vivere . È del resto raro trovare nella seconda metà
degli anni ’30, nella Rivista di storia economica o nei volumi della casa
editrice ispirati da Luigi Einaudi, una coerente polemica nei confronti della
politica economica del regime o dei testi economici proposti dal fascismo. La
critica all’antiindividualismo della Breve storia delle teorie economiche di
Othmar Spann edita da Sansoni nel 1936 resta un caso isolato , mentre già nel
1934 Einaudi trova modo di lodare Bottai promotore di iniziative feconde: come
quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa di Pisa , o
la Nuova collana di economisti curata da Bottai e Arena, in cui apprezza in
particolare la pubblicazione dell’Economia del benessere di Arthur C. Pigou non
conosco lettura più adatta a moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di
politica sociale e gli scritti $% Magrini [Aldo Garosci], Liberalismo?, in
Giustizia e Libertà , 5 marzo 1937; per un altro attacco al fascismo di Luigi
Einaudi La concezione filosofica del mondo. Di rado compaiono operai notava il
corporativista Giuseppe Bruguier recensendo i Nuovi saggi . Gli è che
l’Finaudi, man mano che gli anni passano, mi pare si faccia sentimentalmente
sempre più vicino, piuttosto che ai lavoratori delle calate del porto di Genova
o alle maestranze delle officine di Torino, ai contadini delle sue belle terre
piemontesi , osservati con senso patriarcale ( Leonardo Einaudi, Una storia
universalistica dell'economia, in Rivista di storia economica sulla tassazione
di Wicksell, col quale Einaudi dichiara di trovarsi in ottima compagnia nella
tendenza a non prendere sul serio certi cosiddetti principî di ripartizione
delle imposte chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sacrificio ovverosia
della capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto : la
conquista definitiva teorica di Wicksell è infatti che non esiste un principio
di giustizia tributaria . In una discussione in cui, accanto a nette
differenziazioni, c’era posto per posizioni intermedie fra corporativismo e
liberismo tipica è la figura di Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso
della Nuova collana di economisti e della casa editrice Einaudi, ma anche per
significativi incontri su questioni economiche di nodale importanza, Luigi
Einaudi poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta progressiva:
cosî nel 1934 con la pubblicazione preceduta da una sua prefazione ‘elogiativa
dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti italiani nel 1880-90 dei Principi
di economia finanziaria di De Viti De Marco, dalla quale Edoardo Giretti traeva
spunto per un giudizio politico il cui elemento di distinzione dal fascismo era
rappresentato da una /audatio temporis acti, Einaudi, Del principio della
ripartizione delle imposte (a proposito di una nuova collana di economisti), in
La Riforma sociale , Macchioro, Studi di storia del pensiero economico e altri
saggi, Milano, Feltrinelli, e il carteggio Fanno-Finaudi in AFE, Fanno.Lo
storico che potrà un giorno, all’infuori delle passioni e dei rancori dell’età
contemporanea, discutere ed esaminare a fondo oggettivamente e serenamente le
cause che determinarono la crisi del 1922 e la caduta di un regime
politico-parlamentare che del liberalismo cavourriano aveva conservato soltanto
il nome, ma non l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che l’unico tentativo
serio e coerente, che si era fatto in Italia, allo scopo di prevenire la
catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta, fu proprio quello del
gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e l’ispiratore più autorevole
e più tenace , colui che aveva osservato che i liberisti, avendo pur sempre di
mira la difesa e il consolidamento dello Stato liberale democratico, avevano
esercitato una critica intesa a creare nel paese una più elevata coscienza
pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del
sistema rappresentativo (E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in La Cultura , XIII
(1934),28-29). Con quest'opera De Viti De Marco aveva dimostrato la natura
autofaga dell’imposta progressiva , dità Einaudi, Miti e paradossi della
giustizia tributaria, Torino, Einaudi e, con particolare forza, nei Miti e
paradossi della giustizia tributaria, dove il richiamo agli economisti classici
si accompagna ad accenti moralistici che mal nascondono la sostanza antidemocratica
del discorso: Giova si chiedeva Einaudi togliere coll’imposta differenziata a
questi pochi [monopolisti] il guadagno di eccezione che essi temporaneamente
lucrano? No; poiché è vero che quel lucro è ottenuto col vendere a più basso
non a più alto prezzo dei concorrenti. Se si vuole accaparrare quel lucro a
vantaggio della collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento
stupidamente repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare
l'atmosfera nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia
dall'opinione pubblica considerato con spregio se non consacri in vita e in
morte parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a fondare e
dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva Adam Smith, un grado assai considerevole
di disuguaglianza sembra essere, ove si giudichi secondo l’esperienza
universale dei popoli, un danno di pochissimo conto in paragone con un
piccolissimo grado di incertezza . La preferenza accordata alla certezza
rispetto alla giustizia per cui si richiamano anche gli scritti economici di
Cattaneo trova infine il suo naturale corrispettivo, sul piano politico, nella
critica alla democrazia: Chi, salvo gli egualitari, intenti ad aprire la via al
governo dei plutocrati, mai seppe che lo stato ideale si confondesse con il
governo del demo? Anche il governo di una minoranza può essere una
approssimazione all’ideale, se la minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto ©;
dove l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano gli aspetti più
propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso di economia politica
apparirà nel 1943 nella Collezione di opere scientifiche di economia e finanza
. Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si presenta in Luigi Einaudi
nella linea di un discorso conservatore, difficilmente assimilabile
all’interpretazione illuministi ca di un Salvemini o di un Gobetti e ben
distante dalla caratterizzazione democratica che come vedremo ne ®! L. Einaudi,
Miti e paradossi,95, 239, 255. 218 Le origini della casa editrice Einaudi darà
Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi di economia rurale curata nel 1939
da Luigi Einaudi per la Biblioteca di cultura economica ebbe tuttavia il merito
di rinnovare l’interesse attorno a una figura di cui l’idealismo si era
sbarazzato rapidamente. Corrente di vita giovanile , la rivista di fronda di
Ernesto Treccani che prima dell’entrata in guerra dell’Italia pubblicherà il
brano cattaneano Della milizia antica e moderna in cui la guerra ingiusta era
considerata preludio di sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e di
impegno ©, mentre su Primato Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato che la lotta
politica fino al ’24 ha insistito su questo nome in tutti i toni possibili,
cogliendone ogni impulso all’azione , oppose 1’ idealismo operativo di Cattaneo
a quello descrittivo di Vico privilegiato da Croce: se in questi anni
concludeva all’inizio del 1940, come sembra vero e necessario, alcuni
pregiudizi politici ed ideologici vanno scomparendo, dovremmo acquistare alla
coltura d’oggi questo nome £. La riproposizione che ne faceva Einaudi era però,
anche se più puntuale, pit restrittiva, tesa a raccogliere da Cattaneo l'invito
al sacrificio, alla edificazione della terra coltivata , e soprattutto il
richiamo alla certezza che gli uomini debbono possedere di godere essi i frutti
del proprio lavoro , attuabile attraverso i mirabili effetti del catasto:
Mentre troppi dottrinari corrono dietro a false teoriche di cosidetta giustizia
tributaria e vorrebbero distruggere le più belle tradizioni finanziarie
italiane, fa d’uopo 62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in Corrente di vita
giovanile , 31 ottobre 1939: al fondo della sua concezione politica ed
economica stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e di sacrifici
l’uomo può giungere a risultati positivi e fecondi {...] dalle pagine del
Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni come base necessaria per
affrontare la paziente e scrupolosa disamina dei problemi grossi e minuti della
nostra vita nazionale . Il passo di Cattaneo riportato si concludeva cosî: Ma
la vittoria stessa, destando la meraviglia delle genti e l'imitazione, nel
decorso eguaglia le sorti, e riduce il popolo stesso che aveva trascese le
condizioni dell’equilibrio (ibidem, 31 maggio 1940). Sulla rivista l'introduzione
di Alfredo Luzi a Corrente di vita giovanile (1938-1940), Roma, Edizioni
dell’Ateneo, 1975. 63 G. Ferrata, Immagine di Cattaneo, in Primato , I
(1940),27, 29; anche Id., Caztareo, in Oggi , insistere energicamente sulla
virti della imposta ripartita su basi destinate a non mutare per lungo tratto
di tempo Il Cattaneo einaudiano diventa quindi un’altra arma contro gli
egualitari e i socialisti, contro i quali si schierano anche altri
collaboratori della Rivista di storia economica . Si distingue fra questi il
giovane allievo di Luigi Einaudi e Gioele Solari, Aldo Mautino, che nello
studio su La formazione della filosofia politica di Benedetto Croce pubblicato
postumo da Einaudi nel 1941 dopo una accurata revisione dello stesso Croce si
farà partecipe espositore della critica crociana al materialismo storico di
Labriola e si schiererà con Luigi Einaudi nel sostenere l’identità fra
liberismo e liberalismo 9. Commentando la monografia di Dal Pane su Labriola e
i Saggi labrioliani riproposti da Croce nel 1938, Mautino osservava che la
grandezza del cassinate non si deve ricercare nel campo speculativo, bensi
piuttosto in quello politico , in quanto gli sembrava che i Saggi tendessero ad
una svalutazione progressiva di quella medesima dottrina di cui si presentano
come interpretazione e commento : una costante linea spirituale di svolgimento
conduce in effetti a risolvere l’opposizione persistente tra la necessità
escatologica del comunismo e la libera volontà rivoluzionaria e, lasciando da
un canto la trascendenza economica, la dialettica della storia e la conseguente
apocalissi comunistica, a far luogo all’azione, diretta ad instaurare per
convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di economia rurale, a cura di L. Einaudi,
Torino, Einaudi, 1939,31; anche L.E., La terra è un edificio ed un arti: ficio,
in Rivista di storia economica , IV (1939),246. Il richiamo di Einaudi a
Cattaneo appare invece illuminista a N. Bobbio, Una flosofia militante. Studi
su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi le lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16
e 23 dicembre 1940 (AF, Croce). A suo agio il Mautino avrebbe potuto
maggiormente far risaltare gli elementi della dottrina creduta morta da Croce
in se stesso e rimasti al contrario vivi e fecondi. Se ciò non ha fatto gli è
perché non aveva del materialismo storico, nelle sue affermazioni originali, e
nei suoi più vitali ripensamenti, quella conoscenza che sarebbe stata
necessaria , osservò F. D'Antonio, A proposito della filosofia politica
crociana, in Nuova rivista storica , XXV (1941),333. 220 Le origini della casa
editrice Einaudi morale, fuori da ogni attesa fatalistica, una nuova forma di
vita più umana. Onde la conclusione ideale, a cui i Saggi medesimi sembrano
rivolgersi, finisce per rinnegare quelle stesse strutture intellettuali di cui
la passione politica aveva tentato di rivestirsi . Fatta propria la negazione
crociana del materialismo storico come filosofia, e affermato che nel campo
speculativo il marxismo era stato superato da Croce e Sorel, Mautino notava
tuttavia la comprensione, profonda nel Labriola, del valore nazionale
rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido socialista sognava un’Italia
attraverso di quello rigenerata e fatta più civile . In questo augurio di una
Italia nuova consiste una delle ragioni, e sicuramente non la minore, della
perpetua giovinezza che l’antico e recentissimo editore riconosce nell’opera
del Labriola £. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di
stampo nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta da
Volpe nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente liquidatorio
era il giudizio sul socialismo espresso da Mautino nella recensione delle
memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza (Zibordi, Rigola,
Riguzzi) e dalla collana dei Problemi del lavoro (Azimonti, Zanella,
Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo scientifico, il socialismo fu
soprattutto una convinzione morale , ma anche cosî le memorie dei suoi
militanti, annotava Mautino, lasciano trasparire del grigiore spirituale. Pare
che dopo tanto trepidar di speranze e divampare di passioni e avvicendarsi di
illusioni e delusioni e travagliarsi e lottare, l’animo tendesse a volgersi di
preferenza a faccende organizzative, e di miglioramenti economici, e di
compromessi politici . Ormai il vecchio socialismo moriva senza gloria; e anche
questi suoi ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non sanno più ritrovare
nei miti troppo facili della loro gioventi motivi capaci di animarli e
correggerli ancora, 6 A. Mautino, Intorno a un teorico del materialismo
storico, in Rivista di storia economica Mautino, Memorie di organizzatori
operai italiani, in Rivista di storia economica , IV (1939),76. Recensendo il
Concezto cristiano della proprietà di J. M. Palacio curato da Fanfani per le
edizioni di Vita e pensiero, Mautino trovava modo di condannare anche il
cattoliA sottolineare le carenze del socialismo e il primato del liberismo
interveniva autorevolmente, nel 1940, Attilio Cabiati: notando come da parecchi
anni a questa parte il socialismo, che pareva relegato in soffitta , fosse
venuto attirando l’attenzione di studiosi tedeschi ed anglo-americani, rivolti
a vagliare la possibilità teorica di un governo economico collettivista ,
affermava che tutti arrivavano alla conclusione che qualunque sistema economico
si adotti, ove esso miri a procurare col minimo dispendio di forze il massimo
benessere della collettività, deve soddisfare a quello stesso sistema di
equazioni, che in libera concorrenza garantiscono l’utilità massima ai singoli operatori
sul mercato ; perciò solo lottando contro l’interventismo statale, concludeva
Cabiati, l'economia potrà rifiorire, dimostrando coi fatti che l’azione
privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera senza paragone possibile
qualsiasi forma di costituzione socialistica della società, che costituirebbe
l’iperbole del burocratismo, coi suoi insostenibili difetti e con la formazione
della peggiore oligarchia arrivista £. La battaglia antiprotezionistica dei
liberisti raccolti attorno a Luigi Einaudi, quale si rispecchia non solo nelle
sue riviste, ma anche nei volumi di economia della casa editrice che ora
esamineremo, aveva quindi un’impronta ideologica conservatrice e antisocialista
che, se rappresenta solo una faccia dell’iniziativa culturale di Giulio
Einaudi, è forse quella che meglio spiega la capacità di quest’ultimo di
aprirsi degli spazi di manovra nelle maglie del regime. cesimo sociale in
quanto, al pari del socialismo democratico, la politica cattolica si volge alla
plebe con le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un paradiso
nel cielo , facendosi sostenitrice dell’interventismo statale (Cattolicesimo e
questione sociale, in Rivista di storia economica , III (1938),79-80). 6 A.
Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla teoria pura del
collettivismo, in Rivista di storia economica ,{prendeva in esame, fra gli
altri, saggi di R. L. Hall e M. Dobb). Di notevole interesse per valutare, non
solo sul piano ideologico, il rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime
è la collana Problemi contemporanei , che per dieci anni dalla fondazione della
casa editrice al 1944 riflette l'opinione dei liberisti sulla politica
economica italiana e internazionale, con delle valutazioni che, passando quasi
sotto silenzio gli indirizzi corporativi del fascismo, non sono tali da
costituire, nella maggior parte dei casi, un terreno di scontro con gli
economisti del regime. Il tema di maggior rilievo della collana è la crisi del
1929 e il New Deal rooseveltiano: un punto sul quale l’attenzione dedicata ai
problemi monetari anche dai liberisti permette loro di trovare un terreno di
incontro con i corporativisti, dati gli indirizzi della politica del regime in
questo settore ©, anche se, ovviamente, da parte fascista si cerca di assimilare
l’esperimento di Roosevelt in quanto interventista al corporativismo e di
ricavarne quindi un’ulteriore giustificazione di quest’ultimo come terza via
tra capitalismo e socialismo; mentre l’entourage di Luigi Einaudi, nonostante
uno sforzo di documentazione, manifesta dure critiche nei confronti delle
analisi catastrofiche della crisi e della politica del presidente americano. La
posizione dei liberisti accanto al gruppo einaudiano è da annoverare anche
quello che si raccoglie attorno al Giornale degli economisti giustifica un
giudizio di incomprensione e di mancanza di attrezzatura teorica idonea da
parte di questi economisti rispetto ai problemi posti dalla crisi americana. È
assente la coscienza del dramma di milioni di disoccupati e non esiste quel travaglio
sull’adeguatezza dei propri strumenti teorici che caratterizza vari economisti
americani. Vi è, soprattutto, una difesa della scienza economica e delle leggi
economiche contro la politica economica e la politica in generale . Mentre il
governo ® M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed
economiche italiane, in G. Spini, G. G. Migone, M. Teodori, Italia e sno dalla
grande guerra a oggi, Padova, Marsilio, 1976,108. idem. fascista accentuava
l’intervento dello Stato nell’economia, i liberisti cercarono di ridimensionare
la portata della crisi e di attribuirne le cause, in ultima istanza, alla
politica protezionistica promossa dai vari Stati dopo la prima guerra mondiale
e, quindi, a errori di uomini allontanatisi dalle leggi economiche . Già nel
1931 Luigi Einaudi, svolgendo su La Riforma sociale delle riflessioni in
disordine sulla crisi, aveva individuato nel crack del 1929 la manifestazione
di quei cicli brevi che sono dominati dagli errori degli uomini e, in quanto
tali, facilmente superabili. L’insorgere di uno squilibrio fra domanda e
offerta, una delle cause della crisi, era imputato moralisticamente a una
deviazione dai modelli tradizionali di vita delle classi inferiori aspiranti a
salire nella scala sociale. Se in Russia, osservava, non è concepibile crisi in
quanto domanda e offerta coincidevano forzatamente per l’intervento dello Stato
soffocatore della libertà e delle aspirazioni individuali, il modello
americano, che faceva tendere ad un alto tenore di vita tutte le classi, era un
elemento perturbatore dell’equilibrio fra produzione e distribuzione del
reddito: di qui la convinzione che la crisi via via si attenuerà a mano a mano
che i nuovi ceti diventeranno vecchi e che il mare sociale in tempesta si
acqueterà. Ogni classe ed ogni ceto ritornerà a poco a poco a pregiar se
stesso, a vivere secondo i propri gusti fondamentali e tradizionali , in modo
che l’industria potrà assai meglio prevedere la domanda di beni da parte di una
società meno fluida, meno commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a
comprendersi a vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più
appariscenti della vita di ognuno di essi . E, mentre negava la novità della
crisi presente e confutava i suggerimenti di Keynes cosî come l’utilità di ogni
piano economico, mosso dal terrore per il gigantismo industriale ribadiva il
suo arcaico ideale di un mondo economico dominato dai piccoli produttori, che
si illudeva di veder realizzato in Italia, dove probabilmente il peso relativo
della piccola impresa famigliare, pudicamente condotta fuori degli occhi
curiosi degli statistici, è grandissimo, superiore a quanto si immagina dai
più. Forse quel peso è crescente. Contro i piani internazionali, contro i
consigli dei periti, la sanità fondamentale italiana ha reagito concentrandosi
nella infrangibile unità famigliare : un ideale, il suo, che poteva incontrarsi
con alcuni aspetti della dottrina sociale cattolica e della propaganda
ruralistica del regime . Analoga era la posizione di Attilio Cabiati, che in
Crisi del liberismo o errori di uomini? accompagnava l’analisi dei fenomeni
economici, sufficientemente articolata, con un ferreo dogmatismo, affermando
che l’abbandono dei principi economici, messi in disparte in omaggio a vere o
presunte necessità politico-sociali, ha sviluppato nel mondo intero, come
naturale conseguenza, una serie di disastri economici ; l’economia, aggiungeva
ricordando Pareto e Barone, è una scienza precisa la quale obbedisce a leggi
naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti abbandonata al self
interest dei singoli, sia che venga data nelle mani dello stato sotto una forma
qualsiasi, una condizione è necessaria: che i privati o il ministro della
produzione agiscano secondo le leggi nazurali della scienza economica . Si
comprende quindi come la domanda formulata nel titolo del volume fosse
puramente retorica, e come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in
atto da Roosevelt per superarla, come errori di uomini , frutto cioè
dell’indebita ingerenza della politica nell’economia. A sostegno di questa tesi
viene proposta l’opera di uno dei più ‘autorevoli esponenti neo-classici della
London School of Economics, Lionel Robbins, che agli insegnamenti di Mar-
Einaudi, Saggi, Torino, La Riforma sociale, 1933, parte II, 228, 373, 377,
405-410, 515. Il 17 marzo 1939 Einaudi inviava a Mussolini una lettera in cui
considerava la proposta di introdurre nel codice civile l’ indivisibilità dei
fondi rustici un freno alla piccola proprietà e allo sviluppo demografico del
paese (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 528771,
sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?, Torino,
Einaudi, 1934,9-11. Contro il ricorso all’immutabilità delle cosf dette leggi
economiche, ripiego in cui si annida il falso presupposto della naturale
armonia degli interessi , espresso in un altro volume di Cabiati (Il
finanziamento di una grande guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A.
Brucculeri, Ecomozzia bellica, in La Civiltà cattolica , shall cui si
rifacevano, a Cambridge, pur con posizioni diverse, Pigou e Keynes anteponeva
quelli di Pareto, von Mises e Wicksteed. In Di chi la colpa della grande crisi?
E la via di uscita Robbins, nei cui riguardi i liberisti italiani dimostravano
una speciale venerazione, affermava che dopo la guerra il raggruppamento delle
imprese industriali in consorzi, l’accresciuta forza dei sindacati operai, il
moltiplicarsi dei controlli governativi hanno creato una struttura economica
che, quale che possa essere la sua superiorità etica od estetica, è certo assai
meno capace di rapidi riadattamenti di quanto lo fosse il vecchio sistema pit
aperto alla concorrenza . E analizzando i provvedimenti dei vari governi moneta
manovrata e protezionismo scorgeva il pericolo di uno scivolamento verso il
socialismo, in parte già in via di realizzazione: Il carattere nettamente
socialistico della politica economica in Inghilterra, e in tutto il mondo
moderno, non è determinato dagli elementi obbiettivi della situazione, o dal fatto
che le masse abbian deciso di riorganizzare socialisticamente la produzione. Se
la politica economica ha questo carattere è perché uomini d’intelletto e di
cultura hanno creato la teoria socialistica e hanno gradualmente convertito
alle loro idee le masse ?3. Le stesse preoccupazioni per il socialismo di Stato
paventato dai liberisti italiani sono avvertibili nella rac 7 L. Robbins, Di
chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi,
traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col
titolo The Great Depression),10, 80, 219. Fenoaltea scriveva all’editore di
aver fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di aver proposto l’opera
per il desiderio, e quasi per il dovere morale, che sentivo di far conoscere
agli italiani questo libro cosi bello, cosî coraggioso, e così necessario (AE,
Fenoaltea). Su Robbins in italiano C. Napoleoni, I/ pensiero economico del
’900, Torino, Einaudi, 1976,35-43, e l’introduzione di V. Malagola Anziani a L.
Robbins, La base economica dei conflitti di classe, Firenze, La Nuova Italia,
1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio Racca scriveva dagli Stati Uniti a Luigi
Einaudi che nelle riforme rivoluzionarie presidenziali americane si fa macchina
indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè vede che la recovery sta venendo
in modo indiscutibile, sia perchè, come conseguenza di ciò, si rifà coraggio,
sia perchè si vede che quelle riforme ritardano, invece di favorire il ritorno
della vita normale, non ne vuole più sapere di socialismo di Stato (AFE,
Racca). Già il discorso del 1° 226 Le origini della casa editrice Einaudi colta
di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano Roosevelt: gli autori, pur
dichiarandosi ben lungi dal credere che l’individualismo del secolo decimonono
rappresenti l’apice della perfezione per tutti i tempi , si mostrano contrari
all’ingerenza della politica nell'economia e favorevoli a un laissez faire
corretto in modo tale da impedire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo senza
cadere nella soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter l’unico
carattere distintivo della presente crisi mondiale è il fatto che i motivi
extra-economici recitano la parte principale del dramma , Overton H. Taylor,
trattando esplicitamente del conflitto fra economia e politica , sostiene che
l’interesse economico effettivo di ogni gruppo o frazione di popolo dev'essere
riposto in una generale rinunzia o severissima limitazione della legislazione
di classe e della lotta per il potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta
alla base, salvo che qualche gruppo o classe possa realmente sperare di
condurre a compimento una soluzione sociale secondo il modello marzistico ;
tutto il suo ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il ristabilimento
dell’economia di mercato e a confutare i nuovi radicali , privi di quel
realismo economico il quale deve riconoscere che, nella nostra presente
situazione, l’interesse comune a una generale ripresa degli affari onesti,
dell’agricoltura e dell’occupazione operaia è massimamente minacciato dalla
strategia del potere e delle illusioni economiche delle classi malcontente Il
giudizio sul New Deal non è sostanzialmente modificato da alcune note
informative sulle riviste einaudiane o dal reportage giornalistico di Amerigo
Ruggiero , né dalla novembre 1934 in cui il segretario di Stato Cordell Hull si
dichiarava disposto ad abbassare i dazi doganali, era salutato come L'atto di
contrizione degli Stati Uniti ( La Riforma sociale). 7 J.A. Schumpeter, E.
Chamberin, E. S. Mason, D. V. Brown, S.E. Harris, W.W. Leontiefi, O.H. Taylor,
Il piano Roosevelt, traduzione di Mario De Bernardi, Torino, Einaudi, M.
Einaudi, Dopo un anno di governo di Roosevelt, La Cultura Racca, Il New Deal
rooseveltiano: in che consiste, e Il New Dedl rooseveltiano: gli effetti, in La
Riforma sociale , A. Rug stessa pubblicazione di due opere di Henry A. Wallace,
ministro dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt, che pur dimostrano un
intento informativo da parte della casa editrice. Presentando Che cosa vuole
l'America? libro nel quale Mussolini vide la conferma che anche gli Stati Uniti
andavano verso l’economia corporativa , Luigi Einaudi riconosceva per la prima
volta che il New Deal in fondo è un nobile tentativo di far qualcosa, non
perché si sappia che quel qualcosa sarà fecondo di risultati vantaggiosi, ma
perché urge il dovere di lottare contro la disperazione, di infondere coraggio,
di impedire che milioni di uomini si rivoltino contro la società e distruggano,
nell’impeto dell’ira, il risultato di tre secoli di sforzo laborioso ; ma si
premurava al tempo stesso di mettere in evidenza la grande illusione di Wallace
7, un liberista costretto dalla realtà della crisi ad ammettere il controllo
statale sull'economia, nella speranza che la nuova epoca si persuadesse che
l’umanità possiede oggi tanta potenza mentale e spirituale e tanto dominio
sulla natura da togliere per sempre ogni valore alla teoria della lotta per la
vita e sostituirla con la legge più alta della cooperazione . Wal. lace
appariva infatti combattuto fra le necessità del momento e le prospettive di
più lungo periodo, prestandosi quindi anche a una lettura non distante dalla
posizione dei liberisti italiani, preoccupati pur sempre delle tendenze
monopolistiche del capitalismo contemporaneo: poiché l’antico sistema,
affermava Wallace, era il prodotto di un’avidità e di un opportunismo sfrenati
, siamo stati costretti per forza a pensare in termini non di produzione e di
commercio liberi, ma di produzione e di commercio programmati dentro e tra le
nazioni. Il rifiuto di Adam Smith a tracciare meschine piccole linee locali di
confine attorno ai concetti di giero, L’America al bivio, Torino, Einaudi,
1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937 presso Treves un volume sugli Italiani in
America, lodato da Gerarchia perchè metteva in risalto la grandiosa opera di
valorizzazione dell’Italia intrapresa dal Fascismo Wallace, Che cosa vuole
l’America?, introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz. originale
1934),25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso:12); L. Einaudi, La
grande illusione di Wallace, in La Cultura , commercio e di civiltà può
tuttavia ancora adesso giustamente incoraggiare le menti ed i cuori a compiere
sforzi più grandi. Un popolo libero sente vivacemente il dolore del
nazionalismo, cioè del protezionismo e dell’isolamento economico . Anche in
Nuovi orizzonti, in cui pur si vide la proposizione di un programma
sostanzialmente identico al sistema corporativo italiano ?, Wallace osservava
la necessità di controliare quella parte del nostro individualismo che produce
l’anarchia e la miseria diffusa , assicurando che affidarsi a simili espedienti
di redistribuzione del reddito e delle possibilità, non ci fa cadere nel
socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il metodo dei pirati capitalistici
della scuola economica neomanchesteriana ; ma affermava anche la temporaneità
dei centrolli statali sull'economia, per concludere con una proposta conforme
agli ideali del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del
corporativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i freni e i mezzi
d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica, ma essa deve anche
porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento delle relazioni economiche
mutevoli. La democrazia economica deve trovarsi in posizione tale da resistere
a sconsiderate pressioni politiche. Al tempo stesso, essa deve effettivamente
rispondere ed essere prontamente ben disposta verso le necessità urgenti del
popolo da cui sgorga il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi che pur
si preoccupava di premettervi sue avvertenze di testi che non riflettevano
soltanto le opinioni di liberisti, ma erano passibili anche di una lettura in
senso corporativista, 78 H.A. Wallace, Che cosa vuole l’America?,Gazzetti
osservava che il lettore fascista avrà modo leggendo il libro di vedere che le
più indovinate istituzioni americane sono state imitate da analoghe iniziative
del Regime, persino le migrazioni interne! { Bibliografia fascista , X
(1935),495). 79 la recensione di E. Corbino in Nuova rivista storica , Wallace,
Nuovi orizzonti, traduzione di M. De Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz.
originale 1934, col titolo New Frontiers è indice della consapevolezza che il
dibattito mondiale sulla crisi stava assumendo negli anni ’30 tendenze sempre
pit decisamente anticapitalistiche, che in Italia avevano un qualche riscontro
nelle tesi del corporativismo di sinistra e dell’ economia programmatica , che
ai suoi occhi apparivano, in quanto statalistiche, pericolosamente otientate
verso il socialismo . Di qui la presentazione, accanto a Wallace, di un autore
moderato come Arthur C. Pigou, che quanto meno salvasse l’essenza del
capitalismo e desse garanzie in senso antisocialista. In Capitalismo e
socialismo il successore di Marshall nella cattedra di Cambridge, al termine
dell’analisi di pregi e difetti dei due sistemi economici, proponeva di
mantenere la struttura generale del capitalismo modificandola però gradualmente
con interventi statali al fine di ridurre le diseguaglianze più gravi nelle
fortune e nelle occasioni di avanzamento che offendono la nostra presente
civiltà : la proposta non era certo tale da riscuotere pienamente le simpatie
di Einaudi, per il quale Pigou oggi sarebbe un New Dealer rooseveltiano negli
Stati Uniti o un corporativista in Italia , e appariva ingenuo nell’assumere
come verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi,
consumatissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse stati nel campo
scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi l’allusione era alla
celebre opera sull’URSS che nel 1938 la casa editrice si rifiutò di tradurre ;
ma l'intervento dell’economista inglese si giustificava come solido argine nei
confronti dei detrattori del capitalismo: gli studenti di Cambridge affermava
infatti Einaudi -, sceltissimo fiore del paese reputato il più aristocratico
del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti. Il libretto di Pigou
è una doccia fredda per codesti puri consequenziarii ®. 81 L. Dal Pane,
Commemorazione di Luigi Finaudi,312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo.
Critica dei due sistemi, traduzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939 (ediz.
originale 1937), 137-138. 83 Ibidem,2-4 (Avvertenza di L. Einaudi). La
traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da Umberto Calosso su Giustizia e
Libertà 230 Le origini della casa editrice Einaudi Destinata a una maggiore
risonanza e a ricevere il plauso dei recensori fascisti era la critica severa
della società sovietica svolta da William H. Chamberlin in L'età del ferro
della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo del primo piano
quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era stato condotto. Il libro è
stato scritto prima delle recenti manifestazioni di terrorismo all’interno e di
aiuto dato all’estero ai movimenti sovvertitori dell’ordine sociale avvertiva
nel 1937, nel corso della guerra di Spagna, l'editore italiano . Ma la potente
analisi, tanto più spietata quanto più obbiettivamente contenuta,
dell’abbrutimento spirituale della Russia comunista, giustifica la resistenza
che l'Europa oppone vittoriosamente alla propagazione del bolscevismo . Con uno
stile vivacissimo e con frequenti ma scontati e logori raffronti fra Stalin e
Pietro il Grande, l’autore non si limitava a illustrare il processo di industrializzazione
dell'URSS, ma dedicava ampio spazio al soffocamento delle libertà personali,
civili e religiose, da parte dell’ autocrate della repubblica rossa , un paese
in cui si poteva notare il realizzarsi di una teoria fanatica che arreca grandi
mutamenti di vita e di pensiero ed al tempo stesso condanna alla distruzione
milioni di avversari , 0 il risorgere in nuove forme, e sotto la maschera di
frasi nuove, di tipiche antiche concezioni russe come il diritto assoluto dello
stato a servirsi degli individui e distruggerli, se cosî vuole, per il
raggiungimento dei suoi scopi . E ciò senza che si fossero raggiunti
apprezzabili risultati dal punto di vista economico, perché, se con il grano,
il caffè e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna come
monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna non meno
grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che sono state
sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto di incuria e di
inefficienza proprio quando la mancanza di viveri si faceva più acutamente
sentire . Di qui (7 febbraio 1936), era stata consigliata da Alessandro Schiavi
a Giulio Finaudi, che il 18 febbraio 1938 gli rispondeva: Ma non Le pare che
gli Autori prendano troppo sul serio l’economia programmatica dei Sovieti? (AE,
Schiavi). l'insegnamento di carattere generale che da questo, come da altri
volumi della collana, poteva trarre il lettore: L’esperimento russo ha
dimostrato all’evidenza che l’economia programmatica non è una panacea, che nel
funzionamento di un sistema economico strettamente centralizzato e controllato
dallo stato possono verificarsi errori non meno disastrosi delle deficienze e
degli attriti di un sistema che funzioni senza il beneficio di un piano . Un
giudizio che, se non poteva incontrare la piena approvazione dei liberisti,
poneva sul tappeto un quesito al quale i corporativisti affermavano di aver già
risposto, ma che al tempo stesso era riformulato come ancora irrisolto dalla
rivista di Codignola Civiltà moderna , secondo la quale resta uno dei problemi
fondamentali del regime sovietico quello di trovare quanto individualismo sia
necessario pel funzionamento d’un sistema collettivista, cosî come in altri
paesi il problema è quello di trovare quanto controllo collettivo debba
istituirsi per far bene funzionare un sistema individualista! ®. i Il quesito
verrà riproposto, addirittura con alcuni arretramenti teorici in senso
liberista, nei volumi di economia pubblicati dalla casa editrice nel 1945-46.
Non è quindi da stupirsi che nel 1944, dopo la caduta di Mussolini, apparisse
come ultimo titolo dei Problemi contemporanei curati da Luigi Einaudi un altro
volume di Robbins, Le cause economiche della guerra, dove, più che la critica 3
W.H. Chamberlin, L'età del ferro in Russia, traduzione di S. Fenoaltea, Torino,
Einaudi, 1937 (ediz. originale 1934),11-12, 21, 74, 76. L'entusiasmo è un po’
gonfiato a causa delle circostanze, ma in fondo il libro si meritava una buona
accoglienza , scriveva l’editore a Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE,
Fenoaltea). Chamberlin pubblicò anche, nel 1937, Collectivism, a False Utopia.
85 Recensione di A. Rapisardi Mirabelli, in Civiltà moderna , Per Felice
Battaglia il libro mostrava l’organizzazione concreta, in atto, del regime, la
vita dolorosa di un popolo, che ignora ogni attributo della persona e si
consuma in un tono assai basso di esistenza economica e morale, senza neppure
supporre che altri possa realizzare forme più soddisfacenti ( Rivista storica
italiana , s. V, I (1936),103); libro di informazione onesta, spassionata ,
retto dall'idea che alla dinastia degli zar sia subentrata una dinastia di
fanatici sacerdoti marxisti, appariva al Meridiano di Roma (II, 24 gennaio
1937). . 232 Le origini della casa editrice Einaudi svolta dall’autore nei
confronti della teoria leninista dell’imperialismo e la sua proposta degli
Stati Uniti d'Europa in quanto non il capitalismo, ma l’organizzazione politica
anarchica del mondo è il male principale della nostra civiltà , interessa
l’avvertenza dell’editore, che in Robbins vedeva l’esponente di quelle forze
politiche e culturali che intendono superare gli inconvenienti e le deficienze
della moderna civiltà capitalistica senza apportare nessuna vera trasformazione
strutturale, nessuna modificazione profonda e rivoluzionaria all’attuale
organizzazione sociale ; e, nella preoccupazione per il futuro, il lettore era
invitato a giudicare ogni forma di riformismo e la validità degli apporti, che
possono ancora offrire le forze conservatrici nel nuovo mondo che si prepara
Mentre, nonostante questi limiti, nei testi dedicati agli aspetti
internazionali della crisi poteva passare una polemica indiretta nei confronti
della politica economica del regime, nei volumi della collana che affrontano i
problemi economici italiani è avvertibile, nel migliore dei casi, una cautela
dettata dal timore della censura fascista. Già il 28 marzo 1931, scrivendo a
Luigi Einaudi a proposito dei tagli ritenuti necessari per un suo articolo,
Edoardo Giretti affermava che è molto mortificante di non sapere più quello che
si può dire e quello che invece bisogna tacere; ma d’altra parte è anche
giustissima la preoccupazione di conservarci il mezzo di poter dire alcune
delle cose che si pensano e che, forse, è ancora utile di far conoscere intorno
a noi . Sempre Giretti, parlando del volume scritto in collaborazione col
nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi, che esprimeva giudizi sulla
politica economica del regime, scriveva di aver già fatto il possibile per non
dire niente di più di quello che oggi si può dire, ma vi è sempre il peri 86 L.
Robbins, Le cause economiche della guerra, traduzione di E. Rossi, Torino,
Einaudi, 1944 (ediz. originale 1939),95. Il libro era stato proposto
all’editore da Ernesto Rossi il 1° luglio 1942 (AE, Rossi). È meraviglioso
vedere come le menti degli economisti liberali inglesi siano aperte alle idee
fondamentali del fascismo , come il corporativismo e il concetto dell’ ordine
nuovo europeo antisovietico , affermerà f. p.[Felice Platone] recensendo il
libro su Rinascita colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti . Tuttavia,
proprio questo volume è fra i più coraggiosi nella polemica: svolgeva, con
frequenti citazioni da La condotta e gli effetti sociali della guerra italiana
di Luigi Einaudi, una dura critica dei provvedimenti protezionistici, lodando
le coraggiose riforme in senso liberista di De Stefani, il cui abbandono veniva
giustificato con le difficoltà inerenti al generale disordine delle relazioni
internazionali, ed ai contrasti tosto abilmente suscitati dai gruppi
organizzati per la difesa dei loro particolari interessi minacciati . Ma
osservava che l’isolamento economico, se poteva non danneggiare paesi con ampio
mercato interno, era un assurdo per l’Italia; in particolare Luciano Giretti,
dopo aver affermato che il raggiungimento dell’autarchia, portando naturalmente
con sé la riduzione a zero delle esportazioni, farebbe incontrare enormi
perdite agli interessi produttivi dipendenti dai mercati mondiali , sosteneva
la necessità di tornare al liberismo, pur con tutti i suoi limiti . Polemico
era anche il volume di De Viti De Marco che sosteneva l’erroneità della teoria
secondo la quale la banca crea credito, lodato da Einaudi che notava come su
questa teoria, se ben si rifletta, riposano quasi tutte le modernissime
proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la suprema regolatrice del
credito e della attività industriale, la leva necessaria per risanare le crisi
e far uscire il mondo dalla depressione ® In altri volumi, invece, il giudizio
sulla politica econo 87 AFE, E. Giretti (lettere del 28 marzo 1931 e del 14
ottobre 1934). 88 E. e L. Giretti, Il protezionismo e la crisi, Torino,
Einaudi, 1935, 54-55, 77, 143; era necessario, si afferma, tornare a quel
libero scambio che, se non rende possibile un alto tenor di vita in un paese,
dove le risorse naturali sono misere, il lavoro poco produttivo e gli
imprenditori poco geniali; se non impedisce il triste fenomeno della
disoccupazione dovuta alle oscillazioni del ciclo economico; se non porta
infine alla prosperità un popolo che per varie ragioni non può ottenerla, va
almeno esente da tutti i mali che della protezione sono caratteristici, ed ha
tuttavia influsso benefico nel far sf che ognuno sfrutti nel migliore dei modi
il proprio lavoro, ottenendo la massima quantità di beni in cambio di quelli
che egli stesso ha prodotto (pp. 163-164). 8 A. De Viti De Marco, La funzione
della banca. Introduzione allo studio dei problemi monetari e bancari
contemporanei, Torino, Einaudi, 1934; recensione di L. Einaudi ne La Cultura ,
XIII (1934),136. 234 Le origini della casa editrice Einaudî mica del regime
risulta più favorevole di quanto ci si sarebbe immaginato sulla base
dell’impostazione liberista della collana. Alcuni si presentano come contributi
alla soluzione di problemi economici concreti, come La questione petrolifera
italiana (1937) di Cesare Alimenti, che pur sostiene l’insufficienza
dell’autarchia basata sull’uso dei succedanei del petrolio, o L'agricoltura
italiana e l’autarchia (1938) il cui autore, il senatore Arturo Marescalchi,
già sottosegretario all’agricoltura dal 1929 al 1935, espone una serie di
consigli pratici per obbedire all’invito all’autarchia alimentare rivolto da
Mussolini nel discorso alle Corporazioni del 15 maggio 1937 . Meritevole di un
premio dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi Federici,
teso a dimostrare che la unità di spirito di idee di volontà che oggi noi
possiamo vantare è assieme all’ordinamento corporativo la migliore forza posta
al servizio del paese per realizzare l’unità di azione necessaria per resistere
e per spezzare il blocco . Comprensivo verso i provvedimenti governativi
culminati nella istituzione dell’IRI si dimostra lo stesso Cabiati, osservando
che quando le classi industriali agricole e finanziarie di un paese reclamano
ad ogni difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che questo, per ben
amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua
sorveglianza . E fino ad un’esalta % Il 10 febbraio 1938 l’editore, annunciando
a Marescalchi che il suo volume era pronto, scriveva: Ho pensato che il volume
potrebbe essere distribuito, a cura del Ministero dell’Agricoltura, alle
Cattedre Ambulanti, Scuole agricole, biblioteche provinciali, ecc. (AE,
Marescalchi). 91 L. Federici, Sanzioni, Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936),
12; il 19 ottobre 1935 l’autore scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il
volumetto secondo lo schema da Lei suggeritomi (AFE, Federici). Federici, già
allievo di Einaudi, era responsabile della pagina finanziaria de L’Ambrosiano .
9 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?,173; dando notizia di un
altro lavoro di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi
Einaudi affermava che l’autore ammira la teoria germanica odierna, per cui la
finanza è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non fa neppure
più parte del Comitato della politica economica; ma pone le condizioni ed i
limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la condotta della guerra. La
teoria cosî continuamente si rinnova, ma non rinnega, pure perfezionandole e
adattandole alle nuove esperienze, le verità antiche ( Rivista di storia
economica zione retorica della politica economica del regime si spingeva Franco
Ballarini, che non si limitava a lodare il discorso di Pesaro e tutta la
politica monetaria del governo o l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad
affermare che in un mondo brancolante fra puro comunismo alla russa,
supercapitalismo dei trusts o cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce
venne dall’Italia. Si chiamò corporativismo . Ancora più concretamente
Francesco Repaci, uno dei più fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il
riordinamento della finanza locale attuato con il testo unico del 1931 e con la
legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la riduzione
del 12% sulle retribuzioni del personale era stato elemento idoneo a migliorare
la situazione finanziaria degli enti locali . La collana non si limitò quindi a
una funzione di orientamento teorico generale, ma svolse anche una serie di
interventi su temi concreti, negando quello che era stato un presupposto
originario del suo ispiratore. Nel 1942, presentando l’Introduzione alla
politica economica di Costantino Bresciani Turroni che dopo la Liberazione avrà
anch’egli un ruolo rilevante, come presidente del Banco di Roma, Luigi Einaudi
riconoscerà infatti che, dopo avere lungamente creduto anch’io che ufficio
dell’economista non fosse di porre i fini al legislatore, bensi quello di
ricordare, come lo schiavo assiso sul carro del trionfatore, che la Rupe Tarpea
è vicina al Campidoglio, che cioè, qualunque sia il fine perseguito dal
politico, i mezzi adoperati debbono essere sufficienti e congrui; oggi dubito e
forse finirò col concludere che l'economista non possa distinguere il suo
ufficio di critico dei mezzi da quello di dichiara 9 F. Ballarini, Dal
liberalismo al corporativismo, Torino, Einaudi, 1935,131. A Marco Fanno,
giudicato da Giuseppe Bruguier molto vicino all’ideologia corporativa (I/
corporativismo e gli economisti italiani, Firenze, Sansoni, 1936,57-59), e
autore de I trasferimenti anormali dei capitali e le crisi (Torino, Einaudi,
1935), Luigi Einaudi chiese di scrivere un volumetto di Economia Corporativa
(AFE, Fanno, 30 luglio 1934). % F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle
provincie e degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936,61. Come
giustificazione dell’intervento italiano in guerra fu apprezzato dalla stampa
fascista B. Minoletti, la marina mercantile e la seconda guerra mondiale, Torino,
Einaudi, (na i Venta fascista , XIX (1940),14, e Leonardo tore di fini; che lo
studio dei fini faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio dei
mezzi, al quale gli economisti si restrin5 gono 9. La collana da lui diretta
fino al 1944, se non giunse a porte i fini al legislatore , in alcuni casi si
fece portavoce di quest’ultimo. Ma la situazione cambierà drasticamente un anno
dopo. Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di governatore della Banca d’Italia,
Luigi Einaudi proporrà al figlio di pubblicare una serie di volumi sui Problemi
italiani scritti nel modo pi oggettivo possibile con l’aiuto, per la raccolta
dei dati, dell'Ufficio Studi della Banca da autori di orientamento liberista,
sotto la supervisione di Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa
editrice, che pur dimostrerà una certa fatica a superare l'impostazione
originaria sui problemi economici, non poteva più accettare le proposte di
Luigi Einaudi: trincerandosi dietro il rifiuto dell’ obiettività che i
liberisti non avevano certo rispettato il consiglio editoriale gli rispose che
intendeva presentare al pubblico italiano non soltanto un materiale di studio e
di lavoro, ma anche un’opinione ben definita, un orientamento costruttivo.
Vogliamo quindi che l’aspetto strettamente economico di un problema non sia
scisso dal suo aspetto politico: perciò, se chiediamo all’autore serietà e
obiettività di documentazione, gli chiediamo anche di indicare la sua soluzione
politica, che sarà proposta alla libera discussione del pubblico . E nella
collana Problemi italiani appariranno i volumi di Dorso, Grifone, Sereni e
Grieco. # C. Bresciani-Turroni, Introduzione alla politica economica,
prefazione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1942,15-16. A difesa del liberismo
di Bresciani Turroni, e in polemica con un articolo di Guido Carli su Civiltà
fascista , anche L. Einaudi, Economia di mercato e capitalista servo sciocco,
in Rivista di storia economica Su Bresciani Turroni la voce di Amedeo Gambino
in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio del 31
ottobre 1945, e risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE, L. Einaudi).
Le firme dei liberisti da Luigi a Mario Einaudi, a Cabiati, Giretti e De Bernardi
compaiono anche su La Cultura , a segnalare i volumi della collana Problemi
contemporanei , ma non sono tali da caratterizzare la rivista, centro di
esperienze culturali più avanzate, che ritroveremo in altre collane della casa
editrice. Quando appare nel 1934 per i tipi di Giulio Einaudi, La Cultura si
presenta completamente rinnovata rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a
quella che le era succeduta dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo
Cajumi: nuova nella veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato
direttivo, accanto a Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antonicelli, Bruno
Migliorini, Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e Norberto Bobbio, a
dimostrazione di un legame anche fisico con la precedente tradizione della
rivista ma, al tempo stesso, della volontà di un cambiamento non solo
generazionale. Mentre scompaiono molti collaboratori di De Lollis, assorbiti
dalle iniziative culturali del regime pensiamo ad esempio ad Alberto Pincherle,
Giorgio Levi Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o Felice Battaglia,
impegnati da Gentile nell’Enciclopedia italiana, fra i nuovi appaiono vari
allievi, al liceo D'Azeglio, di Augusto Monti, Zino Zini e Umberto Cosmo, che
si riallacciano per questa via alla tradizione gobettiana, rivissuta
politicamente, da alcuni, nella militanza tra le file di Giustizia e Libertà.
Novità si registrano anche nei contenuti non più % Il 27 luglio 1935, riferendo
al Ministero dell’interno sugli arresti del gruppo einaudiano come aderente a
Giustizia e Libertà, il prefetto di Torino scriveva: Detta setta si serviva a
Torino dell’attività della Casa Editrice Einaudi la quale segnatamente con la
pubblicazione della rivista pseudo letteraria La Cultura era riuscita a riunire
una cerchia di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di redattori e
collabotatori in maggior parte ostili al Regime Fascista e noti per aver svolto
in passato attiva propaganda contro il Fascismo ; e aggiungeva che Giulio
Einaudi, all’atto del suo arresto, non esitò a riconoscere la polarizzazione
intorno alla rivista ‘La Cultura’ di tutto il cosidetto ambiente antifascista
torinese (ACS, Casellario politico centrale, b. 1877, fasc. 52997). dibattiti
sulla scuola o sulla religione, meno filosofia e più storia, interesse per i
problemi contemporanei , pur nella continuità col passato, quale si manifesta
nell’apertura europea con una particolare attenzione per la cultura francese e
in una certa oscillazione fra crocianesimo e anticrocianesimo, anche se
quest’ultimo fu presente in misura maggiore. L’idealismo dei collaboratori
della rivista einaudiana, infatti, conobbe sfumature molto particolari, si
atteggiò in forme proprie, cercò sempre, pit o meno lucidamente, il contatto
con esperienze diverse . Pi accentuata che nella critica estetica di De Lollis
è, ad esempio, l’attenzione per il metodo filologico e per la collocazione del
letterato nel suo tempo, come risulta dalle recensioni di Cajumi, di Santoli o
di Piero Treves !®. E decisamente anticrociano è il direttore effettivo della rivista,
Cajumi, che nel 1934 si scaglia con virulenza contro la critica idealistica
rappresentata dai volumi laterziani di Luigi Russo, Elogio della polemica e
Giovanni Verga, richiamandosi alla battaglia contro la critica filosofica già
condotta nel 1910 da erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo temporale e
delle sue pretese (tanto da assumere lo stesso tono stizzoso dei
contradditori), ma conservatori con un soupgon di nazionalismo; riformatori per
inse diar la loro filosofia nella scuola, ma poi estraniati dalla rivoluzione
98 Mario Praz, fedele agli interessi prevalentemente letterari della vecchia
serie della rivista, il 1° febbraio 1934 annunciava le sue dimissioni da
condirettore a Cajumi, che gli aveva indicato le novità della serie einaudiana:
Rivista mensile su due colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali (AE,
Praz). Il 23 gennaio 1935 l’editore scriveva a Cabiati: mi permetto di
ricordarLe l’articolo sul piano Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’ fuori
ogni tanto dalla solita zuppa di critica rita ed estetica di cui il pubblico
non vuol più saperne (AE, abiati). Sasso, La Cultura nella storia della cultura
italiana, in La Cultura , XIV (1976) (numero speciale Per i 70 anni di Guido
Calogero ),82. Un accenno a Cajumi e ai collaboratori de La Cultura come un
gruppo di intellettuali ben definito nella vita culturale italiana , in A.
Gramsci, Quaderni del carcere Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta
pubblicato da Laterza, Piero Treves riteneva necessario inquadrare i poeti nel
loro tempo: Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua poesia, che vale
e che dura quanto e come la sua poesia (Storia e poesia nella Grecia arcaica,
in La Cultura , in cammino; nemici tanto del letterato puro quanto di quello
politicante, i seguaci dell’indirizzo propugnato dal Russo appaiono a un
osservatore imparziale un curioso impasto di contraddizioni 10, Sul piano
filosofico comincia a muoversi contro l’idealismo Eugenio Colorni, pur allievo
del mistico Martinetti e collaboratore della Rivista di filosofia , già
orientato politicamente verso il socialismo di Lelio Basso e di Rodolfo
Morandi; la sua ricerca, incentrata intorno all’analisi del pensiero
leibniziano, ha modo di esprimersi sulla rivista in discussione con La
spiritualità dell’essere e Leibniz del cattolico Giovanni Emanuele Bariè il
quale, notava Colorni, si serviva di Leibniz a scopi postkantiani e idealistici
, accentuando la concezione dell’essere come spiritualità : era invece una
violenza che il pensiero postkantiano fa sul nostro potere d’interpretazione e
di sviluppo, di considerare tutto ciò che non è materiale nel senso comune
della parola, come necessariamente svolgentesi in forma di soggettività e di
pensiero. Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere questa costrizione
e nell’additare altre direzioni, diverse da quella gnoseologica !2, Si
manifestava cosi in Colorni, come è stato osservato, un consapevole atto di
rottura [....] nei riguardi di una tradizione spiritualistica di cui
l’idealismo fu l’ultima incarnazione !°, Non mancano, talvolta, anche dirette
confutazioni della 101 A. Cajumi, La colpa è della critica?, in La Cultura ,
XIII (1934), 45-47; di questo articolo, dove vedeva la condanna sommaria di
tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni , si lamentava Russo con
Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo). Sull’insufficienza del fiuto filosofico
per separare la poesia dalla non poesia , dello stesso Cajumi, Gustave Lanson,
in La Cultura , XIV (1935),19; contrario alla sostituzione della critica filosofica
alla storica si dimostra anche Enrico Carrara recensendo Il! Quattrocento di
Vittorio Rossi ( La Cultura). 102 E. Colorni, Leibniz e una sua recente
interpretazione, in La Cultura Cosî N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni,
Scritti, Firenze, La Nuova Italia, 1975,VI. Per l’attività politica di Colorni
la voce di E. Gencarelli in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio
italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Roma, Editori Riuniti,
1976, e il profilo, non privo di accenti agiografici, che gli ha dedicato Leo
Solari, Eugenio Colorni. Ieri e oggi, Padova, Marsilio. 1980. 240 Le origini
della casa editrice Einaud? cultura ufficiale, come quando, di fronte al metodo
attualizzante proposto da Gentile ne La profezia di Dante, Umberto Cosmo il
docente torinese che nel 1926 era stato costretto a dimettersi
dall’insegnamento per l’ incompatibilità fra il suo pensiero e la politica del
regime osservava che chi voglia comprendere Dante nella sua interezza
discorderà probabilmente da cotesti criteri , perché l’infinità dello Stato, la
potenza sua illimitata mi paiono concetti moderni che il teologo Dante non
poteva formulare a se stesso !. Ma la più evidente linea distintiva della
rivista dalla cultura del regime, cosi come da Croce, è ravvisabile nel netto
richiamo ai valori dell’illuminismo negati dal pensiero idealistico, e rimasti
ai margini anche dell’interesse de La Cultura di De Lollis. Se ne fanno
interpreti soprattutto, oltre al Antonello Gerbi !5, Cajumi e Salvatorelli,
anche se con accenti molto diversi. Per Cajumi la rivalutazione del ’700 doveva
essere fatta a spese dell’hegelismo e dei suoi seguaci, e ricollegando
l’illuminismo all’individualismo del Rinascimento secondo la linea
interpretativa esposta da Chabod nella voce IMuminismo dell’Enciclopedia
italiana, attraverso il tramite del libertinismo: La nuova filosofia, sorta con
facilità a cavalcioni di un positivismo sfiatato e vaniloquente, giudicava e
mandava dall’alto del suo tedescheggiante idealismo, ed estranea alla cultura
francese ed inglese, contribuiva al vituperio. Marxisteggiando, i nostri
filosofi prendevano sotto le ali il Sorel, e covavano Bergson e Blondel. Per
quei poveri sensisti ed illuministi, che disprezzo! . Il male è che un ritorno
al Settecento non può farsi senza rimandar prima in soffitta Marx, Hegel e
compagnia, castigare la democrazia, dissipar l’equivoco di certo
neoliberalismo, non aver paura di passare per dei conservatori e miscredenti
vecchio stampo. 14 u.c. [U. Cosmo], Le profezia di Dante, in La Cultura, XIV
(1935),16. Sulla sua figura la testimonianza di F. Antonicelli, Un professore
antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV., Trent'anni di storia italiana
(1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da F. Antonicelli, Torino,
Einaudi, 1975?,87-90. 105 L'entusiasmo, la buona fede, lo zelo gioioso di quel
tempo calunniato ci investono e sollevano , osservava Gerbi recensendo Les
origines: intellectuelles de la Révolution Frangaise di Daniel Mornet (Idee del
Settecento, in La Cultura , XIII (1934),41). Ma i suoi accenti élitari si
riscattavano in un sentito laicismo: per salvare l'Europa malata, non solo
politicamente ed economicamente, ma, ciò ch'è più grave, nella sua cultura ,
era necessario identificare le origini della sua civiltà, che erano colte, alla
luce de La crise de la conscience européenne di Paul Hazard il volume sarà
tradotto dalla casa editrice nel 1946, nell’Umanesimo e aggiungeva Cajumi
riecheggiando forse Gobetti nella Riforma, dalla quale erano sorte la libertà
di coscienza, la discussione del cristianesimo, delle affermazioni ateistiche.
Il peccato originale, l’origine unica delle razze sono battuti in breccia;
s’affaccia l’idea di progresso. La politica si laicizza, e si democratizza,
l’idea di Stato si disgiunge da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una
nuova economia, mercantile, capitalista !. Pi esplicita e avanzata che in
Cajumi risulta, a proposito dell'Illuminismo, la coniugazione di giudizio
storico e impegno civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934 La polemica sul Medio
Evo di Giorgio Falco ma richiamando anche la Philosophie der Aufklirung di
Cassirer, egli osservava che la valorizzazione del ’700 operata da Falco si
inseriva in un processo di pensiero in pieno corso e di importanza capitale, da
cui usciranno ben altro che semplici revisioni storiografiche e
storico-filosofiche, come ben altro che queste revisioni è uscito dalla
svalutazione del ’700 proseguita dal Romanticismo in poi . E, dopo aver
ridimensionato la funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società
medievale, con accenti antinazisti ci si aggiungono, adesso, le strimpellature
misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori teutonici, di
accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che fa capo a Vitichindo
e a Wotan) , Salvato 106 A. Cajumi, La nascita della civiltà europea e I
libertini del Seicento, in La Cultura, XIV (1935),41-43 e 63-67. Negli stessi
anni l’opera di Hazard era accostata da E. Cione alla Storia dell'età barocca
di Croce, anche per il suo taglio etico-politico ( La Nuova Italia , VIII
(1937),121-123). Sul significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema
della crisi anche per il momento in cui fu scritta, G. Ricuperati, Paul Hazard,
in Belfagor , relli indicava lucidamente quello che poteva essere
l’insegnamento dell’illuminismo: chi volesse con un solo termine riassumere le
caratteristiche del per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro più
adatto che quello di umanità . Ed ecco perché, nella necessità di un nuovo
umanesimo per risolvere la crisi in cui il mondo civile si dibatte, il pensiero
del Settecento ritorna oggi a splendere più vivo che mai. Per fare, e non
subire, la storia futura occorre giudicare quella passata e non stenderci sopra
il polverino 19. Non meno significativo è in Salvatorelli il legame istituito
fra Risorgimento e Rivoluzione francese analogo all’interpretazione espressa
negli stessi anni da Aldo Ferrari o da Baldo Peroni sulla Nuova rivista storica
, e la demistificazione della leggenda di Carlo Alberto !: temi e giudizi che
ritroveremo in alcune opere dello stesso Salvatorelli e di altri collaboratori
di Giulio Einaudi. Attraverso il discorso culturale filtrava spesso anche un
messaggio politico, che si fa talvolta esplicito sulle pagine della rivista, ma
i cui toni pi avanzati sono di stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a due
articoli ferocemente antisoreliani di Salvatorelli, ricordando come Sorel fosse
uno dei numi tutelari del fascismo !’; ma, mentre in uno l’autore rimane sul
terreno puramente culturale della difesa dell’Illuminismo !, solo nell’altro
Salvatorelli espri 107 L. Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in La
Cultura Salvatorelli, Napoleone, in La Cultura, e la sua recensione a G. F.H.
Berkeley, Italy in the making 18151846, in cui Salvatorelli nega l’esistenza di
una politica antiaustriaca di Carlo Alberto prima del 1845 ( La Cultura , XIII
(1934),131). Contrario alla tesi autoctona delle origini del Risorgimento, ma
anche a quella che ne legava la nascita alla Rivoluzione francese, si dimostra
invece Cajumi nella recensione a H. Bédarida -Hazard, L’influence francaise en
Italie au dix-buitième siècle (La Cultura, Bobbio, Trent'anni di storia della
cultura a Torino,69. 110 Sorel è lo Spengler dell’anteguerra, e Spengler il
Sorel del dopoguerra . L'opposizione di Spengler al secolo XVIII, reo di aver
iniziato l’epoca del razionalismo, è tale e quale quella del Sorel, per cui la
dottrina del progresso, fondamentale nell’epoca dell’enciclopedismo c
dell’Aufklirung, non era se non la giustificazione ideale di una socictà datasi
tutta alla gioia di vivere, e Diderot, Voltaire e simili non erano me un
giudizio politico attaccando Sorel in nome di quel mondo prefascista verso il
quale abbiamo visto volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel infatti non si
rese mai conto delle realtà di primaria importanza su cui giocava, degli
interessi sociali che rischiava di danneggiare, dei valori umani fondamentali
che vilipendeva. Tutto questo, in un periodo storico che richiedeva la massima
cautela per non contribuire, sia pure involontariamente, a scuotere le
fondamenta di una civiltà grandiosa, ma tutt’altro che consolidata !!!. Un
atteggiamento più arretrato, decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che
nel 1934, in polemica con un uomo politico non certo progressista come André
Tardieu, notava in Francia la progressiva e trionfante sostituzione della massa
all’individuo, mediante la realizzazione di democrazie nazionaliste, che
tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato, contro la garanzia di
un’assistenza economica e sociale sempre maggiore !. Una posizione, questa, in
linea con quella già esaminata dei liberisti; anche su La Cultura , del resto,
recensendo gli Orientamenti di Croce del 1934 Luigi Einaudi ne accoglieva
pienamente la stroncatura da filosofi veri nei confronti di Spengler e della
teoria marxiana della base economica della società !5; e lo stesso ex
ordinovista Zino Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre di
Pierre Renouvin, osservava che nell’esame delle cause è messa abilmente in luce
la sopravalutazione diventata ormai quasi un luogo comune che si ha l’abitudine
di fare di quelle economiche !. Né era segno di distinzione dal fascismo, nel
1934, la critica dell’ideologia nazionalsocialista, assai diffusa nelle riviste
del regime, e che ne La Cultura si manifesta nella stroncatura del Mein Karzpf
stati che dei buffoni della aristocrazia (L. Salvatorelli, Spengler e Sorel, in
La Cultura a proposito di Anzi decisivi di Spengler pubblicato da Bompiani). Ul
L. Salvatorelli, I/ mito Sorel, in La Cultura , XIII (1934),63. 112 A. Cajumi,
In punta di penna, in La Cultura , XIII (1934),30. 113 La Cultura , Zini, In
margine a una storia della grande guerra, in La Cultura. Su di lui , fra i vari
interventi di G. Bergami, il suo ritratto in Belfagor di Hitler tradotto da
Bompiani libro pieno di contraddizioni e caratterizzato da una spiccata
innocenza intellettuale , scriveva Salvatorelli 5, o nella recensione di Luigi
Emery a Friedrich der Grosse und die geistige Welt Frankreichs di Werner
Langer, in cui si metteva in evidenza come l’autore dimostrasse l’influenza
francese su Federico II di Prussia contro l’aureola di santone del germanesimo
della quale tardi agiografi vogliono citcondare lo spregiudicato Gran Re di
Prussia. Dalla sua tomba nella Garnisonkirche di Potsdam trasse gli auspici con
rito solenne il regime che presiede oggi alla vita della Germania 1°, Non
sarebbe comunque produttivo ricercare in riviste o volumi pubblicati sotto il
fascismo segni politici troppo discordanti dagli indirizzi del regime.
L’analisi deve rimanere aderente ai temi culturali, per cogliere la
manifestazione di eventuali dissonanze o contraddizioni, aperture ideali o non
meno significativi silenzi. Per questo ci sembra necessario soffermarci, sia
pur brevemente, sul letterato Pavese, che con Ginzburg fu il principale
collaboratore di Giulio Einaudi nei primi anni della sua attività editoriale e
il legame pit consistente fra La Cultura e le iniziative della casa editrice.
Nota è, come abbiamo visto, la militanza politica di Ginzburg, che gli costò
dapprima il carcere dal marzo 1934 al marzo 1936 e, dall’11 giugno 1940 al 25
luglio 1943, il confino a Pizzoli presso L'Aquila; nonostante ciò, egli poté
dedicare le sue cure, assieme a Pavese, alla Biblioteca di cultura storica , ai
Narratori stranieri tradotti e alla Nuova raccolta di classici 115 La Cultura
Emety, Gallicanismo di Federico il Grande, in La Cultura , XIII (1934),58-59;
la tesi di Langer era del resto condivisa anche da Luigi Negri sulla Rivista
storica italiana , LII (1935),238-240. Recensendo Le civiltà d’Italia di
Giovanni Vidari, Enrico De Michelis vi notava un eccesso di sentimento
nazionalistico , pur aggiungendo che l’opera era ben lontana da quelle fantasie
di metafisica antropo-etnica che, dopo un periodo di stasi apparente, son
tornate oggi a predominare nella Germania di Hitler e che purtroppo
costituiscono un pericolo non lieve per la pace e per la civiltà dell’Europa e
del mondo ( La Cultura italiani annotati !. Non ci restano tuttavia, al di là
delle testimonianze, tracce consistenti della sua attività editoriale, che
invece è maggiormente documentabile e fu probabilmente pi continua per Pavese,
confinato per più breve tempo, circa un anno, a Brancaleone Calabro. Parlare di
Pavese, all’inizio degli anni ’30, significa soprattutto affrontare il suo
interesse per la letteratura americana contemporanea, individuabile nelle
traduzioni per Frassinelli e negli articoli su La Cultura soprattutto prima del
1934, e destinato a esprimersi in nuove proposte di traduzione per la Einaudi.
Il tema è stato affrontato più volte, ma spesso con forzature ideologiche o con
una insufficiente storicizzazione, tali da fornire un’immagine deformata, e in
genere riduttiva, della figura di Pavese !. La differenza tra lui e Ginzburg,
sul piano politico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente quando,
coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale difensivo o scrisse
dal confino ad Alberto Carocci Unico mio disinteresse 4 aeterno e parlo colla
mano sul cuore la letteratura politica !. Questa affermazione, tuttavia, non
può essere assolutizzata, anche se trova conferma nelle più segrete pagine del
diario, in cui la politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non essendo
uomo d’azione ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno letterario, di
traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica civile, se non
propriamente politica. La scoperta della politica avverrà in lui, come in
Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione per la narrativa
americana indica da tempo il suo tentativo di uscire dagli angusti 117 Pavese
appare revisore dei Narratori stranieri tradotti e dei libri di carattere
storico-letterario , nella lettera di Giulio Einaudi a lui del 27 aprile 1938
(C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966,537).
118 Tali caratteristiche hanno, rispettivamente, i lavoti di N. Catducci, Gli
intellettuali e l'ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni trenta,
Manduria, Lacaita, 1973, e di A. Guiducci, I{ mito Pavese, Firenze, Vallecchi,
1967. 119 Lettera del 24 ottobre 1935; anche la lettera alla sorella del 26
luglio 1935 (C. Pavese, Lettere Lajolo, Il vizio assurdo . Storia di Cesare
Pavese, Milano, Mondadori, Le origini della casa editrice Einaudi limiti di una
cultura nazionale provinciale e soffocante, spinto da un’ ansia di oggettività
che è stata messa giustamente in evidenza, e che lo allontana dall’ermetismo
per sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà popolare e contadina
delle sue valli piemontesi !!, Come ricorderà dopo la Liberazione, la cultura
americana divenne per noi qualcosa di molto serio e prezioso, divenne una sorta
di grande laboratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo
stesso compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con
minore immediatezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi
perseguivano. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non
era un altro paese, un z%ovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco
teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di
tutti !2. Nel modo in cui, già nel 1930, Pavese parlava degli scrittori
americani in una lettera all'amico Chiuminatto, vi era una sorta di
rovesciamento dell’ottica nazionalistica con la quale Prezzolini spiegava Come
gli americani scopr:rono l’Italia, e l'individuazione degli elementi del dramma
comune ', In Sherwood Anderson Pavese coglieva quella realtà industriale che
intimoriva Luigi Einaudi, i centri fumosi e fragorosi, fattivi e ottimisti che
il mondo conosce: Cleveland, Springfield, Detroit, Akron, Pittsburg, e, su
tutti, gigantesca, la metropoli, Chicago. Le fabbriche inghiottono tutto . Dos
Passos presenta le contraddizioni e gli aspetti di quotidiana tragedia di
questa società, 121 E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e ideologia, Bari,
De Donato Pavese, Ieri e oggi (1947), ora in La letteratura americana e altri
saggi, Milano, Il Saggiatore, 1971,188-189. Sugli aspetti sociali del romanzo
americano cui si rivolgeva l’attenzione di Pavese S. Perosa, Vie della
narrativa americana. La tradizione del nuovo dall’Ottocento a oggi, Torino,
Einaudi, la recensione di Pavese a Prezzolini ne La Cultura , XIII (1934),14 e
la lettera di Pavese ad Antonio Chiuminatto del 5 aprile 1930: un buon libro
europeo d’oggi è, in genere, interessante e vitale solo per la nazione che l’ha
prodotto, laddove un buon libro americano parla a una folla più vasta,
scaturendo, come scaturisce, da necessità più profonde e dicendo cose veramente
nuove e non soltanto originali, come quelle che nel migliore dei casi
produciamo noi (C. Pavese, Lettere la lotta ch’egli vede combattersi con
coscienza di classe, nel nostro secolo, tra lavoro e capitale . Attraverso Walt
Whitman, un gigante dalla camicia d’operaio aperta al collo e dalla barba dura
, un poeta che tanta fortuna aveva avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre
che mentre un artista europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è
di costruire un mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per
sostituirla con un’altra magari più significativa, un americano delle
generazioni recenti vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere alla
natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi vergini, di arrivare a
quell’ultimzate grip of reality che solo è degno di esser conosciuto !%, Cost,
attraverso l'America, è possibile la riscoperta della realtà della propria
terra, espressa nel 1936 nelle poesie di Lavorare stanca. Dove era contenuto un
messaggio di speranza immediatamente colto da una comunista torinese, con due
figli comunisti operanti nella clandestinità, Elvira Pajetta: Credevo che la
poesia fosse morta scriveva nel 1936 al maestro severo di Pavese, Augusto
Monti, allora in galera . Cosî siamo noi vecchi: quando non sappiamo più godere
pensiamo volentieri che la gioia di vivere se ne sia partita dal mondo e quando
la prosa quotidiana ha avuto ragione di noi giuriamo tranquillamente che la
poesia è defunta. Ma se il Signor Pavese scrive dei versi, se li crede pi belli
del mondo, se li stampa e li fa leggere è certo che ho avuto torto e son felice
di ricredermi 15. 5. Storiografia e impegno civile Giulio Einaudi seppe
riprendersi abbastanza rapidamente, non solo attraverso le iniziative del padre,
dai duri colpi inferti dal regime, nei primi due anni di attività della casa
editrice, ai suoi collaboratori e alle sue riviste. Prima della guerra, anche
se i titoli pubblicati furono 124 C. Pavese, La letteratura americana, ACS,
Casellario politico centrale (Pavese). Le origini della casa editrice Einaudi
pochi ancora 8 nel 1937, arriveranno a 16 nel 1938 e a 24 nel 1939, egli riusci
infatti a impostare quasi tutte le collane più importanti, che
caratterizzeranno le sue edizioni fin dopo la Liberazione: la Biblioteca di
cultura storica (1935), i Saggi, i Narratori stranieri tradotti e la Biblioteca
di cultura scientifica (1938), i Poeti e la Nuova raccolta di classici italiani
annotati la rivista La Nuova Italia , espressione della casa editrice di Ernesto
Codignola che stava prendendo sempre più le distanze dal fascismo, poteva
lodare la consorella torinese che nel giro di pochi anni ha messo fronde e
radici, e saldamente stabilita nel mercato e nel pubblico, vanta ora una
varietà e una ricchezza di iniziative (opere di scienza, classici della nostra
letteratura, una collezione storica, una di romanzi stranieri ecc.) che tutte
concorrono ad attuare il proposito orgoglioso di riuscire centro animatore di
raccolta della più viva giovane e consapevole cultura italiana 12%. Già prima
del 1940, infatti, le pubblicazioni dell’editore torinese sono tali da
richiamare l’attenzione di intellettuali di rilievo, e da provocare in questi
significative divisioni nei giudizi, nei quali è possibile intravedere
schieramenti contrapposti non solo sul piano culturale; ed è per questo che ci
sembra opportuno dedicare largo spazio alle numerose recensioni ai volumi della
casa editrice. Nonostante la varietà dei temi affrontati dimostri una ricerca
di sempre nuovi spazi culturali che può apparire talvolta confusa e tale da
rischiare il pericolo dell’eclettismo, attraverso le collane in cui è pi
facilmente ravvisabile un impegno civile quella storica e i Saggi è possibile
seguire gli elementi di differenziazione dall’ideologia dei liberisti e il
lento, faticoso distacco dalla cultura del regime. La Biblioteca di cultura
storica è la collana i cui orientamenti appaiono pit definiti fin dall’inizio,
nella ricerca di una valutazione della storia italiana che si differenziasse da
quella nazionalistica di Volpe e della sua scuola o dagli accenti sabaudistici
presenti negli Studi e docu 126 La Nuova Italia , Xmenti di storia del
Risorgimento curati da Gentile e Menghini per Le Monnier, e nel tentativo, in
un secondo tempo, di aprirsi alla storiografia straniera, in particolare quella
anglosassone. Né è ravvisabile in questi anni, nel quadro della cultura
storiografica che non si richiama direttamente o esclusivamente alle
impostazioni di Volpe e di Gentile, un’altra collana storica che abbia la
stessa consistenza e un uguale prestigio di quella einaudiana: questa ha alcuni
punti di contatto con la Biblioteca di cultura moderna di Laterza e con i
Documenti di storia italiana de La Nuova Italia dove apparvero i Discorsi
parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo e Luigi Russo, ma una ben
maggiore capacità di svolgere una funzione civile, in quanto si indirizzava a
un pubblico più ampio di quello degli specialisti, tenendo la via di mezzo tra
la dissertazione storica meramente accademica ed erudita e la storia romanzata
, ciò che costituiva una novità per l’Italia !. Dell’impostazione della
Biblioteca di cultura storica si era occupato, prima dell’arresto, Ginzburg,
che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Rosselli; a questo si rivolgeva
il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un volume su Mazzini per la collana,
dedicata per ora ad illustrare uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna
, e che avrebbe dovuto essere inaugurata da uno studio su Cavour di
Salvatorelli. In un primo tempo Rosselli accettò mi sorride che un mio libro
esca sotto l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima , scriveva a
Giulio Einaudi nel febbraio 1934, lasciando poi cadere la proposta, cosî come
quella, avanzata dall’editore nel 1935, di riprendere sia pur ridimensionandolo
il suo progetto di una rivista storica, che Rosselli giudicò impraticabile per
la difficoltà dei tempi": il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al
Mazzizi di Bonomi, in Nuova rivista storica , XX (1936),430. 128 Il 16 aprile
1935 Rosselli scriveva all’editore che molte delle ragioni che m’indussero a
rinunziare al progetto in grande della rivista sussistono anche per questo
progetto minore; metto in primo piano la mia personale situazione e la fifa
generale. Anche metto in linea di conto la tendenza che oggi prevale, in alto,
di dichiarare guerra a coltello alle riviste indipendenti (almeno a quelle
storiche), per concentrare mezzi Le origini della casa editrice Einaudi regime
aveva infatti provveduto da poco a un rigido controllo degli istituti storici,
mentre si annunciava, anche in questo campo, la bonifica della cultura di De
Vecchi. La collana si inaugurò quindi con un’opera dell’ autore per eccellenza
di Einaudi in campo storico, Luigi Salvatorelli ‘’. Ne Il pensiero politico
italiano che ebbe molta fortuna, testimoniata dalle numerose edizioni
Salvatorelli riprendeva una tematica già affrontata su La Cultura , per
dimostrare come il pensiero politico italiano fosse nato nel 700, con quello
spirito di umanità già presente in Muratori, nel quale troviamo la nuova tavola
di valori settecenteschi, tavola che ignora la grandezza e la trascendenza
dello stato dominanti nella trattatistica anteriore, e destinata a risorgere
con l’idealismo hegeliano ; sulla stessa linea si muove Beccaria, che nega ogni
concetto di un interesse, di un valore statale distinto e superiore
all'interesse e al valore degli e appoggi su poche rivistone ufficiali. Sa che
in questi giorni anche la torinese Rivista storica ha subito una radicale trasformazione
(imposta) ed è passata al Volpe? Rebus sic stantibus, ho paura che la nostra
rivista raccoglierebbe tutti nomi ingrati, e ben presto puzzerebbe. Inoltre per
fare una rivista occorre un gruppo omogeneo di collaboratori abituali, 1)
meglio di redattori. Intorno a me questo gruppo, ora come ora, non c'è; né io
mi sentirei di far tutto da me. Le assicuro che questa mia riluttanza a
imbarcarmi nell’i impresa deriva non già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo in
questo caso non mi difetterebbe davvero. Ma proprio perché sogno, un giorno, di
dar vita a una bella e viva rivista di studi storici, esito a realizzare questo
sogno in un momento cosî poco favorevole. Del resto, dovrò recarmi a Roma, fra
poco; e lf tasterò di nuovo il terreno coi miei amici. Senza illusioni, però.
Debbo proprio dirle che questa rinuncia tanto più mi costa da quando ho capito
di poter contare su di Lei come editore? . Il 3 aprile 1935 gli aveva scritto
di aver parlato della rivista con Salvatorelli, che vede molto di buon occhio
il progetto . Ancora nel 1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su
Montanelli (AE, Rosselli). Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a
Luigi Russo proponendogli, per la collana storica, un volume di carattere
sintetico sulle origini storiche e psicologiche della nostra guerra (AE,
Russo). 29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno 1937 Salvatorelli
scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli vissero nobilmente dediti ad alti
ideali, e sono caduti combattendo come il fratello che li precedette. La loro
memoria rimarrà viva e alta in molti cuori (ACS, Casellario politico centrale,
b. 4549, fasc. 89789). Nel 1938-39 l’editore fu in contatto con un altro
storico di formazione liberale, Nino Valeri, e ancora nell’agosto 1945 si
dimostrerà interessato alla sua proposta di un volume su Filippo Maria Visconti
(AE, Valeri). individui componenti l’aggregato sociale , o Pietro Verri, per il
quale stati forti sono quelli in cui vi è libertà individuale, stati deboli
quelli dispotici . E, mentre si accenna all'influenza della Rivoluzione
francese sull’Italia anche se l’unico giacobino preso in considerazione è
Melchiorre Gioia, la genealogia gentiliana dei profeti del Risorgimento è
fortemente ridimensionata e corretta nei giudizi: in Alfieri si coglie, accanto
all’anelito alla libertà politica, un chiaro individualismo idealistico , e in
Mazzini l’importanza del problema sociale; si mette in risalto, prima del ’48,
la superiorità politica di moderati come Balbo rispetto a Gioberti, e, in
Cavour, il suo debito verso la Rivoluzione francese che ha fondato le libertà
costituzionali e la teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo
statista piemontese profetizzava si sarebbe sempre più radicata mentre l’era
del dopoguerra ha segnato finora una smentita alla profezia cavouriana .
Infine, dopo aver rilevato come le antinomie di Giuseppe Ferrari fra libertà e
autorità e il suo abbozzo socialisteggiante di società futura fossero miscele
confuse ed informi , ma rispondessero a bisogni reali e conservano quindi
ancora oggi il loro valore , il lavoro di Salvatorelli terminava coerentemente
con l’inizio, con la figura di un autore caro agli einaudiani, Cattaneo, che
concludeva il ciclo del pensiero politico italiano del Risorgimento. Lo
concludeva ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la coscienza
storica del Muratori, il riformismo giuridico del Beccaria e del Filangieri, la
critica economico-politica del Verri; lo concludeva riaffermando con meditata
coscienza i valori di umanità e di progresso esaltati dal pensiero del
Settecento, italiano ed europeo Salvatorelli, I/ pensiero politico italiano dal
1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935,6, 11, 40, 67, 88, 130, 200, 217, 265, 303,
320, 350, 354. Giustamente Alessandro Galante Garrone ha osservato che, nella
complessiva valutazione salvatorelliana del Risorgimento, è data una
preponderanza forse eccessiva agli aspetti dottrinali del pensiero politico
(Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli, in
Rivista storica italiana , LXXVIII (1966),534). Sulla riscoperta
dell’illuminismo italiano ne I/ pensiero politico concordano comunque Walter
Maturi (Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni 252 Le origini della casa
editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il commento di chi valutò crocianamente
l’opera come un tipico esempio di storiografia senza problema storico ‘".
Indicativi dell’esistenza di una precisa tesi interpretativa nel lavoro di
Salvatorelli sono infatti, da un lato, i silenzi della Rivista storica italiana
di Volpe e della Rassegna storica del Risorgimento di De Vecchi, cosi come la
distorsione del ragionamento dell’autore che appare sulla gentiliana Leonardo
!, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati nelle riviste meno
conformiste. Sulla Nuova rivista storica si nota che Salvatorelli contrappone
alla storia della ragion di Stato la storia dell’individualismo, e che notevole
è la ricostruzione del pensiero politico del Cavour, cosa che raramente suole
esser fatta; preziose le notizie sull’illuminismo giovanile del Mazzini; il
Cuoco ne guadagna e diventa più modesto per la interpretazione
riformistico-illuministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle esumazioni
idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) !. Più cauti, ma improntati a
simpatia per le idee dell’autore, sono i giudizi che compaiono sulle riviste di
Codignola: Enzo Tagliacozzo si chiedeva, rilevando un limite messo in luce di
storia della storiografia, prefazione di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1962, 554)
e Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità d’Italia e del fascismo, in
Rivista storica italiana Venturi scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile
1935: I capitoli sul tardo Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di
pit, come quelli dove il pensiero ha più rapporti con la politica concreta . Ma
anche per Alfieri, il suo atteggiamento verso la rivoluzione, è cosf chiaro e
mi era affatto sconosciuto . Noto la tua convinzione sulla inferiorità del
pensiero settecentesco. Hai ragione? Questo non so. Io sento diversamente (ACS,
Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Su Salvatorelli educatore
antifascista nella Torino degli anni ?30 la testimonianza di Norberto Bobbio in
G. Spadolini, Il mondo di Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di
Salvatorelli e testimonianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L.
Compagna, Firenze, Le Monnier, 1980,65-72. 131 Cosf Ezio Chichiarelli nella
recensione alla seconda edizione ( La Nuova Italia Troviamo i segni del nostro
moderno concetto totalitario di politica proprio in quel di solito disprezzato
settecento , scriveva Raffaello Ramat ( Leonardo da VINCI Polese in Nuova
rivista storica , XX (1936),449. Cri. tica è invece la recensione alla seconda
edizione dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre in Nuova rivista storica
anche dalla storiografia, se sia veramente possibile cogliere il senso delle
dottrine politiche isolandole dal clima storico che determina il loro sorgere ,
ma approvava le notazioni di Salvatorelli sul fondo reazionario dell’ottimismo
storicistico e sulla necessità di rivedere alcuni giudizi idealistici passati
in giudicato e non più rimessi in discussione ‘4; Paolo Treves invece, dopo
aver notato che è un certo vezzo attuale tentar di sminuire l’importanza del
contributo francese pre e post-rivoluzionario alla speculazione
filosofico-politica italiana , affermava che il saggio dimostrava quanto sia
inutile la disputa recente sull’indipendenza o meno del pensiero italiano in
quest'epoca, perché non si tratta di stabilire primati, che non esistono nella
storia delle ideologie, ma di dimostrare invece come le idee prime tolte dal
lavoro degli illuministi oltremontani fossero rivissute e concretate con la
positiva esigenza della vita italiana, in una pit solida e netta visione
storicistica !°. L’impegno civile dimostrato da Salvatorelli ne Il pensiero
politico italiano e riaffermato nella seconda edizione del 1941, in cui
l’inclusione degli esponenti del pensiero cattolico non modifica la mentalità
liberale dell’autore, come notava La Civiltà cattolica evidenziando il giudizio
troppo severo su Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe di
Canosa e Spedalieri, sembra attenuarsi nel Sommario della storia d’Italia. In
esso Salvatorelli sviluppa quella personale interpretazione dell’unità della
storia italiana che aveva espresso sinteticamente nel 1934, criticando la
concezione politico-statuale di Croce e quella di Volpe che indicava nell’alto
Medioevo il sorgere della nazione italiana proprio al momento in cui l’Italia
si risolve in una molteplicità di organismi autonomi , notava Salvatorelli, per
avvicinarsi alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una linea italica
presente nella penisola già prima della conquista romana, pur vedendo, a
differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità nell’affermarsi di quel
piano statale tendenzialmente uni 134 La Nuova Italia Civiltà moderna , La
Civiltà cattolica Le origini della casa editrice Einaudi tario che, interrotto
dalle dominazioni longobarda e bizantina, riprende slancio fra il IX e l'XI
secolo !. La sua attenzione più allo scomporsi e ricomporsi di un’unità
politicoamministrativa che a una storia del popolo italiano , come notava
Gabriele Pepe !, si riflette anche nel Somzzario, nel quale comunque è
difficile cogliere, dietro la fitta cronistoria dei fatti, dei giudizi
caratterizzanti; questi si limitano ad alcune notazioni sulla diffusione
popolare delle idee della Riforma o sull’influenza dell’Illuminismo francese,
cui non segue però un collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il
Risorgimento; alla valutazione positiva sulla epidemia di scioperi del primo
’900, che fu nell’insieme un fatto fisiologico e benefico, poiché una
elevazione del tenor di vita delle classi operaie era urgente, e perfettamente
possibile dato il grande incremento delle condizioni economiche ; per terminare
con una visione sorprendentemente limitativa dell’età giolittiana l’indirizzo
di governo giolittiano fu, pur con empirismo opportunistico, sostanzialmente
liberale; ma non promosse una formazione organica di partito, e venne a favorire
in una certa misura la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale
, e con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !. Eppure il
Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manualistico e asettico, poteva
presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni storiografiche del
fascismo, e spingere Mario Vinciguerra un intellettuale liberale già vicino a
Gobetti e quindi a Luigi Einaudi a vedere in Salvatorelli l’uomo che potrebbe
benissimo disegnare, se volesse, anche un programma politico come Cesare Balbo
nel suo Sormzzzario, ma che, vivendo in un’epoca non di Salvatorelli, L’unità
della storia italiana, in Pan. 138 La Nuova Italia , Di importanza data da
Salvatorelli al popolo parla invece A. Galante Garrone, Risorgimento e Antirisorgimento
negli scritti di Luigi Salvatorelli,529. 139 L. Salvatorelli, Sommario della
storia d'Italia dai tempi preistorici ai nostri giorni, Torino, Einaudi,
1938,635, 641. Nel 1940 il Sommario fu tradotto in inglese, e nel 1941 in
tedesco dalla casa editrice Junker di Berlino (ACS, Segreteria particolare del
Duce, Carteggio ordinario, n. 527470). aspettative, ma di travaglio mondiale,
porta necessariamente nella storia uno spirito di revisione e di nuova
sistemazione !9. Accoglienze analoghe non mancheranno nel 1942, come vedremo, a
un’opera dalle caratteristiche simili a quelle del Sommario, il Profilo della
storia d'Europa. Frattanto l’attivissimo Salvatorelli, che nel 1937 aveva
pubblicato per l’ISPI La politica della Santa Sede dopo la guerra lodata da
Gerarchia per la larga e seria preparazione dell’autore !!, alla morte di Pio
XI fa seguire immediatamente, nel 1939, un primo bilancio del suo pontificato,
ricco di penetranti osservazioni personali e ciò nonostante giudicato da La
Civiltà cattolica , pur con alcune riserve, fra tutti i libri su Pio XI uno dei
pit seri per copia di informazioni e per sufficiente oggettività di
presentazione !£. In esso Salvatorelli, attento, come Omodeo, alle connessioni
fra storia religiosa e storia politica, notava che nel dopoguerra erano stati i
turbamenti sociali, con il pericolo bolscevico, a rimettere in valore presso
larghi ceti europei la Chiesa cattolica quale fattore di ordine e di
conservazione sociale , con la conseguente tendenza degli Stati a cercare
l'appoggio della Chiesa. È in questo clima che si sviluppa l’azione politica,
non solo concordataria, di Pio XI, Segretario di Stato di sé medesimo , che
ebbe come criterio direttivo di mettere al primo posto il rafforzamento
dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla società facendo addirittura, come
Bonifacio VIII, della regalità di Cristo il titolo giuridico per il governo
della Chiesa sul mondo e qui La Civiltà cattolica replicava 140 Nuova rivista
storica anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere di Einaudi e
Vinciguerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra), in Annali della
Fondazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino, Fondazione Luigi Einaudi
Invece per Bruno Brunello, mentre il Sommario di Balbo era tutto animato da una
fede nei destini della patria , quello di Salvatorelli appariva più
un’esercitazione letteraria che il risultato di un’indagine appassionata (
Rassegna storica del Risorgimento , Il lavoro di Salvatorelli sarà considerato
su Primato molto preciso e concettoso Gerarchia La Civiltà cattolica Le origini
della casa editrice Einaudi che, al contrario, la politica concordataria aveva
visto il pontefice pronto a cessioni e a sacrifici, pur di tener gli Stati
almeno in qualche modo uniti alla Chiesa ! ; e, molto nettamente, Salvatorelli
metteva in luce l’antisocialismo, il legame col fascismo, la lotta contro il
Fronte popolare francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a Franco, il
possibilismo nei confronti della Germania nazista, come elementi
caratterizzanti l’attività del papa, per concludere con l’appello a un nuovo
umanesimo cristiano cui avrebbero dovuto ispirarsi anche i laici !4. Il nome di
Salvatorelli tornerà ancora nelle edizioni Einaudi, sempre con grande
risonanza, durante la guerra. Prima di allora, un altro autore della casa che
suscitò vasta eco fu Ivanoe Bonomi, che abbiamo già trovato, nel 1924, nel
catalogo di Formiggini. Il suo Mazzini triumviro della Repubblica romana,
pubblicato nel 1936 e ristampato nel 1940, incontrò, per la sua esaltazione di
un personaggio storico eroicizzato dal fascismo, una favorevole accoglienza
nelle riviste ortodosse !, ma poté prestarsi anche ad una lettura diversa, come
era nelle intenzioni dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera,
il fatto che le preoccupazioni di politica estera e di carattere militare non
impedirono al Triumvirato di dimostrare il suo interessamento per i problemi
sociali !#; Aldo Ferrari, lodando il lavoro, ricordava che la qualità di uomo
politico dell’autore, il teorico pit chiaro equilibrato e sistematico della
corrente riformista , era non un ostacolo bensî un 14 Ibidem. 14 L.
Salvatorelli, Pio XI e la sua eredità pontificale, Torino, Einaudi, ad esempio
Rassegna storica del Risorgimento Leonardo Rivista storica italiana; Meridiano
di Roma Nuova rivista storica; contemporaneamente ‘Tagliacozzo, recensendo il
Labriola di Dal Pane, richiamava l’insegnamento di Labriola come salutare in un
momento in cui si tendeva a sopravvalutare quello che vien comunemente detto il
fattore morale ( La Nuova Italia , VII (1936),261; anche E. Tagliacozzo, In
memoria di Antonio Labriola nel trentennio della morte, in La Nuova Italia ,
aiuto alla ricerca storica !'; mentre il crociano Edmondo Cione opponeva
l’esaltazione degli autentici valori morali del Risorgimento operata da Bonomi
alla tendenza, impersonata da Luzio, ad una strana riabilitazione dei varii
personaggi del mondo reazionario e clericale e talora persino di quello
poliziesco e brigantesco , e notava che il dramma religioso dello spirito moderno
rende di perenne attualità il pensiero del Mazzini , nel quale sono contenuti i
fondamentali principi della religiosità laica del presente e dell’avvenire: la
fede nel progresso storico, il valore educativo della libertà, l'esaltazione
del senso del dovere e dello spirito di sacrificio, il senso della missione e
della dignità personali ‘4: un giudizio che assumeva tutto il suo significato
se confrontato con quello de La Civiltà cattolica , che coglieva nell’opera un
profondo anticristianesimo spiegabile con la mentalità di antico socialista
dell’autore !9, I contatti dell’editore con l’ex esponente del Partito
Socialista Riformista continuarono, ma gli umori della censura fascista, come
quelli dei recensori, si dimostrarono mutevoli. L’idea di avere un altro libro
Suo, sulla storia politica del cinquantennio che precede la guerra mondiale, mi
ha entusiasmato , scriveva Einaudi a Bonomi nel novembre 1938; il volume era
pronto nel dicembre 1940 e, affermava l’autore, esso non tocca periodi...
pericolosi, ma certo illustra l’età liberale di cui ricorda le benemerenze ed i
pregi . Tuttavia, sebbene giudicata dall’editore opera tutta permeata di
patriottismo e basata su dati inoppugnabili , La politica italiana da Porta Pia
a Vittorio Veneto non ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere
pubblicata nella collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del
consiglio. Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937, affermando
che alcune circostanze recenti mi pare abbiano reso nuovamente di attualità il
Diario di guerra di Bissolati !. Il volume, pubblicato 147 La Nuova Italia La
Nuova Italia La Civiltà cattolica AE, Bonomi. Da notare che, dopo una seconda
edizione Le origini della casa editrice Einaudi nel 1935 in una collana subito
abortita, Ricordi e documenti di guerra , era stato in un primo tempo
sequestrato !, ma non incontrò nemmeno le simpatie che La Nuova Italia aveva
riservato a Bonomi: il recensore della rivista presentava infatti Bissolati
come uno spirito rivolto al passato, anziché un veggente delle mete future ,
preso da una visione umanitaristica della guerra che rendeva il Diario animato
dall’innegabile patriottismo dell’autore, ma anche da idee che compromisero la
condotta. della guerra nei momenti decisivi !. Il tono della collana conobbe
del resto anche aspre cadute, veri e propri compromessi col fascismo, come ne I
rovesci più caratteristici degli eserciti nella guerra mondiale 1914-18 teso ad
esaltare la capacità di ripresa delle forze militari italiane del generale
Ambrogio Bollati, direttore della Rivista coloniale , autore anche, per la casa
editrice, della Enciclopedia dei nostri combattimenti coloniali, e, assieme al
generale Giulio Del Bono, della Guerra di Spagna sino alla liberazione di
Gijon, i cui toni anticomunisti furono apprezzati, fra gli altri, da Eugenio
Passamonti '. Di impronta nettamente antidemocratica è anche il Massimo
D'Azeglio politico e moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di altri
mediocri studi risorgimentali: un volume che, accompagnato da un giudizio
favorevole dell’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio le sue creden
Bonomi chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una terza edizione del Mazzini,
perché il libro usci in periodo fascista quando la sua diffusione trovava
ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei molto a diffondere quel mio libro che, in
questa ora, avrebbe un significato di attualità Il Diario fu sequestrato nel
giugno 1934 per le sue critiche all’operato dei comandi militari (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1).
Il 2 luglio 1934 Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a
consegnare il manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a Mussolini
(ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 70). 152 Carmelo
Sgroi ne La Nuova Italia Rassegna storica del Risorgimento anche Leonardo da
VINCI. Il 25 gennaio 1938 l’editore scriveva a Del Bono di essere lieto che il
volume sarebbe stato tradotto in tedesco (AE, Del Bono). Bollati e Del Bono
saranno autori de La campagna germanica în Polonia, Roma, Unione editoriale
d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa contro il bolscevismo, Roma, La Verità
ziali metodologiche con la difesa della teoria élitaria sono le aristocrazie
che dappertutto nella storia hanno fondato l’ordine nuovo, lo stato saldamente
costruito e con la negazione di qualsiasi influenza del fattore economico nel
processo storico, sostenendo che l’idea di nazione nasce molte volte come
creatura puramente spirituale, non solo indipendentemente, ma anche in
contrasto con precisi interessi materiali . E mentre cerca di giustificare l’
intermittenza di temperamento di Carlo Alberto, alla politica mazziniana
astratta l’autore contrappone quella di D'Azeglio, del cui carattere
democratico presenta un’immagine quanto mai singolare: L’Azeglio dunque
respinge l’idea democratica, non solo nei casi di urgenza , ma anche come
dottrina assoluta, che sarebbe assurda in teoria e inattuabile in pratica. Egli
è democratico in un senso superiore e più generale, in quanto non crede a
privilegi di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai bisogni
del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di uguaglianza; è dunque
democratico nel senso costituzionale, più nello spirito che nella lettera: la
prassi democratica, essendo una specie di materialismo e prestandosi facilmente
alle mistificazioni, gli è in genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a
tematiche non italiane affrontate sempre con quel taglio narrativo che poteva
renderne agevole la lettura anche ai non specialisti, già prima della guerra la
collana acquista un maggior peso culturale e civile. Se solo con l’opera di
Louis Villat su La Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico (1940) si
raggiunge un solido impianto storiografico che sostanzia la narrazione dei
fatti e in cui hanno largo posto, soprattutto nelle appendici sullo stato
attuale delle questioni , temi 15 P.E. Santangelo, Massimo D'Azeglio politico e
moralista, Torino, Einaudi. Santangelo chiedeva all'editore di poter apportare
alcune correzioni al lavoro, dietro amichevole suggerimento di un alto
personaggio dell’Accademia d’Italia (AE, Santangelo). Luigi Bulferetti criticò
la distinzione operata dall’autore nel Risorgimento, tra idea astratta di
Mazzini e azione politica dei moderati ( Rivista storica italiana , s. V, III
(1938), fasc. II, n e Rassegna storica del Risorgimento , XXV
(1938),1584economico-sociali tanto che Carlo Morandi vi vede dominare, e
talvolta in modo troppo esclusivo , le tesi di Albert Mathiez ', si fa ricorso anche
a storici non professionali, in grado tuttavia di esprimere un orientamentò
politico. È il caso del Talleyrand di Alfred Duff Cooper, già ministro della
guerra del gabinetto britannico, e quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal
maggio 1937 all’ottobre 1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per
là sua politica contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo dei giovani
conservatori nella cui mentalità avvertiva l’editore italiano si bilanciano una
certa spre: giudicatezza d’idee e una tendenza al positivo e al concreto
nell’applicazione alla vita vissuta . Egli svolge, sotto le vesti di una
biografia romanzata in cui peraltro si preoccupa di affermare la necessità che
i cambiamenti nel metodo di governo siano graduali , e di notare che gli uomini
di estrema, a qualsiasi partito appartengano, divengono sempre germi di
dissoluzione in un organismo politico , un elogio della coerenza di Talleyrand
nel porre la nazione francese al di sopra degl’interessi particolari dei regimi
che in un certo momento la governano , e presenta il diplomatico francese
assertore di una politica di alleanze fra le potenze capace di portare
all’unificazione europea: lo considera infatti, per usare le parole
dell’editore che fa propria la tesi di Cooper, come un uomo moderno, fors’anche
come un nostro contemporaneo , poiché le sue idee si riportano al problema
della pacifica organizzazione dell’Europa che attende ancora una vera e sicura
soluzione !. Vinciguerra che pur aveva curato l’opera poteva affermare, da un
punto di vista strettamente storiografico, che non si può accettare neanche con
riserve la tesi della modernità democratica e pacifista nella politica estera
di Talleyrand ', ma dimostrava di non cogliere il 155 Primato , I (1940), n.
5,24 (siglato CM.). 15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura di M. Vinciguerra,
Torino, Einaudi. Cooper fu autore di
Ceux qui osent répondre è Hitler, après Munich, Paris, Édinions Nantal, 1938. 157 Nuova rivista storica significato politico di
un’opera apparsa in italiano in un anno cruciale per le sorti dell'Europa:
messaggio che era assai esplicito, se da un’altra ottica ideologica il
commentatore di Leonardo osservava che la vita del grande diplomatico è
pretesto a ribadire la concezione diremo cosi ufficiale della politica
britannica improntata ad un conservatorismo pacifista di cui sarebbe garanzia
imprescindibile una stretta intesa anglo-francese !. E ancora nel corso della
guerra poteva essere accolto il messaggio di pace affidato al romanzo sul
conflitto russogiapponese di Frank Thiess, Tsushimza, tradotto nel 1938 sotto
gli auspici dell'Ufficio storico della Marina e giunto nel 1945 all’ottava
edizione, che prima dell’attacco all’ URSS suscitò accenti di umana
comprensione anche sulle pagine di Critica fascista : 7 Fra quel popolo russo
di martiri grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo
giapponese di tenaci e sorridenti lavoratori, la simpatia umana del lettore, e
fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse senza un presago
significato che il libro si chiuda con la visione luminosa del porto di
Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di bimbi giapponesi giocosamente
s’incontrano e si sorridono pur senza capirsi ancora!, 6. Cultura della crisi e
spiritualismo Nella seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più
consistenti di cui comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di
altro tipo, e tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e
politico. Si tratta di quel filone spiritualista che si riallaccia alla cultura
della crisi sviluppatasi in Europa dopo il 1929 con svariate manifestazioni, da
quelle politiche dei non conformisti francesi che potevano giocare un ruolo
oggettivamente pro fa 158 Sergio Martinelli in Leonardo da VINCI; come
biografia romanzesca l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti ( Rassegna
storica del Risorgimento , XXV (1938),1437). " ; LONGO (si veda), CRITICA
FASCISTA. Le origini della casa editrice Einaudi scista ‘9, a quelle del mondo
cattolico, assai più ambigue perché difficilmente si concretizzavano sul
terreno politico, ma comunque decisamente anticomuniste e antidemocratiche più
ancora che antinaziste, come nel caso dei cattolici italiani che individuavano
nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza mettere in discussione
il fascismo !. Anche in Italia questa ondata irrazionalistica, tesa a mettere
in discussione i valori materiali della civiltà contemporanea, fu alimentata in
particolare dagli ambienti cattolici, ma investî anche quelli laici, a indicare
la presenza di un profondo disorientamento e la ricerca di nuove o antiche
certezze: e l’insofferenza per l'ordine costituito poteva seminare dubbi in un
mondo politico, come quello italiano, in cui il fascismo sbandierava le sue
inoppugnabili verità. Il pericolo era avvertito dal regime, se nel suo ambito
si poteva parlare, a proposito della Kulturkrisis, di manifestazioni
patologiche della cultura contemporanea, augurandosi che allo storico futuro
non abbiano a sfuggire le varie e numerose manifestazioni del genere: perderebbe
con esse una delle più eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio
logico e morale che imperversò in questi anni !. Motivi spiritualeggianti,
talvolta a sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di Giulio
Einaudi, che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo fascista annovererà
anche quello di contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo e
inquieto dei problemi del momento !; ed è significativo che negli stessi anni
Guanda inaugurasse una collana di Testi per una religione universale , e che
perfino Laterza ne dedicasse una agli Studi religiosi, iniziatici ed esoterici
, dove 10 R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936,
Torino, Einaudi, 1974,545-549. 161 R. Moro, La formazione della classe dirigente
cattolica (19291937), Bologna, il Mulino, 1979, cap. IX. 1@ Cosi il Meridiano
di Roma del 10 gennaio 1937, nella recensione a René Guénon, La crisi del mondo
moderno, Milano, Hoepli, 1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti
italiani di questa tematica E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in Terzo
programma (1962), n. 3,168-176. 163 AE, G. Einaudi. circolò il pensiero
antroposofico di Rudolf Steiner che tanto colpi il giovane Eugenio Curiel '#,
Che il mondo attraversi al presente un periodo di grave scompiglio, foriero di
più fosche vicende per l’avvenire, non c’è alcun dubbio fra quanti hanno un uso
passibilmente normale delle proprie ‘facoltà intellettuali , osservava nel 1938
padre Brucculeri su La Civiltà cattolica passando in rassegna alcuni libri
.sulla crisi odierna !9: fra questi, La crisi della civiltà di: Johan Huizinga
tradotto da Einaudi nel 1937, che ebbe una seconda edizione già l’anno
successivo. Il pampblet dello storico olandese, dal titolo originario Nelle
ombre del domani, faceva esplicito riferimento alla crisi del ’29 cui era
attribuita la sensazione della minaccia di. un tramonto e del progressivo
dissolversi della civiltà icome mai si era avuta nel recente passato, se non
all’inizio del secolo con il pericolo di una rivoluzione sociale che il
marxismo faceva balenare di tanto in tanto . Vediamo distintamente come quasi
tutte le cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a
vacillare: verità e. umanità, ragione e diritto , affermava accoratamente Huizinga,
la cui analisi della crisi, cosî come le soluzioni indicate, presentano
elementi di ambiguità che danno ra:gione delle letture diverse cui dette luogo.
Da un lato si :scaglia contro il razzismo, contro Sorel padre spirituale degli
odierni regimi totalitari , contro le filosofie vitalistiche, la dottrina della
autonomia morale dello stato e quella dello stato-potenza privo d’ogni freno ;
dall’altro la sua critica non è meno dura nei confronti del marxismo, in quanto
osserva che né il secolo XVI né il principio dell'Ottocento vide mai minare con
sistematica coerenza l’ordine e l’unità sociale mediante una dottrina quale
quella dell’odio di classe e della lotta di classe , e a questa accomuna la
dottrina della relatività della morale, insegnata ora N. Briamonte, La vita e
il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, Feltrinelli, 1979,20-24. IS A,
Brucculeri, La crisi odierna, in La Civiltà cattolica , 89 (1938) vol. I,326:
accanto a Guénon e Huizinga esaminava Quel che o e quel che nasce del cattolico
Daniel Rops (Brescia, Morcelliana, ‘264 Le origini della casa editrice Einaudi
sia dal sistema scientifico del materialismo storico, come: dai sistemi
psicologici che derivano da Freud ; accuse altrettanto dure sono lanciate
contro il superficiale razio:' nalismo del secolo XVIII , il cui disastroso
effetto fu di sradicare il concetto del servire dalla coscienza popolare , e
contro il progresso in generale, aristocraticamente giudicato una ingenua
illusione dell’800. Da questa analisi scaturiva la proposta di un nuovo
ascetismo di cui forse era un’eco parziale il nuovo umanesimo auspicato da
Salvatorelli, che non sarà un ascetismo: della negazione del mondo per amore
della salvezza celeste, ma del dominio di sé e di un’attenuata stima del potere
e del godimento !: un invito che non poteva trovare d’accordo La Civiltà
cattolica che, pur approvando nelle linee generali la parte analitica del
lavoro di Huizinga, obiettava come la ricerca di certe verità eterne non
potesse fare a meno di chi ne era il depositario naturale; il papato, che con
Pio XI si era dedicato alla difesa della. nostra civiltà; quindi le sue
proteste contro il bolscevismo, contro il nazismo, contro il governo tirannico
del Messico, contro le nefandezze dei rossi nella Spagna !. Critiche globali al
volumetto dello storico olandese provennero da ambienti culturali diversi:
recensendone su: Leonardo l’edizione tedesca, Cantimori, forse già
semi-marxista come si dichiarerà più tardi, ma comunque attivamente impegnato
nella difesa degli orientamenti politici del regime, lo considerò lo sfogo di
uno: spirito d’artista individualistico, liberaleggiante, contro questo mondo
moderno, che non gli va , aggiungendo : 16 J. Huizinga, La crisi della civiltà,
Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1935), in particolare (citiamo
dall’edizione einaudiana del 1962). Gherardo Casini, direttore generale per la
stampa italiana, assicurava Luigi Einaudi di aver già provveduto ad assicurare
la diffusione del saggio di Huizinga (AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato che
l’ideale di salvezza che Huizinga propone alla civiltà contemporanea è un
ideale etico-razionale nel quale rinascono in una specie di neogiusnaturalismo
le vecchie idee di Grozio. Quest’ideale finisce per fondersi con una concezione
cristiana del fine della vita (Johan Huizinga, in Terzo programma Brucculeri,
La crisi odierna, ma il passo sarà espunto dalla riproduzione di questo
giudizio nell’introduzione che Cantimori farà alla nuova edizione einaudiana
del 1962 che questa patetica laudatio temporis acti potrebbe anche
interessarci, potrebbe essere utile a chi volesse rendersi conto dello stato
d’animo di tanta parte della odierna cultura europea di fronte alla rivoluzione
sociale che in Europa si va compiendo, se non si mischiasse di politica, e a
questo modo non irritasse il lettore di un paese cosî impegnato nella lotta
politica e sociale di oggi come questa nostra Italia '#. Analogo il giudizio
espresso sulla Nuova rivista storica da Mario M. Rossi, che lo defini lo sfogo
pit o meno poetico di un laudator temporis acti, come in mille epoche già ne
abbiamo uditi , e lo avvicinò a Dawson, ad Huxley e alle ultime teorie sulla
morale di Bergson !. Anche i giovani di Corrente dichiararono di non consentire
con la speranza che la scienza possa divenire saggezza , in quanto non dal
sapere, ma dal concreto tumulto della vita nascono i problemi e le soluzioni ‘,
e quelli de La Ruota , pur vedendo nel libro il prodotto spontaneo di un cuore
sincero , vi colsero opinioni superate e irrigidimenti dottrinari tutt'altro che
accettabili !, D'altro lato è interessante notare come, nell’ambito di un
giudizio sostanzialmente positivo, in ambienti culturali opposti si cogliesse
l’occasione per polemizzare con l’idealismo e lo storicismo crociano: La
Civiltà cattolica criticò infatti il plauso della filosofia tedesca fatto da
Huizinga, che invece avrebbe potuto rintracciare nelle costruzioni filosofiche
alemanne, nel kantismo particolarmente e nell’hegelianismo, le scaturigini
principali e remote della decadenza del pensiero, dello scetticismo morale,
della autonomia della politica e della statolatria e di altrettali
degenerazioni, contro le quali egli scrive delle pagine brillanti e quanto 168
Leonardo Nuova rivista storica Bertin, La crisi della cultura e il problema
della scienza, in Corrente di vita giovanile , 15 febbraio 1940. I7l M.
Cesarini ne La Ruota , II (1938), n. 1,100 (era esaminato anche H. Keyserling,
La rivoluzione mondiale e la responsabilità dello spirito, Milano, Hoepli, mai
proficue !; e su La Nuova Italia Alfredo Parente, dopo aver giudicato il libro
altamente pregevole come sincera espressione di un vivo travaglio e di
preoccupazioni e turbamenti che sono preoccupazioni e turbamenti dell’intera
umanità presente , ne traeva spunto per affermare che la ormai diffusa
concezione idealistica, che il male e l’errore giustifica e redime nell’ordine
della vita spirituale, e il congiunto ottimismo, che non indulge alla
disperazione e ispira la più estrema fiducia nella vittoria definitiva del
bene, possono essere un pretesto di fatalistica inoperosità nella coscienza
degl’imbecilli e dei neghittosi, e un istrumento di malizia nelle mani dei
disonesti che da quella concezione filosofica credono di poter trarre la
giustificazione e l’approvazione del loro qualsiasi operare ; e, dichiarandosi
d’accordo con Huizinga nel veder conculcati i valori morali, si spingeva in un
invito all’azione assai distante dalla proposta di un nuovo ascetismo :
sappiamo che gli animi dotati della sensibilità morale dello scrittore
olandese, silenziosi custodi pure in tempo di burrasca e di travolgimenti dei
valori dello spirito, son molti, nonostante le loro voci siano sommerse da un
assai crudo e talora bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna
adagiarsi e cullarsi in quella certezza, col rischio che il ritorno della
serenità e della luce sia ritardato dall’opera di coloro, cui quella speranza
non lusinga e altri meno eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, Ma
l’autore non è né uno storico, né un politico, né filosofo: è, mi pare, un buon
cattolico che sorvola sui problemi della politica e dello Stato, scriveva a
Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il meridionalista di tradizione
salveminiana Tommaso Fiore, invitando l’editore a pubblicare storia in concreto
!. Accenti spiritualiBrucculeri, La crisi odierna,330. 173 La Nuova Italia AE,
Fiore, 6 gennaio 1938; come esempio di storia in concreto il 26 dicembre 1937
Fiore aveva proposto la traduzione di Richard Freund, Watch Czechoslovakia!
(1937): Non è un libro antifascista e non si ‘può dire una difesa della
democrazia (molto meno della Cecoslovacchia), ma si capisce che la difesa della
democrazia è un sottinteso e le simpatie per la borghesia ceca e pel Socrate di
Praga sono naturali e profonde . Fiore, nel ’38, auspicava anche manuali di
geografia politica, fatti senza aridezza, in cui il senso politico sia profondo
stici, di chiaro stampo cattolico, riappaiono invece ne La formazione
dell’unità europea di Christopher Dawson. L’autore di Progress and Religion
(1929), di cui La Civiltà cattolica aveva fatta propria l'impressione di vedere
già sorgere una nuova società, che disconoscerà ogni gerarchia di valori, ogni
disciplina intellettuale, ogni tradizione sociale e religiosa, ma che vivrà per
l’attimo presente in un caos fatto unicamente di sensazioni !, era stato già
indicato da Mario M. Rossi, sulle pagine della Nuova rivista storica , come uno
degli artefici di quelle sintesi storiche , fondate su una determinata dottrina
filosofica o religiosa , che, sempre più frequenti a mano a mano che l’Europa
va dissolvendosi nel caos , sono un prodotto di crisi e non dell’esame di una
situazione solida e delineata !. Oppositore del progresso scientifico che gli
appariva una religione laica che ha voluto sostituire la vera unità culturale
europea il Cristianesimo , anche nel volume einaudiano Dawson considera la
Chiesa elemento unificante della storia europea fra V e XI secolo, in linea con
tutta la componente cattolica della cultura della crisi , intenta a costruire
una filosofia della storia che tendeva a gettare ponti tra i secoli, ridotti ad
attimi di un fluire storico di smisurato respiro attorno alla vita della Chiesa
!7. Dopo aver dichiarato, con toni spengleriani, che Azio, come Maratona e
Salamina, fu uno scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una finale vittoria
degli ideali europei di ordine e di libertà sopra il despotismo orientale
un’affermazione che ritroveremo nelle pagine iniziali del Profilo della storia
d’Europa di Salvatorelli e, ancora più puntualmente, nel corso sulla Storia
dell’idea di Europa tenuto da Chabod, Dawson faceva una professione di fede
storiografica e ideologica insieme, sostenendo che l'influsso del cristianesimo
sulla formazione dell’unità europea è un notevole esempio del modo come il
corso dello sviluppo storico viene modificato e determinato dall’inter-
Brucculeri, La civiltà e le sue moderne involuzioni, in La Civiltà cattolica
Nuova rivista storica Moro, La formazione della classe dirigente cattolica Le
origini della casa editrice Einaudi vento di nuovi influssi spirituali , in
quanto esiste sempre nella storia un elemento misterioso e inspiegabile, dovuto
non solo all’influsso del caso o all’iniziativa del genio individuale, ma anche
alla potenza creatrice delle forze spirituali . Su questa base l’autore
sviluppa il suo ragionamento, teso a dimostrare che la Chiesa non fu coinvolta
nella caduta dell'impero di Occidente perché era diventata una istituzione
autonoma che possedeva il suo principio d’unità e i suoi propri organi
d’autorità sociale. Essa era in grado di diventare contemporaneamente l’erede e
rappresentante dell’antica cultura romana, e la maestra e la guida dei nuovi
popoli barbarici ; cosi all’inizio del secolo VIII, quando l’invasione
musulmana aprî un’ epoca di universale rovina e distruzione , vennero gettate
le fondamenta della nuova Europa, da uomini come San Gregorio, che non avevano
idea di edificare un nuovo ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si
travagliavano per la salvezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu proprio
quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al papato l’energia di
diventare, nella decadenza generale della civiltà europea, un centro di
riorganizzazione delle forze della vita . Al termine di questo processo, il
secolo XI vide l’incorporazione di tutta l’Europa occidentale nella cristianità
, e l’inizio di un moto di progresso che dura poi quasi senza interruzione fino
ai tempi moderni ; la logica conclusione del volume era perciò un invito a
proiettare nel futuro la tradizione culturale ricostruita in sede storica: Ai
nostri giorni l'Europa è minacciata del crollo della cultura aristocratica e
laica su cui era fondata la seconda fase della sua unità. Sentiamo di nuovo il
bisogno di un'unità spirituale o almeno morale. Ma è bene ricordare che l’unità
della nostra civiltà non poggia soltanto sulla cultura laica e sul progresso
materiale degli ultimi quattro secoli. Ci sono in Europa tradizioni più
profonde di queste, e dobbiamo risalire oltre l’umanesimo e oltre i trionfi
superficiali della civiltà moderna, se vogliamo scoprire le fondamentali forze
sociali e spirituali che hanno lavorato alla formazione del l’Europa Dawson, La
formazione dell’unità europea dal secolo V all'XI, Non ci manca che la
preghiera a Notre-Dame de Lourdes, perché il Dawson ci appaia come un
maresciallo Pétain della cultura , osservava sarcasticamente, nel 1940, il
libertino Arrigo Cajumi, ormai distaccato dall’ambiente della casa editrice ‘,
Ma sempre nel 1940, quando anche l’Italia era entrata in guerra, Mario Delle
Piane riconosceva a Dawson il merito di aver fatto rivivere un’epoca lontana ed
oscura e, pur tuttavia, attualissima, oggi che si assiste, pare, alla lotta di
due civiltà ed alla fine di una di esse, anche se aggiungeva, idealisticamente,
che la civiltà è una e imperitura, non essendo altro che il concretarsi dello
sviluppo del libero spirito umano: cioè storia !®. Più nettamente si esprimeva,
pur mantenendosi sul piano della discussione storiografica, Gino Luzzatto, che
alla storia delle idee di Dawson contrapponeva il Maometto e Carlomagno di
Henry Pirenne uscito da Laterza nel 1939, mosso dall’osservazione di un fatto
economico , e, giudicando alquanto azzardato il ragionamento dello storico
inglese, si chiedeva se la mirabile fioritura della vita cittadina fra il XII
ed il XV secolo non abbia avuto per la formazione della moderna civiltà europea
un’importanza assai maggiore dei rapporti fra Chiesa ed Impero 15. Il tema del
contrasto fra civiltà materiale e aspirazioni spirituali, presente in Huizinga
e Dawson, circola problematicamente anche nei romanzi dei Narratori stranieri
tradotti , in particolare in quelli di autori inglesi dell’età traduzione di C.
Pavese, Torino, Einaudi. Anche per Chabod ad opera del pensiero greco si era
formata una Europa che rappresenta lo spirito di libertà, contro il dispotismo
asiatico (Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan ed A. Saitta, Bari,
Laterza Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di V. Santoli, Torino,
Einaudi, 1970,183. 180 Rivista storica italiana , s. V, V (1940),425. Secondo
Gabriele Pepe, per Dawson il mondo europeo sente più vivo il bisogno di un
ordine culturale nuovo, fondato su un pivi intimo contatto con le civiltà dei
popoli dell’Oriente e di tutto il restante mondo, che non rientrano nei quadri
della nostra tradizione culturale (La nascita dell'Europa, in Oggi , 24
febbraio 1940). 181 Nuova rivista storica , XXIV (1940),262-264 (siglato G.).
270 Le origini della casa editrice Einaudi vittoriana la cui funzione, in
questi anni di crisi di valori, può apparire analoga a quella svolta a cavallo
del secolo dal Tolstoj fustigatore del progresso meccanico !. Di Pater, fin
allora conosciuto in Italia solo come caposcuola di un estetismo immoralistico
che sarebbe emerso dai suoi studi sul Rinascimento, Einaudi presenta il romanzo
del 1885 MARIO DEL GIARDINO l’epicureo, in cui l’autore intende to show the
necessity of religion , in un senso assai diverso dalla difesa della religione
laica fatta nel 1882 dal Marc Aurèle di Renan. Il protagonista, la cui vicenda
è ambientata ai tempi di Marco Aurelio espressione di una civiltà arida
paragonata da Pater a quella materialistica dell’800, abbraccia dapprima un
epicureismo elevato a disciplina morale, che ha per suo fine non il godimento,
sia pure raffinato, ma la perfezione dell’essere intimo, culto reso alla luce
dell’intelletto , per approdare infine al cristianesimo, come scrive la
curatrice del volume: Il cristianesimo fervido e sereno di quei primi tempi
eroici, scevri di fanatismo, l’esultanza invulnerabile dei credenti, la loro
speranza serena, gli mostrano il sorgere di un’umanità dotata di quelle qualità
morali di cui il mondo pagano è privo, ma che pure non rinnega l’amore alla
vita e alla bellezza !. Romanzo filosofico , lo qualificherà Beniamino Dal Fabbro
recensendolo positivamente su Primato , in cui tuttavia il significato
dottrinario sembra soverchiato da un senso religioso inteso liricamente . Lo
stesso Dal Fabbro citava le edizioni einaudiane, entrambe del 1939, de La
storia di Henry Esmond di Thackeray e del David Copperfield di Dickens tradotto
da Pavese, per coglierne la contemporaneità in ciò che fu chiamato il
compromesso vittoriano, saggia mistura di borghesia e di cristianesimo, di
calcolate ribellioni e di più comode acquiescenze !. Materia e spirito si
oppongono e si confondono anche 182 G. Turi, Aspetti dell’ideologia del Psi
(1890-1910), in Studi storici , XXI (1980),85 n. 102. 183 W. Pater, Mario
l’epicureo, traduzione di L. Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi Primato , I
(1940), n. 1,14, e Oggi in Cosi muore la carne di Samuel Butler, un romanzo in
gran parte autobiografico ambientato nell’età vittoriana, in cui il curatore
notava la ricerca continua e affannosa di una fede, in grado di sostituire la
religione tradizionale , e l’ingenua fiducia accordata a ogni nuova teoria, la
quale non tardava ad abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi
in un alone religioso , la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito
agli uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando il vero dio !. Dal
romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio Gabrieli per presentare la
figura dell’autore su Civiltà moderna , e mettere in luce che nell’età
vittoriana, in un momento in cui si accentua e si propaga il dissidio tra
sentimento religioso e spirito scientifico, misticismo e razionalismo , nasceva
in Butler, cosî come nel protagonista del romanzo, la satira della società,
della scuola, della famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo
di conciliare la scienza con la religione: di qui, in lui, una curiosa
mescolanza di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e fantasia
suggestiva , e, in contrasto con la visione materialistica dell’universo
fornita da Darwin, l’affermazione dell’attività dello spirito sulla materia,
della libertà umana, del progressivo scoprirsi d’un ordine nell’universo, un
principio vitalistico ed una forza creativa, sostituendo cosî al meccanismo
della selezione naturale una finalità, un divenire teleologico, che
effettivamente collima con una concezione religiosa !, In questo contesto si
spiega come nel 1938 Aldo Capitini, esponente di un liberalsocialismo dalle
forti venature religiose, si rivolgesse a Einaudi per proporgli la
pubblicazione dell’epistolario di Michelstaedter, un autore che Capitini scopri
negli anni ’30 e che tanta influenza ebbe sui suoi Elementi di esperienza
religiosa, cosi come 185 S. Butler, Cost more la carne, prefazione e traduzione
di E. GiaDio, Torino, Einaudi, 1939,VII, IX (citiamo dalla seconda edizione el
1943). 186 V. Gabrieli, Presentazione italiana di S. Butler, in Civiltà
moderna. Landolfi coglieva invece nel romanzo un'impressione di triste aridità
( Oggi Le origini della casa editrice Einaudî su altri intellettuali che negli
anni fra le due guerre ne. ripresero la riflessione sulla situazione umana, sui
valori della morale e della fratellanza; di lui, ricorderà Capitini, lo aveva
colpito l’antiretorica, quel tipo di esistenzialismo, che poteva divenire
supremo impegno pratico, come poi mi è stato confermato dall’esame
dell’epistolario manoscritto, dall’interesse che egli ebbe negli ultimi suoi
anni per i Vangeli; insomma mi pareva esatto considerarlo. come la premessa di
una tensione pratica etico-religiosa !. Carlo Michelstaedter scriveva infatti a
Einaudi ha portato. nella cultura italiana un rigore insolito nell’esigenza
dell’assoluto. Egli spicca in confronto di molti suoi coetanei della Voce che
furono morbidi e, prima o poi, arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico
difetta troppo nella nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile
l’innesto. Le riserve sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter [morto
suicida nel 1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli che oggi
ascoltano voci perentorie e disperate per vincere la faciloneria. Cresce
l’interesse per lui; sta diventando un punto di riferimento, anche per chi
comprende che si deve andare oltre e ricostruire ma su serie rovine !88, Dubbi
o disorientamenti, tendenze spiritualistiche ed esperienze religiose, anche se
non univocamente contraddistinte, o recepite, sul piano civile, venivano cosî
conferendo alla casa editrice la funzione di stimolo alla riflessione, a non
affidarsi alle certezze del regime proprio nel momento in cui ci si avvicinava
alla guerra. Una cultura eclettica: i Saggi Dubbi e inviti alla riflessione si
accompagnano tuttavia, ancora in questi anni, alla difficoltà di attestarsi su
una linea culturale ben definita, che si manifesta in una 187 A. Capitini,
Antifascismo tra i giovani,53. Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due
guerre E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo,102-103. 18 AE, Capitini.
L'editore propose invece a Capitini di scrivere un libro su Michelstaedter; nel
1938 Capitini propose anche Ends and means di Aldous Huxley inquieta ricerca di
novità : ne è testimonianza precipua la collana dei Saggi , quella di maggiore
diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse, dimostrando
talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura fascista ma, al tempo
stesso, il persistere di un eclettismo che smorza i tentativi innovatori della
casa editrice. I Saggi erano stati inaugurati nel 1937 da Voltaire politico
dell’illuminismo di Raimondo Craveri, severamente giudicato da Giustizia e
Libertà !° incapace di cogliere gli elementi caratteristici di un’opera che, in
linea con l’interesse per il pensiero settecentesco de La Cultura e di
Salvatorelli, si richiamava agli studi più recenti, in particolare a quelli di
Dilthey e di Cassirer negatori della taccia di antistoricismo mossa al secolo
XVIII, per svolgere una critica trasparente dell’idealismo e della concezione
attualista dello Stato: Le idées claires che l’illuminismo ha amato osservava
infatti l’autore, giovano forse a riportatci in più spirabil aere di quello
saturo di aberrazioni mentali mascherate di hegelismo ed ammantate di
dialettica d’oggigiorno . Il teorico del dispotismo illuminato diverrebbe ora
il nemico d’ogni statolatria e d’ogni anarchia ed, in quanto fautore della
tolleranza, l’avversario principe dello Stato provvidenzialmente onnipresente
ed onniagente. Sul terreno teorico Voltaire scende in campo contro gli epigoni
dell’hegelianismo L’anno successivo appariva il Profilo di Augusto di Ettore
Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e attualizzazione del personaggio
biografato, proprio quando la sua figura era ufficialmente celebrata dal
fascismo alla ricerca di legittimazioni imperiali in occasione del bimillenario
della nascita dell’imperatore romano, appariva evidente fin dalle dichiarazioni
metodologiche iniziali in 189 Libro di eccellenti intenzioni, ma di esito
abbastanza infelice [....] l’abuso di filosofia del Craveri lo porta a dedicare
l’intero suo libro al sistema filosofico di Voltaire, che era cosa da trattare
in quattro pagine . Le sole cose sensate ci paiono essere le riflessioni sul
despotismo illuminato, e il suo carattere apolitico, la indifferenza di
Voltaire per lo Stato e il suo ottimismo per la libera attività nella società
esistente ( Giustizia e Libertà , 23 aprile 1937). 190 R. Craveri, Voltaire
politico dell'illuminismo, Torino, Einaudi Le origini della casa editrice
Einaudî cui l’autore, riecheggiando, anche se in forma più blanda, gli
interessi economico-sociali che ne avevano caratterizzato la produzione a
cavallo del secolo, affermava che gli uomini dovevano essere collocati in
relazione all'ambiente e al tempo , onde non si tratta di apoteosi o condanne,
di glorificazioni od esecrazioni; e piuttosto, o meglio, di cercare di
comprendere come e per quali vie e tra quale varia cooperazione e con quali
effetti sociali gli eventi si svolsero e si conclusero, e con quali prospettive
e significato ; ma si limitava in realtà ad una narrazione puramente
cronachistica, in cui spicca un solo giudizio dal trasparente significato
politico, che, ancora una volta, la Nuova rivista storica non mancava di
rilevare: Gli autocrati, d’ordinario, dovendo farsi perdonare la confiscata
libertà e il potere assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde
lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore
ancor più effimero prestigio: quindi la guerra !. Distante dalla cultura
idealistica era anche l’interpretazione psicanalitica proposta dallo psichiatra
spagnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le qualità umane
dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una concezione
relativistica della morale, secondo la quale le cose non sono quasi mai
assolutamente buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o negativa, dipende
pi dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro di chi le pronuncia !, Una
linea diversa prevale invece nei saggi dedicati alla letteratura italiana,
nonostante la presentazione della figura inquieta e non conformista di
Tommaseo, di cui Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace 191
E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi la recensione di Giovanni
Costa in Nuova rivista storica anche M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista,
Bari, Dedalo, 1979,133. Nel giugno 1938 Ciccotti propose all’editore la
ristampa de La guerra e la pace nel mondo antico del 1901, ma Einaudi gli
contropropose un saggio sui Gracchi (AE, Ciccotti). 192. G. Marafion, Arziel, o
della timidezza, traduzione di M. F. Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz.
originale 1932),XV; Ferrata osservò che il libro manca, del tutto, di
sensibilità poetica e psicologica ( Oggi rante contrasto fra il richiamo dei
sensi e quello della religione, mentre, presentando la Cronichetta del
Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea, accanto all’attaccamento
alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine di quella critica troppo
spesso genialmente e perfida mente malevola che investe in primo luogo i
protagonisti piemontesi del processo di unificazione, Cavour e Vittorio
Emanuele ‘, suscitando ovviamente lo sdegno della Rassegna storica del
Risorgimento che giova il conoscere tanta ombra, quando alla storia si deve
piuttosto chiedere tanta luce? !. Preoccupazione precipua dell’editore appare
comunque la difesa del crocianesimo, testimoniata anche dal suo fitto carteggio
con quel Luigi Russo che su La Cultura Cajumi aveva duramente stroncato ! Nella
raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi, Antonicelli mette in evidenza
la vicinanza dei giudizi espressi dall’autore e da Croce, entrambi mossi dalla
preoccupazione di distinguere l’uomo dall’artista, che in Parodi si esprime
nella sufficienza con cui tratta l’interesse del poeta per la tecnica
filologica, cosî come la sua fase socialista e anticlericale, per concludere
che Carducci è poco felice quando cerca argomento nella storia più recente, ove
facilmente soverchiano in lui le passioni pratiche, e allora gli s’intorbida la
serenità lirica, mancandogli lo sfondo epico della lontananza !. Il timore di
non con 19 N. Tommaseo, Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi,
1938, e Id., Cronichetta del Sessantasei, a cura di R. Ciampini, Torino,
Einaudi, 1939,49-50, 78: Tommaseo, osservava Ciampini, vedeva e concepiva
l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole, come un
soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in Italia, gli
appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non vuole fare l’Italia,
ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia . 19 Piero Zama, in Rassegna
storica del Risorgimento Russo proponeva una serie di volumi miscellanei sugli
studi italiani del ’900: due sulla storia e la filologia (curati da lui), due
sugli studi filosofici, giuridici ed economici (curati da De Ruggiero e Luigi
Einaudi), uno sulle scienze naturali e matematiche (curato da Enriques); nel
giugno 1937 accettava di scrivere un volume sul Persiero politico di Vittorio
Alfieri (AE, Russo). 1% T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova
Italia, saggi raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi; recensendo il volume
Enrico Falqui osservava che un Le origini della casa editrice Einaudi traddire
Croce è ancora pit esplicito nella vicenda della pubblicazione dei saggi sugli
Scrittori francesi dell’Ottocento di De Lollis, un debito dovuto alla
tradizione sulla quale si era formato il primo nucleo della casa editrice:
Giulio Einaudi ne aveva inizialmente affidata la cura a Cajumi,
raccomandandogli di evitare toni anticrociani tali da provocare una stroncatura
da parte della Critica ; ma l’ex direttore de La Cultura aveva dichiarato di non
poter accettare la censura crociana , aggiungendo che le colpe e le ipocrisie
crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma anche dei vecchi
delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire documentatamente in luce . Dopo
aver inutilmente proposto dei tagli alla prefazione di Cajumi per togliere gli
accenni più violenti all’idealismo e alla filosofia in genere , l’editore ne
affidò quindi la cura al pi fidato Vittorio Santoli ', che nell’introduzione
dichiarava decisivo l’incontro di De Lollis con Croce, mettendo in luce, nel
primo, il riconoscimento dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la
quale ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è tutto suo ; ‘e concludeva
estendendo i legami fra Croce e De Lollis alle riviste da loro dirette: della
Cultura si può tranquillamente dire ch’essa, insieme alla Critica, è stata la
rivista che più ha contribuito ad avviare la mentalità universitaria italiana
dal tecnicismo all’umanesimo, da certe angustie paesane ad una universalità di
sguardo nella quale era però sempre riconoscibile il tranquillo orgoglio
d’essere ah si! di gran signori !. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di linee
diverse, nel 1939 la Nuova raccolta di classici italiani annotati diretta da
Santorre Debenedetti costretto dalle leggi razziali ad abbandonare
l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla filologia nel giudizio
sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe alla critica idealistica quella
aderenza al fatto artistico la quale, da ultimo, si risolve in una maggior
comprensione dell’opera stessa (Oggi , 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli
accettava din Einaudi l’incarico di curare un'antologia della letteratura
italiana in otto volumi (AE, Antonicelli). 197 AE, Cajumi. 1% C. De Lollis,
Scrittori francesi dell'Ottocento, con un saggio biogra fico di V. Santoli,
Torino, Einaudi si inaugurava con le Rizze di Dante commentate, in senso non
certo crociano, da Gianfranco Contini, e che pur Luigi Russo giudicò opera
fondamentale che segna una data nella storia degli studi e delle
interpretazioni dantesche !°. Al tempo stesso, l’opera di sprovincializzazione
della cultura italiana cui abbiamo già accennato a proposito della Biblioteca
di cultura storica , iniziava nel 1938 anche nei Saggi : l’Autobiografia di
Alice Toklas di Gertrude Stein un vivace affresco della cultura d’avanguardia
europea dell’inizio del secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a
Hemingway, permetteva al traduttore, Pavese, di cogliere i debiti dell’autrice
verso Walt Whitman nella contemplazione ironica e insieme intenerita di un
mondo reale, fuori d’ogni troppo compiaciuto interesse per i procedimenti
dell’arte e in quel conturbante realismo della vita subconscia che resta a
tutt’oggi il pit vitale contributo dell'America alla cultura ?°, motivi non
estranei alla ricerca stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno
era inaugurata la collana Narratori stranieri tradotti in cui, scriveva
l’editore, dovrebbero entrare, oltre ai classici, solo scrittori universalmente
riconosciuti come eccellenti ?". Nata per impulso di Ginzburg che con
estremo puntiglio filologico ne seguirà le edizioni anche dal confino di
Pizzoli e con l’apporto di Pavese, la celebre collana dalla copertina azzurra
offrî, sulle tracce della Slavia da cui riprese alcuni titoli russi ,
traduzioni integrali di testi molti dei quali mai fin allora conosciuti in
Italia nella loro completezza, ad opera di traduttori d’eccezione: accanto a
Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto, Alberto Spaini, Pietro Paolo Trompeo,
Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo Sbarbaro, per arrivare, nel 1946, alla
prima traduzione di Proust a cura di 19 Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE,
Russo). Sul direttore della collana ora L. De Vendittis, Santorre Debenedetti
tra positivismo e idealismo, in Studi piemontesi , VIII (1979),3-25. 20 Ora in
C. Pavese, La /etteratura americana Einaudi a Umberto Morra, 8 maggio 1939 (AE,
Morra). 2 AE, Polledro. Le origini della casa editrice Einaudi Natalia
Ginzburg. Il lettore italiano venne cosî a contatto soprattutto con i
capolavori del romanzo psicologico ottocentesco, stimolo a riflessioni su
vicende e passioni al di sopra delle contingenze storiche, non senza talvolta,
attraverso la guida delle introduzioni, riferimenti indiretti all'attualità.
Gli interessi e i suggerimenti dei curatori sono ovviamente diversi: mentre Lo
Gatto antepone nell’Oblòmov di Gonciaròv il valore artistico rispetto a quello
sociale ?%, Pavese coglie in Tre esistenze della Stein un primo esempio
perfetto di quella che sarà ricerca costante della narrativa americana del
nuovo secolo: un mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo farsi
espressivo , un giudizio non solo estetico che Mario Alicata puntualizzerà
evidenziando la descrizione della provincia americana nella sua grama miseria,
nella sua disperata solitudine , per cui il realismo metafisico della Stein
sempre volutamente si nega ad ogni illuso sentimentalismo ?. Nei romanzi di
Dostojevskij pubblicati durante la guerra Ginzburg mette invece in evidenza,
pur accanto alle contraddizioni della filosofia dell’autore, il messaggio umano
del principe Myskin, assolutamente buono e non per questo vinto, la cui figura
anima un libro consolante e vivificatore come pochi altri libri venuti dopo il
Vangelo , e, nei Demoni, la critica di Dostoevskij che restò tuttavia lontano
da ogni apologia dell’ordine esistente verso i risultati, e non verso le
ragioni dei rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante, l’inquieta
ricerca della fede ?. E, mentre nel 1942 è presentato come la tragedia d’un
Amleto americano e una sofferta polemica contro l'umanità il Pierre o delle
ambiguità di Melville, che Pratolini considera precursore di Meredith, James e
Conrad, una filza di nomi che potrebbe continuare, prove alla mano, fino a
comprendere autori che respirano l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e
traduzione di E. Lo Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941),VII. 2% C.
Pavese, La letteratura americana,169; recensione di Mario Alicata in Leonardo ,
XI (1940),174. 25 Ora in L. Ginzburg, Scritti, di questa lunga giornata di
guerra, da una parte e dall’altra delle trincee ?, la difesa dei valori
dell’uomo che trascendono sistemi politici o contingenze belliche, e la
speranza di una fratellanza universale, traspaiono, sempre nel 1942, da Guerra
e pace, dove guerra è il mondo storico, pace il mondo umano , osserva Ginzburg,
quel mondo umano che interessa ed attrae particolarmente Tolstoj soprattutto
perché egli è convinto che ogni uomo di ieri, di oggi, di domani valga un altro
uomo , e che trova la sua esaltazione nel finale intimistico e famigliare del
romanzo, dove è descritta quella felicità che può far distogliere lo sguardo di
un giusto da un uomo ucciso ingiustamente 2. L’amore per la natura, i diritti
del cuore, la gloria del sentimento , contrapposti alla falsità della vita
sociale , erano stati messi in luce nel primo volume della collana, I dolori
del giovane Werther ®; da Goethe si passa, con la caduta del fascismo, a
Diderot, a Jacques il fatalista in cui Glauco Natoli identifica nel
protagonista e nel padrone dei personaggi reali, nei quali s’incarna la mortale
polemica fra due classi destinate ad affrontarsi, nel fatale declino l’una,
nell’irresistibile ascesa l’altra, che s’affrancherà sempre più d’ogni servile
retaggio per reclamare e raggiungere quella dignità umana, che troverà fra non
molto la sua piena espressione nella dichiarazione dei diritti dell’uomo °°. Il
commento si farà infine ancora più esplicito nel 1945, sempre attraverso
Diderot, di cui Fernanda Pivano sottolineerà la passione politica dell’uomo che
si pone di fronte a leggi costituite da un’autorità non riconosciuta e a norme
imposte da una tradizione isterilita per abbatterle ed eliminare gli ostacoli
al libero pen 26 H. Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e traduzione
di L. Berti, Torino, Einaudi, 1941,VII, IX; la recensione di Pratolini in
Primato , III (1942),287-288. 20 L. Ginzburg, Scritti,285, 287. 28 W. Goethe, I
dolori del giovane Werther, prefazione e traduzione di A. Spaini, Torino,
Einaudi Diderot, Jacques il fatalista e îl suo padrone, traduzione di G.
Natoli, Torino, Einaudi, 1944,XV. 280 Le origini della casa editrice Einaudi
siero, alla libera parola, alla libera morale, alla libera scienza 7°,
Attraverso i classici della letteratura universale potevano cosi passare
messaggi emotivi capaci di distrarre il lettore dalla realtà della vita
quotidiana, e sollecitarne la fantasia, la riflessione, la critica. Un raggio
d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra iniziativa della casa editrice,
la Biblioteca di cultura scientifica avviata nel 1938, che trovò probabilmente
un terreno di coltura già preparato nella Torino di Giuseppe Peano, e un
animatore in Ludovico Geymonat: una collana che con i testi di De Broglie,
Pavlov o Planck, riuscf a presentare, non senza contrasti ?!, una tematica che
era rimasta estranea alla cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli
epigoni del positivismo avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a partire
dal 1940, la rivista Il Saggiatore , dedicata alla divulgazione dell’attualità
scientifica nei campi della matematica, della biologia, della fisica fino ai
problemi dello sfruttamento dell’energia nucleare e delle loro applicazioni
tecniche, ma che solo in casi isolati si occupò dell’utilizzazione delle
scoperte scientifiche a fini bellici, dimostrandosi severa custode
dell’autonomia della scienza, fino a definire ridicola la condanna papale di
Galileo Diderot, La religiosa, prefazione di F. Pivano, Torino, Einaudi Ad
esempio il 14 novembre 1942 Geymonat inviò a Francesco Severi e Armando Carlini
un memoriale per protestare contro il parere negativo dell’Accademia d’Italia
alla traduzione di Die Grundlagen der Arithmetik di Gottlob Frege (AE,
Geymonat). Dedica un breve cenno all'ambiente torinese di Peano C. Pogliano,
Mondo accademico, intellettuali, professione sociale dall'Unità alla guerra
mondiale, in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali
in Pie monte, diretta da A. Agosti e G.M. Bravo, vol. I. Dall'età
preindustriale alla fine dell'Ottocento, Bari, De Donato. 212 M.G. Fracastoro,
Nel 3° centenario della morte di Galileo Galilei, in Il Saggiatore. La rivista
era diretta da C. Frugoni, F.Mazza, A. M. Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281 8.
La svolta della guerra e i collaboratori romani La seconda guerra mondiale
rappresenta, per l’itinerario culturale e politico di molti giovani
intellettuali formatisi negli anni ’30, quella svolta in senso antifascista che
spinse Bottai a tentare con Primato di recuperarne il consenso attorno alla
guerra italiana . Il 1940 è una data periodizzante anche per la casa editrice,
i cui interventi se prescindiamo dalla continuazione della battaglia
conservatrice dei liberisti si modificano sensibilmente: si accentuano i
contatti con la cultura europea e si raccoglie attorno alla casa un numero
crescente di intellettuali progressisti, cos che negli anni intercorrenti tra
l’entrata in guerra dell’Italia e il 25 luglio 1943 si pongono concretamente,
nelle realizzazioni o anche solo nei progetti alcuni dei quali molto coraggiosi
per allora le premesse di gran parte delle iniziative editoriali del periodo
postbellico. Uno dei punti nodali che è necessario mettere in luce, in questi
anni, è il rapporto della casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi
si proponeva di svolgere attraverso Primato . Giulio Einaudi ha ricordato che
il nostro gruppo non solo non agî all’interno dello schieramento fascista, ma
tentò di fare in proprio e spesso con successo quella stessa politica che il
fascismo intendeva attuare con strumenti come Primato . Forme indirette di
opposizione sf, com’era inevitabile a chi, producendo libri, doveva agire alla
luce del giorno, e assumere di volta in volta una maschera, che fosse la più
trasparente possibile; concessioni ideologiche al fascismo, o discussioni alla
pari, mai 215, Queste parole rivelano una sopravvalutazione del ruolo di
opposizione che sarebbe stato svolto da Bottai, e di conseguenza potrebbero
essere assunte come prova di un pieno coinvolgimento della linea editoriale
einaudiana nella fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva
politica del ministro fascista, diretta in realtà a imbrigliare ogni
opposizione. Infatti, se Primato non può essere tutto 213 AE, G. Einaudi. 282
Le origini della casa editrice Einaudi risolto nella categoria fascismo ?!, e
se è necessaria una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel
corso della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né dal
fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della difesa della cultura ,
essendo ben marcato il suo carattere militante e ben netto l’obiettivo di
Bottai come risulta anche dai suoi ricordi e dalle sue note di diario di far
sopravvivere il fascismo al mussolinismo . Non è quindi privo di ambiguità il
fatto che, dopo essere entrato in contatto con Bottai proprio nel 1940, ancora
nel 1942 Einaudi si rivolgesse a lui per proporgli di pubblicare presso la casa
editrice una raccolta dei suoi interventi sull’arte e la cultura non può
mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella polemica che ferve per
l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi meglio di Voi può difendere
questo partito in un libro? , e che nello stesso anno fosse in contatto con il
redattore capo della rivista Giorgio Cabella, di cui pubblica il racconto
Alloggio sul golfo (1942), oltre ad affidare la cura delle Memorie di
Metternich al bottaiano Gherardo Casini, direttore generale per la stampa
italiana ?!9. Tuttavia, nonostante la presenza di elementi contraddittori,
proprio nel rapporto con la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le
intenzioni di Bottai e i risultati della sua politica, in quanto, soprattutto a
partire dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori romani di Einaudi che scrivono
su Primato hanno già compiuto la scelta antifascista, e sollecitano l’editore a
iniziative più avanzate che reclamizzano 214 E. Garin, Cronache di filosofia
italiana,527. %5 le osservazioni di Luisa Mangoni premesse all’antologia
Primato 1940-1943, Bari, De Donato, Bottai. Il 24 febbraio 1942 Alicata
scriveva all'editore: Vedrò domani Bottai per Primato, e gli chiederò ancora il
suo volume di scritti culturali (AE, Alicata). Già il 6 ottobre 1940 l'editore
aveva chiesto a Bottai di segnalare Il Saggiatore all’apposita commissione
ministeriale affinché vengano sottoscritti alcuni abbonamenti per le
Biblioteche degli Istituti di Istruzione tecnica ; 1°11 giugno 1942 ringraziava
il ministro per l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta .
anche le lettere dell’editore a Cabella del 5 si 1942, e di Casini all’editore
dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella, asini). sulla rivista, usata come strumento di
discussione e di apertura culturale, consentendo cosî alla casa editrice di
attestarsi su posizioni che superano i confini del progetto bottaiano. A dare
nuova linfa vitale alla casa editrice contribuî infatti nel 1941, con
l’apertura della sede romana, l’incontro dell’originario nucleo torinese con
quello romano di Mario Alicata, Giaime Pintor e Carlo Muscetta, tre giovani
intellettuali che, pur con diversi orientamenti, avevano già tradotto
politicamente, in senso antifascista, la loro rapida maturazione culturale; con
i loro contatti, inoltre, essi allargarono il numero dei collaboratori di
Einaudi, fra i quali comparvero, i che rimasero ancora i più numerosi,
intellettuali già aderenti al partito comunista o che si venivano orientando
verso di esso, ma tutti uniti nella comune lotta al fascismo, senza che si
manifestassero fra di loro, almeno fino al 25 luglio 1943, contrasti di rilievo.
Nell’aprile 1940 Alicata e Muscetta avevano contribuito a inaugurare la nuova
serie de La Ruota cui collaboravano anche Pintor e Pavese , la rivista diretta
da Mario Alberto Meschini che, sostituendo il sottotitolo mensile di politica e
letteratura con quello apparentemente più disimpegnato di rivista mensile di
letteratura e arte , assumeva in realtà la prospettiva di un’azione politica a
più largo respiro ?, nella convinzione, comune a tanti giovani intellettuali
che davano vita o partecipavano a iniziative di fronda, di potersi salvare
ricorderà Pavese con un tuffo nella folla, un febbrone improvviso d’esperienze
e d’interessi proletari e contadini, per cui la speciale e raffinata malattia
che il fascismo c’iniettava, si risolvesse finalmente nell’umile e pratica
salute di tutti ?!". Mentre Muscetta era attestato su posizioni
liberalsocialiste, già nel 1940 Alicata aveva superato l’originaria formazione
crociana per abbracciare 2 la testimonianza di Antonello Trombadori in M.
Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefazione di G. Amendola,
introduzione di A. Vittoria, Torino, Einaudi, Pavese, IÙ fascismo e la cultura
1945), ora in La letteratura americana Le origini della casa editrice Einaudî
uno storicismo pit concreto maturato sulla conoscenza di De Sanctis e di
Fortunato e sulle prime letture marziste, e aveva aderito al partito comunista
segnalandosi subito per quell’intensa attività politica tesa ad allacciare
rapporti con i liberalsocialisti e i cattolici comunisti che ne provocò
l’arresto alla fine del 1942 ?. Ancora tutto letterato alto-borghese era invece
Pintor, che tuttavia viene in contatto, nell'ambiente einaudiano, con il
cattolico Felice Balbo il cui influsso sul mio modo di pensare è stato decisivo
, annoterà, e viene maturando politicamente di fronte alla drammatica realtà
della guerra: senza la guerra ricorderà nell’ultima lettera al fratello io
sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari [... .J:
c’era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, d’indifferenza e di
spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la
guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il
terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo
inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente letterari, i tre
romani parteciparono alla diverse iniziative di Einaudi: mentre alla fine del
1941 Pintor diviene agente volante della casa editrice, con il compito di
leggere libri, dare consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come
rappresentante dell’editore ?!, Alicata tiene i contatti col Ministero della
cultura popolare per ottenere le autorizzazioni della censura, e arriva ad
occuparsi di un problema che acquista importanza decisiva nel corso della
guerra, quello dell’acquisto della carta. Inoltre, Alicata e l'introduzione di
R. Martinelli a M. Alicata, Intellettuali e azione politica, a cura di R.
Martinelli e R. Maini, Roma, Editori Riuniti, e C. Salinari-A. Reichlin-A.
Tortorella-G. Amendola, Mario Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma,
Editori Riuniti, 1978. 290 G. Pintor, Doppio diario, a cura di M. Serri,
Torino, Einaudi, e Id., Il sangue d'Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana,
Torino, Einaudi, 1965,186. Di ambiguità di Pintor ha parlato F. ‘Fortini,
"Vicini e distanti. A proposito del Doppio diario È Cine Pintor, in
Quaderni piacentini , Pintor, Doppio diario,161. Muscetta aiutano anche
dall’esterno l’attività di Einaudi collaborando a Primato , su cui entrambi,
con lo pseudonimo rispettivamente di Don Ferrante e di Don Santigliano,
segnalano con continuità le iniziative della casa editrice, coinvolgendo in
questa opera di propaganda altri intellettuali, come Beniamino Dal Fabbro. Cosi
nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un saggio sulla letteratura
contemporanea, assicura l’editore che ne segnalerà i volumi tutti, via via, più
o meno largamente, nel mio Cotriere delle Lettere su Primato, dove cercherò di
far fare puntualmente anche le recensioni , e nello stesso anno elogia sulla
rivista di Bottai la ricercata collana di narratori stranieri che Einaudi viene
con grande accortezza riunendo. Poche opere, ma tutte eccezionali, tutte
illuminatrici d’una personalità o d’un costume 2. Analogamente Muscetta,
rispondendo all’invito di Einaudi di fare pubblicità ai suoi volumi su La Ruota
cosa che farà regolarmente su Primato , affermava di aver seguito la sua
attività editoriale con interesse affettuoso, e ogni libro pubblicato mi ha
recato un nuovo conforto a credere nei valori della cultura che non sono da
difendere soltanto nel chiuso del nostro pensatoio 2, Con la collaborazione di
questi tre intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si
accelerano, nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non trovano
attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu incaricato di curare la
Biblioteca dello Struzzo , la collana di narratori contemporanei che puntava
soprattutto alla scoperta dei giovani: Dopo molte riflessioni scriveva Einaudi
ad Alicata all’inizio del 1941 si è deliberato e si attende la tua approvazione
AE, Alicata (23 febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22 ottobre 1941
Alicata diviene collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili; il 21 febbraio 1942
informa l’editore di aver acquistato 248 risme di carta. inoltre Primato AE,
Muscetta (s.d.); io e Alicata scriveva Muscetta all’editore il 20 febbraio 1941
ci auguriamo di poter collaborare attivamente ‘all’ardita opera di cultura che
la tua casa svolge con spirito giovanile e con tenacia . 286 Le origini della
casa editrice Einaudî che la collezione debba accogliere romanzi brevi italiani
e stranieri, di scrittori contemporanei e in genere scoperti da noi, dove, in
via d’eccezione, e per alimentare la scarsa produzione italiana contemporanea,
si accoglierebbero libri dimenticati o rari, di indiscusso valore artistico,
tipo Mio Carso di Slataper. Quanto agli stranieri... questo è il problema, ché
escludendo gli americani e gli inglesi dobbiamo per ora limitare praticamente
la scelta ai russi e ai tedeschi 24. In realtà fino al 1945, venuta meno con
l’attacco all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa russa
contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi italiani tesi tuttavia a
quell’originale ricerca della realtà, sia pur non veristica, che contrassegna
il primo volume apparso nel 1941, Paesi tuoi di Pavese. Pavese sollecitava
infatti Alicata a predicare l’arte narrativa, e soprattutto quella narrativa
come vita morale che a voialtri ruotai deve essere in votis 5: un invito cui
Alicata, per i gusti già dimostrati nella sua intensa attività di recensore
letterario ?, era particolarmente sensibile, e che, preoccupato di tenersi
lontano dalle piccole chiesuole di marca fiorentina , raccolse assicurando alla
casa editrice Le trincee di Quarantotti Gambini, Le donne fantastiche di Arrigo
Benedetti e proponendo, fra gli altri titoli, Una città dî pianura di Giorgio
Bassani, da lui già recensito su La Ruota quando era uscito in edizione privata
di pochi esemplari sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, e che era passato per
molte ragioni quasi sotto silenzio dalla critica , scriveva Alicata alludendo
alle leggi razziali ??. 24 AE, Alicata. 225 C. Pavese, Lettere 1924-1944,588
(28 aprile 1941). 226 G. Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale
comunista: Mario Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e Id.,
Contributi alla formazione culturale e politica di Alicata, in Italia contemporanea
Pavese, Lettere 1924-1944,589 (9 maggio 1941); il 21 novembre 1941 Alicata
suggeriva a Einaudi la possibilità di rilevare alcuni volumi della casa
editrice Ribet Buratti di Torino (Comisso, Arturo Loria, Stuparich, Sbarbaro,
Slataper), e l'11 novembre 1942 la necessità di ristampare l’Ibsex di Slataper,
che non solo è interessante per la personalità tutta dell’autore, del cui acuto
problema morale risente, ma rimane per se stesso un documento critico prezioso
sull'opera ibseniana (AE, Alicata). I toni fortemente elogiativi anche se
attenuati in una lettera a Einaudi ? della recensione che di Paesi tuoi fece
Alicata su Oggi ’, la vivace rivista di Arrigo Benedetti e Mario Panunzio,
furono ripresi da Eugenio Galvano su Primato ogni lettore può ritrovarvi gli
accenti di una sua esperienza passata e perduta, e il senso di un paese
ritrovato °° ; e intensi furono i legami fra l’ambiente della rivista di
Bottai, cui collaborava anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla
pubblicazione in volume, presso Einaudi, de L’isola di Stuparich (1942), già
apparsa su Primato . Rimase un caso isolato il giudizio negativo riservato da
Alfonso Gatto a La strada che va in città di Alessandra Tornimparte #!
pseudonimo di Natalia Ginzburg, e non tale comunque da essere paragonato alle
forti riserve di carattere morale avanzate da La Civiltà cattolica nei
confronti di Pavese e della Ginzburg, i cui racconti, osservava Einaudi,
riscossero i più vivi consensi e dissensi proprio per la novità di stile e di
contenuto ?: mentre in Paesi tuoi l’organo dei gesuiti vedeva ritratta una
gente di campagna Ho apprezzato molto il libro di Pavese, che mi sembra
soprattutto un racconto e per questo merita grandi lodi. Quantunque risenta, è
chiaro, l’influenza a volte eccessiva di certi americani e nel gusto d’usare la
lingua e la sintassi, e nel sapore e tono che attribuisce agli uomini e ai loro
gesti (AE, Alicata, 1 giugno 1941). 29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari,
introduzione di N. Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968,84-88. anche la notizia
che Alicata ne dava su Primato, affermando che Pavese rompe un silenzio lungo e
fruttuoso durante il quale egli sembra essere scampato alla retorica, agli
schemi che affliggono certa narrativa italiana contemporanea: come prima sensazione
d’una lettura che almeno prende e allaccia in un suo tempo libero e prepotente
(II (1941), n. 11,16, nel Corriere delle lettere di Don Ferrante). 230 Primato;
pur osservando che le reazioni psicologiche del personaggio narratore rimangono
moralmente fiacche , Luigi Vigliani trovava felicissima l’utilizzazione del
dialetto piemontese ( Leonardo Nel volume la realtà osservata è ferma alla
crisi di una società ‘confusa. Forse questo racconto piacerà, disposti come
sono oggi molti letterati, giunti in ritardo al ripensamento di un proprio
compito umano, a vedersi duri e manuali. Il racconto della Tornimparte è
fradicio di quest’enfasi moderna, semplicistico e blando altresi nella sua
stessa ‘acrisia , osservava Gatto ( Primato). 232 Einaudi a Ginzburg (AE,
Ginzburg). Le origini della casa editrice Einaudi che non è quella che noi
generalmente conosciamo. Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove
predominano tendenze istintive e animalesche , nella dura prosa della Ginzburg
coglieva un indice di ciò che si è cominciato a raccogliere anche in Italia
dall’abbondante seminagione d’una sfrontata romanzeria straniera, e
specialmente americana . Alla ricerca di valori umani, laici e religiosi, si
muovevano anche i nuovi titoli della collana dei Poeti , già avviata nel 1939
con la riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di
Montale : accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di Pavese apparvero
infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui fortuna fra i soldati era
testimoniata dai reduci dalla Russia l'hanno aperto per caso e non se ne
staccano più. Fare il bene con disperazione è diventato il loro motto 5, e le
Poesie di Rilke nella traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata,
occupandosene su Primato , vedeva l’opera di un poeta da difendere contro la
sua stessa generosità di vita e contro un frequente estetismo per seguirne la
grande voce umana, semplice infine come un grido ma dal fondo d’una religiosità
vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite ?. In questi stessi anni gli aspetti
emotivi presenti nella produzione letteraria trovano modo, come vedremo, di
tradursi in un più marcato impegno civile nei volumi della Biblioteca di
cultura storica e in quelli della nuova collana Universale . Persistono
tuttavia, almeno fino al 1942, e in particolare nei Saggi dove pur appaiono le
Memorie di madame de Rémusat, la cui critica a Napoleone era leggibile in senso
antitirannico, molti dei motivi spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da
elementi contraddittori, che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un
sostenitore: Balbo è stato ricordato non aveva difese contro le proposte e le
idee. Tutte le 233 La Civiltà cattolica , 93 Per le vicende di queste edizioni
E. Ferrero, Come nacquero Le occasioni , in Libri nuovi Einaudi AE, dalla
redazione romana a Jahier (9 luglio 1943). 236 Primato proposte e tutte le idee
gli piacevano, lo sollecitavano, lo mettevano in fermento ?. Se non ha luogo la
proposta di Balbo di tradurre The mystical elements of religion di von Hiigel,
il modernista lodato da Loisy pur essendo rimasto cattolico , e Bobbio non
accetta La preghiera dell’uomo di Alfredo Poggi per il suo insufficiente
approfondimento teorico, pur considerando che il saggio sia ispirato ad un alto
senso religioso e morale, e sviluppi una concezione razionale della vita
religiosa, rifuggendo dal dilagante irrazionalismo ; o mentre resta inedito,
per le vicende legate alla caduta del fascismo, L'infinito e il divino
terminato da Giuseppe Tarozzi nell’aprile 1943 ?, Einaudi pubblica nel 1942 Le
origini del cristianesimo di Loisy che giungerà alla terza edizione l’anno
successivo e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione e fede di Piero
Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice di una religione
della libertà che, se potè essere accostata a quella crociana, se ne
differenziava nettamente per l’importanza che l’animatore della Rivista di
filosofia attribuiva all'elemento religioso, cui Martinetti aggiungeva negli
ultimi anni di vita, di fronte allo spettacolo della guerra e della barbarie ,
la riflessione sul pessimismo di Schopenhauer tesa ad accettare la realtà del
male come principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad altri 2°.
Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi ripropone Huizinga con la monografia del
1924 su Erasmo che aveva già provocato forti riserve, non solo storiografiche,
da parte di Cantimori, per la troppo evidente tendenza a mostrare in Erasmo il
tipo classico del dotto-gentiluomo, moralista e umorista, lontano dagli
interessi politici e religiosi che possono scuotere e commuovere °°; ma forse
proprio per questo, per la presentazione dell’umanesimo erasmiano 23 N.
Ginzburg, Lessico famigliare, Milano, Mondadori, Balbo a Bobbio, e Bobbio a
Finaudi (AE, Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43 (AE, Tarozzi).
239 Bobbio a Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio}; E. Garin, Cronache di
filosofia italiana,387-391; e la testimonianza di G. Mita, dee prefazione di L.
Salvatorelli, Vicenza, Neri Pozza Rivista storica italiana Le origini della
casa editrice Einaudî come un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di
un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende del tempo ?,
Civiltà moderna poteva accogliere nel lavoro l’indicazione della originalità
umanistica rispetto al Medioevo, ma con l’accordo fra l'esigenza del risorto
classicismo e quella del rigenerato cristianesimo ; mentre il recensore della
Rivista storica italiana , opponendo all’umanesimo negativo di Erasmo quello
costruttivo del Rinascimento italiano impersonato da Giordano Bruno, prendeva
le distanze dall’autore per quella tipica mentalità pacifista che, per
contingenze storiche facilmente individuabili, tende a fare dell’equilibrio e
della moderazione la massima espressione della civiltà umana dii x Alle
immagini catastrofiche de La crisi della civiltà sembra invece richiamarsi, pur
senza citare Huizinga, Uomo e valore di Luigi Bandini un allievo di Limentani
che aveva pubblicato presso Laterza un saggio su Shaftesbury, che sviluppa il
tema del contrasto fra progresso economico e libertà individuale con accenti
indubbiamente retrivi. Il volume che sarà ristampato nel 1949 con una
introduzione in cui l’autore manifesterà un atteggiamento paternalistico verso
le masse popolari è un atto di accusa nei confronti del liberismo e del
liberalismo dell’800 che avrebbero portato ad uno stato di cose risolventesi
proprio in un massimo di serviti per una gran quantità di soggetti umani: il
caso, precisamente, dell’industrialismo moderno , per cui si era avuto il
rovesciamento del rapporto fra uomo e cosa , con l’ innalzamento ad ideale
supremo della realtà economica . Ma la condanna del progresso si traduce nella
istituzione di un preciso rapporto tra la morte del cristianesimo, la religione
2 l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga, L'autunno del Medio evo, Firenze,
Sansoni A. Corsano in Civiltà moderna, ed E. Guglielmino in Rivista storica
italiana. Rossi coglieva invece in Huizinga la disapprovazione per Erasmo , e
giudicava l’Encbiridion militis christiani opera d’un banale bigotto ( Nuova
rivista storica , della esaltazione dell’individuo , la enorme avidità di
possesso e di successo che caratterizza l'umanità moderna e, soprattutto, lo
sviluppo del marxismo: una tale dottrina della necessità radicale ed
ineliminabile dell’odio di classe si sostituisce bruscamente e senza passaggi
intermedi proprio alla concezione cristiana nell'animo degli appartenenti ai
ceti sociali più umili, trovando d’altronde nelle effettive condizioni della
società moderna, nel suo sempre più esasperato affarismo, gli elementi
suggestivi più adatti a conferire ad essa la massima efficacia di persuasione
28, Si comprende quindi come il ragionamento di Bandini incontrasse le simpatie
de La Civiltà cattolica 24, mentre offriva a Luigi Einaudi l’occasione per
attribuire al capitalismo storico dell’800 la responsabilità della tendenza
verso i monopoli, verso ciò che incatena ed asserve gli uomini e di cui
l’ultima e più perfetta e diabolica espressione è il comunismo russo , ma anche
per dissociarsi dalla tesi che la tendenza verso il colossale, distruttivo
dell’uomo, come persona autonoma, sia propria dell’economia contemporanea,
capitalistica o trafficante , poiché la liberazione dell’uomo dalle cose era
frutto precipuo dell'economia di concorrenza’. Tesa a dimostrare la necessità
della religione contro il materialismo contemporaneo è anche un’opera di
Bernhard Bavink che raccoglieva alcune conferenze tenute in Germania prima
della rivoluzione del 1933, la cui traduzione, uscita nel i Bandini, Uomo e
valore, Torino, Einaudi, La Civiltà cattolica , Einaudi, Dell’uomo, fine o
mezzo, e dei beni d’ozio, in Rivista di storia economica. Pur riconoscendo la
tendenza monopolistica rilevata da Bandini, Mario Dal Pra osservava: Ciò non
toglie tuttavia che i diritti e le pi profonde esigenze dell’individualità non
possano essere salvaguardate, ad esempio, mediante l’attuazione di quella terza
via che lo stesso Luigi Einaudi propone, fra l’individualismo da una parte e il
collettivismo dall’altra ( La Nuova Italia. Nel 1946 Antonio Giolitti allora
collaboratore della casa editrice criticherà Bandini per non aver saputo vedere
che il problema dell’individuo è problema politico e sociale, risolvibile sul
piano di quella lotta di classe che l’autore negava recisamente ( Studi
filosofici , VII (1946),81-84). 292 Le origini della casa editrice Einaudi
1944, era già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore sosteneva che
da scienziati assai religiosi come Galileo, Keplero e Newton, si era sviluppata
una tendenza culturale approdata ad un materialismo e ad un ateismo completo ed
aperto, quale è attualmente la concezione ufficiale del mondo nella Russia
bolscevica alla quale era contrapposto l’esempio positivo della concezione
sociale e statale fascista e nazista ; la fisica moderna, con Bohr e Planck,
aveva invece definitivamente distrutto certe troppo frettolose obbiezioni
contro la fede , abolendo il concetto classico di sostanza , e quindi ogni
meccanicismo, per cui si poteva concludere che ormai fare della fisica non
significa, in fondo, far altro che ricapitolare gli atti elementari compiuti da
Dio ?4 Un richiamo ai valori dello spirito poteva comunque passare anche da
altre vie meno sospette, dai grandi romanzieri ottocenteschi o da I/ problema
dell’inconscio di Jung, tradotto nel 1942: l’opera infatti trova favorevole
accoglienza su Primato , dove Muscetta considera merito fondamentale di Jung
aver ricordato che la psicologia è scienza dell’anima e che nessuna indagine
fisiopatologica potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua misteriosa
e libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore delle leggi fisiche .
Pagine di vent’anni fa, che per vie assai lontane dalla nostra cultura ci
portano affascinanti conferme a quella fede nei valori spirituali da cui non
potremo mai aberrare senza recidere le radici dell’essere nostro Bavink, La
scienza naturale sulla via della religione, Torino, Einaudi; contro il
bolscevismo, questa terribile filosofia sociale e storica, che distrugge ogni
esistenza degna dell’uomo, il fascismo yitaliano e tedesco propugna una
concezione sociale e statale " organica per la quale lo Stato non è una
costruzione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura di una vera vita,
della vita del proprio popolo (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi aveva chiesto
ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink all’approvazione del Ministero
della cultura popolare (AE, Alicata). 21 Primato , III (1942),381; la
psicologia è una scienza cretina , osservava invece Pintor dopo aver letto Jung
nell’ottobre 1941 (Doppio diario Alicata aveva fatto presente all’editore
l’esistenza di difficoltà per l’autorizzazione della stampa di Jung, per certe
idee morali e sociali dello Jung non completamente conformiste (AE, Alicata).
Lo stesso Ernesto De Martino vedeva nello teoria jungiana che riteneva
suscettibile di una traduzione in termini storicistici una tipica espressione
del travaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni della nostra epoca.
Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo viva la necessità di riprendere possesso
della nostra anima, e di esplorarne le sue profondità sconosciute . Diverso,
sia pure ambiguo, era il messaggio che si poteva ricavare dal pensiero degli
eretici e degli utopisti, attorno al quale si assiste, durante la guerra, a un
risveglio d’interesse in vari settori dell’intellettualità italiana, di cui
sono testimonianza esemplare gli studi di Cantimori e la Collana degli utopisti
dell’editore Colombo. Nel 1941 esce, come secondo volume della Nuova raccolta
di classici italiani annotati , La città del sole di Campanella, un’edizione
critica condotta sul testo italiano del 1602, quella più decisa in senso
ereticale, da Norberto Bobbio: respinte come fittizie le visioni di un
Campanella precursore del socialismo o dello Stato totalitario, in discussione
con i recenti tentativi di rivalutazione cattolica Bobbio ricorre all’ idea
della simulazione per spiegare la conversione del frate all’ortodossia,
provocando le riserve de La Civiltà cattolica , che si appuntano anche sulle
frasi di Bobbio che accennano con un velo di simpatia alle menti stanche ma non
asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti degli eretici isolati °. A queste
si potrebbe aggiungere un accenno contro la morale della potenza ; ma il
discorso di Bobbio si mantiene volutamente generico, nel sottolineare il
fondamentale antistoricismo del pensiero di Campanella, per cui c'è in
quell’utopia qualcosa di selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le
comunità degli indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di
lucidamente attuale, che fa pensare ad una città operaia dell'America moderna
Primato La Civiltà cattolica. CAMPANELLA (si veda), La città del sole, testo
italiano e testo latino a cura di Bobbio, Torino, Einaudi. Ginzburg avvertiva
Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia 294 Le origini
della casa editrice Einaudi Luigi Einaudi poteva trarne spunto per sostenere
che una storia delle utopie non doveva analizzare i tipi di società
comunistiche immaginati dagli utopisti sulla base di una problematica
economica, ma rigettare nel limbo delle cose che non furono mai scritte le
esercitazioni frigide di letterati in cerca d’argomento in apparenza nuovo e
mettere in luce le poche le quali risposero veramente ad un’esigenza dello
spirito ?!: un modo, ancora una volta, per esorcizzare il pericolo di un
richiamo eterodosso, sia pur utopistico , ai problemi concreti della società
contemporanea. 9. L’anticonformismo storiografico e l’ Universale Il settore
che, ancora una volta, dimostra meglio di altri e sempre più l’anticonformismo
della casa editrice, è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche due
laici , in diversa maniera crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il
primo che, costretto dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era
venuto affiancando agli originari interessi medievalistici o a quelli per
l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato liberale, un’attenzione
a figure significative del Risorgimento, come Pisacane si occupò in particolare
fin dal 1941, assieme ad Alicata, Morra, Ginzburg, Giolitti, Benedetti e
Venturi, di quel progetto della collana Scrittori di storia che avrà attuazione
solo negli anni ’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura la
Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esempio, fu bocciata come
inopportuna nel 1942 ?. Omo di Moro che uscirà nel 1942 presso Laterza (AE,
Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle utopie: a proposito della Città del sole, in R+
vista di storia economica , VI (1941),126-127. Luigi Bulferetti invitava invece
a collocare l’opera di Campanella nella realtà culturale e politica del
Mezzogiorno (Rivista storica italiana , LVIII (1941), 400-401). 252 Su Falco le
osservazioni di A. Garosci, Una cosa non ancora del tutto chiara..., in Rivista
storica italiana , Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno 1942 (AE,
Alicata). deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu prodigo di suggerimenti da
testi di antichistica o di religione a I/ medioevo barbarico di Gabriele Pepe o
il Murat di Angela Valente, e si era assunto anche l’impegno, come ricorderà ad
Einaudi, di trovare per la casa editrice collaboratori italiani, per
equilibrare le traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso di
collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i valvassori
avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca accademica, non c’è nulla
da fare 4. Un contrasto con Falco lo spinse tuttavia a passare nel 1941, con i
suoi progetti di lavoro, all’ISPI5; ma aveva frattanto assicurato alla casa
editrice due suoi lavori caratterizzati da una dura polemica, da un punto di
vista liberale, nei confronti della corrente storiografia fascista sul
Risorgimento. La leggenda di Carlo Alberto, che raccoglieva saggi già apparsi
sulla Critica , viene ad affiancare la revisione della figura del sovrano
piemontese condotta con spietato rigore da Guido Porzio sulla Nuova rivista
storica , ed è una requisitoria feroce contro la storiografia sabaudista
espressa da Alessandro Luzio, di cui è messo in luce il semplicismo del giudizio
moralistico e. l’indistinzione dei valori storici , per investire anche
Rodolico, rappresentante di una nuova sofistica che vuol confondere il
moralismo casistico con l’intellezione etico-politica del processo umano .
Tributato un caldo riconoscimento alla Storia del Risorgimento e dell'Unità
d’Italia intrapresa 254 le lettere a Einaudi del 25 agosto 1939, 28 ottobre e
24 novembre 1940, 3 gennaio, 13 febbraio, 8 marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2
luglio 1941 (A. Omodeo, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963,612, 629-631,
635-636, 638-641, 644-651). 255 la lettera a Einaudi del 9 settembre 1941
(ibidem,655656) e varie lettere in AE, Falco, Pepe: il contrasto riguardava rà
ntroduzione agli studi storici medievali di Pepe proposto da Omodeo; Muscetta a
Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE, Muscetta); Ginzburg a Finaudi, 21 novembre 1941:
Ho visto il programma della nuova Biblioteca storica dell’ISPI, che non solo
nel nome, ma anche nelle opere mi sembra derivi dalla Vostra, dato che i volumi
annunciati sono tutte opere rifiutate da Voi, se ben ricordo (AE, Ginzburg);
Carteggio Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto italiano per gli
studi storici, 1978, passize. 296 Le origini della casa editrice Einaudi da
Cesare Spellanzon opera che da sola riabilita i recenti studi risorgimentali,
che in genere non brillano per doti superiori , Omodeo nega recisamente, contro
gli apologeti di Carlo Alberto, l’esistenza di una profonda opera riformatrice
nel primo decennio di regno e di un preciso e segreto disegno politico
nazionale prima del 1848, e fa del sovrano il discepolo ideale di Giuseppe de
Maistre , un convinto cattolico-legittimista , accusando lo stravolgimento dei
veri valori del Risorgimento operato da quegli storici che non condannavano le
repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione, da buon liberale, per una non
necessaria puntata antisovietica . La forza delle argomentazioni critiche di
Omodeo è tale da ottenere un riconoscimento anche sulla codina Rassegna storica
del Risorgimento , ma il significato civile e politico del suo lavoro provoca
subito sulla stessa rivista un duro intervento di De Vecchi ?. Tuttavia
l’invito rivolto a Luigi Russo da Omodeo ferito da questa e da altre critiche,
che si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia,
Torino, Einaudi; e a16, criticando lo scarso peso dato dagli storici di
tendenza nazionalista ai processi del 1833: È vero che gli odierni processi di
polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno ottuso la nostra sensibilità
morale, e che al confronto i processi del ’33 possono apparire cosa
mitissima... . Dell’importanza di questo volume, come del Gioberti, non tiene
conto A. Garosci, Adolfo Omodeo. III. Guida morale e guida politica, in Rivista
storica italiana. la recensione di Paolo Romano (Paolo Alatri) in Rassegna
storica del Risorgimento; ma C.M. De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo
Alberto: Questo cercare di attaccarsi a forme razionalistiche della storia
affermando o demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita
presente, è da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al dovere di
uno storico in quanto cittadino rilevando le cattive intenzioni politiche di
codesti ingiusti giustizieri [di Carlo Alberto] e non rinunziando a definirli
secondo i loro meriti, vogliamo astenerci dal scendere nel campo della politica
cui pure saremmo chiamati dal contegno loro ( Rassegna storica del
Risorgimento). Negativo il giudizio di G. Ferretti (La leggenda di Carlo
Alberto, in Primato, mentre Luigi Bulferetti, pur prendendo le distanze da
alcune affermazioni di Omodeo, riteneva, a proposito dello Statuto, che si
avvicinasse molto più alle dottrine di Carlo Alberto (e fosse quindi più nel
vero) l’interpretazione datane nel decennio dai reazionari, che non quella dei liberali
di sinistra ( Rivista storica italiana prendesse da parte di persone di buona
volontà posizione nelle riviste di Codignola e in qualche altra che ci fosse
aperta 2, fu subito raccolto, a testimonianza dell’eco non solo storiografica
suscitata dall'opera: cosi non solo La Nuova Italia con Vinciguerra o Civiltà
moderna con Pieri, ma anche altre riviste ormai di fronda come Oggi , con
Umberto Morra tutti intellettuali legat. in vario modo alla casa editrice, si
lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad arrivare a una vera e
propria difesa politica dell’autore sulla Nuova rivista storica , sempre ad
opera di Pieri: dopo aver affermato riecheggiando la recensione di Edmondo
Cione al Mazzini di Bonomi che certa storiografia del Risorgimento pare tenda a
risolversi in un capovolgimento di valori, nell’apologia di reazionari, di
capibanda, di aguzzini, e nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei
nostri martiri , Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul Carso e sul
Piave, prima che negli archivi e nelle biblioteche, la passione del
Risorgimento italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi e alle prebende
delle retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo onere e il nuovo onore.
Quanto grande del resto sia oggi l’influenza dell’Omodeo, negli studi del
nostro Risorgimento, presso ogni categoria di studiosi, non esclusi i suoi più
illustri avversari, è ormai a tutti manifesto. Questo è il premio maggiore, per
il chiaro studioso, e la migliore prova del generale consenso che le sue vedute
vanno acquistando, nonché del posto preminente che oggi a lui compete nel campo
della nostra cultura storica 299. Analoga risonanza ha, nelle riviste di
fronda, il volumetto su Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana del profeta
del Risorgimento dal pensiero in sommo grado speculativo insieme e realistico ,
per mettere in rilievo, accanto alle continue oscillazioni politiche, le
carenze filosofiche e il sacrificio giobertiano dell’idea liberale al
cattolicismo , contrapponendogli il liberalismo laico di Cavour che, ben lungi
dall’essere agnostico, 258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere,628).
259 La Nuova Italia; Civiltà moderna; Oggi; Nuova rivista storica. Le origini
della casa editrice Finaudi garantiva lo svolgimento autonomo delle fedi intrinseche
alla cultura . E mentre Gentile vedeva nell’azione popolare di Gioberti uno
degli ammonimenti tuttora più vivi della sua politica nazionale , Omodeo
dichiarava la necessità di insistere sui suoi difetti ed errori per ricordare a
certo neoguelfismo di cattiva lega, che va risorgendo, a certo neogiobertismo
che ammicca vantandosi furbo, che l’esperienza giobertiana è irriproducibile,
non ha possibilità di sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu
assorbito nella sana politica del Cavour 2°. Un’interpretazione laica, questa,
che proveniva dall'ambiente crociano, il cui legame con la casa editrice è
attestato anche dall’attenzione che alla produzione storiografica di Einaudi
riserva La Critica . Spicca in particolare la recensione al Medioevo barbarico
d’Italia di Gabriele Pepe (1941) che era stato stroncato dai giudici
dell’Accademia d’Italia!, ritenuto invece da Croce una delle opere più
pregevoli della nuova storiografia cresciuta in Italia negli ultimi quindici
anni, non cronachistica o filologica, materialistica, economica, nazionalista
ed etnologica, ma semplicemente e puramente umana, cioè etica (il che non vuol
dire moralistica) , trovando in ciò concorde il giudizio di Luigi Einaudi; e,
con evidente allusione all’alleanza del fascismo con la Chiesa e col nazismo,
Croce faceva sue le tesi principali del volume giudicate con perplessità o come
troppo tendenziose da altri recensori, secondo le quali i Longobardi furono
sostanzialmente un elemento negativo nella storia d’Italia, cosî come il potere
temporale della Chiesa non solo fu dannoso alla moralità e alla civiltà, sî
anche dannoso alla stessa azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo
Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi; per i giudizi di
Gentile, quali si erano venuti configurando fin dal 1919, ora G. Gentile, I
profeti del Risorgimento italiano, terza edizione accresciuta, Firenze,
Sansoni, 1944, 69, 125. L’anonimo recensore della Nuova rivista storica notava
che il carattere di Gioberti fu piuttosto di teorico e di sognatore, anziché di
politico mirante alla realtà dei fenomeni politici e nazionali ; analogo il
giudizio di U. Morra, Gioberti e Garibaldi, Oggi. 261 G. Turi, Le istituzioni
culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, cdella Chiesa
in quanto istituto religioso perché il potere temporale non le dava ma le
toglieva forza, non le accresceva o garantiva libertà, ma la legava. Né è detto
che anche ai nostri giorni essa non abbia sollecitato e accettato un dono, un
piccolo dono, di Danai ?°. Sulla linea di una continuità di intervento liberale
compare ancora una volta Salvatorelli col Profilo della storia d'Europa, in cui
è sempre presente l’interpretazione multisecolare dell’unità della storia
italiana, e torna un motivo che abbiamo già trovato in Dawson, quello di una
civiltà unitaria europea la cui otigine è retrodatata rispetto all'opera dello
storico inglese, con forti e attualizzati elementi di differenziazione
dall’Oriente, in quanto la civiltà europea sarebbe stata preparata dai caratteri
comuni che i popoli europei già all’inizio dell’età storica presentavano
rispetto all’Oriente. Fin da adesso, insomma, l'Europa di fronte all’Asia
rappresenta l’individualità di fronte al collettivismo, la libertà di fronte al
dispotismo, il progresso di fronte all’immobilità 2°. Espressione, come il
Sommario della storia d’Italia, di quel nervoso e moderno enciclopedismo di cui
ha parlato Sasso °, il Profilo non esprime particolari valutazioni sulle
vicende della storia europea, se non nell’unificazione, tipicamente liberale,
dell’esperienza della Russia bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto
la stessa etichetta di Europa autoritaria , e ciò nonostante nel volume
appaiano, come novità nella storiografia di Salvatorelli, frequenti accenni alla
storia economico-sociale, anche se in prevalenza relativi alla storia antica, e
non senza imptoprie attualizzazioni °°. Ma, forse proprio per avere le stesse
22 La Critica Einaudi, Sui fattori (economici morali ecc.) delle variazioni
storiche, in Rivista di storia economica. Una certa tendenziosità di Pepe era
colta da E. Chichiarelli ( Nuova rivista storica) ed E. Farneti ( Oggi
Salvatorelli, Profilo della storia d'Europa, Torino, Einaudi Ri Sasso, La
Cultura nella storia della cultura italiana Ad esempio, a proposito di Atene
nel VI secolo a.C.: È da 300 Le origini della casa editrice Einaudi
caratteristiche del Somzzario, la fortuna dell’opera fu notevole, secondo la
profezia di Ginzburg per il quale il Profilo, scriveva dal confino il 5 marzo
1942, di sicuro aumenterà considerevolmente la diffusione della vostra
collezione storica #4, e non certo indifferenziata, se nel concedere il nulla
osta ai volumi della casa editrice da introdurre in Germania il Ministero della
cultura popolare suggeri di levar via il Salvatorelli , Infatti, pur lasciando
scontenti i cattolici e i crociani lamentandosi, i primi, delle due pagine
striminzite dedicate all’avvento del cristianesimo , e, i secondi, della
mancanza di una superiore giustificazione ideale delle notizie raccolte a
differenza della Storia d'Europa di Croce ?, il volume riscuoterà nel 1943
l’elogio appassionato di Giovanni Mira, ospitato anch'egli, già aderente al
Partito d'Azione, sulle pagine della Nuova rivista storica : Nella nostra età
tempestosa egli scriveva, lontani come siamo dal dogmatismo della storiografia
cattolica, dall’orgoglio razionale della volteriana, dall’ottimismo
progressista della ottocentesca, questo sforzo compiuto dal Salvatorelli per
stringere in breve la storia del nostro continente, per far capire anche agli
ignari come i fatti si sono svolti, con una narrazione cosi lucida da non aver
bisogno di commento, con una parola cosî piana da essere intesa da tutti, col
solo interesse di stimolare in sé e negli altri il riesame del passato, con la
sola morale di ritrovare nei fatti umani il lume dell’umanità: quest’opera è
forse il più sano cominciamento che si possa dare alla storiografia di domani
?9. notare come tra i grandi proprietari ed i piccoli agricoltori si fosse
formato un partito medio, che potremmo chiamare della borghesia (Profilo della
storia d'Europa,39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a Einaudi, 30 maggio 1942 (AE,
Alicata). 268 La Civiltà cattolica , 94 (1943), vol. II,52, e la recensione di
E. Chichiarelli ne La Nuova Italia. 26 Nuova rivista storica,123. L'opera di
Salvatorelli era presentata da Pietro Amendola al fratello Antonio, in una
lettera del 28 aprile 1941, come una cronaca , tranne che per quanto concerne
le questioni religiose o dei rapporti tra gli Stati e la Chiesa, che è come sai
il cavallo di battaglia del Salvatorelli: allora abbiamo della storia vera e
propria (in Lettere di antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo
Pajetta, Roma, Editori Riuniti, Il volume di Salvatorelli testimonia la
necessità, avvertita dalla casa editrice nel corso della guerra, di
confrontarsi con le vicende degli altri paesi e di ripensare grandi momenti o
figure del passato, in saggi che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour
e Napoleone III di Bono, accoppiano sempre alla dignità scientifica una
notevole capacità narrativa, e quasi sempre si fanno portatori di un messaggio
politico. Nel 1941 appaiono due studi di George Macaulay Trevelyan: la Storia
dell’Inghilterra nel secolo XIX, tradotta da Umberto Morra, riscosse il plauso
di intellettuali di diverso orientamento, come Curiel, che la giudicò uno dei
pit bei libri di storia usciti in questi ultimi tempi per l’ acutissima
indagine sociale , ed Ernesto Rossi, che la riteneva fruttuosa, per la
formazione della educazione politica. Contro l’irrazionalismo, oggi tanto
diffuso, mostrare gli sforzi coronati dal successo di tanti uomini egregi del
secolo scorso, che si proposero di modificare l'ordinamento esistente per
renderlo più adeguato ad un ideale di superiore civiltà significa fare una
iniezione di ottimismo, e stimolare all’azione consapevolmente diretta al
pubblico bene ?!. La rivoluzione inglese del 1688-89 era presentata da Ginzburg
come quella che aveva improntato del proprio formalismo e conservatorismo tutta
la vita pubblica nazionale fino ad allora, tramandando tuttavia anche il
principio della tolleranza politica e religiosa e Ginzburg invitava il lettore
italiano a leggere le conclusioni di Trevelyan, che vedeva nella rivoluzione
una vittoria della moderazione , e valorizzava il sistema parlamentare in-
Giudicato dall’editore libro magistralmente condotto (lettera del 21 ottobre
1941, in AE, Del Bono), il lavoro era negativamente recensito sulla Rassegna
storica del Risorgimento (XXX (1943),511-512) da Paolo Romano (Alatri), che gli
contrapponeva l’interpretazione omodeiana di Cavour. 21 CURIEL (si veda)
Scritti, a cura di Frassati, Roma, Editori Riuniti (segnalazione apparsa nel
Bollettino del Fronte della gioventii del febbraio 1944), e la lettera di
Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE, Rossi). Salvatorelli
apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine stereotipa della vita politica
inglese come semplice contrapposizione di due partiti ( Nuova rivista storica.
Le origini della casa editrice Einaudi glese nei confronti di poteri accentrati
di un nuovo tipo e ben più formidabile che non quelli dell'Europa dell’ ancien
régime , quali quelli instauratisi in Europa nel dopoguerra 7°. Il significato
politico dell’opera è confermato dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il
quale, di fronte alle novità del secolo XX, l'Inghilterra non era stata in
grado di rivedere le sue posizioni, preferendo rinchiudersi nella difesa del
passato Ora, veramente, i motivi fecondi della rivoluzione liberale del 1688
possono dirsi esauriti ??, e di Cantimori, pur già in contatto con la casa
editrice, che la giudicava un saggio di apologetica costituzionale dalla
visione conservatrice, dato l’ insistente paragone, a tutto detrimento di
quest’ultima, con la Rivoluzione francese , e un documento della mentalità
degli ambienti universitari più vicini alla classe politica attualmente
dominante in Inghilterra ?. Sempre nel 1941 appare non sappiamo se prima della
guerra all’URSS la Storia della rivoluzione russa di William H. Chamberlin,
un’opera che l’editore aveva in preparazione fin dal 1938 opponendola, come
obiettiva , a quella degli Webb proposta da Schiavi ?°, e tradotta da Mario
Vinciguerra: un lavoro in cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli
accenti apocalittici della prima opera per tentare una esposizione narrativa
degli avvenimenti russi dal 1917 al 1921, si presta a una lettura fortemente
antisovietica da parte di Omodeo, il quale osservava che, per quanto in vari
punti l’autore indulga a correnti punti di vista materialistico-storici e a
connessi schemi classistici , sfuggiva in realtà agli schemi generici e vuoti
del marxismo , per presentare come deus ex machina della rivoluzione la non
amabile persona di Vladimir Ulianov detto Lenin , uomo spregiudicato, con
Trevelyan, La rivoluzione inglese, traduzione di Pavese, Torino, Einaudi Pia di
L. Ginzburg. 2733 Primato , I (1940), n. 15,20 (siglato CM.). Leonardo DA VINCI
(si veda); analogo il giudizio di Tullio Vecchietti { Rivista storica italiana).
215 Finaudi a Schiavi, (AE, Schiavi). UA) un legame scarsissimo col mondo
circostante , caratterizzato dal doppio aspetto del fanatismo implacabile e
della scaltrezza opportunistica , forgiatore di un partito che ricorda insieme
il primitivo Islìm e la Compagnia di Gesù e concepisce la dittatura sugli
schemi del regime zaristico: dispotismo di polizia ?°. Analoghi motivi di
discussione politica sono suscitati anche dalla presentazione di grandi
individualità storiche di un più lontano passato, e provocano ora incrinature
all’ interno della casa editrice, e fra questa e l’ambiente di Primato o de La
Critica . Il Richelieu di Carl J. Burckhardt è visto dal curatore dell’opera
Bruno Revel, sulla traccia dell’interpretazione di Belloc contestata da
Salvatorelli, come fondatore dell'Europa moderna e del nazionalismo, artefice
di quell’ordine, che proprio ora ci sta crollando davanti cosi
spettacolosamente, fino a incidere anche nell’ambito della sfera privata. Tanto
più se una quasi ironica coincidenza di suoni confonda due nomi cosî ambigui
come Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente e frastuonante
insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi ora tali limiti, e
non si spinga per avventura più addietro nei secoli, scalzando dalle basi
precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era stato introdotto e
legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia 27. E contrastanti sono, nel
1942, due opere che presentano la differente concezione dello Stato di
rilevanti personalità della Grecia antica: da un lato l’ Alessandro il grande
di Georges Radet, che percorre le vicende del biografato alla 2î6 La
recensione, apparsa su La Critica del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della
storia, a cura di L. Russo, Torino, Einaudi, Burckhardt, Richelieu, traduzione
di B. Revel, Torino, Einaudi, 1941 (ediz. originale 1900),9. Oltre a contestare
la tesi di Belloc, Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra
poteri temporale e spirituale nel Medioevo: Fa della mitologia, o della
fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di quella felice
coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno che sarebbe
esistita prima dell’età moderna (Assolutismo del Richelieu, in Primato. Notava
l’analogia con la tesi di oc anche Mario M. Rossi nella recensione all’edizione
tedesca del 1937 (Nuova rivista storica). Le origini della casa editrice
Einaudî luce della sua ispirazione religiosa suscitando la critica di Omodeo
che invitava a una più concreta analisi storicopolitica, fa dire al curatore
che nell’opera di Radet si vede sorgere e progressivamente attuarsi il generoso
ideale dell’eguaglianza di tutte le genti in un mondo pacificato e concorde ?;
dall’altro Werner Jaeger contro gli storici tedeschi dell’800 che, come
Droysen, avevano esaltato l’opera di unificazione nazionale di Filippo il
Macedone e di Alessandro, visti come precutsori di Guglielmo I difende il
martire della libertà greca , Demostene: ed è significativo che mentre su
Primato Gennaro Perrotta valorizza la politica egemonica di Filippo e di
Alessandro contro l’ angusta difesa della libertà di Atene fatta da Demostene
ch'era libertà comunale, municipale , più tardi, sulla Nuova rivista storica ,
Giovanni Costa sosterrà la tesi di Jaeger facendone proprie le parole la lotta
di Demostene è immortale, per mortale che sia stata la nazione per cui combatté
. Una tesi che già dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria,
prendendo spunto dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da Piero
Treves presso Laterza. Non mancano quindi elementi di contraddizione
all’interno della casa editrice, al di là dei limiti posti dalla censura che
non permettevano di superare la linea liberale di Omodeo o quella moderata di
Trevelyan. Sembra tuttavia di avvertire, al tempo stesso, una maggiore cautela
verso la casa editrice da parte dell'ambiente crociano come nel caso di
Chamberlin e di Primato che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il Grande,
traduzione di M. Mazziotti, Torino, Einaudi, 1942 (ediz. originale 1931),XII.
La recensione di Omodeo, apparsa su La Critica , è ora in A. Omodeo, Il senso
della storia. Secondo Giovanni Costa Radet operava una esagerazione
magnificatrice dell’opera di Alessandro, nel quale invece si sente l’autocrate,
pi che l’uomo di genio ( Nuova rivista storica , Jaeger, Demostene, traduzione
di A. D'Andrea, Torino, Fina di, 1942 (ediz. originale 1938); G. Perrotta,
Demostene, gli antichi © i moderni, in Primato , ICosta in Nuova rivista
storica, XXVIII-XXIX (1944-45),335-337; E. Cione in Nuova rivista storica ,
della guerra, si arrocca in una posizione di minore apertura culturale,
accompagnata, alla fine del ’42, dalla cessazione della collaborazione di
Alicata e dal diradarsi di quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della
casa editrice in questo periodo, che riguardano in particolare il settore
storico, può aiutarci a spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune
proposte, in questo campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione
democratica nel pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione
francese, e non perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla
anche per le traversie della casa editrice dopo il 25 luglio, o di essere
realizzate, in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende come, in questo quadro,
non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi nel 1942 ?, scarsamente
innovative nella tematica e, forse, ritenute poco attraenti pet i legami di
Maturi con Volpe, o quella di Vittorio Gorresio, che nel 1941 aveva terminato
un saggio sulla storia del bolscevismo in Italia in cui sottolineava
l’isolamento del partito comunista dal grande tronco del socialismo , ma che fu
sottoposto al giudizio di Pavese che lo ritenne superficiale. Pieri, che nella
Nuova rivista storica aveva segnalato con simpatia alcuni dei titoli più
innovativi di Einaudi, propose una raccolta di saggi di storia militare che non
furono terminati per il Volpe, perché io non volli più sottostare alle
osservazioni e mutilazioni di due militari di professione messi alle costole
all’Accademico , tanto da dover subire le sue basse vendette 2; e mentre
Cantimori, fra gli altri progetti, avanza quello di una riedizione de La
repubblica romana del 1849 del mazziniano ministro degli esteri della
repubblica Carlo Rusconi ? 280 Maturi propose volumi su Lord Bentinck e i
Borboni di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del Risorgimento, frutto del
corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi). 281 Gorresio a Einaudi, 20 novembre 1941
(AE, Gorresio}; Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata). Pieri a Einaudi, 6 luglio
1941 (AE, Pieri). 283 Nel 1941-42 l’editore si dimostrava interessato a questa
e ad altre 306 Le origini della casa editrice Einaudi Falco propone, pur con
riserve legate alla tendenza materialistica dell’autore, il volume di Domenico
Dematco su Il tramonto dello Stato pontificio che sarà pubblicato nel 1949, e
una scelta di scritti di Giuseppe Montanelli in cui, osservava, andrebbe
conservato quanto riguarda la coltura del tempo, problemi vivi anche ai nostri
giorni, come la democrazia, il socialismo, la personalità del Montanelli,
soprattutto in relazione coi pensatori e politici contemporanei ‘4. Alessandro
Schiavi, che aveva già promosso presso Laterza la pubblicazione di alcune
memorie di esponenti socialisti, con la speranza di poter continuare una
battaglia politica , propone senza successo per il timore dell’editore di
incorrere nella censura un saggio di Zibordi sulla Storia del partito
socialista italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un proprio volume su I
contadini e i socialisti italiani che si sarebbe giovato di note stese da Nullo
Baldini. Il 1° settembre 1942, infine, Schiavi inviava a Einaudi tre cartelle
di un suo Proezzio al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando l’interesse dell’
editore, che cercherà di avviare la pubblicazione nell'agosto 1943 perché il
libro scriveva potrà riuscire sommamente opportuno e formativo, nelle prossime
lotte sociali ; gli scopi politici dell’edizione erano ben chiari anche a
Schiavi, per il quale la giovane generazione, che non ha avuto modo di conoscere
i pionieri e gli artieri del movimento sociale in Italia trascinati via dalla
morte e dall’esilio, inibita di leggerne la vita e l’opera nei libri perché
arsi e sequestrati come apportatori di veleni, ignara del senso di libertà che
tien deste e aperte le menti alle varie correnti del pensiero e dell’opinione e
della critica che le scerne e le affina, e che non è quindi in grado di
giudicare di quel movimento che fece di una plebe un popolo, proposte di
Cantimori, come la traduzione di Politik als Beruf e Wissenschaft als Beruf di
Max Weber (AE, Cantimori). 284 AE, Falco. Significativa la lettera inviata da
Schiavi a Anzi per incoraggiarlo a scrivere le sue memorie: Non tutto sparisce
colla inerzia imposta, oltreché dalle circostanze, dagli anni, e un po’ della
semente gettata germoglierà, e il nostro spirito rinascerà in quelle particelle
che andranno a formare la società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal senso
il nostro io non morirà (ACS, Casellario politico centrale, b. 4689, fasc.
6133). attraverso lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non nelle
leggende sconce e vituperose di avversari senza fede in un ideale, senza
rispetti umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare da queste lettere di
che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle classi lavoratrici italiane
voluta, preparata ed avviata da un pugno di uomini colla sola forza della
persuasione e della comprensione, della solidarietà e della educazione [sic].
Alicata, mentre rifiuta la proposta di tradurre Qu'est-ce que la proprieté? di
Proudhon, perché a parte il coraggio di certe formule diventate famose, è un
po’ fiacco nell’analisi dialettica , si faceva portatore della proposta di
Gastone Manacorda il quale nell’ottobre dichiarava di averne già terminato la
traduzione di pubblicare la Storia della congiura degli uguali di Filippo
Buonarroti indicato da Venturi, su Giustizia e Libertà , come il primo
egualitario italiano, e del Sistemza politico degli uguali di Babeuf. Il primo
testo che sarà pubblicato nel 1946 incontrò l’approvazione di Einaudi ?, che
nello stesso anno pubblicò il Saggio su la Rivoluzione di Pisacane. Dai
progetti si era ormai passati alle prime realizzazioni; e la storia di questa
edizione non è meno significativa delle pagine di prefazione scritte da Pintor
e dell’eco che essa suscitò. Nell’estate del 1941 Aldo Romano, che nel corso
degli anni ’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva proposto a
Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo tempo avrebbe dovuto curare
per la collana Studi e documenti di storia del Risorgimento diretta da Gentile
e Menghini presso Le Monnier, e che non prevedeva il saggio sulla 286 Schiavi a
Einaudi, ed Einaudi a Schiavi (AE, Schiavi). 281 Gianfranchi [F. Venturi], F.
Buonarroti, primo egualitario italiano, in Giustizia e Libertà. 288 Per
Proudhon Alicata a Einaudi, 18 giugno 1942 (AE, Alicata); per Babeuf e
Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11 maggio 1942 (AE, Alicata); Onofri scriveva
all'editore di avere esaminato assieme ad Alicata una scelta di scritti di Babeuf
(AE, Onofri); nel marzo 1943 Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di un
suo volume su Mazzini e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che dal
giugno 1942 Gastone Manacorda era stato incaricato di tradurre la Conspiration
pour l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). Le origini della casa
editrice Einaudi Rivoluzione. Alle obiezioni dell'editore, che chiedeva solo
quest’ultimo, Romano rispondeva che il terzo saggio era solo una parte
dell’opera di Pisacane, ma non certo la più importante. Staccata dalle altre
rappresenta un frammento che ora non vale la pena di pubblicare. Il terzo
saggio contiene, nelle sue pagine migliori, il pensiero sulla quistione
sociale, ma non certo tutto il pensiero poli- tico del Pisacane: le pagine
migliori si trovano nel IV saggio che, collegate a quelle poche del secondo,
rappre- sentano il pensiero del Pisacane sulla guerra, la sua filosofia della
guerra come creatrice di eventi ; ma il 2 settembre 1942 Einaudi gli rispondeva
di aver affidato la Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è probabilmente
senza motivo o motivi che il nome del democratico meri- dionale, annoverato
alla fine dell’800 fra i precursori del socialismo, ma di cui nel 1932 Nello
Rosselli aveva messo in luce le contraddizioni del pensiero sociale per
ricavarne l’ammonimento che il riscatto di un popolo dalla tirannia, dalla
serviti, dalla cronica fiacchezza politica, è anzitutto problema morale e
Ferruccio Parri non mancò di rilevare la riduttività del giudizio di Rosselli
?°, tornasse a circolare con lo scoppio della guerra: con patticolare
riferimento alla Guerra combattuta ne parlarono Giansiro Ferrata su Primato e,
su Argomenti , Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul pensiero
politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta einau- diana
trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma assumeva anche particolare
rilievo, come ha ricordato Gerratana affermando che essa fu in quel periodo uno
289 AE, Romano. 29 N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con
un saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977,IX, e la recensione di Parri
(siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane delle rigide
postulazioni di comunismo autoritario e spregiudicato, le quali sono sembra a
me in qualche dissenso da Rosselli più che fredde e formali e provvisorie
acquisizioni ideologiche , e suggeriva di dare maggiore spazio all’influenza di
Marx su Pisacane { Nuova rivista storica). DI G. Ferrata, Strategia di
Pisacane, Primato; Ramat], Per un'antologia di scritti del Pisacane, in
Argomenti. dei più importanti contributi alla cultura antifascista della nostra
generazione ??, Infatti nella presentazione del Saggio Pintor operava una netta
rottura con l’interpreta- zione di Rosselli: pur mettendo in luce i limiti
teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui l’intreccio di motivi maz-
ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava come l’unico socialista
intransigente dell’Italia pre-unitaria, e un socia- lista per temperamento e
per metodi assai più vicino ai moderni teorici che ai vecchi dottrinari di
un’utopia collettivista , in quanto l’affermazione cosi frequente in Pisacane
che le idee derivano dai fatti, e non questi da quelle, corrisponde nella sua
sommaria enunciazione al cosiddetto rovesciamento della dialettica hegeliana
operato da Marx ?3, Era un’affermazione che, al di là della sua correttezza
interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni la passarono sotto silenzio,
come il recensore di Critica fascista che si limitò a sottolineare l’autonomia
di pensiero e l'imperativo morale del patriota, o la contestarono, come
Gabriele Pepe, che dopo aver messo in luce l’astrattezza di pensiero e la
lontananza dal marxismo di Pisacane, assegnò al Saggio un significato
esclusivamente patriottico ; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò su Primato la
ristampa di un classico della pix schietta tradizione rivoluzionaria italiana ,
mentre sulla Rivista storica italiana Armando Saitta difese il valore teorico
del suo pensiero, in particolare l’intuizione, a suo parere marxista e
sociologica insieme, del popolo come classe politica , e più tardi,
nell’inverno 1943, Paolo Alatri potrà affermare che alla base di tutto il
Saggio è una convinzione che difficilmente anche oggi, a circa un secolo di
distanza nel tempo da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe di rifiutare:
che cioè una rivoluzione, per mutare veramente un mondo, deve Introduzione a G.
Pintor, I/ sangue d'Europa,la prefazione al Saggio, del 1942, ora in G. Pintor,
I/ sangue d'Europa. Nonostante la conclusione della vicenda editoriale, il 16
febbraio 1943 Pintor ammoniva Einaudi: ti ricordo l'opportunità di non buttare
a mare completamente i collaboratori che ti sono antipatici: i calci in faccia
dati a Romano e la distruzione del suo volume risultano ora piuttosto dannosi
giacché una scelta degli scritti di Pisacane non si improvvisa e il volume è
rarissimo (AE, Pintor). Le origini della casa editrice Einaudi essere
sovvertimento di un ordine costituito non soltanto politico ma anche e
soprattutto sociale ?. Resta l’interrogativo di come, nello stesso tempo,
Pintor potesse consigliare a Einaudi la pubblicazione, avvenuta nel 1943, de I
proscritti di Ernst von Salomon, uno degli assassini di Rathenau, un volume che
l’editore propagandò perché vi era rievocata la guerriglia per strappare le
regioni baltiche alla minaccia bolscevica , e al quale già nel 41 aveva
dichiarato di tenere molto, assieme a Volk obne Raum del pangermanista Hans
Grimm, per il loro tono documentario nazionalsocialista ?5; una proposta che
Pin tor cercherà di riscattare nella recensione al volume pubblicata postuma,
tesa ad analizzare, con moduli cantimoriani, anche se concettualmente assai più
fragili, la vicenda dei reazionari di sinistra tedeschi del primo dopoguerra,
vista come testimonianza del destino di un'epoca in cui la tolleranza doveva
diventare una colpa e la morte fisica scendere con inaudita violenza su intere
generazio ni 2, L’interrogativo posto per Pintor ci sembra valido anche per
l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela a SUCCI (si veda), CRITICA
FASCISTA; Pepe ne La Nuova Italia , Don Santigliano [Muscetta] in Primato; A.
Saitta in Rivista storica italiana;Romano [Alatri], in Leonardo, XIV
(1943),247. 295 Attività Einaudi anno XXI (ACS, Segreteria particolare del
duce, Carteggio ordinario, n. 528771, sottofasc. 1); Einaudi ad Alicata, (AE,
Alicata); G. Pintor, Doppio diario, Pintor, Il sangue d’Europa,162, 164.
Recensendo più tardi il volume Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di
Rathenau e la radicale negazione della moralità dei mistici tedeschi, in questo
simili ai fascisti italiani, concludeva con velata ironia: La traduzione
italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo 1943, nel tempo
dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il lasciapassare di quel
regime: al quale è da credere che tale libro sembrasse edificante, confortante,
educativo, persuasivo per gli italiani, perché dettato nello stesso spirito di
talune delle nobili sentenze che allora si facevano imprimere dappertutto sui
muri delle case urbane e rurali. Ma l’accorto editore, provvedendo a quella
traduzione, avrà avuto di mira, crediamo, l’intento opposto (Misticismo
politico tedesco (La Critica , 1944), ora in B. Croce, Pagine politiche
(luglio-dicembre 1944), Bari, Laterza, Spellanzon nella cura delle
Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848 di Cattaneo: poiché la materia è, a
novant'anni di distanza, ancora cosi incandescente , scriveva Einaudi, era
indispensabile far precedere il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva
un po’ da antidoto, un’introduzione che non sia naturalmente di piaggeria
carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e
dell’intonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che ne formano
l’ossatura . Ma all’editore di Omodeo, spietato critico della leggenda di Carlo
Alberto, Spellanzon aveva risposto di non essere sicuro di poter scrivere una
introduzione- antidoto , perché si sentiva meno caldo di furore di quell’uomo
inesorabile e severo, vero Farinata del secolo decimonono. Ma all’infuori del
toro, e all’infuori di qualche sua deduzione troppo consequenziaria, io
condivido molta parte dei giudizi del fiero lombardo! ?. Infatti nella
presentazione dell’opera pubblicata nel 1942 che nella ristampa del 1949 sarà
dedicata a Salvemini, Spellanzon faceva sue le critiche del democratico
milanese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli scritti dell’
Archivio triennale un acerbo disdegno per i subdoli maneggi di servi cortigiani
e gesuitanti, un caldo amore di libertà inseparabile da ogni impresa di civile
progresso. Anche in queste pagine, il Cattaneo ci appare quel che fu durante
l’epico momento delle Cinque Giornate: il Farinata della rivoluzione nazionale
italiana ?. Scontate appaiono quindi, da un lato, le critiche de La Civiltà
cattolica e, dall’altro, la favorevole accoglienza di Pieri, per il quale con
questo volume la tanto auspicata ricostruzione della storia del nostro
Risorgimento è finalmente in atto, nelle sue correnti ideali, nel suo travaglio
politico, nello sforzo d’elevazione morale di tutta la vita italiana ; ma anche
Carlo Morandi, su Primato , invitava ad una lettura del Cattaneo democratico
ben diversa da quella proposta nel ’39 da Luigi Einaudi: Nella storia, Einaudi
a Spellanzon, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE, Spellanzon). 28 C.
Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848, a cura di C. Spellanzon,
Torino, Einaudi, 1942,XCII. 312 Le origini della casa editrice Einaudi se
l’obbiettività è un’utopia, la probità è un dovere. Sarebbe eccessivo affermare
che la probità del Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore a quella
degli scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di no ? Ma poco
prima del 25 luglio, alla vigilia di una nuova fase nella vita della casa
editrice, Einaudi cercava un punto di equilibrio affidando ancora una volta a
Salvatorelli il compito di riassumere in rapida sintesi una riflessione del
Risorgimento che unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e quella
democratica di Spellanzon, pur in una visione sempre etico-politica della
storia. In Pensiero e azione del Risorgimento, individuata nella circolazione
delle idee del '700 europeo la matrice del processo risorgimentale,
Salvatorelli superava sue precedenti incertezze interpretative ripercorrendone
le tappe attorno al nesso di pensiero e azione , che vedeva per la prima volta
incarnato dai giacobini italiani, per passare poi nell’insegnamento di Mazzini
e spiegare la funzione capitale svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la
sottovalutazione di Cavour e l’unico punto relativo alla rivoluzione in cui
l’autore accennava al problema sociale e il recensore sottolineava la difettosa
impostazione etico-giutidica di tutti i moti socialistici , Omodeo poteva
salutare, su La Critica del 20 luglio 1943, un’opera meritoria nella dura
polemica contro certi indirizzi semi-camorristici che con la prepotenza han
preteso imporre risultati prestabiliti alla ricerca storica ; e Curiel inviterà
a leggere il volume, perché metteva in luce le forze progressive della
democrazia, indicandone le insufficienze per cui il moto rivoluzionario per
l’unità d’Italia sboccò nel compromesso monarchico e nel pseudoliberalismo
antidemocratico . Infatti dalla ricostruzione La Civiltà cattolica; Pieri in
Nuova rivista storica , XXVII (1943),143; Morandi in Primato , III (1942),179.
anche, più tardi, la recensione di Bianca Ceva ne La Nuova Italia. La Critica;
E. Curiel, Scritti (segnalazione sul Bollettino del Fronte della gioventd del
febbraio 1944). Anche Carlo Morandi, pur non condividendo alcune osservazioni
particolari di Salvatorelli, ne sposava comple storiografica che arrivava ad
accennare alla crisi del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo
Salvatorelli faceva scaturire nella pagina conclusiva un chiaro messaggio
politico, invitando a non subire le deformazioni e i traviamenti delle visuali
nazionalistiche ; ma a preservare la libertà di pensiero e d’azione, guardare
dall’alto e lontano, ascoltare e riflettere, preparare e costruire, secondo le
direttive di principio espresse dalla coscienza storico-morale dell’umanità, in
cammino verso la sua meta divina: la pienezza di vita dello spirito nella
fraternità universale ! A valori umani e civili non confinabili in un ambito
nazionalistico intendeva ispirarsi anche la nuova collana Universale che
cominciò a uscire nel 1942 sotto la direzione di Muscetta, invitato
dall’editore ad accelerarne i tempi di pubblicazione di fronte alle minacce di
concorrenza che si annunziano da varie parti ®, Infatti, Primato presentava con
soddisfazione l'uscita di due collane universali ritenute necessarie, in quanto
fra le caratteristiche di questa guerra, gli storici ricorderanno anche la fede
nei valori della cultura, l'ardente bisogno di dissetarsi alle sorgenti di vita
eterna ®: la Corona di Bompiani e la collana einaudiana, cui avrebbe fatto
seguito, nel 1943, la Meridiana di Sansoni, con volumi il cui piccolo formato
era imposto tamente la tesi generale sulle origini non autoctone del
Risorgimento, legate alla Rivoluzione francese (La polemica sul Risorgimento,
in Primato). %! L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino,
Einaudi Einaudi a Muscetta, 23 marzo 1942 (AE, Muscetta). La discussione sulle
caratteristiche della nuova collana fu assai vivace quando l’editore pensava di
suddividerla in due sezioni, una Biblioteca classica universale , dove avrebbe
potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una Biblioteca moderna
universale : G. Pintor, Doppio diario,157, 163; Muscetta a Einaudi, 29 ottobre
1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata). Vice, Il problema delle
Universali , in Primato. A proposito della nuova collana, il redattore capo
della rivista, Giorgio Cabella, il 20 maggio 1942 scriveva a Einaudi: Non
mancherò di farne parlare su Primato con quella cura e attenzione che abbiamo
sempre usato per le Vostre pubblicazioni e che questa collezione merita (AE,
Cabella). Le origini della casa editrice Einaudi anche da un dato oggettivo, la
carenza di carta. Da parte fascista si cercò di cogliere in queste iniziative
la prova di un sostegno della cultura alla guerra italiana , come se lo spirito
affermava Lorenzo Gigli in un articolo della Gazzetta del popolo fatto proprio
da Primato voglia in pieno conflitto proclamare e dimostrare il raggiunto grado
della sua emancipazione e sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel
processo ricostruttivo di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla
conquistata indipendenza politica ed economica della Nazione come frutto della
guerra vinta ®. La nuova collana di Einaudi si presentò tuttavia, fin
dall’inizio, come espressione di un rinnovamento culturale della casa editrice,
che intendeva ora allargare il suo pubblico con volumi agili e a basso prezzo
non è un caso che dai 29 volumi si balzasse ai 53, per attestarsi sui 41 nel
1943. Anche se l’annuncio editoriale era necessariamente ambiguo la collana non
vuole assecondare diffuse abitudini culturali, ma orientare il pubblico secondo
un gusto italiano, aperto alle esperienze moderne, ma sempre vivamente
sensibile alla nostra secolare tradizione umanistica , il giudizio espresso nel
dopoguerra, nella fase di preparazione di Politecnico biblioteca , da
Vittorini, al quale la vecchia Universale appariva compromessa dalle inclusioni
di opere esplicitamente reazionarie , non solo prescinde dalla necessaria
collocazione storica dell’iniziativa, ma risulta anche inesatto, e
opportunamente contraddetto da Concetto Marchesi che, all’u 30 Vice,
Calendario, in Primato. 305 Cit. da C. Cordiè in Leonardo da VINCI (si veda).
Vittorini a Einaudi, in E. Vittorini, Gli anni del Politecnico . Lettere
1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino, Einaudi, 1977,8. Nella comunicazione a
Einaudi di un colloquio avvenuto il 4 luglio 1945 tra Vittorini e Pavese a proposito
dell’ Universale , si dirà che Vittorini intende aprire la collezione a moderna
letteratura progressiva sia creativa sia polemica la quale escluderebbe
naturalmente molti titoli che in passato entrarono nella collezione. Treifschke
e Novalis non possono sopravvivere quando entri, cosî per dite, il teatro di
Saroyan, la poesia di Toller, la polemica di un oratore sovietico. A Pavese
pare che possano (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma scita dei primi
volumi della collana, lodava Einaudi per aver fatto entrare la sua attività
editoriale nella storia della nostra cultura italiana che tanti maltrattamenti
e oscuramenti ha dovuto sopportare Ciò non significa che non siano numerosi
titoli puramente letterari non inquadrabili nelle finalità di un orientamento
politico, prima e dopo il 25 luglio, o che non fossero scartate proposte di
testi più incisivi da questo punto di vista . Ma è bene ricordare che alcune
esclusioni sono da attribuirsi alla necessità di un compromesso con la censura:
Bottai potrebbe dire una parola a Pavolini scriveva l’editore a Muscetta l’8
aprile 1942, rivelando un rapporto privilegiato con il ministro dell’Educazione
nazionale . Noi faremo molti italiani e quindi anche qualche straniero .
Accetteremo nello svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel
caso qualche volume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro
collaborino con noi °. E tuttavia Einaudi poteva a buon diritto scrivere ad
Arrigo Benedetti che con l’ Universale gli pareva di venire incontro a un vero
bisogno della nostra cultura nazionale. Tengo molto a che questa collezione non
passi per un tentativo di volgarizzamento di cui non si sentiva affatto la
necessità, ma per un contributo fattivo a un riesame serio e consapevole del
patrimonio culturale universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che fosse
inteso l’attributo della mia collezio 30? Marchesi a Einaudi, (AE, Marchesi).
308 Per i vari progetti di pubblicazione AE, Muscetta. Fra i testi non
realizzati figurano: La rivoluzione e i rivoluzionari in Italia di Ferrari,
affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva e poi, nell’ottobre, a Cantimori AE, M.
Ceva, Cantimori); i Pensieri politici di Vincenzo Russo scartati dall’editore
che, d'accordo con Alicata, accantonò anche il progetto di pubblicazione del
saggio sulla libertà di Labriola non sappiamo se quello Della libertà morale
del 1873 o quello Del concetto della libertà del 1878, in quanto le
osservazioni interessanti per lo sviluppo futuro del suo pensiero sono appena
marginali; siamo ancora in piena disquisizione psicologistica herbartiana,
priva di interesse per noi (lettere a Muscetta del 24 agosto 1942 e ad Alicata,
in AE, Muscetta, Alicata). Il 25 giugno 1943 Ginzburg inviava il sommario di
un’antologia di scritti di Cattaneo (AE, Ginzburg). 39 AE, Muscetta. 316 Le
origini della casa editrice Einaudi ne °. In effetti, le finalità di apertura
cosmopolitica della collana vennero rispettate, se dal 1942 al 1946 i titoli
italiani risultano solo 17 su un totale di 69, di cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su
19 nel 1943; e le prefazioni, stringate ma spesso assai incisive, furono
affidate in molti casi a intellettuali antifascisti, anche se non tutti quelli
contattati, come Marchesi, poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i
Canti del popolo greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio del
1943, un significato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters,
da tempo segnalata da Pavese che vi vedeva un meraviglioso mondo che ci parve
qualcosa di più che una cultura: una promessa di vita, un richiamo del destino
, suggerisce alla curatrice, Fernanda Pivano, l’osservazione che solo le anime
semplici riescono a trionfare nella vita !, E Ginzburg, se ne La sonata a
Kreutzer di Tolstoj indicava i motivi artistici come prevalenti su quelli
sociali, terminava la prefazione a La figlia del capitano ricordando l’epigrafe
di Puskin tieni da conto l’onore fin da giovane ?, mentre presentando
Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda metteva in luce la statolatria
reazionaria dell’autore, che trasferisce allo stato etico , nazionale e
monarchico, quei compiti ideali di civiltà che l’illuminismo assegnava allo
stato razionale e cosmopolitico, e, confondendo evidentemente stato e società,
dà una cattiva versione romantica dell’esser cive quando afferma che il più
umano dei bisogni è quello di uno stato e predica la necessità che lo stato sia
dovunque visibile anche nei distintivi e nelle uniformi 313. 310 Einaudi a
Benedetti, (AE, Benedetti). La scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti
non ottenne il nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti
la guerra del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE,
Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: Facciamo subito il
Maupassant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in un primo tempo
(AE, Benedetti). 311 E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di F.
Pivano, Torino, Einaudi, 1943,XII; C. Pavese, La letteratura americana, 64. 32
Ora in L. Ginzburg, Scritti,153, 289. 313 Novalis, Cristianità o Europa, a cura
di M. Manacorda, Torino, Einaudi, Accenti anti-gentiliani, non privi talvolta
di risvolti politici, sono avvertibili anche nella presentazione di molti
letterati e uomini politici italiani dell’800: accanto alla valorizzazione del
cristianesimo di Capponi, ritenuto da Umberto Morra più vivo di quello
manzoniano !, o all’inclusione di esponenti moderati del Risorgimento cari alla
concezione liberale di un Luigi Einaudi o di un Omodeo, come Cavour di cui
Cantimori cura una scelta dei Discorsi parlamentari sottolineandone il realismo
politico °, appaiono autori propri della genealogia risorgimentale di Gentile
Cuoco, Foscolo o Alfieri, ma profondamente rivisitati. Significativo non solo
in questo senso, ma anche come una sorta di manifesto di tutta la collana, è il
primo titolo pubblicato, le Ultizze lettere di Jacopo Ortis, che offriva a
Muscetta l’opportunità di far proprie le affermazioni pacifiste di un
commentatore di Foscolo Un popolo non deve snudare la spada se non per
difendere o conquistare la propria indipendenza. Se attacca i vicini per
aggiogarli, si disonora; se invade il loro territorio col pretesto di fondarvi
la libertà, o è ingannato o s’inganna , e di riproporre la concezione
democratica e antitirannica espressa in pagine dimenticatissime da Cattaneo,
per il quale Foscolo fu il primo a gettare in Italia quella vanissima sentenza,
che il rimedio vero sta nel riunire in una sola opinione tutte le sètte . È
idea chinese, idea bizantina; e per essa la Grecia, sf feconda quand'era piena
di sètte, giacque per mille anni nel letargo della sepolcrale ortodossia
bizantina. Ogni setta che invoca questo sofisma intende solo imporre silenzio
alle altre tutte, fuorché a se stessa, e regnare unica e sola3!. 314 G. Capponi,
Ricordi e pensieri, a cura di U. Morra, Torino, Einaudi Benso di Cavour,
Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942,XII.
Scrivendo a Finaudi, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori tendenziose,
con un profumino di marxismo aggiornato, che dà noia (AE, Ragghianti). Foscolo,
Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di C. Muscetta, Torino, Einaudi,
1942,XIV-XV. La Civiltà cattolica noterà che l’opera di Foscolo era posta
all'Indice. Mazziotti presentava Il Congresso di Vienna di Treitschke
affermando che per l’autore lo Stato era forza, 318 Le origini della casa
editrice Einaudî 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della
cultura Entusiasmo e frenesia di iniziative contraddistinguono il periodo
immediatamente successivo alla caduta di Mussolini, quando ai tentativi di
acquisire il controllo su un giornale, quando Roma vive il primo giorno di
libertà , Muscetta invitava Einaudi a metter le mani su Primato si aggiungono a
ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di nuovi volumi e collane,
destinate per la maggior parte ad essere definitivamente accantonate o sospese
fino alla Liberazione, non solo per l’incertezza della situazione politica
generale. Inizia infatti un processo di riassestamento della casa editrice di
non facile soluzione tanto che si ripresenterà, aggravato, , dove ai problemi
ma che una forza che calpesta ogni diritto deve finalmente andare in rovina,
perché nel mondo morale nulla si regge che non abbia virtî di resistere AE,
Muscetta. Intense furono le trattative per l'acquisto di altri Genta Si pensò,
da parte di Muscetta e Ginzburg, a La Ruota da trasformare in settimanale sotto
la direzione di Mario Vinciguerra (AE, Vinciguerra; Muscetta), anche se Pintor
affermava: Resta da decidere se l’acquisto di una rivista in questo momento e
con le prospettive oscure che ci attendono sia un gesto opportuno e resta da
fissare l’indirizzo politico della rivista. Un uomo come Vinciguerra,
degnissimo ma ufficialmente legato a un partito, non mi pare il più adatto per
la direzione (AE, Pintor). Vi furono trattative anche per Il Lavoro italiano ,
per cui Pintor entrò in contatto con Piccardi che non voleva scriveva Pintor a
Einaudi affidarlo a elementi troppo di destra, dato che si tratta del
Quotidiano dei Lavoratori. Temeva che tu avessi le idee di tuo padre (AE,
Pintor, 30 luglio 1943; Muscetta. Per la Gazzetta del popolo , che Einaudi
avrebbe voluto affidare alla direzione di Felice Balbo, si chiese l'appoggio di
Bonomi presso l’IRI, ma Pintor non riuscî a convincere Menichella che
comunicava all’editore vede nerissimo, prevede il regno dei grossi capitalisti
e un attacco in grande stile contro l’IRI. La Gazzetta del popolo come la
faremmo noi costituirebbe una provocazione contro i pescicani e affretterebbe
la catastrofe (AE, Pintor; Bonomi). Il 18 agosto 1943 Einaudi scriveva ad
Alicata: Il periodico di educazione popolare che saluterei con simpatia,
sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini questo dovrebbe essere il
giornale spregiudicato e vivo, dei tempi nuovi qui tutte le manifestazioni
della vita, politiche ma sovratutto di costume dovrebbero essere rappresentate
(AE, Alicata). organizzativi si intrecciano le divergenze fra i collaboratori,
che acquistano ora rilevanza politica. Einaudi riteneva necessario
l’accentramento in Piemonte dei servizi relativi al funzionamento worzzale
della casa editrice , mentre nell’agosto incaricava Ginzburg, liberato dal
confino, di dirigere la sede romana : ed è da questa, dove nell’agosto è
presente anche Franco Venturi, che scaturisce una forte pressione degli
azionisti nelle loro diverse componenti, dai liberalsocialisti ai crociani che
cercano di condizionare a loro favore le scelte editoriali. Il senato romano
(presenti Ginzburg, Muscetta, Pintor, Giolitti, Venturi) scriveva Muscetta a
Einaudi il 7 agosto 1943 ha discusso e progettato, ad unanimità, una collezione
di attualità politica, a cui si darebbe il nome di Orientamenti . Suggerisce di
pubblicare, preferibilmente a Roma, per ovvi motivi, una serie di volumetti
formato universale. Come è chiaro dalla parola Orientamento la collana dovrebbe
accogliere scritti delle pi serie tendenze odierne per illuminare il pubblico
sulle condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per disegnare delle
prospettive di concreta ricostruzione politica, per offrire dei contributi al
chiarimento dei più urgenti problemi, non esclusi quelli ideologici, Ma le
proposte concrete privilegiavano un indirizzo azionista della collana,
prevedendo i saggi di Guido Calogero su Giustizia e Libertà dall’ambizioso
sottotitolo breviario di politica , di Spinelli sull’unità europea, di Manlio
Rossi Doria sul problema agrario in Italia, quello sul Risorgimento che
Ginzburg stava preparando, e una storia del socialismo di Franco Venturi. Queste
proposte di cui si fece portatore, pur con riserve su Calogero, anche Pintor?
Disposizioni di Finaudi per la sede romana (AE, Corrispondenza editoriale
Roma-Torino). AE, Muscetta. AE, Pintor. Fra le altre proposte romane , Dal
socialismo al fascismo di Bonomi (già edito da Formiggini), Synthèse de
l'Europe di Sforza, La terreur fasciste di Salvemini, il Pisacane di Rosselli e
la traduzione da affidare a Rodano de Les sources et le sens du communisme
russe del pensatore religioso, ex-marxista e ora antisovietico, Nikolaj A.
Berdjaev (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino), un’opera che sarà Le
origini della casa editrice Einaudi furono respinte dal gruppo torinese, che
invece approvò la ristampa di Nazionalfascismo di Salvatorelli, un’antologia di
scritti di Gobetti che avrebbe dovuto curare Carlo Levi, un volume di Mario
Vinciguerra Storia di cento anni (1848-1948), e la richiesta a Guido Dorso di
preparare una biografia di Mussolini . Un netto e significativo rifiuto riceve
invece, a Torino, la proposta di raccogliere gli scritti politici di De Sanctis
il suggerimento, tramite Muscetta, era arrivato da Croce #, mentre viene
lasciata aperta la possibilità di pubblicare Guerra e dopoguerra di Giacomo
Perticone, una storia della crisi della coscienza politica italiana ritenuta
interessante da Giolitti, che suggeriva l’eventuale opportunità di una
collezione specifica che potrebbe presentarsi come Contributi alla storia del
fascismo , intendendo naturalmente il fascismo in senso lato, come crisi, per
dir cosî, della democrazia nazionale italiana; e allora rientrerebbero in quei
contributi anche le indagini sulla storia dell’Italia dopo il 1870 le quali
sappiano vedere il fascismo già latente in certi aspetti della vita politica
dello Stato italiano, e non lo considerino soltanto come un mostro emerso
improvvisamente da chissà quali profondità, o come la criminosa avventura di un
gruppetto di sopraffattori: un’indicazione di ricerca che superava la visione
crociana della parentesi , ma che sarebbe stata raccolta molto tardi dalla
cultura storiografica italiana, anche se Einaudi si dimostrò interessato alla
proposta, cui cercherà di dar seguito dopo il 1945 ®. Di fronte alle posizioni
del senato romano di tradotta nel 1944 da Giacomo Perticone (Roma, Edizioni Roma);
di Berdjaev Laterza aveva tradotto Il cristianesimo e la vita sociale, mentre
Finaudi pubblicherà La concezione di Dostojevskij. 321 C. Pavese, Lettere; AE,
Pavese, Vinciguerra. Muscetta a Pavese, 19 agosto 1943 (AE, Pavese); Qui ognuno
di noi si infischia sia del Perticone, sia degli scritti politici di De Sanctis
, si rispose da Torino (AE, Muscetta). Giolitti a Einaudi (AE, Giolitti); si
potrà discutere la proposta di Giolitti in merito a una collezione critica sul
fascismo , scriveva Einaudi a Pintor (AE, Pintor); e Pintor era favorevole: la
lettera del 24 agosto a Pavese (in C. Pavese, Lettere viso al suo interno tra
azionisti da un lato, Pintor e Giolitti dall’altro e di un Pavese, nauseato
dall’indaffaramento politico della casa editrice ’, Pintor si dimostrava
preoccupato dell’unità dell’indirizzo editoriale: scriveva a Einaudi che le
possibilità di rottura si accentuano e che la crisi può intervenire da un
momento all’altro , occasionata originariamente dal breviario politico di
Calogero; le varie discussioni aggiunge hanno messo in evidenza un problema che
doveva inevitabilmente maturare. Non si tratta pit cioè di dissensi personali
che hanno sempre alimentato l’attività della casa, ma di un contrasto di
posizioni, che secondo me non è insanabile, ma che deve essere chiarito se non
vogliamo che diventi un elemento pericoloso di erosione ?5, Da queste
preoccupazioni scaturisce il deciso intervento di Einaudi che provoca il
naufragio della collana Orientamenti considerata la provvisorietà dell’iniziativa
, e punta su Ginzburg liberato il 26 luglio dal confino e Alicata uscito dal
carcere come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai di fronte
scriveva ad Alicata una persona che ha dato prova di grande serietà morale, e
di w245sima comprensione per tutte le idealità politiche degne di questo nome.
Ritengo che tu possa lavorare con Ginzburg amichevolmente Pavese a Pintor, (C.
Pavese, Lettere). In particolare aggiungeva Pintor, per Orientamenti,
nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei diverse riserve: vorrei
che si tenesse conto del programma originario di Balbo e vorrei che fosse
consultato Vittorini ; e il 16 agosto scriveva a Einaudi: Il mio atteggiamento
personale è molto conciliante: il clima di lotta parlamentare che si è creato a
Roma mi dà parecchio fastidio e non vorrei assolutamente che si riproducesse
nel lavoro della casa (AE, Pintor). 32% Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE,
Alicata). La decisione di Einaudi parve discutibile a Pintor: In questo modo si
sfugge al primo problema posto dal coesistere delle diverse tendenze: l’accordo
deve essere ottenuto attraverso una rigorosa selezione delle proposte, ma è
indispensabile che la casa editrice segni il passaggio a una nuova fase uscendo
dagli schemi delle vecchie collezioni e affrontando coraggiosamente
l’attualità. A questo non bastano i progetti di giornali e riviste che
cominciano a diventare invadenti ma occorre che si faccia qualcosa di nuovo
anche nel campo editoriale (a Einaudi, 19 agosto 1943, in AE, Pintor). Le
origini della casa editrice Einaudi e con rapidità di decisione . Comunque la
funzione di Ginzburg, in quanto collaboratore della casa, più che di difensore
di principi diversi è quella di moderatore, anche nei riguardi della corrente
che a lui può sembrare faccia capo. Tu usa con lui, collaborando alla casa,
altrettanta moderazione, sia pure con intransigenza, in modo da arrivare nel
nostro Senato anziché alla disgregazione temuta da Pintor, alla collaborazione
spontanea ?7, In questa situazione, fatta di contrasti e di incertezze, cui si
aggiungerà dopo 1’8 settembre la dispersione dei collaboratori e la
sostituzione di Giulio Einaudi che si rifugerà in Svizzera con il direttore
dell’ISPI Pierfranco Gaslini e il commissario prefettizio Paolo Zappa, con i
quali resta in contatto Muscetta, l’attività della casa editrice conosce, nel
1943-44, una stasi, anche se viene dato esito ad alcuni progetti precedenti.
Non vengono pubblicati, ovviamente, i testi più politicizzati suggeriti dalla
sede romana e accettati a Torino, cosi come resta inedito E il gallo cantò di
Augusto Monti che, scriveva l’autore, pur trattando di casi relativamente
remoti, è della più viva attualità, tanto che potrebbe avere per sottotitolo:
origini del fascismo e dell’antifascismo. Nella Biblioteca di cultura storica
esce solo, nel 1944, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto di
Bonomi ’, mentre nei Saggi alle Riflessioni di Montesquieu curate da Leone e
Natalia Ginzburg per venire incontro a un rinnovato interessamento per certi
valori umani, proclamati dagli uomini del Settecento, e poi a lungo negletti 3
AE, Alicata. Ma era necessario tener conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31
agosto 1943, che Alicata è preso da un'attività quanto mai turbinosa e che
negli ultimi giorni si è occupato quasi esclusivamente di fare arrestare
fascisti sediziosi (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva a Ginzburg il 4
settembre: La sua richiesta di sostituire Giolitti ad Alicata nel Comitato
Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una specie di supplente al
quale Alicata delega, quando è impossibilitato a partecipare alle riunioni, il
mandato di voto (AE, Ginzburg). 328 Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE,
Monti). 329 Di Bonomi non fu invece pubblicato Dd/ socialismo al fascismo, cui
si dichiararono contrari Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg, favorevoli Pintor e
Giolitti: Pavese a Muscetta (C. Pavese, Lettere, e Muscetta a Pavese, (AE,
Pavese). da un troppo unilaterale storicismo °, fa da contrappunto, nel 1943,
la pubblicazione delle Memorie di Metternich in cui Casini sottolinea l’ orrore
del cancelliere austriaco per la Rivoluzione francese e la sua testimonianza
sul sangue che è corso per le piazze di Francia, sulle violenze che hanno reso
esecrabile questo evento, sulla brutalità con cui sono stati incrinati e
calpestati i fondamenti dell’ordine !, Nell’unica collana che conserva una
certa vitalità, anche per il minor costo che richiedeva, 1’ Universale ,
accanto a numerosi testi più propriamente letterari ne appaiono altri segnati
da un chiaro, anche se non univoco, impegno civile: alla presentazione
simpatetica del buon senso che traspare dagli Opuscoli politici di D’Azeglio
fatta da Vittorio Gorresio , si accompagna il Manoscritto di un prigioniero del
mazziniano Carlo Bini, di cui Goffredo Bellonci illustra la concezione del
Risorgimento come rivoluzione sociale capace di eliminare le ineguaglianze
materiali ; nel Della tirannide di Alfieri Massimo Rago coglie uno spirito
veramente rivoluzionario che cerca di dar risalto alle forze che ostacolano
l'affermazione della libertà, e questo chiarimento suona come un invito ad una
più accurata osservazione delle esperienze sociali 4; mentre presentando
Conquista e usurpazione di Benjamin Constant Franco Venturi osserva come
soltanto Jaurès e Mathiez avessero insegnato a vedere nella Rivoluzione
francese il nostro moderno problema di una rivoluzione sociale alle sue origini
, come tale non compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il
liberalismo che si manifesta nel chiudere la rivoluzione, ma non per negarla:
per salvarne i principi rinati dall’espeCh. De Montesquieu, Riflessioni e
pensieri inediti, a cura di Leone e Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi,
Metternich, Merzorie, a cura di G. Casini, Torino, Einaudi Azeglio, Opuscoli
politici, a cura di V. Gortresio, Torino, Einaudi, Bini, Manoscritto di un
prigioniero, prefazione di G. Bellonci, Torino, Einaudi, Alfieri, Della
tirannide, a cura di M. Rago, Torino, Einaudi, Le origini della casa editrice
Einaudi rienza delle assemblee e del terrore. L’unico elemento di novità, n@,
è. È Collana di cultura giuridica ‘diretta da Bobbio uno dei primi
collaboratori di Einaudi, la cui firma era apparsa anche ne La Cultura, che già
era venuta configurandosi come distinta dal progetto di una collana filosofica.
Pavese gli comunicò la proposta di Manlio Mazziotti di una collezione di
classici del diritto, la quale servirebbe a svegliare il sonno dogmatico dei
giuristi italiani, i quali credono che la loro scienza consista
nell’interpretazione e non nella creazione della legge , e Bobbio rispose di
essere anch’egli convinto che nel campo degli studi giuridici ci sia molto da
fare per la diffusione di. una cultura seria e creatrice: dalla scuola del
diritto naturale ai grandi giuristi tedeschi del secolo scorso; dalla moderna
sociologia giuridica alla dottrina pura del Kelsen. Che io sappia non è stata
mai tentata in Italia un ‘impresa del genere, che raccolga con un certo ordine
e con intendimenti culturali, e non tecnici, opere d’argomento giuridico , a parte
i Classici del diritto di Formiggini, fermatisi tuttavia nel 1933 al primo
volume, I difetti della giurisprudenza di Muratori Coadiuvato da Antonio
Giolitti, Bobbio cercò di dar vita alla collana con due opere già da lui
preparate per la Biblioteca di cultura filosofica #’: nel 1943 appare il
Giovazni Althusius di Gierke, il continuatore della scuola storica di Savigny
che considerava il Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F. Venturi,
Torino, Einaudi. Già proiettato esplicitamente nel futuro è il commento a E.
Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino, Einaudi, 1944, dove si
afferma che gli italiani sono arretrati d’un secolo, ché tutti i fondamentali
problemi di democrazia che il Risorgimento poneva sono rimasti insoluti , e che
in Italia, dopo la disfatta, che ha in comune con quella francese del 1848 solo
l’immaturità politica e non l’epopea, la classe operaia va lentamente
ricomponendo le sue forze e maturando l’esperienza del passato, conscia del
compito ch’essa è chiamata ad assolvere. Pavese a Bobbio, e Bobbio a Einaudi,
(AE, Bobbio). Bobbio a Einaudi, 15 novembre 1942 (AE, Bobbio). diritto come
espressione della coscienza del popolo , e con lo studio del giurista Althusius
aveva seguito la via attraverso cui il pensiero moderno è passato per elaborare
quei concetti da cui è uscita la concezione dello Stato di diritto, tanto più
oggi preziosa scrive Bobbio, quanto più minacciata, e tanto più viva quanto più
condannata dagl’impazienti, dai fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni .
Nel 1945 seguirà La fondazione della filosofia del diritto di Julius Binder, il
più intransigente e fortunato assertore della rinascita hegeliana in Germania ,
la cui opera, osservava Bobbio, serviva a scagionare la filosofia italiana
recente dall’accusa di provincialismo, qualunque sia poi il giudizio che si
voglia formulare sul neohegelismo italiano, al quale peraltro non si potrà
disconoscere il merito di aver tenuto il pensiero italiano lontano da quegli
stessi estremi dell’intellettualismo e dell’intuizionismo contro cui combatté
Binder ’, Ma dopo questi due titoli che venivano ad allargare ulteriormente i
già numetosi interessi della casa editrice la collana perderà i suoi connotati
per trasformarsi nel 1950 in Biblioteca di cultura politica e giuridica ,
nonostante gli sforzi di Bobbio di mantenerle l’identità originaria, convinto,
come scriveva nel 1945, che in un momento in cui è diventato argomento di
pubbliche e private discussioni il rinnovamento delle istituzioni giuridiche
tradizionali, dalla proprietà allo stato, dall’eredità al sistema penale, si
ridesta l’interesse per i problemi del diritto e nello stesso tempo si rivela
la ignoranza degli stessi da parte dei più , per cui la collana poteva giovare
anche agli specialisti, i quali, abituati a ripetere le solite formule senza
ripensarle, ignari per lo più 338 O. von Gierke, Giovanni Altbusius e lo
sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla
storia della sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi,
Binder, La fondazione della filosofia del diritto, traduzione di A. Giolitti,
Torino, Einaudi. In Società si nota comunque che Binder finisce, come Hegel,
col fondare una metafisica dello Stato e della storia , e si ricorda che in
altre sue opere lo Stato nazionalsocialista viene presentato come la pit
rilevante incarnazione delTOR a etico (V. Palazzolo, in Società. Le origini
della casa editrice Einaudi dei grandi movimenti giuridici stranieri, sono
incapaci di cogliere il significato universale di una tecnica, di vedere in una
formula il risultato di un determinato orientamento del pensiero. La breve,
intensa ma caotica esperienza dei quarantacinque giorni non aveva comunque
permesso di definire con precisione quella nuova collocazione culturale e
politica della casa editrice sulla quale gli azionisti avevano cercato di
mettere un’ipoteca. Il problema si ripresenta quindi all'indomani della
Liberazione, con una intensità acuita dalla necessità di individuare una
prospettiva di pit lungo periodo, non più resa precaria dalle contingenze
belliche #. Il dibattito politico interno acquista ora rilevanza maggiore in
quanto si intreccia con il confronto aperto e aspro fra i partiti ai quali
aderiscono vari collaboratori di primo piano della casa editrice, e risente
delle spinte diverse provenienti dai vari centri culturali, la cui collocazione
geografica rispecchia la variegata situazione politica creata nel paese dalla
lotta di Resistenza. A quelle di Torino e di Roma si aggiunge nel 1945 la nuova
sede di Milano con Elio Vittorini, l’intellettuale che aderisce al partito
comunista assieme a Pavese, col quale aveva condiviso l’interesse per la
letteratura americana contemporanea, cogliendovi tuttavia a differenza di
Pavese soprattutto quegli elementi positivi di un popolo nuovo e quella
conferma della superiorità della cultura sulla politica che trasferirà ne Il
Politecnico e in alcune iniziative della casa editrice. Grava sulla civiltà
americana la stupidità di una frase: civiltà Appunto sulla Collana di cultura
giuridica , cui seguono, numerose proposte di pubblicazione (AE, Bobbio). 31
Questa necessità era ben chiara, oltre che a Balbo, a Bobbio, che ammoniva
Einaudi: Mi pare che ci stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione
dell’attualità. Ti ripeto una frase memorabile: le case editrici si misurano a
decenni, non a mesi (Archivio privato Bobbio). #2 le osservazioni di Garin,
CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA. E. Catalano, La forma della coscienza.
L'ideologia letteraria del primo Vittorini, Bari, Dedalo, materialistica.
Civiltà di produttori: questo è l’orgoglio di una razza che non ha sacrificato
le proprie forze a velleità ideologiche e non è caduta nel facile trabocchetto
dei valori spirituali. Questa America non ha bisogno di Colombo, essa è scoperta
dentro di noi, è la terra a cui si tende con la stessa speranza e la stessa
fiducia dei primi emigranti e di chiunque sia deciso a difendere a prezzo di
fatiche e di errori la dignità della condizione umana, aveva scritto Pintor
cogliendo il messaggio di Americana di Vittorini . Caduti nella lotta di
Resistenza Pintor e Ginzburg, mentre Alicata si trova assorbito dall’attività
politica, accanto a Vittorini e Pavese emergono fra i collaboratori della casa
editrice altri intellettuali comunisti, come Antonio Giolitti e Delio
Cantimori, o l’esponente del movimento cattolico-comunista Felice Balbo.
Nonostante la matrice comunista di questi intellettuali sia tutt'altro che
omogenea, tale da non impedire l’insorgere di contrasti, i rapporti di forza
interni tendono a spostarsi verso il PCI che, privo all’inizio di propri centri
editoriali, individua in Einaudi un interlocutore privilegiato: ed è attorno al
tema dell’orientamento politico della casa editrice che nelle pagine seguenti
concentreremo l’attenzione, per cercare di coglierne alcune linee di tendenza
nell’immediato dopoguerra, utili, nell’ambito di una ricerca che ha il suo
centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente caratteristiche
originarie e capacità di rinnovamento. Balbo, da Torino, scriveva preoccupato a
Einaudi che anche per la Casa vale quello che vale per i partiti politici: qui
la situazione è attualmente molto spostata a sinistra e molto fluida specie
negli ambienti intellettuali per gran parte disorientati ed in attesa di politica
concreta, di costume, di tecnica. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione
favorevole perché poi le posizioni reazionarie potrebbero fissarsi nuovamente
#5. Ma proposte concrete arrivavano contemporaneamente da Milano: Il nostro
programma editoriale milanese si scriveva sempre il 10 maggio a Einaudi
risponde ai criteri da te stabiliti: iniziare Pintor, I/ sangue d’Europa. AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma Le origini della casa editrice Einaudi la
pubblicazione di una rivista di punta che dovrebbe essere quella dal titolo Il
nuovo politecnico , organo centrale del Fronte della Cultura, iniziativa di
carattere nazionale sorta da Curiel, Banfi, Vittorini che ne costituiscono il
comitato d’iniziativa nazionale, il quale a sua volta si appoggerà ai vari
comitati regionali che saranno creati successivamente. Questo Fronte della
Cultura è destinato a interessarsi a tutti i problemi di cultura, artistici e
scientifici, per una loro rivalutazione, o superamento, da elementi
appartenenti a qualsiasi ideologia o partito ma sinceramente orientati su un
piano progressista: è un fronte quindi aperto a tutto il popolo italiano. Ma
subito dopo si precisava che il bollettino del Fronte si sarebbe occupato dello
studio alla luce del marxismo di tutti i fenomeni e le situazioni
politico-culturali, avvalendosi delle collaborazioni di Vittorini, Banfi, Remo
Cantoni, Giansiro Ferrata, Pietro Zveteremich, e si accennava all’iniziativa di
una collana marxista. L’estrazione politica dei membri del Comitato nazionale del
Fronte della Cultura ne esprimeva del resto chiaramente l’orientamento: due
esponenti del partito comunista (Banfi e Vittorini), due rispettivamente di
quello socialista e del partito d’azione, uno (Mario Motta) per i Lavoratori
cattolici ’. Einaudi, pur convinto che a Milano si giuoca una grande partita
per noi, si preoccupava tuttavia dell’insorgere di attriti fra i responsabili
delle varie sedi, e suggeriva una diversificazione di funzioni fra di esse.
Perciò, mentre raccomandava la necessità di una fraterna intesa fra Torino,
Milano e Roma, in modo da costituire un unico fronte progressivo di cultura
senza settarismi, aperto alla collaborazione di ogni sincero democratico ,
nell’impostare il programma delle riviste del Fronte proponeva, per Roma, Risorgimento
e Cultura sovietica dal carattere, soprattutto la prima, pit aperto, una
rivista di studi meridionali per Napoli, un settimanale politico-culturale per
Milano Il Politecnico e, per Torino, un periodico economico, sui problemi della
ricostruzione : in Aldrovandi a Einaudi (AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma). Einaudi a Renata Aldrovandi, tal modo osservava alle diverse sedi
si darebbe un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i problemi
che più interessano le masse immediatamente circostanti, dando un pieno
significato nazionale ai problemi che più sono sentiti nelle diverse regioni .
Al tempo stesso, tuttavia, il contatto con l’ambiente politico romano gli
suggeriva di correggere l'orientamento che si intendeva dare a Milano al Fronte
della Cultura: su un piano più generale politico di lavoro scriveva a Vittorini
tra gli intellettuali la linea attuale come si va definendo a Roma è quella di
fronte contro i residui del fascismo, fronte nel quale si possono accogliere
elementi di partiti cosiddetti conservatori, che siano però sinceramente
antifascisti e quindi sostanzialmente progressivi. Questa linea è meno settaria
di quella definita nell’ultima nota riunione di Milano, dove si pensava in
sostanza di fare un fronte delle sinistre, Era la linea cui si ispirava il PCI,
e che sarà espressa pochi giorni dopo la costituzione del primo governo De
Gasperi al suo congresso, dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte
le forze democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero
la linea politica, indipendentemente dalla convinzione religiosa e filosofica ,
anche se Alicata si premurava di precisare che compito degli intellettuali
doveva essere la battaglia contro l’idealismo, espressione della
cristallizzazione del provincialismo della cultura italiana !, L'indirizzo
sostenuto da Einaudi è rispecchiato fedelmente dalle riviste edite a Roma, in
patticolare da Risorgimento , ma anche da La cultura sovietica . Questa ultima,
rivista trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti culturali con
l'Unione Sovietica, diretta nel 1945Einaudi a Renata Aldrovandi (e, per
conoscenza, a Balbo e Vittorini), 16 maggio 1945 (ibidem). 350 AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma Togliatti, Opere scelte, a cura di G.
Santomassimo, Roma, Editori Riuniti, Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958,
Bari, Laterza, Le origini della casa editrice Einaudi da Gastone Manacorda, si
proponeva di mettere in circolazione quegli elementi di conoscenza della realtà
sovietica che erano stati impediti dal fascismo, il quale si ricorda nella
Presentazione, alludendo anche all’ opposizione liberale durante il regime andò
oltre la grossolana propaganda calunniatrice e, studiandosi di fuorviare gli
intelletti dalla conoscenza del vero con tutti i mezzi pit subdoli, diede
diritto di cittadinanza, con benevola tolleranza, a tutto ciò che fosse
antisovietico anche se fuori dell’ortodossia reazionaria. E, pur svolgendo
un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni sovietiche pubblicando ad
esempio alcune pagine de I/ sistema finanziario dell’URSS di Michail Bogolepov
che appare nelle edizioni Einaudi, o di passiva presentazione di opere come la
Storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, della quale Manacorda
faceva proprio anche il giudizio sui germi controrivoluzionari presenti in
Trotzki anche quando egli era apparentemente rivoluzionario ®, La cultura
sovietica si preoccupò soprattutto di mettere in circolazione, tramite Ettore
Lo Gatto e Angelo Maria Ripellino, la letteratura russa contemporanea. Né è
senza significato che l’articolo di apertura della rivista fosse affidato a un
intellettuale azionista, la cui recente polemica con lo storicismo crociano non
era priva di elementi retorici, come Guido De Ruggiero, teso a dimostrare la
necessità di elevare la politica alla cultura per superare ogni chiusura
nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione Sovietica s'è compiuta
nell’ultimo trentennio la più profonda trasformazione che la storia ricordi, e
dal cui contatto con Ma, si continuava, il tentativo non riusci: ognuno ricorda
quale interesse quel mondo abbia sempre suscitato da noi; come avidamente si
leggesse fra le righe di testimonianze settarie e antisovietiche, le sole cui
fosse concesso il privilegio della pubblicazione o della traduzione; come
rapidamente si esaurissero quelle poche opere, generalmente tradotte dalla
produzione di altri paesi, ispirate ad obiettività d’informazione e a serenità
di giudizio, che qualche editore coraggioso riusciva di tanto in so) a mettere
in circolazione ( La Cultura sovietica , I (1945), La Cultura sovietica. la
civiltà occidentale potranno scaturire altri mutamenti non meno profondi Sempre
con l’intento di combattere la pretesa neutralità della cultura, in quanto tale
ritenuta anch’essa responsabile della nascita e dello sviluppo del fascismo,
usciva il 15 aprile 1945, sotto la direzione di Carlo Salinari, Risorgimento :
decisa a operare dentro la mischia , la rivista voleva essere organo non di un
gruppo, ma di una tendenza, organo di cultura di una società aperta e
progressiva , unificante intellettuali di fedi diverse che si erano trovati
uniti nella lotta antifascista °°. Risorgimento , scriveva Salinari a Vittorini
il 25 maggio, vuol essere una rivista d’incontro delle correnti progressive
della cultura italiana: ma, sorta fra un cumulo di diffidenze ed energicamente
sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi numeri avere un carattere un po’
vago, se vuol mantenere la sua linea e non diventare una rivista di partito.
Noi qui a Roma ci troviamo di fronte a difficoltà che voi forse neppure
concepite! ; e, nonostante Vittorini fosse invitato a iniettare nella rivista
del buon sangue del Nord, queRuggiero, Cultura e politica, in La Cultura
sovietica. Su De Ruggiero, fra le pit caratteristiche espressioni delle
ambiguità e delle incertezze degli intellettuali italiani della prima metà del
secolo , E. Garin, Intellettuali italiani. È un fatto si aggiunge che non s'è
avuta in Italia una cultura dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa
impermeabilità come di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità è che
di fronte al fascismo non bastava assumere un atteggiamento di distacco fra
sdegnoso e prudente ma bisognava lottare apertamente in difesa di una
collettività spinta sempre più verso la schiaviti e la rovina (Presentazione,
in Risorgimento. AE, Vittorini: Non appena potrà prendere la sua reale figura ,
continuava Salinari, la rivista avrebbe dovuto, fra l’altro, sostenere la -
democrazia progressiva e l’ antinazionalismo, e promuovere, per quanto è
possibile, una letteratura maggiormente legata alle aspirazioni delle masse
popolari. Salinari scriveva a Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi
di raccogliere il materiale per il Politecnico utilizzando l’organizzazione di
Risorgimento , e faceva proposte di collaboratori anche se, aggiungeva, dubito
che vi sia oggi in Italia un numero d'’intellettuali tanto progressivi da poter
alimentare una rivista del genere. Per lo meno nell’Italia centro-meridionale.
In un verbale del 6 giugno 1945 relativo ad una riunione per Risorgimento , si
dice: Onofri vorrebbe che la rivista si decidesse ad Le origini della casa
editrice Einaudi sta mantenne il suo carattere vago ed eclettico che la espose
alle critiche di Società : condizionata dalla realtà della lotta politica, che
rendeva sempre meno efficaci gli appelli all’unità della Resistenza, la rivista
finî senza poter realizzare il programma previsto per il momento in cui essa
avrebbe potuto prendere la sua reale figura . Cosi, all’articolo di apertura su
L'Italia e la democrazia di Sturzo, per il quale chi potrà operare la rinascita
e la redenzione del proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto
il popolo animato dal soffio di un ideale e dalla forza di una volontà , seguiva
l’Esperienza di Spagna di Togliatti; assieme alle testimonianze sul fascismo e
sulla Resistenza, apparvero articoli di Salvatorelli sui rapporti
Italia-Jugoslavia o su Weimar, come di Grifone sul problema bancario. Tuttavia
nelle note e nelle recensioni di Salinari, Cantimori o Giolitti le prese di
posizione erano più omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra
liberismo e liberalismo veniva negata l’identificazione operata da Einaudi, per
affermare che la libertà politica può essere garantita anche da una economia
pianificata e collettivistica °, mentre nella polemica fra De Ruggiero e Croce
sullo storicismo si inter assumere un tono più polemico nei confronti delle
altre tendenze e delle altre riviste (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma
Risorgimento ha un carattere antologico, affermavano G. Pieraccini e R.
Bilenchi: manca appunto quello sforzo collettivo unitario che forma lo spirito
di una rivista. Anche il carattere progressista di questo periodico non riesce
ad affermarsi con un serio contributo ( Società ). Nell’Archivio privato di
Felice Balbo si trovano degli Appunti per Risorgimento , senza data e non
firmati, ma dove è rilevabile la mano dell’esponente cattolico-comunista:
Concetto informatore: dopo l'oppressione della tirannia fascista il
Risorgimento riprende il suo cammino nazionale nelle nuove condizioni obiettive
sociali, cioè avendo come spina dorsale, la classe operaia nella sua storica
funzione di classe di governo e classe nazionale; il Risorgimento continua
veramente solo su questa strada. Funzione della nuova classe dirigente rispetto
agli intellettuali ed ai tecnici. Funzione degli intellettuali con la nuova
classe dirigente nella costruzione della democrazia progressiva post-fascista.
In una frase il concetto è: pianificare e articolare la rivoluzione come è
pianificata e articolata la reazione . Segue una esemplificazione assai
puntuale del contenuto ideale della rivista. Risorgimento. Salinari], Libertà
politica e liberismo economico, in Risorgimento , veniva per sostenere la
necessità che la filosofia crociana fosse superata da uno storicismo che
affondi le radici più profondamente nel movimento dialettico della storia degli
uomini, da uno storicismo che non sia appannaggio del conservatorismo, ma
potente leva di una società nuova. Ma che sia sempre storicismo, immanentismo
assoluto ° E sulle pagine di Risorgimento, con la Lettera a un intellettuale
del Nord Fabrizio Onofri preannunciava i termini del dibattito sulla nuova
cultura che si aprirà su Il Politecnico il 29 settembre, rivolgendosi a
Vittorini per affermare la necessità che un intellettuale veramente
progressivo, e perciò in primo luogo antifascista, oggi come ieri debba
necessariamente militare, se non in questo o in quel partito, certo al fianco
di quelle forze sociali organizzate che più e meglio garantiscono l’abolizione
dalla vita nazionale di tutte le forme di oppressione fascista; debba cioè
necessariamente occuparsi di politica , che è ora il modo migliore di occuparsi
della propria sorte di intellettuale, ossia badare a che non si ricreino sulla
sua terra le condizioni di schiavità in tutti i campi che contrassegnavano il
fascismo, e che si creino invece le condizioni politiche e sociali di quella
libertà di cui egli ha bisogno anche e proprio come intellettuale ?9, Ci è
parso opportuno accennare alle riviste meno conosciute del Fronte della
cultura, per rilevare l’ampiezza delle iniziative della casa editrice tese, in
accordo col PCI, a mantenere aperto, nel primo biennio post-bellico, un dialogo
con tutte le forze democratiche, anche a prezzo di dissonanze e di polemiche
interne; ciò vale pur con una sfasatura cronologica anche per le più note e
discusse riviste edite in quel periodo da Einaudi: Società , nata con una
propria fisionomia autonoma e critica tanto che l’intransigenza di Luporini o
di Cantimori verso il crocianesimo creò motivi di frizione con Rinascita, e
solo alla fine del 1946 sottoposta a un pi rigido controllo del partito ; e Il
Politecnico che, invece, solo con la nuova Salinari], Lo storicismo. Onofri,
Lettera a un intellettuale del Nord. ora, pur senza i necessari
approfondimenti, Domenico, Saggio su Società . Marxismo e politica culturale
nel dopoguerra e negli Le origini della casa editrice Einaudi serie mensile
passerà dall’ingenuo dogmatismo del direttore a quella rivendicazione di
indipendenza e apertura che fu criticata da Togliatti come ricerca astratta del
nuovo, del diverso, del sorprendente #. Ma al nostro discorso interessa
soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana erano presenti
all’interno della stessa casa editrice, tali da investirne l'orientamento
complessivo nei suoi rapporti col partito comunista. Pavese scrive a Einaudi,
anche a nome di Balbo, che Vittorini e Ferrata avevano radici troppo fonde in Milano
per poterli einaudizzare, cioè piemontesizzare. Vittorini sarà l’uomo del Nuovo
Politecnico, edizione Einaudi, organo del Fronte della Cultura, e del relativo
bollettino, stampati entrambi a Milano; Ferrata darà consigli specialmente sui
libri marxisti in cui è ferratissimo. Io invece, sino a nuovo ordine, approvo
l’eclettismo politico che la Casa conserva. Se mai, sulla purezza
d'orientamento giudichi uno solo (per esempio Balbo, incorruttibile) non tutti
i cani e porci che, muniti di tessera, salteranno fuori, anni cinquanta,
Napoli, Liguori, 1979. Nello stesso senso la testimonianza di Cesare Luporini
riportata da N. Ajello, Intellettuali e Pci, A Einaudi, che il 3 maggio ’45 si
era offerto di diffondere Società a Roma e nell’Italia centro-settentrionale,
il 22 maggio Luporini rispondeva accettando, e affermava che la rivista aveva
carattere di alta cultura, anche se non strettamente tecnico, organica e decisa
nella tendenza, ma del tutto aperta quanto ai problemi e agli argomenti presi
in considerazione (AE, Luporini). Nelle condizioni poste da Einaudi, si diceva
al punto 3: La Casa propone di stabilire un collegamento redazionale tra
Società e gli altri periodici della Casa, attraverso Carlo Salinari,
responsabile editoriale delle riviste della Casa (l'editore a Bianchi
Bandinelli, in AE, Bianchi Bandinelli). Ora inTogliatti, La politica culturale.
Su Il Politecnico come rivista del Fronte della cultura M. Zancan, Il
Politecnico e il Pci tra Resistenza e dopoguerra, in Il Ponte. All’inizio
Vittorini si era preoccupato di far apparire la rivista legata al PCI: Bisogna
che la Casa Einaudi si faccia conoscere come casa legata al P.C., che Il
Politecnico sia riconosciuto come settimanale di cultura legato al P.C.,
scriveva a Einaudi il 6 luglio 1945 (E. Vittorini, Gli cuni del Politecnico);
si comprende come una collaboratrice di Einaudi, Garufi, cercando di diffondere
le riviste della casa editrice, e in particolare Il Politecnico , in ambiente
azionista, si fosse sentita rispondere che è assurdo pensare ad un
interessamento anche minimo del Partito d’Azione per un giornale cosî
evidentemente comunista (a Einaudi, in AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma.concludeva duramente Pavese dopo aver riferito il malcontento dei
milanesi per la pubblicazione di Ore decisive, le memorie dell’ex
sottosegretario di Stato di Roosevelt Sumner Welles che nel marzo 1940 aveva
cercato un accordo con Mussolini. Einaudi, pur prendendo le difese di Vittorini
e Ferrata È appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi
interessano, ribadiva la sua concezione non partitica del fronte culturale: La
Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta negli ambienti che ci
interessano, la nostra linea di attività è stata ampiamente discussa e trovata
la migliore, ed è cosa voluta l’assenza di ogni settarismo, per concorrere col
nostro lavoro all’affermazione di quel fronte progressivo aperto, di quella
unità, che è indispensabile raggiungere per ragioni politiche, morali e
culturali. Questo fronte, ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di
settarismo, comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei Sumner
Welles quando tutti non sono dei Wallace ##, affermava evocando il nome di
quello che si stava dimostrando uno dei più aperti esponenti democratici statunitensi.
Ma a mettere in crisi il settarismo dei milanesi contribu probabilmente un
intervento di Balbo, in questo momento forse il più lucido consigliere di
Einaudi, interlocutore autorevole sia di Pavese che di Vittorini, e l’unico a
quanto risulta capace di formulare una visione e un programma complessivi della
casa editrice, non senza, tuttavia, elementi di utopia e di contraddittorietà.
Riferendosi in particolare all’articolo di Remo Cantoni su Che cosa è il
materialismo storico, apparso sui nu- AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma
1945; Einaudi a Balbo. Balbo aveva scritto a Finaudi: attento a prendere delle
decisioni per il Nord senza esservi presente. A Milano bisogna andare con piedi
veloci ma di piombo. Vittorini è tutt'altro che acquisito (ibidem). Su di lui
il saggio, assai interno e discutibile, di G. Invitto, Le idee di Balbo. Una
filosofia pragmatica dello sviluppo, Bologna, il Mulino, 1979; sul movimento
cattolico-comunista, cui parteciparono alcuni collaboratori della casa editrice
come Motta e Rodano, Casula, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana, Bologna,
il Mulino. Le origini della casa editrice Einaudi meri 2 e 3 de Il Politecnico
, Balbo scriveva a Einaudi che il tutto rappresenta un tentativo un poco
mistico, un tentativo di sostituire un mito vecchio con un mito nuovo e quindi
è in fondo. antieducativo. Si dovrebbe, mi pare, tendere a formare in tutti i
lettori quella mentalità nuova che è scientifica, critica, sperimentale e
aperta mentre Politecnico presenta il materialismo storico troppo come una
pietra filosofale. Se si deve fare un giornale di cultura e non di propaganda,
come credo debba essere anche se prima d’ora lo era solo in parte, è
necessario, proprio sui piani di cultura in senso stretto (e in questo caso del
materialismo storico), affrontare le critiche, non eluderle dogmaticamente
attraverso impostazioni che ripetano le formule in cui il materialismo storico
è sorto. Un materialismo storico cosî affettivo soffoca ed elude lo stesso
sforzo di apertura di Cantoni. A conferma dell’autorevolezza del suo
intervento, queste critiche saranno fatte proprie dall’editoriale che
concludeva, Il Politecnico settimanale: Noi non abbiamo avuto, col settimanale,
una funzione propriamente creativa, o, comunque, formativa. L'altra funzione,
la divulgativa, ci ha preso, a poco a poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo
lasciati andare ad essa. Abbiamo compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto,
abbiamo informato, abbiamo anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di
nuovo. In quasi tutte le posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare
indirizzo, ci siamo limitati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E
troppo spesso abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo dovuto
dare sotto forma di studio. Ci siamo trovati cosî a divulgare delle verità già
conquistate mentre avremmo dovuto cooperare alla ricerca della verità. Nella
stessa lettera del 20 ottobre Balbo allargava il discorso all’attività
complessiva della casa editrice, individuandone la carenza di fondo nella
mancanza di una precisa strategia di politica culturale: L’ottimismo non è
sufficiente alla lotta. Ci vuole positività e 36 AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma. Remo Cantoni propose un Dizionario marxista per aggiornare il
lettore su quel sapere: che è stato oggetto di ricerca e di analisi specifica
da parte dei marxisti (AE, Cantoni). quindi contatto continuo con i dati veri
della totale situazione italiana. Tra l’altro, Milano, ricordiamolo, è di
natura troppo euforica: a Milano, come osservava Gobetti, è possibile ogni
avventura, da quella di Marinetti a quella del Popolo d’Italia. Il punto di
vista è, malgrado tutto, Roma. In noi c'è ancora troppa mentalità
insurrezionalistica e cioè: a) precipitazione; b) estremismo anzi piuttosto
avanzatismo ; c) visione asfittica o almeno semplicistica di tutti i problemi
sia culturali che politici; d) mancato approfondimento del a che punto siamo
sia politicamente sia, per noi, soprattutto culturalmente. Come conseguenza di
una maturazione mancata o non avvenuta, si scivola, sembra impossibile ma è
cosf, su modi e impostazioni ancora fascisti o almeno vecchi. Insomma Einaudi
1945 è in fondo, capiscimi, pit fascista di Einaudi 1940. Proporzionalmente
siamo calati di tono invece di crescere; e concludeva individuando un
arretramento di posizioni rispetto agli avversari e l’incapacità di sfruttare
appieno le grandissime possibilità che abbiamo, in uomini e in possibile
chiarezza di idee . Le critiche e l’apparente paradosso di Balbo avevano la
loro ragion d’essere non solo in rapporto al suo ideale di cultura e al suo
modello di una casa editrice criticamente progressista, ma anche, come vedremo,
rispetto alle concrete iniziative di Einaudi, che riflettono, in molti casi,
un'eredità difficile da superare. Ma in queste ebbe probabilmente un'influenza
lo stesso Balbo, che cercava di coniugare un’analisi ispirata al marxismo con
soluzioni di stampo cattolico. Il suo concetto dinamico di cultura, che ne
vedeva il mutamento col mutare dei rapporti di produzione, e coglieva
gramscianamente la lentezza del processo di adeguamento degli intellettuali ai
nuovi stadi via via raggiunti dalla società, invitava senza i toni ingenui di
un Vittorini a quell’avvicinamento fra cultura e realtà che tuttavia
contraddittoriamente il cattolico Balbo riteneva raggiunto in modo esemplare
nel medioevo, perché nella sua produzione, sia agricola che artigiana,
architettonica o scientifica, nelle ideologie politiche come in quelle
religiose, si rivela una singolare unità, superiore ai contrasti, che è quella
del concetto feudale della proprietà o del nascente diritto comunale . Al
contrario, la cultura contemporanea, gelosa della propria indipendenza e
irresponsabilità di fronte alla classe dominante e ai processi produttivi
dell’epoca industriale, aveva dato luogo, tra le due guerre, a
quell’irrazionalismo che rese possibili tutte le mitologie disumane che hanno
vagato e forse vagano ancora, paurose, sui continenti , mettendosi di fatto al
servizio dei privilegiati , per cui la cultura del capitalismo è scritta sulle
facciate delle metropoli moderne, è la grande officina, la produzione
cronometrata, l’esercito motorizzato, la grande stampa, il cinema . Con un
rigore e una violenza intellettuali ben maggiori dell’editoriale con cui
Vittorini apri Il Politecnico e per il quale questo scritto avrebbe forse
dovuto servire da traccia, l’esponente cattolico-comunista continuava:
Rimproveriamo dunque all’idealismo di Croce, all’umanesimo di Thomas Mann e
allo spirito non prevenuto di Gide, o meglio agli idealismi, umanesimi,
cristianesimi, spiritualismi, esistenzialismi ecc. che da quelli provengono (e
per quella parte almeno d’essi e dei loro discepoli che vorrebbe farci credere
d’aver trionfato con la Carta Atlantica e la bomba atomica) d’essere insufficientemente
critica con se stessa e perciò sterile, imbalsamata, defunta regressiva.
Lottare per una nuova cultura intellettuale equivale a lottare per una nuova
società e ad affermare concludeva in conformità con la propria concezione
filosofico-religiosa il concetto di persona umana o di uomo obbiettivo e
origine d’ogni cultura, inteso come l'individuo nella coscienza della propria
correlazione col prossimo e delle proprie determinazioni storiche. Nel quadro
di questo discorso, nel quale appare decisamente superato ogni residuo crociano
della sua formazione originaria , Balbo presentava un abbozzo di teoria
generale di una casa editrice culturale in senso stretto , in cui il notevole
sforzo di chiarificazione teorica era finalizzato a Balbo, Una nuova cultura,
dattiloscritto senza data ma con l'indicazione per servire alla elaborazione
dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e favoriti, da
falso-Cattaneo (Archivio privato). Diversamente da quanto sostiene G. Invitto,
Le idee di Felice Balbo, in particolare29.trovare i mezzi necessari alla
promozione degli essenziali valori dell’uomo. La ricerca di un nuovo
orientamento e l’eredità del passato Le critiche e le proposte di Balbo che
ritornerà su questi temi insistentemente, fino al suo distacco dal marxismo e
dalla casa editrice miravano ad un fronte critico della cultura che lasciava
tuttavia ampi spazi per ritorni mistici o più propriamente tomistici, come
avvertirà più tardi Bobbio. Ma, nonostante alcuni testi pubblicati portino il
segno esplicito o implicito della sua presenza, fra il suo modello di casa
editrice di cultura e gli indirizzi editoriali effettivamente attuati esiste un
notevole scarto, non attribuibile soltanto ad una sordità dei suoi
interlocutori o ad un loro consapevole rifiuto delle sue proposte, ma,
soprattutto, alla situazione oggettiva. Il suo progetto editoriale si affidava
infatti ai tempi lunghi e non teneva sufficientemente conto come riconoscerà
alcuni anni dopo lo stesso Balbo dei contrasti ideologici e politici all’interno
della casa editrice, del peso della tradizione che questa si era formata nel
decennio precedente di cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni aspetti, e
dei reali rapporti di forza esistenti nella vita politica italiana, o del loro
rapido mutamento, che portò nel giro di due anni I compiti della casa editrice
erano individuati nel puntare alla egemonia editoriale nel suo genere , e nello
scegliere quelle opere che in se stesse ed in riferimento alla situazione
storica che si svolge, siano realmente necessarie o utili a far maturare e
sviluppare il potenziale culturale dell’intero pubblico colto ; la capacità di
scelta della casa editrice si doveva misurare sul piano filosofico e su quello
scientifico: La capacità filosofica significa essere in grado di giudicare i
valori culturali in sé, secondo la nozione di valore e disvalore, e quindi il
saper riconoscere tutti gli essenziali valori dell’uomo, ossia l’essenziale di
ciò che è indispensabile alla sua pienezza. La capacità scientifica significa essere
in grado di giudicare i valori culturali per riferimento al movimento storico
în cui ci si trova, significa quindi comprendere le necessità della rivoluzione
(Appunti sulla casa editrice, dattiloscritto senza data in Archivio privato
Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi alla rottura dell’unità
antifascista e alla guerra fredda, con pesanti riflessi non certo favorevoli a
visioni critiche o problematiche anche negli schieramenti culturali. Oltre al
difficile equilibrio politico fra le varie sedi e fra i direttori delle collane
°, all’organico orientamento della casa editrice richiesto da Balbo si opponeva
la sua stessa multiforme attività rilevata da Pavese e da Giolitti, per i quali
essa manteneva la caratteristica originaria di eclettica officina di culturanon
c'è altro editore in Italia che copra un campo cosi vasto, moltiplicando
contrasti e contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione romana si oppone
energicamente e con successo alla pubblicazione dei Cinquant'anni di vita
intellettuale italiana in onore di Croce proposta da Carlo Antoni, l'edizione
delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero vede la netta opposizione di
Pavese, Balbo e Giolitti, ma l'approvazione vincente di Bobbio. Nei volumi
pubblicati nell’immediato dopoguerra possiamo del resto constatare, accanto ad
una notevole opera di sprovincializzazione della cultura itaEinaudi invia a
Pavese un Pro-memoria della Direzione inteso a riorganizzare il lavoro
editoriale: Pavese e Vittorini consulenti, Natalia Ginzburg vice-consulente per
Poeti, Narratori contemporanei, Giganti, Narratori stranieri tradotti ; Pavese
e Vittorini consulenti, Balbo vice-consulente per la progettata collana
Corrente ; Mila consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per i Saggi; Chabod
consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per Biblioteca di
cultura storica e Scrittori di storia ; Bobbio consulente esterno, Balbo
vice-consulente per Biblioteca di cultura filosofica ; Ceriani consulente
esterno, Giolitti vice-consulente per Biblioteca di cultura economica e
Problemi contemporanei ; Cantimori consulente esterno, Manacorda
vice-consulente per Biblioteca marxista ; Balbo e Rodano consulenti, Giolitti
vice-consulente per Problemi italiani ; Giolitti e Vittorini consulenti,
Salinari vice-consulente per Testimonianze ; Vittorini consulente, Pavese e
Balbo vice-consulenti per la Vittoriniana che avrebbe dovuto sostituire l’
Universale ; Aloisi consulente esterno, Manacorda relatore al consiglio per
Biblioteca di cultura scientifica ; Ragghianti direttore della Biblioteca
d’arte ; Debenedetti direttore della Nuova raccolta di classici italiani
annotati (AE, Pavese: dove ci sono altre proposte di Einaudi e la risposta di
Pavese del 7 settembre, con alcune osservazioni critiche.Pavese e Giolitti alla
Direzione di sede di Roma (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma).
Pro-memoria per la Direzione Generale della redazione romana, sulla proposta di
Antoni, e sulla proposta di Calogero liana, motivi di disorientamento,
schematiche attualizzazioni politiche di problemi storiografici, assieme ad
eccessive cautele e perfino a tendenze conservatrici se misurate sul metro dei
propositi enunciati da Einaudi nel 1945 che i giudizi delle stesse riviste
einaudiane, cosi come di Rinascita , non mancano di mettere in evidenza. Senza
ripetere, come in precedenza, quell’analisi a tappeto dei volumi, e delle
relative recensioni, che era indispensabile per la produzione del periodo
fascista, quando era importante sottolineare anche singole affermazioni
sfuggite alle maglie della censura, ci soffermeremo soltanto sui testi di
alcune collane i Saggi , la Biblioteca di cultura economica , la nuova serie
dei Problemi contemporanei , i Problemi italiani e la Biblioteca di cultura
filosofica che permettono di individuare l’orientamento generale, culturale e
politico, della casa editrice all’indomani del 1945. Ciò non ci esime,
tuttavia, dall’accennare al significato di alcuni titoli delle collane
letterarie o storiche: nei Narratori stranieri tradotti apparvero, accanto ai
classici, Kafka e Proust, mentre i Narratori contemporanei si aprirono alla
produzione straniera con I/ muro di Sartre non senza contrasti e con Fiesta e
Avere e non avere di Hemingway, il cui carattere rivoluzionario, rivendicato da
Vittorini, era sprezzantemente negato e ridotto ad una somma di sensazioni
elementari ed egoistiche da Alicata, che giudicò superficiale anche i Dieci
giorni che sconvolsero il mondo di Reed con cui si 393 Il libro è indubbiamente
molto bello e anche l’ultimo racconto, però può capitare che un pubblico non
molto preparato caschi facilmente in equivoco. Forse libro e autore andrebbero
presentati. Resta da vedere cosa ha fatto Sartre durante l'occupazione nazista
pare che due o tre suoi libri siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo
periodo , si scriveva da Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma). Il libro era già stato suggerito da Pintor in una
lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere. Il muro fu
denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile 1947 Pavese ne dava notizia a
Corrado Alvaro il quale, in veste di presidente del sindacato nazionale
scrittori, con lettera a Pavese si metteva a disposizione della casa editrice:
se non ci difendiamo, si preparano per noi giorni assai peggiori di quelli
sotto il paterno Ministero della cultura popolare (AE, Alvaro). Le origini
della casa editrice Einaudi inaugurò nel 1946 la vittoriniana Politecnico
biblioteca.La Biblioteca di cultura storica , posta sotto la direzione di
Chabod e con l’attenta consulenza di Franco Venturi, sensibile in particolare
alla produzione storiografica francese e russa , riprese le pubblicazioni con i
Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli con la prefazione di Salvemini per
continuare, a testimonianza di un interesse più generale della casa editrice
per la democrazia americana, con America. La storia di un popolo libero di
Allan Nevins e Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e
Lefebvre sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle Annales con
Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori 7%, Non possono tuttavia
essere sottaciute alcune iniziali cadute di tono della collana, rappresentate
dalla ripresa dell’oria 374 La corrente Politecnico (1946), ora in M. Alicata,
Intellettuali e azione politica,63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947 la
collana I Millenni , dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte a cura di
Francesco Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità, di mettere in luce
il carattere sociale : il libro è sempre stato frainteso come mondo delle fate
e delle meraviglie, mentre, adesso che lo facciamo noi, è ora di vederlo nel
suo vero carattere di straordinario documento su una medioevale società
agreste, con naturale democrazia tra gli umili (fornai, mendicanti, pellegrini,
mercanti, schiavi, donne conculcate ecc.) (da Roma a Renata Aldrovandi, 14
novembre 1945, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Numerose sono le
proposte in AE, Chabod, Venturi. Chabod scriveva a Einaudi di assumersi la direzione
della Biblioteca di cultura storica e degli Scrittori di storia , annunciando,
per le traduzioni, un piano di lavoro che contemperi opportunamente biografie e
studi monografici, lavori di grossa mole e studi assai più smilzi , in modo da
toccare un po’ tutti i principali problemi della storia europea e
nord-americana (AE, Corrispondenza editoriale TorinoRoma 1945). Parte del
giudizio di Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G. Miccoli,
Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino,
Einaudi, che ricostruisce puntualmente la collaborazione dello storico con la
casa editrice; nello stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta la
scuola delle Annales : non ritengo utile, anzi dannoso, diffondere, per mezzo della
traduzione di un’opera cosi ben scritta brillante, affascinante anche per la
sua facilità ed evasività e superficialità di riflessione e di concetti il
metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica, chiamateli come
credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel (AE, Cantimori). nesimo
nell’Axzistoria d’Italia di Fabio Cusin ? e da Robespierre e il quarto stato di
Ralph Korngold dove, come in altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di
rivalutare un movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idealismo e dal
fascismo si accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni Si può dire che
tanto la dittatura fascista quanto quella comunista si siano servite di un
metodo giacobino perfezionato , affermava Korngold, La concezione della storia
come elemento costitutivo dell’educazione civile continuerà tuttavia a
caratterizzare la collana: assai significativa in questo senso e degna di
essere citata per esteso è l'offerta a Cantimori di scrivere una storia
d’Italia dal punto di vista marxista. E altrettanto significativo è che
portatore e ispiratore, assieme ad Einaudi della proposta fosse proprio quel
Balbo che abbiamo visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in avanti:
L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista nel senso più profondo
ed esatto che dia la reale fisionomia della sua storia dall’indipendenza ai
giorni nostri scriveva Balbo a Cantimori . Questa mancanza si fa duramente
sentire oggi non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e
addirittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti che questa
mancanza è in qualche modo determinante dello stesso sviluppo democratico del
nostro paese. L'azione concretamente ideologica da parte delle forze
progressive sta diventando sempre più necessaria: il proletariato non ha di
fronte a sé soltanto, ad esempio, il problema meridionale, ma anche il problema
cattolico e il problema crociano che sono poi aspetti dello stesso problema
meridionale. La proposta è questa: non sarebbe possibile rispondere ai bisogni
rivoluzionari in questo campo? non sarebbe possi. bile cominciare con una
Storia dell’Italia moderna o anche solo contemporanea? Potrebbe essere un
nutrito Somzzario che desse l’avvio a tutti gli studi particolari e per intanto
rappresentasse il la recensione di Zangheri in Società. Perplessità sulla
pubblicazione del volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti, in AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma), sia Salinari (a Giolitti, s.d., in AE,
Cusin). Korngold, Robespierre e il quarto stato, trad. di Papa, Torino,
Einaudi. Una volta stampato il libro, ci si rese conto dell’ incongruenza
storica e critica di questa e di altre affermazioni (Balbo a Giolitti, in AE,
Giolitti). canovaccio, la direttiva generale per un rinnovamento dei manuali
scolastici. Potrebbe essere invece una grande Storia, a largo respiro, da
concretarsi attraverso un lavoro collettivo. Se pensi cosa ha rappresentato il
Sommario di storia della filosofia del De Ruggiero nel senso della
egemonizzazione borghese della cultura italiana, puoi pensare cosa
rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te! Ma anche qui non credo che
proprio io debba sottolineare a te l’importanza di questo lavoro. Voglio solo
confermarti che c’è in tutti i compagni, anzi in tutta la cultura italiana, una
profonda aspettativa in tal senso??, Nell'ambito della casa editrice il
marxista Cantimori avrebbe dovuto sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo
scrupolo scientifico del primo impedî quello che ancora ricordando un’analoga
proposta di Alicata, considerata un preannuncio di Zdanovismo Cantimori titerrà
un rovesciamento solo ideologico dell’interpretazione crociana, in assenza di
studi preparatori. A un intento educativo immediato risponde invece prima delle
altre, anche per la sua maggiore flessibilità, la collana-cardine di Einaudi, i
Saggi , che assieme alla nuova collana Testimonianze affronta temi di attualità
politica, da Marcia su Roma e dintorni di Lussu a Leningrado di Werth a
Fascismo e anticomunismo di Radice, che inizia la riflessione su una tematica
ripresa dal Lurgo viaggio di Zangrandi, e presenta uno dei best sellers del
tempo, Cristo AE, Cantimori (Balbo parlava anche a nome di Einaudi); Einaudi
scrive a Giolitti di una Storia d'Italia degli ultimi cento anni che noi vorremmo
far fare a Cantimori inchiodandolo per uno, due, tre, dieci anni a tavolino per
costruire il monumento più importante che in questo momento gli studiosi devono
impostare: quello IR ST della storia d’Italia, soprattutto di quella ultima
(AE, jolitti). Pro e contra, in Movimento operaio. In questo quadro Balbo
propose trovando favorevoli Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese un’opera
collettanea su La guerra di liberazione in Italia, con documenti,
testimonianze, biografie ecc., che sarebbe servita alla nazione italiana per
una migliore conoscenza del pi grande moto popolare che la sua storia ha fino
ad oggi avuto; e per una esatta valutazione di quelle che sono state le vere
forze della liberazione popolare e che sono le vere forze del suo avvenire (si
vedranno finalmente quelli che hanno lottato e quelli che sono compatsi solo a
oa alla consulta) (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma si è fermato a
Eboli di Levi, denuncia efficace nonostante le riserve di Società di quella
realtà che contemporaneamente, nei Problemi italiani , era argomento della
Rivoluzione meridionale di Dorso, già apparsa nelle edizioni Gobetti. E mentre
un volume molto caro a Cajumi, La crisi della coscienza europea di Hazard,
rientra nell’interesse per l’illuminismo manifestato dalla casa editrice fin
dai suoi esordi, il nuovo clima di libertà permette la realizzazione di
progetti già in cantiere negli anni del fascismo, come la Congiura per l’egua
glianza o di Babeuf di Filippo BUONARROTTI (Filippo, si veda), il primo,
secondo Gastone Manacorda, a fornire una interpretazione classista della grande
Rivoluzione , nonostante la persistenza di quegli elementi utopistici che non
erano invece tenuti presenti da Giuseppe Berti nella presentazione del Filippo
Buonarroti di Samuel Bernstein: tesi entrambi, autore e prefatore, ad
attualizzare oltre il lecito il significato del giacobinismo Buonarroti è, con
Babeuf, uno dei grandi precursori di Marx e di Engels. Ma un motivo che ci
preme segnalare a testimonianza di un’altra e più profonda continuità col
decennio prece- Piazzesi, pur affermando che era uno dei pochi libri dove
abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla questione meridionale , nota che Levi
resta sempre spettatore, intelligente quanto volete, ma di un’altra classe,
rispetto a questi contadini, e non sa mai trovare il modo di farli parlare
sinceramente, come si parla da pati a pari, perché manifestino le loro riposte
esigenze ( Società, F. Buonarroti, Congiura per l'eguaglianza o di Babeuf,
introduzione e traduzione di G. Manacorda, Torino, Einaudi. La proposta di
pubblicare Buonarroti e Babeuf era stata rilanciata anche da Vittorini nella
prospettiva di un rinnovamento dell’ Universale dove scrive a Einaudi potremmo
includere anche autori antichi ma che segnino un punto nella evoluzione del
pensiero progressista (E. Vittorini, Gli anni del Politecnico. È Bernstein,
Filippo Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti, Torino, Einaudi; il
saggio era apparso ne Lo Stato operaio . le critiche di Sergio Romagnoli in
Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, lettere, storia e filosofia.
Ancora Bernstein pubblicò su Società un articolo su Buonarroti storico e
teorico comunista, affermando che il giacobino italiano si avvicina di molto al
socialismo scientifico (Società. Le origini della casa editrice Einaudi dente è
la permanenza dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora da nuovi
collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano Balbo, come Franco
Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie manifestazioni: supera ogni
misticismo nella riflessione di Balbo L’uomo senza miti e Il laboratorio
dell’uomo, teso a indicare, in un altro momento di profonda crisi di valori, il
fallimento della filosofia tradizionale e la necessità di nuove formule di
liberazione dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale °; ha
un’intonazione nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di
Emmanuel Mounier; si presenta a sostegno di un vasto e generico affresco alla
Huizinga , in cui la realtà storica è piegata alla dimostrazione di una tesi
secondo la quale, nella deprecata età del progresso tecnico, il cammino della
secolarizzazione della cultura non può essere percorso sino all’estremo nel
Profilo d’un umanesimo cristiano di Riissel, che invitava a ricucire la
frattura fra umanesimo e cristianesimo operata dalla Riforma, facendo propria
quella che gli pareva la grande verità della teologia umanistica , la non
antiteticità della filosofia greca e del cristianesimo: tesi non condivisa
nella prefazione postuma di un intellettuale dalla tormentata vicenda culturale
e politica come Rensi che pur aveva proposto e curato il volume, mentre Bobbio
riconosceva la necessità e la perennità di un umanesimo cristiano per
combattere la filosofia della crisi originata da Kirkegaard. Pur riconoscendo
ne L’uomzo senza miti il tentativo di liberarsi dalla spiritualità dello
storicismo immanentistico di Croce, Geymonat riteneva dogmatico il metodo di
ricerca di Balbo ( Rivista di filosofia , terza serie, I (1946),86-88); anche
le critiche di Croce, ora in Nuove pagine sparse, serie seconda, Napoli,
Ricciardi. Riissel, Profilo d’un umanesimo cristiano, traduzione di G. Rensi,
Torino, Einaudi. La pubblicazione del volume è impedita dalla censura. Rensi
propone anche la traduzione di Platonismus und Christentum di Ritter (AE,
Rensi). La recensione di Bobbio è in Rivista di filosofia. Cantimoti, in un
parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento di Siro A. Nulli che sarà
pubblicato da Einaudi, dichiara di condividerne le idee, tanto per quel che
riguarda le interpretazioni del pensiero e della attività di Erasmo, Alla
tematica religiosa si volge anche l’interesse dei laici : è del 1949 la
proposta di Remo Cantoni accettata da Balbo ma poi non realizzata del volume
Critiche allo spiritualismo; Nuova socialità e riforma religiosa di Capitini il
cui liberalsocialismo era presentato come una concezione sociale e religiosa
postcomunista, proposto da Cantimori come opera importante per la storia
religiosa-politica e culturale del periodo 19261944 e oltre: come cronaca,
documentazione, e storia dell’unico movimento antifascista e anticlericale
autoctono espontaneo nel terreno italiano dopo il fascismo, consapevolmente
diverso dal comunismo, ma mai anticomunista. Antonio Banfi, formatosi alla scuola
di Martinetti, presentò inoltre il progetto di una Collana di studi religiosi ,
che si sarebbe proposta di far conoscere in Italia a un pubblico più vasto dei
consueti centri di cultura religiosa, sia cattolici che di altre confessioni,
quelle opere, per lo pi recenti, che testimonino di una problematica viva e
nuova nel campo del pensiero religioso; opere che si propongono tutte un
mutamento sensibile nella considerazione del rapporto fra singolo e
collettività appunto in relazione con una differente valutazione dei principi
della confessione di fede; opere che propongono infine, quanto per quel che
riguarda la severa critica allo Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia.
Si tratta di un energico richiamo alla realtà storica di quel che furono, in quanto
affermazione di idee nuove e critica di una Fiserggi storica culturale,
l’'Umanesimo e il Rinascimento (AE, Cantimori). Cantoni a Balbo: La critica
allo spiritualismo teologico e metafisico è il grande tema culturale degli
ultimi cento anni. Vorrei presentare criticamente tutte le variazioni storiche
sul tema, da Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a Stirner, arrivando fino alla
filosofia contemporanea. E si tratta di ricostruire le ragioni sociali per le
quali muta la sensibilità metafisica (AE, Cantoni). Capitini, Nuova socialità e
riforma religiosa, Torino, Einaudi; Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949 (AE,
Cantimori). Capitini aveva proposto un volume quasi pronto su Antifascismo
della non violenza e della non menzogna a Pisa nel ’32 ed uno, già terminato,
dal titolo Saggio sul soggetto della storia anche questo non accettato, ma
preso in visione per consiglio di Cantimori, in cui conduceva un'indagine oltre
lo storicismo crociano per accertare l’autentico soggetto, collettivo e corale,
della storia, per fondare quella che io chiamo la compresenza di tutti alla
produzione del valore; problema nel quale rientra quello sociale e quello
religioso (Capitini a Giolitti, e a Einaudi, in AE, Capitini). Le origini della
casa editrice Einaudi tutte, una precisa presa di posizione per il credente, in
ordine alla vita politica: opere ispirate allo storicismo e si facevano i nomi
di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber e che, si specificava,
prevedono una rottura con le forme tradizionali di direzione politica definite
dalla autorità della Chiesa come le sole possibili e conseguenti ed anzi
prevedono un mutamento radicale di prospettiva in tal senso consentendo al
credente la più ampia libertà di ricerca della propria prospettiva politica e
la possibilità di affiancare la propria azione a quella di forze politiche
progressive di ideologia differente, La presenza di queste riflessioni e di
queste proposte relative a tematiche religiose, se da un lato si collegano a un
filone già presente nella casa editrice, dall’altro testimoniano l’attenzione
che in questo periodo i comunisti dedicano al problema cattolico. Non bisogna
tuttavia dimenticare che, contemporaneamente, una visione tradizionale del
cristianesimo è il punto di riferimento obbligato di quegli intellettuali che
sulla falsariga di Huizinga lamentano le degenerazioni della politica e del
progresso contemporanei per riproporre un assetto conservatore della società. È
il caso de Le democrazie alla prova di Benda un saggio la cui edizione francese
era positivamente recensita su Società , con qualche appunto sul tono
aristocratico e moralistico dell’esponente della letteratura della crisi: se
nel momento in cui fu scritto si giustificava nel suo assunto principale,
sostenendo che le democrazie, più deboli in guerra dei totalitarismi, debbono
difendersi anche a costo di limitare le libertà un popolo veramente libero è
tanto più grande quanto più sa ridurre le sue libertà, si faceva poi forte
delle argomentazioni di Constant, Kant e Spencer contro quelle di Bonald, De
Maistre, Hegel, Nietzsche e Marx tutti accomunati come A Banfi, che accettò,
Balbo chiede di fare la prefazione agli Scritti teologici giovanili di Hegel
previsti per la collana filosofica (AE, Banfi). Recensione di Vezio Crisafulli,
in Società antidemocratici per affermare che i principi democratici sono dei
comandamenti della coscienza, e non già degli insegnamenti dell’esperienza e
del costume ; di origine socratico-cristiana, la democrazia era realizzata solo
in Svizzera e negli Stati Uniti, e non sopportava abusi del principio
egualitario come il suffragio universale, osservava Benda, per concludere che
lo sviluppo di qualsiasi organizzazione terrena importa sempre qualche violenza
contro i comandamenti divini di giustizia e di libertà: il filosofo non può
riporre le sue speranze se non in quei sistemi, come il cristianesimo, omogeneo
in questo alla democrazia, i quali dell’uomo non glorificano altro che la sua
natura divina ?!, A fini decisamente reazionari il cristianesimo era utilizzato
ne La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm Ropke, l'economista teorico
della terza via , in tante cose affine al Croce e dal Croce assai pregiato per
il rifiuto del concetto e del termine capitalismo , come osservava Cantimori .
Nel volume, uscito originariamente e già in traduzione presso Einaudi, l’autore
criticava le incomparabili conquiste meccanicoquantitative della civiltà
tecnica per lamentare, in una società caratterizzata dalla grande industria e
dalla concentrazione delle proprietà, la decadenza del cristianesimo una delle
più formidabili forze costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile e
della famiglia, oppure la diserzione delle comunità rurali e la decadenza del
vil. laggio a favore della città e dell’urbanizzazione e commercializzazione
della campagna stessa . Una critica che ricorda il leit motiv di Einaudi difesa
della piccola pro-J. Benda, Le democrazie alla prova. Saggio sui principi
democratici, traduzione di Crescenzi, Torino, Einaudi, 1Cantimori, Studi sulle
origini e lo spirito del capitalismo, pubblicato su Società, ora in Studi di
storia, Torino, Einaudi. In una lettera alla sede romana, l’editore scriveva di
iniziare la traduzione del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi (AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma); scrivendo a Pavese il 9 agosto 1943,
Pintor giudicava il volume di grande attualità (AE, Pintor). Le origini della
casa editrice Einaudî prietà contadina e condanna del gigantismo economico, e
da cui Ropke partiva per indicare una terza via o umanesimo economico il
modello era individuato nella Svizzera, che si risolveva in pratica nella
riproposta del liberismo classico in opposizione al socialismo: era quanto
notava Cantimori, ricordando che le lodi rivolte all'autore da Luigi Einaudi e
da Croce furono uno degli ultimi episodi più notevoli, data la personalità
degli autori, della lotta intellettuale condotta sotto il dominio del fascismo
dal gruppo crociano e diretta da una parte contro il fascismo e dall’altra
contro il comunismo °?. Un liberalismo, quello del futuro collaboratore de Il
Mondo , che sarà messo in dubbio da Togliatti, per il quale era solo una
mascheratura dello sconcio ghigno hitleriano. Del resto, se consideriamo i
volumi pubblicati fino al 1946 nella nuova serie dei Problemi contemporanei
nella quale non aveva più diretta influenza Luigi Einaudi e nella Biblioteca di
cultura economica che secondo Balbo e Giolitti avrebbe dovuto avere un
carattere non istituzionale e teorico, ma storico-informativo, posRopke, La
crisi sociale del nostro tempo, traduzione di E. Bassan, Roma, Einaudi, Nella
recensione a Civitas Humana di Répke, pubblicata su Società, ora in Studi di
storia. Einaudi aveva visto rispecchiate le proprie idee di politica economica
nel volume di Ropke, mosso dall’intento di salvare la civiltà occidentale
dall’avvento di una democrazia livellatrice e collettivistica (Economia di
concorrenza e capitalismo storico. La terza via, Rivista. di storia economica.
Il giudizio di Togliatti, è citato da N. Ajello, Intellettuali e Pci,259; già nel
1947, in una recensione di Bilancio europeo del collettivismo pubblicato nei
Quaderni di Rinascita liberale , si osservava su Rinascita : se i liberali
tedeschi non sono mai stati altro che questo, si capisce benissimo come la
Germania sia sempre stato un paese reazionario e con tanta facilità abbia
potuto Hitler prendervi e tenere il potere ( Rinascita. Dell’ assidua
collaborazione di Ròpke a Il Mondo , che nei suoi primi anni si ispirava al
liberismo di Luigi Einaudi, parlaBonetti, I{ Mondo 1949-66. Ragione È illusione
borghese, prefazione di V. Gorresio, Bari, Laterza Balbo (anche a nome di
Giolitti) alla sede di Milano, (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma
1945). È da rilevare, tuttavia, che la casa editrice assicurava Luigi Einaudi
siamo notare che Ropke è soltanto la punta estrema di un ‘orientamento che non
si oppone drasticamente alla linea liberista: la casa editrice non fa altro che
rispecchiare l’arretratezza della sinistra nel campo della cultura economica, e
la sua rinuncia, in questo momento, a porre in discussione il ruolo
dell’iniziativa privata nella ricostruzione. È infatti significativo, da un
lato, che nel primo biennio postbellico l’unica voce favorevole alla
pianificazione sia quella di Saraceno, e, dall’altro, che gli studiosi ai quali
si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi, cosî che il liberatorio
mito americano di Pavese e di Vittorini temperato dalla critica dei liberisti
al New Deal rooseveltiano trova ora una sua realistica traduzione nell’immagine
che gli economisti e gli uomini politici americani danno del loro paese,
impegnato a superare con la somma delle sue energie individuali la nuova
frontiera posta dall’eredità della guerra. Cosî, mentre l’opera collettanea di
Hayek, Pierson, Mises e Halm, Pianificazione economica collettivistica, è, come
annuncia il sottotitolo Studi critici sulle possibilità del socialismo e il
nome del prefatore, Bresciani-Turroni, una decisa esaltazione del liberismo ‘,
a incarnare il nuovo mito riappareWallace, l’esponente democratico che aveva
rotto con Truman a proposito della della prossima pubblicazione poi non
avvenuta di The Road to Serfdom di Hayek: La nostra Casa, come Lei sa, non
persegue un indirizzo politico di partito, ma pubblica opere di varie tendenze
da Togliatti a Lippmann a Répke a Schumpeter secondo la linea già
coraggiosamente seguita, nei limiti del possibile, sotto il fascismo (AE, L.
Einaudi). È quanto osserva, anche in riferimento alle edizioni Einaudi, G.
Santomassimo, Il dibattito economico, in Italia contemporanea. la prefazione di
Saraceno a Bienstock, Schwarz, Yugow, La direzione delle aziende industriali e
agricole nell'Unione Sovietica, traduzione diSaraceno, Torino, Einaudi. Mises
tanto lodato, assieme a Robbins e Hayek, da ROSSI (si veda) nelle sue lettere
del periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) sarà giudicato da Piero Sraffa un
reazionario antidiluviano (a Balbo, in AE, Sraffa). Le origini della casa
editrice Einaudi politica del governo americano verso l’URSS ‘!: in un’operetta
dall’accattivante titolo Lavoro per tutti dichiarava che gli USA non avevano
nulla da temere dal comunismo se il nostro sistema di libera iniziativa si
dimostrerà all’altezza delle sue possibilità , e di fronte all’aprirsi di nuovi
mercati per l'economia statunitense si mostrava fiducioso che la guida
economica americana potrà recare alla regione del Pacifico un grande vantaggio
materiale ed una grande benedizione al mondo ‘°; e l’esperimento di
colonizzazione interna nella valle del Tennessee che Wallace proponeva a
modello per il mondo intero, era puntualmente esaminato da Lilienthal in
Democrazia in cammino. Un energico richiamo al liberismo, contro i
pianificatori di qualsiasi colore, fossero fascisti, comunisti, o i sostenitori
del collettivismo graduale degli Stati democratici, veniva da un altro
esponente democratico americano, Walter Lippmann: ne La giusta società egli si
dichiara debitore della critica a una economia razionalizzata svolta da von
Mises e von Hayek, ma anche da Keynes la cui opera è tutta volta a dimostrare
che l’economia moderna può essere regolata senza ricorrere alle dittature ed è
compatibile con istituzioni libere, e cerca di dimostrare che la libertà
dell'individuo era assicurata dai principi originari del liberismo depurato di
quelle degenerazioni che portano a processi di concentrazione produttiva il
principio basilare del liberalismo è che il mercato deve essere lasciato libero
di funzionare, ed anzi perfezionato, come regolatore principe e primo della
divisione del lavoro, non senza usare toni apocalittici di sapore puritano che
ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosassone. Gli uomini vivono in un
mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia alla provvidenza divina,
quale ente regolatore delle cose umane, dove il costume ereditato ha cessato
d’essere di guida e la tradizione non pi , per l’attenzione di cui era oggetto
da parte comunista, Intervista con Wallace, in l’Unità. Wallace, Lavoro per
tutti, traduzione di G. Olivetti, Torino, Einaudi, santifica le vie fino adesso
battute. È lo stesso Lippmann che ne La politica estera degli Stati Uniti e ne
Gli scopi di guerra degli Stati Uniti manifesta la sua tendenza democratica
sostenendo la necessità di un accordo USA-URSS per il mantenimento della pace
mondiale, ma al tempo stesso giustifica l’espansionismo americano e coglie
l’occasione per ammonire l’URSS che per quanto corrette possano essere le
nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle relazioni veramente
buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione Sovietica non saranno state
instaurate le fondamentali libertà politiche e umane. La rottura dell’unità
antifascista e il rapporto col PCI La spaccatura politica che si ha nel paese
ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col PCI si
stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento negli indirizzi
culturali. Anche dopo la fine dei governi di unità antifascista, all’interno
del PCI non scomparve completamente la prospettiva di una alleanza con gli
intellettuali democratici: se al VI congresso Togliatti invitava a serrare le
fila La nostra attività ideale non può non avere, come l’attività pratica,
l'impronta di partito, nel dicembre dello stesso anno Alicata, pur notando che
la borghesia del nostro paese sta compiendo un tentativo estremo per riorganizzare
in senso reazionario la cultura italiana, per trasformarla ancora una volta in
una efficiente barriera ideologica contro il marxismo , con la collusione di
cattolici e liberali in un blocco antirazionalista , invitava a continuare a
lavorare per costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann, La giusta
società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi. Lippmann è autore anche di A
Preface to Morals. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati Uniti, Torino,
Einaudi Rapporto al VI congresso del PCI del 5-, in Togliatti, La politica
culturale. Le origini della casa editrice Einaudi più possibile ampio ‘. La
situazione oggettiva non rendeva tuttavia immediatamente praticabile questa
indicazione, e il rapporto privilegiato che si venne istituendo fra PCI ed
Einaudi provocò profonde lacerazioni di cui è esempio la vicenda de Il
Politecnico e contrasti interni fra i collaboratori. La casa editrice riuscf
comunque a mantenere una sua sfera di autonomia basti pensare ai settori
letterario, storico e filosofico che le permise di non essere isolata e, al
tempo stesso, di non istituzionalizzare il suo legame col partito. Proprio il
carattere non ufficiale del suo rapporto col PCI aveva permesso che questo
individuasse in Einaudi il canale più adatto, anche se non unico, per
diffondere la conoscenza del marxismo nella cultura italiana. La decisione di
affidare a Einaudi, piuttosto che all’editoria di partito, gli scritti di
Gramsci, si situa appunto in un quadro che vedeva la pubblicazione, da parte
della casa editrice, di testi di Monti, Sforza, Sturzo, Nenni, Togliatti,
Grifone e Sereni, e la proposta di edizione delle opere di Salvemini o, su
suggerimento anche di Togliatti, di quelle di Dorso e dei Discorsi di Giovanni
Giolitti . L’uscita, nel 1947, delle Lettere di Gramsci che, come osservava 46
M. Alicata, Una linea per l’unità degli intellettuali progressivi, ora in
Inzellettuali e azione politica, c In una lettera all’editore Muscetta
avvertiva, a proposito di Dorso di cui curerà le opere: Bada che il Partito Comunista,
appena Togliatti avrà visto i manoscritti inediti, desidera farsi promotore
dell’edizione ; scriveva che Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare
Dorso ( anche l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi, in AE, Togliatti),
e il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i manoscritti di Dorso: Ma non
era mica io a tenermeli. Era Togliatti, e ce n'è voluto per riaverli ; Giolitti
avvertiva l’editore che Togliatti aveva approvato la prefazione alle opere di
Dorso (AE, Muscetta, Giolitti). Il contributo di Dorso dal marxismo può essere
accettato per essere sisterzato , affermò Rodano (Dorso, in Rinascita. Muscetta
propone a Pavese i Discorsi di Giolitti con prefazione di Salvatorelli, e il 16
marzo 1947 gli scriveva: Giolitti è stato già da tempo gradito dal Togliatti
(AE, Muscetta). Inoltre, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di
scritti rari o inediti di Labriola, magari come inizio di una più ampia
raccolta dell’opera filosofica e storica del Labriola (Archivio privato Bobbio).
PLATONE (si veda), sono in buona parte come una introduzione generale agli
scritti che verranno dopo e ambienteranno il lettore meglio di qualsiasi
prefazione, costituî un inusitato successo editoriale, se nel giugno 1949 la
tiratura era arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254 vendute ‘. Comincia la
pubblicazione dei Quaderni del carcere, che è accompagnata tuttavia, da parte
della casa editrice, da impazienze e dubbi sulle reali intenzioni del partito,
se il Cantimori poteva scrivere a Einaudi che con quelli della edizione di
Gramsci bisognerebbe usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla
storia degli intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma dove si
parla di Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di una revisione del
dattiloscritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno uscire. Sembra che
qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce che ci sono in quel volume. Ho
protestato contro questi scrupoli, con chi voleva sentire e con chi non voleva,
Ma che cosa aspettano, che Croce sia morto, per poi farsi dire da qualche
stupido che non si è avuto coraggio di pubblicare le critiche Croce vivo? E lo
stupido sembrerebbe aver ragione! Appena tornerò a Roma mi butterò alla carica.
E gli faceva eco Einaudi che, protestando con Togliatti per il ritardo del si
stampi per i quaderni su Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura,
invitava il dirigente comunista a evitare una temporanea battuta di arresto ,
essendo AE, Platone. Togliatti scrive a Einaudi: siamo perfettamente d’accordo
sulle sue proposte riguardanti l’edizione completa delle opere di Gramsci.
Vogliamo solo porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e note di singoli
volumi che Ella vorrà pubblicare in collane particolari, debbono avere la
nostra approvazione. 2) La Direzione del P.C.I., pur concedendo a Lei tutti i
diritti per questa edizione e le successive ristampe, si riserva la proprietà
letteraria dell’opera (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 49
Cantimori a Einaudi, 15 maggio 1947; lo stesso giorno Cantimori scriveva a
Balbo: La Direzione del Partito farebbe meglio a spicciarsi a consegnarvi le
opere di Gramsci invece di farle conoscere a spizzico, o di avere scrupoli
perché si critica Croce ; il 30 settembre 1947 Balbo su suggerimento di Einaudi
inviava a Cantimori le bozze de // materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce in via privatissima affinché tu potessi, dando una scorsa
veloce, segnalarci eventuali notevoli lacune (AE, Cantimori). Le origini della
casa editrice Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve ai nostri compagni
per rafforzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e a porsi dei
problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti per far loro
misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica. Non solo, ma è
dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali si avvicinano al nostro
partito e, sovratutto, si creano delle alleanze. L’operazione che riusci con
Gramsci non ebbe successo anche per la difficoltà di trovare i testi originali
e traduttori preparati per il progetto di una Collana marxista di cui Einaudi
aveva parlato a Lucio Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che nella fase
di preparazione occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori, Emma Cantimori
Mezzomonti, Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e Giolitti. Su questo terreno si
era già impegnata, subito dopo la liberazione di Roma, l’editrice comunista
Nuova Biblioteca diretta da Carlo Bernari e per la quale Cantimori era stato
incaricato di dirigere la collana Pensiero sociale moderno ‘; l’iniziativa non
ebbe tuttavia seguito e, prima che fosse ripresa dalle edizioni Rinascita,
alcuni dei curatori previsti confluirono nel progetto einaudiano. Ma già la
collana veniva definita minor ‘, e AE, Togliatti. Nell’intendimento di soddisfare
un’esigenza oggi largamente diffusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di
una Collana Marxista ; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura dell’Indirizzo
inaugurale di Marx (AE, L. Lombardo Radice. G. Manacorda, Lo storico e la
politica. Delio Cantimori e il partito comunista, in Storia e storiografia.
Studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi (Ravenna), a cura di
Bandini, Roma, Editori Riuniti. Manacorda a Bobbio; i testi già in lavorazione
, non esistendo più il pericolo di interferire con la Nuova Biblioteca, che non
fa praticamente nulla , erano: Manifesto e scritti preparatori (Emma
Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo Lapiccirella), Lotte di classe in
Francia (Mario Manacorda), Ideologia tedesca (Arturo Massolo e Cesare
Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca Maria Luporini) (Archivio privato
Bobbio). Aldrovandi scrive da Milano a Einaudi che con Misha {Kamenetzki, che
assumerà in seguito lo pseudonimo di Ugo Stille] è stata discussa una
collezione di civiltà marxista raccolta di autori meno classici di quelli del
tuo programma ma imperniata sui problemi pit particolari e attuali (es. il
libro di Sereni sull’agricoltura in Italia, ecc.): questa collana sarebbe
costituita in parte con libri che ha Vittorini, e in parte con la critica di
libri italiani visti alla luce marxista (AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma). una circolare editoriale annunciava testi brevi di Marx; Engels,
Lenin e Stalin, col sussidio di un commento esplicativo, per orientare il
lettore verso certi punti fermi del marxismo, e di introdurre allo studio del
marxismo, evitando quegli accostamenti attraverso materiale di seconda mano
finora tanto frequenti e tanto nocivi ‘. Il progetto naufragò definitivamente
nel dicembre 1946, quando Balbo propose a Giolitti di inserire i vari testi
marxisti nelle collane esistenti e di farne una scelta accurata in modo da
mantenere le nostre caratteristiche di Casa editrice rivolta a un pubblico
abbastanza colto o addirittura di studiosi ‘. Non mancarono le proteste del PCI
per il fallimento della collana, finché nel 1948, in coincidenza con la
pubblicazione del primo testo, Le lotte di classe in Francia di Marx nell’
Universale, Togliatti scrisse a Einaudi che per i classici io non sarei
favorevole a passare a te l'iniziativa editoriale ‘. Si registrava cosî un
pesante ritardo nella diffusione del marxismo, reso evidente, ad esempio, dal
fatto che ancora nel 1947 Rinascita pubblicava elenchi di testi di Marx ed
Engels, in varie lingue e Circolare s.d. (ibidem). Balbo a Giolitti, 10
dicembre ’46; nella risposta, Giolitti si dichiarava d’accordo (AE, Giolitti).
Assai riduttiva era invece la proposta di Muscetta, che per il Manifesto
suggeriva la classica traduzione di Pompeo Bettini e una prefazione di un tipo
come Umberto Morra: proprio adatta al gran pubblico dei non marxisti
(all’editore, in AE, Muscetta). Einaudi scriveva a Cantimori che, in seguito
allo smistamento della ex-collana marxista , aveva proposto a Chabod di
includere il volume negli Scrittori di storia ; Cantimori rispondeva di non
essere d'accordo perché le Lotte di classe costituivano un grande esempio di
analisi critica politico-sociale, economico-politica, ma non un libro di storia
come invece può essere considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso argomento
ma a svolgimento storico conchiuso ; il 13 settembre Chabod dichiarava a
Einaudi di condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in quanto l’opera di Marx
era un'analisi politico-sociale, che è al tempo stesso un programma d'azione.
Sul genere, insomma, dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del
Machiavelli (AE, Cantimori, Chabod). . 4? AE, Togliatti. Le proteste del PCI
per il fallimento della Collana marxista sono registrate, ad esempio, da una
lettera di Giolitti all'editore del 16 aprile 1947: Togliatti, impazientito per
i ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito a
pubblicare senza indugi (AE, Giolitti). in vecchie edizioni, presenti nelle
biblioteche italiane. È in questo quadro, di disinformazione e disorientamento,
che si colloca il caso di Gustavo Wetter,. il gesuita austriaco professore al
Pontificio Istituto Orientale in Roma, autore de I/ materialismo dialettico
sovietico. Il saggio è stato presentato da Balbo come opera seria ed onesta, di
carattere informativo, filologicamente corretta e documentata, compiuta tutta
su testi originali non accessibili agli studiosi italiani per molto tempo. Le
poche osservazioni critiche, naturalmente condotte con metodo scolastico, sono
però sempre intelligenti e non settarie . Bobbio ne prendeva atto, pur con
qualche dubbio, e un anno dopo Cantimori particolarmente incline a presentare
come opere documentarie i testi di autori spiritualeggianti, come Capitini o
Toynbee esprimeva il suo parere positivo: è chiaro che è il libro d’un gesuita
e non di un comunista; è un libro utile, per le discussioni e rettificazioni
che provocherà ‘. Ma, se Miccoli nota opportunamente che il libro fu pubblicato
un anno dopo questo parere, in un momento infelicissimo per le discussioni e
rettificazioni, evidentemente pacate, alle quali pensava Cantimori ‘, è
difficile non cogliere l’atteggiamento pattigiano dell’autore, che dedicherà su
La Civiltà cattolica un ritratto a Giuseppe Stalin demone dell’antireligione.
Nonostante l'avvertenza editoriale che presentava l’opera come informatissima e
aggiornata dichiarando al tempo stesso un fondamentale dissenso dalle premesse
e dalle conclusioni dell'Autore, Wetter afferma infatti che per i sovietici la
filosofia era ancella della politica, coglieva una presunta affinità tra la
filosofia di Lenin e la filosofia religiosa russa nell’intuizione d’un nesso e
d’un’unità reali in cui fra loro si uni 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945
(Archivio privato Bobbio); Bobbio a Balbo, (Archivio privato Balbo). Balbo
scrive a Giolitti che il testo era stato revisionato da Cantimori, mentre
Giolitti, in una lettera a Serini, dice di aver preparato l’avvertenza al
volume (AE, Giolitti). G, Miccoli, Delio Cantimori, (anche per il siind a
Toynbee}. Su tutta la vicenda anche G. Manacorda, Lo storico e la politica.
Cantimori e il partito comunista. scono tutte le cose del mondo, e concludeva
che i materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad
assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro,
invero, quella materia a cui, negato Iddio, vengono trasferite tutte le
prerogative divine? Sono quindi giustificate le lodi de La Civiltà cattolica e
la violenta stroncatura del volume da parte di Giuseppe Berti, che ne
sottolineava gli errori, la tendenziosità antisovietica, il privilegiamento di
sconosciuti intellettuali sovietici, e accusad’incredibile leggerezza quei
marxisti che ‘avevano consigliato la sua pubblicazione che fu un errore , come
riconoscerà più tardi lo stesso Cantimori Una riflessione sul marxismo priva di
preconcetti rimase quindi limitata, in questi anni, a Ordine e vita del biologo
Needham, un volume già proposto da Alicata .che conclude la sua analisi
scientifica con l’accettazione del materialismo dialettico ‘4; mentre una
conoscenza dell’Unione Sovietica più equilibrata di quel. la fornita dagli
studiosi statunitensi fu avviata prima che fosse tradotta l’opera dei coniugi
Webb respinta da Einaudi con la traduzione di saggi di altri autori inglesi,
significativamente caratterizzati da un acritico confronto con l’esperienza del
cristianesimo primitivo. In Un sesto del mondo è socialista l’alto prelato
angli- Wetter, Il materialismo dialettico sovietico, Torino, Einaudi,
Brucculeri, Scientismo marxista, in La Civiltà cattolica; anche, contro la
critica di ‘ Voprosy filosofii all’edizione tedesca del volume, U.A. Floridi,
Materialismo dialettico e critica sovietica, in La Civiltà cattolica, vol. Rio
Società, in G. Miccoli, Delio Cantimori, Alicata a Einaudi, (AE, Alicata), e la
favorevole recensione di Lucio Lombardo Radice in Rinascita. Motta scrive a
Einaudi: I sondaggi sul Webb sono stati eseguiti. Tutto bene. Il libro non è
mai stato attaccato nell'Unione. Tanto Togliatti che Sereni sono d'accordo
sulla sua diffusione anche all’interno del Partito. Togliatti però pensa ‘che
forse sarebbe bene alleggerire l’opera di tutte quelle parti documentarie che
non hanno più un interesse attuale (per es. la costituzione sovietica ecc.)
(AE. Motta). Le origini della casa editrice Einaudi cano Hewlett Johnson
partiva infatti dalla constatazione dell’assenza di una base morale nel sistema
occidentale per cogliere nell’organizzazione della società sovietica la
possibilità di sviluppo di quei valori umani che sono per chi scrive indissolubilmente
legati con la religione e la tradizione cristiana ‘9; un analogo afflato
religioso percorre Fede, ragione e civiltà del laburista Harold J. Laski, per
il quale è difficile vedere su quali basi possa essere ricostruita la
tradizione della civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della
rivoluzione russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi
soprannaturali, con esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il
cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Occidente. Ovunque si è
affermata, l’idea della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi esponenti
un’aspirazione ardente alla salvezza spirituale I più stretti rapporti
instaurati col PCI trovano comunque espressione soprattutto nella pubblicazione
di testi di politica e di economia. Esce nel 1948 Il Mezzo-giorno
all’opposizione (Dal taccuino di un ministro în congedo) di Emilio Sereni che,
sollecitato nel febbraio dello stesso anno da Balbo a fornire un parere sulla
traduzione di The great conspiracy in cui Michael Sayers e Albert E. Kahn
analizzavano la cospirazione antisovietica dalla Rivoluzione d’ottobre al
secondo dopoguerra un libro, afferma Balbo, estremamente utile in se stesso, e
oggi, per la campagna elettorale, chiedeva, anche a nome di Togliatti, di
accelerarne la pubblicazione perché il volume tradotto in Politecnico
biblioteca è ancor nuovo e di grande interesse per il pubblico italiano e può
avere ora una grande efficacia propagandi- Johnson, Un sesto del mondo è
socialista, a cura di A. Tagliacozzo, Torino, Einaudi; la recensione di Mario
Montagnana i in Rinascita. Laski, Fede, ragione e civiltà. Saggio di analisi
storica, traduzione di È. Bedetti Aloisi Torino, Einaudi, p.. Del leader
laburista fu pubblicato su l'Unità DE sai l’articolo Ux popolo veramente libero
crea la nuova Cecoslovacchia. H fascismo e il consenso degli
intellettualistica. In un momento in cui il problema della terra si era
riacutizzato con le lotte contadine nel Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva ancora
a Sereni per invitarlo a scrivere quella storia dell’agricoltura italiana di
cui si avvertiva il bisogno in un paese che nella risoluzione del problema
agricolo ha uno degli aspetti più delicati dell’intero problema politico del
suo sviluppo legata all’attualità politica era anche l’Introduzione alla
riforma agraria pubblicata nel 1949 da Ruggero Grieco, che nello stesso anno,
di fronte a una palese offensiva contro la costituzione delle Regioni da parte
della DC proponeva una raccolta di suoi scritti su Unità statale e
decentramento regionale in Italia®, E una più stretta collaborazione fra la
casa editrice e il partito veniva chiesta da Einaudi a Togliatti nel 1948 per
promuovere in Italia una maggiore conoscenza della cultura sovietica, che
avrebbe dovuto essere rappresentata non solo da I/ marxismo e la questione
nazionale e coloniale di Stalin (1948), ma anche da un’ampia scelta di scritti
di Zdanov curata personalmente da Togliatti ‘!. È inoltre in questo periodo che
si intensifica il ruolo di Antonio Giolitti nell'esame e nella proposta di
testi di economia, con la consulenza, da Londra, di Piero Sraffa. Ebbe 48 Balbo
a Sereni, 3 febbraio 1948, e Sereni a Einaudi, 12 febbraio 1948 8 (AE, Sereni).
Balbo a Sereni, e Sereni che accetta a Balbo; Sereni propone anche un'antologia
intitolata Bertoldo, i canti dell’oppressione, del lavoro, della lotta (AE,
Sereni). La nostra posizione sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno
della creazione delle Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal
fatto che noi siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo regionale
(l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla Costituzione non è
dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal fatto che la Costituzione
deve essere applicata: se si comincia con il rivedere questo o quel punto della
Costituzione, si finirà col far crollare la Repubblica , scriveva Grieco a
Einaudi (AE, Grieco). 41 Einaudi a Togliatti, 15 ottobre 1948; il 19 ottobre
Togliatti rispondeva di essere d’accordo anche per la scelta di scritti di
Zdanov: Quella che fa il partito non uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno
cacciata in una collezione che si intitola: Educazione comunista. E chi votrà
farsi educare da noi? (AE, Togliatti). Le origini della casa editrice Einaudi
peso il suo giudizio negativo sull’opportunità di tradurre il saggio di Sidney
Hook sul marxismo accusato di trotskismo da Togliatti, cosî come la
presentazione di Political economy and capitalism di Maurice Dobb, che sarà
tradotto: in un parere editoriale che mette in evidenza il distacco dalla
precedente produzione della casa editrice in campo economico, Giolitti
attribuiva a Dobb il merito di cogliere il nesso tra Marx e l’economia
classica, di cui sono dimostrati ‘il vigore scientifico e il carattere
progressivo, mentre le successive teorie soggettive del valore (scuola
austriaca, utilità marginale, ecc.) manifestano a un’indagine critica che
sappia situarle storicamente il loro significato ideologico conservatore. La
teoria marxista del valore è convalidata sul terreno sperimentale, nella sua
capacità di interpretazione e di previsione di fronte ai fenomeni più moderni
dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.). Un bellissimo capitolo
sull’imperialismo analizza le origini economiche del fascismo. L’ultimo
capitolo sulla validità delle leggi economiche nell’economia socialista
risponde efficacemente alle obiezioni mosse da Hayek, von Mises e C. alla
pianificazione economica collettivistica: e dimostra la perfetta coerenza
dell’economia pianificata con le posizioni veramente valide e feconde
dell’economia classica {la scoperta di questo nesso costituisce forse
l’elemento più interessante di tutto il libro, che proprio per questo segna una
data nella scienza economica) 43, Si profila cosi un orientamento che, sia pure
con ritardo, pone fine all’ideologia liberista che aveva fin allora
caratterizzato la casa editrice. Mentre Dami, collaboratore di Società per i
problemi economici, mette a confronto in due testi del 1947 e del 1950
l’economia liberale con quella pianificata, con una chiara preferenza per
quest’ultima, la Relazione su l’impiego integrale del lavoro G. Manacorda, Lo
storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista. Anche Giolitti,
scrivendo a Einaudi il 29 agosto 1946, giudicava trotzkista l’autore: Ora tu sai
che la tua casa è stata accusata di zoppicare un po’ da questa gamba (Reed,
Franklin, Hemingway); perciò reputerei politicamente inopportuna la
pubblicazione, da parte tua, di un saggio di Hook (AE, Giolitti). Si tratta,
probabilmente, di From Hegel to Marx: studies in the development of Marx. AE,
Giolitti. 44 C. Dami, Economia collettivista ed economia individualista (1947),
ed Esperienze di economia pianificata in una società libera di Beveridge e Gli
insegnamenti economici di Arndt suggeriscono l’intervento regolatore dello
Stato nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa da Giulio Einaudi,
di fare libri che tengano conto dell'economia dei paesi occidentali e ne
facciano una critica. Non trascurare certi filoni del laburismo inglese i quali
tengono conto dell’economia classica e la criticano continuamente al vaglio
delle riforme richieste dalla crisi dell’imperialismo , La realizzazione di
questo nuovo indirizzo apparve tuttavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur
consigliando testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro editoriale come
continuo suggerimento di problemi, senza la pretesa di orientare dall’alto,
didatticamente, il lettore. Prendendo spunto dalla pubblicazione de La teoria
del diritto nell'Unione sovietica di Schlesinger, Balbo si rivolgerà a Einaudi,
in uno dei suoi ultimi interventi prima del distacco dalla casa editrice, per
affermare che libri sulla linea di Schlesinger, Cole, Webb, Hook prima maniera,
Wallace ecc., insomma libri anglosassoni progressivi e corretti verso URSS e
comunismo sono libri utili, se vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non sono
libri di vera cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà milioni di anni
luce li separano da una vera comprensione. Nel loro fondo, che non tutti
avvertono esplicitamente ma che tutti sentono subcoscientemente, quei libri
sono oppio sottile: fanno in maniera più inavvertibile e quindi anche meno
significativa culturalmente e più pericolosa, ciò che fece Croce in modo
scoperto, chiaro e cosciente ‘#. Intervenendo a una riunione editoriale sulla
Biblioteca di cultura economica , egli aveva affermato che il PCI non deve
prendere posizione, avallando la collana; ma di volta in volta può consigliare
o meno i volumi. La Casa deve svolgere la funzione di Casa editrice e 435 AE,
Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950 (riunione). 4% Pro-memoria per il
dott. Einaudi (AE, Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi non può fare
biblioteche di partito. È una critica impietosa nel paragone con Croce e forse
anacronistica, in quanto non teneva conto dei condizionamenti imposti
dall’imperante clima di guerra fredda: una critica alla propaganda e al
monolitismo culturale che vienne in parte a contraddire il positivo
accoglimento, da parte di Balbo, del nuovo orientamento assunto dalla casa
editrice. La fine dell’eclettismo e delle incertezze proprie della produzione
editoriale è stata anzi auspicata da Balbo, che aveva accolto la svolta non
come indice di una subordinazione al PCI, ma come l’inizio di una politica
d’intervento più organica e avanzata. Già nel dicembre 1946, informando Rodano
di un suo ooqui con l’editore, affermava che Einaudi aveva deciso i mettersi a
fare l’editore sul serio, cioè di affidare la fabbricazione dei libri
specialmente di tema politico-economico e strutturale (mi capisci!) ecc. alle
forze migliori che oggi sono inserite nel processo democratico del paese. A
farla breve si tratta di creare tutta una rosa di libri seri, impegnativi e
urgenti sui problemi che possono concretare sul serio il nuovo corso:
capitalismo di stato in concreto, permanenza amministrativa del fascismo,
situazione culturale generale da un punto di vista direi di geografia
culturale, problema igienico nazionale, problema agrario ecc. Si tratta
naturalmente anche di dare inizio finalmente a certi temi di marxismo teorico
consoni alle esigenze attuali, conclude proprio nello stesso momento in cui
anche col suo avallo naufraga il progetto di una vollana marxista. Il nuovo
corso della casa editrice suggerî a Balbo una serie di scritti programmatici
che si collocano nel periodo immediatamente successivo alla crisi, e che hanno
il loro principale obiettivo polemico nell’idealismo crociano. Egli invia a
Einaudi una serie di proposte, accomunate dal titolo significativo L’Anticroce,
che Giolitti fa pro- AE, Verbali delle riunioni editoriali. AE, Rodano. prie,
relative al rinnovamento delle varie collane prevedendone una nuova di cultura
sociale-politica, partendo dalla considerazione che la cultura idealistica,
invalidando per principio le possibilità stesse degli studi sociologici e in
genere degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o fenomenologici
, aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in Italia. Poco dopo, in
un articolo di risposta alla recensione fatta da Croce alle Lettere di Gramsci,
prende spunto da una frase di Croce gli odierni intellettuali comunisti
italiani troppo si discostano dall’esempio del Gramsci, dalla sua apertura
verso la verità da qualsiasi parte gli giunge per affermare: Riconosciamo che in
ciò vi è del vero, che molti di noi si mantengono al di sotto di quel livello
sia nelle intenzioni, sia nelle realizzazioni. Ma dobbiamo anche ricordare a
Croce che molti intellettuali comunisti cercano sul serio di migliorarsi e di
imparare e che comunque il livello degli altri intellettuali italiani è forse
ancora più basso del nostro, se non si vuole continuare a scambiare per cultura
l’arcadia, la raffinatezza fine a se stessa, l’educazione ipocrita. Soprattutto
dobbiamo ricordare a Croce la realtà che egli più ha dimenticato nel suo
pensiero e che ne è certo stata la ragione più grave di debolezza: questa
realtà è il popolo, il popolo oppresso, spesso ignorante e violento, quel volgo
che egli disprezza e che è pur formato di uomini come noi e come lui. Forse
allora comprende che Gramsci non può essere diviso dal suo partito, che Gramsci
appartiene a tutta la cultura italiana, ma che il partito comunista italiano è
parte integrante della cultura e del pensiero di Gramsci, è parte integrante
della cultura italiana, Può quindi apparire tUn’ironia della storia che
l’intervento più organico del Balbo militante, sulla Cultura antifascista,
fosse nato come promemoria per Einaudi e che, al tempo stesso, venisse
pubblicato con alcune modifiche nel numero col quale Il Politecnico, dopo le
critiche di parte comunista, fu costretto a terminare le pubblicazioni. E di
AE, Balbo; anche Giolitti a Einaudi, (AE, iolitti). AE, Balbo (articolo per
l'Unità ); la recensione di Croce è ora in Due anni di vita politica italiana,
Bari, Laterza Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce (e, nota, del
Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente alle apparenze, di
Gentile scrive Balbo. La mentalità papiniana, giuliottesca, prezzoliniana è
rimasta come un substrato generalizzato e diffuso nel retroterra culturale di
ognuno. Le categorie di giudizio, sia culturale, sia politico, si muovono
ancora completamente su di un terreno che va da quello di Mussolini stesso in
persona a quello della Civiltà Cattolica, a quello del più stracco
spiritualismo cattolico di importazione francese e di un esistenzialismo
universitario ed estrinseco. Insomma in Italia si è rimasti senza Gramsci,
senza Dorso e senza Gobetti. E, rivolgendosi in particolare a Einaudi,
affermava che la casa editrice per la sua struttura, per il suo passato, per i
suoi quadri interni ed esterni, attuali e possibili, può svolgere un compito
fondamentale nel movimento per l’abbattimento della vecchia egemonia culturale
borghese e per la creazione metodica e sensibile della nuova egemonia culturale
proletaria e finalmente moderna. Strumento e base per la ricerca qualificata e
per la socializzazione è oggi non tanto l’università o la scuola quanto
l’editoria; e, in armonia con una tradizione culturale cara all’editore
torinese, concludeva insistendo per la pubblicazione delle opere di Gobetti,
che avrebbero costituito uno specchio nel quale la borghesia più intelligente
potrebbe scorgere la sua vera faccia e, per rivalsa, la falsa faccia di una
borghesia che vuole a tutti i costi illudersi di saper sopravvivere al
fascismo. Cosî, proprio quando lo scontro nel paese si faceva più duro, a Balbo
sembrò giunto il momento opportuno per realizzare il suo modello di casa
editrice: sotto la spinta dell’ottimismo maturarono nella sua fervida mente
nuovi progetti, da quello di una rivista di ricerche e sviluppo
storico-ideologico per la quale aveva già impostato il lavoro assieme a Rodano,
Motta, Giolitti e Gerratana, a quello del sostitu-tivo della rivista di una
collana Il nuovo politecnico assieme a Vittorini, fino alla proposta,
realizzata, di trasformare la Collana di cultura giuridica in BiAE, Balbo.
blioteca di cultura politica e giuridica . Ma il terreno sul quale Balbo
concentrò i suoi sforzi per realizzare una cultura critica , tale tuttavia da
scontrarsi duramente col laicismo di Bobbio, fu quello filosofico. Il primo
progetto di una BIBLIOTECA DI CULTURA FILOSOFICA è formulato da Bobbio, che
prende contatti con ABBAGNANO (si veda), dal quale vennero le proposte di tradurre
la Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esistenzialismo, L'illusione della
filosofia della Hersch, pubblicato nei Saggi. Dopo ulteriori contatti con Della
Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne giunto il momento di annunciare
l’uscita della COLLANA FILOSOFICA che, al di sopra di ogni pregiudizio
d’indirizzi e al di là di una visione tecnicamente angusta della filosofia,
raccoglie opere antiche e moderne, tanto più accette quanto più trascurate
dagli storici della filosofia, e considera come suo principale fine e suo
rigoroso dovere tener conto della infinita problematicità del pensiero
filosofico attraverso le sue inesauribili incarnazioni nei diversi tempi e nei
diversi campi del sapere. La collana, che si configura come una via mediana tra
i classici Laterza e la Cultura dell’anima Carabba, prevede opere di Butler e
di Hume per l’illuminismo, Avenarius e i Principi di una filosofia
dell'avvenire di Feuerbach, Kirkegaard e Jaspers per l’esistenzialismo, JUVALTA
(si veda) e MARTINETTI (si veda) come rappresentanti della filosofia italiana
contemporanea. L’inizio della collana di cultura giuridica, con l’inclusione
delle opere di Binder e Gierke originariamente previste per la COLLANA
FILOSOFICA, fa fallire per il momento l’iniziativa, senza che per questo si
fermasse l’attività di Bobbio, che in una lettera a Banfi presentava la collana
progettata come una raccolta di saggi rappresentativi di quella filosofia
costruttiva (contrapposta alla filosofia spe- in particolare, per questi e
altri progetti, i documenti dell’Archivio privato Balbo. in particolare le
lettere di Bobbio a Einaudi (A E, Bobbio). Le origini della casa editrice
Einaud?] culativa) che la filosofia italiana ufficiale, e la stessa storia.
della filosofia scritta dagli scrittori ufficiali quasi sempre ignora, e che è
poi l’unica filosofia veramente perenne; e cita, fra gli altri, saggi di
CATTANEO (si veda) e di Frege, per rafforzare la caratterizzazione
neo-positivista della collana da lui voluta contro la presenza, che pur non
riuscirà a evitare, di un filone esistenzialista. Sono affermazioni coraggiose
nel clima culturale dell’epoca, rese più esplicite quando Bobbio, nell’atto di
dare finalmente: avvio alla collana, parla di saggi rappresentativi di tutte:
quelle correnti filosofiche che nel MONDO FILOSOFICO-ACCADEMICO italiano diviso
tra idealisti e neo-tomisti in lotta. fra loro sono respinte con maggior o
minor impeto come: filosofia non ufficiale. La collana diretta da Bobbio e
Balbo inizia in tono: minore, con I limiti del razionalismo etico di JUVALTA
(si eda), di cui tuttavia GEYMONAT (si veda) che lo propone mette in luce il
rifiuto per le soluzioni puramente verbali, il valore impegnativo e profondo di
tutta l’attività politica, sociale ed economica, e la negazione del carattere
anti-individualistico del socialismo Continua con le Lezioni di filosofia di
CALOGERO (si veda), caldeggiate da Bobbio, e La mia filosofia di Jaspers, un
testo dal quale: Bobbio prende le distanze, ma che, afferma, puo servire ad
eliminare diffidenze preconcette e altrettanto inconsulti entusiasmi, e venire
incontro ad un’aspettativa talora eccessiva che è in molti. Senza pretendere:
AF, Banfi; Archivio privato Bobbio (Bobbio alla sede romana). Bobbio si
dichiarava d’accordo con Balbo per presentare le opere rappresentative dei
principali indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in poi, senza correr dietro
alla moda (Archivio privato Balbo). JUVALTA (si veda), I limziti del
razionalismo etico, cur. di GEYMONAT (si veda), Torino, Einaudi. anche le
lettere dell’editore alla figlia di JUVALTA (si veda), (AE, Juvalta), e di
GEYMONAT (si veda) a Pavese, (AE, Geymonat). Pro-memoria per la Direzione
Generale della redazione romana, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma
1945. Sul moralismo dell’opera di Calogero cfr. le osservazioni di Nicola
Badaloni in Società. Jaspers, La mia filosofia, trad. Rosa, Torino,. Einaudi
(avvertenza di N. B.). di dare un giudizio complessivo sulla collana, ci sembra
sufficiente accennare al suo carattere articolato, non unitario, che riflette
le diverse preferenze dei suoi ispiratori. Sono ad esempio significativi i
giudizi espressi da Bobbio e da Balbo sui Principi della filosofia
dell’avvenire di Feuerbach: presentando la prima edizione dell’opera, Bobbio
osserva che la filosofia di Feuerbach si colloca tra la crisi del romanticismo
e la nascita del positivismo, e che dal secondo accoglieva una netta
aspirazione antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei
sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invincibile ripugnanza a toccare
veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un sentimentalismo un
po’ facile #. In occasione della ristampa del 1948, invece, Balbo nota
l’affinità tra il nostro mondo attuale in particolare italiano, e quello in cui
si formò il pensiero di Feuerbach e in cui ebbe origine il grande movimento
marxista. La crisi culturale apertasi con la dissoluzione della filosofia di
Hegel è tutt’altro che chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase
di sviluppo i motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in
Italia, specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del
fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza della
crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni hegeliani
perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit teologico in senso
feuerbacchiano c’era nella filosofia di Hegel; e osservava che la passione, il
violento bisogno di aria e di luce reale, sensibile , con cui Feuerbach rompe
il sistema della Teologia razionale di Hegel, l’entusiasmo di Marx e di Engels
nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti e molti giovani
studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi cercano di rompere
l’idealismo e ritrovare il mondo, la realtà. Un giudizio, questo, da cui è
ricavabile non solo la divergenza con Bobbio che sarà esplicita nel #8 L.
Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, a cura di Bobbio, Torino,
Einaudi, Significato di una ristampa, in Archivio privato Balbo. Le origini
della casa editrice Einaudî dibattito fra i due sulla Rivista di filosofia, e
indica una spaccatura all’interno della casa editrice, ma anche, nello stesso
Balbo, la tensione fra la necessità di proposte positive in questo caso,
Feuerbach in funzione anti-idealista e l’asserita problematicità del lavoro
editoriale. Mentre dimostrava con questo giudizio il suo settarismo per usare
in senso non dispregiativo un termine che egli respingeva, in alcuni Appunti
per l’impostazione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi Balbo lamentava il
rinchiudersi del mondo accademico italiano in scuole e sette, osservava che il
giudizio sulle collane filosofiche dipende in primo luogo dal decidere se si
tratta di accettare, riflettere e conservare la situazione storico-sociale
presente, o se si tratta di conoscerla, criticarla e mutarla e, al tempo
stesso, che una casa editrice di opposizione culturale come la Einaudi manca al
suo carattere se in un momento storico in cui messuno ha la soluzione dei
gravissimi problemi dell’ora si schiera da una parte o partito o setta sia pure
la pit intelligente 0 colta o ben educata o progressiva. Una casa editrice di
opposizione culturale è una casa editrice che chiede, in tutti i modi che le
sono propri, la soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle manifestazioni
di bisogni, problemi aperti, prospettive nuove, fornitura di servizi per la
ricerca teoretica, sensibilità alle voci degli oppressi, degli esclusi, dei
dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando aperta la possibilità di un recupero
di forme differenziate di speculazione filosofica: Se la situazione culturale è
di crisi radicale significa che nulla più della passata filosofia ci serve per
lo meno cosi come storicamente si è data. Ma quando w%/la più serve o c’è la fine
assoluta o tutto serve. Ora in F. Balbo, Opere, con introduzione di Ranchetti,
Torino, Boringhieri, Archivio privato Balbo. Riflettendo ancora su Senso e
funzione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi, Balbo affermava che una
collana filosofica andava concepita come un servizio da rendersi alla società
italiana, alle minoranze rivoluzionarie (che innanzi tutto si formano con la
filosofia), ma che l’idea di servizio implica la concezione dei fruitori come
totalità, ed esclude quindi a priori una qualsivoglia tendenza a identificarsi
con i blocchi dominanti : la collana deve mirare a completare, ad allargare e a
tenere aperto, cioè a far progredire 7 va l’orizzonte problematico della
situazione filosofica italiana. Quando si passò alle scelte concrete, il
dissidio tra Bobbio e Balbo che intendeva riservare un settore della collana al
tomismo non poté essere che profondo. Il punto su cui siamo d'accordo è questo:
massima apertura gli scrive Bobbio. Il guaio è che la tua parte di chiusura (le
correnti empiristiche) coincide perfettamente con la mia apertura, e la mia
parte di chiusura (il misticismo medioevale e medioevalizzante) coincide
altrettanto decisamente con la tua apertura. Ti dico francamente che la
presenza di testi come lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana filosofica di
una casa editrice che si presenta come una casa di avanguardia culturale, mi ha
fatto rabbrividire. Doveva essere ben decaduta la filosofia nel medioevo se lo
Pseudo-Dionigi era destinato a diventare, come tu giustamente riconosci, un
fatto decisivo per il pensiero medioevale. La verità è che tutta la tua
impostazione, nonostante la pretesa di essere della massima apertura, è guidata
da una polemica molto chiara: la polemica contro il pensiero moderno. La
cultura universitaria, aggiunge Bobbio, soffre di grande nostalgia per il
pensiero teologico, perché sembra che le idee (e anche le cattedre) siano
meglio garantite dalla credenza nei cori angelici di Pseudo-Dionigi che dal
dubbio cartesiano. Credi, se oggi in Italia c’è un lavoro culturale da fare, è
per fermare lo zelo antilluministico, non già per aiutare i zelatori della
Contro-riforma a chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti tu
massimamente insufficienti le posizioni più avanzate , si rischia di fare cosa
non tanto nuova né tanto peregrina in Italia, dove se c'è una vecchia e
persistente e sempre contagiosa passione è la passione per le posizioni più
reazionarie non per quelle più avanzate, e dove le posizioni più avanzate hanno
fatto di solito la nota e tragica fine che sappiamo. Le parole di Bobbio erano
indice della difficoltà estrema in cui veniva a trovarsi la cultura
progressista ancora nell’anno della morte di Croce, quando anche Togliatti
Archivio privato Balbo. Bobbio gli aveva scritto che in un ambiente filosofico
come il nostro saturo di spiritualismo sedicente cristiano (che è la filosofia
della pigrizia mentale) un po’ di cultura empiristica che abitui alla analisi
rigorosa e paziente farebbe molto bene. Ma già tu hai scritto contro
l’empirismo e hai portato tanta acqua al mulino di tutti i reazionari della
filosofia, di tutti gli spiritualisti... (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G.
Invitto, Le idee di Balbo. Le origini della casa editrice Einaudi come abbiamo
visto riconosce nella politica culturale del partito comunista italiano
discontinuità, asprezze, capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra la pura
propaganda e l’azione culturale di più ampia portata, e anche contraddizioni.
La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa dopo quella quando
restai letteralmente solo scrive Einaudi a Balbo al fronte antifascista chiaro
e compatto del periodo fascista, che è tenuto da tutti gli strati sani della
nazione, si è sostituito un fronte anti-comunista che è tenuto da strati sani
ed insani della borghesia, e da irrequiete e intelligenti forze intellettuali.
Ma il suo appello all’unità contro il fronte anti-comunista non puo essere più
raccolto da Balbo, divenuto critico implacabile del settarismo del partito
comunista italiano. Se tu davvero presentassi la linea della casa come lotta
contro la cultura ufficiale insipida e decadente avresti presto o tardi attorno
a te le forze sane della cultura risponde Balbo all'editore. Ma come fai a
presentarti così se accetti di fatto direttamente o meno, la direzione
culturale comunista? Oggi non esiste cultura più ufficiale e insipida di quella
comunista: questo è un fatto. E le riflessioni amare stese da Balbo sulla casa
editrice una specie di sua storia, che gli servirono per chiarire a se stesso
il proprio distacco da Einaudi, cercano di spiegarne la crisi alla luce di
quelle che gli sembrano le sue caratteristiche originarie: La casa editrice
Einaudi è nata da profonde esigenze di rinnovamento che si manifestarono in
Italia dopo l'affermarsi stabile del fascismo che rivelava il problema del male
della civiltà moderna. Non è stata perciò mai definita unicamente
dall’antifascismo ha sempre teso al postfascismo, alla vittoria costruttiva sul
fascismo. A questo si lega anche la sua adesione al comunismo: in quanto il
comunismo in Italia per opera di GRASCI (si veda)-Togliatti si presentò come la
più forte garanzia e promessa di un effettivo rinnovamento, di una costruttiva
vittoria sul fascismo. In tal senso era più forte dell’arbitrio dei singoli il
suo tendere a congiungersi al comunismo. Togliatti, La politica culturale.
Archivio privato Balbo. va anche da sé che cosi si spiega come tale adesione
non sia mai stata di soggezione né di mitigazione del comunismo ma da potenza a
potenza ossia da realtà a realtà. Veramente era falso dire che la casa editrice
Einaudi fosse una casa editrice comunista ed era pure falso dire che fosse
paracomunista. Anzi, aggiungeva, l’elemento che aveva accomunato Ginzburg,
Pavese, Venturi, Muscetta, Pintor, Balbo, Giolitti, Bobbio, Alicata e
Vittorini, non è il laicismo, non è il razionalismo, non è il comunismo core
tale neanche per i comunisti. È la causa del rinnovamento, la causa
rivoluzionaria; ma l’incontro di questi intellettuali è soggetto a fatale
decomposizione su due fondamentali sollecitazioni: quella interna della
crescita organizzativa e quella esterna della situazione storica generale. Con
la morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo puntello dell’autonomia
della casa editrice », la quale si era quindi trasformata in terza forza
para-comunista incapace di costituire un servizio per la cultura italiana nel
suo complesso. Il giudizio di Balbosulla cui posizione ci siamo soffermati
perché emblematica dei problemi e dei difficili equilibri nei quali doveva muoversi
la casa editrice conteneva alcuni elementi di verità, ma anche profonde
contraddizioni, nell’individuare in un primo tempo, ad esempio, il rinnovamento
col comunismo, per poi mettere in netta contrapposizione i due termini. Esso
peccava inoltre, come quello di Einaudi, di una visione idillica delle tendenze
originarie della casa editrice, fosse il fronte antifascista chiaro e compatto
o la vittoria costruttiva sul fascismo. Senza voler nulla togliere al peso
delle intenzioni, le concrete vicende della casa editrice non indicano infatti
una univoca e lineare direttiva culturale e politica. Alla cultura del regime
essa non rispose soltanto col silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi
differenziati, che accanto a coraggiose prese di posizione de La Cultura,
Dattiloscritto; ma nella lettera a Finaudi Balbo dice di aver preparato una
specie di storia della casa editrice (Archivio privato Balbo). Le origini della
casa editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi Einaudi,
assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare punti di
convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti, anche al di là del
comune antisocialismo; una forte presenza di intellettuali aderenti a Giustizia
e Libertà, al liberal-socialismo e quindi al Partito d’Azione, il cui scontro
con i comunisti non uniti al loro interno sarà assai duro nell'immediato
dopoguerra, proprio attorno al modo concreto di intendere il rinnovamento »; e
infine ma è un dato rilevante fino alla decisa riaffermazione del laicismo da
parte di Bobbio un filone spiritualista o religioso e cattolico che, se poté
avere una funzione di stimolo alla riflessione e al dubbio di fronte alle
certezze del regime, conteneva in nuce notevoli elementi di ambiguità in quanto
connotato, in molti casi, da un potenziale ideologico reazionario, o, nelle
voci più aperte, da una tendenziale fuga dalla realtà: una tematica religiosa
che confluirà con ben altro respiro, nella Collezione di studi religiosi,
etnologici e psicologici voluta da Pavese e da MARTINO (si veda). Può forse
sorprendere che questi motivi permangano a caratterizzare la casa editrice
fino, almeno, al anno che costituisce la vera data periodizzante della sua
storia, tale da concluderne, a nostro avviso, il capitolo delle origini. La
battuta di Balbo, secondo la quale l’Einaudi è più fascista di Einaudi, indica
infatti la persistenza di un passato dal quale era difficile sbarazzarsi
rapidamente: una tradizione » di cui abbiamo cercato di mettere in luce la
complessità, e che la semplice categoria di antifascismo è insufficiente a
contenere e a spiegare in tutte le sue articolazioni. Ideologia e cultura del
fascismo: l’ Enciclopedia italiana » La ricerca del consenso. Il progetto di
Martini e Formiggini. L’intervento di Treccani e Gentile. Lo « specchio fedele
e completo della cultura scientifica italiana ». La « politica di conciliazione
» di Gentile. I collaboratori e le proteste del fascismo estremista. L’ipoteca
cattolica. Il controllo del regime. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo.
L’assimilazione dei « competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo. Gentile,
Volpe e il nazionalismo storiografico. Le voci religiose: presenza e
conflittualità dei cattolici. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo.
La parola, veicolo di « fraternità universale. Positivisti, modernisti,
socialisti. Intenti divulgativi. Una cultura al di sopra della mischia. La
sconfitta di un’illusione e una tenue resistenza. I limiti del consenso: le
origini della casa editrice Einaudi. Iniziative editoriali. L'ideologia
conservatrice di Einaudi. L’impronta liberista sulla casa editrice. La Cultura
e la tradizione gobettiana. Storiografia e impegno civile. Cultura della crisi
e spiritualismo. Una cultura eclettica: i Saggi. La svolta della guerra e i collaboratori
romani. L’anti-conformismo storiografico e l’Universale. I quarantacinque
giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura. La ricerca di un nuovo
orientamento e l’eredità del passato. La rottura dell’unità antifascista e il
rapporto col PCI. Grafiche Galeati di Imola. Turi. IL FASCISMO E.IL CONSENSO:
DEGLI INTELLETTUALI. Questo volume offer un contributo di grende interesse alla
storia della cultura italiana, analizzando alcuni momenti. di gregazione
culturale particolarmente. rilevanti, ta' iat nascita e la caduta del fascismo.
La Fondazione dell’Enciclopedia-italiana. Pattività\edi‘origle di A.
Formiggini, la nascita della casa editrice. Einaudi chevpetmettonò i; collegare
significativamante gli Itinerar di’ singoli intellettuali con Je vicende
politiche ‘delipaese e di individuare, anche negli anni. del‘ regime, accanto
«a condi: zionamenti;»autocensure e compromessi, il. permanere oil inuscere di.
«schieramenti » i! cui significato «non ‘è' soltanto. culturale, ma anche:
politico. L'« Encicloped'a italiana»; fondata sotto la direzione di Gentile e
con la collaborazione dil'intetlettuali anche antirascisti, testimonia i
esistenza di-una cultura fascista; sia pur. eclettica e forlsmente condizionata
dalla ‘presenza: cattolica MAttorno-alla casa. editrice. Formiggini si erano.
raccolti, intellettuali di formazione. positivistache cercheranno di resisiere
alla politica culturale del. regime appellandosi ad una orma l’illùsori
autonomia della cultura. Nella casa editrice fondata da Einaudi, infine; ii
liberalismo. Conservatore di Einaudi convive con l'orientamento di
intellettuali. legati a «{iustizis © libertà» e, vin seguito, con orientamenti:
di matrice azionista e comunista: che prevartranno. nettamente nel'1945 con la
presenza delle forti personalità di Pavese; Vittorini, Cantimoti, Balbo, e
Bobbio cercando’ di dar vita va un ampios«fronte de:'atcultura +» destinato (a.
dissoiversi con la rottura dele l'unità-antifascista, Introduzione. -tIdeologia
«e. cultura: del fascismo:nl-Enciclopedia. Italiana. Formiggini» un editore tra
socialismo e fascismo. I limiti déell'consenso. Le origini: della casa editrice
Einaudi. GTuri insegna a Firenze. Storia dell'Italia’ contemporanea nella
Facoltà: di Lettere e Filosofia. Sudiato! periodo della riforme ‘setteceritesche
e. dell'occupazione francese in, Italia; «pubblicanido il volume Viva Maria, La
reazione alle riforme leopoldine. Su occupa della cultura italiana, ema sul
auzls ha prbblicato diversi contributi. Gak labora alle riviste Studi
storicì..; « Movimento onsraio e socialista» e « [talia contemtoranea (i.i.)
©0GO. Nome compiuto: Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consenzienti --
consentire, “i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis –
il bello -- costellazione griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del
bello, il sentire, sensum, sentiens, sensus, sentire e esperienza,
esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio, giudicare, espressione
dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il co-sentire del bello,
Grice, Sibley, meta-property, second-order property, aesthetica, Sibley on
Grice, Scruton on Sibley on Grice, aesthesis, sensus, senso, consensus. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library. Desideri.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e
Diacceto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
convito -- i tre libri d’amore – scuola di Firenze – filosofia fiorentina –
filosofia toscana --filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano.
Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who
philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three
different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’
– and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria
di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo
Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per
distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della Cattedrale di Santa Maria
del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di Fiesole, dopo
il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua carica, termina
la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a Pratovecchio, già
iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a Fiesole e la Chiesa di
Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di restauro del Duomo di
Fiesole, progettando la forma dell'abside. Studiò diritto continentale e
frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in
latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua
biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico
all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S.
Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo
Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L.
Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino”
(Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del Papa sopra 'l Concilio”
(Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale utilissima a coloro che
aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone”
(Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione dell'arte magica”
(Fiorenza: appresso Valente Panizzi et Marco Peri). I tre libri d'Amore,
filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico all'Amore; et con la
Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In Vinegia: appresso
Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura teologica e
problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di Firenze,
Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. D. In
divinis PLATONE symposium Enarratio ad Clementem VII. Pont. Max. Amorem
distinguit atq, definit, antequam rei explicatio nem aggrediatur. Ntequam
Symposi enarrationem aggredia mur, operæprecium eſt uidere, quid perA morem
ſitnobis intelligendum. Secus enim fieri nequit, ut diuinú PLATONE de AMORE
diſſereniem intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui
Mineruade, finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis
appetentia, quæ cungilla sit,Amorrectèdici potest. Sinautē exacta ratione, AMOR
EST DESIDERIVM perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot sunt
appetitus, totidem elle amores necesse est. Atqui ue rum efficiens propter
intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz seruare
quodeffecerit. Vnde et diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipsum facta sunt, et
feorfum ab ipso nihil, quod factum est:significans,non solùm ex Deo, ideft,ex
uero efficiente res effe,uerumetiam easdem citra dei auspicia nihilfieri.
Dionysius quo que Areopagita splendor Christiane theologię, Amor, inquit,entiū
auctor, cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſusest ipsum in seipso
manere, quasisterile lit: sed ipsum impulit ad opus se, cundùm excessum omnia
efficientem. Seruat autem propterea om nium causa,beneficio fupereminentis
amoris: quandoquidem non fimplici prouidentia extra se procedens singulis
entium immiscetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant,
quaſi uehementem entium amatorem. Acuerò &res ipfæ femper in auctorem
reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim
ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat,
recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt,
uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com plectuntur.
Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc autem
propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo uerò
contrarium efficit, Quapropter diuinus Hierotheus in hymnis
amatoris,Amorem,inquit,fiue diuinum, li ueangelicum,fiue intellectualem, ſiue
animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem
intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam:quæ ueró funt
eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem:inferiora uerò ad fuperio rumconuerſionemmouentur.
Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus aduenit,aliuslongè antecedit, rebus
adueniens inter exor dia.Principio quidem diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in
partes proprietates eſſentiales procedere concupiſcunt. Diuina enim a. &tusprimiſunt;
horum uerò abſolutio ſua functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac
ſua functione, quafi ex calefaciendi fa cultate calefactione cipfumactu
calefaciens. Atqz in huncſenſum lo cutus eſt PLATONE in 10.Libro
Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat enim ex primo fecundoğactu
diuina conftare. Quod etiam len fiſſe ARISTOTELE,ex his quędicuntur in undecimo
Rerumdiuinarū, perſpicuum eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe
illius uita optima &fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem.
piternum optimum. Quare uita &æuum continuum et æternum ineſtdeo. Ineft
quod et materiæ primæ appetitus ad formam: qui quidem amordici poteft, quando
quidem merito formæ boniipfius particeps fit.Eft et alius appetitus, quo res
compoſitæ ſibiipfæ cohæ reſcere amant, optimus eorum conciliator, quæ natura
diſsident. Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to
cæli fauore poſſe rerum aſymmetriæ, quæfitex materia, mederi. Virenim naturæ
ſtudioſus, quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè
ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti
excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus
agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt,
amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue
uirtutis,ſiue ſapientiæ, ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore,
quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò
quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu
primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò
inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul.
chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos
longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima
pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo
intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem; habere autem originem ex
intelligentia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem. Atue rò
diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario, ſed
euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper
modumſeminis et naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit: et in
materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo
&fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus
uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum
aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ, quali
pulchrū in pulchro procreari oporteat (atąhicamoranimam in generatio nem
deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens
nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis
pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad
diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales, ut inquit Homerus,
Amoremap pellarunt Alationem: quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio
primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui
Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri
ſermonem aggrediamur, in quo FEDRO non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius
appecitu, qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans
uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem,
quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos
reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo
intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur.
Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe
ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem: Amorem autem eſſe Ap
petitum. Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere
Terminum&Infinitum,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego
uerò Plotinum ſequutus, non puto Termi num et Infinitumelleduas ſoliditates
ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus et Proclus:fed quod àperfe uno
primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe,dici Terminuni, quoniam
eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem
agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum: quate nus utrung ſimul
complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone. er N 2 miſtumappellatur,
quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet. Chaosigiturin
mundointelligibili nihil eft aliud, quàm miſtumex termino ac infinito, id eft,
ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur, perfectioniobnoxium. Poftchaos
eſt Terra, quoniam ens ipfum, quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus
per Terram. NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel
ſentia,ftatu,motu,eodem, diuerſo. Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas,
per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiæ
deſigneturperterram, paulo poſt de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens
ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam actionem,quieſt primus
&intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus
eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele.
mentum,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio
ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo
Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam
&ſempiternam. Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft
agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas,deinde
agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet
locum inter po tentiam &actionem,cuius eſt principium.Nam potentia omnis,
quç cunc ſit,deſiderat appetitőz ſuum actum. Quod etiam euenitprimæ materiæ,ut
Ariſtoteles ait. Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe
Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem,qui propriè Status dicitur, efle
principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius
beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo
amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub
Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam et motū
intimum, Vitæ autem appetituseſt principium, necefle eft appeci tumhuiuſmodi
ideis eſſe priorem. Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes,
ideft,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm
Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon:
quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis
(licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium,
qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura
intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia:ſicuti corporum
imagines et umbræ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus
pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur
ex proprijs figuris rerum natu. FC naturalium Placo in Timæodeſignat
earundemingenium. Propte: reaignem et terram ac cæteraid genusex triangulis
componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de.
finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ, quem iuniores fextum
exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc: Nempeutintelligamus,
per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam. Atqui
palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram, quæ ineptiſsimaeftad motum:
quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem. Quodetiamex eo conijcere
poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde et PLATONE
in FEDRO, Sola, inquit,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura
debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit
folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat
admotumineptitudinem. Verùm dehis fufius in TIMEO. Terrai: gitur firmitatis
prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab
intellectu primo prodit, ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno, fi Plotino
crédimus,ńső,qui Plotinum ſe cuciſunt, Porphyrio et Amelio, quanquam Syrianus
et Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq et Origenes contendunt, ab ipfo
per ſeuno eſſe cummentem,tum animam,tum materiam, Chriſtianum dogma potius quam
Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit
Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit idearum notis. Prodit
quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per
feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem(quod ſummum
eſtipſius intellectus, et quo ipſum per ſe unum attingit) ſic et animam proce
dens ab intellectu indeſecum affert facultatis intellectualis idearum que
participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis momento habet idearum
expreſsionem, habet et facultatem intelligendi, qua non folùm
intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum auctorem
exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici poteſt,quandoquidem debet
habere aliquid proprium ac ſuum.Atqui intellectus etli primo
ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam tamen
ac primam actio. nem, quædicitur per ſe uita,cuius ope ſeipſum in ideas
diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata,per ſe animal efficitur:per in
telligentiam uerò uitæ ſummum,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis. Sic
&in anima, quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi
ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio,
per quamfeipfam in rationes diſtinguit, ac per quam propriè animadicitur,uita
eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione
intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit,ut inſtar intellectus ſit orbi
cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam
fecum habet et tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic et
primum tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum
participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe.
Namintelle. ctus et ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio.
nesidearum,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen
inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones
(ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes )
tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ,
ſoliintellectui obuiæ. Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua
habenc affinitatem. VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem.
Intellectum, quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. et tum
agentem,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ,quidiui. duuseltacdiſcurſu
agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui
omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè
inquit The. miſtius,deſententia ARISTOTELE, unum eſſeagentem intellectum illu
minantem,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum,inquam
intellectum agentem,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt:complures autem,
qui ſunt animarū, illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt:
illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm
de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig.
niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam
tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius
diſtinguitur,nondumin eam, quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu, quibus propriè
anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt,effentia rudis.
HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò
enim tum generatur,tum interit,ut in PARMENIDE DI VELIA dictüeſt, quan doquidem
motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta
menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo
tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit
racionā,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur
deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia
eſt,quam Plato in Timæo temere agitatam Auitantem appellat:materia,inquam,omni
no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo
dictum eſt.Idautem nihil eft aliud, quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad
formam,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo
contraria, ut Plato ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam
duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi,
pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam,perquam
formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem
ſunt. Nam per defectum totius per fectionis eftunum: ſicuti deus perexceſſum
eſtunum.Ad hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur
ſit unum per defectum,eo quòd careat omni perfectione: erit etiam obnoxi
generis, cùm citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat.
Profecto quaeſtunum per defectum, et cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt
obnoxii generis,dicitur ſubiectum, pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde et Plato
ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem
cognomentum materiæ tribuit, quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm ut Themiſtio
uiſumeft: cui placet,materiam eſſe earum rerum, quæ nondum faétæ aut ortæ
ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu:quo fieri,ut materia fit cum
priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum
firmitatem, tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam
ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt, ut Ariſtoteles inquit.
Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã
autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps:
quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum
&appetibile,ut Ariſtoteles inquit. Hisita perſpectis, patet materiam, quà
eſtunum, per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas
deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici
poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe
Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia PARMENIDE DI
VELIA. Nã uia generationis, priorineſtmateriæ appetitusformæ, quàm forma. Forma
autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm
Parmenidem, idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum. Amorigitur,hoceft formæ
appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur antecedere.
Dictú Auñ eft hactenus, quid Git Chaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſfimus;
atqid tumin mundo intelligibili, tumin anima, tum in mun do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt, quæ ex amore nobis
eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes.
Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur, neglectis
plerunq; diuinis, quorum cognata eft:quodin decimo de Rep. diuinus Plato indicat,
dicens, animas quæueniuntin generationem, ſumpto potu ex Amelita flumine ad
CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui
diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum. Reuocatur igitur
anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum,miniſterio
uirtutum,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter
materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu
dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando
@ ex alñs, SIGNIFICANS uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo
amorcauſanobis eft uirtutumomnium,quarum beneficio maxima bona conſequiinur,
hoc eſt, ipſam ſapientiam. Namſapientia ex moribus ſuſcipit
incrementum.Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ, inftarauri
quod igne defæca tur. Quod et Ariſtoteles quo et clara uoce afſeritin ſeptimo
deNa turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis
ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut
fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum
nonexpetere idipfum, quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur
proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio
libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam
refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa
igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit
proſequendi expetibilis, Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat
animam,Pombaiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab
expetibili uix commo ueatur, iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti
uirtu tem, (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din fatetur
Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles
facit. Vnde et Plato in Theäteto, Fu. ga, inquit, hinc ad deum, iplius dei
fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia et ſanctitas cum prudentia
præſtant. His ita perſpectis, uidere poſſumus; quomodo amor uirtutum cauſa.
lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit, reuo cansnosà turpibus,
præter hæc æmulátio ad honeſta inultans, nobis fternit muniti uiam ad præclarè
rectei uiuendum. Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter
ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem.Quoeuenit, ut
quicquid magni præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore
promptius aut in nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem: Amorenimuel
abiectiſsimum quemq, licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam,ut numine
percitus uideatur. Amorquoq; fica mans amatúmque inſtruit, utnon æquè ſibi
erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui
poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt, Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl
logiſmo &ratione. In præſentia uerò adſtruendum,ex eodem quo que eſſe cum
purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes: quarü beneficio ſapientiæ
acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula
admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem
affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad
diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ
quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile, in quo nihilconitantiæ, nihil firmitatis
inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius
agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit,
quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem
deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia
uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam
fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum
uirum,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam
reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam, quęiaminue ritatem incumbat. Admetum
uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera
intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti
nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in
generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri
Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili
uita, in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt,quà exuit
ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur. Namexuere uitam ſenſibilem,
nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat
expetibilisproſequutionem. In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in
puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus
enimhuiu £ modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi
'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio
igituruirtutis potius in termino motionis, quàmin ipſa motionecõliſtere debet.
Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo
ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo
uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur, neceſſariūtamen ad fapientiam
felicitatem con fequendam,ita paratuminſtructumós eſſe,ut corporeas tantùm fen
tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos
Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in
ueritatem patere aditum. Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus
ducuntadueritatem,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit,
utumbras,hoceft,fimulachrū Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure
igitur Orpheum fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus
expofuerunt. Verùmquid euenit animæin puritatem iamredactæ. An talem uiteſtatum
ſapien tia ſequituradhæſioc in deum, quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim
adminiculo utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Nam ſenſibilia imagines
ſunt rerum diuinarum. Vnde et ACCADEMIA in TIMEO (si veda) idem
fermètribuitanimæ diuinæ ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à
Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo
ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium: quorum
notiones in ipſa intelli gibilia excitantanimam.Dimittimusautem
ſenſibiliūnotiones,ubi primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu
fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis
uberrimèin Socratis oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli
(fabula nosadmonet. Achilles, inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò
admirati facinus, non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas
deſtinarunt illi habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt
telligibilia adminiculo ſenſibilium. Achillem uerò ſenſibilium notio nes in
anima. Mortuus eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non
amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium
notiones uſui deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori
Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus
ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia:unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas
euenit et bonum,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An
ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius.
meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles
inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò
intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit
actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus
Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili, ſcientiam uerò intellectui
ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto
inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones,
quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua
intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas: Pen dencenim à
ſenſibilibus, ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ. ACCADEMIA igitur quando
dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili
intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus
ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui
ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum.Hæfanè intelligente animalongè
ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate
coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim,ut rectè inquit
Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſt utrunca contemplari.
Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum, ſicuti etiã ſenſus,
&rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod
inquit ACCADEMIA, AMANTE propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore
agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi
amatum, in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin
gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem, abijcere
uitam fenfibilem,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiad ueritatem compa randam,
irritæ ſint: Amatumenim ſenſiliūnotiones SIGNIFICAT. Quod exeo aſſeritur,
quoddictum eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx,
filieimpedimento ſenſibilis uita. Amatū uerò moriin grati amamantis, SIGNIFICAT
notiones ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam
ueritatem intueatur: quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino
negligere notiones ſen lilium, intuente animaueritaté, quàm deporre uitam
ſenſibilem, ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit,
a matū pro amante, hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro
amato,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles
ad maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum
ſapientia, uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt, Achilliin
uitam à dis reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in
uitam reuocari ſatis fuerit.Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pausania dictum eſt,
totidem eſſe AMORE, quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem,
quideaſit: alioqui philoſophia AMORE (quod qui dem in præfentia quærimus )
lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam,
proindecaulamamoris efficientem. Sunt etiam et alij, qui aliter ſen.
tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir
enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere
debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam
putateſfeueritatem,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui
credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento, in Phædro dictum eſſe
furorem amatorium, et optimū effe furorum omnium, et ex optimis. Exoptimis
quidem, quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac
præſtantiſsi ma eſtomnium, quæcunq ſenſui offeruntur: nam et exquiſiciſsima
diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, et ſenſui omnium perſpi caciſsimo
ficobuiam.Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi
nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles
inquit:præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius
cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere
folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam
et in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, et
in primo de Moribus adNicomachum, Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus
eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine
ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe
facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt
Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus
in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur
ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem
intelligibilem dirigitur, huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, ut
PLATONE inquit in FEDRO: quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico,
Apollo uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur,
pulchrorum dux puerorum, eorumſcilicet animorum, quos pulchriuehementer
prouocat {pectaculü: quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in. dicari:
Nuncuerò quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt. Quod pulchritudo ſitex
eorumnumero, quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft.
Quòdautemmodum habeat eius qualita tis, quæ uidendifacultati obuia
ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam &pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis
fimulachrum ab una uidendi facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ
fecüdum ſuperficiemexcenta eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur
extenſionem, ſed temporis puncto ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft et
alia qualitas uilibilis,quæ tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis
allicit rapítque in borum.Id igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui
obuia eſt, imago acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in
bonum,reuera eſt Pulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur.
Cæterum pulchritudi nieuenit, ut delicata, utiucunda,utamabilis ſit.
Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat.
Amabi. lis,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon
ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo. Eſto
pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim. Quid tum poftea.Num continuò
ſequitur,bonum quidem genus ef ſe, pulchrūuerò ſpeciem? Alioqui& ſapiens,&
iuftum, et perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius ſpecies eſset.
Sapiensenim omnebonumeft, ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò neck
perfectum, negiuſtum, ne s fapiens boni ſpecies ſunt, alioquieſſent quoqſpecies
unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą Vnius
participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum eſſegenus,fiquidem
genus totum eſt: totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum eft genus,non
utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque impartibile eſt,
quemadmodum in Sophiſte declaratur. Sedagedum ſidetur bonum eſſegenus, quídnam
id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere poteſt,
quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ beneficio
uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio motusanima
eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio formæ
ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis autem
non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici poſsit,
perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum, neminem
inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt.
Nónneignieſseignem; bonumeſt:Atquis ambigat per formam,quieſt actus,
ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt: Ve
rùmalterūbeneficio uitæ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire
palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo
bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono
differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias, fibonuminuniuerſum
accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis, idipſumgenus effe:contender
tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed
quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem
rerum perfectionem. Atque id quidem affirmat recta ra. tione. Nampulchritudo
ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa
rationeexploditur. Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo, reuera
intima:quod ex co aſseritur, quoniam unum quod ąeſſentia conſtat. Hinc quidem
uidere poſlu. mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis. Ideas enim
ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas
diſtinctumeſt: quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata
non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere, ubi nam&quo pacto
lintideæ. Vtrumânt in eo,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel tanquamaccidés
in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in eo quod
perfici debet,uel-tãquam totum in toto,uel totum in partibus, uel pars in
parte, uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit.
Namgenus &ſpecies totius partium (habent ingenium. An ex diuiniPlatonis
fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce
aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo
per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò
eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex. Anueluti
forma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando
alterius beneficio noneſtactu. Sed neque tano accidens in ſubiecto. Quis enim
contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse
perſpicuum eſt,utignis, et terra, et cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq
tanquãin caufa effe. ctus, quandoquidemeſsent poteſtate. Nücuerò ideæ acti
funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet?
Namper feanimal uita ipfa,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam
totum in toto, neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt. Non enim
totum ſunt ideæ, quoniam multitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi
tanquam partemin parte 1 parte eſſe conMilanius, oportet quoque nos concedere,
tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius partes eſſe: Atcuiúſnam pars fu
eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali
tanquamin toto partes. At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens
Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per
ſeanimali. Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundi Opifex, continentur
in mundo, tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt
imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno
procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum, quæ uita dicitur,fit per
ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio
cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt. Totumenim& partes
ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū
ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi
ideæ ſunt. Ex quoli cetadmirari nõnullos: quicõminiſcunturideas aduenire
extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ. Quo genere peccarenul
lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio
quempiã laceſſendi (quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam
ſunt nonnulli, qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur, nõ
cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius, etſi alicubi
dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi
tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt
patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodum non nulli
ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt.
Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse
autemalicuius ſimulachrum, quodratione ac fapientia ſola comprehendi poteſt:
adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè: effe, inquam, animal
animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de Platonis fententia,id
exemplar quodmundi Opifex est imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum.
Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum: nam
ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia
quædamexterioreſtintimæ perfectionis: intimauerò perfectio ne ipſum per ſe
animal fit: quis non uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe:
Quomodo igitur idearu: Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt, tūetiã in libro
de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus SIGNIFICET,
quid ſit pulchritudo ubiſit. In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo
materia ſitamoris,an potins finis. Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen
tentia,pulchritudinemeſſe materiam AMORE. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non
tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare, fed tanquam
obiectum.AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta
uerò ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione
pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam
materiam eſſe tanquammatrem,efficiensuerò tanquam patrem,con tendunt
Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum. Sed non poſſum non uehementer admirari,
quihæcproferunt in medium, uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror
nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos
Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam. Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni
Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his
quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs
quæ intelliguntur inefleueritatem:intelligentiuerò ineſſeſci entiam,
ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit
intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas
ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem: Veritas enim ſci entiæ longè
præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin
undecimoRerum diuinarum, Expetibile, inquit, et intelligibile mouetnonmotum,
quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque
materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur.
Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc: Mouet icaqz
tanquamamatum. Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs
finis ipſius habere ingenium. Siitam expetibile &intelligi bile mouetut
finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe
poterit: At prima pulchritudo ſoli intellectui eſtobuia, quemadmodum oſtēſum
eſt,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum
quoddam eſt,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile. Poſſent &alia multa
afferri in me dium,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie
ctum nõ eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus,
quandoquidemijs, qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß
fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti
materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit.Nó fiūtaūtex
obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta. Quo euenit,ut obiecta
materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus
quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus. Expetibile autē
obiectõeſt, quo fit, ut bonum ut bonum obiectum ſit: Gaddas, obiectüeſſemateriam,
bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum, bonumipſummā
teriam eſſe: Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi,
tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit: bonum ueròde
pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum,bonumuerò
materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter
meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed
potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi
pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia: quo pacto Amorem
exoriridicendum eſt: Anubi primumcognoſcendi facultas, pulchritudinem ut
delicatam, ut iucundam,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur.Appetitus
enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac
per frui delicato, iucundo, AMABILE, utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú
circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera AMORE
eſtappellandus, hoceft, appetitus et deſideriū perfruendæ pulchritudinis. Huius
deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap. petendi:pulchritudo illud,cuiusgratia.
Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione declarabimus, exponentes, quid
nobis per Peniam fit intelligendum, quam eſſematrem AMORE affirmat ACCADEMIA.
Quod quidem euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſe materiam
AMORE. Nunquam enim dicit Plato, Venerem (quæ pul chritudinem ſignificat )
matrem eſse amoris, ſed potius amorem co, mitari ſequio Venerem, quippe
quiVenerisipſius eſt, in Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius,
non materiæ. Nonnulliſunt, quidicant, quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere
id quod ab eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē
hocipſum dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione
lubnititur (cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter
deſideransacdeſideratum congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem
nequit, utidquod deſide. ratur,à deſiderante quodammodonon participetur.
Alioqui nulla eſſet inter utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē
ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione
priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis
deſiderat. Quo fit, ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe
àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid
cognitione priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis.
Sed fortè dicent, nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,
deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit habere quodämodo
poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua
cognofcit. Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei
cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit. Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt.
Nobisſatis erit afferre in mediū,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim,
quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari: fed quę caſtūueritatis fecta
torējaſsertoreo decere arbitramur. Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper
proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus
igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē. Nãcognitionem eſſe
per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere. Cognitio.n.inipſum
cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio
nullā habet cumuiſione affinitatem. Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur,
ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut
poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur
naturam,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft,cognitionem eſſe
poſſeſsionem. Adhæc, uerum et bonūnonidē funt.Quod ex eo patere
poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur
cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi. Ex ueri perceptione aſseueratio
certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (uoluptas. Si igitur
cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret, uoluptatisquo particeps fieret.
Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no
perficit,fed appetētem.Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex
lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum:altera
uerò,hoceſtuoluptas, uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus
comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon
poſsidere,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò
declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici
debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut
propterea dicuntur ſimilia, quòdcerto quodã tertio participent (cuiuſmodico,
plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé
uiciſsim:quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem
Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis
contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè
inquit Plotinus. Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil
cum eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide
Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè
diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, et
cætera generis eiuſdem, fimilia et ipſa dici poffunt, tū ijs
quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin be Inic enim poteſtas quædam
ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã
efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde et
ARISTOTELE in undecimo Rerūdiuiuarū,Ěx petibile,inquit, et intelligibile
mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés:
Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto
deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi
deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur,
quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile
eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio
cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod
deſideraturno motūmoueat, deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id, quod
deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit.
Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò
&id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ
quoq nõ participare: Non ſunt quoqz ſimilia,eo quòd alterü alteri duntaxat
ſimile ſit:alio, quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet,autfaltē
imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue
eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre
cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem
alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat
igitur, si qua eft ſimilitu do,utdeſideras &id quod defideratur propterea
fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft
efficiés. Quã quidē fimilitudinēnemoeſt omniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat,
inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc
eſse: Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz
ſuum uerteretur. Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem. Nã
propterea effici ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis
aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem, nulla finispoſseſsio eſt: finis enimpoſseſsio
actu eft,poſse aūtmoueripotencia. Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu: do
poſseſsionēdicit. Adhæc lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo
poſsiderid quod deſideratur,id quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu
pofsidetbonū,habet quogiãactu &uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis
aūt afseruerit, deſiderãs quà deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:
Nãdeſideriūmotio quædã uidetur, quãdo motionis pricipiūelt. Voluptasaŭt
motionis terminus.Cõti getigitu ridē ſimulmoueri, acno moueri.Quod fieri nulla
ratione po teft:Ěxhis perſpicuñeſse arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare
ģddeſideratur.Verùmhæc paulo altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft
primūingenita cupiditate urūtur pociūdi illius: quip pe ex cuius
poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt autem quam uehementiſsime
ſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet:
Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius
cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio. Hæcquidem cognitio no
intelligencia eſt,non ratiocinatio,non opinio, ſiue cogitatio, nõ ſenſus
aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula
enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem,unde
uenerunt,libieſſeproperandum, indebonumuberri mèadfequutura. Hicquidem ſenſus,
quem Intimū Naturęgsappella mus, principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită
intelligēciāõpro cedat. Nãuita intelligentiaõ progreſsioeftin bonū.Progreſsio
aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi
piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior
cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim, quàmeft,præféntit ex
auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut
inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt.
Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis et ipſiusauctor eſt.
Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.
Effentie, in quit,animæ ipfius ingenita quedam ineft deorum cognitio,omniiu
dicio melior,antecedens electionem,ratiocinationem, demonſtrati onem omnem: quæ
quidem interexordia inhærens in propriam cau fam,coniúcta eſt cumeo
animæappetitu,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ
opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta
ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi,
meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca
proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium, quaſi
abextima intelligentia dirigantur.Namfieri nequit,utextima fit
cognitio,appetitusuerò intimus. APPETITVS enim cognitionem fequitur, eiuſdemqz
rei eſt cognoſcere et appetere. Huncienſum ue. teres Magiobſeruauere, hincopera
ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum
acline ſtrepitu appellauit. Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget
ope externorum, fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat. Qua propter mea
quidemfententia, quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet
ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas,
quibus nitătur (alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa
bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic et cómunisrerü omniūappetitus,quo
in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (quë nature ſensűrite nücupamus) ġd
bonü præſentiatur, neceſſe eſt. Hecquidē cognitio quéadmodūnā 1
eſtbonipoſſeſsio (alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius
poſsidēdi principiū:pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe
dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem. Quo fit, ut recta
rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête
cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam. Quomodoautem NON SOLVM
AMOR SED APPETENTIA omnis,media ſitinter idquodbonum eſt, atquenonbonum:
quidper Porum, quidper Peniam AMORE parentes diuinus Plato ſibi uelit, in
Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus
Pulchritudiném eſle Amoris finem, non materiam: declarauimus quoqs Amoremnullam
habere pulchritu dinis poſſeſsionem, quemadmodumnõnulli comminiſcuntur. In
præſentia declarandum eſt,quænam, qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem
declarato, uidebimus quinam, qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra
pulchritudinem ſit AMORE. Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm
totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam
expulchritudinisingenio amoris eſſencia,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem
ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum. Rurſus
intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum ſcilicet et obscurum.
Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura obuiam fit
intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in telligibilis,
ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò
intelligibile, quod nonnili in claro intelligi bili apparet: cuiuſmodi
mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant firmitatis.B, rõrinus
Pythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem inſcribitur,
Cogitatio, inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut et cogitabilemaius intelligibili.
Intellectus enim ſimplex eft,citra compoſitionem, id quod primò
intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra
compoſitionem aliorum primum. At cogitatio tummultiplex eſt, tum partibilis, id
quod fe cũdo intelligit: ſcientia enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne
ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac
uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex
quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari,
quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per
illud, quod dictur, Scibile, demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia,
cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata, non attinguntur quafi
recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili: fed per rationem,
et quandam,ut fic dixerim,ab ideis declinationem acdeſcenſum. Suntautē mathematare
uerafluxus eorum generum,quæcuque rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium,
idearum imagines, ex empla ſenſibilium,eandem habentia ad ideas
comparationem,quam habétumbræ et imagines in ſpeculis aduera corpora, quę&
àcorpo ribus profluunt, et in eiſdem,& beneficio eorundem, ſenſui fiuntob
uiam.Sicutig et mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, et i, dearum
beneficio habéntfirmitatem. Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū <
diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt.
Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam,
quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum,ut elementa, et reliqua corpora
naturalia. Obſcurum uerò,
quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit,tumetiamquatenusapparet.
Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ et à corporibus
naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur, necſenſuifiuntobuiam.
Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis ac imagines. Addunt Syneſius
et Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia,ad certam
intercapedinem integrum feruantia characterem.Quę nõambigunt mirisquibuſdã
machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm et
ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas
TARENTO (si veda) in eo libro, cuide intellectu et ſenſu titulus
eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri
uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē
tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus,
qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, quibus uniuerfam illam
rerum diſtributionem cognoſcimus. Quæom
nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando
legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in
quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur. Nam
ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur, noneftcurhæſitemus intelligibilis generiseſſe
ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum naturalium
ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul, necinter diuina cõnumerabimus
(quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia ſunt,
quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile longè
ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat manus
extremeratio ni: proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris ſit,
media quoơſciệtiã eſſe, cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut
credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid
enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum &umeft:
Intellectus fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil
prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus
eſt.Præterea et illud:deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud
genusanimæ eſſe időzſeparari, tan quamæternumà caduco. In primoautem de
partibus animaliumex erta uoce ait: Naturalem philoſophum non de anima
omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene
ratione animalium,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe, cùm
eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum
(quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo)
Naturalis, inquit,ip. ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam,quæcunque
non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur:
Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud: nobis
autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis
contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere. Proinde
aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque
Plato anima ipſam, quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin
de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum
Platonis,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura
tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi
uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias,
quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ
naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum
eſt. Fuite nim operæ precium de iis etiam fieri meditationem, quorumopus, et
organum natura eſt. Huncautem eſſe diuinū opificem,diuinamą. animam, PLATONE
afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis
effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius,
cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis necalieno indiget
adminiculo,utmaneat, et fuapte na tura intellectui fit obuiã. Eftenimuera et
abſoluta participacione, quicquid per femūdusintelligibilis eſſe dicitur.
Verūtamen animad uertendum eſt,animam propterea à mente declinare, quòduergitin
corpus. Quo fit,ut tumſui
ipſius,tumalterins dicatur eſſe, ut rectèin quit Proclus. Siquidem ipſius, quòd
eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem, quòdin corpus
propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit, utalteram quãdam animã
producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur,
quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum, quæ cunque cum materia
commnicandæ ſunt. Hæc in præſentia de animafatis ſint:Namin fequêtibus eius
philoſophiam uberrimècon. templabimur. Ergo animam rationalemègenere
intelligibili,irratio nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus. Quod etiam PLATONE
SIGNIFICAVIT IN TIMEO, appellans animam irrationalem mortale animæ genus;
mortale autem omneſenſui obnoxium eſt. In plenum colligere poſſumus,ſub claro
intelligibili animamrationalem, ideasý, hoceſtin telligibilem mundum,quamprimam
quoộmentem,primumens,ac perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla
rumuerò ſenſibile complectiir rationalem animam, complecti et om nia corpora
naturalia, cælum,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia, plantas,&
cætera generis eiufdem. Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis,
et fiqua ſunt alia id genus. Adhęc et ea profluuia corporum naturalium,de
quibus paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem
eſlepulchri tudines, quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem
intelligibilem, effe quoqj et ſenſibilem. Rurſusa intelligibilempul chritudinem
tumdarameſſe, tumobſcuram. Claramquidem, tum quæ mundi intelligibilis eſt,tum
etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe, quam in mathematis contemplari
poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ, tum
etiam corporum naturalium eſſe dicimus: quamquidem claram appellamus.Quęuerò
imaginümumbrarumã eft, et fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt.
Ergo pulchritudo mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda,
cuinihil non elegans admiſcetur, nonconcionum, undequaqcompofita, undequaqfibi
ipficonfentiens. Anime quoq rationalis pulchritudo coeleſtis acdi. uinadici
poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima
pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ,
tumetiam corporum naturalium,non fine materia eſſe poteſt. Anima enim
irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft, ut Plato inquit:
undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci
um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt, cæleſte ſcilicetacplebe
ium:coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi
intelligibilis ſit, ſiue mathematum,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò
univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter
amor,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ
pulchritudinis, plebeius et ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo
Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse
appe. 1 titum. titum deſideriumộ pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum
quoddameſt:bonumautem omne expetibile. Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat
appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur
acperfectiſsimus amor, circa primam pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per
feanimali primùm appa ret,ut pauloante dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa
pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin primam pulchritu dinem
incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis per ficitur
appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi
intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm
pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam,
in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ. Huiuſmodi autem conceptus, eius
facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft
effi cereEx. quo perſpicuum eſt, Amoremeffe principium producen di,quæcunq
diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina
producant extrinſecus pulchritudinem,ni. fi et ea quoqproduxerit, in quibus
apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut
defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut
in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu,quòd cæteriduntaxaruolup tate
contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam
efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio
pulchritudinis,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con
cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ,cu, ius eſt imago.
Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum (quam ſecundam animam
appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem:fed &ipſa per modum
feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam, in
qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini
ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi
bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur, quæ per modum
ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam
pulchritudinem, transfert in materiam pulchritudinis illius participationem,
quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo
amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium eſt. In omniautem anima
rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus
habet et ipſaſempiternum, quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis
imaginem. Anima enimquàanima,uicam alicui exhibere debet:quo fit, cùmfemper
animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe
corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid
corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt.
Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum, quod Vehiculum
appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan
quamPlotinus et lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ
ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. ARISTOTELE quo in fecundo libro de
Generatione animalium, Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus, ſiuepotentia, corpus
aliquod participare uidetur, idő magis diuinum,quàmea quæ elementa appellantur.
Ex quibus uerbis colligere poſſumus, Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio
nalialiquod effe corpus,quod cælo proportione reſpondeat. Quod etiam Themiſtius
in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat.
Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter
pulchritudinemin telligibilem,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias
af fectat. Quo euenit,utinanima
omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam et plebeius. Habet et alia ratione
utrun amorem animano ſtra. Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata
præcipitatina moremexplicandorum feminum,proindeq pulchro illo potiri im
potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a
moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi
huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro
nonadgenerationem, ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ
pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem
in diuinam pulchritudinem reuocatur, unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo
fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere
uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet: declaratum quoque quid fit
pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps: quòdpulchritu do
noneſtamorismateria,fed finis: quòd nonelt idex, necin ideis: quòd amor nullam
habet pulchri poſſeſsionem, ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum
atque non pulchrum: quod to. tidem ſunt amorum genera, quot pulchritudinum:
quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur, quo fit ut amor
partim plebeius, partim cæleſtis ſit: quòd in omni ani. ma rationali utrunque
amorem ſit inuenire, in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat, ut diuiniPlatonis fer e uc
uc monem interpretemur. Pauſanias apud ACCADEMIA laudaturus AMORE, improbat
FEDRO, quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus
honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt, oportet,inquit, declarare
nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem
laudedignus,qui bonus et àbono,& in bonum. Qui uerò necbonuseſt, neqz à
bono, neq; in bonum:tantum abeſtutlaudari debeat, ut etiam uituperatione ſit di
gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum,hunc ipſum bonū effe,nemoeſtomnium
qui ambigat. Contrà uerò, quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus
eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt.
Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt
amores. Amor, inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet
Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo
nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò,quæ Plebeia nuncupatur,
ex loueac Dio ne progenita: propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū
alter.cæleftis eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem: alter uero plebeius,
qui plebeiam comitatur. Dux,inquit, Veneres ſunt, hoceft,duo pul chritudinis
genera: ut Plotinum, alios omittamus. Nam Plotinus putat, Venerem eſleipſam
animam. Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à ACCADEMIA
dicuntur in Phædro, Venerem nihil aliud, præter pulchritudinem, SIGNIFICARE.
Cui quidem sententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit
illud Platonis, Furoris amatorñ patrociniū tributum eſſe Veneri, apertè
dicit,Venerem SIGNIFICARE pulchritudinem. Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum
afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia
probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem. Quod quidem etiam
obnixè contenderem, ni magnus Plotinus meremoraretur. Tantum enimei uiro tribuendű
cenfeo,utexiſtimem, huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio, fiue is
ſitNumenius Pythagoræus, fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum
facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag. nus Syrianus,quem Proclus non ſecus
acnumen colic. Ergo dug Veneres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint: quarum
alteramdi cit Cælo natam finematre: alteram louis Dionesof stirpem. Vetus est
dogma (cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt, Porphyrius, Amelius
Longinusadftipulantur) tria effe rerü omnium principia, Perſeunum,Mentem,
Animam. Aperſeuno eſſe Mentem, quam uocant Mundum intelligibilem, à Menteeſſe
Animam, ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus
elargiri unitatem: Mentemſiue mundum intelligibilem elargiricon
ftantiam:Animamueròmotum. Rurfus,per ſeunum quandoque Cælumappellari,
Mentemuerò Satúrnum, Animam lovem. His itaqz conſtitutis, poſſumus dicere, E Cælo,hoceft,
ex primo rerum omnium principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem,
ideſt, primam pulchritudinem, quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget.
Natam,inquam,exipſo per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in
quoeſt prima pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt. Natam porrò
ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto,
quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit enim ſecundum à primo, per
fimplicem quandam proceſsionem (ſicuti lumen à Sole prodit ) eius potentia
totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam ab intelle ctu,
et materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin git, ſex
rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum, Mundumin telligibilemn,Animam
ipſam,Naturam animæ inſtrumentum, Cor pusMateriam,. Infra autem noneſt
deſcenſus. Vnde et Orpheus, In ſexta, inquit, progeniecantilenæ ornatum finite.
Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato. Poteft &alia ratione,
acnondeteri ore fortaſſe, Venerem dici Cælifiliam eſſe. Namin CRATILO dictum
eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem: Saturnum purita tem
intellectus: Iouem uerò uiuentem, et perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus,
quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo
ſeipſum uidet, Saturnus, quali lit pura intelligentia, in ueritatem incumbens:
Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum
participabilem eſſe.Qui quidem dicitur mundi opifex, quandoquidem mundi
principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per
quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem
uita, quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui
in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo
ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur, quandoquidem
principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia
dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc
habet originem. Nam hicſenſus
princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis.
Pulchritudo ením uitam fequitur, ut dictumeft. Eft autem fine matre:
quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè
materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platone diſſentire,qui dicit,
Veneremcæleftem Saturni ſtir pem, fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam,quæ
àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere. Nuncuerò de
plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe,
afferens habere matré, quã Cæleſtis Venusnon habebat. Iupiter SIGNIFICAT mundi
animam, quemadmodūpatet ex his,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo
lupiter,citans alatū currum,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens.
Huncſequitur deorum dæmon umą exercitus, per undecim partes ordinatus. Solà
autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louem
eſſemundi animam. In Philæbo quoque dicit ACCADEMIA, In
magno loue eſſe regium intellectum, eſſe et regiam animam: lig. nificans,mundi
animam tumuninerſali intelligentia, tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo
Iupiter mundi anima eſt; ſecun, dùm Platonem. Dione autem Materia dici poteſt.
Anima enim quælupiter appellatur, mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget.
Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex
ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft.
Vnde et Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato
quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe
conſtituium: quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere
debet, mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė
diči poſsit: quando quidemand trüdros, hoceſt, à loue trahit originem. Eft
itaque plebeia Venus, louis Dioneső filia:quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo
tum pendet à mundi anima, cuius eſt inſtrumentum ad generationem, tum etiam
materiam mundo ne. ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd ſuopte
ingenio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia; quandoquidemi
cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria ſeiungiturubi, ueritatis
participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe ferre credendum eft. Ergo
cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint
ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pulchritudinis
Amor diuinuseſt: qui non folùm diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm
etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis
amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis, quando
pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum
omniumexplicationem: Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu
dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft: is At vero quid
prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam
nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enim
Hercules eſt: Herculis autem imagines complures. Vnde&illud ACCADEMIA in
TIMEO (si veda) in contro uerliam trahitur, propterea, inquit, munduseft unus,
quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe
poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum
imitetur: Ariſtoteles cùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium, ex tota ſua
materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo
eſſentia: non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures
contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia, femper amet eſſe
uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ
aſſumunt particulam: ut equus,utleo, et fi quaſuntalia generis eiuſdem. At uerò
quæcunqextota materia fua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis
funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles.
Vnde colligere poſsumus,materia copiam,multitudinemindicare ſingularium.Quod
etiam in undeci. Mo Rerumdiuinarum clara voce dictum eſt. Verumenimuero de
claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti.
mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum
nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo
finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum,non ex eo oftendit,
quòdmateria eſt una (quemadmodum LIZIO fecit ) nec exco, quòd mundi essentia in
corpus unum occurrat,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus
eſt præcognofcente cauſa,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse
unum, acceptumre. fert exemplaricaufæ. Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft et mundum
eſseunum. Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum, omnes
exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon
perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima
eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur, quid prohiberet, in
infinituma bire: At aſserere, ab uno opifice infinitos eſse mundos, ſtupidi
omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum, multa eſse quæ perfectiſsimè
exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem
perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in
perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent: Quaproptermeaquidem
ſententia, rectè adſtructum eft. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum
eſseu num. Acexemplareſſeunum, opificem unum, facilè oftendi poteſta Sienim
multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his
præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula
ualerent idem. Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio
perfectiuseft,nónne in id,quod eſt præſtan tius, ſemper opifex intuebitur unde
et cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum.
Quapropter recte dictumeſt à diuino PLATONE, Mundum propterea unum eſſe, quòd
exemplar unumimitetur. Quo fit, ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co
nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum, quòd exem plar unumimitaretur:
quando uidemus, exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit,
utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp
perfectiſsimus: cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum, autex
opificis de bilitate: autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani
marum ideameſleunam, opificem unum, huncés perfectiſsimum: complures
tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, et fiqua ſunt generis eiufdem, ideam
eſſe unam, complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non
eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum. Sed fingulas ani
mas, ſingulas habere ideas. Vnde et animæ omnesrationales, de ACCADEMIA
fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In
his,inquit,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe. At
intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe,ſecundùm Ariſtotelem facilè
dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius
in tertio libro de Anima dicit de mente LIZIO, intellectum illuminantem eſseu
num, illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi
ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter et animarum diſcurſiones, et
uitæ, ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum
eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam.
Soluitur et alia ratio.Nam propterealeoniseftidea una, exemplar unum, par
ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac
perfectum,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani,
et cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem. Quod etiam
Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens, ab homine et ſole hominem generari,
Hactenusdeclaratum eft, liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft,
quo pacto contingitmultitudinem in cidere. Nuncuerò reſtat, ut eirationi
reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines,
propterea quòd concin git finemeſſeunum:complura uerò, quæ illius gratia ſunt.
Nampul chritudò finiseft amoris. Dicimusigitur, id quod habetrationemfi
nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximè
expetibile. Qua propter quoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt
finis,reuera et primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem
legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus,
fed pro ſua cuiuſque facultate,expetitur,eſleid,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum, ubi plura
expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim
ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con
iuncta lint. Vbiuerò unumexpetibile, appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo
fit,cùm unum idem's omnibus commune bo, numſit, unum quoqlıtomnibuscommuneappetendi
genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt.
Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum,quod cùm primò bonum ſit,
omnibusadeſt, ſuntalia et bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus:
cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī, et fi qua ſuntgeneris eiuſdem. Rectè
igiturà diuino Platone dičtum eſt,totidem effè AMORE, quot ſunt Veneres. Venus
énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium. Cum igiturduæ ſint
pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia:
ſintóshæc genera duo expetibilium:neceffe eft, totidem quoq; effe
appetendigenera,qui duo ſunt AMORE. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius,
quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem AMORE esse materiam. Ex his ratio illa
facilè diffolui tur. Adftruitenim polito appetibili uno, contingere, ut
complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt, non tamen
continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam
pulchritudo fi unafit, etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle, unum
tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi
genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis
ſententiam èffe: arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem, alterum ple bcium
appellauit: quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur, altera
plebeia, accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus
ipſe ſitæſtimandus. Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis
inſunt, ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum, ſiue illius generis, quodcorpus
caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt
expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem,
ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius
pulchritudo, intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima
eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati
curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf: cung ſpecies ſortiatur,
ſiue deorum uitam uiuens, ſiue cæleſtem ac dæmonicam,fiuecorpus terrenum,
elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi
uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat
uniuerſi facultatem, quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres
Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima
omnis eft uniuerſum,. quin profuo efficiatingenio, ubicunq efficit. Hinc legas
apud Platonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam
diuinum,in animantium genere, fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis
conſtitutum. In ſeptimo quoc eiuſdem operis, Deus, in quit, omni beato
ſtudiodignus eſt:homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt,
hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur
dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus, fuo quodam modo
fit uniuerſum. Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat, hominis pulchritudinem
ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq;
huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio
amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum,niſi
quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem
talisaggreditur, quodcunqobtigit, ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem, quoni
amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra
fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli, materiçuicem
gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò,quoniã quandoquſą adeo
inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur, ut credat ſeibi generationé
conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in pudo.
rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan. doquidéanimus
diuina res eſt,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà diuino abhorret.
Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria exhibitură. Amatquo et potius
ſinementehomines, prudentes. Quoniam non facile est prudentes decipere, qui
mente ualentacnitunturratione. Non eft autem consilium, ea incommoda in
præsentia recensere, quod tales AMATORES suis AMATIS adeffe cupiunt.
Quidenimaliuddiu noctub cogitant, niſiquo pacto valeant voluptatem explere:
Vndeſiamati pauperes fuerint, sine necessarios, sine clientelis, lineamicis,
adheline omnianimi cultu, cuiusmodi sunt disciplinæ bonarum artium, sine quibus
nemo VIR magnus esse potest, deniam sine DIVINA PHILOSOPHIA, quæ homines facit
prudentissimos, miruminmodum gaudent, quasiex calamitatibus eorum suam felici
tatem auspicaturi. Qua propter improbandi, reiciendi, inſectandig ſunt, tanquam
maximè pernicioſi ac noxij, quippequi genus huma num maximis detrimentis,
bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirum fi legibus cautum eſt, nullo
pacto vulgares AMATORES audiendos esse, quasi impudentissimi
iniuſtissimiĝzlint: Huiusmodi igitur ac similium affectuum auctores tilla
SENSIBILIS PULCHRITUDO, quam Venerem plebeiam appellat ACCADEMIA. Trahitenim,
ut dictum eſt, rapitớs animam ad corpora (quod animæ maximum malum eſt) nisi
optimi moreš diuini acobftet PHILOSOPHIA, cuius beneficio veritatis partici
pamus. Atverò si PULCHRITUDO SENSIBILIS ſit instrumentum ad diuină
pulchritudinem, Venus cælestis VRANIA rectè dicitur: affectus õz ille, qui cir
ca hanc uersatur, AMOR quoque cælestis iure appellatur. Provocatau tem ad diuinam pulchritudinem, non fæminæ
pulchritudo, ſed maris. AMATOR enim diuinus, cùm probè nofcat fæminam
generationi deſeruire, in mare uero generationem expediri non poſle, abhorreat
autem penitusà generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret) fit utiqz
MASCVLÆ PVLCHRITUDINIS et fectator adeò et admirator: quippe qui pulchro uti
AMET, non tanquam in quo explicet seminalem pulchritudinem (quemadmodum euenit
plebeio AMATORI) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem, ac
tumdeinde in diuina mattollatur. Probat autem non pueros adhuc mentis expertes,
sed adoleſcentes, quimente valere iam cceperint. In certum eſt enim, an pueri
uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in primis VIRTVTEM, optimum (Banimi
habitum admiratur. Ergo adolescens ubi furentem amicum contemplatur, quàm omni
uirtutum genere abundet, non minus obferuare ac colere debet, in omne oble
quium paratissimus, quàm deorum immortalium statuas colendas cenfet. Scit enim
cumeo divinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibi cogitandum
efle, niſiquo pacto ualeat omne uirtu tumgenus explicare, ut diuino AMATORE
dignus AMATVS et uideatur et fit. Hactenus Pausaniæ sermonem explicasse ſatis
erit. Nam quæ dicunturde Aristogitonis et Harmodñjamicitia, quæíz deuarijsa
mandi legibus, tum apud græcos, tumetiam apud barbaros, explicanda alijs
relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſilium eft, quæ uideantur ad
Philoſophiam pertinere. Eros non è nato né immortale né mortale, ma nello
stesso giorno, ora fiorisce e vive, se vi riesce, ora muore, per poi
risuscitar, di nuovo. (Diotima a Socrate) Sigmund Freud, nella creazione della
psicoanalisi, dette un rilievo assolutamen- te centrale alla sessualità; per
essere più esatti le pulsioni sessuali, o libido, poi eros, rappresentarono uno
dei cardini portanti sui quali ruotò la metapsicologia freudiana, nonché la
ricostruzione delle dinamiche intrapsichiche e relazionali nelle loro
manifestazioni patologiche e non. Tutto questo è risaputo. È anche noto che al
riguardo Freud si richiamò ripetutamente all'eros di Platone. L'obbiettivo di
questo contributo è di sondare brevemente in quali forme e con quali significati
egli si riallacciò alla concezione del filosofo greco, se i richiami risultano
giustificati sul piano storico e filologico, e infine se fu la lettura dei te-
sti platonici a suggerire a Freud determinate valenze dell'eros; dunque se vi
sia una "paternità" platonica della rinomata concezione della
sessualità freudiana. Vi sono due indirizzi principali rispetto ai quali Freud
si appoggiò a Platone, che segnano al contempo due delle più importanti vie
della concettualizzazione della sessualità: l'una concerne la sua estensione
sul piano delle dinamiche psi- chiche; l'altra la sua trasposizione sul piano
biologico, a sua volta articolata in due filoni. Seguiamo la partizione
freudiana. Lo scudo della divina ACCADEMIA In Massenpsychologie und
Ich-Analyse, scritto e pubblicato, il concetto di libido, e con esso
l'estensione della sessualità in esso presupposta, è diret- tamente ricondotto
a tutto ciò che rientra nell'universo semantico della parola Liebe\ ove Liebe
va dal «Geschlechts-liebe mit dem Ziel der geschlechtlichen Vereinigung» fino
all'amore per le «abstrakte Ideen» Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, in
Gesammelte Werke, Libido ist ein Ausdruck aus der Affektivitatslehre. Wir
heifien so die als quantitative Gròfie betrachtete - wenn auch derzeit nicht
meBbare - Energie solcher Triebe, welche mit ali dem zu tun haben, was man als
Liebe zusammenfassen kann. Wir meinen also, dass die Spra- che mit dem Wort
"Liebe" in seinen vielfàltigen Anwendungen eine durchaus berechtigte
Zusammenfassung geschaffen hat, und dass wir nichts Besseres tun konnen, als
dieselbe auch SOLINAS Difendendo tale operazione dallo «Sturm von EntrUstung»
che sollevò, Freud si riallaccia direttamente a Platone: Und doch hat die
Psychoanalyse mit dieser "erweiterten" Auffassung der Liebe nichts
Originelles geschaffen. Der "Eros" des Philosophen Plato zeigt in
seiner Herkunft, Leistung und Beziehung zur Geschlechtsliebe eine vollkommene
Deckung mit der Liebeskraft, der Libido der Psychoanalyse, wie Nachmansohn und
Pfister im Einzelnen dargelegt haben. Diese Liebestriebe werden nun in der
Psychoanalyse a potiori und von ihrer Herkunft her Sexualtriebe geheifien. Il
tono essenzialmente difensivo del richiamo a PLATONE emerge in modo ancor più
esplicito nell'immediato prosieguo: Wer die Sexualitat fllr etwas die
menschliche Natur Beschàmendes und Erniedrigendes halt, dem steht es ja frei,
sich der vornehmeren Ausdrucke Eros und Erotik zu bedienen. Ich kann nicht
finden, daB irgend ein Verdienst daran ist, sich der Sexualitat zu schamen; das
grìechische Wort Eros, das den Schimpf lindem soli, ist doch schliefllich
nichts anderes als die Obersetzung unseres deutschen Wortes Liebe.
Considerazioni analoghe, e con la stessa identica intenzione difensiva, aveva
svolto del resto Freud l'anno prima, nella nuova prefazione ai tanto celebri
quanto discussi Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, quando ricordava a tutti
coloro che lo accusavano, indignati, di "Pansexualismus": «wie nane
die erwei- terte Sexualitat der Psychoanalyse mit dem Eros des gSttlichen
Platon zusam- mentrifft» Per individuare i dialoghi platonici cui si riferisce
qua Freud vi sono due elementi principali: i suoi precedenti richiami al
Simposio e il rimando ai saggi di Nachmansohn e Pfister. Quest'ultimo, nel suo
brevissimo Plato als Vorlàufer der Psychoanalyse presenta una panoramica
complessiva dell'eros nel Simposio delineandone la convergenza con la libido e
la sublimazione freudiane Nachmansohn nel suo Freuds Libidotheorie verglichen
mit der Eroslehre Platos, pubblicato fin dal 1915, aveva del resto già mostrato
che unseren wissenschaftliche Erorterungen und Darstellungen zugrunde zu
legen». Tutte le ope- re di Freud sono citate dai Gesammelte Werke,
Chronologisch geordnet, Frankfurt am Main. Assoun, Freud, la filosofia e i
filosofi, Roma [ed. or. Freud la Philosophie et les Philosophes, Paris 1976]
commenta: «L'Eros platonico è la forma originaria di quella sintesi che la
stessa psicoanalisi promuove attraverso il suo con- cetto di libido, Freud,
Vorwort zur vierten Auflage, Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW, rimandando
anche qui a Nachmansohn. 6 Cfr. O. Pfister, Plato als Vorlàufer der
Psychoanlyse, «Internationale Zeitschrift Air Psychoanalyse, qui p. 267 sg.:
nell'ascesa erotica descrìtta da Diotima si ritrova «ciò che Freud chiama
sublimazione.nel Simposio, ma anche nel Fedro e nella Repubblica, era contenuta
una conce- zione dell'eros equivalente a quella psicoanalitica, sia quanto
all'estensione se- mantica sia quanto al concetto di sublimazione 7. Le
coordinate testuali entro le quali si inscrivono i richiami freudiani sono
dunque rappresentate da questi tre dialoghi. Quanto al Fedro, Freud stesso
avrebbe di lì a poco adottato - tacitamente - la metafora del cavaliere quale
emblema dell'utilizzo da parte dell'Io dell'energia erotica dell'Es 8,
rielaborando così l'immagine della biga alata richiamata da Nachmansohn 9.
Quanto alla Repubblica, citata da Freud in riferimento al sogno 10, è stato
scritto molto rispetto alle affinità con la concezione psicoanalitica (in parte
intuite da Nachmansohn) 1 a cominciare dalla idraulica dell' epithymia, alle
modalità di gestione repressive e sublimanti del desiderio, all'analisi
dell'emersione onirica 12 ; tale questione ci allontanerebbe però dal nostro
tema perché più che di paternità sembrerebbe qui trattarsi di anticipazioni;
veniamo dunque al Simposio e cerchiamo di capire se l'estensione freudiana vi
trovi effettiva corrispondenza. Nel discorso di Socrate-Diotima ove è contenuta
la concezione che può esser considerata rappresentare quella di Platone, l'eros
si configura anzitutto quale forza sessuale in senso stretto, riproduttiva: è
in virtù di eros che uomini e Cfr.Nachmansohn, Freuds Libidotheorie verglichen
mit der Eroslehre Platos, Zeitschrift filr Àrztliche Psychoanalyse. L’ACCADEMIA
anticipa la concezione della libido e la concezione della sublimazione di
Freud: l'eros copre infatti tutte quelle manifestazioni che vanno dall'istinto
di conservazione alI'amore per la scienza. Freud, Das Ich und das Es, GW; Id.,
Nette Folge der Vorlesungen zur Einflihrung in die Psychoanalyse, GW, voi. XV,
p. 83. Sulla paternità platonica dell'im- magine cfr. tra gli altri A. Kenny,
Meritai Health in Plato 's Republic, in Id., The Anatomy of the Soul, Bristol
and Oxford Price, Mental Conflict, London and New York Nachmansohn, si richiama
alla Vernunft quale Lenker der Seele rimandando direttamente a Fedro, ovvero ai
passi del mito della biga. Sui richiami a Repubblica, cfr. S. Freud, Die
Traumdeutung, GW, voi. II/III, p. 70 e p. 625, entrambi aggiunti nel 1914, e
Id., Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse, GW. Cfr. Nachmanoshn:
«Die Sublimierungstheorie Freuds fìndet sich schon ausfuhrlicher bei Plato und
"der Staat" bringt noch eine noch auszubeutende padagogische Lehre,
um die Sublimierung des Eros in die Wege zu leiten». 12 Cfr. ad esempio W. Jaeger,
Paideia, voi. Ili, Berlin Popper, The Open Society and its Enemies, London 1
966, voi. I, p. 313; C.H. Kahn, Plato's Theory of Desire, «Review of
Metaphysics; A. Kenny, Price, Plato and Freud, in C. Gill (ed. by), The Person
and the Human Mind, Oxford, soprattutto pp. 261-3; J. Lear, Open Minded,
Cambridge 1998, p. 10 sg. e p. 108; M. Stella, Freud e la
"Repubblica": l'anima, la società, la gerar- chia, in M. Vegetti (a
cura di), Platone, La Repubblica, Napoli 1998, voi. HI, pp. 287-336. Ho cercato di affrontare alcune di
tali questioni in M. Solinas, Unterdriickung, Traum und Unbewusstes in Platons
«Politeia» und bei Freud, «Philosophisches Jahrbuch» 111, 2004, pp. 90-112.
animali «sentono il desiderio di generare (yevvav è7tt0i)u/n,o-Tj)» (207 a). Il
con- cetto viene quindi "esteso", sì da risultare il fondamento di
ogni tipo di amore, come emerge nella celebre ascesa erotica: se il giovane
all'inzio «deve amare (èpfiv) un determinato corpo», poi «bisogna far sì che
divenga l'amante (èpaornv) di tutti i corpi belli, e che allenti la veemente
passione per uno solo», in modo da poter amare «la bellezza ch'è nelle
psychai», esser «indotto a con- templare il bello che è nelle istituzioni e
nelle leggi», nelle scienze, fino alla contemplazione della bellezza in sé.
Così, il giovane che «è stato educato nell'eros (npòq xà èpamKà naiSaycoYtiGfì)
fino a questo punto» giungerà alla conoscenza; è perciò grazie alla forza
dell'eros che si può giun- gere alla philo-sophia. Platone si riallaccia così
alla precedente defini- zione della philosophia quale desiderio (epithymia)
erotico per la sapienza di cui si è privi (200 a-e). In sintesi, l'eros, volto
originariamente alla procreazione sessuale, grazie alle corrette modalità
pedagogiche adottate a livello extrapsichico, mostra di po- ter essere
modellato, plasmato intrapsichicamente, "sublimato" utilizzando il
linguaggio freudiano, sì da trasformarsi da forza sessuale in forza amorosa, in
eros-philia o Liebestrieb come potremmo dire 14. Da questo punto di vista la
vollkommene Deckung quanto a Herkunft, Leistung und Beziehung zur Geschle-
chtsliebe tra eros e libido individuata da Freud (come da Nachmansohn, Pfister
e più tardi da molti altri commentatori) si rivela sostanzialmente corretta;
sebbene la convergenza sul piano ontologico e filosofico-antropologico - non
debba essere spinta oltre i confini posti dallo statuto di Eros quale «demone
me- Seguo la traduzione di CALOGERO (si veda), L’ACCADEMIA, Il Simposio, Bari.
Freud attribuirà paritariamente a Goethe e Platone una concezione aitine a
quella della sublimazione in Freud, Goethe-Preis, GW: Den Eros hat Goethe immer
hochgehalten, seine Macht nie zu verkleinern versucht, ist seinen primitiven
oder selbst mutwilligen Àufierungen nicht minder achtungsvoll gefolgt wie
seinen hochsublimier- ten und hat, wie mir scheint, seine Wesenseinheit durch
alle seine Erscheinungsformen nicht weniger entschieden vertreten als vor
Zeiten Plato». Già A.E. Taylor, Platone. L 'uomo e l'opera, trad. it., Firenze,
pur accostando l'eros all'amore cristiano ne ribadiva l'originaria forma
sessuale ed istintiva di «desiderio bramoso. Tra i tanti crìtici si veda ad
esempio Dodds I Greci e l'Irrazionale, Firenze [ed. or. The Greeks And The
Irrational, Berkeley/Los Angeles/London 1951] che commentando il Simposio
scrive: Platone qui si avvicina molto al concetto freudiano di libido e
sublimazione. Nello stesso
senso va Tourney, Freud and the Greeks, History of the Behavioral Sciences; H.
Marcuse, Eros e civiltà, Torino [ed. or. Eros
and CMlisation. A Philosophical Inquiry into Freud, Boston, scrive che l'ascesa
rappresenta una «sublimazione non repressiva; VEGETTI (si veda), L'etica degli
antichi, Bari., senza rimandare a Freud, scrive che nel Simposio si tratta di
eros sublimato. diatore, e dal legame, invero assai significativo, tra
desiderio erotico e bellezza, originario in Platone, derivato in Freud. In
conclusione, la paternità storica della concezione freudiana della libido quale
estensione o ampliamento della sessualità spetta di diritto a Platone. Con
paternità però in questo caso non si deve pensare ad una influenza diretta del
pensiero platonico su Freud; la teorìa della libido infatti, sia quanto
all'adozione del termine (latino), che rìsale ai primissimi testi di Freud 17,
sia quanto al modello di funzionamento che ne permette la sublimazione,
anch'esso di antica data 18, non sembra infatti esser stata suggerita dalla
lettura dei testi platonici. Resta invece il fatto che Freud poteva
legittimamente farsi scudo dell'autorità della divina ACCADEMIA, e questa era
in verità la sua primaria intenzione, di fronte all'indignazione ed alle
proteste sollevatesi da più parti contro la sua teoria che attribuiva all'eros
si grande rilievo pressoché a tutti i livelli della vita psichica, rinvenendo
nell'antico filosofo greco un precursore. Platone levava ancora una volta alta
la sua voce, questa volta a difender però la potenza 'positiva' di un'energia
psichica, l'eros, per tanti secoli temuta quanto bistrattata, anche in suo
nome. Il discorso sulla "paternità" dell'eros assume invece un'altra
direzione ove si prenda in considerazione l'estensione della libido o dell'eros
al piano biologico; con ciò veniamo al secondo significato attribuito all'eros.
I due suggerimenti del Simposio Jenseits des Lustprinzips segna una tappa
fondamentale per la psicoanalisi perché in esso Freud inaugura la nuova
concezione dualistica delle pulsioni di vita e di morte (che qui tralasciamo),
attribuisce ad entrambe carattere regressivo, e adotta una concezione per cui
la pulsione sessuale, o libido, o meglio Eros, riportato sul piano cellulare,
viene identificato quale forza che «alles Lebende erhalt», garantendone la
potenziale immortalità. Quanto al carattere regressivo o funzione di riprìstino
attribuito (anche) alle pulsioni sessuali, Freud richiama esplicitamente «die
Theorie, die Plato im Symposion durch Aristophanes entwickeln làBt»: l'ipotesi
esposta nel mito, scrive, «leitet nàmlich einen Trieb ab von dem Bedùrjhis nach
WiederherstelCfr. ad esempio Freud, Dos Unbehagen in der Kultur, GW: Einzig die
Ableitung aus dem Gebiet des Sexualempfìndens scheint gesichert; es wàre ein
vorbildliches Beispiel einer zielgehemmten Regung. Die "Schoneit" und
der "Reiz" sind ursprttnglich Eingeschaften des Sexualobjekts». Cfr. Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della
Psicoanalisi, trad. it., Bari. [ed. or. Vocabulaire de la psychanalyse, Paris],
per cui il termine «lo si incontra a più riprese nelle lettere e nelle minute
indirizzate a Fliess e per la prima volta nella Minuta E. lung eines fruheren
Zustandes»^ 9. Egli sintetizza il mito ricordando che anticamente v'erano i tre
generi del maschio, della femmina e dell'androgino, in cui tutto era doppio
finché Zeus non si decise a tagliarli in due, per citare infine: Weil min das
ganze Wesen entzweigeschnitten war, trieb die Sehnsucht die beiden Halften
zusammen: sie umschlangen sich mit den Handen, verflochten sich ineinander im
Verlangen, zusammenzuwachsen. Freud rinviene dunque nel mito arìstofaneo,
legittimamente, un modello che soddisfa proprio quella condizione che egli
cerca di soddisfare, ovvero la funzione della pulsione sessuale di ripristinare
uno stato precedente, di raggiungere una meta antica 21. Con ciò abbiamo una
dichiarata ammissione di paternità storica dell'eros quanto al suo carattere
regressivo. Quanto all'eros "che conserva", Freud, sempre discutendo
il Simposio, non si richiama più direttamente ad Aristofane bensì al
Dichterphilosoph; questo sembra un indizio della sua consapevolezza perlomeno
del fatto che nel mito aristofaneo il discorso sulla separazione originaria
concerne esclusivamente la natura umana, l'eros non ha la valenza
biologico-universale attribuitagli da Freud (che ora vedremo), concezione che
si ritrova invece pienamente nel discorso di Socrate-Diotima. Egli sembrerebbe
dunque coniugare parallelamente le sue due nuove concezioni attribuite all'eros
e i due discorsi del Simposio: il ripristino grazie al mito di Aristofane, la
funzione universale grazie al discorso socratico; operazione che, sebbene
contravvenga in parte al dettato platonico, mostra che Freud sembra volersi
riferire ad entrambi i discorsi, ed è ciò che qua conta Freud, Jenseìts des
Lustprinzips, GW. Cfr. ACCADEMIA, Simposio, traduz. Wilamowitz-Moellendorf.
Freud scrive che non citerebbe l'ipotesi contenuta nel mito «wenn sie nicht
gerade die eine Bedingung errullen wUrde, nach deren Erfullung wir streben».
Anche Gould, Platonic Love, London, riporta l'interpretazione freudiana del mito
esclusivamente alla questione del «carattere regressivo»; cfr. anche P.L.
Assoun, Finita la citazione prosegue Freud, Jenseits des Lustprinzips, cit., p.
63: «Sollen wir, dem Wink des Dichterphilosophen folgend, die Annahme wagen,
dass die lebende Substanz bei ihrer Belebung in Ideine Partikel zeirissen
wurde, die seither durch die Sexualtrìebe ihre Wiedervereinigung anstreben?».
Ove la liceità agli occhi di Freud di una coniugazione dei due discorsi
verrebbe confermata dall'osservazione per cui rispetto al mito, Platone «sich
nicht zu eigen gemacht, geschweige denn ihr eine so bedeutsame Stellung
angewiesen natte, hStte sie ihm nicht selbst als wahrheitshaltig
eingeleuchtet», ivi, p. 63, nota aggiunta; interpretazione che come sappiamo si
scontra irrimediabilmente con la negazione da parte di Socrate della concezione
del ripristino dell'unità originaria di Aristofane, cfr. Simposio. L'idea guida
dell'eros quale forza che alles Lebende erhàlt, assicurata dall'estensione
delle pulsioni sessuali alle singole cellule, è garantire una «potentielle
Unsterblichkeit» alla materia vivente (se si vuole: mortale): das Wesentliche
an den vom Sexualtrieb intendierten Vorgangen ist doch die Verschmelzung zweier
Zelleiber. Erst durch diese
wird bei den hoheren Lebewesen die Unsterblichkeit der lebenden Substanz
gesichert. Così, con taleAusdehnung des Libidobegriffes auf die einzelne Zelle
wandelte sich uns der Sexualtrieb zum Eros, der die Teile der lebenden Substanz
zueinanderzudràngen und zusammenzuhalten sucht» 2 ^; la sessualità converge
quindi con «den alles erhaltenden Eros», «mit dem Eros der Dichter und
Philosophen. Nel corso degli anni tale concezione
verrà conservata e ribadita per sempre da Freud, di contro a quella del
riprìstino più tardi abbandonata, e ricondotta anche in seguito esplicitamente
al Simposio: nel 1924 ad esempio scriverà che «was die Psychoanalyse Sexualitat
nannte, deckt sich mit dem allumfassenden und alles erhaltenden Eros des
Symposions P/atos», che le pulsioni sessuali vengono chiamate «erotische, ganz
im Sinne des Eros im Symposion Piatosi 1. So wilrde also die Libido unserer
Sexualtriebe mit dem Eros der Dichter und Philosophen zusammenfallen, der alles
Lebende zusammenhalt. Tale concezione era esplicitamente compresa anche in
Freud, Massenpsychologie und IchAnalyse, ove Eros alles in der Welt
zusammenhalt; si veda anche Freud, DAS ICH und das Es, GW; Id., Hemmung,
SYMPTOM und Angst, GW, voi. XIV, p. 152; Id., Das Unbehagen in der Kultur, GW;
Id., Die endliche und die unendlìche Analyse, GW, (ove è ripreso Empedocle di
GIRGENTI (si veda)); infine nel Abrifi der Psychoanalyse, GW, Freud ribadisce:
meta dell'Eros è «immer grofierere Einheiten herzustellen und so zu erhalten,
also Bindung» (Empedocle è ivi ripreso nella nota 2); egli abbandona invece
esplicitamene il carattere regressivo delle pulsioni erotiche: quanto alla
formula «dass ein Trieb die Rttckker zu einem fruheren Zustand anstrebt», «Fttr
den Eros (oder Liebestrìeb) kònnen wir eine solche Ànwendung nicht
durchfuhren». In nota chiarisce: «Dichter haben Àhnliches phantasiert, aus der
Geschichte der lebende Substanz ist uns nichts Entsprechendes bekannt»; è
scontato il rimando al mito aristofaneo. Freud, Die Widerstande gegen die
Psychoanalyse, GW: «was die Psychoanalyse Sexualitat nannte, [deckt sich]
keineswegs mit dem Drang nach Vereinigung der geschiedenen Geschlechter oder
nach Erzeugung von Lustempfindung an den Genitalien, sondern weit eher mit dem
allumfassenden und alles erhaltenden Eros des Symposions Piatosi.Freud, Warum
Krieg?, GW: «Wir nehmen an, dass die Triebe des Menschen nur von zweierlei Art
sind, entweder solche, die erhalten und vereinigen wollen, - wir Ora,
l'attribuzione di Freud trova effettivamente riscontro nel discorso di
Socrate-Diotima. Ad un primo livello eros si configura quale causa ultima che
spinge gli uomini e «tutti gli animali della terra e del cielo dapprima ad
unirsi l'uno con l'altro (av\i\iiyr\\ai àXXi\\ov;) e poi a curarsi
dell'allevamento della prole» 32. Platone amplia quindi ancor più il discorso:
«la natura mortale cerca, per quanto può, di divenire eterna ed athanatos. E
può riuscirvi solo per questa via, la via della generazione (xfj yevéoei),
perché essa lascia sempre dietro di sé un altro essere nuovo in luogo del
vecchio» 33 ; ove «ogni singola creatura vivente non conserva mai in sé le
medesime cose, ma si rigenera di continuo, deperendo in altra parte, nei
capelli, nella carne, nelle ossa, nel sangue e in tutto quanto il corpo» 34.
Conclude Platone: in virtù di tale incessante generazione «si conserva
(oró^exai) tutto ciò che è mortale, non col restare sempre assolutamente
identico, come il divino, ma in quanto ciò che invecchiando viene meno lascia
al suo posto qualcosa di nuovo e simile a sé. Con questo espediente, o Socrate,
il mortale, sia corpo sia ogni altra cosa (icori a&\ia icori zàXXa nàvxa),
partecipa dell'im-mortalità» 36. Eros viene dunque esteso a forza biologica
universale che "unisce" e "conserva" «ogni cosa» mortale
(se si vuole: vivente) garantendone la relativa e potenziale immortalità grazie
ad una sorta di macro-duplicazione, la generazione della prole, e ad una
micro-duplicazione, concernente ogni singolo elemento dell'organismo; Platone
dischiude così la via che nel XX secolo sarebbe stata battuta dall'estensione
biologico-cellulare freudiana dell'eros (che si appoggiava anche sui risultati
della giovane microbiologia di Weismann, Woodruff etc, dunque sui processi di
duplicazione» cellulare). heiflen sie erotische, ganz im Sinne des Eros im
Symposion Platos, oder sexuelle mit bewuBter Oberdehnung des populàren Begriffs
von Sexualitat, - und andere, die zerstoren und tdten wollen. ; esordisce qui
Diotima: Quale credi, o Socrate, che sia la causa di questo amore e di questo
desiderio (ocinov et vai xornot) xoO epco-Eoi; Kai tt^ èjtiG'uu.iaq)?», per
proseguire: «Non ti accorgi del tremendo stato di tutti gli animali, della
terra e del cielo, ogni volta che sentono il desiderio di generare, ammalandosi
tutti e assecondando l'impulso erotico (èpatiKcòc, Siaxi8é|XEva), che li spinge
dapprima ad unirsi l'uno con l'altro e poi a curarsi dell'allevamento della
prole?».: «fi 8vnxT| <pv>oic, £nxeì icona tò 8waxòv àtei xe etvai icaì
àOavaxoC;. StivaTal 8è xavun uóvov, xfj •yevéaei, òxi òeì KaxaXeinei èxepov
véov àvxi xoù naXaiov àXkò. véoc, àeì yiyvónevoc,, xà 8è ànoKKòq, Kai Kaxà xàc,
xpixac, sai oàpKa Kai òaxà Kai atna Kai aonjiav xò oiòua», sull'apparente
manchevolezza del testo cfr. PUCCI (si veda), ACCADEMIA, Opere complete, Bari:
«àXXà x$ xò àitiòv Kai 7taAxtiov)ievov exepov véov è^KaTaXelneiv otov ainò fjv.
Sulla natura
inconscia del desiderio cfr. Comford, THE DIVISION OF THE SOUL [CF. H. P.
GRICE, THE POWER STRUCTURE OF THE SOUL] The Hibbert Journal; Price, Plato and
Freud; t. Gould. Cfr. Freud, Jenseits des Lustprinzips,
cit., pp. 46-61.Riepilogando, si deve attribuire al dialogo platonico, sia
quanto al ripristino arìstofaneo sia quanto all'eros che unisce e conserva, la
paternità della concezione adottata da Freud. In questi due casi però, rispetto
alla prima estensione del concetto di sessualità, si tratta di una paternità in
senso stretto, nel senso che Freud sembra aver ripreso direttamente da Platone
le due idee. Ad avvalorare tale ipotesi vi sono i seguenti elementi. Rispetto
al mito di Aristofane, va riconosciuto che esso, citato già nel 1833 in una
lettera all'allora fidanzata Bernays, è attestato nel corpus fin dal lontano
1905, quando Freud vi accennava nei Drei Abhandlugen zur Sexualtheorié 39 ; si
tratta dunque di una presenza (scientifica) di antica data che dopo circa
quindici anni si sarebbe andata come a solidificare in una delle teorie
biologico-filosofiche più ardite dell'intero edificio psicoanalitico. Quanto
all'eros quale forza che conserva è degno di nota sottolineare che fin dal
1910, nel suo Leonardo, Freud aveva assunto quasi tacitamente una tale
concezione ove scriveva di sfuggita che Eros «alles Lebende erhalt» 40. Ora, fa
pensare il fatto che circa tre mesi prima dall'inzio di VINCI (si veda), Freud
cita il Simposio nel saggio Sull 'uomo dei topi; discutendo del rapporto tra il
fattore negativo dell'amore e la componente sadica, in modo a dire il vero
sorprendente Freud citava in nota le parole pronunciate da Alcibiade nel
dialogo platonico: «"ja oft habe ich den Wunsch, ihn nicht mehr unter den
Lebenden zu sehen. Und doch wenn das je eintrafe, ich weiB, ich wtìrde noch
viel unglucklicher sein, so wehrlos, so ganz wehrlos bin ich gegen ihn,"
sagt Alkibiades iiber den Sokrates im Symposion» 41. Se da questa citazione,
per l'appunto inaspettata ed estemporanea, è lecito presumere che Freud avesse
riletto o perlomeno ripreso in mano il Simposio, è altrettanto lecito inferire
che l'idea di Eros quale forza che «alles Lebende erhalt» espressa appena tre
mesi 38 Cfr. S Freud, Lettere alla fidanzata e ad altri corrispondenti, Torino,
lettera a Bemays, Vienna: «Ormai non riesco più a sopportare la compagnia,
tanto meno quella della famiglia, sono soltanto un mezzo uomo come dice
l'antica favola platonica che tu certo conosci, e la mia sezione soffre non
appena sto senza far niente. Freud, Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW:
«Der populàren Theorie des Geschlechtstriebes entspricht am schònsten die
poetisene Fabel von der Teilung des Menschen in zwei Halften Mann und Weib -,
die sich in der Liebe wieder zu vereinigen streben». 40 S. Freud, Etne
Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, GW, discutendo della castità degli
scritti postumi di VINCI (si veda) scrive che tali scritti weichen allem
Sexuellen so entschieden aus, als w8re allein der Eros, der alles Lebende
erhalt, kein wtlrdiger Stoff Air den Wissendrang des Forschers». Il termine
Eros era stato utilizzato da Breuer: cfr. Breuer e Freud, Studi sull'isteria,
in Opere Complete, Torino (la parte di Breuer è assente nell'edizione degli
Studien iiber Hysterie edita nelle Gesammelte Werke. Freud, Bemerkungen iiber
einen Fall von Zwangsneurose, GW; cfr. Simposio SOLINAS dopo gli venne
suggerita proprio dalla recente rilettura del dialogo platonico. In questo caso
si tratterebbe dunque di ben più di una solo eventuale "Kryptomnesie"
dovuta all'ampiezza delle sue lontane letture giovanili, come quella tirata in
gioco laddove Freud - rinunciando garbatamente e felicemente all'originalità
riconosceva ad Empedocle la paternità storica della sua teoria dualistica 42.
Sembra dunque che il Simposio, dalle sue timide comparse del 1905, del 1909 e
presumibilmente del 1910, abbia poi più o meno silenziosamente, più o meno
inconsciamente continuato a lavorare nella mente di Freud per riemergere infine
con l'ampia revisione della concezione della sessualità di Jenseits des
Lustprinzips del 1920. In questo caso però, sia quanto al carattere regressivo
sia quanto alla funzione biologica, la "paternità dell'eros" non
sarebbe più solo storica, né si tratterebbe più dell'utilizzo dell'autorità
della divina ACCADEMIA quale scudo contro le proteste sollevate dal risalto
dato alla sessualità: sembrerebbe invece trattarsi di una paternità in senso
stretto, di un'influenza diretta esercitata dal Simposio, sviluppatasi e
sedimentatasi col lento trascorrere degli anni. Possiamo allora concludere
affermando che da una o verosimilmente più riletture del dialogo dell’ACCADEMIA
sia scaturita una decisiva rielaborazione di una delle concezioni della
sessualità, dell'eros, se non forse tra le più originali in assoluto, di certo
tra In Die endliche und die unendliche Analyse, GW, Freud scrive della sua
teoria pulsionale dualistica, che incontrava ancora resistenze: «Umsomehr
musste es mieti erfreuen, als ich unlàngst unsere Theorie bei einem der groflen
Denker der griechischen Frtthzeit wiederfand. Ich opfere dieser Bestàtigung
gern das Prestige der Originalitat, zumai da ich bei dem Umfang meiner Lektiire
in fruheren Jahren doch nie sicher werden kann, ob meine angebliche
Neuschòpfung nicht eine Leistung der Kryptomnesie war». Freud procede quindi
nell'accostamento: «Die beiden Grundprinzipien des EmpedoMes - cpiAla und
veìkck; - sind dem Namen wie der Funktion nach das Gleiche wie unsere beiden
Urtriebe Eros und Destruktion", ove philia ed Eros (come rispetto all'eros
del Simposio) hanno in comune la tendenza «das Vorhandene zu immer grOfieren
Einheiten zusammenzuffassen». Empedocle è ripreso anche in Abrifi der
Psychoanalyse, GW. Sull'accostamento cfr. per esempio G. Tourney, Empedocles
and Freud, Heraclitus and Jung, «Boullettin of the History of Medicine, e Id.,
Freud and the Greeks. le più discusse e significative del XX secolo. Si rivela
così, ancora una volta, la forza e la fecondità di un passato antico, che,
anche perché tanto amato, sembra morire solo per poi rinascere, di nuovo. D.
con un panegerico all’ more ET CON LA VITA DEL DETTO filosofo,fatta daVarchi 07
^ V H.I V I L E G IH VINEGIA AP PRESSO G A fi A 1 1 R GIOLITO DE FERRARI. fa
AMORE D. O NON DVBITO douer’ eflere molti, e quali dannino me hauere IN LINGUA
VOLGARE trattato de profondi rmlteni deH’amore, opponendo il decreto de gli
antichi Pira» v- A ii gorici V fecondo il qua. dè cito comunicare al uulgo,
come alletto, Je cole diuine, non ientendo d’effe rettamente ; il quale per non
hauere feruato Hippafo Pitagorico, fu morto. Noi rifpondiamo cffer di due
nature nomi: altri formati nell’animo da effe cofe, et interiori: altri
fabricati dall’artifìcio humano, &efteriori. Quelli effere a placito, et
però diuerfi, appreffc diuersè'nàtioni. Quelli per natura, et appreffo ciafcuno
e medefimi. De nomi interiori comporli lo eloquio interiore v Delli efteriori
formarli lo efteriore. Et quella crediamo effere la fententia del diuin Platone
conlèntientifsima ad Arillotele, come ajtroue dichiararemo. Sendo adunque
ilfermone/fteriore imagine, et « r s nota del fermone interiore: nòti tjeggo,
perche cagione fi debba (bt T t’entrare a maggiore calunnia ^parlando, et
fcriuendo delle cofe diuine in lingua Tofcana, che in qualunque altra lingua.
Crediamo piu.tpfto, che fia da riguardare al modo del trattare. E però li
Egitii fotto for me di diuerfi animali nelle colonne di Mercurio, da chi et
Pittagora, de Platone imparorno la Filosofia, e Pitagorici fotto uelami
Matematici, et li antichi Theologi fotto moftruofi figmenti occultorono le cofe
diuine, et la natura. Noi, benché habbiamo trattato delle medefimecofe fuori di
uelami, et di figmenti, non di manco ci confidiamo non douere efleregiuftamente
dannati del peccato della profanatone. Tu adunque leggerai quanto c'èoccorfo al
prefente dire de mifterii del lo amore: et penferai le cofe diuine tanto
fuperarele menti noftre, che fpeffo ci fia neceffario altrimenti par lare
d’effe, altrimenti intendere I T"' C A NATYRA corporale. nulla contenere 1
m fi dt aero, ma al tut % toeJJìreimagmaria,Q urna, chiaramente diira la
perpetua uarietà s fp) m u t at iolacuale in ejfa appare. Imperoche U V 8 L I B
Ti 0 uerita delle cofe fi dttermina una fermtZc za, ffi) una permanenza. Per
laquale efi fa fimpre flando ferma in uno ejfire quelte medefime nel medefimo
modo in natta uariate s'offerifiono,a chi le contempla, la natura corporale per
un filo momen tò di tempo non conferita l'ejfer filo facendofi in ejja continua
generatione, ff) cor ruttione. llche Her adito non filo attrihuìfie a tutti i
corpi, che fino fitto la Luna, ma ancora al Cielo, ft) alle [Ielle: le quali
fino tanto piu perfette, che gli altri corpi y quanto piu fi apropinquono alla
natura dell'anima. Onde come uicini alla. rdiumitdyhanno meritato d’efier
chiamati corpi diurni. Et pero riguardando alcuni fittilmente affermorono tale
openione ef fire approuata dal diurno c Platone nelTi meo. Quafi ejfo uoglia
non fi potere attribuire al corpo l'effere, ma piutofto il M° fife VT“1 T K I
M:0. p flujjo, {fi la gener attorie. La cagione di tal fluffi, e la mattria t
della quale fino compofti tutti e corpi co fi celefh come terreni. Laquale
qualche uolta ci s'apprefin partecipe dello flato, permanentia: Inquanto dalla
forma, che fi riceue m effd in un certo modo e contenti ta qualche uolta come
del moto: inquanto per fua natura fugge l'ejfere, {fi la cognitione, hauendo
firn prefica la contrarietà $ V infi abilità, la uarietà Il che forfè fi gnu
ficorno li antichi Theologt per la fauola di 7 roteo: qua fi come Proteo fi mutaua
in diuerfi forme, bora in fiamma, bora in acqua, bora in leone, bora in forma
di qualche altro animale: cefi la materia fia atta, {fi pronta al rteeuert
tutte le forme f non fi partendo pero mai dalla fua natura. Et perogli antichi
Pitagorici,confiderato tal propor tione. hauer la materia 4 io L 1 2J ^ 0
corpi; quale ha la dualità a numeri non duhitorono chiamare la materia dualità.
Laquale fendo la prima diuifeone, ft) principio d'ejja, ancora chiamorono
l[ide, ffe Diana. 'Ter che come Diana, è flerile y fecondo dice ‘Tlatone nel
Thettheto, co(i ancora la prima dualità, fendo principio della diuerfetà, della
inequalitàydella dtfsimilitudine, è priuata d'otri anione; oue confifie la
fecondità di tutte le cofe. Se adunque la natura corporale e partecipe di tanta
imperfettione y chi non uede effeer neceffario [opra ejja ejfere un'altro
principio y ilquale la regga, ffe la contenga: pendendo fempre l'imperfetto da
quello y che e perfetto ? Et però Democrito, ffe) glabri y che l'hanno
feguitato y cioè Leucippo y ffe) l Epicuro y fecondo il mio parere y meritano
non ejjèr uditi. E quali ponendo principucorporab tndiuifìbili, ma didiuerfe
> P £ 1 AÌ 0 7 / di dtuerfe figure chiamati da loro Storni, vogliono tutte
le cofe efftr compofte d'unó fortuito concorfo d'e/si. "Dicono adunque di
quegli, che hanno figura circutare, e fi fer compofta l'anima: de gl' altri
Trian gulariy Quadrangulari, ft) fimilt efjtre compofta la uarietd delle altre
cofe: nferuando ciaftuna cofa la Natura la potentia fimile a quegli atomi, di
che effe fufsi compofta. Dicono ancora le cofe per tanto ffatio di tempo
conftruarfì in effere, per quanto m luogo di quelli atomi, che continuamente fi
partono y fàcce dono altri della medefima Telatura. ISoi al prefente
pretermetteremo dichiarare efftr' impo fi ftbile il Cielo y gl' Elementi y gl'
animali, le piante, ffij tutta la ‘Natura, o uuoi fecondo l'effere, o uuoi
fecondo la confiruationc pendere da alcuno fortuito concorfo ; firnpre
apparendo mamfeft amente per tutto 12 L IV Itoor dine y ffi ragione. Solo
diremo noi uedere di tanto maggiore potentia, ffi) di tanto maggiore efficacia
ejfir le co fi, quanto fino piu umte\ffi quelle effitre di mafsima poten
tia,{fi di mafiima efficacia y cbe fino mafsi inamente unite: onde per quefto
ejjd unità bauere infinita potentia y infinita ef ficacia: come autore, ft)
principio dogni unione. Sendo adunque la moltitudine infinita al tutto
oppofìtaalla fimplicifiima unità, ft) però pnuata dogni modo dat itone come
potrà dire rettamente Democrito l'infinita moltitudine delli atomi e fi fir
principio delle co fi: determinandofi infinita debilità: della quale nulla y e
piu oppofito alla ISlaturXdd principio t p'TOi M à. ai C » * N \ M ' ' ' k*
< ' rama E l numero de corpi alca 1 1 m fi muouono f er ‘Vfytura} I j$J|^ Ì
come il fuoco, Varia, taci qua, ft) là terra ft) quegli, che fin compofh
d'efit, de quali il fuoco, ft) l'aria, come leggieri, fi muouono in sùi
dfioftandofi fimpre dal centro \V acquei, {fi la terra fi muouono in giu
cercando fimpre il centro. ^Alcuni altri non filo fi muouono come quelli >
ma ancora utuono ; ft) quefto per uirtù di un principio, ilquale efii hanno
dentro chiamato meritamene te anima. Fra t corpi, che hanno Inulta, alcuni fin
contenti della uirtù nutritiua, come fino le piante, le quali non hanno bifogno
della potentia del fintire, come ne cefiaria alla loro filiate, ma fitte in
terra colle radici, quali hanno in luogo di bocca tirano il fro nutrimento ;
alcuni fino dotati della potentta del fintire, per la quale conofcono quello,
che a fi e dilettabile, o tnfitfico \ (fi della facultà, perche efii da un
luogo a un'altro fi tramutano. Imper oche hauendo a cercare l'alimento, è
neceffario efii hauere unauirtù: per laquale pofimo y o fuggire, o fi giure
quello, thè giudicono ejfire m fuo danno o falute. Sono ancora altri poflt in
mezo delle piante ; (fidi quelli y che hanno il /enfi, (fi la facultà del
tramutar fi come ricchi, (fi fimili chiamati Zoofiti y quafi fieno partecipi
della natura de gli animali, (fi delle piantf: tquali contenti filo del [enfi
del tatto ; fendo loro fimmintflrato competente nutrimento, Hanno fempre, come
immobili y in un mede fimo luogo. Oltre a tutti quefti e thuomo grandifiimo
miratolo, come dice ^Mercurio 9 animale atramente . *s r amente degno d'efèr
Inonorato, ft) adorato ; tlquale aogmgne alle predette potenzile la fi acuità
dell' intendere: per lacuale ripieno di dtumità JpeJJò diuenta filmile 4 gli
T>ij: ma, Jenoi confedereremo rettamente, diremo wfeeme col diuin r
L’ACCADEMIA il Cielo, ft) le fttUe ejfeer donate della aita, fife
dell'intelletto. Quefto dtmoflra un perpetuo tenore di fare fimpre le medefeme
cofe, ft) nelmedefemo modo, già incominciato per gr andi fimo fpatio di tempo
per durare per l'auenir e fenza errore, fenza impedimento, quale e nel Cielo, nelle
flette; le quali col fio diurno moto, quafe un batto magnificentifi. di tutti e
batti, a tutti gli altri ammali donano la generatone, l'ejfeentia>{t) la
aita. Oltre a qucfio ancora 1 lo dimoftra la marauighofa bellezza, ft) per
fettone, laquale in efii ueggiamo affermare l'huomo, il quale ha il corpo
caduco, J -t6 L 1 ® x 0 (p) fittopofto a infinite off e fé-, batter la uU ta y
ft) lo intelletto ; e'I [telo, le (Ielle, onde pendono gltaltri corpi effirne
pri» uo; e d'huomo al tutto ftohdo, mfinfato. Ma chi confiderà la grandezza
loro, chiaramente cono fie e fiere impofitbile efii potere effère mofii
pertanto tempo o dal cafi o da impeto alcuno corporale o da cagione eftrmfica
ft) uiolenta: anzi mouen. do fi tanto efi/ufit amente, è necefidrto tal moto
procedere dall'anima diurni fitma. Onde ficur amente fi può affermare il Qelo,
q) le [ielle efier compofie di corpo, ft) d'anima ; ve da altri, che dall'anima
il corpo loro efier prodott, ft) gouernatp.St però giudicheremo efii douerfi
chiamare non filo cofe diurne 9 ma ancora T)ij.Ma fi noi pigliamo filamente il
corpo loro y fiparandolo dall'anima, affermeremo effere statue degli Dij,
fabricate da loro di materia PRIMO. n di materia prtfìantifeima, ffe con mar
auigliofe artificio, legnali per effer polle in luoghi nobilifeimi fendo
bellifeime, ripiene di uita.debbono effere in maggiore ue ner adone, che
qualunque altra featua come efquifite imagini della diuimtà. Se adun eque il
corpo animato è piu perfetto, che quello y che non ha l'anima: perche quefeo non
urne, quello uiue, ffe) fra Rianimali qUello y che ha facultà di intendere è
piu preflante, che gli altri ; ffe quello, che intende mafeimamente è
prefìantisfimo: Viuendo, ffe intendendo il Cielo, le felle, l'huomo, faremo
coferetti confejfare efei efeer piu prefi anti, che chi non uiue, ftf intende.
Onde fe l'umuerfe è priua to della uita,{t) dello intelletto,gh ammali uerranno
ad effer piu nobili, che l'umuerfe ; di che nulla può effere piu aJfordoSPer
Lqual cofa come l'uniuerfe e prefìantifei; 2 o mo di tutti i corpi non
lafciando fuori di fi corpo alcuno. Ma come fuoi membri con tenendoli tutti.
Cofi è nectjjario effo haue re nobilifiima anima > capo, ft) guida di tutte
le anime: per beneficio dettatale fta partecipe di prefantifima uita, q) di prefiantisfima
intelligentta. St pero li antichi Teologi di Fenicia (come dice Iambkco, fp)
Iultano Imperadore ) affermarono efjtr infufa per tutto una ‘Natura lu cida y
pura, calda % uehiculo dell'anima diuintj?ima: per laquale dall'anima fta
concejjo allo umuerfo il pretiofo dono della aita y onde efjo meritamente fìa
appellato uno animale^ laqual co fa ( benché o/curamente ) fgnifìca Timeo
Tittagorico, ft) ' r Fiatone nelTtmeo, ft) nel decimo della *Rtpubhca. alMa di
cjuefto nella concordia fra Platone, ftf zArifotile diffufifiima. mente par
laremoy ouc dimoieremo ch’ut v rumente 1 M 0. zip rumente fecondo la mente
d'oArifìotile il primo motore non effer e Dio, ma l'anima diutmfeima dalla
quale penda il Cielo, {0 tutta la natura. ^Adunque infeeme col diuin alatone
diremo ejjere il corpo, e [fere ancora, {0 l'anima certamente molto differenti
fra loro. L'anima hauer l'intelletto, il corpo nodo hauer e. L'anima, come
madonna, hauer e imperio fepra il corpo ; quefìo, come feruo, effer fuddtto
>{0 retto. L'anima effer fontana della ulta, {0 del fenfey {0 di tutte l'
altre affettiom, quali noi ueggiamo nel corpo: quefto per flanatura effer atto
a riceuere, {0 patire, di che pofeiamo conchiudere l anima, come di gran lunga
piu perfetta, hauere grado migliore nell' uniuerfo. L ^ o r E l’anima non
filamente dona la una, ma ancora contiene, ft) regge la natura corporale ( come
difipra è dimofìrato ) e necejjario ejja battere una affinità naturale col
corpo, per lacuale naturalmente l'anima pofja dare la uita: e'I corpo la pofja
riceuere. L'anima pofia reggere, ft) contenere. Que fi a non . e altro 3 che
una naturale ine linat ione per lacuale noi pofitamo dire l'anima ejjirt anima
3 ft) uer amente diftintada qualunque altra cofa: Di che appare mariife fi
amente nell'anima eJJir due proprietà per TJatura ; una, per laquale ejjà
inclini a produrre, ft) reggere i corpi ( altrimenti non farebbe chiamata
meritamente, anima ) l'altra, per laquale effa non filo rp % 'iM o. it
comprenda la natura, che detta effer retta, ma ancora fi medcfima, ft) le cofi
frperiori:quale poco auàti fuchiamata Intelhgentia. Qutfìa intelligentia fe noi
rettamente confider eremo, uedremo effer nell'anima non per fra natura, ft)
inquanto anima ; ma piu tofto per benefìcio d'altri. Imperoche fi l'anima, inquanto
anima, ft) fecondo la natura fra haueffi l'in telhgentia, ogni anima
intenderebbe: come ogni fuoco fimpre e caldo: fendo la cahdità nel fuoco per
fra naturai ffjnot ueggiamo manififìamente non ogni anima hauere facultà
d'intendere. lmperoche chi direbbe gl' animali bruti hauere intelletto, equali
non per altro fono chiamati bruti: fi non per effer priuatì della
intelligentia? molto meno e da dire delle piante, lequali fono animate d'anima
molto più im perfet ta ; che i bruti ; iti L ^0 ' ff) però come il lume è molto
piu, per fettamente nel fole che nelle felle, fendo nel fòle per fua natura,
nelle fi elle per dono y ffe beneficio del Sole: co fi noi diciamo la
inteUigenda effer molto piu perfettamente y in cui effa fio per propria natura
y che nella anima, oue è per pardeipatione ; di che noi concludiamo ancora
quella fu(l arnia effer piu prefi ante che l’anima ; sendo in e (fa la fontana
dello intendere y principio y ft) Idea d'ogni cornicione, imperoche la
nobilifeima oper adone procede danobilifeima fubflanda, la inteL hgentia fupera
tanto Poltre oper adoni: al' manco quanto il lume Poltre qualità senJibili.
Quefla fuflantidnon è altro, che la datura Angelica, laquale meritamente e
denominata Intelletto, hauendo per propria oper adone P intendere. Et per
queflo noi concludiamo P anima effer e ordinata, fri retta % / ; M 0. >
natura ^Angelica, cowie il corpo e ordinato, rmo dall'anima. Onde appartjce
l'angelo tanto piu effer preftante dell'anima, quanto l'anima è piu nobile, /]
corpo: ft) però l'anima non tenere il primo grado nell'uniuerfi • adunque
diremo ejjere due nature neL l'anima: una per laquale rappreftnta la datura
angelica > l'altra, perla quale inclina al corpo. Onde e detta dal diuin
Alatone nel Timeo,fu[ìantiamez&, come quella, che pofta in mezo fra
l'angelo, ft) il còrpo partecipa dell' una, {^ dell'altra natura. Quefta anima
merttamen te chtamorona i ^Magi in parte lucida, in parte oftura, come pofta in
mezo di quello che è al tutto lucido, e di quello che e al tutto ofeuro. L'Angelo
è al tutto lucido, perche fendo la prima ejjèntia; {R iapri-, ma effèntta fendo
ejfa firmità,ftmpre fi * Hij L 1 $ 7^0 mile a fi medefima e accompagnata da e
fi fa uentà, laquale e efifia luce intelligibile fi) pero l'angela è tutto
lucido. Il corpo findo oppofito ficondo la fua natura allo angelo, è tutto
ofiuro y l'anima pofta m mezzo fiala natura corporale, ffil' angelo, inquanto
partecipa dell’Angelo e ueramente lucida, inquanto inclina al corpo, fi P uo
dire ofiura.Chi adunque dubiterà fipr a l'anima non effier l'angelo: fintana di
ogni luce intelligibile? Aliti allo fpìendore della uerità intelligibile, quale
noi chiamiamo al prefinte c, Angelo, for fi potremo cre^ dere hauer trouatoil
padre dell untuerfi. lmperoche quiui ogni coja è uera ; efinzet, • fi s ogni co
fa e ulta, ogni cofa e intelletto, uerìta, ft) fiientia: fendo principio
dell'efjere, ft) della mta a qualunque altro fi dice ef fere,ft) utuere per
quefto nella natura contiene l'uniuerfità di tutte le cofe fendo il loro effir
e per fitti fimo * Imperoche, benché le cofì in effa fieno di flint e, ft) non
con fufi, come dtmoflrala intelligentia opera tion fua principale, laqualt
definitamente comprende tutte le cofi, nondimeno han no e fiere unitifiimo.
Imperoche nulla può effir e piu unito } che quello, in chi ciaf una parte m un
certo modo fia quel medefimo, cheti tutto, come e nelttAngelo\doue la uita,
benché inquanto uita è dtfffinu ta, nondimeno per partecipatone è tutto
lodimelo. L'intelletto ha il fuo proprio modo d' effir e: perche è detto intelletto.
Ld uent à il fuo modo d' effir e particolare: per lo qual# è effa uentà:
parimente adirne 26 L /2 0 ne in qualunque altra parte. FJondimanco quefto non
fa che lo intelletto, la uerità per fa, non Jia tutto t Angelo per par
tecipatione: in modo che nell’angelo non fi può trouar parte, laquale non
conferui in fi la natura del tutto. Quejìo credo hauereintefa Parmenide ; ft)
Melijfo antichi^ittagorici, quando ajfermorono tue • te le cofe effere un
'Ente: cioè, ejfere una cofa, una fufiantia, quale notai pr e fante chiamiamo
Angeloinella quale tutte le cofi habbino il fùo primo ejfere, cioè
pcrfettifaimo ejfere. Come adunque nelle cofe artifictate fono due ejfaeri,
l'uno nella mente dell'artefice, manzi, chehabbia prodotto fuori la cofa
artificiata, l'altro in effa cofa artificiata ? Verbigratia la /tatua di
ifMinerua ha il primo ejfere nella mente di Fidia, l'altro m effe marmo: de
quali quello che è nettamente dello artefice, è ^RIMO. 27 ce, e primo
cffere\{t) p ero molto piu nobile ; che quello, che è nel marmo: co fi tutte le
cofe hanno duoi ejjen: ; uno nella effen tta dell’angelo, il quale, è primo,
ft) perfettifimo effere ; l’altro in effe cofe ; il quale, è participatione del
uero ejfere. TDu co adunque fecondo tl loro efftr primo per fettifimo,nonfolo
confhtuire una Jufìantia ; ma ancora ciafcuno d’effe efer tutta quella
umuerfità ; ft) pero meritamente fi può dire una fu fsifl ernia ; fff) quefia e
la fintentia di Parmenide, ft) di Mehffe della umtà dell’Ente, come io fimo.
Qtie fio Ente, o uuoi Angelo e chiamato da Hi* lottilo mondo intelligibile:
mondo, perche è pieno di elcgantia, hauendo tutte le cofe in effe il feto e
(fere uero ; lmperoche mondo fi gm fica ornamento ; intelligibile, perche è
comprefe felamente dall’intelletto, tlquale riguarda effa ucri • 28 L 1 ® ^ 0
tà. 7 ?^/ diuin Telatone e chiamato nel fi fio dilla fypublica figliuolo di
Dio. Ma di quello piu diffufamente in quello, che figue y parleremo: 6.
Nondtmanco fi noi con ftdereremo, che il primo principio è firn pltctfiimo, ft)
potentifiimo: altrimenti non farebbe /opra ogni altra cofa: chiaramente
conofieremo quefìo mondo intelligibile y o uuoi (^Angelo non potere effir
primo. lmperoche nell'Angelo fendo moltitudine, ancora u'e compofitione ; ffi)
per queflo imper fedone, imperoche ogni cofa compofla ha in fi una parte,
comcpotentia, ma parte, come atto: la potentia ha fico imper fettone ; Patto la
per fedone. Et peroogmcofacompofìaha mefiolatoin fi l'imperfetto col per fitto.
La potentia non e altro, che quello, pel quale la cofa può effir e, non fendo
ancora. L'atto aggtugne l effir al potere ; fg) pero la potentia è imperfetta,
P % 1 M O. z 9 perfetta, lacuale gli antichi 'Pitagorici chiamarono infinita,
come per fìta natura indeterminata. Inquanto adunque l'Angelo ha compofitione
non è fimplicifitmo: inquanto ha tmper fetione, non è potenti fi fimo.
Imperoche qualunque imperfetto uiene alla per fetione coll'aiuto et altri: però
quello è piu potente, per beneficio di { chi confeguita la fua per fettone. Ter
laqual coja fèndo l'cAngelo ne (empiici fimo, ne poterà fimo, non può efièr
ancora primo >ft) pero Tarmenide Pittagorico afi fermo il primo Ente, qual
noi al prefinte chiamiamo Angelo, efièr filmile a una sfe- ' ra » lì) P er o
hauer parte, hauendo la sfera mezo, g) eftremi. T>i che ne fi gutta ejfo non
patere efièr la femphci (lima Vmtà, come diurnamente dice tMeliffò ; laquale al
tutto efclude ogni parte, (fi ogni moltitudine,^) ogni imperfettione ;{t) però
come ueramente capo di tutte le coffe autore della per fettone dell' angelo;
tignale me rit amente e chiamato uniuerfi intelligibile. S s o Iddio findo
principio ff) autore d' ogni per fettione nelle cof, che fino, non è capace
d'imper fettone alcuna y di (jualuncjue natura ejfa fa. Et però noi pofitamo
dire fimile proportene battere alle cofe create ; eguale ha la fimplicif fima
unità a numeri Tutti t numeri hanno moltitudmeybanno ancora unità. Moltitudine
fecondo che noi diciamo il numero ternano hauere tre unità; il quaternario
hauer quattro unità, {fi eofi gli altri numeri nel medefimo modo. Unità, perche
il numero Ternario, è uno Ternario, q) una P 1 A4 0. ft) una Trinità. Il
quaternario è uno quaternario, ft) una quatrinità: adunque tutti i numeri hanno
moltitudine,han no ancora Vmtà. La moltitudine dice imperfetto ne, ft)
diuiftone. L'unità dice coniandone ft) per fettone. Et pero tutti i numeri
participano della per fettone, f0 della imper fettone, Della per fettone >
inquanto ogni numero e un numero. Del l imperfettione y inquanto ogni numero ha
moltitudine. L'unità ancora de numeri non e acutamente perfetta, cioè quella
lenita, per laquale il numero Ternario è un Ternario i ft) il numero
Quaternario è un Quaternario. Imprima, perche tale unità ha conuenientia, ft)
affinità colla fua moltitudine ; come l'unità del Ternario ha affinità con le
parti del Ternario. altrimenti di efifa uita 3 ft) dcde parti fik non fi
farebbe un tutto ; ft) quefta è una frette et imper fettone. Dipoi perche
l’unità d'ogni numero è diffimta m modo, che l’unità del numero Ternario è dtuerfa
de It unità del Quaternario, ft) ciascuna di loro ha la fra potentia
determinata per laquale tfro produce U fro numero. Questa non e propriamente
imper fedone, Jènon perche l'unità del Ternano benché fecondo che e unita del
Ternario, fra perfetta, nondtmanco non contiene la per fettone, ft) utrtù in fi
delt altre unita: carne la perfetti firn a lujlitia, benché inquanto Iujhtia
non ha difetto al e uno ; nondimeno non contiene infila per fi t ione della
fapientia>{f) cofì la per fettone Ut terminata ha fico in un certo modo la
im per fettone* Adunq; lafimpliciftma unita \n prima non ha moltitudine alcuna
findo al tutto indtuiftbile. Oltre a quefio non ha afflìtta con alcuna
moltitudine numerale * non . ss non potendo hauer fuo coniugio. 7/on e ancora
dif finita, ftfi particolare unità,ma fimphcifiima unità, eminente unità ; ft)
pero Pitt agora affermò effa contenere in fi la potentia, (tfi i fimi di tutti
i numeri. Riduciamo tl numero al proceffo delle co/i dal primo principio,
fecondo il coftume t ‘Ptttagorico. Nelle cofi create fi truoua potentia ;
trouafi ancora atto. La poten tia, inquanto potentia, eimperfetta,l'au to,
inquanto atto, e per fettone, adunque Imprima imper fettone delle cofi,nafiedaU
la potentia, della quale fono partecipila fee ancora imper fettone in effe per
cagione dell'atto. Imper oche l'atto fi chiama atto, inquanto è per fettone di
potentia, ff) in queflo modo uiene a par deipare della imperfetto ne
congiungendofi fico. La forma è atto della materia, però facendofi della forma,
della materia un compo C 34 L I 2 0 fio: la forma partecipa delle condizioni
della materia.. Uoperat tont i atto della potentia attiua, come la cale fattone
è atto ft) per fettone della potentia calefatttua: nondimanco ha conformità
colla potentia dipendendo da effa. Oltre a cjuefìo, fatto dice per fedone
definita, ft) terminata. La forma del fuoco dice una per fettone terminata:
cioè effa natura dclfuoco^La terra dice per fettone definita, cioè, effa natura
della terra, fp) cofìe proprio d' ogni altro atto. Et pero t uno atto non
include la per fittone dell'altro, adunque e [eludendo e fi fi Iddio ogni imper
fittone, efiludt f imperfetione, che fi troua per cagione della potentia. Imper
oche Iddio non ha potentia alcuna, fendo fimplicifiimo: Efclude ancora f imper
fettone, che e per cagion dell'atto. r Ver che Iddio non ha conformità, ft)
proporftone con alcuna potentia: non fendo 1 M 0. 3 s fendo per fettone di
potentia attuta > nefe potendo d'effe, ff) della, potentia confettai % re un
compoflo. 'ISfon è ancora di per fedone definita, ffej particolare, come
ctafetì no atto, procedendo da lui ogni atto, ff) ogni potentia. c Adunque in ‘
Dio, e ogni per fedone sjclufa ogni imper fettone^ pero in lui ogni cofa, è per
mododtVnità fìmplicifeima. e in lui diftinta la fapientia dalla Inflitta, non è
in lui diflmt a la bontà dall'efeèntia, fjfe dalla aita. Ma è unicamente l' e
fènda, la aita, la fapienda: Et pero il dtuin L’ACCADEMIA dtfee nel Parmenide
di VELIA (si veda) y non efeer di Dio nome, non diffinidone y non fcienda, non
fenfe, non opinione: come quelli, che dicendo per fedone determinata, attribuir
ebbono a TDio imper fettone, dalla quale al tutto abborifee. Et pero *P lodino
yft)gl altri c Platonici niegono Iddio ejjer ejfentia, o intelletto: ma . ì. x
v fj t 7^0 tome molto piu prefilante, efifir contentò delle fue ricchezze ;
ricco della /ita fimpltttfiima lenità. Solamente noto a fe mede -, fimo,filo
amtratore, {fi cultore dellabtfi fi della fiua diumitd. Quefla è quella diut na
caligine, laquale tanto celebraDionifio zAreopagtta fplendore della Cbrifhafia
Theo logia,alla quale non dggiugne utr tu alcuna rat tonale, o intellettuale.
Imperochcy come il rationabile non può efjer penetrato dal finfi: ne lo
intelligibile dalla potentia rattonale: ne le cofe incorporee, {fi femplict da
t corpi, {fi dalle cofe compo[ìe m y cofi quello y che eccede ogni modo d y e
fiere, t (elude al tutto la intelligentia, o qualunque altra cognittone, qua fi
un Profano delle cofi fiacre. ^Ma è nelle cofi create un Carattere, {fi una (ìmtlttudme
di Dio, fiore, {fi capo d'effe: per benefitto della yuale fi congtungono a Dio,
quafi non fila lecito i rp XI M o. r? lecito aggiugnere al fuo creatore con
parte alcuna di fe>mapm tofto con tutto fi. On+ dell Profeta ratto daldiuin
furore efe lama y o Signore la tua laude, è tl felentiofigmfeando
ognipotentiayO uuoi r attornierò uuoi intellettuale, douer ceffare dalla fila
operat ione,quado fi fa l'ultima unione del le cofe create con effe Dio.
Adunque molto piu appropinqueremo a T)io procedendo per le negazioni ; che per
l'affermationiipur chefempre mediamo effer meglio ^che quel by che noi neghiamo
di lui. Nondimanco pofeiamo ufare ancora l'ajfcrmatioMynon derogando alla fita
diuinitàpur che intera diamo effe hauere nfpetto, ft) comparatane alle cofe
create. Come quando noi dittamo T>io effer principio, mezo, fp) fine. Imper
oche per il principio intendiamo le Cofe da lui procedere ; per il mezo a lui
conuertirfi: per il fine effer da lui donato C iij L I 3 7^0 della ultima fùa
per fettone; lacuale confile nella uer a unione fico. Quefto fgntfcorono gli
antichi ‘Tittagorici quando difi fonoyla Trinità ejfer mifura di tutte le co
fi. Quefìo panifico ancora Orfeo quando dijfi Gioue ejfer Principio, mezj),
fine, ft) pero ( come dice Diontfio Ariopagita ) in quefto modo Iddio e
fplendore a gli illuminati, per fedone a perfetti ; a Tteificati diumità, a
/empiici fimplicità ; lenità a quelli y che partecipano dell'uno ; uita de
uiuenti \ejfentia di quelle cofi y che Jdno'ydi tutta l'effintiaydi tutta la uita
principio y ftj caujà. Et pero. ogni copi creata, < o uuoi eterna, o uuoi
mortale, o uuoi ra r Rionale, o uuoi Angelica, può efilamare in: peme col
\Profeta,Signore lo fjlendore del la faccia tua, e fignato fipra noi. \ 1 M 0.
L i antichi Pitagorici chia morono e/fo Iddio per fe uno, ffi) per fi bene >
come autore della /Implicita alle co/e create, quanto di e/fa po/fono ejfer
capa et: aggiungono Siriano y ft) Troclo per quefto nome efier fignificato y
non efio Id- dio ; ma quanto noi di Dio participia mo 3 quaf mi crediamo hauere
efprejfi ef fi Dio, quando noi efprimiamo Carattere della diurni à y col quale
noi fiamo fignati. Ter fi bene, perche non filo e (fi non niega a ciafiuno il
fio grado di per fettone ; ma ancora y perche, co.me fine, e de fiderato da
tutte le cofi: ilquale poi che hanno configmtoficondo il modo della /ùa natura,
fi quietano. c Adunque ctoche procede da lui fi fa partecipe della fua firn ' C
ni/ yo L ^0 p lìcita, ft) della /ita per fettone. Ma perche qualunque cofa
procede da altri, per necefiità degenera dalla per fettone di colui, da chi
procede ; altrimenti l'effetto non farebbe di minore per fettone, chela cagione
; fendo effo(come dicono e Pitagorici, ft) Plotino) uer amente uno: quello che
procede da lui, è non uno, ft) pero ha fico moltitudine. Onde habbiamo adire
hauere ancora imper fettone. Quella tmper fedone e per la dtgrefitone, ft)
partita da tffo TDio, meontrandofì fimpre nell'imperfetto quello, che parte,
ft) fi allontana dal perfetto: nondimanco ritornando a quello, donde procedeua
-, acqui fi a la per fedone. Per laqual cofa rettamente fi dice, ogni cofa
compofia ejfir compofta di imperfetto, ft) di perfetto » Quefto intendono e
Pitagorici, quado dtffono per il prò ceffo dall'uno produrfiildua ; ilquale
ritornando P 1 Ad 0\ 4 tornando a l’uno, donde s’era partito, conJìituifee il
tre prima figura: l’effentia di cui contempliamo nel triangolo, come dice
Teone. Imperoche quello, che procede da 'Dio, partendo/! dalla infinita fua
perfe tiene, cade nello imperfetto, quale è la na tura del dua; ritornando a
T>io per la fua interiore anione participa del perfetto, quale é la natura
del tre. Imperoche come il tre è compofìo della progreditone dell’uno 9 ft)
della rtgreftone a l’uno, cofi quello 9 che procede da Dio, è compofio dell’
imperfetto, inquanto da lui procede, ffe del perfetto inquanto a lui ritorna.
In fomma da Dio procede l’Angelo: ilquale nella prima mifura di fuo proceffo e
imperfetto. ^Ma come imperfetto ? certamente imperfetto, perche, fendo l’angelo
il primo uiuente, ft) il primo intelligente ; ffe ogni uiuente, intelligente
effendo compofìo della pò 4 2 L 1 <B T^O tentia aitale, ft) della fùa
operatone, cioè del uiuere ; ft) della potentia intellettuale, ft) della fua
operatane, cioè dello intendere la potentia come antecedente- alla opera none
fu prima prodotta, la quale ha im per fettone, fecondo che noi intendiamo efjd
ancora non operare. L'angelo adunque nella prima mifura del fuo ejfere, fendo
una efentia con facultà di uiuere, ft) dt intendere ; ft) non umendo, ft) non
intendendo, ancora fi può dire imperfetto. £t perche la potentia attiua
riguarda La fa operattone; altrimenti farebbe uana, fi non operaffiy ft)
operando confeguita il fuo fine, ft) la fùa per fettone, laquale per natura
intenfamente de fiderà: è necejjario nell’angelo essr naturalmente
un'intentifiimo desìderio di vivere, ft) d'intendere. Que fio desiderio
nondimanco antecede una certa fermezza, ft) una certa conftantia X / M 0. 4/
confi arnia, per uirtu della quale mai Vangelo parte dafe dalla fua natura y ma
fempre fi a quel me de fimo. Quella ferme* z za dal dium ‘'Piatone nel Soffia e
chiamata fiato. L'operattone y che feguita quel defederiofe chiamata moto, di
qui poliamo uedere quello y chefegmfec a il dium Platone nel Simpofeo y nell'oratione
di Fedro, quando dice l y amore cjjcr del numero degli Iddi/ antichifeimi ;
affermando fecondo V opinione de Ih antichi Teologi dopo il Chaos effer la
terra, ft) l'amore, im per oc he il Chaos non e altro y che la effentia
dell'angelo fecondo, che e confederata nella prima mifetra del feto effer e y
come imperfetta,^ come potentia y moltitudine y ft) infinito à chi meritamente
fi conuiene queflo nome Chaos y fignificando indige filone, ff) confatone.
L'amore non e altro, che quella ingenito defìderio y principio del u\uace y fp)
L 1 V Ilo dello intendere. La terra fignifica la fermezza 3 ft) l* fi abilità,
per uirtu della quale l'angelo non mai parte dalla fìta natura. Tuttamente
adunque e detto l'amore ejfere antichifetmo, imperoche ejfo antecede ogni
operatone fendo principio d'effe s per uirtù delle quali, le cofe diurne
meritano d'ejfere chiamate lddij. * • '•[ V * \ V ; £/ni appetito, ft) ogni
defiderio fi può chiamare amo re in un certo modo benché pi ghandopropriamentei
l'amo re fìa felamente defiderio di bellezza > come dichiareremo tn quello,
che fegue. Onde non mmeritamente ildefìderio, tlquale muoue tutte le cofe al
fuo fine y ff) al fuo bene, e detto amorei ft) c Platone nel firnpofio
nell'orattone di Fedro per l'amore non intende altro, che l'appetito, che e
nell'angelo ; per ilquale fi muoue a con fegtiire la fua per fettone. Si che
pigliando in quefto modo amore, diciamo ejjere in ogni co/a creata infino ad'
ultima materia, nedaquale è ancora l'appetito alla forma laquale è co fa
diurna, fgf buona, ft) appetibile, come dichiara ^rifiot eie. Adunque l'amore e
cagione, che l'angelo 3 ilqua le e prodotto imperfetto, confeguiti la /ùa
perfetione ma come diciamo l'amore effir cagione di tale per fedone ?
certamente perche quedo ingenito appetito, quale al prefinte chiamiamo amore,
quafi uno filmo lo, fpinge l'angelo a l' operatone. Impero che qualunque co fa
fubtto, che ha l' effir e e inclinata adoperare, ft) quanto ha piu perfetto
ejfire, tanto ha maggiore inclina tione ad' operare, onde perche i' angelo ha
perfettifeimo ejfere, anzi è effe ejferefendo lo ejfere la prima cofa creata ;
per quefio ha grandtfiima incltnatione adoperare, quefia oper adone fi chiama
tuta: fendo la uita il primo moto interiore, ft) primo atto, ft) per fedone
dell' effe nda, come dice Plotino, ft) q u ^i che l'hanno feguitato, cioè r
Porfirio, ft) Amelio: benché Si riano, Proclo crediino altrimenti', tetta li al
ùrefente dimetteremo. Sendoadun ~ que la uita la prima operatone dell'angelo, è
manifefto efeere il primo feto atto, ff) la prima per fettone. L'angelo adunque
nella prima mifura delfuo procefeo e detto tjfentia ; laquale è non uno
procedendo da Dio, che è perfatifeimamente uno: pero ha moltitudine, anzi in
ejfa ( come di ce il dium c Platone nel r Parmenidefe efpli tata tutta la
natura de numeri, mediante iqualt procedendo nella ulta difttngue fe medefima P
1 Ai 0. 47 ntedefima ne modi particolari ffe dell' effe re ffe) come in piu
efeentie, dando fecondo il feto numero a ciafeuna effentia le fete prò prietà,
come y fe tu pcnfafii la Geometria per una atione interiore dtftinguere fe me
defema ne Tbeoremt particolari: lacuale e una in tutti e teoremi ; perche
ciafeuno è Cjeometria:nondtmanco è ancora moltitudine, fendo l'uno Theorema
difemto dal l'altro, (fe però Plotino dimoftr a diurnamente dopo l'uno, cioè
Dio, efJere l'efeentia ; dopo l'efeentia 1 numeri, dopo i numeri, e modi
particolari dt II' efeer e, cioè le efetntie. In fiomma l'angelo mediante il
numero come efattifeima regola per benefit io della feuaatione interiore, quale
fi chiama primo moto, (fe prima uita, diflingue, (fe diffimjce fe me defimo in
tutti 1 modi particolari dell'efeere, onde l'efeentia de II' am gelo è come un
tutto. L'efeentie particolari fino le parti, non come il capo, o la mano è parte
di Socrate: ma come il Leone, o il cauallo è parte dell' animale di quefio piu
diffujamente habbiamo detto nel libro del *T utero: ft) diremo nella concordia
fra L’ACCADEMIA, ft) zA IL LIZIO. Di qui chiaro apparifie quello, che uuolc il
diuin Platone, quando dice le cofe diurne produrre fi me defime. Imptroche non
figni fica altro, che le cofe diurne efier compofte dell'atto primo ft) del
ficondo, cioè della potentia attiua, ft) della fila operationeilaquale pende
dal « la potentia attiua, come l'angelo, ilquale e compofìo della potentia
uttale, ft) della fua operatone, ft) della potentia intellettuale, ft) della
fua operatane ; per benefico dellaquale l'angelo è attualmente uiuente, ft)
intelligente. Onde è chiamato il primo animale, ft) il primo intelletto ; ft)
chi intende altro atto, ft) altra potentia nelle cofi diurne, non intende la
fintentia di f L’ACCADEMIA, ne forfè la natura di effe nel modo del procefo
loro dal primo principio. Quelle e fentie, ffè quelli modi particolari dell' ef
tre di finiti nell'angelo dalla ulta fino chiamati /fette, (g) Idee,lequali
fino in tanto intelligibili, in quanto hanno lo efèere uiuo, (t) la ulta. Onde
ildiuin Platone dice nelTimeo,che topefice del mondo fece tante forme nel
mondo, quante tua telletto uide neluiuente,fègnificando l' Idee efèer nel primo
animale. Et pero io mi marauiglio afai, come qualcuno habbia detto, che la
forma, che effo Dio da alla materia angelica, fino efe Idee, come fi l'angelo,
inquanto procede da Dio, fufii potentia pafiiua, laquale diuenti ricettacolo
delle Idee. forfè maggiore errore fi può commettere nelle cofi diurne, che pen
fare in efe eferpotentia pafiua fìmile al - io L 1 5 X 0 ; la materia de corpi
finfibtlt: perche cioche procede da e fio Dìo immediate, procede piu fimtle a
lui, fg) p M perfetto, che è paf fibtle. Onde fendo molto piu perfetta la
potentia attiua, che la paffuta, ì conveniente immediate procedere da lui la po
tentia attiua, ft) non pafiiua. c Adunque noi diremo da 'Dio procedere
immediate un'atto primo: ilquale fi può chiamare efientia prima, fendo la prima
cofa, che ha l'efiere; lacuale inquanto efientia e per fettifiima: ma bene
nelfuo primo procefio ha fico congiunta potentia d'operare, non operando
ancora: q) fecondo, che ancora non opera, ha fico Imperfetto: Et quello e
quello, che dice il diuin Platone nel Filebo, da ‘Dioeffirt dua elementi, cioè
l'infinito, ft) il Termino della mtflione',de quali fi confi ituifia unaTerza
natura, cioè l'effintia.Imperoche quello, che pròcede, inquanto e atto, {fi
diffinito fi può dire hauer termino: inquanto ha fico congiunta la potentia,
{fi l'tmper fettone fi può dire infinito: e l'uno {fi l'altro infieme fino la
Telatura della prima ejjentia ; la per fettone y {fi atto, dellaqualee la fua
operatane interiore, {fi non Idee. Come dal termino proceda lo Ciato, {fi la
identità: da l'infinito, il moto, {fi la diuerfitd ; Et come tutte le cofi
fitto il primo fieno compofie d'ejfintia,diftato,di moto. di Identità, di
dtuerlìtà altroue h abbiamo detto, {fi diremo diffufamente nella concordia fra
Platone, {fi Artftotile ; oue dimena l'opinione di Siriano, {fi di e Proclo
dichiareremo, come ciafiuno d'efii e elemento, {fi come e genere dell'Ente. zAl
prefinte fi conuiene piu tofto accennare, che efplicare fimilt materie. sz L 13
Ito ' A# a d i particolari dell'tjjìre nell'zAngelo di [Unti per beneficio
della ulta al yprefinte chiameremo ldee\ benché fecondo diuerfi confi derat
iohi fi pofiino chiamare per diuerfi nomi, come è dichiarato breuemente nel
primo libro del nofiro Palerò, ffi) altrotte piu dijfufamen. te fi dichiarerà.
Onde fi foluono facilmente tutte le obietioni contro a l'Jdee fatte da
ss4riflotile in diuerfi luoghi: ma principalmente nel primo libro dell'Etica,
ft) nel fifto delle co fi diurne, Uguale comunemente fi reputa il fittimo.
Quefla difìnbut ione fèndo con ordine, mi fura, proporzione, fi già quello, che
da l'ordine all' altre cofi non è d'effe priuato, come le cofi diuine, le quali
producono, ft) reggono, le inferiori, rp X i m o„ j ì riori, e per necefittà
accompagnate da una cenar gratta-*; da un ceno splendore ;da un florido colore,
tlquale fi può chiamare rettamente efia bellezza* lmperoche ( come diurnamente
dice Plotino ) benché la prima bellezza non fia un'altra cofa dada ferie d'ejfi
Idee, come aduentitia, q) efiranea ; nondimanco quella gratta, quello
fplendore, quel fine,• che in fu la prima giunta apparifie ad'afpettto di
coloro, che raguar ciano tutta la ferie dell'ldee, quafi come il colore neda
fuperficie, è chiamata efia bellezza ; laquale non feguita la natura di parte
alcuna 9 ma piu toflo del tutto. Onde è manifeflo la prima bedezza pròcedere
dada per fedone interiore dell'Angelo > quale duerno efjere fioatto. Et pero
chi dice che' l bedo e diflinto dal bene come l'eflrtnfeco dali'mtrinfico,
fecondo il mio parere dice rettamente, ft) chi lo riprende r ^ -> D iij 34 l
n x o fer quefto, merita ejfo piu tojlo effir riprn fi, perche fi noi
compariamo il hello al bene, affolutamtnte confejjiremo il bello tjfire come
fpetie ; il bene, come genere. 0 nero firfi piu rettamente, il bene ejfirt per
fi, mparticipato,e'l bello cffere una certa partictpatione del bene, ma fi noi
non compariamo il belìo al bene assolutamente, ma quello, che è proprio bene a
eia feuno, diciamo effer il bello differente dal bene, come l'eftrinfico
dall'intrinfico.Im per oche la Juftantia, diffinitione, è, il proprio, primo
bene di ciafiuno ; ft) neffuno dubita la Juftantia ejfire mtrin fica. Il bello,
findo per modo d'accidente, come esirinfico feguita la fuftantia, e la
diffinitione. Tuttamente adunque e A dettoci bene effir fi parato dal bello,
come I mtrin fico dall'eftrinftco. Ma ( per tornare onde noi partimmo ) findo
la prima bellezza i ^ i / M 0: yr bellezza una gratta, uno fplendore, uh fiore
della per fettone interiore,lac/uale meritamente chiamiamo bontà ; che mura T
digita e fe nella potentta mtelletuak del » l'Angelo eccita un'intenfi
appetito, g / 1 dd Jìdertonon filo di fruirla, d'ejfrimer la, per modo di fimi,
di Telatura? On de l'Angelo fi fa tutto bello. Que fio è l'amo te, ff) la
Venere celtfìe, celebrata nel fimpofio, neìloratione di Paufitnia. c Per c/0 /0
«0» poffo non mi marauigltare di cer ti per altro h uomini, Sgrani ft) grandi
iquali dicono, che l'amore e cagione della per fettone della bellezza.
Imperoche, fi l'amore e appetito, fjfi defiderio ; la bellez? za, e appetita,
ft) defiderata,e necejfirio, che la bellezza anteceda all'amore, ante tecedendo
l'appetibile all'appetito. (orno adunque dona l'amore la per fettone alla,
bellezza dicono ancora co fioro, che la bef * ' 2 ? tiij 6 L 1 *B X. 0
lez&a e cagione materiale dell'amore y laqualcofa e piu
marauighofaimperocbe la bellezza muoue, come cofa amata, ff) defiderata, come
ancora muoue l'appetibile, ft) l'intelligibile, ft) fino cagione come fi ne,
non come materia. llche apertamente afferma zAnfiotile nel undecimo libro del
le co fi diurne, ft) il diuin Platone nelfiflo della %epublica. Tsle però fi
può dire ancora interamente perfetto l'angelo. Im -, Per oche l'ultima per
fedone di ciafiuno è la pofi fione di effo Dio, fecondo che a fi e pofiibile:
Uguale da neffuno e poffeduto con parte di fi-, ma con tutto fi. Onde Iddio non
può effer compre fi ne per l'intelletto, ne per la uolontà, fendo l' tino, come
l'altra, par te deli' Angelo, {fi non tutto l'Ange lo. adunque l'ultima fùa per
fettone, e la coniuntione di tutto fi con effo Dio, allagale procede per
necefsità uno intentai -u - mo P M 0. si mo appetito. Quefìo è l'amore tanto e
faitato nel Stmpo fio, nell' or aitane di Agatone; llquale è beat if imo, fendo
la cagione della felicità,e ottimo, congiugnedo la creatura con Dio, che è ejfa
bontà,e gtouanijsimo di tutti gli altri Dtj ; perche è t ultima co fi, che
riafca nebtzAngelo. 'Ter la qual cosa Dionifio Areopagita dice, che l'amore è
un circolo fempiterno dal bene nel bene al bene, fìgnificando tre fpetie
d'appetiti, nell'angelo da noi dichiarati di fopra: uno fùbito, che l'efentia
dell' (^Angelo procede da Dio, pel quale l'Angelo produce la prima operat ione,
cioè, la ulta; tintali ro, che fi gue nell'Angelo fubtto, che è difhnto nelle
Idee,oue rifflende la prima bellezz&*£t que fio e proprio Amore,cioè
dtftdeno della bel lezx&.Wl terzo è quello appetito, che con • duce
l'zAngclo alla comunione d'effo Dto> della cui pofftpone acquifìa la fua
felicità. O me l'Angelo proeede da effo Dio, co/i l'ani feguito principalmente,
cioè *7 orfino ft) zAmeho.Qutfìa incomincia a riceuer mol mudine y tmper oche
fèndo principio del moto come pruoua tldiuin L’ACCADEMIA nel decimo libro delle
leggi, fg) il moto feguitando SS, ' «v l infinito, è neceffario in efjd comma a
regnare l'tn finito. A cjuejìo fieguita la moltitudme 9 come per fiua natura
inde terminata. Et però la prima molttplicatione di fiuHantta, quafi fitto un
medefimo penere 9 incomincia a effer nell'anima. Sono adunque le anime, che
procedono dallan gelo molte. Conctofia che l'Angelo non fia finon uno 9
nondimeno fino tutte compre fi fiotto quella commune anima, le qua li fi no
differenti luna dall'altra, fecondo,che piu fi appropinquano, o piu fono
lontane da quello, da chi procedono: il capo 9 guida di tutte è l'anima mondana
t da chi procede tutto quefto corpo utfìbile, che noi chiamiamo mondo, o uuoi
ùniuerfò. Sot to la prima anima fono dodici anime prtn cip ah, lequah
finoprepofìe a dodici parti principali dell'uniuerfe cioè, a otto sfere ce kfli
9 quattro elementi 9 ft) perche eia. L 1 B 7^0 y cuna anima ha due parti, come
dimoflra Platone nel Timeo ; una, per lacuale è fimtle all'angelo, da chi
procede ; l'altra perche e fimile al corpo, tlquale produce ; per queflo ha
finito due nomi, per l y uno de quali e figmfìcat a la inclmatione al produrre,
(fi reggere d corpo ; per l'altro, la tnchnatione alle cofi diurne. Orfeo
adunque (fi i fuoi figuaci chiamano l'anima della terra, Plutone, (fi r
Profirpina:l'ani ma dell'acqua, Oceano, ffi Theti: dell'aria, Cjioue
fulminatore, ffi Giunone: del fuoco, Faneta, ffi Aurora: della sfera Lunare
‘Bacco Lichinto, ffi Thalia ; del file, Bacco Sileno ffi Euterpe ; di Mercurio,
Bacco Lifio, ffi Prato: di Venere, Bacco Trietarico, ffi Melpomeneidi Mar te,
Bacco Bajjareo, ffi Cito: di Gtoue, Bacco Sabafio, ffi Tberfìcore: di Saturno
Bacco Anfiareo, ffi Polinnia: de l'ultima 6i tima sfera Bacco Pcriciomo, g)
Franta: Bacco cnbromio g) Calliope di tutto l'uni uerfo. One, e da notare, che
a ciafiuna Mufa, è propoflo un Bacco per figmficare, che la parte dell' anima,
che melma al corpo, è retta da quella, che partecipa della mtelligentia,
inquanto per tale partici pationee fatta ehria del diurno dettare. zAlle
noue<iZMufi li antiqui Theologi prepofono un'Apollo, lignificando le otto
anime, d'otto sfere celcfii,g) l'anima dellumuerfo, chiamata Calliope, ejjer
minifi r a della diurna mtelligentia, laquale efii chiamorono apollo ; noi al
preferite chiamiamo Angelo. ^Non farà forfè fluori di propofito riferire una
maramghofit opinione circa il numero, g) l'ordtne dell anime intellettuali, la
quale fi può attribuire a gli antichi Theologi. ( I^ot ueggiamo il numero
duodenario batter grande 62 L r <B HO automa nell'uniuerfb, di che facciamo
coniettura per ejjtre dodici parti principali in ejfo, cioè dodici sfere. Oltre
a quefto 1 ueggiamo Uno bili filma sfera effir dtfìin - j ta m dodici figni,
onde ragionevolmente habbtamo a concludere ogni altra sfera ef fer ordinata,
ft) diftrtbuta nel mede fimo modo, mafiime e (fendo in ogni sfera U natura del
tutto, come accenna Platone nel Timeo: ma di quefto altroue piu dijf ufimente
parleremo, oue dimoieremo, che tffendo l'uniucrfì compoflo, ft) retto dalla
ragione Harmonica, e neceffirio, che fa ordinato fecondo il numero duodenario,
radice dell'armonia di diapafon, fappiamo ancora, che'l numero fobico dice
plenitudine, ff) firmità ; ft) pero quando il m• mero procede nel fio
Cubo,eJphca tutta la ua per fettone • Il cubo, e quando un numero multiphcato m
fe medefimo di nuouo fi multi % 1 M 0. fimultiplica per fi. V irbigratia noi
chiamiamo il dua numero lineare, perche ha fimilitudme con la linea. Se tu
multiplichi tl dua in fi mede fimo,fi fa il quattro, ti (juale ha fìmilit udine
con la fuperficie. Se tu di nuouo moltiplichi il quattro per dua fifa otto
tlquale ha fimilitudme col corpo, piu la non ua la multtp Ite ut ione, come
contenta di tre termini longitudine, latitudtne * {0 altitudine, ftf per
ejuefio il cubo è ultimo proce fio y per fettone de Inume rò. Quefi a
procefiione e Pitagorici diurnamente accommodano alle fufiantie cofifi par ate
y ff) eterne, come corporali, ff) caduche y come altrouemofir eremo, Adunque il
duodenario, tlquale e il primo nume ro fecondo, compofìo di dua finarij fiquale
e tl primo numero perfetto 9 procedendo nella fuperficie y ft) nel fuo cubo fa
il numero osìd. T>CC. XXVlll ilqual nume 64 1 ro contiene tutta la
plenitudine, fp firmila, c/tf procede dal duodenario. Qualcuno adunque fondato
in fu quefto> forfi potrà credere ejfiere dodici anime nell'umuerfo, quafi
dodici principi), come è detto • Sotto ciaf una ejfir e dodici altre anime,
delle quali ciaf una habbia /otto fi dodici legioni d'anime piu particolari. In
modo che il numero crefie fino alla fimma di A4. D C C. XXV III. legioni, in
ciafiuna delle quali fia tanto numero d'anime, quante [Ielle fino nell' ultima
sfera. 4 A£e debba parere frano tanto numero d'anime y quando ff) T)aniel
profeta dice migliaia delle migliaia erano fìioi mini fri. fommunque e fia,
tutta la moltitudine delle anime ha per guida, ff) capo la anima del mondo
prefantifiima, diuimf fima di tutte le altre. c^nima degenerando dall' Angelo,
da chi procede, inclina alla natura del corpo y qual produce; nondtmanco non
degenera dall'angelo tanto che ejpt non rifirui delle condittoni divine; ne
inclina tanto al corpo, che effa al tutto partecipi delle [òr de matertaliSPer
laqual co/a pofta in mezzo dell' una, fp) dell altra natura y ncn dimette la
cura, ffi) il minifterio del corpo: q) gode le delilie del mondo intelligibile,
Onde meritamente è detta nodo dell'uniuerfi. Et per quefto ilduttn Pia tone nel
Timeo compofi l'anima di fitte nu meri, in modo che pofta l'unità da ciafiuno
de iati, ne fegutti tre numeri ; cioè dall'uno de lati il proce fio infino al primo
cubo de numeri pari. T> alt altro ilprocefti in 4 E Vi *6.OLQ/^3! X 0 5L 4/
primo cubo de numeri impari. Si 4/4 cg«/ /dta fino termini quattro, {fi tre
inter uaìli, per (lenificare nella natura dell'anima ejjer dua propietà: l'
una, perche effa fi congiugne fempre all'angelo, -{fi quefìa è denotata per gli
numeri impari: l'altra, perche ejfa produce il corpo, denotata per li numeri
pari, {fi tana, {fi l'altra è dif finita pel quattro. Et però noi pofiiamo dire
la quatrmità efjir uer amente l'Idea della perfetione ; non filo perche
marauigliofàmente contiene il dieci; ilquale fendo tutto tl numerose
Ptttagorici chiamorno Cielo, {fi umuerfi. Ilche ancora fignificorono li antichi
Theologi ofiuramen te,quando a noue mufe prepofino un' Apoi -lo. *ZMa ancora
perche quando fi procede nel cubo fignificato pel quattro, fi mene ^all'ultimo
termino della proctfiione;ne fi può procedere piu oltre. Onde in ogni natu
rapel Cubo efignificata l'ultima perfettone di ciafi uno.‘Non e adunq;
marauiglia, fi e Pittagor tci(come dice Teone)giurauano per colute he dona
all'anima noflra la Quatrinità y fontana della natura, che e tmperpetuo flufjo
; Imperoche quefto non è altroché giurare y per colui, cioè per Pittagora di
CROTONA; ilquale h abbia trouata L'anima e fere diffimta per la quatrinità,cioe
dalla po tenda dell' intendere, dalla ragionerai fin fi, dalla ueget attua.
Dalle quali potentie l'anima, che fi muouefimpre: fifa perfetta. L'anima
adunque produce il corpo ;ma pel mezo d'uno in frumento proprio y ilqual chiama
grande fiminario y o uuoi natura. o uuoi anima feconda ; laquale dall'anima
prima, è fatta grauida de fimi di tutte le cofi y che hanno a effire prodotte
nella materia. Da quefto grande fiminario pen de tffa materia: laquale è
imperfettifiima., ~ È ij L I 2 TfO di tutte le cofe fendo mafimamente diflan te
da effo Dio autore d'ogm per fettone ; laquale, Plotino chiama principio di
tutti i mali, co[t nell'umuerfi, come nell'anima noflra. "Pendono ancora
dal medefimo feminario procefiiom de femt qua fi razzi dal lume Squali non mai
fino fèp arate dalla materia, anzi fino fimpre congiunte fico. "Noi le
chiameremo e femi delle cofe. La prefintia de ' quali nella materia affilue la
generatone: quando accompagnati da lo affetto dell'anima feconda, moffo dalla prima
anima h fanno termine nel compofìo \ naturale. Imperoche il compofìo non e
altro, che il fime, che pende dall'anima feconda f q) la materia, in modo intra
fi uniti, che defii fi faccia uno. Quefto forfè e à Chaos dzAnaffdgora, di
finto dall'affetto dell'anima feconda, ilquale pende dalt anima prima, rat
tonale f uer a pa drona SECONDO. 69 drona della gener attorie. Di qui fi può
uedere il fondamento di coloro, che affermano tutte le cofe qualche uolta
tornare quelle mede (irne. Laquale opinione benché paia molto aliena da zA
riftottle: mafiime nel fine delfecodo libro della Generazione 9 ft) corruzione
; nondimanco noi Jperiamo dimoftrare ejfirhconfenttentifiima. Ma per tornare
alla co fa noftrafendo nell' anima fecondo efemi delle cofe, uere cjprefìont delle
Idee, ft) per que fio fendo accompagnati da una bellezza, che ìtale a fimi,
quale e la prima bellezza alle Idee, e necef fario s'accenda in effa uno
appetito,ff) uno defideriodi quella bellezza ; ilquale incominciando dalla
cognitione, ft) non potendo fare la fimilitudme di que da bellezza» di dentro a
fejransferifee nella materia la par ticipat ione delle Idee, alle quali feguita
quefea gratta, que fi a elegantia, quale noi E lij io Litico V. Aleggiamo nel
corpo mondano uer amento •figliuola dell' timore. Et pero Plotino di ce, che
tutte le co/e fino teoremi >quafì protedino dalla contemplatine, hauendo
prin tipio dalla cognttione di quella anima. Quella bellezza, che e nell'anima
feconda, et quello appetito, che fi accende in e/fa e lo Amore la Zienere
uulgare nel fimpofio riferita da Pausama, laquale è detta figliuola di (fioue,
{fi di Dione; perche pende dall' anima prima,ffi rationale, laquale è detta
Gioue, dalla feconda, rationale, laquale ha commertio con la materia i L Cielo,
o uuoi tuniuerfi è uno, procedendo da una anima, ft) fendo fatto a fimilitudme
di un mondi) intelligibile -, ilquale noi dtfipra habbiamo chiamato S E V P 2
\£ 27 0. chiamato Angelo ; ffi) pero Democrito ft) Leuctppo non meritano
d'effere uditi, ujuali pofono mondi infiniti. o^irtfiotik pruoua che'l mondo è
uno: perche egli è fot to di tutta la fua materia: ffi) Alatone proua, che'l
mondo è uno fendo fatto a fimtlitudine d'uno efemplare. W<?i hab± btamo
nella r Parafrafì noftra /opra il cielo hreuemtnte dichiarato, ffi) altroue diffufamente
dichiareremo in che modo della unità del mondo fia la medefìma opinione
dell'uno, ft) dell'altro filo fio fo, e il mondo non filo uno, ma ancora
ingenito, ft) incor r unibile, fe noi crediamo ad Ariftotile. Al diuin Platone
piace il mondo fempr e effere fiato, et fempre douere effiere: nondimeno hauere
cagione da cui penda, cioè dall'anima diuimfitma, principio della natura
corporale. Et pero habbiamo da dire effer tre principali fu ftantie, lecitali
ueramente hanno natura di principio: cioè Idèo, l'Angelo, l'anima diuinifiima.
Iddio è autore dell'unità in tutte le cofi, l'Angelo della permanenza, l'anima
del moto: ft) quefia è la fintentia di Plotino, ft) di Por fino; benché
Siriano, ffi Proclo altrtmen ti procedmo. Sono fiati ale unicorne ^lutar co,
ft) Seuero, iquah hanno affermato, fecondo Platone il mondo effere incomincia
to qualche uolta, ft) qualche uolta douere finire; ft) per quefto hanno detto
filo effèr dua prmcipij di tutte le cofi, cioè la mate ria, ft) Dio, non
pendendo la materia da *Dio, ne Dio dalla materia. In modo che Iddio fia al
tutto finza materia, ft) fimplice;la materia fia al tutto eterna, ft) fin zci
participatione di Dio, ma quefta oppinone (come è conueniente ) non è ammejja
dalli altri Platonici. Le parti principali del mondo fino otto sfere celefii,
ft) quat. tro eie. 7 ^ tro elementi. T>e!le quali le sfere celefli fino
nobihfiime. llche dmoflra la magnitudine loro e'I / ito, l'ordine, e'I moto, il
lume. Plotino uuole che il Cielo Jia fuoco, ffi) c.Piatone nel Timeo uuole,che
il mondo Jia compofto di quattro corpi, Fuoco, Terra t Aere, ff) oAcqua, in
modo, che da que: fio nome fuoco fino comprefi i corpi celeftu os4riftottle
s'ingegna dimofirare, che il Cielo non e fuoco. lmperoche il fuoco, come ejjo
dice, p muoue naturalmente in uerfi la cir cunferentia,p artendofi dal centro.
&l corpo celeftenon fi muoue di moto retto partendofi dal centro, ma di
moto anulare, ilquale moto [i fa intorno al Centro, pero il Cielo non è fuoco,
altri menti bifignerebbe dire y che il Cielo barn fi fi dua moti naturali ; uno
per ilquale fi muoue intorno al centro, che e ilctr calare: l'altro, per
ilquale fi parte dal centro, ff) 74 L IV Z 0 - " ua alla circunferentia,
che è moto retto,Lacuale co fa pare habbia per imponibile- Quefla ragione
facilmente foluono Piotino, ‘Proclo. Ilche breuemente nella no fra c Parafaf f
opra il Qelo habbiamó tocco y fé) altroue piu diffuf amente dichiareremo y
mofìrando, che altro è muouerfi nel proprio luogo, ft) fecondo la fua natura:
altro e, fndo fuori del proprio luogo, ritornare ad cjfo > ff) nella fua
naturarono alcuni, che dubitano y fe le felle hanno moto proprio. Platone dice
nello Spinomide y che le lidie fono animali ignei ; ft) nel Timeo y che le
lidie fi muouono intorno al proprto centro. È piu de Peripatetici oppongono
zAriflotile cjuafì uogliayche le jlel le fieno continue col Cielo ; ma piu
denje ; ff) però non hauere altro moto, che quello della fua sfera. ^oi diciamo
z^riflottle non hauer mai quefo affermato. ^a '7f quando duce le fteUee/Jere della
medefima ] fuftantia, di che è il Cielo ; intendere effe effire della medefima
natura, cioè ignee ; fffi quando dice le sielle effire mfijfie nella sfera ;
non fignificare pero efftr continue, ma che non mutano luogo fecondo il tutto ;
ft) pero apparire effire tnfiffi ; perche fi muouono circa il proprio centro.
In fomma le sfere celefh, ft) le Belle effire di natura ignea, hauere proprij
moti, è ma mfeflifiimo appreffio Platone. ‘Nelle sfere celefh fin due moti, uno
da Oriente 3 m occidente, tlquale ‘Platone chiama moto del la fapientia, q)
della identità. L'altro da Occidente in Oriente chiamato moto della diuerfità.
Quefio, è delle sfere erratiche: quello del fermamento ; ilquale inulta la
intclligentia dell'anima diuintfiima, di chi è tmagtne. Quello, è chiamato
deBro, e quello fimfiro. L'uno, 7 fi L I % 7^0 | .l'altro fanno la generatone,
la cor rruttone;Quello del fermamente fa che firn pre fia ejja generattone, ff)
corrutione, come dichiara o Ariflotik. Et pero t Pitta gorici affermarono ff)
ildeflro, ft) il fini • fìro efier nel numero de' principi] pendere « do dal
moto del fermamente, ffi) delle sfe - '] re erratiche tutta la generatone. L
Moto da Occidente in Oriente, chiamato da ‘ Platone moto di diuerfità proprio
delle sfere erratiche autore della generatone, come è detto, è diuifiin fitte,
Imper oche ogni sfera ha il fuo moto. di tutti è uelocifiimo il mote della
sfera di Saturno di tutti è tardifiimo il mo to della Luna. Sono alcuni, uguali
affermono IL LIZIO fintire il contrario, quale 77 uogha il moto di Saturno e
[fere tardiamo determinando fi longhfimo tempo perla fiia fpeditione. ‘Ter
contrario il moto della Luna effer uelocftmo deter minandofi breuftmo tempo.
Tsfoi crediamo e far fententia d'o^lr ifìotile le sfere fàpertorimouerji piu uelocemente,che
le inferiori. Imperoche la magnitudine, che debba effer trapaffata dalla sfera
di Saturno s fuper a molto piu la magnitudine, che debba effere trapaffata
dalla sfera della Luna, che il tempo, che fi dttermina Saturno per il fuo moto,
non fitpera quello, che fi determina la luna. Quello è uno de gli errori, che
Platone imputa a greci (come è detto ) nel fettimo delle leggi, cioè credere il
moto di Saturno effer tar difimo fra i pianeti, fendo ueloc fimo, può fi ancora
r acorre de comentarij di ‘Porfirio J opra il Timeo e Pittagorici affermare il
moto di Saturno 7S.L IV 7^0 \ effer ueloci filmo, ff) riflotile ancora dice
nelle quefiioni meteorologiche il moto della Luna non fare accenfìone nell'aere
fendo tardo, ft) pigro: ilche fa il moto del file per la uelocità, ff) uicimtà.
Credono i Pitagorici, ff) Platone il Cielo fendo imagine dell'anima efjir e
dige fio fecondo la ragione armonica ; L'anima, fecondo che pia ce a Timeo
Pitagorico, pigliando le duple, ff) le triple con le fifquialtere, g) fiper ter
ite, fuper ottaue, ff) fimitomi è digefla in trcntafei termini. Il primo di
tutti è il numero trecento ottantaquattro. La fomma di tutto il numero, e cento
quattordici migliaia, ff) fecento nouanta cinque unità. 'JSfelquat numero è
contenuta tutta la ragione Armonica. Sendo adunque le sfere celefh in modo
coerenti fa fesche facilmen te paiono piu tofio continue, che contigue tanto
fono pulite, ftfi coequate ; ft) mo? uendofi uendofi uelocifiimamente non
dubitano af fermare ; da loro mandarfì fiora un fuono di tanta gratta, quale
fta conueniente a fi nobtl corpo y come e il cielo, Imperoche il fuono fi
genera del moto di dua corpi,, che uelocemente mouendofi f tocchino. Il moto
piu ueloce genera il Juono piu acuto ; e*l moto piu tardo genera il fuono piu
grane \ ff) pero il moto del fermamepto generati fuono acutifeimoye'lmoto della
Luna grauifeimo, ff} perche i moti delle 6 fere fino digeftt, fecondo la
medefìma ragione harmonica, come fino ancora i loro interualli ; fecondo
laqualcfe digefla l'anima: e neceffario, che tali fuoni proc eden? do da moti
armonici in modo confinano fa fi, che di tutti fi confi itmfea una ar r
montagna melodia di gran lunga piu fua ue, che quella, che noi pofeiamo
compren? dere con le orechie elementari > Et perotl 80 L 1 <B 7{0 dtuin
Platone nel decimo libro della 7{epti blica dice, che ctafc una sftra celefte
ha fico congiunta la fua Sirena, laquale canta il fio tuono. Dequah fi fa una
armonia. e Pittatomi affermorno il Cielo eff re la li ra di T>io: a quali
acconfentifcono Aleffan dro eJ "Milefìo, ft) Eratoflene.* #vi v,.,r /r a
bi l e bellezza nafcc nel corpo modano dalla unto ne, per laquale cofe tanto
diuer(i,ff) fi contrarie, co me fono nel mondo, fatte fra (e amiche, con ftitui
fono un grande animale. £ fegliè lecito comparare le cofe grandi alle piccole,
il mondo è ftmile a l'huomo ; Il fuoco, la terr a, l'aria, l'acqua hanno
fmilitudme con la collera y con la malinconia, col fin gue,con sz gue, conia
flemma ; della retta mifttone, de quali fi fati temperamento radice della
finità y cofi a l'huomo, come al mondo. Il fermamento fi può chiamare il capo
di que fio grande animale, alquale un numero * quafi innumer abile di fielle
come occhi fui genttfiimi fino grandifitmo ornamento. £ ‘Tittagorici affermano
le fielle penetrare col fio lume nel centro del mondo: dout pel concorfi di
tanta moltitudine di raggi uoghono accender fi unfuoco eterno quafi cele
filale. c Al firmamento, come capo, obbedtfiono i pianeti: in fi a quali il
Sole ha fimilitudine del cuore, e fontana della uita. ^Marauighofamente eccede
il Sole tutte l' altre fielle, non filo di magnitudine y ma ancora di potentia,
ff) di uirtu ; la qual cofi dtmoftra la copta del lume. (fili antichi Theologi
affcrmomo, laGiufiuta, laquaky come Regina, ordmaydriz-82 JSlpXQ V qi, regge
l'umuerjo, per tutto procederi dal mezo del trono del Sole. zs4riftotile
attrtbuifie tutta la generatone al Sole, ft) atta Luna ; lacuale, come dice
Hipparco è neramente uno Jpecchio del Sole rifletten do a noi il lume, Uguale
ejja da lui pren - • de. (fiiambhco, {$) Giuliano Imperatore confhtuifiano nel
Sole tutti lifDij de (gentili. Et ^Plotino affermagli antichi auere adorato il
Sole > come Iddio. Confideri la muc chi dubita il Sole effer preftantif fimo
di tutte l 1 altre flette ; oue ancora ciò che e di lume, e per beneficio del
Sole. Gioueconla fita beneficentia, peonia fua equità raprefinta il fegato, dal
quale il nu trimenioìfommmt firato a tutto il corpo ; onde da gliaftrologi, è
chiamato la principale dette grafie celefti ; da «J /Marte, quafi amaritudine
del fiele, e ridotta al temperamento la dulcedtne di (filone. V mere. 'I T SECO
X D 0. 83 ft) la Luna, fendo miniflre della genera tione per cagione della
uirtu humida, che regna in effe, hanno proportene col feme, ft) con i membri
genitali: chi confiderà la deferita, ft) prontitudme di J Mercurio forfè non
dubiterà a/fomigliarlo alla lingua: per tu fido dellaquale noi facciamo note le
intime noflre cogit adoni. èt pero li antichi meritamente attribuirono a t jue
fio Dio il patrocinio dettelo (juentta. lAttribuifcono ancora a Saturno il dono
del lintelhgentia, ft) però chi ajfermaffe Saturno effer e in luogo di reni,
forfè non farebbe lontano daluero. lmperoche cjuefìi fendo aridiflimi,
efpurgano lo spirito di ogni cahgmofo uapore. Onde effo, e fatto atttfimo
mflrumento della inteUtgentta: non è dubbio ancora effere un tenuifimo, ft)
luddismo Vehtcolo della uita, fg) del fenfi corre /fondente alt elemento delle
fiel v.. o. f jj u L IB \0 le: per Uguale, come per competente mezo y l'anima
consunta al corpo elementare y lo fa partecipe de doni della aita. zA queflo è
Jtmile quel fuoco dimmfitmo, il quale e fimpre per tutto diffufi ; ripieno
della uirtìi dell'anima regia, fecondo afferma Cjiambhco, ff) (giuliano
Imperatore, ilquale da ziatone nel Fedro e chiamato il carro alato del gran
Cjioue. Aderitamente adunque fendo l'huomo belhfitmo di tutte le cofe, che fino
in terra: ff) effendo fintile al mondo y tn modo che e fio e chia mato piccolo
mondoy h abbiamo affermare il mondo, quafi un grande huomo, effr belhfitmo di
tutte le cofi fenfibtlu *Noi hab • biamo dichiarato fino a qui la bellezza efi
fere una gratta, un fiore, uno splendore della bontà ; ft) l'amore non ejjere
altroy che uno intenfi de fiderio di fruire, ft) di •fingere la bellezza.
Riabbiamo ancora dichiarato eftere àua bellezze: una prima, ft) diurna,
laquale, feguita all' Idee chiamata Venere celefte ; d'altra feconda, ft)
naturale, laquale e nell'anima feconda, o uuoi grande femmario detta Venere
uolgare, fé) commune, ft) pero eftere duoi amori. Vno circa la bellezza
celefte, ft) diurna: detto diurno e celefte: l'altro circa la bellezza feconda,
ft) naturale, detto amore commune yfft) uolgare.Sendo adunque l'amore diurno
circa la diurna btttezz za ; ft) effìngendo efta, è necejjario ejjere in mezzo
di due bellezze > una prima, ft) impar.ticipata, laquale fendo appetibile,
antecede all'appetito amat or io)' altra non prima, ft) partictpata, cioè
quella prole . bella y laquale l'amore diurno effìngeneL l'angelo per modo
feminale, ft) di natura a ftmilittidine della prima bellezza s ft)
imparticipata, ft) quefta non antecede, > f $ SS L IH 2 io ma fegmta
all'amore. L'una, {0 l'altra chiameremo Venere celefle. Medeftmamente quella
bellezza, che è nel gran (eminario antecede all'amore uulgare. La beL
lezz&.* che e nel corpo mondano figuita ad tfio y in modo che ancora lo
amore uolga re yl collocato nel mezzo di dua bellezze, dellequaltl'unae fine
dell'amore uolgare, l'altra e prole ; {0 però ancora ciafiuna di quelle può
efier chiamata Venere uoL gare. Oue è da notare la prima bellezza, che antecede
all'amore ejfiere nell Angelo per modo fpett abile ; la feconda cioè quella y
che è prole dell'amore efier per modo (eminale. TSJel grande fiminario per
contrario, perche la bellezza 9 che antecede all'amore uolgarey e meffo per
modo di fi-. mt:queUa y the figuita, cioè la bellezza che è nel corpo mondano
prole dell'amore, e per modoffett abile. Onde la prima, {0 ultima bellezza
SECONDO, st bellezza fino in quefto fimilt,che l'una,q} l'altra, è obietto
della potentia utftuaiquefi a della corporale ; quella incorporale, ft)
intellettuale, ft) pero non è mar auiglia, fi dalla bellezza finfibile fiamo
eccitati alla bellezza intelligibile. E ancora da intendere non filo la
bellezza dell'angelo, ma quella dell anima diuina efier lignificata per quefio
nome Venere cele fi e: parimente l'amore ; che nafie di tale fpett acolo, nel1
anima diurna effer figmficato per lo amore celefie. lmperocbe, fèndo nell anima
la uera participatione delle Idee, e neceffario ancora in ejfa fia la uera
participatione della bellezza, ft) dell amor e, come ancora in ejfa è la uera
participatione della uita, ftj dello intelletto. adunque nell'anima diuina fino
dua amori, fjfidua bellezzaVna uera participatione della bellezzeIdeale detta V
mere celefie. L'altra detta a*v*V> ss: L 17t Jt o • V Venere uolgare >
hauendo commertio con la materia, zsélla bellezza uolgare e intento l'amore
uolgare. Alia bellezza celejle, è intento l'amore celcfìe, ffi) fermezza deffa
alla prima, ft) uera bellezza.!} aL la cui contemplatone s'afiende al capo,{t)
principio di tutto l'uniuerfo, la cut bellezj za y filo per uaticinto fi può
comprendere, trapalando tutta la f acuità del conofcere d infinito inter uaRo.
^Qr. ài- * L D l v in L’ACCADEMIA dice nel TIMEO (si veda) t anima nostra
essere Hata creata nel medefimo cratere, quale fu creata l'anima mondana delle
reliquie de medefimi generi; uokndo SIGNIFICARE l'anima nostra auere proprietà,
ft) potente simili alt anima mondana >{t) alt altre anu me diurne } ma in un
certo modo piu impera fetto. Quefto uuolefegntficare che t anima nojlra, benché
habbta le medefeme uirtà; nondimanconon opera nel medefimo modo: perche intenta
alla gener adone, ff) cura del corpo caduco, dimette la contemplatane della
uera bellezza. Per contrario intenta alla uerità intelligibile dimette la cura
della gener adone ; fp) cjueflo aduiene ragioneuolmente. Imperoche non potendo
adempire infieme tuno, ff) l'altro uficio, enecefeario la efeedidone dell'uno
fìaac• compagnata dalla dtmefeione dell'altro, quando e intenta alla gener
adone, fi dice difeendere, quando e intenta alla contemplatane yfi dice
afeendere ; non perche l'anima afeenda, o difeenda fecondo il cojìume de corpi.
Imperoche fendo ejfentia fepara bile y ft) non pardeipando dicondidone aU ?o
cuna corporale, fecondo che piace a tr L’ACCADEMIA, ffe) adzAnflotiU, ma di
fuori ft andò, è al tutto afioluta dalla natura del luogo, alcjuale filo è
obligato il corpo ; di cui è proprio il fetlire ff) lo feendere ; ma diciamo afcendere
> ft) difendere m quello modo. Le cofe diurne y feno prefenti fecondo y
cheefee oprano. lmperoche noi diciamo la dimnità ejfere in cielo, o in terra
fecondo che efea opera in cielo o in terra. £t altrimenti non puòefeere
determinata^ mente in luogo alcuno. Della operatone, e principio l'affetto,
corne e manifefeo\chi è quello 9 che operafei in alcun modo, fe prima non fujfe
moffo da uno a: ffetto antecedente? que fio affetto non e altro che un
defederio d'operare, tlquale pendendo dal’ la fognatone e principio
dell'operatione.Pri ma concepe Ftdia la forma della fica ^Minerua, dipoi
defederà di produrla, o nel marmo S E C 0 TSfD 0. pi marmo, o mi ramo, dipoi la
produce. Se non haueffe defiderio di produrla y non mai la produrrebbe, ff) fi
prima non conce pejfi la fua forma, non mai dtftderebbe di produrla. ^Adunque
la cognttione è principio dell'affetto, ffi) l'affetto dell* operatane ; fff
pero alatone dice nel Timeo, che l'opefice del mondo fece tante forme nel
mondo, quante hauca uedute la mente nel trnente, per lignificare la produzione
del mondo pendere dalla cogmtione, in fra lequali, come fra due efiremi y e
mezz ZP tl defiderio di produrre. Sendo adunque l'anima no fra nel numero delle
cofi diurne, diremo effer e prefinte oue effa opera ; ft) operare, oue effa e
tratta dallo affetto, g •) defiderio d'operare. llquale affetto pende dalla
cognitione. Imperoche glie impofiibile noi hauere defiderio d'operare quello,
che al tutto c'è nafioflo. ‘Ter 92 LIBICO lagnai co fa, quando l'anima nojlra
con - cepe la uita ftnfibde ; ft) la gener adone 5 ft) hauendo affetto a effa
la produce, ft) efphca ; noi diciamo l'anima dcfccndere., Jmperochela natura
mortale oue effa opera, e V infimo dell' uniuerfò: Ada quando <• effa
concepe la tuta de gli T>ij, ft) la ulta intelligibile lontana da ogni
moleflia, ft) ùgnytriflitia, ft) con l'affetto l'efplica, dir ciamo afendere,
fèndo gli c Dij. il fupremo \detl' unmtrfo. ‘Rettamente adunque dice ^Porfirio
nel primo libro. DeU'aftinentia de gl' ammali, f noi defi deri amo ritorna rea
quello, che è proprio nofìro, f) alla ulta degli T>ij, effer di bifigno, noi
al tutto diporre qualunque cofà habbiamo pre/o dalla ^Natura mortale infieme
con t affetto decimante ad effa, quafi non per altro defeenda, 0 afenda l'anima
no fra, che per Iq affetto. ^Tiace al dtuin r 'Platone,ft) Plotino l'anima
noftra, quando uiue con la uita intelligibile, ffe) degli Dij: conferire tanto
grado di degnitd, che fatta collega dell'anima mondana infieme fico regga tutto
il fato, ffe) la generatone. Viue aUhora con la uita de gli Dij, quando ridotta
ne peniitfeimi tefeori della feua essentia, ft) di quindi nell amemfeimo Tarato
della uerità intelligibile, contempla effa luJìitia, efea bellezza, effa bontà
; Oue intendendo tutta la TSjatura di quello, che è uer amente, fp) non folo
intende tutte le cofe, che di quindi procedono, ffe) tutti e gradi della
procefeione mfeno all'ultima materia ; ma ancora confeguentemente ope ra
fecondohe effa intende. Onde merita mente è detta collega dell'anima mondana,
laquale hauendo mteUigentia^ffe) prò uidentta uniuerfale, e principio del cielo
; ffe) di tutta la generatione. Onde Telato 94 L I V 7^0 rie nel Filebo dice in
Cjioue cffere intelletto ft) regia anima, fignifìcando come nettuni ma mondana
è intedigentia, ft) prouidentia mtuerfale ; cofi ancora effer ulta ft)
principio uniuerfale di produrr e, ma quando effa declina adageneratione, ft)
al corpo mortale, dimettendo la intedigentia uni verfitle, ft) però fendo
oppreffa dall' oblivione delle cofe diurne, attende alla fabrica di quello, che
offerendo fi adì occhi noflri) chiamato da gli ignoranti huomo, fèndo piu tofto
imagine, ft) ombra d’huomo; che vero huomo. Queda dimeffione, ft) queda
oblivione) lignificata dal dtuin ‘Telatone, nel decimo libro deda 'Rgpub. quando
dice 9 che l' anime, che difiendono nella generatone beono dell'acqua del fiume
Amelita ft) pervengono nel campo leteo. lmperoche Amelita fignifica negligenza,
ft) leteo lignifica oblivione. T^ondimeno non gli è negato la uta di patere
tornare alla ulta intelligibile,/e feparandoftdal {enfi eccita il lume della
ragione,per laquale finalmente tifando per inflr amento la bellezza corporale,
e reuocata in ejja uerità. In fomma l'anima quando muendo con la aita
intelligibile contempla la uerità atramente fi può dire integra. Imperoche
fatta collega dell'anima mondana regge ilfato f {t) tutta la natura corporale
noftra, quando intenta alla generatone s'ingegna effingere nel caduco corpo la
natura del mondo o dimettendo al tutto la fpeculatione della uerità, gt)
obltgandofi afenfì, ueramente si può dire dimidtata. Laquale e ri/litui ta
nella fua integrità, quando s'accende in ejfa uno intentiamo amore, ilquale
incominciando dalla corporale, finalmente la reuoca nel marauigltofo fplendorc
della bellezza intelligibile. Di qui apparifce quel r V’1£> v . òè L 1 X 0
lo y che e ìnclufi nel portentofifìgmento di Ariftofane nel Simposio. lmperoche
k da principio ejjire thuomo di figura circolare, ffi) co’membri addoppiati
ejjer fato partito in dua >per reprenfitone del filo fafio, tentando di
combattere con gli T>ij, poiché gli e cofìdiuifi cercare della fila me
tàydefiderando intenfàmente ritornare nel primo flato ; Incontratolo, quafi
infuriato, non concedere per un breue momento di tempo mancare d'ejfio ; onde
ejjer nato l'zAmore conciliatore dell'antica forma, medico, ft) curatore della
generatione humana ; non mole altro fignificar e, che da principio l'anima no
fir a uiuere con la ulta intelligibile, la cui contemplatone ha fico congiunta
la cura della natura corpo tqle, ft) meritamente è detta circolare, fendo la
contemplatone un circolo: Randella generatone dedita do crefiendo lo ftimolo
dedita al proprio opificio crede fi e fière ha \ fi ante, a fimilitudme
dell'anima celtfle, effingert il mondo in e fio, perde la contem) piattone, {f)
fiero uer amente come inalza « ta dalfiafto, è diuifa. Cerca della fina metà
perche ejja ottimamente conojce quello, che ha per fi per la inclinatione,
affetto al corpo mort alerone non trotta niente di t verità', neiquale
incontrando fi, cioè in qual che imagine della divina bellezza, fubito co me da
un profondo (inno /vegliata, fi rtcor da della divina bellezza ; per l'amore
della quale e (purgata dalle (ordì materiali final mente recupera la perduta
metà. Merita. mente adunque (amore è detto medico, et curatore
dell'humanageneratione reftitu tndo l'anima alla vita diurna, laquale è la fua
integrità, QuefUfino forfè i uefìtgij per che uno filerte inuefiigatore della
uerità configura il fegreto (enfi d'iAristofane. Non hauédo in animo al
prefinte inter pre-, tare minutamente il dium L’ACCADEMIA, a noi fa ra a
bajìanza qua/ì col dito hauere accen nato il camino in fi profonda
mtelligentia. L’anim a nostr azoiche e difiefia nel corpo mortale fe ufia per
iftru mento la bellezza corpo rale alla diurna belltZz Z&, guidata dall'
amor celefle, recupera le perdute delizi della aita intelligibile. Ma fi fatta
ebbra, quafi da focali di Qrce, precipita nella generai ione, ingannata
dall'amore uolgare, diuenta ferua di tutte quelle calamità, che ha feco
congiuntela datura corporale. Ma innanzi, che noi dichiariamo come nafte, {fi
quello, che opera l'uno, {fi l'altro c Amore, fuori di propofìto dichiarare piu
particolarmente la fua diffinitione\ come quelli che di qui potremo piu
facilmente conofiere gli accidenti, di chef amo partecipe. E adunque L’amore
desiderio DI FR V I R E, ET GENERARE LA BELLEZZA NEL BELLO, fecondo che il
diutn Platone difnifte nel simposio. ‘Ter laquale diffinitione balliamo a
intendere l'amore essere l'appetito, {fi non, filo appetito, ma di bellezza,
{fi di generarla nel bello. Onde per quejìa ultima parte, come per propria
cùfferentia t l'amore, e difìinto da ghaltri appetiti, iejuali non fono di
bellezza. Chi adunque /apra che cofa è appetito, ft) che cofa è bellezza ; faprà
a fufficentia, che cofa e tumore. L'appetito q) la cogmtione non effer quel
mede fimo dimofira quello, circa ilquale è tana, ff) l'altra potentia. La
potentia del cono fiere è circa il nero. La potentia dell' appetire è circa il
bene. Sendo adunque diftmto il aero dal bene, e ancora difintala potentia del
conofiere, dalla potentia dell'appetire. Il uero e quello, che è adequato a.
fuoi principij. Come il uero oro e quello, che per tutto corri fponde a
principij, ft) alla effèntia dell'oro, non am mettendo in fi alcuna cofa
tftranea, ft) auentitia. PI bene e quello, che per fua natura fa quiete, fp)
voluttà. Sendo adunque il uero, fecondo la fua diffinitione, difinto dal bene,
è necejfario, che U corninone •* < y. f . ioj tione fiadifttnta, fecondo la
fua dtffinitione, dall' appetito. Ter laejualcofa la ' facoltà del conofiere e
una potentia in ap r prendere il aero. Lo appetito è una potente in fruire il
bene. Della apprenfìone del nero, fi fra nella corninone certit odine. ^Rel
fruire del bene t fi fra nell'appetito uoluttàsAriflotile nel fi fio libro
dell'Etica dice, il uero, ft) il falfò ejfir nell'intelletto ; tlbene; fp) il
male nelle cofi, lS[oi 3 che diciamo la corninone effer circa il uero >
affermiamo il uero y ft) il falfi effer nelle cofi fecondo notatone 9. Uguale
nel fi fio libro della Republica dice nell intelligibile effer e la uer rità,
nell intelletto la fiientia * llcbe non repugna ad zAriftotile, come nella
noflra concordia dichiareremo. Al uero, ft) al falfò féguita il benc,fj} il male:
imperoche nulla può efier uero che non partecipi del bt ne ; nulla può effer
falfò, che non partecipa q tij ìo2 L 1 % 0 del male, ft) però alla
cogmtione,che e circa il aero yfeguita i appetito, che è circa il bene. Prima
conofiiamo, di poi appetiamo ; ft) appetiamo quello, che noi appetiamo y perche
crediamo ejfer buono, ft) utile per noi. Adunque l'appetito appetifie quello,
che la potentia del cono/cere giudica ejjer buono onde è manifefto l'appetito
figmtare la cogmtione. Sono diuerfi gradì di uero nelle cofe: Sono ancora
diuerfi gradi di bene, ft) pero fono diuerfi cognitiont, ft) diuerfi appetiti ;
onde et diuerfi certitudini, ft) diuerfi uoluttà. £'l primo grado di uero è
nella natura Angelica, oue tutte le co fi fino adequate a fuot principìj y ft)
però fino partecipi uer amente della bontà. Circa ad effe è la prima potentia
di conofiere 3 laquale e chiamata intelletto ; ft) il primo appetito, ilquale è
chiamato uolon td nell' intelletto )e la pritna cer tit udine,ft) TE \Z 0. 103
nella uolontà, la prima uoluttà. Il fecondo grado del nero, ft) del bene e
nell'anima: om il aero, benché non fia affolutamente aero, come quello della
natura Angelica ; ilqualee per fia natura uero, e nondimeno aero, ft) bene r
adottabile, circa ilquale è la feconda potentia del cogno fiere, qual' e
chiamata ragione,{t) il fecondo appetito chiamato elettione, nella quale e la
fia uoluttà, come nella ragione, e la fua certitudme y laquale e detta
propriamente fcientia i fendo la certitudme intellettuale detta fàpienza. et l
terzo grado di uero, ft) di bene, è nel gran fimmario y circa ilquale è la fua
cogmtione, quale noi chiamiamo finfò intimo, ft) à fio appetito principio della
bellezza corporale ; la certitudme di quella cognitione ft può dir fede, ft)
quella uoluttà fi può dire tmaginaria. Il quarto grado è nella na. <3 «<j
104 L 1 3 ? \ O tura corporale, oue le cofi astutamente fono ombra di utro,q)
ombra di beneinon dimeno fino uero>ft) bene fin fibile. Et pero la
corninone, che è arca tal ucro s e una ombra di cogmtione; noi la chiamiamo fin
fi particolare, nelquale è neceffaria certi t udrne y ma piutofto afimilitudtne
9 come, dice il dtum ^Piatone nel fi fio libro della 2{epublica ft) lo appetito
9 che è circa tal bene e un'ombra del uero appetito, nel- quale è uolutta al
tutto ombratile: difcor -1 rendo adunque per tutti i gradi dell'appetito y
fimpre l'appetito è circa il bene ffi) confeguente alla cogmtione. Et però io
mi marauigho d'alcum che diuidendo l'appetito dicono lo appetito diuiderfi in
naturale, cogmttuo, (fuafì pojfi efiere ap petito finza cogmtione 9 ile he al
mio parere e afjordo: Imperoche mjfuno può appetire, quello che è al tutto
incognito 9 fi noi TERZO. tot noi diciamo negli elementi efftr appetito del
proprio luogo s e neceffario concedere in tfii e (fere una cogmtione
antecedente allo appetito, lacuale è principio et appetire 4 tutte le cofe, che
appetifiono.Est a c va dichiarar che cofa e bellez&a, potremo intendere
chiaramente, che cofa e amore. La bellezza, come e detto difoprafe una gratia y
uno fplendore della bontà, che in fu la prima giunta apparifce all'affetto, qua
fi il colore nella fuper fiele* Oue è da notare due cose. ‘Trimala bellezza
efftr obietto della jotentia uifuale: dtpoi ejìtre per modo d'oc adente, ft)
eftrtnfeca. Le bellezze fon molte ; perche altra i LA BELLEZZA DELL’ANGELO,
quale chiamiamo bellezza intelligibile, ftj diurna: altra la bellezza dell'
anima rationale, quale al prefènte chiamiamo animale ; altra la bellezza del
grande femmario, quale e detta feminarta; altra LA BELLEZZA DEL CORPO, quale è
detta corporale: a tutte nondimànco è com mune ejfer un fiore della bontà,
ejjer obietto della potentia uijuale, efier per modo d'accidente * Et per piu
piena wtelligen aia e da intendere ejjer piu potentie uifùali, fecondo che fino
piu obietti uijibili. La prima è efio intelletto, ilquale ragguarda nella
uerità intelligibile, ilquale è ueramente un'occhio eterno, che uede ogni cojà
Signore del mondo, temperatore delle co fi celejli, ft) terrene. La feconda
potentia uifuale, è nell'anima, effa ancorale-, culatrice della uentà: Ma
multipbce,ffi uaria, detta potentia rationale. La terzi j ènei TERZO, r io7 è
nel grande fiminario intenta alla uarie ta de fuoi fimi. Onde nafte l'affetto,
principio della bellezza corporale. V ultima è ia potentta, dallaqual fin
uedute le corporali, preftanttfiima di tutte le poten tte finfualt particolari,
come dice tAru fiorile, aera imagtne dell'intelletto. Auendo dichiarato che
cofa è appetito, ff) che cofa, ecognitione, fffi che fino tanti modi di cognitione,
ff) d'appetiti, quanti fino e modi del uero, ff) del bene: battendo ancora
dichiarato, che cofa è bellezza, ft) e modi di effa, ft) che cofa è potentia ut
fiale, ft) i modi di effa pienamente pofiamo intenderebbe cofa fia amo re, ft)
la natura d'effo. É adunque l’amore desiderio di fr vi RE, ET D’EFFINGERE LA
BEL l e 2 7 / a nel bello. Sendo l'amore, defiderio, ft) appetito pof tamo
intendere effir circa il bene. Sendo di bellezza, poliamo intendere effir circa
quella partir apatione di bene, che e detta bellezza ; laquale è efìrinfica,
ftfi per modo dacci dente obligata alla potentia uifuale, St pero h abbiamo ad
intendere l'amore effire m'appetito, che figuita la cognitione uifuale.Onde
Plotino dice rettamente l'amo re hauere acquifìato il nome dalla uifìone. E
detto appetito non folodi fruire la bellezza ma d' e f fingerla per lignificare
l amo re effir efficace. Imperoche non glie a ballante fruire la bellezza, fi
ancora affettuofifiimamente concependola non la effri me ; ft) in chi ? nel
bello ; cioè in chi fia di fpofto> ft) preparato a riceuerfì tale effir e fi
fione. Laqualcofia dichiara il diuin r Platone nel Simpofìo: quando dice
l'amore e fi fiere del parto della generatone nel bello. £ modi dell'amore fon
tanti, quanti fono e modi 1 T E % Z 0. 109 e modi della bellezza, ùjuah fi
riducono a dua, cioè alla bellezza diurna, detta Venere celefte, ft) alla
bellezza finfibile 9 det ta Venere uulgare, ft) commune: ft) fero diremo e modi
dell'amore effir duot cele fte,{t) uulgare. L'amore celefte è appetito
intellettuale circa la bellezza intelligibile. L'amore uulgare e appetito
ftnjuale, circa alla bellezza finibile. L'uno, %t) l altro fa la fua
efprefiione nel bellori celefte nella natura diurna per modo di fimi, ffi) di
natura, come è detto ; il uulgare nella materia per modo uifibtle, fgl
d'imagine ; laquale per tjuefto fi dice bella, perche e paratifiima a riceuere
la ejprefitone della bel lezza fimmana, di qui fi può intendere la fententia di
Alatone, quando dice Poro figliuolo di Metide ebbro di Tettare, ft) Pema hauer
generato l'amore, ne natali di V mere. ^Noi perche di quefta man o L I *B 7{0
teria h abbiamo breuemtnte trattato nel primo libro del fulcro, (g) h abbiamo
in animo trattarne altrove pia diffufamen te, al prefente dimetteremo piu particolare
efpofitione contenti filo in queflo luogo hauere aperta la uia a quelli,c he
fino fìudtofi d'intendere i profondi, fg) fegrett mi * fterij dell’ACCADEMIA
> f • , « v* f ' /chiarata ladiffinitione dell'amore, fg) come gl' amori fin
dua,cwè celeftc ft) uulgare, refterebbe a dichiarare m che modo nafia, fg)
quello,c he operi in noi l'uno, fg) l'altro amore, ma perche dell'amore cele
[le a bastanza e detto fi nel terzo libro del *7* utero, fi ancora nel
panegirico nofiro all'amore ; per quefio diremo filo ft) breuemente dell'amore
mi gare. TE % ZO. /// gare. Al pr e finte fuporremo in effir noi uno cor puf
colo diffufi per tutto, quafì unumcolo infra l'anima, (g) il corpo elementari,
detto spirito y mediante tlquale dall'anima nel corpo piu terrefìre fia trans
fufa la ulta. Quefio fendo generato d 1 una fot tilifi fima efialatione di
fangue, ha origine dal cuore principio, g) fontana del fangue piu puro, fi) al
cuore prende la utrtu,per beneficio dellaquale noi fiamo partecipi della uita,
detta uirtù uitale. Dalcerebro procede la uirtù,mediante laquale noi fintiamo,
g) et mouiamo, detta uirtù unir male, dal fegato la uirtù, per laquale fi fa il
nutrimento. £t la generatone, g) altre operai ioni f nuli detta uirtù naturale.
Di tutte quefle operationi e mflrumento lo fpirito, ilquale ( come e detto ) ha
ori gine dal cuore. Laqual co fa confidtrando zArifiotile, fecondo la mia
opinione, diffi ÌÌ2 L / 2 % 0 il cuore eficr principio del uiuere, del fin W,
ft) del mouerfi } fé) pero tenere infra gl' altri membri il principato >
Come quefio non re pugni a Platone, ilquale afferma il capo effer
prtnctpalfiimo di tutti e membri, ajjoluendofi per e fio l'intelligen ita,
laquale, è nobil filma di tutte le nofire operationi, altroue a bafìanza
dichiareremo, Stndo aduncjue lo fpirito mHrumen to del finfo, mafiime della
fantafia, che marauigliaè fi con tanta affinità naturale infra loro fi
congiungono, che una potente alter atione dell'uno fa tran/ito nell'altro ?
‘Per lacjual co fa lo fpirito potentemente alterato, e baflante a muouere la
fantafia a produrre l'immaginatione filmile a quella alteratane. llche
apparifie in quelli, che fino ueffati da ueemente fibre, oue tal moto dello
fpirito fa tranfito nella fantafia. Mede fimamtnt e fe la fantafia interi
famente opera in qualche petifiero: nello /finto fi fa una imprefiiom naturale,
firmle a quella operatone. La qual co fa dimofirano le fife tmagwationi delle
donne grauide, in cui ueggtamo non filo dalla fantafia far fi tmpref ione nello
fpirito y ma ancora mediante lo /pirico tra pa/farene teneri cor pi del fio
tenero portato. E n?ittagorici fferauano medicare le malattie con certi modi
d'armonie. Imperoche l'anima dell'armonia e fi erme reuocata nella interiore,
ff) naturale per grande predominio, che ha / opra il corpo, produce fimtle
armonia in e/fo, in età ftà la fita finita. Ecco adunque, che dado [pirito
nella imagmatione fi fa tranfito, cogitando la fantafia fecondo che efio è
affetto dall' imaginat ione. niello fptrito parimente fi fa tranfito, fendo
l'imagtne, come superiore, Ufi ante a muouere la uirtù naturale. Oltre a quefto
hab btamo a intendere da ogni corpo generabile > ft) cor rutilale far fi una
continua refi + lattone, ft) un continuo fiuffo, come aftermano Sinefio, ffi
‘Troclo; rituale pir certo /patio di tempo, ft) a certa dt/lantia si conserva
integro, avendo continuatane con quel corpo, da cui procede. E magi fi gliono
ofteruare cjuefto fìmulacro, per. e/Jo offendere lo fpirito, quando hanno in
animo perdere alcuno • ^Mafiimamentc fi fatalflu/Jb per gl' occhi.quafi per piu
aperte fineftre dell'anima, ft) dello spirito: ilche afferma o^riftotile,
quando dice l affetto ciana donna, che patifta il menfiruo fpeffe uolte
machiare uno Jpechio. È ancora da Jupporre nella generazione delle cofi ejfir
neceffaria una cagione, che produca detta cagione efficiente, ft) una, in chi,
ft) di chi fi produca detta cagione necejjaria, TET^ZO. ns necejfaria, ft)
materia. Et pero Telatone nel Timeo dice, che'l mondo e fatto di niente y ft)
di necefiità, cioè dt materia, ft) Arift otite chiama la materia necefiità
nonjempltce, ma per fuppofitione. Impe. roche come (e fi dee far ma cafa, ft)
una fatua y è necejfaria tale, o tal materia y coffe fi dee fare que fio
ornamento, quale noi chiamiamo mondo, è necejfaria ta le y ft) tale materia, di
che effo fìa confiti tato; ft) però la materia per fitppofitione f è necejfaria
*. Oltre a (juefte due è ancora necejfaria una cagione infìrumentariayme diante
lacuale fia preparata, ft) diffofta la materia a riceuere attamente il dono della
cagione efficiente. TSjoi pretermetteremo come a quattro cagioni della
generatione indotta da z LIZIO, cioè efficiente y fine y materia, ft) forma
fieno da Platonici aggiunte le cagioni eftmpìari, fg) ^ H ij ! n6 L I 3 ^ 0
l'organica. lmperocbe alerone s' appartiene determinare di queft a materia..
Oue di chiararemo ti nero efficiente dilla generatione ejjer la parte naturale
dell'anima mondana,chiamatada noi di {opra grande Seminario. Il fole, ff le
fuflantie indiai due effer cagioni inftrumentarie: questi co me inftrumentt
particolari,quello come in flrumeto uniuerfale. Al prefente ci bafli la
generatione hauerc dibifogno della cagione efficiente, della infìrumentaria,e
della ma tena.Pofìi qucfli tre fondamenti facilmen te pof iamo intender come
nafea in noi que fla affett ’ionc, quale e nominata amore. Ada f imamente fe
non et fiamo dimenticati eh quello, che è detto poco innanzi, l'amo ' re hauer
confeguito tl nome dall'affetto. Quando adunque per lo affetto ci s'apprefenta
nella fantafia qualche ff et t acolo, il quale noi appromamo, come bello ff)
pieno,p ^ ' dtgratia di gratta; [àbito t anima eccitata nella col gmtione della
/ita bellezza interiore v defederà non filo fruirla, ma e f finger la. Et.
perche tale efirefiione ha dtbifigno della materia, ft) del fubietto, atto a
quell&rk cetttone ; per quefto de fiderà ejpt merla in quello, che efid ha
prouato, ft) da cui è fiata eccitata a tale ejprefiione, come piu atto a
riceuere la participatione della bellezza, ft) perche quella ejprefiione non fi
può far nel bello, quantunque di fra no tura atto, fi prima non e
frffiaentemente preparato: per quefto mtenfamente defidera congiugner fi col
bello ; Come quello j che altrimenti non può efficr preparato ; che dalla
uirtìt del fime, ilquale è tnftrumento naturale ad efpr'tmer la bellezza fi
minarla dall'anima. *Di qui fi può uede ; re apertamente con l*amor uulgare 3
effèr fimpre congiunto il defiderio dell'atto Zie H. iij -ni LI 3 710 nereo,
fecondo Platone, Imperoche fendo l'amore defedeno defungere la bellezza nel
bello, fj) non fi potendo effìngere, non fendo preparato ; ne prepar andofi fe
non per quell' tnftr amento, quale ha deputato lunatura, cioè il feme y oue
fiala uirtù gener attua, Imperoche la generatione y o non fi ejpcdifie fenza il
seme, o per il seme piu commodamentefe necejjario fìa accom pugnato
naturalmente da quel defìdeno y • qual noi chiamiamo Venereo, Et quefea c una
commune difpofìtione dell 1 amor mi gare circa ogni bello. Imperoche l'anima re
focata nella bellezza interiore, giudica ogni bello, degno ; in cui s'effinga
il fimu lucro della bellezza. Ma quando noi approuiamo piu un bello y che
un'a\tro y come piu grato apprefjo noi, penfando del continuo adejfe
affettuofamente ; fi fa nello (f irito ma certa difpofìtione confeguentea TE 2?
Z 0. 4 W quella cogitai ione. lmperoche y còme editto, dall' anima fi fa
tranfito nello fpiritq come tn proprio y $) naturale infìrumen to. Incontrati
adunque m quello, circa cui Jiamo affetti, ff) a una certa diftantia
appropmquati riceuiamo nello fpirito per tutto il corpo quello
efirementofilquale na u turalmente fi rifolue dal corpo dello approuato
fpettacolo ; Mafiimamente fi fa tale recettione, quando noi dtr itti gli occhi
nel uoltOyft) ne gli occhi dtUa co/a, che tanto ci piace, per la marauighadiuentiamo
fimili a gli ftupidi • Imperoche come per gli occhi, quafi per piu patenti
finefire, fi fa maggiore refolutione dello fpirito y coli ancora per efii è
parata piu la uia negl'intimi penetrali dello (pirtto. Marauigliofamente opera
l' efficiente È quantunque debile, nella ma teria ben preparata fupplendo alla
debilità della cagione, la dtfpòjitiòne della materia, della qual co fa e mani
fefto inditio in gran copta di materta da una pìccola fcintilla fiufiitarfi
grandi fimo incendio. Lo Jptrito dallo affetto continuo della fifa cogttatione,
quafi formentato, come prima è tocco da quello efiremento,/uhito alterato -,
quafi fimu tavella natura di quello: Intanto che arriuando l'tnfettione al
cuore, fontana dello jpirito, fa che, ft) effi ancora parimente patifia. Onde
ft) il /angue,che in lui fi genera, ft) lo /finto, che è infi aurato dalla
continua efalatione del /angue, riten gono quella medefima infettione. Di qui
'auiene, che quelli, che fino infermi dalla graue malattia dell'amore, (intono
dolore principalmente nel cuor e. lmperoche la cofà amata fa uiolentta nello
Jpirito', ft) per lo //ir ito nel cuore, onde ha origine'. Meramente alla
maggior parte de malt(cò me dice r £ x z o. ni me dice tldium Alatone) un certo
demone ha mefcolàta la uoluttà dolcifrima e/ca, l'anima inferma fi diletta dei
diuin afpet -. to del fuo bello ffett acolo ; ffr) in prima del lume de'
rifflcndenti occhi ; Màinganriata dalia uoluttà 3 non finte il mortifero uè ne
no penetrare, per li occht entro alle uu [cere ; dalquate il grauiftmo morbo
prendendo nutrimento, d'hora in bora merauigliofametiie crefce. c Adunque lo
ffniito tutto infetto, mouendo uiolentemente la fdntafraja coftrmge non mai ad
altro pen fare ch'ai fuo bello spettacolo ; rituale approuando l'anima, come
foto derno in cui effa poffa ottimamente cfprimere una bella prole y a
fmtlitudtne della bellezza interiore y eccita uno intenttfrimo dtfrder io di
fruirlo. Quefìa e la generatione dell a mor uulgarc per quanto i circa alla
hdlez&aparticolare d'uno, o d'm'altro. Cjli T22 L I 2 7{0 accidenti che l'
accompagno™, in parte faranno dichiarati brevemente da noi in quello che
fiegue. f& al Omi l' anima èia aita del corpo, co fi la cogitatone è la
ulta dell' anima. £1 corpo fi dice ejftre allbora infirmo, quando l'anima /eco
non confinte. Ondo l'arte della medicina non è circa altro, che in conciliare
l'anima al corpo-, in che sla la finità dell'animale. L'anima e infirma quando
non confinte con la fua cogitatane, ma difìratta dimenticataf, ff) « di quello,
che efia è, ffi) delfuo ufficio ; non cura, come è conueniente, fi medefima.
L'infermità principali dell'anima fon dua:l' una è detta ignorantia-,1' altra e
detta infanta ta infima ; le quali fin unto piu gratti che le malattie del
corpo, quanto i anima e piu eccellente, ft) piu nobile, Ma a che fine tjuefto ?
Certamente perche la cogita tione dell'amante non mai fi parte per un filo
momento di tempo dall'amato. Et pero dimettendo il fuo uffitio naturale, non
confinte con l'anima di cui è ulta. Vani ma inferma, ft) affetta accompagna la
fua cogitatone: lmperoche nulla può uiuer lontano dalla ulta. TDi cjui aduiene,
che l'amante e detto uiuer finzlamma, untetido nell'amato. Queflo fa, che'l
corpo non riceue il defiato dono dell'anima: onde, f) ejjo cerca dell' amato,
q) trouatolo alcjuan to fi quieta 9 (juafi habbta trouato ìanima, ma perche ne
all'anima e concejfit la cogitatone, ne al corpo l'anima, cioè ne all'uno, ne
all'altro la fua ulta, è necefi fàrio, che ciafiuno incorra in grauifiime iriJf
L I 2? TfO malattie ; l'anima nell'ignorantia 3 fjf) nell'infima: il corpo
nella difcordia di tutte le fie parti fra fimedefime che è il mafi J Imo di
tutti i mali. Di qui fi può uedert quello 3 che uolfi tl dtuin Telatone nel
Simposìo 3 quando dice, l'amore ejjèr arido efier macilento 3 effer e /quando
co piedi nudi uolare per terra 3 finza cafi 3 finza letto, finza coperta alcuna
dormire nella ma prejjò alle porte ; ffi) quefìo per effir figliuolo della
pouertà « Imperoche l'aridità 3 la macilenta, lo fquallore che 3 e ne corpi degli
amanti, feguita la difcordia delle parti del corpo fi a fi) lequah non pomo
adempiere il fio officio naturale 3 non fèndo l'anima intenta aidehito
reggimento deleorpo. L'anima difir atta dalla potente cogitatane 3 opera de
talmente nel corpo: onde conuertita la maggior parte del cibo in fiper fluita 3
fi genera poco fin gue 9 i2$ gue, ft) quello per la mede/ima cagione fin do
mdigefìoy e grofjo, ft) negro. El difetto del [angue, di che fi fai alimento
genera efiiccattone, ffi) configuentemente eftenua tione mi corpo. La
grofiez&a,{tf ba negrez za genera affcrità, mifihiata col pallore. È
adunque lamore arido, perche e cagione y che e corpi delti amanti manchino
della conuemente quantità del [àngue, diche fi nutrifiono. E macilento perche
il difetto del nutrimento genera in efit efienuatio ne di tutti e membri. E
[quaUido perche fi nutrifiono di [àngue groffiy ntro y ilqua le genera
[quallore. Tutto quefto non uuole altro (tonificare, finon che e corpi degli
amanti principalmente fono obligati a ma li malinconici. Et quefto inquanto a
mali del corpo. 5 S[oi h abbiamo detto quando la cogitatone y non confinte con
l'animaygenerarfi in ejfà Tignorantia, t infanta ; onde hanno origine tutti
glialtri fitoi ma-; li. Volendo adunque ed diuin ^Platone figmficare la ulta
degli amanti e fiere affati caia dall'ignorantia, dall' infama, ff)
configuentemente da glialtri mali, che le figuitano: diffi l'amore effer co'
piedi nudi, per che non curando l'anima fi medefivna rettamente, come aduiene
adamante, non conofie quello, che effa è, anziché e di gran lunga peggio )
crede fi effer altrimenti che effa fia. ~Di qui aduiene, che effa è priuata
della cognitione della uerttà. Et pero in ogni fua anione procede finza ragione
alcuna, e uer amente co' piedi nudi. Diffi uolare per terra, perche l'amante fi
fa firuo della bellezza corporale. Laqual cofa nafie daefìrema tgnorantia, da
cfìrema infama, fèndo l'anima noftra nel numero delle cofe diurne, lequah hanno
a dominare alle cofi corporee, ffi) non fimire. Di ixà re. TDi qui naf ce, che
l'amante e fòt topofio a infinite offe fi, ne mai uer amente fi. quieta in cofa
alcuna, ne ancora nella cofa. amata, fendo fempre agitato da uant speranze, da
uani timori, i quali fino m modo potenti, che effo non ha fatuità di poterli in
alcun modo celare, quafi un fìupido, obhgato fempre alla bellezza corporale, ma
alla bellezza diurna, appoggiato a [enfi, iquali fino parte dell' anu ma noflra
; mentre e congiunta col corpo mortale. 'Rittamente dunque l'amore fi può dire
finza cafa, finza letto, fintai coperta, dormire all'aere nella uia appresole
porte. Sendo adunque l'amante fottopoflo a tanti mali per cagione dell'amato,
qual pena fi potrà trouare con ueniente, fi efio non riama ? Certamente chi
priua il corpo della ulta e h omicida: chi rapifie le cofi diurne
èfacrilego.L'ama ì2S L 1 3 % 0 to e fi ordendo la cogitattone all'aman. te
rapifce l'anima sofà neramente diurna. ‘Priua ancora tl corpo della aita,
uiuendo effo per la pre/entia dell'anima: Onde come homictda, ft) Jacrilegofe
degno di cru delifiima morte. <^Ma riamando l'amato marauighofamente
reHituifce l'anima all'amante. Imperoche, chi riama dona la fua cogitatone,
ffi) la fu a anima, nella quale urne l'anima dell'amante. £t pero donando fe,
refhtuifce all'amante la perduta anima ; ne per quefto pero abbandona fi mede
fimo, battendo fmpre fico congiunta l'anima dell'amante. Oitefh ffij fi mili
fono gbaccidenti, che feguitano all'amore per hauere origine dalla pouertà,
come madre. Chi uuol conofiere efijufitatnente ancora quelli, che configuitano
all'amore pereffer figlio di Poro, cioè della ma alla copiai legga icomcntarij
foprail Simpofio Smfojto del Duca noftro ^Marfiho ; otte la natura dell'amore
fecondo la intendane di ‘Platone è diurnamente ejplicata. Otrebbe alcuno
dubitare > perche cagione non fìa mo parimente affetti circa ogni hello.
<JMa fi ne trotta qualcuno, tlquale, henche giudichiamo efeer hello,
nondimanco non eccita in noi quello intenfò affetto, quale chiamiamo amore.
Qualcuno altro potentfiimamente ci commuoue ; anzi {che e di gran lunga piu
forte ) fpejfi fìamo affetti a quello, che ancora noi medefimi giudichiamo
effèr men hello in fa molti. Quella qui fi ione fecondo la mia fintentia, fendo
difi folle, ftj) anfia y fff) ha fi ante ad affati n o L I S 7{ O care ogni buono
ingegno habbtamo dedicata al fine di quefta opera, della quale al preferite
breuemente tratteremo. Qualcuno forfè giudicherà la femilitudme, g) la
congruente, perche noi fìamo piu. affetti ad un bello, che ad un'altro: hauere
origine dal padre, g) dalla madre, quafi fia neceffariOy hauendonot di quindi
l' effere, hauere ancora da mede f mi tutu l' altre ajfettioni ; Qualcuno altro
crederà douerfi ridurre alla natura > g) al Cielo come autori di tutte le
cofe inferiori. Tfoi che fèguitiamo il dium Alatone, affer y miamo la datura,
g) il Cielo efeere indumenti della diurna inteUigentia, g) per queflo operare
nelle cofi inferion y quaii eoi loro ordinato di fòpra. ‘ Diremo dunque le cofe
diurne ejjereinfra fi di flint e, fecondo che s'appropinquano, o fino lontane
da quel principio % onde procedono, i T B '%'Z 0. ni fa per quefio fèndo
l’anime rattonah nelnu W mero delle co/e diurne, e neceffario altre efi fa fere
ne primi gradi della perfettione, al$ tre ne fecondi, altre ne tertij. Quefla
di { ftributione ha origine dal primo mtellet T tri to, ilquaìe difipra
habbiamo apellato, tjl fff Angelo, ft) mondo intelligibile, oue l tutte le cofè
hanno il loro efiere perfiettififimo. Sendo adunque l anime rattonali ì
difìribuite in tanti ordini, quanto è il nu-, mero delle stelle, come dice
ildiutnTlai tone nel Timeo, benché naturalmente tutte fieno in fra fi
confintientt, nondimeno infra quelle è maggior confinfi, in chi è piu
congruentta, ft) piu fìmihtudine: Onde l 1 anime di ciafiuno ordine piu
cónfintono fico medefìme, che con quelle, che fino di dtuerfi ordini, hauendo
infra fi maggior fimilitudme, ft) maggior a fi finità: fór bigratta, t anime
fitto l'ad l \ V t,; Vs» i3z LIVIDO tniniftr attorie di Giove piu conuengono in
fra loro ; che con quelle, che fino ordinate fitto l'amminifìr adone di «J
"Marte, o di Saturno: fendo piu fìmili, ffi piu affini. et anime, che
dt/cendono nella generatione tratte dall'amore delle cofe terrene formandofi i
corpi, iquali reggono: in efii efprimono la natura fua per qudto la ma teria ne
può effir capace. lmperochejl corpo none altro y che una imagine dell ani ma,
ft) quanto i corpi fino piu perfetti tanto meglio rapprefintono l'anima. Onde
il corpo celefle perfettifiimo di tuttii corpi, fèndo tanto uicmo all'anima,
che tffi quafì fianon corpo, ottimamente la reprefenta: HPer laqual cofà t
anime, che difiendono nella generatone sformandoli da principio un corpo di \
Natura fimileal corpo celefle ( ilche hauere affermato Arifiotde ancora
confinte Temifiio ) prima in V • Jfi MI» mi ni j I tuw wh ri- tti it li fi i 9
fiin ejji fanno la fùa participatione sfattamente, dipoi negl altri o meglio, o
peggio, fecondo che per la loro perfettione, o tmper fattone, fi prefi ano piu,
o meno obedienti. Tutti nondimanco ritengono il Carattere dell'anima Jua r
fendo adunque la bellezza corporale rnagine della bellezza dell anima, {fi per
queflo riducendofia medefìmi ordini, quel bello filo è ajfettuofamente
offeruato da noi., ilquale fi riduce al nojìro ordine, {fi quello è innanzi a
tutti offeruato, {fi adorato, che procede da anima nel medefimo ordine di
firnma preftantia, {fi di fimma degnità,{fi per queflo fi V anima noftrà e
intenta alla generatione, fubito, che ci incontriamo in efja, quafì attoniti
giudichiamo altro ue piu attamente non potere ef fingere la diurna bellezza. *
Onde a nullo altro peniamo, m nulla altro tt udiamo >che adem I / tu fiere
l'ardente defìderio nojìro. Quefta forfè effir la cagione, come io fimo' affer
merebbe uno ftudiofodeldiuin ‘Tlatone, per laquale fiamo affetti pm ad uno, che
ad un'altro bello. Queflo fìa tifine, o buono Amore del nojìro cercare, della
tua diurna origine. Dio uolefii, che a me fufii tanto facile trouare le parole,
quanto cofi grandi, ft) marauighofi di te concepiamo. Imperoche e mi farebbe un
piccolo inditio, che la mia te nebricofa mente pof fa effire Ulu firata "
i. dalla chiarezza della tua di ; • £v; umifitma luce. iL FIl j. Giof'^t'HX 1
conisi, e. PALLA B. VGELLA I< V ?• fN *> 1. f\ I. % v ; j. « +4 R AVE
PECCATO è non fentire rettamente de gli D.ìj, molto piu grane detrarre alla
loro maie(ìà,ft) pero ca± r fórni amici, non uituper atelo amore, cojà
certamente diurna, acctoche nonni auenga come a Steficoro Poeta, ilquale ef
PATSfEG ITTICO fendo accecato per hauer ne' fiuoi uerft pec tato contro a
Helena,non mai recupero la perduta uifia fi prima fatti e uerfi incontrario
fenfe non placò la offefa deità. Homero ancora perche non uolfe confejfare
hauer peccato yUtffe cieco infin nell'ultima vecchiezza. V n adunque non filo
ui after rete da tale uituperatione, ma celebrando ilfacratifiimo nome dello
amore,lefue mirabili uirtuti infieme meco predicante y fe non come e conuemente
a tanta maieftà, almeno fecondo le forzz del uofiro ingegno, di che nulla piu
uttle a uoi, nulla piu accetto a gli Uij fare pofiiamo. Neffuna cofa e tanto
grata quanto la bellezza, neffuna tanto mole fi a quanto la deformità. La
bellezza rapifie e diletta l'anima no lira, per contrario la deformità l'
affligge e la difeaccia. La cagione credo fia, che la bellezza offendo fuori
alle co fi cofi create mofira la perfettione di drento % onde uiene, perche la
perfettione dt qualunque cofa e accompagnata da una certa gratta ejìeriore,
laquale dimoftra quella cofa non hauere di drento alcuno difetto, c pero non e
merautglta fi l'anima noftra e prouocata e rapita dalla bellezza; impeto che
effa naturalmente indoutna per la bellezza douerfili aprire la uiaatla infinita
perfettione della diurna bontà, per laqual cofa li antichi Theologi affermano
la bellezza effiere portinaia alla habitatione ficrettfitma della diurna bontà,
quafi fia neceffarioa qualunque cerchi ladtuinità prima incontrar fi nella
beUezza. £per quefio la bellezza non è altro, che uno fiore, una gratta, uno
splendore della diurna bontà, laquale prouoca e rapifie tutte le cofi che hanno
facultà di cono fiere, accioche per fuo beneficio fi faccino dteffa
parte*PA^EGltTCO dpi y ou'èla aera q) ultima perfittione di c taf imo. Onde fi
cofi che hanno potentia di cono/cere, fino piu perfette > che quelle che ne
fino prrnate, ffi fra quelle che condfiono chi ha miglior grado di cognitione
ha maggior grado ancora di per fettione, la ragione è, che chi ha miglior gra
do di cogmttone, cono fendo piu perfettamente la bellezza, e intromeffo a
maggior grado della participatione della diuimtà, doue conftfle la perfettione.
Onde la firnma cognìtione fi fa participe di fimma perfettione, conofcendo
ptrfettifiimamente la bellezza, Ma chi è al tutto priuato della cognìtione
yfendoli nafìofio lo fplendo re della bellezza y è priuato ancora della ue ra
participatione della diuinitdye pero meritamente fi reputa imperfettifimo fra
le cofi create. Chi negherà le cofe inanimate effire piu imperfette che quelle
ylequali han no anima t 1 ALVA MOltJZ.no anima t ft) fa quelle, che hanno anima
molto piu imperfette e (fere le piante, e gli altri animali che Ihuomo? Le cofe
inanimate no battendo cogmtione alcuna nten te guftano della bellezza, ft) pero
hanno poca per fattone, perche per ft non pojjo no aggiungere alla diurna
bontà. Le piante ( come dicono e c ~Ptttagorici ) hanno co gnitione, ma Hupida,
ft) quaft di huomo y ilquale fubito fùeghato finte e non difierne. Gli animali
irrationah fentono, e difeernono, e nondimeno perche lo fplendore della uera
bellezza troppo fupera la loro f acuità del conofiere 9 e fi ancora hanno de
bile perfettione. Solo l'huomo fa quelli che habitano in terra e capace della
bellezz za, efiendo in lui ampli fimo grado di cognittone 9 onde efio arnua a
non piccolo grado di perfettione. Ma nella natura angelica ft contiene el fommo
grado di perfeitone, offendo da Dio principio, (fogni lume, in e (fa fitto
infufo uno lume> Uguale congiunge la cognittone uerifiima con la uerifiima
bellezza, e dalìacjuale la cogni itone è dertuata nell* alt re creature, come
dal Sole fontana d'ogni lume uifibilefe deriuato ogni altro lume nelle cofi
corporali. Chi dubita la bellezza fola rapprefentare la diurna bontà t
confideri il Sole effere belhftmOydi tutte le cofe che fi tncontrono alti occhi
nofìri, uer amente occhio eterno del mondo, come dice Orfeo, ih/uale gli
antichi Theo logi chiamorono figliuolo utfibile di Dio 9 anzi diciamo effo
effere nel mondo come in facratifiimo Tempio merauigltofifiima ftatua di Dio.
Onde apprefio gli Sggitij ne i Tempij di Minerua fi legge ua fermo in lettere
d'oro.Io sonocio CHE £, CIO CHE È STATO, C/0 che faràyil uelo mio non
difìoptrfi alcuno, il fole il file futi frutto ch’io partorì di che appare il
Sole bell forno, fi a le co fi uifibili uer amente rapprefintare la diurna
bontà, come imagme di effa nel mondo.. Sfondo adunque la bellezza qual di /opra
e dime firato,non è merauiglia effa prouocare immo rapire a fi le nature
conofienti, mafiimamente quelle che hanno amplfomogra do di cognizione, c Anzi
piu tofto diremo ejjè hauere in fi mio ardentifiimo defiderio, per beneficio
delquale non già rapite, ma fpontaneamente cercono e configmfiono la bellezza,
cagione della loro per fettone. Quello defiderio non pofjede al tutto la
bellezza allaquale fi muoue, ne al tutto ne è priuato, perche fi fufii al tutto
pnua to della bellezza, non harebbe di effa alcuna cognttione, onde ne la
potrebbe defiderare. 2 Spi figliamo defiderar do che noi defideriamo come cofa
buona f utile per i 4 z P AT^EGl^lCO noi, altrimenti mai defidereremmo mila.
Chi è colui che defiden il (ito male ( fi già al tutto non è infinfitto ), fi
adunque x noi fiamo priuatt della notiti a di co fa alcuna, non ci ejfindo
noto, fi tal cofite t come la pofiiamo defiderare come cofa buo na ft) utile P
er not • mn 6 dunque da dure che'l de fiderio della bellezza, al tutto dt e JJa
fia priuato. 7S[e ancora è da dire tale defiderio pojfidere la plenitudine
della, bellezza, perche chi poffide non fi muoue alla cofa quale lui pojfide,
ma piu tofiola fruifce. Chi non conofce che la potenzia delmuouerfi e data alle
cofe create per arriuare e configuire quel termino y che tjfi non p affiggono 1
ilquale come hanno pojfiduto fiibito ce ([ano dal mouerfu Onde elmoto e
connumerato da Filofifitra le co fi imperfette. Ma colui che de fiderà fi muoue
in un certo modo a quello che efio defidera, i ALL* AAf07{£. i#j\ de fiderà, e
pero non lo pofiiede y percbe fi. 10 poffidefii, farebbe uano ildefiderarlo 9i
godendolo finza interna filone 9 per laqual cofa il defìderio della bellezza
> è poflo in mezo della pnmtione, e della pofiefiiont di e[fa\ participando
tutti dua lieflremi. Quefto defiderto fi noi chiameremo amo-, re > non
faremo da h h uomini ne etiam da 11 dij meritamente riprefi, perche in ogni,
natura creata, o uuoi angelica, o uuoi ratinale l'amore non e altro che uno ardentifiimo
defiderio di poffedere e di fruire la bellezza quanto a fi e pofiibde. Perla
qual cofa, li antichi Theologi non collocarono lo amore nel numero delle cofè
diurne come quelle che in fi hanno la plenitudine della bellezza, ne ancora nel
numero delle co fi mortali, come quelle che in ueritàne fono [fogliate, ma nel
numero di quelle che, delle mortali e delle diurne fono partiALL'AMORE. dpi,
parimente, come e la natura demonica. Onde efit chiamorono lo amore non Iddio,
non mortale, ma grande demone, perche la natura demonica, pofta m mezg fra gli
huomini e li TDij quafì interprete, conduce a li Dij li prieghi e fàcrificij
degli huomtni,alh huominila uolontà e comandamenti de Ili Dij. Qie per altro
mezo li huomini,o melanti o dormienti fino mfpirati dalla diurna bontà, che per
la natura demonica. Parimente lo amore pofto in mezo della cognttione, e
plenitudine della bellezza, non filo prepara, e difione ottimamente
alloinflufio della bellezc, le cofi che ne fino priuate, atte a participarla,
ma ancora traduce della bellezr za un lume, per ilquale effe fatte belle,
configuirono la loro felicità, Quefìofignificorono li antichi Theologi quando
difièno lo amore efiere figliuolo di c Toro, e di Penìa gene ÀLVAMOXB. t+t nia
generato ne natali di Venere, e pero e fi fere fittatore e cultore di ejfi.
lmperochc Venere figmfica la bellezza, Poro [tonifica, meato e uia, Penta
lignifica indigene ta, e pouertà, E adunque generato lo amore della
indtgentia,come madre laquale è nel la natura,che ancora non ha participatione
di belle zia, ma ha bene una certa potentia e prontitudtne adhauerla, £del
meato e uia alla bellezza, come padre, cioè c imo influjfi ouuoirazp, ilquale
procede dalla bellezza, e conduce ad e (fi la natura indigente. Onde l'amore
uiene a par ticipare della tndtgentia,inquanto fi muoue alla bellezza, e dello
influjfi o uuoi ra zp, inquanto al tutto non e priuato della cognittone di
efia. Meritamente adunque lo amore è detto fittatore, e cultore di Venere;
imperoche lo amore fimpre figutta la bellezza,* lei bellezza fimpre eccita la
amo j ó P. A TfE G l'FJCO', ye. Sarebbe lungo a dichiarare quello che intendono
li antichi Theologi quando du cono effer due V mere t una figliuola del eie lo
finzetmadre^ e però effer detta cclefte,. laquale nacque de genitali del cielo
cafra % lo da Saturno fuo figliuolo /àbito che fu nato. E da la fpuma del mare,
oue efit genitali caddero. L'altra figliuola di Cjioue e di Dione, detta
uulgaree comune. Et. pero al pre/ente ba fiera dire fidamente co*, me fino due
Venerefiioè due bellezze* Mia celefìe, l'altra uolgare, cofi effer dui
amoriyUno cele fi e fi altro uolgare. Lo amor ce le fi e feguitare la bellezza
celefte e diurna, e'iuolgar, la uolgare e comune. <£\da forfè non farà fuori
di propofito, incominciando fi da uno altro principio dichiarare m che modo
fono diuerfe bellezza > e diuerfi amori, effendo fempre feguitata come è
detto ciafcuna bellezza, del Juo ; amore. f ^l'ordine rALL'AMO'RE.'H: '7S(e l'
ordine delle cofi il primo e capotti tutte e effi Dio infinita bontà, infinita
firn piletta y principio y mez.o, e fine d'ogni cofa y bene de bem y lume de
lumi. TDopo Dio ~ è lu natura angelica, laquale fi come è la prima creatura che
procede daTDiò, iCofi tiene il primo grado diperfettione tra le cofi create.
TDòpo l 'Angelo e la natura rationale, laquale ancora è detta anima, tanto meno
perfetta dello angelo, quanto è piu lontana dal prtmo/lSfondimanco ha in fi
tanto grado di perfezione, che ejja pon filo intende la natura angelica, ma
ancora a fende al profondo abifio de la di uina luce. Quefla produce e regge
tutte le cofi corporali, e con la fua prefentia dona loro la ulta, ft) il moto.
lmperocbe qua T lunque uiue,in tanto urne, quanto dal' ani ma riceue il
pretiofi dono della ulta, dalla quale effa e origine e fontana. Il quarto uogo
tiene la natura corporale, lacuale al tutto digenera dalle cofi diurne, perche
in ejfa nulla è di uero, nulla di certo, ma ogni co/a imagmaria e uana fimile a
l'ombra de cor picche apari/ce nel continuo fluf fi dell acquaylaquale
continuamente fi genera e fi corromperne mai (la ferma in uno ejfire. L'ultima
ne l'uniuerfi, è la ma teria y nella natura della quale non e ordine o
perfettione alcuna, molto piu uicina al non ejfire y che a l'efier e. Adunque
fi può dire ejfire ne l'uniuerfi cinque gradi di cofiyCioe T)to y l' Angeloyl'
animaci corpo, la materia ydequah dua ettremi fino in modo contrarijyche l’uno,
cioè Dio è auttore, e cagione di tutti t beni.L'altro y ctoè la ma teria è
cagione e auttore di tutti e mali. Iddio tanto eccede le cofi create, che e fio
non può ejfire pienaméte intefi da alcuna crea tura. La materia ha in fi tanto
difetto, che ALL* AMORFE i\ i+p che per fua natura, fi come fogge lo e (fere,
cofi ancora fogge la cognitione. Et per quefio ne la materia no è bellezza alcuna,
anzi piu toflo u'e fimma deformità, perche la bellez&a(come e
detto)accompagna firn pre la bontà, ne fi può trouar bellezza do* 'ue non
fiabontà',e noi hauiamo dichiarato nella materia non ejfire alcuno grado di
bene,efiendo la materia ejfo male, e prin cipio d' ogni male. 5SS? ancora in
Dio e bellezza alcuna, imperoche Dio e fimma firn plicità,ela fimma (implicita
non e capace di bellezza, ma caufit di ejfa, e fendo la bellezza nelle cofi
create. Onde in Dio e tan ta perfettione,che quando noi diciamo, Dio è
fapiente, Dio è uiuo, D io è gtufto e bello, noi habbiamo a intendere in ‘Dio
non ejfire, o uita, o fapientia, ogiuflitia, o bellezza, nel modo che uedtamo
nelle cofi create, ma Dio ejfire cauja nelle creature, della fipientta, della
uita,dtllagiuftu ia, della bellezza, e però Dionifìo Ariopagitafikndore della
Theo logia Ghriftta «rty dice nel libro de nomi diuim, tutti e Homi che fino
attribuiti a T)io, fgmfìca^ re dóni da lui nella natura angelica concefi fi.
#(efla adunque la bellezza e fière nello àngelo,nella anima j nella natura cor
porti k. JMa come efiafia in quefle tre natureper le fiquente fimilttudme fi
potrà factU mente ( come io 'Spero ) comprendere. Fingi liner ua dtfiendere di
Cielo in, terra tra mortali, fingi una statua di ?ne rauigliofi artifitio fatta
a fimilit udtne co-> me quella di Ftdta, laquale facci la imagw ite fid iti
uno Specchio', chi uedefit quella imagine nello Jpeccbio,non uedendo la fi a-'
tua -, di cui è effavnagme, fi merauiglia rebbe affai della fia bellezza- Molto
piu fi 1 merauigliarebbtfi ue defila Statua, ondc\. quella imagme d erma sterno
fcmdo in efia la merauighofa mduftrta dello artefice\ <£Ma fi uedefit gli
occhi, jf) il uo!to,e l y al tro basito del corpo di Minerua uiua.qua fi
attonito tonfeffarebbe la fìat ua e la ima gine nello fpecchio non e fiere
degna di fti\ ma alcuna, la cui bellezza, haueua poco manzi tanto commendato.
Nondimanco direbbe e (fere tanto meglio la fatua, che la imagine nello fpecchio
y quanto e meno lontano da Alinerua uera » 'Sfa milmentela prima, e uera
bellezza è nello angelo, laquale è mi fura ffi) origine db tutte l' altre
bellezze 'L'anima ancora pofi fiede la bellezza, non già per (ita natura, ma
per dono dello ^Angelo, come la ceraha lempronte dal figlilo, ffi) pero fi
puòdir piu tofìo e (fere uera fimilit udtne di bellezza, che uera bellezza,
efiendo ne l'an fa ma, non per fua natura, ma per beneficio K ut) isi
PA^EGITUCO d'altri II terze grado di bellezza * ttel corpo, neramente non
fimtktudine, ma ombra dt bellezza, molto piu lontana dalla bellezza dell 9
anima, che non e l'anima dal laidi ft abile, nulla di certo,ma ogni cofi e
fluffa e mutabile, e pero la bellezza cor por a le, figurando la natura del
corpo, è Jempre di necefità me/colata con la deformità, fio contrario, continuamente
variando fi. Fra tutti e corpi, il mondo partteipa amplifimo grado di
bellezz&,percbe tl tutto è fimpre piu per fetto che le parti. Imperoebe il
tutto contiene e non è contenuto,. Le parti fino contenute fjft non contengono,
f0 nejfuno può dubitare ogni altro corpo ejfire parte dello untuerfi/Dopo
rimondo fino e corpi cele ft i, da quali fi può ha uer mam fe fio te f limonio
della bellezza de lecofi Ti lo z, Angelo. Imperoche nella natura del cor po (
come rettamente dece Her adito ) nuL f ALL' AMORE, iss le cofi dittine, Olirà
quefio grande nume ro de corpi, e quali alprefente faranno da noi pretermefii.
Solo diremo dello, buomo ilquale contiene tanta perfezione e tanta bellezza
> che h antichi Fdofofi non hanno dubitato chiamarlo mondo piccolo, come quello
che in fi piccolo loco come e il corpo humano, ha congregate tutte le utrtu del
i mondo. èjfindo adunque la bellezza nello angelo, nell'anima, nella natura
corpotale, noi chiameremo la bellezza dell'angelo e dell’anima, Venere celefie
e diurna. Perche non può ejfire ueduta da altro oc chio che dello intelletto,
cofa neramente diurna. La bellezza del corpo chiameremo Venere uolgare. Efiendo
conofituta per mezo de lo occhio corporale, per laqual cofa,fe ogni bellezza è
accompagnata dal fuo amore, e lo amore non e altro che uno ardente defiderto di
bellezza fjnrituakdi - t m.'&rA2$E-G Wmo remo efifireamore cele fi e e
diurno, g ; )ìl dejìdeno della bellezza corporale efiere amore uolgare e
comune» Chi adunque non conofce quanto fi ingannano quegli il cui amore fi
dirizzi alla bellezza corporale? fi già non lufino per inftrumento per /altre
alla diurna bellezza, mi al prefinte dimet teremo le incommodità di che fono
partecipi gli huomini, per figuire l'amore uolgare, come co fa molto aliena dal
propofito no u firo. Solamente dimoftr eremo il maggior dono che fia dato a gli
huomini da Uio, cffere quello amore che li conduce a contem piare la diurna
bellezze, ft) pero tal amatore e/fire eccellentifiimo, e qua fi un miracolo
infi a gli altrt huomini. U anima no: ilra benché fia piena di diumità, anzi
neramente figliuola di T>io, nondimanco m > tanto è occupata dal corpo,
alla cura e reggimento del quale naturalmente ì propofia, che r AL V~AMÒ\E. V/V
fia y che rifiu delle uoltediuenta piu fiimitai tenebroso carcere dout e indù
fa, che allo amore d'onde procede. Et pero ' U antichi Theologi chiamorono il
corpo fifulcro de làmina y che quafi l'anima fia piu fimile alle cofi morte che
alle itine, meli tre che fta mi corpo,per laquàl cofi dimen ttcata della natura
fua^è della bellezza di urna e delufi da grande, e uano numero di falfi fogni
y' per tutto quello Jpatló di tempo che'l cieco ft) ignorante uolgo chia >
ma uita. E' Incordar fi della diurna belléz^a poiché fi amo congiunti al corpo
mortale, non è facile a ogniuno y ma fino pochifitmi in chifia rima fio qualche
fintilla di diurno Jplendore y per laquale po fimo ef fere eccitati à fi felice
ricorranone. Quefli quando s'incontrono in qualche tmagU ne della diurna
bellezza > laquale piu ma nife fi amente che in altro loco 3 appare neh r
is6 corpo inumano, e maxime nel uo Ito, quando e partecipe di prettanttjsima
forma in prima fono occupati da in [olita me r aut glia, me folata injìeme con
horror e, di poi alquanto afiicurati, la giudicono cofa neramente diurna e degna,
a cui fi conuen ga fare li facnfìcij e uoti, non altrimenti che fi foglia fare
alle ftatue de li Dei immortali. Ma quando piu attentamente riguardando in
ejfa, riceuono per li occhi lo influfio della bellezza, [abito per tutto
alterati, fidano parimente ft) ardono. lmperoche in loro fi accende uno
affetto, ilquale mirabilmente gli eccita, e lifolleua. Dipoi aggrauati dal pefo
della infettione corporale in baffi ro umano, non altrimenti che fuole auenire
a quegli ucce\ $ » ec j ua k P er troppo defiderio di uolare, hanno ardire di
commettere inanzi al tem [o alle giouani ale il pefo del corpo loro, ma non
ALL'AMORE. in ma non effendo le penne ancora ha fi unti a notare fono con ftr
etti precipitare in terra y perlaqualcofain un mede fimo tempo agitati da dua
contrarijfintonograuifi fima moleftia, lacuale fubito fi corner te inletitiache
fiecchiatt di mono nel bellifii mo mito, riceuono drento a l'anima, il tanto
defiderato fplendore. Ma quando fiparati dal diurno Jpettaculo, mancono della
loro confueta e fi a, afflitti e dolenti fi riuolgono continuamente nella
memoria, la imagine dello Jplendidifitmo uolto, onde sforzati dallo
ardentifiimo de fiderio, fimili alti infuriati non potendo ne la notte dormire,
ne' l giorno in alcun luoco quietar fi y per tutto difiorrono cercando di uede
re quello fpettaculofinza la cut ufi a confumati dal dolore perirebbono,
ilquale poi che hanno ueduto e rtprefi il defiderato nu tnmentojibtrati dalli
acuti [ìimuli egra rff$ j?A^sai%ico \ue ànguHte y fi fentono m tanto filettare
~fipra le forzé loro confate, che dimenticandofì de padri, de fratelli, de
patrij honori -dequali fi filettano. gloriare Amentic andò fi ancora di fi mede
fimi, femore penfam in che modo pofimo fruire il \dmmfattaculo, come quegli che
reputar (fio ogni lor ualore, m quefia uita ffi} in •quell 'altra hauere
origine, ff) incremento da lui, come ottimo medico delie humane infirmiti. In
prima dalla- bellezza d'un corpo non filo particulare, ma ancora caduco,
falgono alla bellezza de corpi celefii, e di tutto lumuerfo, Oue oltre alla
luce di che efii fino urna fontana utile cofi finfir bili y contemplano
una.fuauifitma armonia caufaa da lordine e proporzione de tnouimenti loro, per
la qualcofiiyapcrta ( Mete conofiono il cielo, ejfire la hr a di Dio, come dicono.
gli ant ichi ^Pit t hagorici, al fano T: fuono ddlctcj naie tutte le cofe
contenute da lui mtr abilmente bullono, Uopo la bellezza de lo umuerfo truouono
la bellezza ridi' anima. Imperoche ejjendo il corpo una. fimilit udine de
l'anima, ne ffuna partecipa itone della diurna bontà può ejjcre in efjo +
lacuale non fia molto prima ft) in moltomiglior modo nell'anima, ejjendo
origine e principio della natura corporale, anzi non per altro la
partictpattone della diurna bel lezza e nel corpo, che per ilgrande domi hio
ft) imperio quale ha l'anima in affo. Onde e Filofofi affermono quafì come coft
imponibile non ejjere eccellentijsime dote m quegli, iquali fino dotati di piu
egregia forma che gli altri, come qua fi l'anima di coloro fia piu predante e
piu diurna, la cui forma del corpo uera fimiltt udine de l'ani ina è piu bella,
cofi di grado in grado prò • cadendo, fubitofi difcuopre loro il prò fon» 160
ALL'AMORE. do pelago della diurna bellezza nello fflendor dellaquale nella
prima giunta abagha ti, pojjhno fico medefimi in quefta maniera ragionare.
Infino a qui balliamo piu tofto una ombra ouero fimihtudine di bellezza che
nera bellezza ?Maal pr e finte o dolcifiimo amore, ilquale rtfialdi le cofi
fredde jilluftr ile ofiure, dai uita alle morte groppo hai filleuate l'ale
delle menti nofire, lequalt infiammafli alla chiar filma luce della diurna
bellezza, e le penne già rottegli fuptrchio amore delle cofi mortali, non per
fua natura, ma per tuo beneficio nnnouate,hai e fp beatole noi Molando (òpra il
cielo, guidati dal diurno furo re fiamo ripieni di quelle merautghe,lequa li
mai ne occhio uide,ne orecchio udirne di fiefeno in cognitione di cuore alcuno.
Onde neramente pofiiamo efilamare, quefto e il di che ha fatto il Signore,
rallegriamoci ffje/ulALL* AMORE. i*r ft) ejukiamo in effo. Quefta ì la uia
retta; per laquale debba procedere il legittimo amatore, ilquale quando
comincia a contemplare la diurna bellezza, fi può dire e fi firc uicino alfine,
oue ciaf una co fa creata quietandoci acqui fi a la uera felicità, * però
qualunque riguarda la uera bellezza con t occhio della mente, col quale filo
può ejftre ueduta,non producendo imagtne e fi milit udine di uirtù, ma uere
uirtù, fatto a Dio amicOydimoftra chiaramente ihuo mo efifere per beneficio
dello amore ree ettoculo della diuinnà, per laqual co fa qualunque non ùede il
uero amatore douere e fi firetnfia glihuomint in grandifitmo pregio, e mafitme
appreffo della cofà amata % non intende quanto le cofe diurne fino piu
eccellenti \e degne di piu ueneraimt che l y al tre, ne alcuno impetra maggior
gratti, e riporta maggior doni da U T)ei, che la coU2 P/A^EGJ^taV. fa amata,
quando ardentif imamente riamando èparata afitt omettere ogni per icn lo in
gratta del fuo amatore. Imperoche, con lo amatore habitano gli T>ij, pero
non meno accettono l'offcruanttae lattenerattone della cofa amata in uerfo
l'amatore, che e uotie fàcrifìcij fatti a fi. Onde in quefta uita,{t) in quell'
olir a, la ricompen fano di grandmimi premij. Ma quando, la cofa amata ha in
odio il fuo amatore f ; cimenta ricetto di tanta mifiria e di tanta infelicità
; che molto meglio li farebbe effe-, re, o bruto animale, o tnfenfto faffianzi
piu tofto al tutto non efjere nata.nefi fina cofa arreca maggiori incommodi a
gli h uomini che l'odio delle cofe diurne, dalle quali pende ogni bene, ogni
mifura nello untuerfo, perche efendo fondato in fu la difimUitudme di effe, è
nectffario che fa accompagnato da tutti e mali: chi adun queha XLVAMOKZ. m que
ha in odio lo amatore^ ejjendo. alieno t rebelle dalla diurna bontà ft) amico
delle cofi contrarie, m prima fi fa firuo di quelle per tur bacioni y lequalt
arreca Jtco l'imperio de jen fi, quando la ragione e adormcntata, come fi a
gufa delle piante tenga il capo in terra, bauendo uolto e ' piedi uerfio il cielo.
Z }opo ne uiene un'alt r o male y perche non conofiendo alcuna cofa rettamente,
pieno di falfi opinioni diuen -, ta folto e bugiardo, non altrimenti che auenga
a quelli squali da continui fogni beffati in mezp al fonno finfiono la lor
uita.'Da quefie furie y mentre che e uiuo dormendo, o ueghiando y fi gite da
dire effo mai ueghiare y rimordendolo la confeientia imperturbato. Ma dopo la
morte JubitQ da minifiri'della diurna giuftifia menato manzi al grande giudice
ode l borendo gtUr ditto, fi ejfire dato in potè fi à dicrudehfitmi demoni,
dequali una parte lo affligge còl rappreftntarli nella fantafìa ogni horribtle
fpecie dt paura. Vh' altra parte con intoL ler abili pene corporali lo
tormenta. Ma J opra tutti e mali, dua fino grandmimi. V uno e una certa mole fi
ia interiore laqua le procede dalla difeordia dell'anima in fi medefima, (ìmile
a quel dolore che ènei corpo y quando per ladifiordta di tutti gli humort
pefiim amente è dftofto. L'altro di gran lungha piu graue y effiaè diuinità
penetrante in ogni luoco, la prefintia della quale per cagione della interiore
diffenfìoneaneffunmodo può j apportare. Imper oche yCome gli occhi cifpi perla
prefintia del lume fintono gran dolore i fimi fi co fortano y cofi L'anima
gtufta finte gaudio e dolcezjtt,La ingiufia finte una moleftia che ninte ogni
moleftia, perla prefintia della diuinità. Da quefti mah ancora ALL'AMO'KE. ics
molto maggiori per uolontà diurna e afflitto chi ha in odio il (ito amatore,
ilquale diuenta partecipe di altrettanti beni, fedi meffa ogni altra cura, filo
penfi notte e giorno efircitarfi in ogni ffecie di uirtu,accioche fatto fimile
a lui, fia degno ricetto di tanto lume. Quefte e fimih fino le laudi o
dtuinifitmo amore,che noi inuolti nelle te nebre del cieco mondo di tepenfare e
ragio • nave pofiiamo. Alla cuigràdezga chi non rende il debito honore,no
conofie tutte le co fi cofi diurne e celefii,come terrene, per tuo benefìcio
non filo effere create ma ancora unir fi al fio creatore in lui finalmente quie
tarfi, piene v:. ciafi lina fecondo la fia natura della gratia divina « iS JLL
MOLTO MUG%ìtìCO E S^O OS SERVANO ISSIMO BENEDETTO uandifsimoM. Bac~ do mio,che
a coloro, i quali di quella prelente uita partati fono, fi porta fare beneficio
maggiore, che tenere ùiua ? e frefca la loro memoria ; Perciò che il cóli fare
è fecóndo il parere d alcuni poco meno., che rifufcitargli, e fecondo alcuni
altri di piu perfetto giudicio, molto piu, dandoli loro non una uita fola, e
quella caduca, c mancheuole, ma molte, e fempiterne,come altra uolta piu lun
gamente dichiareremo. Onde fra tutti gli Scrittori antichi meritò per giudicio
nostro grandilsima lode Plutarco. E quanti crediamo noi, che fuflero in tutti i
fecoli, e per tutti i paeli huomini eccellenti fsi mi coli ne’ gouerni
politici, come ne maneggi dell’arme, e ne gli ftudii delle lettere, de’ quali
permancamento di Scrittori non li fi pure, che eglino non che altro,
nafeeflerogia mai ?. La onde io ho A fempre giudicato gratiofo, e lodeuole
uncio P cr i6 9 ì..per coloro adoperarli, che le uite fd icriuono di quegli
huomini, iquali pio o collazioni, o colle fcritture, o a to. le lor Patrie, o
all’altre Genti furoHi no, o d’onore, o d utilità cagione, e accio, che gli
Altri huomini in efsi m rifguardando, e i loro o fatti, o detti à imitando,
pollano o la felicità huma r na con Marta, o la beatitudine divina con Maria, o
l’una e l’altra infiememente confeguire. A quello fine piu, che peraltro
rifpettomi poli ( con animo di douere fe conceduto mi fuffe comporne dell’altre
) a feriuere il meglio, e con piu chiarezza c brevità, che io fapefsi, e
potefsi, i • la uita di Mifer Francefco Cattani da Diacceto, parendomi, che
egli foffe quali come uno fpecchio non lblamente della uitaciuile, ma etiandio,
amzi molto piu della fpecofa^tiua, del quale io, fé bene il uidi nc miei
gioueriili anni piuuolte, non Riebbi però, non che familiarità,© do
meftichezza, conofcenza nefluna, ima tutto quello, che io ho di lui fcrit
to,l’ho fcritto parte per relatione di iiuomini graui, e degni di fede,iqua 4i
domefticamente e lungo tempo con lui praticarono, non eiTendo,da che egli di
quefto Mondo parti, piu che trentafette annipaffati;e parte •mediante gli
fcritti fuói, de quali -me flato hberalifsimo M. Francefco fuo nipote,
giouane(còmefapete),detà, ma di grauità,e di prudenza^ maturo, e di quella
bontà, e dottrina, che piu opere da lui Chriftianamente, come da huotno facro,
ecanonico compofte, e di già mandate in luce I 7 iti luce et aIfEccell. de!
IlIuftrils. SigDuca Padron noftro indritte, dimo Arare podono^Laqual uita (qualunche
li lia ) ho uoluto donare a Voi,£ che nel nome uoftro apparifca, non tanto per
lo eder Voi della nobilifAma famiglia de Valori, iquali funu no amati
grandifsimamente, e honorati daM. MarfilioFicini., econ*leguentemente dal
Diacceto ; quanto perche Voi fete degno della Nobiltà, e ne ritornate in luce
il Valore de uoftri Maggiori, daquali ancora edere uerifsimo conofcereli può
quello, che da me fu detto di fopra, pofcia, che Niccolo Auolo Voftro huomo di
tanta prudenza, e di coli grande ftimafcride non menocopiofamente, che con
ueritàla uita del Magn. Lorenzo Vecchio de Me w 2 dici, e anco per non negare
il uero, tenendomi io buono della fcambieuolebeniuolenza,euerilsima amiftà
noftra, m’è paruto di douerne dare, come un teftimonio, affine, che li fappia,che
li come Voi per uo lira cortelia amate, e honorate me, coli io altreli per
giufto debito amo, et ofleruo Voi. tCOMTOST^f D^£ VARCHI, B MANDATA A BACCIO
VALORI. fn. VITA DEL primo, che ( disfatte per le parti guelfe, e ghibelline )
Diacceto, hebbe in Firenze i primi, e fòprani honor ideila Città, fi chiamo
Becco di Torre di (juidalotto, tl quale fidette de' Tenori delt zArti, che cofi
s'appdlauano in quel tempo i Signori, tre uolte. La primardi mille dugento no
nauta quattro, diece anni, dopo che cotale Jopremo <JMagi(ìrato per
abbattere la troppa potenza, e tener e. in fieno la infipportabile fuperbia de'
grandi fu ordinato ; la feconda, nel mille dugento nou anta otto ; la terza nel
mille trecento cinque. Di 'Becco nacquero Porcello, e ^Mugnaio, o neramente
^tignato, che cofi fatti nomi fi poneuano anticamente nella Città di Firenze ;
tqualtamenduni furono non filo de ' Priori piu uolte, ma etiandio gonfalonieri
di giufiitta, ilquale era il piu alto grado, e piu {limato di quella Bfpublt ca
y e f I) ita ca, e T* or cello oltraglt altri uffici], e magiftrati, riccuette
nel mille trecento tren » ta noue per lo comune di Firenze la terra, defila, e
ne fu primo comme [fario c/wwé fi legge ancora nell' zArme, che egli fecondo
ilcoftume dicotalt Fattori ui la yc/à. JD/ indignalo nacque il primo ‘Tagolo.
T)el primo bagolo il primo Zanói?u T)el primo Zanobi il fecondo ‘Tagolo. f>i
coftui, ilquale fu per la grandezza delle qualità fue fatto con molti
priuilegij Conte da oAlfonfb 7{e di ‘Napoli, firife la uita latinamente Ai.
‘Bartolomeo Font io, huomo di ottimi coflumi, e nella fita età letterato, ffi
eloquente molto. Di Pagolo nacque il fecondo Zanobi, ilquale fu padre di
Francefeo. La cui Vita intendiamo al prefente di douere feriuere Noi, fi per al
tre cagioni honeflifiime, e fi perche fi conofea ancora a beneficio comune, che
la uu n la contemplatiti a può in uno huomo filo (il che non credono ) coll'
attuta unitamente congiugner fi, e lodeuolmente efercitarfi % e di uero come
egli non fi può negare s che la contemplattua non fia la piu gioconda, e la piu
degna di tutte l altre mte,cofi con fejjare fi dee y cbe lattina e alle città e
alle Comunanza de * popoli, come piu necefjaria co fi etiandto piu utile. Dico
dunque che di JZanobijdi TP ugola Cattani da: Diacceto, e di mona Lionarda di
Fracefio di Iacopo Venturi, nacque in Firenze tra la piazzi del grano, e* l
canto agli cAlberti non lun ge dalla chic fa di San ‘Romeo, tanno della
(hrifhàna falute mille quattrocento fi fi finta fii,il fedicefimo giorno
di^ouem' bre un figliuolo mafchio, alqualt, o per rifare il fratello di Pagolo
fio zArcauolo paterno, ilquale s\ra morto ] enzA figliuoli > o per.rinouare
il nome del fuo Aiuolo materno % C ATT A ^10,. m materno, o piu prefto per
l'una cagione, e per l'altra uoìlero,che fi ponejfi nome Fracefio.E perche
egliinfino da (uoi piateneri anni daua prefagio di (ingoiare tngegno, e di
(pirito molto eleuato, uolle il padre ancora, che per fina Idiota fojje, che
egli fi dejfi non alla mercatura, cornei pm fanno de' giouani Fiorentini, ma
alle lettere, dellccjuali tanto fidilettaua, e cotale profitto dentro ui
faceua(che non uob le,tjfindo rimafi ancora fanciullo finzjt padre, e non molto
agiato delle co fi c'hauendo il padre gran parte difiipato delle fue facultd)
per coja, che gli fi diceffi consentire mai d' abbandonarle. oyinzfi hauen do
egli,per ubbidire alla madre, deliaejuale fu fimpre offiruantifiimo, e
Soddisfare a parenti, non armando ancora aldicid nouefimo anno.prefi per donna
laLucre Ha di Cappone di Capponi, la M meno con efio fico a^Pifà, e quiui tanto
la tenne, che forniti i fuoi fludtj, e battuto di lei figliuoli, fi ne torno a
Firenze, doue in quel tempo fionua la fihcifiima Academta di Lorenzo uecchio de
Atedici,nella quale tnfieme con molti altri huommi (Fogni lingua, e in tutte le
faculta dottifi fimi, fi ntruoua FICINO (si veda), canonico fiorentino, tlquale
oltra la finceritd de co fiumi, fu d'eccellenza d'ingegno, e di profondità di
dottrine co fi grande, che io per me non credo, che Firenze habbia mai, e parmi
dir poco, hauuto alcuno, defilale fi gh pofj'a non che preporre, agguagliare.
Coflui effendo ( come ho detto ) Qmonico di J anta ^Maria del Fiore, haueua con
incredibile s ìndio, e immortale beneficio la Filofifia Platonica per mol te
centinaia d'anni piu lofio perduta, che finarrita, come piu conforme alla
religton ;;• Chrifiiana, Chrtfhana, che l'zArifiotelica non folamente
ritrovata, e rimeffa per la buona ma, cofd uer amente piu tofìo diurna, che
humana, ma datole ancora credito, e riputatone non pkciola. La onde Ad. Fran
cefo, tratto dada fama di quell'huomo fn golarifimo(Jè pur huomo chiamare fi
deb be co fi alto, e nobile Spirito) e guidato dalla ‘Telatura, lacuale perche
egli cjuedo facejfi, che egli fece, prodotto l'haueuajaccoflo incontanente al
Ficino, tlaualt ( come gratifiimo del dono da Dio concedutogli, e delle Jue
proprie fatiche ) come nero Filofofoyliberahfiimoyinfignaua, epubhca mente, e
privatamente a tutti coloro, che d'apparare difiderauano ; e l'udì con tanta
ingordigia, che egli in non molto tempo non pure Platonico, ma eccedentifiimo T
latonico divenne. Onde egli 3 fi bene m uarij tempi, e luogi 3 diuerfi Dottori
udito iso hàuea, confiejfia nondimeno tutto quello,' che fàpeua, hauerlo da
<&iarfilto. filo imparato, fi in molti altri luoghi, e fi
particolarmente nel proemio del libro, che egli fece, e intitolo del H utero,
cioè del 3ello, doue f duellando di lui dice quefie parole proprie. Dicam firn,
nec unquam me pcenite^ bit, quoniam boni airi ejse duco, cui magna beneficia
debeas, eidem ipfaaccepta referre, nosidipjum, quodfiumus,fìquid Jumus ilio
efie. Qoè in fintene. lo ne ramente il diro, ne mai farà, che io me ne penta,
ptrcioche iopenfo ejfiere cofa da huomo da bene ilconfejjare da colui haue re i
benefici] grandi riceuuto, a cui tu ne fii debitore ; Noi tutto quello, che
fiamo, Je fiamo cofa alcuna, ejfiere da M* Mar fillio Ficini. / ; v v £
dall'altro lato conofeendo M. Mar fillio la 'M 1: V ì C Jto J ilio la grandezza
dell ingegno y t /’ inchinaime dell'animo di lui alle co fi di Platone e
ueggendo il profitto, che egli u'haucudentro in picciol tempo fatto
grandifiimo, l'amaua affettuofifiimamente y e lodando v lo eccefiiuamente y lo
chtamaua non filo du fiepolo y ma compagno, come fi può m malti luoghi ueder e
delle opere fue, doue egli fa di lui mentione honoratifiima y e Jpe t talmente
nel Parmenide al capitolo ottan taquattroefimo y neiquale fi leggono quefie
parole formali. Sed dum pulchritudinem hic diuinam commemoro y commemorare fas
eft Fransi fium Dtacetum y dtle£itfiimum Compiuto -ntcum noftrum y de hac ipfa
pulchrit udine quotidte multaipulcherrimaq^firibentem, quem Jane utrum ad c
Platontcam fapien ttam natura y geniusc £ formauijfi uidetur y leq uali fuonano
co(ì. < c M iij I L 4 eZMentre cheto fornendone qui della bellezza diurna,,
giufta e pia coja e, <che io faccia mentione di Francefilo da Diacceto
no/lro diletti /?imo compagnone gli ftudij Platonici, tlquale di qucfla ftefi
fa bellezza firiue ogni giorno molte, e belUfiime cofi,enel aero egli pare,
cheda ‘Futura, e il gemo fuo formato l'hauejfono, pèrche egli la fàpitnzp, di
Platone intendejfe,e imitaffe. Dellcquah còfe fi pub ageuolrnente cattare,
prima quanto pojfaejfere dipanamento a una città, anz} a tutto 9 1 mondo un
huomo filo colla prudenza, e liberalità sua ; poi quanto fia necefiarioa un
buono ingegno abbatter fi ad hauere, o faperfi elegger e un buono precettore;
conciofia co/a, che fiCofimo de <JMediculuecchio, e di mano in mano i /uoi
/ucce/fin, e mafiimamente Lorenzo, non hauefiono fauorito le lettere, e coloro,
aiutati, icjualt d'ejjire litterati defederanno, *fMar fello non farebbe flato
Ai. Aiarfiho,e per confeguenza il Diacceto, per tacere di tan ti altri, non
farebbe flato il Gbiacceto, e confeguentemente Firenze, anzi tutto il fiondo farebbe
di (i chiaro lume connofero, e fuo gran danno per fempre mancato. c tfefi
merauigà alcuno, che io feri ua bora D. colD.fenz# f a ff trattone, e bora
Cjhiacceto col G. colta foratone y concio (ia che io cofi nella lingua latina
de ^Moderni, come nel uolgare Fiorentina truoui feritto bora nell'un modo, e
bora nell'altro.feleua ancora Marfìho É mentre y che egli ytrouandofi hoggimat
oL tra coltetà, leggeua a fuoi dfetpoh, dire 5 io me ne uo, ma fi bene mi
parto, io ut lafeio lo fiambio, intendendo di A4. Francefeo, Uguale fi chiamaua
per fepr anoma tiij il r Pagonazgo: perche, mentre era gioitane, fi tùie t
(atta molto, e ufaua utfiire di quel colore, ilqual cognome gli duro firnprò,
mentre che uifje, a differenza diun filo cugino carnale, ilquale haueua nome 'anch'egli
francefco: era del mede (imo Gufato,e di una medefìma età, e faceua la medefìma
prò festone di FILOSOFO, e perche nefhua di nero, fi gli diceua per difttn
guerlo dal ‘Tagonazgp, JUd. Francefco ‘Nero, raro dono de Cieli, che
tnunmcdefimo tempo, in una medefìma città, e dima medefìma famiglia fiorirono
due cofi gran Filofofi, benché il Pagonazzp, come auuiene ancora ne colori,
molto fojfi di maggior pregio, ertputatione, che Aneto non era. Ne fu ingannato
^Mar filio, ne inganno egli altrui, quando difi fi, che lafeiaualo fiambio fuo,
conciofia cofit, che dopo la morte di lui o figuendo 1*S' feguendo l'effempio,
e calcando l'ormedi cofi grande, e cortefe matjìro, e compagno, oltra il fare
di fi amoreuohfitma t. mente a chtunche nel ricercala gratiofifiu m amente
copta, lefie molti anni, e molti pubicamente nello fludw Fiorentino, con
trecento fiorini d'oro di prouifione per etàfiuno anno, egli tiro fimpre mentre
uijjè, non ottante, che egli negli ultimi tre anni della Jua ulta per le
cagioni, che poco appre/fi fediranno non uolejfi piu leggere. E benché i
Signori Tmetiant mofii dal grido della fua fama lo fàcejfiro piu uolte in fi
antemente ricercare per mezzo di À4onfignore l'f\Arciuefiouo di Cor fu, e del
fyuerendifiimo Cardinale fprnaro,de' quali egli era amictfiimo, che uolejfi
andare 4 leggere nello ttudio di Tadoua, con grandifiimo /alano, egli
nondimeno, che fi contenta delle Juef acuita, ancoraché mol* te non fuffono,ed
era lontano da ogni ambinone, e grande amatore della quiete, non uolle accettare
mai partito nejjuno, per grande, e bonoreuole, che egli fojfe, e fi < refio
a uiuere tranquillamente nella fio patria y e arrecare giouamento a Juot
cittadini. Quegh,cbe frequentauano la {cuoiame la cafi (uà, o come dtfiepoh, o
come amici, o come l'uno, e l'altro mfìeme, sono et ogni tempo molti y de quali
non mi par. rà fatica, ne fuori di propofito raccontar . ne alcuni de piu
fìgnalati, iquah furono quefti: P ter o Martelli: Giovanni forfii fiAdouardo (
^tacchinotti: Bernardi: riAndrca Rmuccim: Benedetto d'zAntonto (Quaker otti:
Ftcino Ficini nipote di Marfibo, Luca della Robbia: Ale fi fandro.de Paz&fT
ter firance fio ‘Por tinori: ‘Palla Rufeellai, e Giouanni fio fratello, che fu
poi Caflellano di Caftel fin? Agnolo ! 1 ft. ài m fini Agnolo, e Cofimo lor
nipote, nelquale m ( ejfendofì egli morto ne /noi piu uer d'anni) fc fecero
Firenze, t le Mufi Tori ' y cane danno, e perdita me filmabile:Ftlipfu po
Strozzi » e Lorenzo fio j rateilo: Luigi or. Alamanni: Zanobi c Buondelmonte,
la, v. copo da D., chiamato tl D. m no gioitane letterati fimo, e d'alto cuore:
u c, /intorno trucioli: ^Maeflro zAleffandro ir da “Ripa: Filippo Carenti:
Giannotti, e Vettori, iqnah ho 0 poflo nell'ultimo, non perche eglino non fof 1
/èro de’primi, e de' piu dotti, ma perche ancora uiuono amendue. c Ne uoglio
tace re, che egli, tutto, che fofie fi grande Fu i lofi fo, non filo zAcademico
ma ettandio ; J ^Peripatetico, oltra l'inteDigenza della lingua co fi Cjreca,
come Latina, non uolle mai conuentarfì, giudicando, per quanto io fimo, che tl
Dottorarle fpettalmente I in FILOSOFIA a coloro, iquah la loro fetenza 0
uendere,o farne la moftra non uogliono, fia co fa finon ridicola, almeno
foperchta. E di ttero cotali ttficij, e preminenze, come rifpofi già Traiano
Imper udore a uno, che gli dimandaua il prtutlegio di potere come giureconfulto
auuocare, e fare de Configli, fi debbono piu tofio dare da chi fi finte da ciò,
che riceuere. Afa quello, che a me pare 9 e che douerrà,s'io non m'in ganno,
parere ancora a de gli altri piu marauigliofo, e di maggior loda degno è, come
egli, effendo tutto occupato non fila-, mente nel leggere, e intertenere tanti
cofi amici, come dtfiepoli: ma ancora nelle moke, e importanti faccende, cofi
pubìice, come priuate, potefie tante opere comporre, e cofi perfette, quanto
egli fice, delle quali to racconterò cofi alla rwfufa tutte quelle, che io ho
parte ueduto,e parte da coloro i V ro. U9 coloro fintilo dire, che uedute
l'hanno, le' quali fino quefte tutte latinamente firme. Vna'Parafrafì [opra
tutti e quattro i litri del Cielo d'zArifiotilejndritta aPa pa Lione. Tre litri
intitolati de Pulchro a Palla, e M. Cjiouanm T^ufiellai. Tre labri dimore a
Pindaccio da 2 licafili..• v vA: H: Panegirico d'Amore a Cjìouami Cot fi y ea
Palla ‘Rpfiellai Una Parafiafi fipra i quattro libri delle eJ Meteore
d'zAriflotile y ma i tre ulth mi non fi ritruouano. Vna Parafrafi [opra gii
otto libri della Fifica d'oAri/lotile, laquale o non è in pie y o chi l'ha la
tiene guardata per fi. Una Parafrasi fipra la Politica dell’ACCADEMIA (cf. H.
P. GRICE, REPUBLICA), ma tanto breue y che fipuo chiamare piu tono prefatione %
thè altro, jpo Vna r Parafiafi f opra il Dialogo di Alatone chiamato ilTeage,
onero della Jàptenza. una Parafiafi ne gli Amatori di Pia ione y onero della
FILOSOFIA. Un comento fipra il libro di Plotino dell' efiinz& dell'anima.
Vna dichiaratone fipra quei uerfidx Boetio ytqnali cominciano. Tu trtplicis
medium natura cuntka mouentem, a "Bernardo Rufiellai o Alcune prefazioni
[opra diuerfi ma-terie. Alcune epijlole a dluerfi amici molto dotte y ne Ile
quali fi dichiarano afidi dubbi di Filofifia. L'ultima fina compofitione fu un
comento yilquale egli a petttume di Monfigno re M. Giulio de medici > che fu
poi Papa Clemente, fece [opra il CONVIVIO dell’ACCADEMIA; w ipi quali
componimenti olir a lattarietà, e la profondità della dottrina, e mafeimamente
Platonica, e Tlotimana pare a me, che due co fi fi pofjano, anzi fi debbiano
confederare, mofirantt ambedue l'eccellenza, e perfettione dell'ingegno, e
gtuditio feto. La prima è, che egli usò nel fuo comporre uno Hile,fe non
Ciceroniano [CICERONE (si veda)]del tutto, graue nondimeno, e filofoficb molto,
e tutto lontano da quelle laidezza > e barbarie, collequali Jcrtueuano in
quel tempo y e feriuono ancora hoggidi per lo piuì filosofi latiniyfenza
leggiadria e gratta neffema. 6 tanto è da marauigltarfi piu y quanto ancora
coloro, iquali fatuano profe filone di bene, ff) eloquentemente fer luer e y
dietro un co fi fatto mifitfo non imitauano ( gran fatto ) nelle loro fcrit
ture la diuina candidezza, e purità di CICERONE y mao TlintOy o Valerio A4
afeimo } o altri tali non buoni c Autori della latinità, o almeno della uera, e
finterà eloquenza Fumana, lacuale manzi che Afonfignore dietro 'Bembo, buomo
piu toflo di nino, che bumano la dimofirajfi,fi giàceua o fiono fciuta del
tutto, o dijpregiata in grandifiima parte p percioche colui, il quale piu
Stortamente, e piu [curamene te firiue cua, era e da fi Sieff, e dagli altri
piu facondo tenuto, e maggiormente ammirato, come fi la principale uirtà co fi
dello firiuere,come delfauedare confi ftefie inalerò, che nella chiarezza, o
fifauellaffi, e finuefie da gii buomini ad altro fine, che perejfire intefi. La
ficondaè, chi doue quafi tutti gli altri fi faceuano beffe, o haueuano compafiione
di chiunque uolgarmente fcriueua, e haueano la lingua Fiorentina per niente,
egli quafi precedendo quello, che di lei mediante limedefimo BEMPO auuenire
doueua, tradufje, alcune delle fue opere y e piu fi dee credere 9 che egli
tradotte n'harebbe fe piu lunga mente uiuuto foffe. Lequali fue opere fi
flampatcfi foffono y non ha dubbio, che la fua fama fi farebbe y e allungatale
allargata molto piu, che ella forfè fatto non ha£d egli per configuenz et s'
bar ebbe maggior gloria, e piu chiaro grido, e in fimma piu lunga anzi
immortale uita y acquifiato. Le quali pero fino di manierale elleno lungamente
Ilare nafiofi non poffono y e Fr ance fio fuo Nipote, ilqualenon ha filamento
il nome di lui, m'ha piu uolte collantemente affermato y finonhauer cofa y che
piu lo prema ; e laquale egli, per fioddisfare alla pietà y e debito suo,
maggiormente difìderi y che di rinuemre fènon tutte y la maggior parte delle
fritture dell duo lo fuo per publicark B allhora fi potrà meglio cono far e
dagli intendenti chente, t quale fojjl d'ingegno, e la dottrina di cotaU, e
cotanto lo uomo; e Ji marauigheranno infieme con effio meco della capacità del
fuo intelletto, e come un buomo filo potè (fi cjfieretanto uniuerfikle, che m
tutte le cosi, nelle quah egli fi metteua, nufiijfie non dico raro y ma qua fi
filo. Ecco: egli come che fojfie amanttfiimo della quiete, e lungi da ogni
ambinone, e auaritia fatico nondimeno oltr a ogni credere non fidamente ne gli
ftudij delle buone lettere, e della santifiuna filofifìa, come s'è ueduto,ma
ancora nell anioni humane, e nelle bisigne socolari ( come fi uedrày di
maniera, che fi può ficuramente credere, e con uetita dire, che egli di rado
col corpo si ripofiafie y ma colla mente non mai y e fi bene egli e da
naturayefua uoluntà era più mito a gli fiudij, e al contemplare, che alle
faccende, I9S faccende, e al negotiare, tutt amagli bisignaua fare, come si
dice, della necefrità uirtù yper laqupl co/a e neceffario di [apere, che quando
'Pago lo fuozAuolo uenne amorte, egli come co Iucche era flato firnprèy
amictfrimo, e fautore della famiglia de ^Medici, e conofceua la prudente la
potenza di Co fimo, e forfè la fortuna di quella cafd, fece (come racconta il
Fon no nella uita di luì)una bella diceria, nella quale fra l' altre cofe
auuertii figliuoli, e comando loro, che amafrino fempre y eof firuafrmo
Cofrmo,e tutti i fuoi 'Difendenti quanto fapeffiro, e poteffono il piu, e
dall'altro lato pregò fìrettifrimamente Cofimoycbe glidouefie piacere cfhauere
loro, t tutti i fuoi Po fieri, per raccomandati, e si coment affi di pigliare
la protezione lo T ro. E di qui nacque ( penfò io ) oltra le fut fingolarifiime
qualità 9 che non filamenti ? X ; jf i9(f r Papa Lione, Uguale fu Jòpra tutti
gli huomini grattfiimo, e libtrahfìimo, gli porto fempre affettione
ftraordmaria,e gli fece molti fauori,e prefìnti di mn picciolo, Prima e valuta,
ma ancora tutti gt altri di quella famiglia,e in ijfetialità tifar dinaie, che
fu poi c Tapa Clemente, colqua le ( mentre, che egli reggeua Firenzi) praticano
molto familiarmente, e conmeraui gltofa dimefiichez&a. Quelle furono le
cagioni, che egli, ancora, che Fdofifo,e della fitta di Platone prima entro,
epoi non fi ritiro dalle faccende civili, per non dir nulla, che hauendo egli
molti figliuoìi(còme diremo ) e non molte / acuità, non poteua, ne doutua fare
altramente, e di quin ci ancora auuenne, che nel dodici per la guerra, e ficco
di Prato, quando i Medici ritornarono in Firenze, egli con alcuni altri
Cittadini, de' quali come amici delle W Palle s'baueua fefpetto, e in Palazzo,
dove era 'Piero Soderini gonfaloniere a ulta ) fiftenuto. Ma non prima furono i
Siedici rimefii in Firenze, che douendofi per co/e importantifiime creare uno c
Ambafciadore per la Città a Mafmiano Im peradore, fu tra tutti gli altri eletto
Francefco, benché poi per lo ejferjì affettate, e accomodate le cosi in quel
modo, che voleuano quei, che poteuano, non facendo piu luogo d' ambafciadore,
non ui fu mandato ne egli, ne altri 6 nell amo mille ctn queceto diciannoue, e
[fendo morto a quattro di faggio Lorenzo de Medici Duca d ye Urbmo, e
douendofigh fare filenni fiime, e magnifiche eJfiquie, ancora,che non man co
chi bucherajfi dibattere l or adone, d Cardinale firijje a Francefco, ilquale
fi ritrouaua in uilla, che fi trasfenjfi frittamente a Firenze, e cofi la fece,
e recito iij ip t - T I T A DSL f egliil fittimogiorno, nelqualeficelebranano
nella Qoiefa di S. Lorenzp con pompale honoranza incredibile, e fu tenuto tojà
rara, e degna d’ammiratione che in meno di tre giorni fujfi fatta da lui latina
mente e recitata alla prefenz, a d'infinita moltitudine cotale oratone. *Nel
medefimo anno, hauendo prima hauuto i primi honori,e magiflrati delta città,
ejfindo fta to e di Collegio, e de Signori Otto, e de Qt- j pitam diparte
(guelfa, fu fatto (gonfaloniere digiufì ma per lo filo Quartiere di Santa Croce
nelmefi di gennaio, e di febbraio, e doue negli altri uficij s' era fatto co
no/cere per huomo non men giuflo, che pietofi, in cjuefto fi dtmoftro non men
benigno, chegraue,mguifa,che come l'uniuer fiale [e ne lodaua, cofii
particolari ne diceuano bene, e quanto i parenti fi ne glorianano, tanto gli
amtct, e dtfiepoh Juoine prendeuano s JfH Utck I Ì0 (mà m 4 m \( 1 ir ì è C IM
prendeuano piacere, e contento marauigliofi. Onde auueniua,che coloro Squali 0
per l'inuidia, che haueuano alla fitagrandezs za, 0 per Iodio, che portavano
alle fue uir, tà, harebbono uoluto morder lo, nonofauano di farlo, temendo di
non efjere creduti "Dopo cotale degnità trouandofieglt hoggU mai
attempato, e [oprafatto dalle cure familiari, e forfè per potere 0 comporre
mone opere, 0 riuedere le già compofte,nongU parue di douer piu leggere in
publico ; ma non per quefto manco mai i alcuna maniera di cortefia a niuno di
colora, iquali gli andauano tutto il giorno a cafa, 0 per uicitarlo come
amici,o per dimandarlo co me fcolari,anzi fi tenne, che quefìa fujfe in gran
parte la cagione della fua Morte: lmperocht,non fi fintando egli bene, e non
uolendo mancare ne a parenti ne agli ami ci, ne a Difiepoli, cadde in una
infermità, K % per la uiolenza dellaquale in poco piu et un me fi, ancora,
ckefuffi fiato finiamo e molto regolato nelfuo uiuere,e con tutti gli
ordinamenti, e fagr amenti della (bufa coftantemente, e Chrifiianamente moriva
gli diece d'aprile delmille cinquecento uentidue, e fu alla Q loie fa di Santa
(foce nella fipoltura de fuoi maggiori femplicemente, e finta alcuna popa
fìraor dinar ta portato, Jotterrato. La firn morte difpiacque molto fi
generalmente a tutto Firenze, e fi in ifpetie a coloro, iquali o baueuano lettere,
o defiderauano d'bauerne, e mafiima mente di FILOSOFIA. È di fiatar a piu che
mezzana, non di molta carne, ma offuto forte, e nerboruto, eh pelo bruno, e
Sommamente pelofi ; hauca la pelli biancha, e frefia molto. Cjli occhi neri non
troppo grandi, le ciglia nere,e folte. La qual co fa lodi mofirauaa riguardanti
anzi brufeo e bùr bero, zor hero y che non. E niente dimeno egli fi bene era
grane, e fiueroy batte a pero con quella feueritàyt granita una dolce e cortefi
piace uolez&a me/colato ylaqnale lo rendena gratiofiy e amabile. £ auuenga,
cheegh,come tutti gli altri huomini in qualunque o arte o fetenza
eccellentifiimiyfujje di natura ma ninconico, e filetario 3 tutta uia, quando
coll' altre perfine fi rttrouaua, motteggiaua uolentieri non fittamente
coglihuomtni di lettere, ma ettandio co gli Idioti, e colle donne medefime y
tanto che non pareva piu quel deffiy prendendofi fefla, e filazzp per fi y e
dandone altrui. Spiacemi, che ejfindo egli flato yper quanto ho udito dire y
trat tofiy e arguto molto, io non habbta potuto nefiuno rmuergare de firn
mottiyper farne parte a coloro, cheque fi a ulta per alcuno tempo leggeranno
ffi mai nejjuno la leggerà. Era e come T* latonico, e come allievo del FICINO
grandtfiimo, ma Jantifiimo ama > dorè, e nell' opere, che egli firifie de
amore, le quali furono molte, e molte dotte, Si utde lui ejfere flato
feruenttfiimo, anzi tutto fuoco ; da queflo per auuentura piu, che v, da altro
fi può prendere nero figno,e certifi fimo argomento della nobiltà, e unicttà(fia
mi lecito in una persona nuoua e unica) for mare un vocabolo unico, e nuouo,
dell' ani- ’ mo,e intelletto J uo,conciofia,che quanto al cuna cofa è piu
degnale piu perfetta, tanto fenza dubitatione alcuna, e s'innamora piu tofto,
ft) arde uta maggiormente. Fu catto beo, e religiofi in tutto il tempo, che
uijfe,e da cotali huomini douerebbono imparare, e prendere ejfempio coloro,
iquabfi fanno a crederei di non cffère,o di non do uere e fiere tenuti
filofofifi non di (pregiano il culto diurno, e fi beffano di chi L'ojfirua,
quafi ghaltri uer amente non conofcano i quello, che uogliono moflrare
falfamente difapere efii, ocome fecofa alcuna piu a filofefo conuemjfe, che
conoscere e contemplare e configuentemente ammirare, e ri k uerire in quel
modo, che fi può la Maeftà di Dio, e l'eternità di tutte le cofi celefti.
tìebbe M.Francefio della moglie, laquale non fenz& fua noia, e danno fi
morì l'anno Mille cinque cento diciotto, efiendofi prt ma morta la madre nel
mille cinquecento quattro, tredici figliuoà, fette mafihij, e fet femine. La
prima dellequah maritò a Daniello di farlo Canigiani, laquale dopo molti anni
nmafit uedoua rimarito a Ruberto di Donato Acctaiuoli, huomo no bilifiimo, e
d'ine fi imabile prudenza. La feconda a Carlo di Meglio Pandolfini, tre di loro
fi uoltcro far tonache, delle quali ne uiue ancora una molto uener abile, degna
di tanto padre ì laquale è [fino già tot molti anni ) Hadefid del ^Munifiero
del Paradtfò. L'ultima maritarono poi gli heredi Juoi a c Pierfrantefio di
Ruberto de 7{tcci. I figliuoli furono Pandolfo', Agnolo : Dionigi : Theodoro :
Stmone : Carlo : e Cofimo. Pandolfo fimorìhuomo fatto eJJèndo duimuto dietro le
vestigia paterne filosofo eccellentissimo. e. Agnolo uiuente il padre, tlquale
come amoreuole, efauio non uolle contrapporfi, ne alla uolunta del figliuolo,
ne alla fpiratione dtuina,fi rende Frate nella Religione di San Dome nico, nel
tomento di San sbarco, ihjuale fiate Agnolo urne ancora, prouinciale nel
medesìmo ordine de predicatori, ‘Rekgiofi di buona ulta, e d'ottima fama .
Stmone Carlo, e Cofimo fi morirono tutti e tre giouanetti, tra gli fedici,e i
diciott 9 anni,ciafiu no, e tutti profitteuolmente, e con grande Jperanz&
fludiauano > La cofioro morte dolfi, come fi dee credere, ai&ii.
trancefio lor padre, come a buomo, infinitamente, e tanto piu, che effindo egli
amoreuolifi fimo uerfi gli Urani, potemo pen/àre quello . che egli fujje uerfi
i figliuoli, e cotali figliuoli, ma come a Ftlofifo,fetppiendo,che efiendo
mortale, egli hauea coja mortale generato, tomamente ut pofi fu piede, e come
Cbrifiiano,non dubitandole ne una foglia ancora fi muoua finza la voluntà di
Dio, rtprefi ogni cofit per lo miglior e. On de fi agli Hiftorici fuffe quello
conceduto, che a i Poeti, e a gli oratori non e difdetto, anzi mafiimamente
richiefto, largbifiimo campo harei qui diffamarmi lungbifiimo tempo per le file
lodi . Theodor o non men bello d'affetto, che digrandifiima affettatone, morì
anch'egli dopo la morte del padre, in Francia, tale, che di fette hoggi non è
uiuo al fico lo fenon TDionigi, ilquale datofì dalla faagtouent udine, alla
mere atura y hoggi e per la fa f faenza y e lealtà faa in quel credito y e
riputatane tra i più borre uoh, e riputati mercatanti ì che fu il padre tra i
più chiari letterati \e tra i piu perfetti filofififioftui di Madonna Maria
figlino la di Martino di CjugUelmo Mar tini faa dilettifiima moglie, ha undici
figliuoli cinque fimine di due delle quali ha nipoti e fai mafchiyiquali fono
il 'Bruendo M.France fio Qanomco di [anta Ltperata e Protono tarioAppofìohco,
della cui qualità hauemo fauellato di jopra.Pandolfo ilquale di tuo no Spirito
y e fludtofi delle lettere no filo Cjre che y eLatme y ma ancora Tofane fi
truoua hoggi in Rpma. Agnolo : Cjwuàbatifla, Buierto e Carlo Squali fino no pur
uiui y e fini tutti 3 ma in buono y e profpero fiato Jequah cofi ho uoluto non
fi fi troppo largamente, otrvppo fiarfamente raccontare, perche le CATTALO.
felicità di queflo modo di qua, qualunque cs4riflotile nell' Scica pare, che ne
dubiti, pojfono nondimeno fecondo t Theologi chri fiumi a co loro, che fino
nell'altra uita,giouare.Onde fecondo i Flofififì può, eficodo i theologi fi dee
credere che M. Francefio di Zanobi Qattani da Ghiacceto cittadino fiorentino,
ueggendo infìno dal piu alto cielo tanta# cofi chiara fuccefiione,figoda
infiemec olle figliuole# co figliuòli morti qui e lafiù uiuijiwio quella
feltafiima,{t) eterna beatitudine, che deono quegli huomini dopo la morte goder
e, tquah mentre che uif fero cofi lodtuoh per la uita attiua come ho nor àbili
per la conteplativa, furono non me no ottimi chriftianiyche dottissimi
filosofì. Grice: “If these
Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their
loss!” – Grice: “It was an excellent idea of Diacceto to translate is
grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue on the
unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” Nome compiuto: Franciscus Cathaneus. Franciscus
Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da
Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: i tre libri
d’amore, diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Diano:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errante dalla
ragione – emendato – scuola di Vibo Valentia – filosofo vibese – filosofo
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vibo Valentia). Filosofo vibese. Filosofo calabrese. Filosofo
italiano. Vibo Valentia, Calabria. Grice: “I love Diano, but Italians usually
take him to be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a
Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from
Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie
gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone
Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che
segnò la sua vita e molte delle sue scelte giovanili. Si trasfere a Roma, dove
si iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Festa
e Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma
la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e
si laurea con 110 e lode con una tesi su Leopardi, un poeta che amò subito e
che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita. Immediatamente inizia a
insegnare letteratura latina e greca, dapprima come supplente e poi, di ruolo
come vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia,
cui segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo
Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di
Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà
decisamente dal gruppo dei crociani. Trasferito a Roma, dove insegna prima al
Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma
consegue la libera docenza. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e
pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva
il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse. Su incarico del
Ministero degli Esteri, è lettore presso le Lund, Copenaghen e Göteborg. Gli
anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere alla perfezione
lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con
l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande cultura liberale
nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo
storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore
Hedin, dei quali traduce anche alcune opere. Al suo ritorno in Italia ricopre
un incarico presso la Soprintendenza bibliografica di Roma ed è a Padova in
qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero
dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo
ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte
persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Ricopre gli
incarichi di Papirologia, Grammatica latina, Storia della filosofia antica,
Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Vince
il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a
ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era
stata di Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte.
Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il
Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni
dei tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico
a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri
italiani, interpretate da noti attori quali Zareschi, Ninchi, Pagliai. Grandi
le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la
bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito,
dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro. Cura,
fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la
traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla.
Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei
Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime
accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra
gli altri con Quasimodo, Bettini, Eliade, Otto, Spirito, Argan, Berenson,
Montano, Mazzarino, Bo, Kerényi, Nilsson, Caccioppoli e molti altri fra i
maggiori protagonisti della vita culturale e artistica. Tra i suoi allievi più
noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Cacciari. Per i suoi
amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo
riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli
studiosi del filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in
Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e
proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici,
sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un
nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due
categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli
permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire
strumento di analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a
Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip.
Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo”
(Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La
psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D.
Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o
per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica,
Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze,
Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC);
Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento
all’Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per
un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno
ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in:
Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di
Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una
fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie
dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al
Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il
Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson,
Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli
antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di
Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di
Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento
nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia
del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura).
Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro,
Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D.
(con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die
Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche
degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti,
(traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura)
Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia
Editore); Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro
greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo.
Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle,
Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali,
Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.)
Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana);
“Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il
problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia
antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La
tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller);
“Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione
Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio
(traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli
stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia
Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante
Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade.
Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II,
Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside, Bari, Laterza; Il teatro
greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le
testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore);
“Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano,. Carlo Diano Forma y
evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan,
Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica,
Inc. D., nel sito "Il Ramo di Corallo", di D.. IL CONVITO.
ATOLLODOllO E UN AMICO. Apollpdóro. Credo di nonSmotto, P- 172 ispondere alla
vostra no ues^ < . Galero, uno dei Srm^STiTp.lWo.0 , o M - Èd io mi fermai e
aspettai. „i ie poc’anzi ti di 'raccontarmi la ™ pensiero filosofico greco, fu
tntt ^ ” C ; u raorto ad maestro, o, stando a più fieli o devoti seguaci (l a
Kliano, no ricopri o voleva un aneddoto riferitoci da t>10tcl “ teUo -
Quanto allo scherzo, dm ricoprirne il cadavere col ' >r0I ’ ? “ t f, ò moUo
discusso in ohe consista. Apollodoro rileva nelle pardo doli arpico, . cominciato
dal ehm- Forse, oltreché nel tono nome Matteo o ohe tosso marie Falere. < So
un amico nostre. clm gr Vcllotrl \ anziché nato a Vellotri noi comin^assimo col
olila ar^ lnl uno scherzo, sol-rat - Matteo ’, por farlo voltale, l’allusione a
uualcunu delle suo uua- tutto se col chiamarlo cosi si taccs ““ u 0 i luogo .
Noi nou sappiamo. Uhi. «he si solesse attribuire gla altan rlpuUv,iono o di
elio genere: se 1 Falerosl avessero unniche loi partlooi (Bonghl) . E none, a
ogni modo anche sonza^uesto loA^y^ mM, naro „ i marinai mi paro, Impossibile
olio, cssoni t . e u uca t 1L, la ciunlitìl di Valoroso rìi^ol qu alcuno,
formano un emlecflfilllitbo. conversazione tra Agatone e Socrate e Alcibiade
(2) e gb Xi, che allora presero parte al banchetto c che discorsi intorno
all’amore ri si fossero temiti. Me ne accennò un tale che ne aveva udito da
Fenice di Filippo è aggiunse che anche tu ne eri informato; ma non seppe dirmi
nulla di preciso. Raccontamela tu dunque. Nes- M mo più di te è tenuto a
riferire i discorsi del tuo amico. E prima di tutto, mi chiese, dimmi: a quella
conversazione eri tu presente o no! Ed io: Si vede bene che quel tale che te la
raccontò non ti deve aver raccontato nulla di preciso, se credi che quella
conversazione, di cui mi chiedi, abbia avuto luogo così di recente, che anch’io
avessi potuto assistervi. Ed egli: Difatti lo credevo, rispose. E come, dissi,
Glaucone? Non sai che da molti anni Agatone non è più venuto tra noi; e che da
quando frequento assiduamente Socrate e mi studio di seguire giorno per giorno
ciò che egli dice o fa, non sono ancora tre anni? Prima andavo errando a caso
di qua e di là, e pure illudendomi di fare qualcosa, ero il più infelice degli
uomini, non meno che non sia ora tu, perchè pensavo che bisognasse occuparsi di
qualunque altra cosa piuttosto che di filosofìa. Ed egli: Smetti di canzonare e
dimmi quando ebbe luogo quella conversazione. Quando e noi eravamo ancora dei
ragazzi Agatone vince il premio per la sua prima tragedia, nel li) Agatone,
Ilglio di TisAmeno, ora nativo di Atene, clic tra il -10!) c il 1117 a. C. egli
lasciò icr andare a vivere nella corte di Archelao di Macedonia. il cui
splendore lo attirava. Bollo, elegante e ricco, fu scolaro di I ròdico e di
Gorgia, dai riunii apprese Io siile protonaionoso e retorico ed ebbe imimi^^ di
celebri per il successo del suo drama. intitolato ., S,, m0 : nel n al °,,sclva
dagli argomenti tradizionali e dalla via c lr U tavn imEfa,l 1r ? <l0OeSSOrl
- 11 Ptto Umusi muliebre .oZir a 7ì:^T a V m V0,t0 bCT8UC ° al mmi ™'e.
contempi,rana. Nel Ilo aveva forse poco pii, di tronfanni. ed u n, o d stilò lm
‘ tUB dW ° ! Kli ò ta-PP- noto come generalo Òvevu,t,!,.n„?ò ° ? n e0 aVYennt0
11 Mochetti. (0 a. C.), egli $ n ^ potonzft pouuoa - Altro ignoto, da non
confondere con Glaucone, fratello di Platone., omo seguente a quello in cui
egli coi suoi coreuti celebrò fsacrifico nolti anni or sono, a quanto pare.
Ma^te’chi té la che ne parlò ; &r-ra tota, ote ri XeK il ™ alla,
conveisazioue, 1 Tutta™, interroga, amanti di feociatc a q 1 udifce da
Aristodemo, anche Socrate su qualcuna delle aveva riferito, eda lui ebbi la
conferma d#ò che 1 a L a Perchè dunque non t afte apposta via, che s’ha a
percorrere lino alla citta, per discorrere e per udire. di que i discorsi, Così
cammin facendo, rapo impreparato; sicché, come ho detto a prmcn|, nO|Soim V c
se volete che io li ripeta anche a voi, ecconn^ ricchi e dediti ai guadagni, d
: j ar Scesa e i^’f^nS'prSSmente anche voi dai canto vostro penserete di me che
sono' u ?.^Ton lò e credo che voi crediate il vero; io pero di voi non Sei
sempre lo stesso, Apoilodoro: non fai che dir male di te c degli altri, e ai
tuoi echi siamo, mi pare, tutti degl’infelici, all’mhion di So f sodando da te.
Perchè ti chiamino tenero, non so, Da questa indicazione si desume elio il
banchetto avrebbe avuto,U0 % e ÌH. anch’egli uno scolare di Scorato. Cidatonoo,
si faoova, sembra, notare per la sua smania c m anche in corte abitudini di
vita, come, per esempio, in quella d andar sempi et) Tutti i testi, a
cominciare dai piìi antichi, danno qui |j.a).axo; mollo • tenero ', lezione
respinta dalla maggior l'arto degli editori, elle hanno accolta invece la
correzione |iavixó? ‘ pazzo \ ‘ turioso ’, occorrente ir eai soniDre cosi!
xccrbo con tc ma corto ncll °,[ U ' fuo rchè con Socrate, stesso e con gli alt,
dunqu e indiscutibile che, se j^nso così^'di^mè e di^voi, io debba essere un
pazzo e un insensato? nena 0 ra di leticare,, r 1,™5 A Fa° SS 4 bbl ,
Hsrtósfssis-rr £t meglio che io mi pori M .1 .1,. capo, come a me lo fece Aristodemo.,1
- Egli dunque mi disse di avere incontrato Socrate cbe usciva dal bagno e
calzava delle pantofole cosa che suol fare di rado, e dovergli chiesto, dove
s'incamminasse cosi rimbellito. E l'altro: A cena da Agatone. Ieri mi sottrassi
al banchetto della vittoria, per paura della folla. Ma promisi che oggi non
sarei mancato. E mi Ron fatto bello appunto per presentarmi bello ad un bello.
Ma tu, gli dimandò, come ti senti disposto a venire a un banchetto non
invitato? in parecchi codl. La lezione più antica, ripristinata dal Burnet,
nonché dallo Schoenc nella sua revisione dell’edizione dell’Hug, era già stata
difesa dal Ilfìckert, e con buone ragioni. Ciò che sappiamo dal Fedone, in cui
Apollodoro c’ò dipinto come un carattere impressionabilissimo, clic passava
facilmente dal riso al pianto c viceversa, e che negli ultimi istanti di
Socrate si abbandonò a così incompostc manifestazioni di doloro da provocare un
richiamo del maestro, accenna, mi pare, piuttosto a un uomo d’indole molle, che
ad un furioso o pazzo. Nò la risposta dApollodoro, nella quale h’ò voluto veder
la conferma della lezione |iotyiy.Ó£, ò una prova addirittura decisiva,
giacché, osserva il RUekert, non dici haec, ut éxplanelur caussa cognominis,
sed indignantis verbo, esse, conccdcntls, ni fit per indignalionem, atquc in
maim augentis id quod arnione diadi. Qui quii in rcprchciuliseet nimiam
aeveritatem, hoc ipsum, niininm ceso, arripicna, acerbe rcapondel: concedo,
manifestimi est, me qui uliter sentilim atquc vos, debcrc insanire atquc
delirare. Da questo disse ’ (IcpY)) dipendo nel testo tutta la narrazióne
dApollodoro, che nel greco ha la forma d’uria oratio obliqua. Qui nel testo c’è
sTtoóei ‘ faceva’ in conformità dell’uso greco che adopera l’imperfetto per
significare uno stato clic dura tuttora nel presente, àia poiché il racconto si
suppone fatto, mentre Socrate è ancora in vita, ho sostituito il presente
all’imperfetto. Per me, rispose Aristodemo, sono ai tuoi ordini. Ebbene,
riprese, seguimi, affinchè, mutati 1 termini, la si faccia finita col vecchio
proverbio, mostrando cn anche dei buoni ai conviti vanno non invita i buoni.
Omero però, se non mi sbaglio, non si conten di farla finita con esso, ma volle
anche fargli oltraggio, perchè dopo d'averci rappresentato Agamennone come singolarmente
prode in guerra, e Menelao come un f ia ( ° guerriero, al sacrifizio ed al
banchetto, offerto < a Agamennone, fa che intervenga non invitato Menelao,
un dammeno alla mensa d’un uomo che valeva di piu U fi E l'altro nell’udir ciò:
Ho paura anch’io, Socrate, di non essere quel che tu dici, ma piuttosto,
secondo Omero, quel dappoco che va, non invitato, al banchetto d un sapiente.
Del resto, dacché vuoi condurmici, preparati a giustificare la mia presenza,
perchè io per me non diro d’esserci andato senza invito, ma in vitato da te. In
due andando per' via, riprese, consiglieremo su quel che ci converrà di dire.
Per ora andiamo. E scambiate queste parole, s’avviarono. Socrate camminava
immerso in qualche pensiero, e rimaneva indietro; e poiché egli si fermava ad
attenderlo, gli disse d andai pure innanzi. Giunto a casa d'Agatone trovò la
poi tu, spalancata, e lì, disse, gli capitò una cosa da ridere. C’ù nella
risposta, ili Socrate un ginoco li parole che non e ^possibile rendere in
italiano. 11 proverbio era. pare. BsAfflv sin Batta; taotv aOxóuatot avallo! .
dogi-inferiori ai conviti vanno non invitati i buoni- O anello meglio dei vili
(o dei deboli) ai conviti vanno non invitati i torti .. Sdorato, gtuòcando
sulla somiglianza elle, a parto l’aceento, e'e tra aYaddW •del Paoni ’ o ’A T
<W•AY'M-nm ‘ad Agatone' ri f.1 il proverbio in modo che esso si presti a
(Uro tanto . dei Inumi ai conviti vanno i buoni non invitati -, quanto • da
Agatone ai corniti vanno i buoni non invitati . E si noti elio anche II nomo
’Ay ec&MV corrispondo suppergiù a ‘ Oinobono '. Quanto ad Omero poi
Socrate, celiando, immagina cito il poeta nel tìngere (/(. Il 108) clic Menelao
4 flocco guerriero ’ vada non invitato alla mensa d’un prode conto Agamennone,
abbia voluto addirittura fare oltraggio (ti proverbio, che egli, invertendone
gli estremi, avrebbe implicitamente (giacché al proverbio In Omero non
s’accenna né punto né poco) rifuggiate io quest altra forma àralfiSv Èro Baita;
taoiv aùti|iatoi Bs’Aoi • dei forti ai conviti vanno non invitati i vili (2)
Allusione a un luogo omerico: cf. II. X ’224.Giacché gli si lece subì. 'J
?^stateti a memaano ione-e lo condusse dove g< 1 ’ Come Agatone lo quasi sul
punto di niet ^ in buon punto ^e: Oh! Aristodemo f £’ y g£i per altro, rimet-
pcr cenare con noi. il per rcai per invitarti senza ZSJtì Sin Ma em} hri biotto
Socrate? mi volsi indietro, ma non •r in nessun luooo che Socrate mi seguisse,
e dissi: S,2 •. a. lai qi 11- Ed hai fatto benone. Ma dov’è Socrate? Un momento
fa mi seguiva; ma ora dov è. Sono io mire sorpreso di non vederlo. Va subito a
cercarlo, ragazzo, disse Agatone, e introducilo qui. E tu, Aristodemo, prendi
posto a lato ad Erissimaco . IH. E mentre un servo gli lavava i piedi, perchè
potesse sdraiarsi, un altro entrò dicendo: Questo Socrate s’è ritratto nel
vestibolo d una casa qui accanto, e sta li fermo. Io l’ho chiamato, ma non ha
intenzione d’entrare. Strano!, disse Agatone; corri dunque a chiamarlo, e non
smettere, finché non si muova. No, no. diceva d’aver soggiunto Aristodemo.
Lasciatelo stare. Egli l’ha quest’abitudine. Certe volte si tira da parte e
riman fermo dove gli capita. Verrà ben presto, ritengo. Voti lo disturbate;
lasciatelo stare. Facciamo pure cosi, se codesto è il tuo avviso, disse
Agatone. E voi, ragazzi, dateci da mangiare a noi altri, e imbanditeci tutto
quel elio vi pare. Non c’è nessuno che vi sorvegli: è una bega che non mi son
mai presa. Fate conto che ci abbiate voi invitati a cena, me e questi altri, e
trattateci in modo da meritare i nostri elogi. Dopo ciò,'diceva, si misero a
desinare, ma Socrate non compariva. Agatone aveva ordinato più volte che fi)
lirlssùuaco, figlio d'Aedmeno, ora, conio il padre, un modico litui noto in
Alene. 21 s’andasse a rilevarlo, ma egli non l’aveva permesso. Finalmente, men
tardi però che non fosse nelle sue. altitudini. ma tuttavia quando la cena era
già a mezzo, Socrate entrò. E Agatone, che occupava 1 ultimo posto, per caso da
solo: Vien qua, Socrate, disse; sdraiati accanto a me, affinchè al tuo contatto
m’avvantaggi anch’io di quel pensiero sapiente di cui ti sei arricchito nel
vestibolo. Perchè gli è certo che 1 hai trovato e lo J possiedi: chè- prima non
ti saresti mosso. Socrate si mise a sedere e rispose: Sarebbe, Agatone, una
gran bella cosa, se la sapienza fosse cosiffatt a, che potesse scorrere dal più
ripieno nel più vuoto di noi. al solo toccarci a vicenda, come l’acqua nei
bicehien, che a traverso un fìl di lana scorre da uno più colmo in un altro più
vuoto! Se lo stesso avviene anche della sapienza, son io che devo far gran
conto d essere accanto a te, giacché penso che, mercè tua, mi riempirò di molta
. e squisita sapienza. La mia non può essere che povera cosa o anche di dubbio
valore, come un sogno;, ma la tua è luminosa e destinata ad un grande avvenire,
dal momento che da te, giovane ancora, ha sfolgorato poco fa di così viva e
chiara luce davanti agli occhi di piu che trentamila Elleni. Sei un gran
canzonatore, Socrate, disse Agatone. Ma di questa faccenda della sapienza
discuteremo fra poco tu ed io, e, ne prenderemo a giudice Dióniso , Per ora
pensa a mangiare. IY. Dopo di ciò, raccontava Aristodemo, Socrate si sdraiò, e
finito che ebbero di cenare, lui e gli altri, fecero lo libazioni, cantarono un
inno in onore del dio, adempirono tutte le pratiche di rito (2), e quindi si
vol ai Dióniso, il dio della poesia di'amatloa, por un poeta tragico era il
miglior giudico al quale potesse appellarsi. (2) Questo cori inolilo orano: 1°
i convitati bevono un sorso di vino puro In onoro del ‘ dèmone buono [del buon
genio]; 2° i servi sparecchiano; 3° o portano acqua ^crollò i convitati si
lavino le inani una seconda volta (la prima volta l’han fatto prima di mettersi
a cona); 4° distribuiscono ancora corone ed unguenti; 5° poi si fanno lo
libazioni di vino temperato pi prima a Zeus Olimpio (o alla Sanità), la seconda
agli Eroi, la terza a • n \ oli ora fu il primo a prender la s ero al bere.
iei< c he regola terremo nel parola e: Orsù, disse amie ., pel, me V1 c011
.bere per aggravarci g ^h P rabtiso di ieri, fesso che mi sente e CO sì forse
la più parte e h0 bisogno d un po^ Y P edete dunque come si possa
bere°con^la'maggior discrezione ^ossibUe^ . 'U, Acumeno. Ed ora non ho bisogno,
che d udire come si 1 in f orz e per bere un. altro solo di voi, Agatone. no
davvero, non me la sento neppnr io, rispose CO ¥a'nto meglio per noi, mi pare,
disse Erisstamco per me . per Aristodemo; per Fedro e per questi altri, se ma
cedete il campo voi che siete dei bevitori a tutta prova, giacché noi siamo
sempre debolissimi. Quanto a Sociat % egli fa eccezione: si trova a posto in un
caso e nell altro, e gli sarà indifferente comunque si beva. Bacche, dunque,
nessuno dei presenti è disposto a bere rii molto, non vi rincrescerà, spero,
ch’io vi dica la verità a proposito dell’ubriacarsi. Dalla pratica della
medicina ho cavato questa convinzione: che per gli uomini è dannoso 1 abuso del
vino: e di mia volontà non eccederei mai nel bere, nè lo consiglierei ad un
altro, soprattutto se si risente ancora della sbornia del giorno prima. Per me
non c'è caso, prese a dire Fedro da Mirrili unte; io lui l’abitudine di seguire
i tuoi consigli, specie quando parli di medicina; ina ora, se hanno giudizio,
faranno così anche gli altri. Zeus salvatore. I/ultiina tazza cho ai beveva a
questo si diceva la ‘ por- lotta .; 0 spesso alle libazioni seguiva una musica
di Munti c un bruciamento d’incensi; 7° con la prima libazione s’accompagnava
il canto di un inno religioso. (Da Bonghi). Doveva esscro un ammiratore di
rotori e sofisti, ma è noto soprattutto come amante d’Agatonc. Aristofane, è
superfluo dirlo, è il famoso comediografo. (3) Su Fodro v. la nota alla mia
versione del Fedro. jp£ijÌMpM h'. Udito ciò, tutti convennero che non si
dovesse far del bere il passatempo di quella riunione, ma che ognuno bevesse
quanto e come gli accomodava. y. _ Poiché è stata accolta la mia proposta, che
ognuno beva quanto gli accomoda, disse Erissimaco, c che non ci sia nessun
obbligo, ne faccio ancora un al inaurila di mandar via la suonatrice di flauto
entrata dianzi, perchè suoni per conto suo o, se vuole, per le donne cu casa, e
che noi oggi si passi il tempo a conversare fra no. E voglio anche, se me lo
permettete, proporvi U tema discorsi. ìtì Tutti consentirono e lo esortarono a
farne fa. 1 posta. E comincerò, riprese Erissimaco, come la ^ e lanippe ’ di
Euripide: Miei non son questi detti che m’accingo a pronunziare, ma di Fedro
qui pi sente. Non passa occasione infatti eh egli non mi up • indignato: Ma
Erissimaco, non è enorme, che mentre poeti han cantato inni e peani in onore
degli alto d, di Eros, un così antico e possente iddio, neppui u _ tanti poeti,
che ci sono stati, abbia mai composto un eloo-io’f E se poi vuoi guardare ai
buoni sofisti, essi ha Sto in prosa le lodi di Éracles e di altri, come quel
valentuomo di Predico... E questo ite, esorprendente; ma c’è di peggio. A me
proprio una ^oha accadde dibattermi in un libro d’un sapiente, m cui si
facevano sperticate lodi del sale pei vantaggi che reca, E puoi vedere
parecchie altre cose simili celebrate con lode. Spender tanta cura intorno a
siffatti argomenti, e pii Eros non esserci nessuno fin oggi, che abbia osato
lai ne un degno elogio: a tal punto è trascurato un cosi grande Iddio- ) E in
ciò’, secondo me, Fedro ha ben ragione. 10 dunque, oltre che desidero .li
pagare il mio contributo a costui e fargli cosa grata, ritengo che questo sia
per noi qui radunati proprio il momento .li adornai e di lodi 11 dio. E se così
pare anche a voi, ecco trovato torse un Cf. N.vuoic, Trita- Or. Fratjmm.'
tramili. 181, 1. a l. è „ueUo elio si trova riferito In sunto da Senofontei nei
Momo- rubili ’ 11 21, 1 sgg., o elio fu tradotto dal Loop®!! col tlt. ' I.reale
. buon argomento di conversazione. In sostanza io pro- onlo che ciascuno ili
noi. per turno a destra, dica le Foladi Eros, come può meglio, e sia il primo
ladro, non Tolo perchè egli occupa il primo posto, ma anche uerchè egli è il
padre del discorso. Nessuno, Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la
proposta, Nè potrei certo oppormi io, che dichiaro di non esser competente in
altro che m cose d’amore: nè vi si opporranno Agatone e Pausatila e tanto meno
Aristofane, la cui vita è tutta cosi profondamente devota a Dioniso ed
Afrodite, o qualche altro di quelli che vedo qui presenti. Senza dubbio, la
partita non è uguale per noi che siamo negli ultimi posti: ma se quelli che ci
precedono parleranno esaurientemente e bene, noi saremo sodisfatti. Dunque, con
buona fortuna, inauguri Fedro la serie dei discorsi e pronunzi l'elogio di
Eros. A queste parole anche gli altri fecero eco e npetet- 178 tero l'invito di
Socrate. Ma di tutto ciò che ognuno disse, nè Aristodemo si rammentava con
precisione, nè io, dal canto mio, di tutto quello che egli mi riferì. Vi dirò
per altro le cose più degne di ricordo e i discorsi, che mi parvero tali, di
ciascuno. Come dunque dicevo, stando al racconto d’Aristodemo, Ferirò fu il
primo a parlare e cominciò suppergiù a questo modo: Eros è un grande iddio e
ammirabile tra gli uomini e tra gli dei, oltreché per tante altre ragioni, soprattutto
per la sua origine. Perchè l’essere tra gli antichi iddìi antichissimo è cagion
d’onore, diceva, e ne abbiamo la prova. Difatti genitori di Eros nè vi sono, nè
si rammentano da verun prosatore o poeta ; anzi Esiodo dice che dapprima fu il
caos, ma dopo Oea dall’ampio seno, saldissima, eterna di tutto sede ed Eros ;
Cf. Theog. e con Esiodo s’accorda Acusilao noU'afferniaro che dopo il Caos si
generassero questi due, Gea ed Eros. E Parmenide dice della generazione che
infra gl’iddìi tutti Eros concepì per il primo. E così da molte parti si
consente che Eros fu tra gli antichi antichissimo. E perchè antichissimo, è
cagione a noi dei più grandi beni. Io infatti non so dire qual maggior bene
possa esservi per chi entri appena nell’età dell'adolescenza d’un amante buono,
e per l’amante d’nn fanciullo amato. Giacche ciò che agli uomini deve servir di
guida per tutta la vita, se vogliono nobilmente vivere, questo non valgono ad
ispirarlo altrettanto bene nè la comunanza di sangue, nè gli onori, nè la
ricchezza, ne alcun’altra cosa, quanto l’amore. E che è mai questo. La vergogna
per ciò che è brutto, l’ambizione per ciò che ò bello, senza le quali nè ad uno
Stato, nè ad un privato è possibile operare grandi c nobili opere. Ebbene io
affermo che un uomo che ami, se fosse sorpreso in atto di commettere qualcosa
di brutto o di soffrirla da un altro senza reagire per vigliaccheria, non s
affliggerebbe tanto ad esser visto nè da suo padre, nè dai compagni, nè da
nessun altro, quanto dal suo diletto fanciullo. Così del pari vediamo che anche
1 amato si vergogna soprattutto degli amanti, ove sia sorpreso a commettere
qualcosa di brutto. Se dunque ci fosso modo d avere uno Stato o un esercito
composto damanti e damati, non potrebbe esserci per la loro città miglior governo
ì costoro, perciocché 'asterrebbero da ogni cosa turpe e gareggiherò di virtù
fra loro; e combattendo gb 171 Acusilao d’Argo ora uu logografo contemporaneo
delle guerre persiane, autore di ' Genealogie Questo Torso faceva parto del
poema llspì cpoactofi Sulla natura del grande Hlosofo di Elea, fiorito tra la
fino del vi e il principio del v s. a. 0. Cf. Dirla, Forsokr. P P- 1U2.
.Lottoralmento: So dunque si trovasse modo ohe oi fosso uno stato O un esercito
d’amnuti o d’amati, non potrebbero governar meglio la propria citta, elio
astenendosi da tutto lo cose brutte e gareggiando fra loro eoe. £ sLo non possa
animare d’un divino coraggio cosi da renderlo pari all'uomo più di sua natura
vaio .roso. E QU el che Omero dice: avere un dio ispnato l'ardire in taluni
eroi, questo appunto per virtù propiia Eros l’effettua negli amanti. Ed
.infatti solo quelli che amano son pront i a morire in cambio d’un altro; nè
soltanto gli uomini, ma anche le donne. E di questo ci offre, a noi Elioni, una
testimonianza bastevole la figliuola di Pelia, Alcéstide. che fu sola a voler
dare la propria ruta in cambio di quella del marito,, sebbene questi avesse e
padre e madre tuttora viventi. Ma costoro per virtù d’amore ella li sopravanzo
tanto nell affetto, da farli apparire degli estranei al figliuolo e legati a
lui unicamente di nome. E per aver fatto ciò parve non solo agli uomini, ina
anche agli dei che avesse fatto cosa tanto bella, che quantunque molti avesser
compiuto molte belle azioni, a ben pochi gli dei concessero questo premio, di
richiamarne l'anima dall’Ade; ma quella di lei la richiamarono, ammirati di ciò
ch’ella aveva fatto; tanto altamente onorano anco gl’iddii un amore profondo e
virtuoso! Invece rimandarmi via dall’Ade a mani vuote Orfeo d’Eagro, dopo
(riavergli mostrato il fantasima della moglie, pei' la quale egli 'era sceso
laggiù, senza per altro dargli la donna, perchè parve loro circi mancasse di
coraggio, da quel citaredo ch’egli era, e non gli bastasse l’animo d’affrontare
per amore la morte, come Alcéstide, ma s’ingegna da vivo di penetrare nell’Ade.
E però lo punirono, fa - h un modo <11 dire elio ricorro più volto nei poemi
muorici. l.u devozione di questo, eroina verso 11 marito forma il soggetto
(Cuna tragedia d’Euripidc, intitolata appunto ‘ Alcéstide dolo morire per mano
di donne. Al contrario, onorarono Achille, il tiglio di Tétide, e gli
assegnarono un posto nell’isole dei beati, perchè, sebbene avvertito dalla
madre ohe sarebbe morto come .avesse ucciso Ettore, laddove. ciò non avesse
fatto, ritornato a casa, vi sarebbe finito di vecchiezza; egli, bramoso di
correre alla riscossa dell’amante Patroclo e vendicarlo, osò non solo di morire
ner lui ma di soprammorire a lui estinto. Ond anche, gli dei compresi di viva
ammirazione, gli concessero un onore addirittura segnalato, (lacchè aveva
mostrato di tenere in così alto pregio l’amante. Ed Esclnlo vaneggia, oliando
afferma che Achille era L’AMANTE DI Patroclo. Achille è più bello non solo di
Patroclo, ma di tutti quanti gli altr’eroi, ed è ancora imberbe, e per giunta
più movane di molto, come dice Omero. Gli e che in realtà, se gli dei onorano
singolarmente questa virtù dell’amare, essi tuttavia ammirano e pregiano e
ricompensano più largamente la devozione dell amato pei l'amante, che non
quella dell’amante per ornato L’AMANTE infatti è qualcosa di più divino dell
AMATO, perchè posseduto dal dio. E perciò appunto gli dei onorarono Achille a
preferenza d’Aleéstide, assegnandoci un posto nell’isole dei beati. Per conto
mio, adunque, concludo che Eios e t a gli dei il più antico, il più augusto, il
piu capace di rendere virtuosi e felici gli uomini, così in vita come m morte.
Questo a un dipresso, disse Aristodemo, il discorso di Fedro. Altri ne
seguirono (lei quali non si rammentava bene e che omise, e passo al discorso di
Pansaaia, che parlò così: A me pare che non ci si sta pn- pitocon chiarezza il
tema del discorso, quando se detto, così senz’altro, di pronunziare 1 elogio di
Eros. s.e Eios non fosse che un solo, via, la cosa potrebbe andare, ( ìa ecco,
esso, non è un solo, e non essendo un solo, e più Accenno iul una traspaia
perduta, intitolata ‘I Mirmldom, nella quale talune espressioni allettilo
d'Achille erano da alcun, mterpro- tate conio qui si complaco d‘interpretarle
Iedro. criusfo che si fissi in precedenza quale sabbia a lodare, fo dmu e mi
proverò a rimetter le cose a posto, a due aual è l’Eros che merita lode, c poi
a pronunziarne 'ì’elogio in maniera degna del mime. Tutti infatti sappiamo che
Afrodite non è senza Eros. Se VENERE fosse una sola, non ci sarebbe che un solo
Eros; rail poiché di Afroditi ce n’è due, due devono essere di necessità anche
gli Erotes. E come non sono due le dee. L’ima è più antica, non ha madre, e
figliuola d Ulano, e però è detta Urania [o celeste]; l’altra è più giovane,
figliuola di Zeus e di Dione e la chiamiamo Pan demos 10 volgare]. Ne consegue
perciò clic l'Eros, collabora- lore di questa, si chiami a buon diritto
Pandemos [o volgare] e l'altro Uranio [o celeste]. E se giusto è elle tutti gli
dei si lodino, è pur necessario provarsi a dire le qualità toccate in aorte a
ciascuno dei due. Perché d'ogni nostro atto può affermarsi questo: che esso di
per sé non è nè hello uè brutto. Per esempio, ciò che ora Tioi facciamo: bere,
cantare, discorrere, nessuna di queste cose è di per sè bella, ma nel fatto
divien tale, secondo 11 modo come si fa. Fatta bene e rettamente diventa bella;
non rettamente, brutta. E così anche l’amare ed Eros non è tutto bello e degno
d’esser lodato, ma solo quello clic nobilmente spinge ad amare. L’Eros quindi,
collaboratore delTAfrodite volgare, è veramente volgare, ed opera come gli vien
fatto; e questo è l’Eros che amano gli uomini di animo basso, fòsforo innanzi l
utto amano non meno le donno che i fanciulli, e poi, pur di quelli che amano, i
corpi a preferenza delle anime, e poi ancora i meno intelligenti che possano,
giacché essi non mirano ad altro, che a sodisfarsi, non importa se bellamente o
no. Onde accade loro ili fare come capita, nello stesso modo il bene e nello
stesso modo il contrario. Perocché quest’Eros trae anche origine dalla dea elio
è ben più giovane dell’altra e che dal modo, onde fu generata, partecipa di
femmina e di maschio. L’altro invece é dell’Afrodite celeste, la quale 1,1 P r
'mo luogo non partecipa di femmina, ma solo di maschio ed è questo L’AMORE dei
giovanetti e poi intica pura (fogni lascivia.. Onde al MASCHIO pl '‘;! 8Ì
volgono gl’ispirati da questo amore, perchè ;UJP u io-ono quél che è per natura
più forte e piu Intel- f 11 :: ; -Ed anche nello stesso amor pei fanciulli è
pos- u • discernere quei che sono sinceramente mossi da ' S nesto amore.
Giacché essi non amano i fanciulli, se non ? andò questi comincino a dar segni
d’intelligenza, cioè òn lo simulare sul volto della prima lanugine. Coloro
infatti 'che cominciano ad AMARE da quel momento, si mostrali disposti, secondo
me, a legarsi per tutta la vita Giovanotto AMATO e a viver con esso m comune,
non oi-r dopoché l'abbian tratto in inganno per averlo .sorpreso nella sua
inesperienza giovanile, a ridersi di lui e orrore ad altri amori. Converrebbe
anzi che una le^ge vietasse l’amare i fanciulli, affinchè un grande studio non
si spendesse in cosa d’esito incerto, perchè incerta e la riuscita dei
fanciulli, dove vada a riuscire, quanto a vizio e virtù d’animo e di corpo.
Questa legge, è vero, 1 buoni se la impongono spontaneamente a sè medesimi;
nondimeno sarebbe necessario che a ciò codesti amanti vogali fossero anche
costretti, come, per quanto è possibile, li costringiamo ad astenersi daU'amare
le donne di libera condizione. Poiché sono essi appunto che hanno anche
disonorato l’amore, tanto che alcuni osali di dire che è brutta cosa compiacere
agli amanti. E dicon cosi, perchè hanno dinanzi agli occhi costoro, e vedon di
questi il procedere intempestivo ed ingiusto, laddov e non c’è cosa che, fatta
con decoro e in conformità del costume. possa giustamente meritar biasimo. E
certo qual sia nelle altre città la norma enea l’amore, è facile intendere, chò
il concetto ne è semplice. Ma da noi e a Lacedemone essa è varia. Così
nell'Elide, tra’Beoti e dove non son punto esperti nel dire, e senz altio
ammesso come bello il compiacere agli amanti; e nes- Il testo lui fini la
pacala vó|io? ‘ leggoelio compiendo cosi In legge Boritta, la leggo in senso
ristretto, corno l’oplnlou pubblica, la consuetudine, lu nonna, il costumo. Io
l’ho tradotta di solito così, ma anello in qualche caso, nel quale in questo
disoorso di Pausania mi son valso della parola ‘ legge s’intende olio a questa
parola va dato il significato più. largo cho ha nel greco. im0 sia giovane o
vecchio, oserebbe tacciarlo di turpe affinché, credo, non incontrino difficoltà
nel persuadentigiovani per via di ragionamenti metta come sono al parlare. Per
contro m molti luoghi della Ionia e in altri paesi, soggetti ai barbari, la
cosa e ritenuta senz'altro quale una bruttura. Pei barbari, infatti, a camion
delle tirannidi, è brutto questo, non meli che lo studio della sapienza e della
GINNASTICA, perocché, credo, non conviene ai governanti che allignino alti
sensi nei (invernati e si stringano indissolubili amicizie e intimità, che, tra
tanti altri, è il più meraviglioso effetto, che si compiace di produrre
l'amore. E ciò anche i nostri tiranni sperimentaron col fatto, cliè l’amore di
Aristogitone e l'amicizia d'Annodio (1), divenuta salda, abbatterono la loro
signoria. E, così, dov’è considerata brutta cosa compiacere agli amanti, ciò si
deve alla malizia dei legislatori, alla prepotenza dei dominanti e alla viltà
dei soggetti; e dove invece fu senz'alcuna eccezione considerata come cosa
bella, alla pigrizia d’animo di chi fece la legge. Da noi al contrario la
consuetudine è assai più bella, sebbene, come ho detto, non sia, agevole
penetrarne lo spirito.Chi consideri infatti come sia opinion comune che
allumare di soppiatto sia preferibile l’amare palesemente e soprattutto i più
generosi e i migliori, per quanto mori leggiadri d’aspetto, e come per converso
l’amante abbia da tutti mirabile incoraggiamento ad amare, non come chi faccia
qualcosa di brutto, e sia tenuto in gran conto chi conquista e deriso chi si
lascia sfuggire la preda, e come nel tentar di siffatte conquiste i nostri
costumi abbian concesso all’amante d’aver lode, anche se l'accia cose
sbalorditive e tali, che se uno osasse farlo per correr dietro a qualunque
altro oggetto e per conseguire qualunque altro scopo, aH’infuori di questo, ne
raccoglierebbe i maggiori biasimi se, ad esempio, per ottener danari da
qualcuno o un pubblico ufficio o Ad Armodlo c Artotogitone, 1 famosi
tirannicidi, l’opinione colmino degli Ateniesi attribuiva la cacciata dei
Plsistratldi. Cd) Qui il lesto ha <ptXoooiplas ’ da parto della lllosolln ’.
clic la maggior l'arto dogli editori, compreso il Burnct, s’accordami u
considerare corno un aggiuuta arbitraria o orrore dei copiati. disiasi altro
potere uno s ^J^ e Uc e con gli amati gli amputi, ^ ^ menti e dormono ° e
<rano e supplicano eg ;. rosi delle servitù quali Suanzi alle porte e serron
™ dal fare BÌ ffatte cose nessun servo; ei saiebbe nnp^^ rin{accer eb-ei ' iurp
n u Mi uni li rinfaccereb- e da amici e ila uenuci, cu fiU'^. )f) ammonirebbero
e bere adulazioni e aU ' a .nmnte che faccia tutte arrossirebbero di ess - 11
fe permesso dal costume queste cose s’accresce grazia, de £attì oltre di farle
senza biasimo, che almeno a quanto modo belli. E quel eh è pmj gU dei perdonano
si dice, se anche „i eHt o amoroso, sosten- di spergiurare perche ‘ e gU nomini
han ono, non esiste (1). corae la legge di qui fatto lecita ogni lieenz^ c
credere che nella dice. Da questo lato, dunque, t ( l’amare e il città nostra
si stmii una P b . padrii preponendo compiacere agli amanti. <1 p lascian
discorrere con dei pedagoghi agli amai, nedagogo, e eoe- tanei e compagm h
vitupera,^ì vituperano n on son qualcosa di simile, ne upur biasimati dai pai
d'altronde nè trattenuti 11 insto. chi badi per anziani, come que che non be la
s i ritenga qui l'opposto a tutto ciò, p fecondo me, invece, la la più brutta
cosa del mondo. comc s ’è cosa sta a questo nioi o. J bella nè brutta; detto in
principio, noi 1 ge bruttamente. I mpure stabile, come colui clic - co, mw
stabile. Giacché insieme con lo sfiorire il corpo, che egli ama, v asse no via
a volo, eliso È un modo proverbiale olio negli scrittori greci ricorro sotto
varie formo. Reminiscenza omerica; cf. Tl norando tanti discorsi e promesse. Ma
chi ama l’indole buona riman costante per la vita, come colui che s’è isi
attaccato a cosa stabile. E costoro appunto il nostro costume vuol mettere a
prova bene e bellamente, e che agli uni si compiaccia, dagli altri si frigga. E
però appunto gli im i esorta a dar la caccia, gli altri a fuggire, istituendo
una gara e mettendo a prova di qual mai sorta sia l’amante e di quale l’amato.
E così, per questo motivo, in primo luogo il lasciarsi accalappiare subito è
ritenuto brutto, affinchè ci sia di mezzo del tempo, il quale può, sembra,
metter bellamente a prova la maggior parte delle cose; e poi l'essere
accalappiato dal danaro e dalla potenza politica è brutto, sia elle uno,
maltrattato, si avvilisca e non resista, sia che, beneficato di danari o
agevolato nelle faccende pubbliche, non disprezzi. Che nessuna di tali cose par
che sia nè ferma nè stabile; senza due che non può neppur nascere da esse una
generosa amicizia. Sicché, secondo il nostro costume, una sola via rimane, se
all’amante deve bellamente compiacere l’amato. È infatti legge per noi che,
siccome per gli amanti il servii’ volentieri qualunque servitù agli amati non
è, come s’è visto, nè adulazione nè vergogna, così appunto anche un’altra
servitù sola volontaria rimane non vergognosa, e questa è quella che ha per
oggetto la virtù. Perocché presso di noi è ammesso che, ove qualcuno voglia
servire un altro, stimando di poter divenire per via di quello migliore o in
sapienza o in qualsiasi altra parte di virtù, questa servitù volontaria non è
dal canto suo brutta, e non è nemmeno adulazione, (inde conviene che queste due
leggi convergano insieme al medesimo segno, e quella che ha per oggetto l’AMORE
dei fanciulli e quella che ha per oggetto l’amore della sapienza e d’ogni altra
virtù, se dovrà riuscire a bene il compiacere dell’amato all’amante. Perchè,
quando s'incontrino l’amante e l’amato, ciascuno recando la propria ( gge, 1
uno che nel prestare qualsiasi servigio al giovanelio che gli ha compiaciuto,
glielo presti secondo giu-, K lzia altro che nel concedere qualsiasi favore a
chi o li nde sapiente e buono, glielo conceda secondo giusizia, e 1 uno,
potente di senno e d’ogni altra virtù, n . i-altro bisognoso di educazione e
d’ogni altra 1U ‘ ne acquisti; allora, queste leggi convergendo S Tmedésimo
segno, in questo caso soltanto accade che nel So òhe l’amato compiaccia,
all’amante-, m ogni sia n0 B in questo caso anche il trovarsi ingannato In è
punto brutto; in tutti gli altri, si sia o no ingan- i norta vergogna. B cosi,
se qualcuno a un amante, nat P r l ricco in vista della ricchezza avesse com-
st S e si trovasse poi ingannato e non ne cavasse danari perchè l’amante s’è
scoperto povero, non sarebbe d '' (,ùesto men brutto, dappoiché un amato
siffatto P per quel ch’è in lui, che in vista del danaro ri kz ‘ srjtfsc
ramante, divenir migliore, si 'ciò nonostante^l’inganno^bello, perchèa^e qj^per
ciò SSfJS ^ H fÌT5| l r^tSenté bello' compiacere per Sefò l’amore S&i di
gran pregio e l’amato a porre ogni sono TLSJL • £# m’insegnano a lare di si, ‘
Vvist0 [. ine . Senoncliè vuto. diceva Azistodemo pa aie ^stob m()tiv0, costui,
o per aver mangiato tiojjo P ^ [Uscor . era stato coltoinetto a destra di lui.
c’era il medico iSSSXmA Eri, .co Vaio a lUro l sofisti c i rotori. :i subito di
questo singhiozzo, o di parlare invece mia, finche non mi sia cessato. Ed
Erissimaco: Ma farò runa cosa e l’altra, rispose. Io parlerò ora per te. e
quando ti sarà cessato il singhiozzo, parlerai tu invece mia. E mentre io
patio, se, trattenendo a lungo il respiro, il singhiozzo vorrà andarsene. <
tanto di guadagnato ; se no, fa dei gargarismi con l’acqua. Che se poi fosse
addirittura ostinato, prendi qualche cosa da solleticarti le narici e cerca di
starnutire. Basta che faccia così una o due volte, e cesserà per ostinato che
sia. Affrettati dunque a parlare, disse Aristofane; io seguirò i tuoi
suggerimenti. Ed Erissinmco disse: Orbene, dal momento che Pausante,, dopo d
aver preso bene le mosse per il,K6 suo discorso, non l'ha compiuto a dovere, credo
che a me convenga di provarmi a completare il suo discorso. Che Eros sia
doppio, pare a me che egli abbia fatto benissimo a distinguere; però che esso
non sia soltanto negli animi umani rispetto alle belle persone, ma che abbia
molti altri obietti e sia' in altri, nei corpi di tutti gli animali e nelle
piante della terra e, per dirlo in una parola, in lutti gli esseri, credo
d'averlo imparato (bilia medicina, dalla nostra arte, com’egli sia un dio
grande e meraviglioso, ed estenda il suo potere su tutte le cose umane e
divine. E eomincerò, partendo, dalla medicina, anche per rendere omaggio
all’arte. Infatti te natura dei corpi ha questo doppio Eros, giacché la sanità
del corpo e la malattia sono, per consenso unanime, cosa diversa e dissimile; e
il dissimile desidera ed ama cose dissimili. Altro, dunque, è l’amore che
risiede nel sano, altro quello che risiede nel malato. Ed appunto, come
Pausante dice or ora, clic è bello compiacere ai buoni tra gii uomini, ma
brutto ai dissoluti, così anche negli stessi corpi è bello e, conviene
compiacere a ciò che v'è di buono e di sano in ciascun corpo ed è ciò a cui si
dà nome di medicina ma' brutto compiacere a ciò che v’è di cattivo e di
morbóso, e si deve negare a questo ogni favore, se si vuol essere un medico
esperto. Perchè la medicina, in sostanza, è la scienza delle TENDENZE AMOROSE
DEL CORPO a riempirsi e a vuotarsi; e ohi sa distinguere in esse l’amor bello
dal brutto, costui sarà il pili acuto medico; e chi ù capace di produrre tal
mutamento, che i corpi acquistino l'mi amore in cambio dell'altro, e in quelli,
nei quali non sia amore e dovrebbe esserci, sappia farlo nascere e da quelli
nei quali sia e non dovrebbe , espellerlo, questi potrà esser davvero un medico
abile. Occorre infatti che egli possegga la capa cita, di metter d’accordo gli
elementi più avversi, esistenti nel corpo, e procurare che si amino l'un
l'altro. K avversissimi sono gli elementi affatto contrari, il freddo e il
caldo, l'amaro e il dolce, il secco e l’umido, via dicendo. TC perchè seppe
ispirare in essi amore e concordia, Àsclépio, il nostro capostipite, come
affermano i nostri poeti, ed io credo, fondò la nostra scienza, ha medicina,
dunque, dicevo, è governata tutta intera da questo dio; e al pari di essa anche
la ginnastica e l’agricoltura. Quanto alla musica poi è chiarissimo a chiunque
W voglia appena riflettervi, che il caso è affatto identico, c quest o forse
volle dire anche Eraclito, sebbene egli non lo esprima in forma perspicua.
L'uno, egli dico, discordando con sè medesimo si accorda, come armonia d’arco c
di lira. È difatti un vero assurdo affermare clic l’armonia discordi o risulti
da cose tuttora discordi. Ma forse egli voleva appunto dir questo: che essa
nasce da cose per l’innanzi discordi, l’acuto e il grave; ma che in seguito si
sono accordate per opera del- l’arte musicale, giacche non è in alcun modo
possibile, clic dall’acuto e dal grave, tuttora discordi, nasca armonia. Asciò
pio o Esoulapìo ora un eroe-modico divenuto piti tardi un ilio-modico. 1 suoi
discendenti, gli Asolcpiadl. tra cui Krlssimaco pone se medesimo, dovevano
essere in origino limi gente congiunta da legami di sangue, in cui era
tradizionale la cognizione e la pratica della medicina. 1 j0 famiglie di
Asclepindi più celebri orano Quelle di Cos, a cui apparteneva, il grande
lppoerate, e di ('nido. Ma in tempi più recenti tutti i medici, compiacendosi
di far risalire al <Uo la propria genealogia, presero indistintamente il
nomo d’Asolopiadì. (•) (’f. DllCl-s, Vorqokr. V p. S7, .1. „ ; n certo ino rio conche
è consonanza, e consonanz^ da cose discordanti, senso, e U consenso non può
discorda e non tinche discordino; e d altra P Così, per esempio, consente nOn
può coautore ai ^ da cose clic anche il ritmo nas f ^^ consentirono poi. E in
tutte discordavano prima, ma ci dalla me dicma, qui e queste cose il consenso,
come 0 concor dia vicen- ! osto dalla musica, che v ispm ‘ la scienza delle
devote. E però la Soffia e’di ritmo. Nella tendenze amorose m tatto e dell
armonia composizione, considerata discernere le tendenze e del ritmo non e
punto dime oliando occorra amorose, nè,ulvi c'6 Mggg't’SflB. con gli servirsi
del ritmo e dell. c h e chiamiamo uomini, o clic si compong cbe s’adoperino
melopea [creazione musicale] t _ ed è ciò acconciamente melodie • e metri gn ®
usioa i e ] qui. ohe vien detto ‘ slbi ie artefice. E qui temati, e affinchè
diventino pm costumati q^rni lo sono ancora, Insogna compuie p^ros celeste,
volgare e questo, a coloro, a cui si somministri, s ha da sonnninistr .re con
molta Cautela, affinché se ne colga il piacere) ma non ingeneri alcuna
intemperata mm nell’arte nostra vai molto sapersi giovale dei desideri eccitati
da una buona cucina in modo che, senza procurarsi una malattia, se ne goda il
piacere. Cosi, dunque, e nella musica e nella medicina e in tutte le altre
cose, umane e divine, si deve, per quanto si può, aver riguardo a ciascuno di
questi due Erotes, perche ci sono. Poiché anche la costituzione delle stagioni
dell’anno è piena di tutti e due questi amori; e quando gli elementi, dei quali
dianzi parlavo, il caldo e il freddo, il secco e Tumido, si trovino in una
scambievole e ben regolata relazione d’amore e s’accordino e si temperino
saggiamente, essi vengono apportatori d’nna buona annata e di buona salute,
cosi agli uomini, corno agli altri ammali e alle piante, e non soglion produrre
alcun danno. .Ma quando invece, l’Eros compagno dell’intemperanza prevalga
nelle stagioni dell’anno, egli suol corrompere '• danneggiare molte cose. E da
tali cause derivano di solito e pestilenze e tante altre malattie diverse e
negli animali e nelle piante. Infatti e le brinate e la grandine e la ruggine
dei cereali sono il frutto della sopercliieria e della sregolatezza vicendevole
di cosiffatte TENDENZE EROTICHE, la cui scienza rispetto al moto degli astri e
alle stagioni dell’anno prende nome di astronomia. Inolt re tutti i sacrifizi e
quei riti a cui presiede l'arte divinatoria ossia la scambievole comunione tra
gli dei e gl' uomini non vertono intorno ad altro, se non intorno alla preservazione
ed alla cura di Eros. Giacche ogni forma d’empietà suol nascere, ove non si
compiaccia all’Eros ordinato e non gli si renda onore e venerazione in ogni
cosa, ma si tenga in pregio quell altro, cosi nei rapporti coi genitori, vivi e
morti, come nei rapporti con oli dei. Ed appunto osservare siffatti amon
curarli è il compito della divinazione, e la divinazione è a sua volta,
operatrice d’amicizia tra gh elei e gu uomini, perchè sa discernere, tra le
inchnaziom ainc^se deo-li uomini, quante tendano alla giustizia e alla pietà,
l'osi ogni Eros ha un potere esteso e grande, anzi, iu una parola, universale,
ma quello che, e Pi'esso 'li noi e presso gli dei, trova il proprio compimento
nel buie con temperanza e giustizia, questo ha il maggmr potere e ci assicura
ogni felicità, sicché si possa viveic in pace fra noi ed essere anche amici di
quelli che son ungimii di noi, degli dei. Porse, in questo elogio di Eros,
anche io ho tralasciato molte cose, ma non l’ho fatto apposta. Se per altro c’è
qualcosa ch’io abbia omesso, tocca a te, A stofane, di supplirvi. Ma se invece
ti frulla per il capo di elogiare altrimenti il dio, fa pure a tuo modo, che
anche il tuo singhiozzo è cessato. Leggo qui Iponas- :3 P= ^V5=Hf Bsfc = - s S
8 Sf 3£ iV'l.- • t d ' caso che ti sfugga qualche cosa da lai -f sawst.#r n ;
’yffes conto ch'io non abbia detto ciò che ho detto. E non stare a farmi la
guardia, perchè temo di tee non g. cose da far ridere questa sarebbe una
fortuna, SpSaSl fleto mm H. - ma Ufc te d Bravo. Aristofane! hai tirato il
sasso e nascondi la mano. Ma bada a’ casi tuoi e parla come chi lui da render
conto delle proprie parole. Quanto a me, se mi pare, ti lascerò in pace.
Comunque, caro Erissimaco, disse Aristofane. io mi propongo di parlare in modo
diverso da te e da Pausania. Io penso che gii uomini non abbiali sentito nè
punto nè poco la potenza di Eros, perche, se la sentissero. gli dedicherebbero
i maggiori tempi ed altari e gli offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa che
ora non fanno per nulla, mentre è ciò clic si dovrebbe fare a preferenza di
tutto. Eros è infatti tra gli dei il più amico degli uomini, perchè è il loro
protettore e il medico di quei mali, la cui guarigione sarebbe per il genere
umano la maggiore delle felicità, lo dunque mi studierò d’esporvi la. potenza
di lui, e voi ne sarete maestri agli altri. Ma, innanzi tutto, occorre che
impariate quale sia la natura umana e le sue vicende non liete. Giacché la
nostra nani Il tosto ilice: hai tirato il colpo e ora ricusi di svignartela,
modo proverbialo anch’esso. tura non era un tempo la stessa (li oggi, ina tuli
altra. In origine c’eran tre sessi umani, non due, maschio <• femmina
soltanto, come ora, ma ce n era un terzo, clic mrtecipava dell’uno e dell’altro
e che, scomparso oggidì, sopravvive appena nel nome. C’era allora un terzo
sesso., l’andrògino, che di fatto e di nome aveva del maschio e della femmina,
e questo non esiste piu. fuorché nel nome che suona un oltraggio. Inoltre ogni
uomo aveva una figura rotonda, dorso e fianchi tutt'intorno, quattro braccia,
gambe di numero pari alle braccia, su un collo cilindrico due visi,
perfettamente simili tra loro, un unica I- testa su questi due rósi, posti
l’uno in s|so con ramo all’altro, quattro orecchie, doppie F (ta e ut l resto
come si può supporre da ciò che s e detto, i ari minava anche ritto come ora,
in qualunque direzion volesse- e quando si mettevano a correre, quei uost
progenitori, come i giocolieri che a gambe per aria an delle capriole a ruota,
essi, appoggiandosi sui loro otto arti si muovevano rapidamente, tacendo
la.ruota. I ^ poi eran tre e cosiffatti per questa ragione: esso maschile
traeva origine dal sole il J!; rt eripà e lrindrórino dalla luna, perche anche
questa paitccipa del itle e della terra. La loro figura dunque era rotonda e cofano^
il modo di muoversi, appunto^perchi- m,l ai loro genitori. Avevano vigore e
gagl ardia tel i 1 c„,o -o. a; numi. XV - A mesto pH s #rt #? consiglio,,, ciò
che ^ Jggg; Non sapevan risolversi ad uccido c N i la razza) fulminandoli, come
i giganti, perche cosi saie - ( 1 ) Oto 1 Eflolto orano i duo glovonissluil
^lonutoto'ùcr llKliuoU di Aloco, olio dopo dover nca . (H ul)onl t,„ por opera
di Erniosi tredici mesi in uu gran vaso ali von i o. . all 0sBa tentarono di
dare la essi Omero accenna in 11. V sgg. Or. -„ero venuti a privarsi degli
onori e dei sacriti/., umani; ^potevano tollerare che ne facessero d og...
sorta, B analmente Zeus, dopo matura riflessione, disse: C redo di e -ovato la
via. affinchè gli uomini continuino a esistere, ma, divenuti più deboli,
smettano la loro tracotanza. Segherò . disse, ciascun di loro m due, e S mentre
saranno pii. deboli, ci saranno ad un tempo S utili, perchè diverranno più
numerosi. E cammineranno ritti su due gambe. Chè, ove poi seguitino a
insolentire e non vogliano starsene in pace, li segherò , disse,, ili nuovo in
due, cosicché cammineranno su una gamba sola, a saltelloni (1). Dette queste
parole, venne segando eli uomini in due, come quelli che tagliali le sorbe per
metterle in conserva, o quelli elio dividon le uova coi capelli. E a misura
clic ne segava uno, ordinava ad Apollo di girargli la faccia e la metà del
collo dalla parte del taglio, acciocché l'uomo,' avendo sotto gli occhi il
proprio taglio, fosse più modesto; e medicargli le altre ferite. B Apollo girava
a ciascuno la faccia in senso opposto, e tirando d’ogni parte la pelle verso
quello ohe ora chiamiamo ventre, come le borse a- nodo scorsoio, lasciandovi
appena una boccuccia, la legava nel mezzo del ventre, in (pie! punto preciso
che chiamano ombelico. Itti Spianava poi tutte le altre grinze, che orati
molte, e rassettava le costole, servendosi d’uno strumento suppergiù simile a
quello che adoperano i calzolai per spianare sulla forma le rughe del cuoio; ma
ne lasciò poche nel ventre e intorno all’ombelico, ricordo dell’antica pena.
Orbene, poiché la creatura umana fu divisa, in due, ciascuna metà presa dal
desiderio dell’altra, le andava incontro, e gittandole le braccia intorno e
avviticchiandosi scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo,
tnorivan di fame e d’inerzia, perchè l’una non voleva far nulla senza
dell’altra. B quando l’una delle (I) Il greco ha àoxop.ià£<ms<; cho vuol
dire propriamente ' saltumlo sminuire' (àox4f). • I.'espressione 6 tolta ila un
giuoco contadinesco dell'Attica. 1 contadini dulia pollo dui hocco saorllloato
a indulso facevano un otre olio riempivano di vino o ungevano d’olio. Su di
usso saltavano con una sola gamba altornaUvamcnlo, o vinceva old sapova
roggorvlsl. (Unir). nielli moriva e l’altra sopravviveva, quella che
sopravviveva andava in cerca d'un'altra metà e le si avvinghiava, sia clic
s’imbattesse nella metà d’una donna in- IL quella appunto elle ora chiamiamo
donna sia che nella metà d’un uomo; e così morivano. Mosso pertanto a
compassiono. Zeus no escogita un'altra: trasporta le loro pudende nella parte
anteriore lino a quel momento anche queste le avevano avute al difuori, c
generavano e partorivano non tra loro, ma in terra, come le cicale... gliele
trasportò dunque così, sul davanti, e per tal mezzo rese possibile la
generazione fra loro, per mezzo ilei MASCHIO nella femmina, con questo line,
che nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in una femmina, generassero e
si perpetuasse la specie; ma. ove invece un maschio s’imbattesse in un maschio,
provassero sazietà dello stare insieme e smettessero e si volgessero ad operare
e attendessero agli altri doveri della vita. Cosicché fin da quel momento
l’amore vicendevole è innato negli nomini: esso ci riconduce al nostro essere
primitivo, si sforza di fare di due creature una sola e di risanare così la
natura umana. O'imn di noi, in conclusione, è una con tre mala d'uomo, in
quanto che è tagliato come le sogliole, è due di uno; c però cerca sempre la
propria contromarca. Quanti sono una fotta di quel sesso comune, che loia si
diceva andrògino, annui le donne, e la maggmi p. dogli adulteri soli nati da
esso; e cosi pure le donne. sU truggon per gli uomini, e le adultere provengo.,
da, u eS e m.aL4 Tl <! 1 ‘'i una fetta di donna, non corron dietro agli o,
un uà sono piuttosto inclinate alle donne; e questo appartengono le tribadi. Ma
quanti sono una fe la li maschio, danno la caccia al maschio; e 1 ! ut ' u ' ’
S01 \ r)j coni, fanciulli, conio parte d’un uiasciuo jpu o gli uomini e godono
a giacere e a starsene abbracciata con gli uomini; e questi sono tra i
fanciulli e tra po'anett i migliori, perchè i piè v ' r '' di hno na u .
mancali di quelli clic li chiamano inipudent. ina uien liscino. Perchè essi non
lo fanno per impudenza, ma pei baldanza. per coraggio, per virilità d animo,
giacché .si attaccano a ciò che è simile a sé. Ed ecco vene ima prova decisiva:
costoro, a tempo debito, sono 1 soli che negano uomini davvero, adatti alla
vita politica. E pervenuti all'età virile, mettono amore al fanciulli; e al
matrimonio e alla procreazione dei figliuoli non si volgono per inclinazione
naturale, ma costretti dalla legge, chi anzi per conto loro soli ben contenti
di viver sempre gli uni con gli altri, da scapoli. Per ciò chi è così fatto,
diventa un amante di fanciulli o un amato, perche desidera sempre ciò che gli è
congenere. E quando poi 1 amante dei fanciulli e chiunque altro s’incontra in
quella sua propria metà d'un tempo, allora son presi d’un amicizia, d'un
intimità, d'un amore meraviglioso, senza volersi separare gli uni dagli altri,
per così dire, nemmeno un istante. E quelli che vivono insieme tutta la vita
son questi, che non saprebbero neppur dire che cosa vogliono che avvenga loro
all’uno per opera dell’altro, giacché nessuno può credere che ciò che
desiderano sia l'uso dei piaceri amorosi, quasi che in questo debba cercarsi la
ragione per cui provano un così vivo diletto a stare insieme; ma è evidente che
c’è qualche altra cosa che l'anima di ciascun di loro desidera, qualche altra
cosa che non sa esprimere, ma che sente vagamente e a cui accenna per vie
coperte. E se ad essi nel momento, in cui giacciono insieme, si presentasse
Efesto coi suoi strumenti alla mano e chiedesse loro. Che volete, o uomini, che
avvenga di voi. alFuno per opera dell’altro 1 ? e mentre e’ sono tuttora
indecisi, soggiungesse: Desiderale voi, non è vero? soprattutto essere nello
stessissimo luogo l’uno con l’altro in modo da non separarvi mai né notte nè
giorno? Ebbene, se è questo elio desiderate, io voglio rifondervi e riplasmarvi
in un’unica natura, sicché di due diventiate uno, e finché vivrete, viviate
tutti e due in comune, come un essere solo, e anche da morti, laggiù nell’Ade,
non siate, invece di due, elle un morto solo... Guardate se è questo che amate
e se vi basta di conseguir questo... a udir ciò sappiamo bene che nessuno,
proprio nessuno, risponderebbe di no, nò mostrerebbe d'aver mai desiderato
altro, ma crederebbe 103 nllit0 precisamente quello che egli desiderava da
tlavei i sentirsi unito e fuso con l’amato, e divetanto ten i solo e la ragione
è appunto questa: ot0, eri in origine la nostra natura, e che eravamo Cb teii
'Ebbene, al desiderio e alla caccia dell’intero si da n ° U p,-ima dunque, come
dico, eravamo uno; ma ora per, . nequizia siamo stati separati di casa dalla
mano ’ìV’rno còme gli Arcadi da quella dei Lacedemoni. ’ ltra che a non essere
ossequenti verso gli dei.. h . 'incontro a venir segati daccapo, e a dover an-
d.,re intorno come le figure scolpite a bassorilievo sulle Se spaccati per il mezzo
dei nasi, divenuti come dei dirti’tagliati in due. Ma perciò conviene che
ognuno esorti ogni altro alla pietà verso gli dei, affinché si evitino : m; di
e si conseguano i beni, tenendo presente che Eros è nostra guida e nostro duce.
A lui nessuno vada conilo c o-n va contro chiunque venga m uggia agli dei _
nerchè divenuti amici del dio e vivendo in buoni termini con lui. troveremo e
incontreremo ì nostri propri AMATI, il ora capita a pochi. E non sospetti
Erissimaco, mettendo L caiSonatura ì mio discorso, che io alluda a Pausami, cd
Agatone oliò forse anche essi sono di quelli, e tutti c due maschi per natura -
ma dico avendo di mira tutti e uomini e donne, che m questo modo il genere
nostro troverebbe la sua felicità, se all’amore, e ciascun di noi, ritornato
nell antica natii a, s’imbattesse nel proprio amato. E se poi qne meglio, ne
segue di necessità che di quanto oiaè nostro potere, il meglio sia ciò che piu
vi si avvmuia, e ciò è rincontrarsi in un amato fatto secondo d piopno 7
Aristofane accenna, secondo roplnUm.Mplfc £ . Gli Spartani, vinta Mautinea in
Alca, silaggi, della città o la sciolsero, com’era precedutomene, ci sarebbe
Tenuto conto elio il banchetto avrebbe avuto’ wlt0j è n u è impos- qui un
anacronismo. Ma rnUnsiouo non 6 do . .inlln storia sibilo cho si accenni a
qualche altro avvenimento ante, toro della arcadica. . „ uim mota, conservata l
dadi talvolta si tagliavano in due, c ua.ci tessera, di ricoda duo persone
legate da vincoli di ospitalità, seivna noscimeuto por loro o per lo loro
famìglio. che nel presente ^maggiori affidamenti nel proprio; e per 1 prota
jftà verso gli -lei, ^ -i. ei render, feUei e beati. v è p lu io discorso
intorno altri due, Agatone e Socrate. Farò a modo tuo, disse Erissimaco. perchè
il tuo discorso l'ho ascoltato con piacere. E se non sapessi che Socrate e
Agatone sono addirittura dei maestri m cose d’amore, avrei gran paura clie non
doves ®.® 10, vaisi a corto d’argomenti, tante cose si son dette e cosi
svariate. Tuttavia ho fiducia in loro. 1 E Socrate: Ah, sì, Erissimaco, perche
tu te la sei cavata egregiamente. Ma se fossi dove ora son io, o meglio, dove
sarò, quando Agatone avrà parlato da par suo, temeresti anche di più. e saresti
su tutte le spine, còme son ora io., Ammaliarmi (1) vuoi,- Socrate, disse
Agatone, affinché io mi turbi, immaginandomi che il teatro deva essere in
grande aspettazione, ch'io parli bene. Mio caro, dovrei esser proprio uno
smemorato, rispose Socrate, se dopo di aver visto con quanto coraggio e con
quanta sufficenza salisti sul palco insieme con gli attori e guardasti in
faccia un teatro così affollato, in procinto di dare alla scena i tuoi
componimenti (2),.senza (1) Vantarsi muove l’Invidia degli uomini; ma l’invidia
ha il malocchio e può ammaliare e turbare senz’altro la persona Invidiata.
Sonouohò anche la lodo esagerata d’un altro (Socrato aveva lodato Agatone) può
suscitare contro costui l’invidia con tutto lo suo tristi conseguenze. (Hug).
Da questo pasqo si concludo clic il poeta insieme col suol attori prima della
recita si presentava in forma solenne al pubblico. E sembra del pari elio egli
presentasse anche il Coro col suo corego. Questa cerimonia, detta Ttpoaywv ‘
preludio ’ o ' preparazione al certame ’ drainatico. .s ’rr^zk s f ' iS S Vuko
<l<™ to P™ '’ ™ £Z?X~. ? T; Sarei, Agatone, pnrtese So bene elio a se io
pensassi di te sag gi, saresti più in imbatterti m atan- la folla . Ma, bada,
probabil- pensiero per loio e 1 1 buon conto, lì anche ne elici 1 ? fi So
avresti vergogno, ove ,.eresse .11 fare qualcosa di male? Affatone, disse, Ma
Fedro, interrompendo: .Mio de i se gli rispondi, Socrate noi basta d’aver
resto, qualunque cosa qui avven et ^ )( q dovane. :tis: i? Jgs -~f n s ss avrà
saldato il suo conto col dio, alloia '''of'VSto; rispose M e so,, qui pronto .
„’Z, ó,, 5 monebe.it,i Mft. ,.vem,e spesso con Socrate. Or dunque io vo’ in
prima dire come io deva dire, e poscia dire. Che tutti quelli, i quali han
pallate precedentemente, non hanno, parmi, encomiato dio, bensì la felicità
degli uomini Ivan messa m nlu pei beni, de’ quali il dio 6 ad essi cagione. Ma
qual sia avveniva ncU’Odeon. teatro fatto costruirò da Pericle, e doveva, com’ò
^supporre. attirare la curiositi! del gran pubblico, ohe -interessava così
vivamente agli spettacoli teatrali. egli è il più giovane (legl’iddii. E una
gran prova con porge ' medesimo fuggendo di fuga la vecchiezza. che pure è così
veloce: la ci raggiunge più presto che non dovria! E questa Eros per natura la
detesta e non le si accosta nemmen da lungi. Egli sta e resta sempre coi giovani,
poiché ben dice l'antico adagio che sciupio simile con simile s’accompagna (1).
Ed io, pur consentendo con Fedro in molte altre cose, in questo non consento:
che Eros sia più vecchio di Crono e di Giàpeto; affermo anzi ch'egli è tra’
numi il più giovane, e sempre giovane; e le vecchie storie che Esiodo e
Parmenide (3) ci ricantano dcgl’iddii, a’ tempi d Ananke, [della Necessità] e
non di Eros, risalgono, posto pure che quelli ei contino il vero. Imperocché
non ci sarieno state né evirazioni, né ceppi, né tante altre violenze
reciproche, se Eros fosse stato tra loro; ma amicizia e paco, come ora, dacché
Eros regna sugli iddìi. Egli è dunque giovane, e perdippiù delicato. E ci
vorria un poeta quale Omero per mettere in luce la delicatezza del dio. Omero infatti
dice che Ale è dea e delicata e delicati almeno dovevano essere i suoi piedi
dicendo egli di lei: son delicati i piedi, oliò sovra il suolo non mai muovesi,
ma sul capo ella degli uomini incedo. MlK modo proverbialo e allusione,i nn
verso omorlco; cf. Od. XVII ì IS. ( ) Ulro modo proverbiale per impennare alla
nifi renn.l.i ....Hoi.n;. Minare alla più remota antichità. Mille abbia ipii in
melile Agatone, inc sembra che della delicatezza di lei una bella,-ovu sia che
ella non cammina sul duro, ma sul tenero, r -incile noi (li questa medesima
prova ci varremo per dimostrare di Eros circuii è delicato, dappoiché e' non
cammina sulla terra, nè sui cxanii, che non sono davvero tèneri, ma in quel che
vita di più tenero al mondo e cammina e s’annida. Egli infatti e nei costumi e
negli mimi degl’iddìi e degli uomini pone sua stanza, e non mica in tutti gli
animi, ma ove mai s’imbatta iti qual- cuno d'indole dura, se ne diparte; ma se
tenero è, vi si •umida. Or poiché adunque egli e co’ piedi e con ogni parte del
corpo tocca sempre quel che ve di più tenero Jra le tenere cose, è giuocoforza
che sia il piu delicato l. fri (d’iddii. Égli è così il più giovane e il più
delicato-, niu 1- per dippiù flessuoso di forma, che non gli sana possibile
insinuarsi dappertutto, nè penetrar tutta l’anima, entrandovi la prima volta
senza lasciarsi sorprendalo t uscendone, se duro e’ fosse. Del suo aspetto
proporzionato e flessuoso, argomento grande è 1 avvenenza che Eros per
confession di tutti in grado eccelso possiedi. chè tra disavvenenza ed Eros è
guerra sempre, ha leggiadria del colorito, il suo viver tra hon la sigillili.,
poiché in quel che fiorente non sia o sui n ’ o anima o qualsivoglia altra
cosa, non risi, de L o . . a ovunque sia un luogo e ben fiorito e fragranti,
(pi 1 e risiede e rimane. Della beltà, adunque, del dio e questo o bastante e
ancora molto sopmvanzat .na; seguiia^m lei]., v i r tù di Eros mi eonvien dopo
no dm. lai < ' i . h ini che nè fa nò soffre ingiustizia, ni da sano vanto
(Il Pii CHI violenza. Pio nè -1 dio nò da uomo nè ad uomo. Nè già p i ' 'li nzu
e so fre se qualcosa so.Vre - chè violenza noi tango, u si concede a volente,
le leggi, fello Stato u D). h-n elle è ('insto. E oltreché della giustizia c
partecipa della maggior temperanza. S’ammette infatti che lem- in . Molatori
georgiana. evidóulomoilto una eluizioni'. (Unir). paranza sia il signoreggiar
piaceri e desideri, e clic di Eros verun piacere sia più potente. Or se meno
potenti, è ovvio che sien vinti da Eros, ed egli vinca; e vincendo piaceri e
desideri, Eros in sommo grado temperante esser deve. E per fermo, quanto a
coraggio, ad Eros neppur Ares contrasta (1). poiché non Ares possiede Eros, ma
Eros Ares amor di VENERE, come è fama e ehi possiede è più possente di chi è
posseduto, e chi vince l'iddio più valoroso di tutti gli altri, e’ dev’essere
il più valoroso di tutti. Ho detto della giustizia, della temperanza, del
coraggio del dio; a dir mi rimane della sapienza, e per quanto è possibile,
m’ingegnerò di non fallire alla prova. E in primo luogo, perchè dal canto mio
anch’io renda alla nostra arte omaggio, come alla sua Erissimaco, poeta è
l'iddio, sapiente così, da render anco gli altri poeti. Ohè ognuno poeta
diventa, quand’anche prima di ogni Musa schivo, cui Eros tocchi. Della qual
virtù convienci usare a documento che Eros, a dir breve, è poeta valente in
qualsivoglia genere di creazione che attenga alle Muse, dappoiché quel che non
si ha o non si sa. nemmeno ad altri non si può dare o insegnare. E invero la
creazion degli animali tutti chi niegherà che sia sapienza di Eros, mercè la
quale tutti gli animali e nascono e si generano! E quanto alla pratica delle
arti, non sappiam noi forse che colui, al quale questo iddio sia divenuto
maestro, famoso diviene ed illustre; e chi per converso da Eros non sia stato
mai tocco, rimansi oscuro! L’arti del saettare, del curare e del divinare
ritrova Apollo, scorto dal desiderio e dall’amore, sicché anch’egli dir si può
scolare d’Eros. E alle Muse fu maestro dell’arte musicale, ad Efesto di quella
dei metalli, ad Atena del tessere, a Zeus di governar numi e mortali. Laonde
anche nelle faccende degl’iddii si mise ordine, poiché vi si fu generato Eros,
amore evidente- (Da uu verso del ‘Tlesto ’ di Sofocle; cf. Nauck, Tran. Or.
Fraomm. framin. Da un verso della ‘Stonoboa’ d’Eurlpido; cf. Naucic, Tran. Or.
Fraumm. framm. 063 Verso giambico probabilmente d’un tragico. meniti; di
bellezza che del brutto non è amore laddove per l’innanzi, come da principio ho
detto, molte e terribili cose, a quanto si narra, fra' numi awemano, pr x c i
ie vi regnava Ananlce. Ma dappoiché questo iddio ebbe nascimento, dall’amore
per le cose belle ogni bene nrovenne e agli iddìi e agli uomini. 1 E così
panni, Fedro, che Eros, essendo egli per il minio bellissimo e ottimo, sia
dipoi agli altri cagione di Stri cosiffatti doni. Ed ei mi salta in mente di
aggiunger qualcosa in versi, dicendo che questi è colia il quale ivice tra gli
uomini reca, nell' ampio mare bonaccia calma, riposo ai venti; nel duolo
conforto di sonno. Questi (Fogni sentimento ci vuota che ci strania, d ogai
sentimento ci empie che ci affratella; tali e tonti convegni lri istituito per
ravvicinarci, nelle solennità, ne con. n sacìihzi facendosi nostra guida; di
mitezza ispiratore di rustichezza espulsore; prodigo di benevolenza, avaro
malevolenza; propizio, buono; spettabile ai sapienti, venerabile agl’iddii;
segno d’invidia per chi noi possiede, cu Sosa di chi il possiede; di voluttà,
di mollezza di delcatezza, di grazie, di desio, di brama padre; cmant^dc buoni
non curante dei tristi; nei travagli, mu pin^n nelle brame, nei discorsi
timoniere, soldato, commilitone xr„fr!ito-VSlso ...io .< L, i A •. ir-. u si
poteva, di misurata serietà temperato. Quando Agatone ebbe fluito,
diceva.Ariate- demo, lutti i presenti proruppero ni applausi, lasciai,n Vò
snidato' nò 'marinalo equivalgono a iitlPiWQS d 1 tosto, a llanco il’un altro
intendere che il giovane aveva discorso in maniera, degna- di sé e del dio. Al
che Socrate, volgendosi ad Erisslmaco: O figliuolo d’Actìmeno, disse, ti pare
che poco fa io temessi d'un timore da non temere, o non fossi piuttosto
profeta, quando dicevo quel che dicevo poc’anzi: che Agatone avrebbe parlato
mirabilmente, ed io mi sarei trovato in impaccio? Per un verso, sì, rispose
Erissimaco, lo riconosco, sei stato profeta, che Agatone avrebbe parlato bene;
ma quanto a-1 tuo impaccio, via, non ci credo. E come mai, beato uomo, riprese
Socrate, non dovrei trovarmi ìd impaccio io e chiunque altro sul punto di
parlare dopo la recita d’un discorso così bello e così varia mente adorno?
Certo non tutti i punti sono stati egualmente stupendi; ma, nella chiusa chi di
noi non è rimasto addirittura intontito dalla bellezza delle parole e delle
frasi? Per me, considerato che non potrò dir nulla che s’avvicini appena per
bellezza a ciò che egli ha detto, quasi quasi per vergogna me ne sarei
scappato, se avessi potuto. Il suo discorso infatti mi ha richiamato alla mente
GORGIA, tanto che m’è occorso quel che dice Omero: ho temuto, cioè, che alla
fine Agatone nel discorrere non scaraventasse contro il mio discorso la testa
di Gorgia, parlatore da far paura, e mi pietrificasse, ammutolendomi. E mi sono
accorto allora quanto ero stato ridicolo, allorché avevo preso con voi
l’impegno di fare a mia volta l’elogio di Eros e dichiarato d’esser competente
in cose d’amore io, e lo vedo, che non so nemmeno come s’ha da fare l’elogio
d’una cosa qualunque. Giacché io, nella mia dappocaggine, ritenevo che
nell’elogio di qualsiasi cosa non si dovesse dire che il vero e che questo
dovesse essere il fondo del discorso, salvo a scegliere Ira- le cose vere le
più belle e metterle in mostra nel miglior modo possibile. E presumevo assai di
me nella fiducia di parlar bene, convinto di saper la verità sul modo di lodare
qualsiasi cosa. Ma ora credo d’accor- (1) Allusione a mi luogo dell O di seca ’
(XI 032 sg.). Ulisse, sceso nell’Ade, temo per un momento che Persofono non
mandi contro di lui la testa della Gòrgóne o Gorgo. Scherzo sulla somiglianza
di nome tra Gorgo e Gorgia, il famoso sofista. germi che noti è questo il modo
di lodar bene una cosa, bensì l’attribuirle i maggiori e i più bei pregi
possibili, li abbia o no; se poi sono falsi, che importai Dev’essersi infatti
proposto, se non erro, che ciascun di noi finga di pronunziare l’elogio d’Eros,
non che lo pronunzi davvero. E perciò appunto, credo, razzolando da ogni parte,
avete attribuito ogni pregio ad Eros e detto ch’egli è così e così, e autore di
tali e tanti beni, affinché appaia bellissimo ed ottimo, evidentemente a chi non
sa non certo a chi sa e cosi l’elogio assume un aspetto bello e venerabile. Io,
senza dubbio, ignoravo il modo di tesser l'elogio, e, ignorandolo, presi
impegno con voi che a mia volta avrei anch’io lodato Eros. Ma la lingua
promise, la mente no. Dunque, addio elogio! Io non vi seguirò su questa via
perchè non potrei quésto è sicuro; ma, comunque, la verità, se volete, ve la
dirò, a modo mio. senza gareggiare coi vostri discorsi, per non far ridere a
mie spese. Vedi, dunque, Ecdro, se mai anche questa forma di discorso ti
accomodi: sentir dire, la verità intorno ad Eros con quelle parole e con quella
disposizione di frasi che mi verranno per le prime sulle labbra. Fedro e gli
altri, raccontava Aristodemo, approvarono che dicesse pure come gli pareva di dover
dire, Uberamente. E allora, Socrate aggiunse, Fedro mio, permettimi di
rivolgere qualche interrogazioncella ad Agatone, affinchè, ottenuto il suo
assenso, io cominci a parlare. Ma sì, rispose Fedro, te lo permetto; interroga
pure. E dopo ciò, continuava Aristodemo. Socrate cominciò suppergiù a questo
modo. Senza dubbio, mio caro Agatone, tu ti sei aperta bene, secondo me, la via
nel tuo discorso, dicendo che ti conveniva prima mostrare quale è mai Eros, e
dopo lo opere di lui. E questo principio nr è piaciuto assai. Orbene, via,
poiché d’Eros, per tutto il resto, hai esposto in forma bella e magnifica quale
egli è, dimmi ancora (1) Allusione ad un verso (612) famoso dell’Ippolito di
Euripide., mosto- se eoli è tale che sia amor di qualcuno, di;qualche v r,7ui F
bada non domando se è di madre o £ Bros è eros di madre o di padre D - ma fa
conto, come Te a-proposito d’un padre io ti chiedessi proprio questoT s’egli è
padre di qualcuno o no. A volemu risponder bene, mi diresti certo, che d padre
è padre d'nn figlio o dima figlia. O no 1 Ma certo, disse Agatone. E non
diresti altrettanto della madre? E Alatone consentì egualmente. Ancora,
soggiunse Socrate, qualche altra risposta, affinchè tu veda meglio ciò che
desidero. Se ti chiedessi, per esempio: E dimmi: un fratello, ili quanto
fratello, è fratello di qualcuno, o no? Ma sì, rispose. È fratello, non è vero,
d’un fratello o d una sorella. Appunto, dice. Via, provati a dirmi anche
dell’amore: Eros e amore di qualche cosa o di nulla? Di qualche cosa, senza dubbio.
Ebbene, questo ili che cosa tientelo dentro di te, ma rammentatene, riprese
Socrate. J?er ora dimmi soltanto, se Eros, quello di cui è amore, lo desideri o
no? Ma si, rispose. E ciò che egli desidera ed ama, lo desidera perche lo ha o
perchè non lo ha? Perchè non lo ha, è naturale. Rifletti, disse Socrate, se,
più che naturale, non sia addirittura necessario clic il desiderare sia un
desiderare ciò di cui si manca, o non desiderare, ove non si manchi. Poiché in
epe)£ UVÓ£ ‘amor (li qualcuno’ o ‘di qualcosa’ il •uve? può aver valore tanto
soggettivo, quanto oggottlvo Socrate chiarirà con esempi che egli ha inteso
darò a xtvó; il valore di genitivo oggettivo. Ma siccome d’altro lato w Epitì£
xivòg potrebbe anche ossoro scambiato con un genitivo d’origine (‘ Eros tìglio
di qualcuno ’), Socrate vuole olirainaro anche quest’altro equivoco. In
sostanza egli, paro, vuol dir questo: Io ti domando, non già se Eros ò amato da
qualcuno o ò figlio ili qualcuno, ma se egli ama qualcuno o qualche cosa. Ma il
luogo, non Tacilo, ò stato variamente discusso, e si può prestare audio a
qualche altra Interpretazione. Io almeno, Agatone mio, credo fermamente che,
.sia addirittura necessario. E tal Anch'io, disse. Va bene. E per conseguenza
può mai esserci qualcuno che voglia essere grande, mentre è grande, c forte,
mentre è forte 1 ? Non è possibile, dopo le nostre premesse. Non può infatti
essere manchevole di queste doti chi già le possiede. È vero. Perchè, se chi è
forte volesse esser forte, seguito Socrate e veloce chi è veloce, e sano chi è
sano... poiché forse qualcuno potrebbe credere che queste qualità e tutte le
altre simili coloro che son tali e le hanno, desiderino ancora quello stesse
cose che già hanno, insisto su questo punto, affinchè non si sia tratti in inganno.
si u rifletti, caro Agatone, costoro devono per necessita avere in quel momento
ciascuna delle qualità che hanno. 1 vogliano o no; e queste olii mai potrebbe
desiderarle? Ma allorché qualcuno dice: Io. essendo sano, Aesid di esser sano,
ed essendo ricco, desidero d esser ricco; e desidero appunto queste cose che
ho-, noi gh possiamo rispondere: Tu, amico, possedendo ricchezze, salute c
forza desideri di possedere queste cose anche m a 1 ®- perchè in questo
momento, che tu lo voglia o no tu le hai. Guarda dunque, se, quando tu dici:
Desidero le cose presenti, tu non voglia dire altro che questo: D^deio che le
cose che ora ho mi sieno conservate anche tempo avvenire. E potrebbe egli
negarlo? Al che Agatone rispose assentendo. Orbene, seguitò Socrate, e questo
non e appunto annue quel che non ancora si ha sotto mano, nè si possiede: il
voler conservare e possedere anche nell avvenne medesime cose? Certamente,
disse. E quindi costui ed ogni altro che desideri, di suit i. ciò che non ha
sotto mano e non possiede m quel momento; e ciò che non ha, o che egli stesso
non e e che gli manca, questo è precisamente quello di cui è il desiderici e
l’amore? Niun dubbio, rispose. Suvvia dunque, disse Socrate, riassumiamo le
nostre conclusioni. Prima di tutto Eros è forse altro che amore di certe cose,
e poi amore di quelle cose, delle quali soffra difetto? Non è altro, rispose.
Di più ricordati di che cosa nel tuo discorso hai detto che Eros fosse amore.
Se vuoi, te lo rammenterò io. Credo che tu abbia detto suppergiù cosi: che
nelle faccende degli dei fu messo ordine mediante 1 amore del bello, chè non
può esserci amore del brutto. Non hai detto suppergiù così? Infatti, rispose
Agatone, così ho detto. E sta bene, amico mio, riprese Socrate. Ma se e cosi.
Eros non sarà altro che aurore di bellezza, non mai di bruttezza? Agatone
rispose di sì. O non s’è convenuto che quello di cui uno è manchevole e che non
ha, questo egli ama? Certo, disse. Dunque Eros è manchevole di bellezza e non
l’ha? Necessariamente, rispose. Ma dunque? Ciò che è manchevole di bellezza e
non possiede punto bellezza, dirai che è bello? Ah, no! E se è così,
continuerai a sostenere che Eros è bello? E Agatone: Temo, Socrate, di non aver
inteso nulla di ciò che ho detto poc’anzi. Eppure hai parlato splendidamente,
Agatone mio. Ma dimmi un’altra cosuccia: ciò che è buono, non pare a te anche
bello? A me, sì. Se per conseguenza Eros è manchevole di bellezza, e se bontà è
bellezza, sarà anche manchevole di bontà. Per me, Socrate, non posso
contradirti: sia puro come tu dici. Mio diletto Agatone, è la verità quella a
cui non puoi contradire, chè contradire a Socrate non è punto diffìcile. Ed ora
lascerò in pace te, e vi riferirò su VrnH li discorso che un giorno udii da una
donna di Man- tiuea Diotima, che in questo era sapiente, come in tante' altre
cose, e agli Ateniesi prima della peste suggerì saer iflzi che ritardarono di
dieci anni il male, e fu iella appunto che ammaestrò me pure in cose d’amore...
nuel discorso, dico, che ella mi tenne, procurerò di esporcelo movendo dai
punti concordati tra me ed Agatone per conto mio, come posso. E bisogna
naturalmente, Agatone, come tu hai aperto la via, chiarire per mima cosa chi
sia Eros e quale, e poi le opere di lui. B mi pare che il modo più spiccio sia
chiarirlo come quella forestiera fece, interrogandomi. Suppergiù anche io
dicevo a lei delle cose simili a quelle che Agatone diceva a me poc’anzi: che
Eros fosse un gran dio e fosse amor di bellezza. Ma ella mi convinse del
contrario con quelle stesse ragioni con cui io ho convinto costui,
dimostrandomi che secondo il mio discorso Eros non e nè bello nè buono. Ed io:
Come dici, Diotima? Eros e dunque brutto e Ed ella: Parla, ti prego, con
reverenza, disse. O credi che quello che non è bello, debba necessariamente
esser brutto? Senza dubbio. . . on2 E allora anche quello che non è sapiente
sarà gn Tante? E non t’avvedi che c’è qualcosa di mezzo tra sapienza e
ignoranza? E che cosa?, . L’opinar rettamente, anche senza poterne rende < -
gione, non sai, disse, che non è nè sapore perchè ciò È un personaggio; storino
o addirittura fittalo Il non esserci di lei alcun ricordo o. per tacer d’altro,
il nomo stesso, che vaio - onorata da Zeus corno la patria Mantinoa, che paro
alluda alla montica, a to divinatoria escluderebbero la prima ipotesi. Ma, fu
osservato, non potrebbe esser IpTtóa in Atene alcuni anni prima della guerra
del Peloponneso e della pestilenza che afflisse la città, una sacerdotessa
straulera <U molta reputazione (comunque chiamata), che avesse suggerito agli
Ateniesi del sacrifizi o Intorno al oul nomo si fosse formata poi la leggenda,
a cui accenna Platone? israrjsìs. S£ opMm ; un cbe .li mezzo t e . 6 „or,,n.
Non Attingere dunque ciò die uon è bello ad esser brutto nè ciò che non è buono
ad esser cattivo. E cosi aule Eros, poiché tu stesso convieni che non è ne
buono nè bello, non per questo devi credere che egli sia di neces- shà brutto e
cattivo, ma qualcosa di Eppure, osservai, si conviene da tutti che egli
Da^tutti, vuoi dire, quelli che non sanno, o anche quelli che sanno’? Da tutti,
senza eccezione, si capisce. Ed ella, ridendo: E come mai, disse, Socrate, si
potrebbe convenire che egli sia un gran dio da quelli che negan perfino che
egli sia dio ? E chi sono costoro? chiesi. Uno sei .tu, rispose, ed una io. Ed
io: Ma come puoi affermar codesto? Ed ella: Facilmente, rispose. Dimmi: non
dici tu che tutti gli dei sono beati e belli? O oseresti dire che qualcuno
degli dei non è nè bello nè beato? Per Zeus, io no davvero, risposi. E non
chiami tu beati quelli che posseggono bontà e bellezza? Certamente. E non hai
ammesso che Eros, perchè manca di bontà e di bellezza, desidera queste qualità,
delle quali è manchevole? L’ho ammesso, è vero. E come potrebbe essere un dio
chi è privo di bellezza e di bontà? In nessun modo, mi pare. Vedi dunque che tu
pure ritieni che Eros non è un dio. E cosi, dissi, che. cosa mai sarebbe Eros?
Un mortale? Nemmen per idea. un che di mezzo tra il 2C Ma allora, che cosa f (
’oine nel caso precedente, t „le e rimmortale. peroni tatto rii, qmloooo W- I F
chiesi, qual è il suo poterei l’essere interprete e messaggero dagli uomnu
agli, ó ? daS dei agh nomini, degli uni recando le preginole II nvifizi degli
altri gli ordini e le ricompense dei a- e Stando nel mezzo degli uni e degli
altri, lo riempie eri iz, •, | trovi collegato in sè medesimo. Atti a- i’o/lÌ 3
S l’arte Mi . 7T?.r.Sfy.nir oi tacrifltì, alle WriHtah Sol ™tl g e egei
rapporto eri ogni colavo e a E Cl chS 0 8U0 padre, chiesi, e cln sua mato La
storia è un po’ lunga, a rartela. Quando nacque .Afrodite, di Metia [Sa-
banchetto, e tra gli altri anche ì ^l ^ occo gacia], Poh [ Ac ^® to ^'° mend
icare, come avviene sr-V? èrt buttato a dormire. Allena Pema, n . ge a gìacere
povertà d’avere un hglmo ° < • h,’ Q E p PV questo accanto a lui e divenne n
t tl S cV Afrodite, perchè appunto egli è anche seguace e n perc hè da natura
ito e bello, come generalmente si crede, e an V ilzo, senzatetto, uso a dormire
sulla nuda coperte, dinanzi alle porte, a cielo aperto,, _l.vll.i no ri 11 n ini
covi Q tendere insidie ai belli e ai buoni, coraggioso, temerario, impetuoso,
cacciatore terribile, sempre occupato a preparar lacciuoli, avido d’intendere,
ricco d espedienti, dedito a filosofare per tutta la vita, ciurmadore, mago e
solista insuperabile. E di sua natura non è nè immortalo nè mortale, ma a
volte, nello stesso giorno, germoglia e vive, quando tutto gli va a vele
gonfie; a volte muoie e poi, data la natura del padre, rivive daccapo, e spreca
sempre tutto quel che guadagna, sicché non è mai ne povero nè ricco, e d'altro
lato tiene il mezzo tra la sapienza e l'ignoranza. E s’intende: degli dei
nessuno lilo- soleggia o desidera di divenir sapiente perchè è già tale e se
e'è altri sapiente,. non filosofeggia nemmeno. Ma, d’altronde, neppur gl’ignoranti
filosofeggiano o desiderano di diventar sapienti. Giacché proprio questo è il
guaio dell’ignoranza: che chi non è nè ammodo nè saggio s'illude d’essere un
uomo che basti a sè medesimo. E chi non crede d’esser manchevole non desidera
nemmen per sogno quello di cui non crede di mancare. E chi. Diotima, diss’io,
son quelli che si volgono alla filosofia, se non sono nè i sapienti nè
gl’ignoranti? Codesto, rispose, dovrebbe esser manifesto perfino ad un ragazzo:
son quelli che tengono il mezzo tra gli uni e gli altri; e tra questi è anche
Eros. Perchè la sapienza è tra Io cose più belle, ed Eros è amore del bello,
sicché necessariamente Eros deve aspirare alla sapienza, deve esser filosofo, e
come filosofo tenere il mezzo tra sapiente e ignorante. E anche questo gli vien
dalla nascita, giacché egli è di padre sapiente e ricco, ma di madre nò
sapiente nè ricca. Questa, mio caro Socrate, è la natura del dèmone. Che tu poi
fi fossi immaginato Eros come te lo eri immaginato, nessuna meraviglia: tu
avevi creduto, se non m'inganno, a giudicarne da quel che dici, che Eros fosse
l’amato, non l’amante, e però penso che Eros fi paresse bellissimo, perchè
difatti ciò che è degno di è il realmente bello, delicato, perfetto e tale da
aU '° rsi beato Ma l’amante ba tutt’altro aspetto, e precisamente quello che
t’ho ritratto. Ed io dissi: Sia pure, ospite; che infin dei conti'' tu ragioni
bene. Ma se Eros è tale, che utile reca agU CodTsto, ? disse, Socrate, mi
proverò d’insegnartelo fra lin00 intanto Eros è tale e nato a questo modo, ed e
di bellezza, come tu dici. Ora se qualcuno ci domandasse: Che cosa vuol dire,
Socrate e Diotima, Eros di bellezza? O più chiaramente: Chi ama ama il bello, e
che ama? Ed io: Possederlo, risposi. Ma, soggiunse, la tua risposta chiama
quest altra domanda: Che' ci guadagna chi possiede il bello ! Io dissi di non
saper veramente che cosa nspondcie, così, su due piedi, a questa domanda. Ma
riprese, fa conto che qualcuno, mutando 1 ter mini, sostituisse bene a bello, e
ti chiedesse: Orsù, boccate, chi ama ama il bene; e che ama? Possederlo,
risposi. E che ci guadagna chi possiede il bene! Ecco M’d™Tn,l Pi -finisce qui,
mi pare. E onesto 1 desiderio e questo amore credi tu che sia comune a tutti
gli uomini e che tutti vogliano possec ei sempre il bene? O come dici? Così è,
risposi: comune a. tiitti tti diciam o E perché mai dunque, Sociale, non,i che
amano, se poi tutti amali lo stessotal uni diciamo che amano e d’altri no! Me
ne meraviglio anch’io, dissi. No. non meravigliartene, soggiunse, pe ’ a di
aver preso a parte una delle specie d amore, diamo a rme-sta il nome
dell'intero, e la chiamiamo amore, mentre per le altre ci serviamo di altri
nomi. Come sarebbe a dire? chiesi. Ecco per esempio: sai bene che pohsis, [
Iattura, poesia ’] implica molti significati, giacché ogni operazione, la quale
faccia che una cosa dal non essere passi all’essere è poièsis, sicché le
produzioni, attinenti a tutte le arti, sono aneh esse poièseis, e i loro
produttori tutti poiètai. È vero. E tuttavia, disse, sai pure che non si
chiamano poteteli, poeti. ma hanno altri nomi; e una particella sola,
distaccata da tutta la poièsis, quella che ha per oggetto la musica e le
composizioni metriche, è chiamata col nome delimiterò. Soltanto questa infatti
prende nome di poesia, e poeti quelli che posseggono questa particella della
poièsis. È vero, dissi. E così, dunque, anche dell amore. La somma n è ogni
desiderio del bene e delTesser felice, il massimo e ingannevole amore d'ognuno.
Ma di quelli che vi si volgono per un’altra delle molte vie, o del guadagno o
della ginnastica o della filosofia, non si dice che amino, nè son chiamati
amanti, laddove coloro che tendono a questa sola specie, e si consacrano ad
essa, prendono il nome del tutto, amoree amare e amanti. Mi pare ohe tu dica il
vero, risposi. Eppure, seguitò, corre per le bocche un certo discorso: che
quelli i quali vanno in cerca della propria metà, questi amano. Il mio discorso
invece dice che 1 amore non è nè della metà nè dell’intero, ove, amico mio, non
si creda di scorgere un bene, poiché gli uomini si lasciali volentieri amputare
e piedi e mani, sempre che paia ad essi che le loro proprie membra non sieno
più buone. Giacché, secondo ine, non è il proprio quello che ciascuno ha caro,
se pure non si chiami proprio il bene Pare una citazione; ma la frano destò dot
sospetti in parccclii interpreti, e fu addirittura considerata come un glossema
dall’Hug o dal Bonghi. n male. Perchè io non vedo altra cosa che gli 206 uomini
amino, all'infuori del bene. E tu? r,v Zeus, e nemmeno io. O dunque, possiamo
affermare, così senz’altro, che g li uomini amano il bene? hTche?' r'iprès™non
si deve anche soggiungere che essi amano d’averlo con sè, il bene l Tpcr
dippiù, disse, non solo d’averlo, ma anche d’averlo sempre? Ssom Eque, concluse,
l’amore è amore di aver sempre il bene con sè. Tu hai pienamente ragione,
dissi. Poiché l'amore è questo sempre per imparare appunto codeste . partorire
nel - 4et?-sstiS?. gli uomini, Socrate, concipn etòi i a . nostra secondo
l’anima; e, S 1 ' 11 ' < partorire nel brutto natura desidera di paidon ; m.
nU) infn fti deludi può; nel hello, Mi 1 fj?,p°ff rtl „. E questa è cosa l'uomo
c della donna \ mor talo, questo è immortale: divina, e nel vivente, ora è
impossibile che il concepimento c' a h ‘ disarmonico è il brutto ciò avvenga
nel disaiic m . q iuvooc n bello. Sicché rispetto a tutto i cl ’ dea de ua
nascita e della morte] Bellezza è Mona 1 . t0 ed a Ua generazione]. b srasr?
& ' diventa gaia, e nella sua letizia s’effonde e partorisce e genera. Ma
quando al contrario s’appressa al brutto, si abbuia, e nella sua tristezza si
contrae, si volge indietro, si raggomitola e non genera; ma, trattenendo in sè
il feto, si sente male. Donde appunto nella creatura, gravida e già smaniante
di desiderio, l’ansia grande per ciò che è bello, giacché esso libera ehi lo
possiede dalle gravi doghe del parto. Perchè, Socrate, l’amore non è amore del
bello, come tu pensi. Ma e di che allora? Di generare e partorire nel bello. E
sia, dissi. Mon c’è dubbio, riprese. Ma perchè poi della generazione? Perchè la
generazione è un sempregenerato e immortale nel mortale. Sicché da ciò che s’è
convenuto segue necessariamente che l’amore è desiderio d’immortalità nel bene,
se è amore d’aver sempre il bene con sè. E un’altra conseguenza necessaria di
questo ragionamento è che l’amore è anche amore dell’immortalità. Tutte queste
cose ella m’insegnava ogni volta che si ragionava d’amore. E un giorno mi
chiese: Che cosa mai, Socrate, credi tu che sia causa di codesto amore e di
codesto desiderio? O non senti che tenibile crisi attraversino tutti gli
animali, e terrestri e volatili, quando senton desiderio di generare,
ammalandosi tutti e struggendosi d’amore, prima, di mescolarsi insieme; poi, di
allevare la prole; e come sieno pronti per essa a combattere, i più deboli coi
più forti, e a spender la propria vita in difesa di quella e a soffrire essi la
fame, pur di nutrire i loro nati, e a fare qualunque altra cosa? Degli uomini,
tanto, si può credere che lo facciano per effetto d’un ragionamento; ma e gli
animali, che cosa può indurli a questo prodigio d’amore? Sai dirmelo? Ed io a
risponder daccapo di non saperlo. Ella ripigliò: E pensi, dunque, di poter
divenire esporto in cose d’amore, se non intendi questo? Ma per questo appunto,
Diotima, come dianzi dicevo, vengo da te, perchè so d’aver bisogno di maestri.
Ala tu dimmene la cagione, e di queste e delle altre cose relative all’amore.
Ebbene, se ritieni per fermo che 1 amore sia pei tura amóre di quello di cui
s’è convenuto più volte, nn te ne meravigliare: Giacché qui si torna allo
stesso bscorso- la natura mortale cerca, per quanto può, di essere sempre e
immortale. E può esserlo soltanto per està via per la generazione, cliè così
lascia sempre dono di sé qualcos’altro di nuovo in cambio del vecchio. Poiché
anche in quello spazio di tempo durante il quale di ciascun animale si dice che
è vivo e che e lo stesso... „or esempio, d’un uomo, da bambino fino a che non
diventi vecchio, si dice che è il medesimo; eppure costui, quantunque non conservi
mai in sé stesso le stesse cose tuttavia passa per essere il medesimo, pur
rifacendosi in parte incessantemente giovane, e m parte deperendo e nei capelli
e nelle carni e nelle ossa e nel sangue e in tutto il corpo. E nonché per il
corpo, ma anche per l’anima, i modi, i costumi, le opinioni, i desideri, i
piaceri i dolori, le paure, ciascuna di queste vane cose no rimati punto la
stessa in. ciascuno, ma talune nascono, dire periscono. E, quel che è ben piu
sorprendente, non si le cognizioni, altre nascono, altre periscono m noi e noi
non siamo, nemmen rispetto alle cognizioni, semp ghS, ma anche per ciascuna
s’avvera lo stesso. Giacche ciò che si ^e meditare^ dice appunto della
cognizione m quanto 1 ' ticanza infatti è uscita di cognizione etemeMaage, non
con l’essere in tutto sempre lo stesso, come il <hvi, nuT col' 1 lasciare
dopo di sé, in cambio di ciò che va via, . nn ni cos’altro di nuovo che gli
somiglia pei e invecchia, qualcos altro | ocrat0) diss’ella, ifmortaio
partecipa dell’immortalità, sia corpo, sia checché si voglia Ma l’immortale
procede per altra via. Non meravigliare dunque, se ogni essere per natura oncia
i proprio germoglio, giacché per desiderio d immortalità siffatta cura ed amore
s’ingenera in ogni creatura. All’udire questo ragionamento ne rimasi sorpreso,
è dissi: Sia pure, sapientissima Diotima; ma è tìoì realmente così? Ed ella,
come i perfetti sofisti: Abbilo per fermissimo Socrate, rispose. Oliò, se vuoi
guardare anche all’amore degli uomini per la gloria, ove tu non tenga presente
ciò che ho detto, avresti motivo di meravigliarti della loro stoltezza,
riflettendo da quale ardore sien posseduti di divenir celebri e gloria
procacciarsi ne’ secoli tutti immortale, e come perciò sieno pronti a sfidare
qualsiasi pericolo, anche più che per i figli, e consumar sostanze e soffrire
qualsiasi sofferenza e far getto della propria vita. Poiché credi tu, disse,
che Alcéstide sarebbe morta in cambio di Admeto o Achille soprammorto a
Pàtroclo o Codro- vostro (3) premorto per assicurare il regno ai figliuoli, se
non avesser creduto di lasciare quel ricordo di sé, che ora noi serbiamo di
loro'? Pi vuole ben altro! disse. Ma per conseguire virtù immortale e siffatta
fama gloriosa, tutti, a parer mio, son pronti a qualsiasi cosa, e quanto migliori,
tanto più, perché amano l’immortale. Quelli dunque che son gravidi. disse, nel
corpo, si volgono di preferenza alle donne, e per questa via sono amorosi,
procurandosi per mezzo della generazione dei figliuoli, come pensano,
immortalità, ricordo e beatitudine per tutto il tempo avvenire. 209 Coloro
invece che son gravidi nell’anima... perchè, dice, c’è pure di quelli che son
gravidi nell’anima, ancor più che nei corpi, di ciò che all’anima s’addice e di
concepire e di partorire; e che cosa le s’addice? la saggezza c le altre virtù;
e di queste sono generatori i poeti tutti, e degli artisti quanti son detti
inventori. E tra le forme di saggezza, disse, la più alta di gran lunga e la
più bella L’osservazione di Socrate ai riferisco al tono di sicurezza, por- dir
cosi, cattedratico e dogmatico clic assumo Diotima, la quale di qui in poi
abbandona la conversazione familiare per pronunziare un discorso lungo c
filato. Dev’essere una citazione poetica. L’Hng osserva elio in questa parte
Diotima si compiace di versi o di forme poetiche. Codro ò il leggendario re
clic andò volontariamente incontro alla morte per salvare l’Attica dalla
invasione dorica. che s’occupa degli ordinamenti politici e donic- Ò - q !, cui
si dà nome di prudenza e di giustizia. E allor- S Ì 1C1 ™i uualcuno di costoro
per esser divino sia da 1 1 gravido nell’anima, e giunta l’età desideri oramai
vtnrire e generare, anche costui, credo, ricerca premurósamente quel bello nel
quale possa generare, giacche 'e 1 brutto non vorrà generar mai. E quindi egli
gravido r 4 si compiace dei bei corpi piu che dei bratti, e °e s’incontri in
un’anima bella e generosa c d indole mona si compiace vivamente d’un tale
insieme e con e òo egli è subito largo di discorsi intorno alla virtù e su miei
che dev’essere l’uomo dabbene e sul tenore di vita che questi deve proporsi; e
si dà a educarlo Perche,, credo a contatto della bella persona e nei colloqui
con essa egli partorisce e genera quello di cui da gran tempo e ra 'gravido,
ricordandosi di lei, presente o lontano, e la prole egli alleva in comune con
quella, cosicché uonnn siffatti mantengon tra loro una comunanza assa P intima
che non quella che avrebbero per mento dei figliuoli, e un’amicizia assai più
salda, dacché ^ in comune dei figli più belli e piu mimo potinoli •per sè
preferirèbbe d’aver piuttosto di sillatti h ^ . che quelli umani, guardando a
Omero a Esu^ c agli altri poeti insigni, invidioso dei nati_ l lasciali di sè e
che assicurano loro gioire ; uoi immortale, perchè sono essi stessi inumatali,
. • disse, dei figliuoli come quelli che tediò Um 0 demone, salvatori di
Lacedemone e,spù.c( i-Eliade E da voi è anche onorato Soloiu pu lì SmSSo oiÒff.
ta’ove..por gli umani fin qui a nessuno. Sino a questo grado nei Socrate forse
avresti potuto iniziarti da b • Ma min dottrinò perfette e contemplative, alle
quali, ove si pioli) Mantengo qui la lozione ilei oodd. 9-stos lov. ceda
rettamente, quelle finora esposte servono di preparazione, non so se ne saresti
capace, le le esporrò dunque io, disse, e non trala scerò di metterci tutta la
mia buona volontà. E tu cerca di seguirmi, se ti riesce. Perchè chi vuol
incamminarsi per la via diritta a questa impresa, deve da giovane andare verso
i bei corpi, e dapprima, se chi lo guida lo guida' dirittamente, amare un sol colpo
c generare in esso discorsi belli; e poi intendere che la bellezza in un
qualunque corpo è sorella della bellezza dim altro corpo; e se convien
perseguire ciò ohe è belio d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non stimare
che una sola e identica sia la bellezza in tutti I CORPI. E inteso che abbia
questo, divenire AMANTE di tutti i boi corpi, e calmare quei suoi ardori per
uno solo, spregiandoli o tenendoli a vile. E in seguito reputare clic, la
bellezza delle anime sia di maggior pregio clic la bellezza del corpo, sicché,
ove uno sia bello dell’animo, quand’anche poco leggiadro, se ne contenti e Io
ami e ne prenda curii e partorisca e cerchi ragionamenti siffatti, che valgano
a render migliori i giovani, affinchè sia dipoi costretto a considerare il bello
clic è nelle, istituzioni e nelle leggi, e riconoscere che esfjo è tutto
congenere a sè, e si persuada così che il hello corporeo non è che piccola
cosa. E dopo le istituzioni < In sua guida lo conduca più in alto, alle
scienze, perché veda alla loro volta la bellezzadelle scienze, e mirando
all'ampia distesa del BELLO, non più, estasiandosi come uno schiavo, davanti
alla bellezza d'una singola cosa, d’un giovanetto o (L’un UOMO o d’una
istituzione sola, e servendo sia una abietta o meschina persona; ma volto al
gran mare della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e belli e
magnifici ragionamenti e pensieri in un amore sconfinalo di sapienza, fino a
che, in questo rinvigorito e cresciuto, non s’elevi alla visione di queU’unica
scienza, che è scienza di cosiffatta bellezza. E ora, continuava, la di
aguzzare rocchio della mente quanto più puoi.Giacché colui che sia stalo
educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado a grado e rettamente il
bello, pervenuto al termine della via d’amore scorgerà d’improvviso una
bellezza di sua mumluìi natura stupenda, e precisamente quella, Socrate, per la
quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che innanzi tutto è
eterna, che non diviene e non perisce, non zi 1 cresce e non scema; e poi, che
non è bella per un verso e brutta per un altro, nè a volte si a volte no, nè
bella rispetto a una cosa e brutta rispetto ad un’altra, nè qui bella e lì
brutta, o bella per alcuni e brutta per altri. Ne, per dìppiù, la bellezza
prenderà ai suoi occhi la forma come (li volto o di mano o d’alcunchè di
corporeo, nè d’un discorso o d’una scienza o di qualcosa che sia in un altro,
in un animale, poniamo, o in terra o in cielo o dove che sia; ma gli apparirà
qual è in sè, uniforme sempre a sè medesima, e tutte le altre cose belle,
partecipi (Vessa in tal modo, che, mentre queste altre e divengono e periscono,
essa non divien punto nè maggioro nè minore, e non soffre nulla. E quando
alcuno per aver rettamente amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di quaggiù,
prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che abbia quasi toccato
la meta. Perchè questo appunto è sulla via d’amore procedere o esser guidato
dirittamente da un altro: muovendo dalle belle persone di quaggiù ascendere via
via sempre più in alto, attratto dalla bellezza di lassù, quasi montandovi per
una scala, da un bel corpo a- due, e da due a- tutti i bei CORPI, e da bei
corpi alle belle istituzioni e dalle istituzioni allo belle scienze per finire
dalle scienze a quella scienza che non è scienza d’altro se non di quella
bellezza appunto; e pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in se.
Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva 1 ospite di Mantinea, è il
momento della vita degno per un uomo d’esser vissuto, allorché egli può contemplare
la bellezza in sè. Ed essa-, ove mai tu la veda., non ti parrà comparabile nè
con oro nè con vesti nè con quei bei fanciulli e giovanetti, al cospetto dei
quali rimani ora sgomento e sei pronto, e tu e molti altri, guardando codesti
vostri amati c standovi con loro, se fosse possibile, sempre, a non mangiare nè
bere, ma soltanto a eontem- plarveli e starci insieme. E che sarebbe, diceva,
se a qualcuno riuscisse di vedere il bello in sè,' sclùetto, puro, sincero, non
infarcito di carni umane e di colori e di tante altre vanità mortali, ma
potesse scorgere la divina bellezza in sè medesima, uniforme? Creiti tu che sia
una vita da tenere a vile quella di chi possa guardare colà e contemplare con 1
intelletto quella bellezza e starsi con essa? O non pensi, disse, che quivi
soltanto, a lui che vede la bellezza con quello per cui essa è visibile, verrà
fatto di partorire, non immagini di virtù, perchè non è in contatto con
immagini, ma virtù vera, perchè in contatto col vero; e che, avendo generato e
nutrito virtù vera, a lui solo è concesso di divenir caro agli dei, ed anche,
se altri mai iu tale al mondo, immortale? Eccovi, Fedro e voi altri, quel che
diceva Diotima, e io ne fui persuaso; e, persuaso, mi adopero a persuadere
anche gli altri che per procacciare alla natura umana un tanto acquisto non si
può facilmente trovare un collaboratore più valido d’Eros. E perciò appunto
affermo che ogni uomo ha l’obbligo di rendere onore ad Eros, e io stesso onoro
e coltivo in modo speciale le discipline amorose e vi esorto gli altri; ed ora
e sempre, per quanto è in me, encomio la possanza e la fortezza di Eros. Questo
discorso, Fedro, ritienilo detto come un elogio d’Eros, se credi; se no,
chiamalo pure come ti piacerà di chiamarlo. Poiché Socrate ebbe finito, tutti,
raccontava Aristodemo, gli rivolsero delle lodi, eccetto Aristofane, che
s’accingeva a dire nòti so che cosa, perchè Socrate, nel parlare aveva alluso
al discorso di lui, quando, a un tratto, s’ode picchiare violentemente alla
porta di strada e insieme un gran chiasso, come d'i gente avvinazzata, che
usciva da un banchetto, e la voce d’una suonatrice di flauto. Al che Agatone:
Ragazzi, disse, andate a vedere; e se è qualcuno dei nostri, fatelo entrare; se
no, dite che s’è smesso di bere e stiamo già riposando. Ed, ecco, un momento
dopo, si sente noi vestibolo la voce Alla lettera: con quello con cui si
convieno (contemplarlo), cioè v(p con la monte d’Alcibiade, ubriaco fradicio,
che strepitava: Pov’ò Agatone? Menatemi da Agatone! Entrò, sorretto dalla suo-
natrice e da alcuni dei suoi compagni, e si fermò sulla soglia dell’uscio.
Aveva il capo ricinto d'una folta corona di edera e di viole e adorno d’una
infinità di nastri. E disse: Salute, amici! Vorrete compiacervi di dare un
posto per bere con voi a un ubriaco fradicio, o dobbiamo andar via subito dopo
di aver incoronato Agatone, che è lo scopo per cui siamo qui? Ieri non mi
riuscì di venire, ma ora eccomi qui, col capo coperto di nastri, per rieingerne
dal mio il capo del più sapiente, del più bello, lasciatemelo dire, tra gli
uomini. Iriderete voi forse, perchè sono ubriaco? Ebbene, ridete pure; ma io so
di B3 dire la verità. Intanto ditemi senz’altro, se posso o no entrare a queste
condizioni. Siete pronti a bere con me, o no? Tutti in coro con alte grida gli
risposero che entrasse e si mettesse a giacere, e Agatone ve lo invitò. Egli
venne avanti condotto dai compagni, e poiché si veniva levando que’ nastri per
incoronarne l’ospite, non s’accorse di Socrate, che pure gli stava dinanzi agli
occhi, ma si mise a sedere accanto ad Agatone, tra questo e Socrate, il quale,
come l’aveva visto (2), s’ora tratto da parte. Sedutosi. abbracciò Agatone e
gli cinse il capo. È Agatone disse: Ragazzi, slacciate i sandali ad Alci-
biade, perchè possa sdraiarsi terzo fra noi. Benissimo, disse Alcibiade; ma chi
è questo nostro terzo compagno? E ad un tempo, volgendo gli occhi, vide
Socrate, e vistolo diè un balzo, esclamando: Per Éraeles. che roba è questa?
Socrate qui? Àncora un agguato! E hai preso questo posto per apparirmi, al
solito, dinanzi, dove meno me l’aspettavo? E ora, perchè sei qui? E perchè poi
ti sei messo a giacere proprio in questo posto? Perchè non accanto ad
Aristofane o a qualche altro, che sia o voglia parere un burlone, ma tanto ti
sei destreg- i Alclbiado voniva coronato, pcrchò usciva da uu altro banchetto.
Le corono, elio solovano essero di foglio di mirto, di pioppo bianco o di odora
intrecciato con roso o In Atene a proferonza con violo, si distribuivano dal
servi, quando, finita la cena, si passava a boro. (Hug). Leggo (1)£ éxetvov
xctxstfiev secondo il pap. d’Osslrinco. g iato da venirti a sdraiare accanto al
più bèllo di quanti SOn °B q Soc Agatone, disse, guarda un po’ di difendermi.
perchè l'amore per me di costui non un dà poco a fare Dacché presi ad amarlo,
non son pm padrone di guardare o discorrere con nessun altra bella persona
senza che costui, roso dalla gelosia o daU invicha, non faccia cose dell’altro
mondo, e mi copra d insulti, e per poco non mi metta le mani addosso. Guarda
che anche ora non ne faccia qualcuna delle sue. Metti pace tra noi, o, se cerca
d’aecopparmi, aiutami, perche io ho una paura matta dei suoi furori e delle sue
smanie amorose. Pace tra me e te? ribattè Alcibiade; non è possibile. Ma di
questo ti castigherò in qualche altra occasione. Per ora, Agatone, rendimi un
po’ di codesti nastri, perche ne ricinga il meraviglioso capo di costui qui, e
non mi accusi d’aver coronato te, e lui poi, che vince nei discorsi tutti, e
non solo ier l’altro, come te, ma sempre, non 1 ho coronato. E così dicendo,
prese alcuni nastri, ne cinse capo di Socrate e si mise a giacere. Dopo che si
fu sdraiato, riprese: E che amici? non siete in vena di bere? Io non posso
permetterlo; bisogna bere: è stato il nostro patto. Io scelgo a re del bere,
finché non avrete bevuto abbastanza, me stesso. E Agatone faccia portare, se
c’è, una gran tazza. No, no, non occorre. Ragazzo, a me quel bigonciolò all
s’eraaccorto che conteneva più di otto colili lo riempì e bevve per il primo;
poi ordinò clic si mescesse per Socrate, aggiungendo: Del resto, amici, con
Socrate la mia astuzia non attacca: si può farlo bere quanto si vuole, non c’è
caso che s’ubriachi. Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Ma
Erisslmaco disse: Che facciamo, Alcibiade? Tracanneremo così un bicchiere
sull’altro senza intramezzarvi nè un discorso nè un canto, proprio come degli
assetati? Tì Alcibiade: Erissimaco, eccellente figlio d’eccellente e
sennatissimo padre, salute! La eotile equivaleva a circa un quarto eli litro. E
salute a te pure! rispose Erissimaco. Ma che dobbiamo fare! Quel che tu ordini:
a te bisogna obbedire, Che certo un medico solo vai quanto molti uomini
insieme. Ordina dunque a tuo modo. Ebbene, da’ retta, riprese Erissimaco. Prima
della tua venuta s’era fissato che ciascun di noi per turno a destra
pronunziasse un discorso, il meglio che si poteva, su Eros, in elogio di questo
dio. Tutti noialtri abbiamo parlato. Tu che non hai parlato, ma hai bevuto, è
giusto che ne faccia imo tu pure. Dopo, imponi a Socrate quel che ti piace, ed
egli farà altrettanto per turno a destra con gli altri. Belle parole,
Erissimaco! rispose Alcibiade. Ma non ti pare che a mettere un ubriaco in gara
di discorsi con gente che ha la testa a posto, la partita non sia pari! E dimmi
pure, beato amico: ci credi tu a quel che Socrate ha detto or ora di me? Non
sai che è proprio il rovescio di ciò che egli diceva? Giacche costui, se in
presenza sua mi permetterò di lodare un altro, dio o uomo che non sia lui, non
terrà a posto le mani. Parla con più rispetto, disse Socrate. Per Poseidone,
riprese Alcibiade; non contradirmi. Sai bene che in presenza tua non potrei
lodare nessun altro. E tu fa' come vuoi, ripigliò Erissimaco: loda So'crate.
Come dici! Ti pare, Erissimaco, che convenga? Posso dare addosso a quest’uomo e
vendicarmi di lui sotto i vostri occhi? Ohe, giovanotto, che ti salta in
niente? Con la scusa di lodarmi vuoi mettermi alla berlina? O che vuoi fare?
Dirò la verità. Guarda però di lasciarmela dire. Ma, certo, la verità te la laseerò
dire, anzi voglio che tu la dica. Son pronto, riprese Alcibiade. E tu fa’ così:
se non dico la verità, interrompimi e dammi una smentita, che di proposito non
dirò nessuna bugia. Ma se salterò di 21 palo in frasca, come la memoria mi
suggerisce, non teue sorprendere, giacché non è facile per chi è neUgnie
condizioni enumerare per filo e per seguo tutti 1 tiatti della tua originalità.
Socrate, amici, comiucerò a lodarlo così, per via di paragoni. Costui crederà
forse ch’io voglia farvi ridere alle sue spade; eppure il paragone mira a
rappresentarvelo qual è realmente, non a metterlo in burla. Dico dunque ch’egli
è similissimo a quei Sileni esposti nelle botteghe degli scultori, che gli
artisti raffigurano con zampogne o flauti in mano e che, aperti in (lue,
mostrano nell’interno immagini di dei. Ili dico per dippiù che somiglia al
satiro Marsia. li/ che tu sia nell’aspetto simile a quelli, neanche tu, boera
te, oseresti metterlo in dubbio. Che poi somigli anche nel resto, stanimi ora a
sentire. Sei un gran canzonatore; o no ? Se lo neghi,, presenterò dei
testimoni. E un flautista, no? Anzi più meraviglioso di Marsia. Questi, è
vero?, molceva gli uòmini per via di strumenti con la potenza della sua bocca,
e anche oggi chi suona le composizioni di lui perchè già quelle che Olimpo
suonava appartengono senz’altro a Marsia, che gliele aveva insegnate... e a
buon conto le sonato di lui, o che le esegua un abile flautista o una flautista
dappoco, per essere opera divina, valgono da sole a soggiogarci e farci sentire
(fili prega gli dei e chi aspira ad essere iniziato. Ma Il discorso, ohe
Plutone la pronunziare ad Aloibiado, oltre ad essere l’upplioozione pratica
della toorlca bandita da Socrato, ohe ci ò cosi rappresentato domo l’amanto
perfetto o il tipo vivente del filosofo, è assiri probabilmente anche nn'ahilo
o splendida difesa di costili contro lo maligno insinuazioni d'nn sofista.
Pollerato, cho in un ili,olio contro Socrate doveva aver presentato sotto una
luco tutt’altro olio favorevole lo relazioni d’AMICIZIA elio lutoroedovuno tra
11 maestro od Alclbiado. Questi Sileni orano, paro, una spedo d'armadi,
riproducesti lo fattozzo dei popolarissimi compagni di Dlóniso. e dovovano
esseri, d’uno certa capacita, so nell’intorno potevano contenoro parecchio statuette
o simulacri di numi. E 11 modo corno v'oeconna Aloibiado fa Intenderò ohe
dovessero essere assai noti o comuni !u Atene. Il satiro Murala, in origino un
dio fluviale dell’Asia Minoro, inventore del flauto, flautista cccoUonte o
maestro di Olimpo, a cui Alcibiade accennerà fra poco, addò ad una gara
musicalo Apollo olio suonava la cetra, e, vinto dal dio, fu tratto fuori, della
vagina dolio membra sue tu tu sei (li tanto superiore a lui, che senza bisogno
di strumenti con semplici parole ottieni questo medesimo effetto. Difatti noi,
quando udiamo qualche altro oratore sia pure eccellente, pronunziare degli
altri discorsi, non'ce ne interessiamo, per così dire, nè punto nè poco. Ma ove
qualcuno oda te o qualche altro, e sia pure il più inetto parlatore, che
riferisca le tue parole, o che le oda una donna o un uomo o un giovanetto, no
siamo rapiti ed esaltati. Ed io, amici, se non temessi di passare per ubriaco
sino alle midolla, vi direi, e giurerei, che sorta d’effetti ho risentito dallo
parole di costui e ne, risento tuttora. Giacche a me, quando le odo, ben più
che agl’invasati d’un fluoro coribantico, il cuore ini balza nel petto e mi
sgorgali le lagrime ai discorsi di costui; e anche a moltissimi altri vedo che
capita lo stesso. A udir Pericle e altri oratori di grido dicevo tra me e me:
parlano benissimo; ma non risentivo nulla di simile, nè la mia anima era messa
a soqquadro, nè mi attristavo di menare una vita da schiavo. Ma sotto i
discorsi di questo Marsia ch’è qui, ho provato spesso l’impressione che non
valesse la pena di vivere, vivendo come vivo. E questo, Socrate, non dirai che
non sia vero. E anche ora, non lo nego, ho coscienza che, a volergli prestare
orecchio, non potrei resistere, ma risentirei gli°stessi effetti. Giacché egli
mi obbliga a confessare che, con tante delìcenze che ho, trascuro ancora me
stesso per occuparmi delle faccende degli Ateniesi. E por a viva forza, come
dallo Sirene-, tappandomi gli orecchi, mi sottraggo, fuggendo, per non
invecchiare seduto accanto a costui. E soto davanti a quest uomo ho provato
quel sentimento, che nessuno sospetterebbe m me, il sentimento della vergogna.
Io, sì, ini vergogno soltanto di costui. Perchè sento dentro di me di non
potergli contradiro, che non si debba fare quello a cui egli mi esorta; ma poi,
non appena m’allontano daini, ecco che mi lascio vincere dalle lusinghe del
favor popolare. I Gorlbntltl orano 1 sacerdoti della doa asiatica l’ibelu, elio
o^si 'veneravano con nn colto orgiastico, nelle ani cerimonie erau presi da un
furore divino. Sicché lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo, mi
vergogno d’aver# dato ragione. E spesso vedrei volentieri ch’egli non è più tra
gli uomini; eppure, se ciò avverse, son certo che me ne dorrei assai dippiù,
sicché di quest’uomo non so addirittura che farmi. Dunque, dalle sonate di
costui, di questo satiro qui, e io e molti altri abbiamo provato questi
effetti. Ora statemi a sentire com’egli e simile, anche pei altri versi, a
quelli a cui lo paragonavo, e come e meraviglioso il potere che possiede. Perche,
siatene certi, nessuno di voi lo conosce. Ma ve lo scoprirò io, dacché mi ci
son messo. Voi vedete che Socrate si strugge di amore per i bei giovani, ed è
sempre a loro dintorno, e se ne mostra fuori di sé, e del resto ignora tutto e
non sa nulla. E non è da Sileno codesto? E come! Ma questa, è l'apparenza,
sotto cui s’è nascosto, come il Sileno scolpito. Ma di dentro, aperto,
indovinate voi, compagni bevitori, di quanta temperanza è pieno? Sappiate che
se uno è bello, a lui non gliene importa nulla, ma lo disprezza, quanto nessuno
lo crederebbe; nè se è ricco, nè so ha qualcuna di quelle dignità che
costituiscono per la folla il colmo della beatitudine. A tutti questi beni egli
non dà nessun valore, e nessuno a noi ve lo dico io e passa tutta la vita a far
dell’ironia e a scherzare alle spalle degli altri. Ma quando fa sul serio ed è
aperto, non so se qualcuno ha visto i simulacri di dentro; ma io li ho visti
una volta, e mi parvero così divini e aurei e 21? bellissimi e mirabili da
dover fare senz’altro quel che Socrate comanda. Infatti, credendolo preso
davvero della mia bellezza, stimai un guadagno e una fortuna meravigliosi che
mi si offrisse il destro di far cosa grata a Socrate e udire così tutto quello
che egli sapeva, perchè ero orgoglioso della mia bellezza, e in che modo! Con
questo in mente, mentre prima non ero solito di trovarmi da solo a solo con
lui, senza qualcuno che m’accompagna, d’allora in poi mandavo via il mio
accompagnatore e rimanevo solo con lui... giacché a voi devo dire tutta la
verità; ma voi state attenti, e se mentisco, tu, Socrate, sbugiardami. Dunque,
amici, rimanevo con 1ni solo a solo, e m’aspettavo eli egli mi tenesse subito
uel discorsi che un amante suol tenere con un amato, rmattr’oeehi, e ne godevo.
Eppure non avveniva nulla m mesto: com’era solito, discorreva con me, e,
trascorsa tutta la giornata insieme, andava via. In seguito lo invitai ad
esercitarsi con me nella ginnastica e mi esercitavo con lui, illudendomi che
così avrei raggiunto il mio ‘ooo E infatti egli si esercitava e lottava con me,
spesso senz’alcun testimone. Ma che! non si faceva un passo. Poiché nemmeno
questa via spuntava, mi parve che con nuest'uomo si dovesse venire ai ferri
corti e non dargli tregua dal momento che mi ci ero messo, ma vederci chiaro in
questa faccenda. Lo invitai così a cena con me, tendendogli un tranello,
proprio come un amante a un amato. E sulle prime non volle neppure accettare;
tuttavia, in capo a qualche tempo, s’arrese. Quando venne la prima volta,
finita la cena, volle andarsene, e pei allora, vergognandomi, lo lasciai Ubero.
Ma un alti a y fatto il mio 'piano, poiché si finì di cenare, Scorsi con lui
sino' a notte inoltrata; e quando egli voleva andai via, col pretesto che-
fosse tardi, lo costrinsi a rimanere Egli riposava nel letto dove aveva cenato,
accanto a mio, e nella stanza non dormiva nessun altro ah infuori di noi. Ein
qui il racconto è tale, che si può faie in p senza d’ognuno-, ma di qui in
avanti non im sentireste parlare, se in primo luogo, come dice il proverbio il
i ino e senza fanciulli e con fanciulli, non fossi veritiero, e poi nascondervi
un tratto cosi superbo di Socrate, ora 'che son qui per farine un’ingiustizia.
Ma c’è'di più: io sento ancora 1 effetto eli prova chi è morso da una vipera.
Porche, dicono, ì’ha sofferto non vuol parlare del proprioa ai morsicati, come
i soli che sappiano smn chsposri a compatire tutto quello che egli e giunto a
fare e dire sotto la, sferza del dolore. Sicché io, morso da tintura più
dolorosa e nel punto più doloroso ni cui si possa Da du^o luogo il provo.-t.io
apparisco corno presente alla mente il ’Aicibia.lo sotto lo ano formo, tra lo
parecchie che so ne coniano. .1. oho £ ’ vi- e vorilA-, c olvo; xat ì8s C ™o o
fanciulli sono voritlorl ’. esser morsi ferito e morso nel cuore, e nell’anima,
o com’altro si voglia chiamare, dai discorsi filosofici che son più cattivi
d’una vipera, quando s’attaccano all’anima non ignobile d’un giovane, e gli fan
dire e fare qualsiasi cosa. E, del resto, in presenza d un Fedro, d’un Agatone,
d’un Erissimaco, d’un Pausania, d un Aristodemo e d’un Aristofane Socrate
stesso a che- nominarlo? e txitti voi altri? chè tutti siete posseduti dal
delirio e dal furore filosofico e però tutti udrete, perchè siete tutti in
grado di compatire ciò ch’io feci allora e vi dirò ora. Quanto a voi, servi, è
se c’è altri profano e rozzo, tiratevi delle porte ben grandi sui vostri
orecchi Poiché, dunque, amici, fu spenta la lucerna e i servi andarono a
dormire, mi parve che non fosse il caso di ricorrere a raggiri con lui, ma di
spiattellargli francamente quel che sentivo. E, scotendolo, gli chiesi:
Socrate, dormi? No, non dormo, rispose. Ebbene, sai che cosa ho risoluto? E che
cosa? mi chiese. Tu sei, ritengo, il solo degno d’esser mio amante, e vedo che
esiti a farmene parola. Ora io la penso cosi: credo che sia una grande
stoltezza da parte mia non compiacerti e in questo e in altro, se hai bisogno
delle mie sostanze o dei miei amici. Per me, quello che soprattutto mi preme è
di divenire quanto migliore io possa; e in ciò, credo, non potrei trovare un
collaboratore più valente di te. Sicché a non compiacere ad un nomo come te mi
vergognerei ben più agli occhi delle persone di senno, che non a compiacerlo,
agli occhi dei molti e sciocchi. Egli mi stette a sentire, e poi con quella
sottile ironia, che gli è propria od abituale, mi rispose: Parto Alcibiade, tu
risichi realmente di non essere un dappoco, se mai è vero ciò che dici di me, e
se c’è in me un potere, per il quale tu possa divenir migliore. Tu avresti così
scorto in me una bellezza irresistibile e La locuzione 6 tolta dal linguaggio
del misteri. ma molto superiore alla tua leggiadria. Cosicché, scorgendola,
tenti d’accomunarti con me e barat- Mre beSa per bellezza, ti proponi di fare a
mie spese fca in (la ano tutt’altro che insignificante, anzi in lao„o a-.o.!.™
1. veri. del teli e luisidi scambiare veramente ferro con oro. Ma, beato amico,
rifletti meglio, se non t’inganni a partito m conto mio. Bada: gli occhi della
mente vanno diventando più acuti a misura che quelli del corpo perdono del loro
vigore, e tu sei ancora lontano da questo momento. c iò, dissi: La mia idea è
questa, e non ho detto niente di diverso da quel che penso. Quanto a te.
considera quel che ti sembra il meglio nel tuo e nel mio interesse., Ma sì, ben
detto! rispose. Difatti non mancherà tempo per ripensarci e fare quel che ci
parrà meglio nell interesse di tutt’e due, così in questa, come in ogm altra
faC Orario, dopo d’aver detto e udito queste parole e avergli tirato quelle
frecciate, lo credetti ferito. E levatomi dal mio posto e senza più dargli
tempo di dir nulla, gli gettai addosso il mio mantello, proprio questo qui era
anche allora d’inverno e nn rannicchiai sotto la mantellina logora di costui, e
gettate le braccia al collo di quest’uomo veramente divino e meraviglioso, me
ne stetti a giacere accanto a lui l’intera notte. E nemmeno in questo, Socrate,
dirai che mentisco. Ebbene nonostante che io avessi fatto tutto questo, egli si
mos r di tanto superiore e tenne così a vile e sprezzò tanto la mia bellezza e
la vilipese a tal punto eppure io credevo che qualcosa valesse, o giudici,
perche voi ora siete mudici della superbia di Socrate... ebbene ve lo giuro per
tutti gli dei e per tutte le dee, dopo d’aver dormito accanto a Socrate
l’intera notte, mi levai, nò piu uè meno, che come se avessi dormito con mio
padre o con un mio fratello maggiore. Allusione al cambio dello anni tra Glauoo
e Diomede: et. sgR. E dopo ciò, quale credete che fosse il mio animo? Da un
canto mi vedevo disprezzato, e dall'altro ammiravo l'indole, la temperanza e la
fortezza di costui, che m’ero imbattuto iu un uomo tale, come non credevo mai
di poter incontrare il simile per senno e per forza d’animo. Cosicché non
riuscivo nè ad adirarmi con lui e rinunziare alla sua compagnia, nè a trovar la
via per attirarmelo. Ben.sapevo che al danaro egli era. da ogni parte assai più
invulnerabile che Aiace al ferro, e solo mezzo, per cui credevo di poterlo
prendere, m’era sfuggito di mano. E così, a corto d’espedienti e asservito da
quest’uomo, come nessuno da nessun altro al mondo, io gli giravo sempre
dattorno. Questi casi m'erano già seguiti, quando più tardi facemmo insieme la
campagna di Potidéa ed eravamo compagni di mensa. Ebbene, innanzi tutto, nelle
fatiche egli vinceva non solo me, ma anche tutti gli altri. Allorché, in
qualche luogo, come spesso capita in guerra, eravamo costretti a patir la fame,
gli altri, nel resistervi, appetto a lui non valevano uno zero, mentre imi nei
momenti di scialo, era il solo che sapesse goderne, e senza esser proclive al
bere, quando v'era costretto, superava tutti, e, cosa anche più sorprendente,
non c’è nessuno che abbia mai visto Socrate ubriaco. E di ciò penso che ne
avrete ben presto la prova. Quanto poi a sopportare il freddo e lassù i freddi
sono terribil faceva cose inverosimili, e perfino a volte, mentre c’eran delle
gelate da non si dire, e tutti o non mettevano il naso fuori o si coprivano
fino alla cima dei capelli e calzavano scarpe e 'avvolgevano le gambe in feltri
e pellicce, costui, con un tempaccio di quella sorta, se n'usciva coperto della
sua, mantellina abituale, e scalzo camminava sul ghiaccio meglio degli altri
calzati, e i soldati lo guardava]) di traverso, perchè pensavano che egli li
disprezzasse. Politica, colonia di'Corinto nella penisola ili Pallone, erti,
albata tlegli Ateniesi. Ma noi, con l'aiuto dei Corinti o di Perdlccn re ili
Macedonia, si ribellò, e non fu ridotta all'obbedienza, se non dopo una cam-
rogna o un assedio E questi, non c’è che flire, fatti. Ma quello -che poi fece
e sostenne il fortissimo uomo ima volta, durante quella spedizione, mette conto
li-essere udito. Assorto in qualche pensiero stette in piedi odo stesso posto a
meditare sin dalle prime ore del mattino, e poiché non ne veniva a capo, non si
moveva, ma rimaneva li fermo a meditare. Era già mezzodì, la o-ente lo notava e
diceva: rSocrate e li inchiodato a Lunare da stamani per tempo. Finalmente
alcuni Ioni, sopravvenuta la sera, dopo d'aver cenato era d estate portaron
fuori i loro pagliericci; e mentre si metteno a dormire al fresco, seguitavano
a tenerlo d occino per vedere, se ci fosse rimasto anche la notte. Ed egli ci
rimase fermo sino all’alba e allo spuntare del sole poi fece la sua preghiera
al sole e andò via. Ora, se volete, nelle battaglie perchè è giusto rendergli
questo merito quando avvenne quella battaglia, in cui 1 generali dettero a me
anche il premio del valore, nessun altro mi trasse in salvo se non costui, clic
non volle abbandonarmi ferito, e salvò insieme e le mie armi e me stesso. Ed io
anche allora, Socrate, insistetti presso ì generali, perchè il premio fosse
attribuito a te, e in questo non mi moverai rimprovero, nè dirai che mentisco,
.a poiché quelli, per riguardo alla mia condizione sociale, volevano dare a me
il premio, tu eri anche piu insistenti dei generali, perchè l’avessi piuttosto
io che tu. E ancora, amici, degno di ammirazione fu il contegno di Socrate,
quando l’esercito si ritirò in fuga da Delio. Io cero tra’cavalieri, lui tra
gli opliti. Nello scompiglio generale egli S i ritirava insieme con Lachete. Io
sopraggiungo, e come li vedo, li esorto a farsi animo, e di coloro che non il)
È un verso omerico leggermente modificato; cf. Od. La battaglia <11 Dello in
Beozia, dove gli Ateniesi lurono sconfitti dai Tolmuì, accadde noi. Era un
bravo gonorate ateniese, di poco più vaccino di Scorato. olio mori In battaglia
nel US a. C. Da lui prose nomo uno doi dialoghi piatonici. Soli abbandonerò. E
qui ammirai Socrate anche più che a Potidea giacché io stesso avevo meno paura,
perchè stavo a cavallo in prima, di quanto egli fosse superiore a Lachete per
la padronanza di sè, e poi mi pareva mi servo delle tue parole, Aristofane che
egli cammina lì come qui, con aria spavalda, gittando gli occhi a destra e a
sinistra, squadrando calmo amici e nemici e mostrando chiaro a tutti, anche di
lontano, che se qualcuno lo avesse toccato, egli si sarebbe difeso con la
maggiore bravura. E così se n’anda via con gran sicurezza, egli e l’amico.
Perchè quelli che in guerra mostran questo contegno, quasi quasi non li toccano
neppure, ma danno addosso a chi scappa a gambe levate. ('erto, di Socrate ci
sarebbero da lodare molti altri lati, e non meno ammirevoli. Però d’altre
qualità si può forse dir lo stesso anche per altri, ma quel non essere simile a
nessun altro uomo, così tra gli antichi come tra’ presenti, questo è
soprattutto ammirevole. Ad Achille, per esempio, possiamo paragonar Bràsida e
qualche altro, e Pericle a Nestore e ad Antenore e ce n’ò parecchi e così
potremmo trovare dei confronti per altri. Ma un uomo che sia stato per
originalità come costui, e lui e i suoi discorsi, nessuno non lo troverebbe
nemmeno a un dipresso, per quanto cercasse, nè tra i presenti, nè tra gli
antichi, a meno che non lo paragoni a quelli che dicevo, a nessun uomo, ma ai
Sileni e ai Satiri, lui e i suoi discorsi. Giacché, a proposito, anche questo
ho dimenticato di dirvi da principio, che anche i suoi discorsi sono in tutto
simili ai Sileni che s’aprono. Infatti, se uno volesse prestare orecchio ai
discorsi di Socrate, gli par- Allusione al v. delle ‘Nuvole’. Brasida, morto in
una famosa battaglia, nella quale inflisse uno terribile rotta affli Ateniesi
presso Anflpoli, colonia attica sullo Strimone in Tracia da lui tolta ai suoi
fondatori, fu uno dei più eroici e maffnanimi generali spartani. Antenore, eroe
troiano, che ai distingueva per la sua prudenza, come per prudenza c valore si
distingueva Nestore tra Greci. rebbero addirittura ridicoli a prima giunta;
tali sono le parole e le frasi di cui si rivestono, pelle di satiro burlone:
non discorre che d’asini da soma e di fabbri e di calzolai e di conciapelli, e
par che dica sempre le stesse cose con le stesse parole, sicché qualunque
persona ignorante e sciocca può ridere dei discorsi di lui. Ma chi per caso li
veda aperti e vi s’addentri, prima di tutto li troverà i soli discorsi che
entro di sé abbiano una mente, e poi divinissimi e pieni d’innumerevoli
simulacri di virtù, tendenti ad altissimi fini, o, per dir meglio, tendenti a
tutto quello a cui deve mirare chiunque voglia essere un uomo veramente ammodo.
Questo, amici, è il mio elogio di Socrate. E d’altronde, mescolandovi anche le
accuse, v’ho detto in che egli mi offese. Del resto egli non s’è condotto a
questo modo soltanto con me, ma e con Càrmide di Glaucone e con Eutidemo di
Diocle e con moltissimi altri, dei quali si fingeva l’amante, e ne divenne
piuttosto 1 amato. E perciò appunto avverto anche te, Agatone, di noli
lasciarti abbindolare da. costui, ma, ammaestrato dai nostri casi, sta’ in
guardia e non imparare, secondo il proverbio, come uno sciocco, a proprie
spese. Quando Alcibiade finì di discorrere tutti, al dire d’Aristodemo,
scoppiarono in una grande risata per la franchezza di lui, chè si mostrava
tuttora innamorato di Socrate. E Socrate osservò: Alcibiade, tu non sei, mi
pare, niente affatto ubriaco, altrimenti non avresti potuto, rigirando con
tanta abilità il tuo discorso, nasconder lo scopo di tutto quello che hai
detto, e che hai poi accennato di straforo -in fine di esso, quasi che non
avessi parlato unicamente per questo: pei metter Càrmide ora zio di Platone dal
lato materno. Nel dialogo intitolato da lui cl 6 dipinto corno bello dolio
persona e d’animo aperto agli studi filosofici. Aristocratico o partigiano
doll’orìstocrazia, cadde nel. combat- tlmonto ia seguito al quale fu rovesciato
il governo del Trenta tiranni. Eutidemo di Diodo ora un giovano ammiratore di
Socrato da non confonderò col solista omonimo da cui s’intitola un dialogo
platonico. Aeoonno ad un proverbio olio troviamo gu\ sotto varie forme in Omero
e in Esiodo. male tra ine e Agatone, perchè ti sei fitto in mente che io devo
amare te e nessun altro, e Agatone dev essere amato da te e da nessun altro. Ma
ti sei tradito, e tutti hanno visto a che mira codesto tuo (trama satiresco e
silenico. Senonchè, caro Agatone, procuriamo che egli non se ue giovi punto, ma
fa’ in modo che nessuno metta male tra me e te. E Agatone: Socrate, in fede
mia, hai ben ragione, mi pare. E lo argomento dal fatto ch’egli s’è venuto a
sdraiare in mezzo tra me e te per tenerci separati. Ma non ne caverà nulla,
anzi io verrò a sdraiarmi accanto a te. Benissimo, rispose Socrate, vieni qui,
alla mia destra. O Zeus, disse Alcibiade, che mi tocca di soffrire da
quest’uomo! Vuol sempre e ad ogni costo sopraffarmi, ila, se non altro,
mirabile uomo, lascia che Agatone resti almeno fra noi due. Impossibile,
riprese Socrate. Tu hai lodato me, io, a mia volta, devo lodare chi mi sta a
destra. Se Agatone si sdraierà dopo di te, non dovrà egli lodare nuovamente me
piuttosto che esser lodato da me? Ma via, non insiste, divino amico, e non
invidiare a questo giovane le lodi che voglio farne, perchè sono impaziente di
tesserne l’elogio. Ahi! Ahi! Alcibiade, disse Agatone. Non c’è verso che io
resti qui; cambierò posto ad ogni modo per avere le lodi di Socrate. Ed eccoci
alle solite! Dov’è Socrate, è impossibile che un altro goda delle belle
persone. Vedete ora che pretesto opportuno e plausibile ha saputo trovare,
perchè Agatone vada a mettersi accanto a lui! A questo punto, dunque, Agatone
si levò per andare a sdraiarsi a lato a Socrate. Ma, ad un tratto, ima numerosa
brigata di nottambuli avvinazzati giunse davanti alla porta-, e trovatala
aperta, perchè qualcuno era uscito, si cacciò nella sala e prese posto a
tavola. Allora il chiasso divenne incredibile, e tutti, senz’alcuna regola,
furon costretti a bere disperatamente. Erissimaco, Fedro e qualche altro,
diceva Aristodemo, andarmi via; egli fu preso dal sonno, e rimase un gran
perché le notti eran lunghe, ne S1 tratto a do ’ oa nto dei galli. E destatosi,
TJu .o „ se no er.no andnft de elio h U ‘ ^tofane e Socrate rimanevano au-
soltanto Agatone, AJq ^ ^ verg0 destra, da coni desti, So ’ ora te discorreva
con loro. Di che una gran donassero, Aristofane non ricordava Costi > c
qonneòchiare, e prima cadde addormen cominciarci <,, minutar del °iorno,
Agatone. iiiiSBESii naia e Topo, siiinmbrunire, tornò a casa a riposare. uno
dei "aeiia oitu ° 8oelto più tardi da Aristotele a sede della sua scuola.
rz„thvohro. Apologià, Crito, Phneilo (Bonghi) l Mn t O i e- 0 ; 0 I ? n ^ P 0
hnni sulla vita d, Platone .> 0 I» '£..fed5sicr-.tè » n il Fellone • • •
ent,; r ii, curante H. Ottino 1 20 ® e “*^®ffTni CÌr An b i •" K,l ”. SI;
. . >, ' 1 . Li ber > Al Jri rimedia), curante H. Ottino.> H
Institut.o Cyrt^C P c 1 q uìi i h (prossima pubblio a zwnt). 11 Gerone, e cor»
Colon0i ourlHÌt e E. De March. . ® Sofocle “Tt? ì>e Marchi). 1
S°Cchtnie?curante S. Traduzioni di Autori Latini. V Enitalamio per le nozze ili
'fetide c l'eleo. Carme Catullo 0. v Ri ‘moento e traduzione poetica di 1.
Gironi L. 1 20 testo latino, c.i J _ p 008ie scc lte voltate in prosa italiana,
cor Catullo, libali»^ Vtoerzo i Seconda edizione o0 redato di noto da/-.. „
uorro gallica e civile volg.,nauti da CM ‘ te c-Ugoni SS bmg;.aifchc e sferiche
per cura di G. Pinzi _ commentari sulla guerra gallica Commentari “ u R“XTett£e
piti 'comunemente studiate negli istituti “•Soi."Traduzione di
VzfcUhcorredata TnSi’eJ'rivcdut’a'mi cmeUita suil’ediz. Tei.tiiicriuna da T.
Gironi Dei Doveri (gli Uiìzi) .*.> La Vecchiezza e l’Amicizia a- x g Pollini
. 1 “ Scinione. Testo eversione pe cu Il «agito cU^o^iono T^to e g- -
L’orazione a difesa di T. A., a Capitani ; traduz. e noto di Z. Canni Cornelio
N. - De vite degli eqooULnn C 1 t ^ ^ note storiche, lllolo- Fedri). Favole
voltate in lingua la"™! .1 . s, edizione gicl.e, geografiche e mitologici
e da Atm rm^ Q Le favole nuovo recate in v( ;^ 1 (la o. L. Mabil: Livio T. La
Storia romana, tradotta na .> l,ibri I-H riveduti da T. Gironi. da !..
Andreozzi. {In ristampa)- fji r0 „i. con note. > 1 Fasti; volgarizzamento
poetico d. i. ., Ut £ UMli; . • ‘ tro ; nionotu. 'lesto latino e traduzione
to^A.-Trin»mmu8V\T V sia,«nini «uiBnao scoile; ioni»» w Tibullo. Catullo e Properaio.
a 0 . / Vrtw.5-C?, S?, !h SSutS"., 1 . K«1J« * «* Le imprese di AU-h-u» 1
poetico d. f. Girci,. e > viratila p m 1,11 Buoolieu ; '•o'K,n,fAf“"' i
r s ., lix | 0 n>- 1 ; fllnlnma 0 dhltterpi ih rtó di' opere e ani Lm-iiif.
(tradotta da Caro) coti not' • n ftr bone gariz/iuneuti di Virgilio, u cura «li
* PARAVIA et C. Traduzioni di Autori Greci Aaaertonle ed Anacreontiche.
Traduzione letterale con riguardo alla costruzione-o brevi note per 01.
Aurenghi: Edizióne espurgata L. Demostene Le tro Orazioni contro Filippo;
traduzione letterale con ri- J. guardo alla costruzione o note per Ol. Aurenghi
Lo Olinticho; traduzione letterale italiana con riguardo alla costruzione o
note per 01. Auronghi. Kschllo. Le Eumenidi, dramma. Traduzione letterale con
riguardo alla costruzione 0 uote di 01. Aurenghi.> Esiodo. Le opere e i
giorni. Traduzione di C. Mazzoni ( jìroasima pubblicazione). filala. Eo
Orazioni contro Eratostene c contro Agorato; traduzione lct- teralo con
riguardo alla costruzione e note poi 01. Aurenghi . j j0 Orazioni: per un
cittadino uccusuto di moueoligar chiche Fer un invalido; traduzione letterale,
coti riguardo alla costruzione, e note di Ul. Aurenghi. Omero.Canto VI
dellTliado; colloquio di Ettore e di Andromaca. Traduzione e noto per 01. Aurenghi.>
0 60 Iliade; canto I, La peste - L’ira. Trad. letterale e noto per 01. Auronghi
> 0 60 Odissea ; canto I, Concilio degli Dei - Esortazione di Atena a
Telemaco. Traduzione letterale e note per Ol. Auronghi .L’Odissea tradotta da
Pimientonte, con note di X. Festa.> Platone. I dialoghi. Nuovo volgarizz. di
GL Me ini, con argoiuonti e note: Il Olitone, ossia dello azioni l in
ristampo,). L’Eutitxom, ossia del Santo. Apologia di Socrate.> Fedone, OEsìa
della immortalità dell’amiPft.> Il r elione. Ubala uuiiu mimui imiia ucii .
Il Critone; traduzione letterale italiana con riguurdo alla costruzione o noto
per DI. Auronghi.Apologia di Socrate; traduzione letterale, italiana con
riguardo alla costruzione e noto per 01. Aurenghi.v ..Fedro,Traduzione di
Martini. Il Convito. Traduzione di Martini. Senofonte. Anabasi 0 spedizione di
Ciro, traduzione di Aaibrosoli Mollnori Mi; Brani scelti di poemi omerici è
dólPErieide nelle migliori iitO/lllTt/ln! I Kt I r. i\ » biuuufiiuin immilli!
.. 1 Oi*j “* Crestomazia degli autori grooi e latini nelle migliori traduz.
italiane . lo ; Botiertl'G, La eloquenza greca. Vita ili Pericle. Epitomo,
nigonmuto © noto Vita di Usila. Apologia prr l uccisione di Eratostonn,
argomento e noto. Orazione contro Erntostono, argomento © noto Orazioni» contro
AvÀrnth nmninanfi. 1» nnit> — vii» ft’Tsn, AUMENTO. Carlo Alberto Diano.
Carlo Diano. Diano. Keywords: errante dalla ragione, emendato, il segno della
forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma,
segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Dicante: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Dicante. Refs.: Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dicante,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dicerco: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), a
Pythagorean. Dicerco. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Dicerco,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diconte: la ragione conversazioale e la setta di Caulonia -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Caulonia). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. Diconte.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diconte,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dima: la ragione conversazionale e la setta degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico a Pythagorean. Dima.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dima,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diocle: la ragione conversazionale e la a setta degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotona). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean – one of those who left Italy
when the Pythagorean communities there came under attack. According to Diogene Laerzio, a pupil of Filolao di
Crotona and Eurito di Taranto. Diocle. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diocle,” The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diocle: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico. Diocle. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
e Diocle,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice Diodoro: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower
of the Gardener. He committed suicide in a state of contentment and with a
clear conscience, according to Seneca. Diodoro.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diodoro,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoro: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes a
history of the world that largely survives. The Library of Hstory is a valuable
source of information about the thought of antiquity. Ed. C. H. Oldfather. Nome compiuto: Diodoro Secolo.
Diodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e
Diodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoro: la ragione conversazionale e la rettorica filosofica -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. According to Suda, a philosopher and the son of Polio Valerio. He wrote on rhetoric. Nome compiuto: Diodoro Valerio.
Diodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e
Diodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoto: la ragione conversazionale al portico di Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo
italiano. Member of the Porch, tutor of Cicerone. He lives in Cicerone’s house.
He dies there and leaves Cicerone all his
property. Diodoto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
e Diodoto,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Diogene: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofa italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. One of a deputation to Roma – with
Carneade and Critolao – before the Senate. Thanks to the lectures he gives
during his Roman holiday, many Romans became interested in the Porch for the
first time. Diogene. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diogene,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He appears
to have been a follower of The Garden with whom Cicerone was acquainted but for
hom he had little time or respect. Dione.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Cristostomo – Cocceiano – Taught at Rome, became a philosopher thanks
to the influence of Musonio Rufo. According to Flvio Filostrato, he was
acquainted with Apollonio and Eufrate. One of his pupils was Favorino. He was
banished from Italy by Domiziano. Dione.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma) Filosofo italiano. Philosopher. He was honoured
by a statue in Rome. Dione. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale all’isola – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A friend
of Plato for years. He had an erratic political career, sometimes seeking or
managing to rule Syracuse either directly or through others, sometimes in
exile. During one of his periods in exile he stayed at the Accademia. He was
eventually assassinated. Dione. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dione,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Dionigi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale intorno al
Cratilo – scuola di Barletta – filosofia barlettese – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo barlettese. Filosofo pugliese. Filosofo
italiano. Barletta, Puglia. Grice: I like Dionigi; for one, he wrote on
Cratylo, which I love! Grice: In
Platos Cratylo theres possibly all the vocabulary you need to understand
Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris! -- Postmodern Italians like
Donigi, and they created a cocktail in his honour! His philosophising on
Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheadss dictum
that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato!
Si laurea a Barletta. Il
suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come
ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e
Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica
che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx
("L'uomo e l'architetto). Il processo di ripensamento della sinistra
italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si accost poi alla
filosofia analitica e alla svolta "linguistica", vista come
approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si concentrano
sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico), sulla semiotica, segnatura,
semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il Cratilo di Platone) e soprattutto
sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions descrivere -- La fatica di descrivere.
Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale
condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come
la "cosa stessa" della filosofia. Cocktail Dionigi e un documentario
contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi,
tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao. Altre opere:
Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio
cervello di Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al
Cratilo di Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel
linguaggio della filosofia: Un filosofo tra Platone e il bar cf. Speranza, Grice: un filosofo tra
Aristotele e il pub. su ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The development
of Platos Cratilo. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica.
Cicerone e il Cratilo. -- Sulla
correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il
Cratilo un dialogo di Platone. In
esso trattato il problema del
linguaggio, o meglio, della correttezza -- dei nomi o espressioni. Protagonisti
del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte dei filosofi
concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto
periodo di mezzo di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo.
Formulazione del problema e delle due tesi sulla correttezza corretto
lo corretto di una espressione o
nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al
problema del correttodi una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle
teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e
per natura physei -- ossia rispecchia
realmente il reale; Ermogene crede invece che lespressione e non naturale, ma
arbitrario (lo naturale, physikos; larbitrario
thetikos --. deciso dalluso e dalla convenzione. Confutazione della tesi
di Ermogene: Una espressione racchiude in s qualcosa della cosa (il reale) a
cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando
che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa
della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene cio una qualche
caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo
dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso falso. Poich
lespressione (A, B) parte del discorso
(A e B, S e P), evidente che
lespressione utilizzata nel discorso vero deve essere corretta. Quella usata
nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso lespressione, il legislatore,
uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione all' idea o
concetto (implicatum) dellespressione, adattandolo poi a questa o quella
necessit descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore
crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa,
del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in
considerazione lespressione di di come Tantalo e Giove e viene parallelamente
sviluppato un eguale ragionamento sullespressione delle qualit dell'uomo, come
l' anima o il corpo. In seguito si passa ad analizzare il corretto
dellespresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga
sulle qualit morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base
al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa
disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che lespressione fino ad adesso
analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di
essere un compost (complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine:
quella degli elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, pi in
generale, lelemento morfo-sintattico che forma lespressione (Fido is hairy-coated,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated lespressione, deve infatti riprodurre
l'essenza della cosa, del reale, giacch
al reale che si riferisce. Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come
rho e lambda. Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate. Sostiene che una
espressione sempre giusta, corretta,
propria, vera, perch della stessa natura
delle cose che descrive. Una sbagliatura non
una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo.
Non possibile infatti dire che lespressione
e il reale a cui si riferisce siano la stessa cosa. Lespressione Fido is hairy
coated e il fatto che Fido is hairy coated e proprio hanno qualcosa in comune,
cos come un ritratto di Alcebiade racchiude qualcosa dAlcebiade che reproduce.
Tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo,
seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono
sbagliatura e lespressione corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista pu
nelle intenzioni riprodurre Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta
ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se luomo
conosce e apprende il reale attraverso lespressione, evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se lespressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cio se
lespressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, alladopere una espressione, non detto che avesse un'opinione giusta corretta
vera del reale. Il legislatore infatti non pot apprendere attraverso
lespressione, perch ancora non era stata inventata (cf. muon). possibile allora che abbia fatto dellerrore e
ci dimostrato dal fatto che una espressione
puo non essere corretta, giusta, vera
atomo, anima, ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso
lespressione, ma attraverso il reale; solo il reale puo non essere
contraddetto, mentre lespressione si presta a molteplici interpretazioni. La
possibilit di una conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto
dellespressione risiede nella stabilit del reale. Poich la natura stabile, e rimane sempre uguale, allora possibile denominarla con precisione. Cratilo
si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad
Ermogene. Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il
sofista, a partire dal italico Protagora, se l'uomo misura di tutte le cose, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. Lespressione
Fido is hairy-coated puramente arbitraria convenzionale. E possibile che non c' nulla
in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica). Tuttavia
l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso quest'accettazione
(arbitraria da parte del mittente) e si reputa corretto spiegare che Fido hairy-coated (shaggy). Tuttavia ugualmente
bene andrebbe lespressione "scoiattolo" o "cicala" giacch
non sussiste nessuna somiglianza tra lespressione (shaggy) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identit tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. Lespressione vera sempre,
perch racchiude in s la stessa natura che pervade il reale segnato per il segno
che e primariamente iconico. Ogni espressione
un indizio (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una conoscenza
meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno
giusto perch il primo legislatore a segnare il segnato fu come un do
che, essendo perfetto, assegna un segno (fa un segno significa) perfetti al segnato. Una
sbagliatura non e un segno; Non tutto e un segno --. Platone fonda la sua
concezione della communicazione sull'ontologia. Per Platone immediatamente evidente che esista un segnato
al di fuori del segno; il segnato stesso
a cui il segno si riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perch esista
una segnabilita. Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile
segnare, giacch non si dovrebbe indicare nulla con il segno, perch non ci
sarebbe nulla da indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una
teoria dellidea immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga
uguale ed inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilit. Pi volte
Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico.
La figura del legislatore la figura di
colui che adopera il segno per riferirsi al segnato. Si utilizza il termine legislatore
in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinit, secondo la
concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si visto come Socrate alla fine dubiti della
infallibilit del legislatore, poich egli ha assegnato anche un segno errato. La
figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio
elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori
del segno. Platone invece convinto che
la vera conoscenza sia al di l del segno, nell'essenza stessa del segnato. Se
il legislatore colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno
attribuire al segnato (H2O). Tale segno (H20) sar per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per
argomentare l'idea di arbitrariet del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da
Grice con il suo Deutero-Esperanto e il nuovo High-Way Code, il collegamento
tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (A segna che p no
implica p). Le idee sviluppate nel Cratilo, bench datate, storicamente sono
state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla
base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del
linguaggio. Prospettive sul concetto di verit (Il Melangolo), la concezione
platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame
naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley,
Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia
Ademollo, The Cratylus of Plato. A Commentary, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica
del linguaggio. Prospettive sul concetto di verit, Genova: Il Melangolo, Luigi
Speranza, Platone e il problema del linguaggio seminario. Lettura e commentario
di testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico.
Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo
greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus,
in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study
of Language and Information (CSLI), Universit di Stanford. Bibliografia su
Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate Critone
FedonePlato-raphael.jpg tetralogia Cratilo Teeteto Sofista Politico III
tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro tetralogia Alcibiade
primo Alcibiade secondo Ipparco Amanti V
tetralogiaTeage Carmide Lachete
Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia
Ippia maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La
Repubblica Timeo Crizia IX tetralogia Minosse Leggi Epinomide Lettere Opere
spurie Definizioni Sulla giustizia Sulla virt Demodoco Sisifo Erissia Assioco
AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Dialoghi platonici CRATILO VEL DE
RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS FICINO (si veda) ad Petrum Medicem uirum
clariimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem
nostr et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur.
HER. Cratylus hic Socrates, rebus
singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod quid
ex constitutione vocant, dum vocis su particulam quand pronunciat, sed rectam
rationem aliquam nomin et grcis et barbaris eand omnibus innatam. Percontor
itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero
quod nomen, inquam: Socratesait.Nnne cteris omnibus,inqu,id eft nomen quo
quenquocamus.Illen tibi tamen ait Hermogenes nomen et,nec eti i omnes homines
teita uocarint. Dumobfecro ut cicitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorus
declarat, sed me ludens, simulatee aliquid uerareanimo,quali nnihil hac de re
intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,ead dicere qu ipe
dicit. Quamobrem libenter ex te audirem, siqua ratione Cratyli uaticini potes
conjce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem
tibiplacet,audi rem. soc. Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur.
Pulchra ee cognit Prouerbia e difficilia.Atquiilla nomin notitia haud parua res
eft.Equidem i ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demontration iam olim
audiffem, in cuius traditione eti hc inerant, ut ipetetatur, nihil prohiberet
quin tu tatim nomin rectitudin intelligeres. cam porr nun audiui, fed
illamdrachmunius duntaxat. Quare quid in his uer it, necio,inueftigare autem
tecum imul &cum Cratylo paratus um.Quodautem dicit ti bi nonee reuera nomen
Hermogenes,quod lucro dicitur, mordetteputo
quai pecu niarum auidus is, et impos uoti. Verum,ut modo dicebam, dificilia hc
cognicu unt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum
ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero Socrates,licet frequenter cum hoc cr terisc
permultis iam diputauerim,nondum tamen peruaderimihi poteft ali ee no
minisrectitudinem, conuentionemipfam conenlionem.Mihi quid uidetur quod
cungnomen quis cuig imponit, id eerect.Aci rurus comutat,aliud imponit, ni
hilominus o primum, quod illi uccedit nomen rectexitere, quemadmoderuis no mina
cmutare solemus: nulli quippe rei natura nom inee,fed lege &uu illorum qui
fic uocare conueuerunt.Quod quidem i aliter e habet,paratus um non Cratylo tan tum,uerumeti quouis alio dicere
ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conideremusitap. quodcq imponit
quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ane'ita uidetur.
Soc. Et iue priuatus uocet, iue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero si iperem
aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego equum nomin, quem'ue
equum, homin: publice quidem erit eid homo nomen, pricatim equus, &priuatim
rurus homo, publice equus. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum num
aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifala. HER. Equidem. Soc. Nnne illa
quidem uera erit orario,hcatoratio fala: HER.Ita prorus. So c.Illa uero Qu
oratio oratio qu existentia dicit ut exitt, vera est,qu ut no exitt, falsa:
HER.Certe. soc. uera, qu Est autem hoc,oratione,ea qu unt, et qu non
unt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio qu uera et,utrum tota quidem eft
uera,partes non uerrher. Im&partes uer. soc. Vtr partes magn uer,exigu uero
particul fall,an uer unt omnes. HER. Omnes arbitror. soc.Habes orationispartem
aliqu minornominer HER.Nequa, Orationis hce pars minima.so c. Et NOMEN quid hoc
pars orationis uer.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais ipe.
HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma et nos ergonomen uer, et
nomen falum dicere, fiquid et orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq
nomen esse ait,id et cuiq; nomen eft? HER. Idipum. soc. An etiam quotcungquis
nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri buit HERM. Haud
equidem habeo Socrates, aliquam prter hanc nominis rectitudinem am rerum ipas
effe dinens, ut uidelicetliceat mihi quid alio rem uocare quodipfe
impouinomine,tibiay tem alio quod tuimpouifti. Ita equidem in ciuitatibus uideo
eorundem ppria qudam haberinomina, et Grcis ad alios Grcos, et Grcis ad
Barbaros. soc. Animaduerta. Mus Hermogenes,utrum resipilaita se habere
tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit,
quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagor minem
effemenuram, ita ut qualiamihiquq uidentur,talia et mihiint: item qualiad circa
eflenti big& tibi talia. An potius qudam ee putes, qu effenti u quand
habeant firmita rm.HER.QuandogSocrates,dubitansad hc deductusfum, qu tradit
Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi peruadeo.soc. Nunquid et ad hoc
aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem ee hominem omnino
malum: her. Non per louem.im fpenumero ita fum affectus,utexitimarem
hominesnonnullosomni nomalos effe, et quidem plurimos.soc. Prorus autem
boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Vii ergo unt aliqui.HER.
Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos ee,omnino prudtes:
prorus vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si
Protagoras uera dixit, eto hcipfa ueritas,ut qualia qu cuiq uidentur, talia int
fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes int,imprudentes al:HER.Nequaquam.soc.Atqui
hc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia qudam et
imprudentia fic,Protagor baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero
reuera prudtiorerit,fi qucuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita
eft.Atneqz Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus ee
imiliter ac emper.Nec enim ali boni, al mali effent,fiemper et nibuselle
que omnibus et uirtus ineffet et prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo
fineqom. militer, ac nia omnibus inunt emper ato imiliter,ne cuiq proprium
unumquodq, ctat res femper qu effentiam quandam firmam in fe habent,ne quo ad
nosne nobis per imaginationem urum deorfum ditract, fed fecundum feipras quoad
ipsarum elfen tiam ut natura institut sunt permanentes. HER. Idem mihi quoq
uidetur Socrates. soc.Vtrum res ips ita
natura conitunt, actiones autem illarum non ita, ed aliter: an et actiones ips
similiter qudam rerum species unt: HER. Et ipf omnino. soc. Ergo actiones ipf
secundum naturam uam, non ecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem
quampiam diuidere ftatuamus,utrum ic diuiddares qu que eft,utnos uolumus, et
quo uolumus: an potius i unumquodqs diuidamus ecun dum naturam qua diuidere et
diuidioportet, item eo quo ecundum naturam diuiio fieri debet,diuidemus utiqrecte,
et aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem
prternaturam,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur.
soc.Atqueetiam icomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem
comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam. hc autem et qua ratione
naturaliter quode comburi debet at comburere,& quo debet. HER. Vera hcfunt.
soc.Nnne eadem decteris ratio: HER. Eadem.Soc. Annon et dicere una qu dam
operationet: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ibi dicendum ui detur,
ita dicitran potius qui ita dicit,utipa rerum natura dicere dici requiritiet fi
quo natura exigit,eo et dicat,aliquid dicendo proficiet:in
aliter,aberrabic:nihils efficier. HER.Ita equidem utais,exitimo.soc.An non
dicendipars qudam est NOMINARE: et quinominant, loquuntur quodamodo?
HER.Omnino.soc. Et nominare actio qu dam eft: quando quidem et dicere actio
qudam circa res eft. HER.
Prorus. soc. A. Ationes autem nobis apparuerunthaud ad nos repicere, fed
propriam quandam ui ha bere naturam. Her. Est ita.so c.Nominand itaq; ea
ratione qua rerum ipsarum natu. ra nominare ac nominari poftulat, et quo
poftulat, n autem PRO NOSTR VOLVNTATIS ARBITRIO,liftandum est in his qu dicta
sunt. HER. Sic et.s o c. Ato ita aliquid per agemus, nominabimus, aliter uero
nequaquam. HER. Apparet. soc. Quod incidendum et, aliquo incidend. HER.
Aliquo.soc. Et quod texend, aliquo certe texend, quodue perforandum,aliquo
perforand. HER. Plane. soc. ltem quod nominand, aliquo nominandum. HER. Sic
oportet. soc. Quid illud, quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum. soc.
Quid quo texere: HER. Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Re HER. NOMEN. soc.
Beneloqueris, ideog intrumentum aliquod nomen eft. HER Ert Eft. soc. Si qurer
quod intrument et radiuspecten, reponderes quo teximus: HER.Non
aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen et stamina confusa,
radio dicernimus. HER. Ituc ipum.so c. Idem de terebro ac cteris repondebis:
HER. Idem.
soc. Potes et circa NOMEN similiter declarare, quid facimusdum nomine Nomen,
res ipso quod intrument et, aliquid NOMINAMVS (H. P. GRICE. I name).
HER. Nequeo. soc. Nquid docemus tias docen's inuicem aliquid, ac res ut sunt
discernimus. HER.Nempe.
soc. Nomen itaqrer ub di discernen Itantias docendi discernendig intrument et,
ficut pecten et radius ipe tel. HER. Sic diinftru eft dicend. soc. Radiusporr
textori et intrument. HER. Quid nir'. SOCR.Texcor mentum ica radio ac
pectinerecte uterur, recte, inqu, ecund texendiration. Ille uero quido cet,
nomine Pombaur, et recte, recte uidelicet ecund docendi propri ration: HER. Cer
te.soc. Cuius artificis operebene Pombaurtextor, quando radio pectine Pombaur:
HER. Fabrilignari. soc. Quique'nelignarius faber,an potius quiart habet? HER.Quiha.
betart.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiqz et faberrarius an potius quihabet artem: HER.Quiart. soc. Ageergo,dic
cuius opere ipe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Necio.soc. Allignare et
hocnecis: quis nobis tradit nomina quibus utimur. Her. Ignoro et hoc. soc. Nnne
lex tibi uidet nobis nomina statuisse HER. Videtur. soc. Ergo legislatoris
Pomba opere doctor,qudo nomine ipfo Pombaur. HER. Opinor.
soc. Cditor legis quilibet tibi que uidetur, an quiarte et prditus. HER. Arte
prditus. soc. Quaren cuiucunq uiri et Hermogenes NOMEN IMPONERE,uer cuiudam
nominautoris. hic autem etiam, ut videtur, NOMINVM INSTITVTOR, quirarior omni
artifice inter homines reperit. HER. Apparet. Soc. Animaduerte obecro, qu
repiciens NOMINVM INSTITVTOR, NOMINA REBVS IMPONIT:im uperior exempla djudica,
qu repiciens faber radium pecteng cficit. non nead tale aliquid quodad texendum
natura fit aptum: HER. Prorus. soc. Siin ipo operera dius hic frangatur, utrum
alium iter fabricabit ad fracti itius imaginan potius ad pe ciem ipfam
repiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus et,fecerat: HER. Adipam ut
arbitror, speciem.soc. Nn ne speciem ipfam merito ipius radij ration,ipum pra
dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siqudo oportet cficiend uetite
nuiuelcraiori lineiue lane,iue cuiuis alteriradi apparare, radios
singulosoportet peciem radj ipius habere:qualis uero cuiqznaturaliter et
accmodatiimus,talem ad opus peragend, VT NATVRA POSTVLAT, adhibere. HER.
Oportet an.soc.Eadem de ct ris intrumtis eftratio.Nam quod natura cui et
congruit; instrumentadinueniendum et,atq id illiattribuend,ex quo efficitno
qualecunq uult quifabricat, ed quale natu ra ipa exigit. Terebrum nam cui accommodatum cire
oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis
competentem in ligno. Her. Vera hc unt.soc.Quippeipfa rationenature alius
radius tel alteri competit, et in alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir
optime, ucillenominum inftitutor nomen Quom no natura rebus ingulis apt in
uocibus et fyllabis exprimat, ad id repicis quod ipum minabit qui nomen et,
ingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor et futurus. recte
nomi Quod inondem yllabis quiq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum
et, quod neq fabriomnesrar eodem in ferro id faciunt, quoties eiudem gratia
idem fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in
alio, et alio ferro,eatenus recte e habet intrumentum,iuehic,fiue apud Barbaros
fabrict. Nnne; HER. Maxime. soc.Nnne et eodem modo cenebis,donec intitutor no
minum quiapud nos et, et qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cpetentem tria
buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle un altero in nominibus
imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus et utrum conueniens radij
species cui cunqueligno fitimprear num faber qui efficit: an textor uurus. HER.
Probabile eft Socrates,magis e quiet
uurus, cognocere.soc. Quis lyr fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui
fabricantem intruere poteft, et opus recte'ne an ctra fact fit,iudia care: HER.
Omnino.soc.Quis ergo: HER.Citharita.soc.Quis autem opere tructo. ris naui. HER.
Gubernator.soc.Quis item nomin conditoris operioptime prides, bit, et explet
dijudicabit et apud Grcos et apud Barbaros: Nnne et quiute: HER. Is certe.so
c.Ann is et qui interrogare it HER. Ite. $ 0 c.Idem quog repondere, HER nabic
zi HER. Nempe. SOC. Eum uero qui interrogare cit ato repondere, aliumuocas i
diale Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita
opuset temonem facere guber impofita no natore prcipiente,li bonus futuruset
temo. HER. Apparet. soc.
Nominum quoq au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, i modo recte
ponenda unt nomina. HER. Vera int, necne hc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes
haud leue quiddam,utipfecenes,nominis impoitionem ee,ne id effe imperitorum
&quorumuis hominum opus.NempeCra tylus ura loquitur,cum nomina dicit natura
rebus competere, neg unum quemuis ea nominum autorem, sed illum duntaxat quiad
nomen repicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag peciem e literis yllabisq
inerere. Her. Necio Socrates qua ratione his qu dixiti,lit repugnand:
forte'uero non facile et ubito fic peruaderi. Videor autem mihi hc in modumtibi
potius aenurus,fi oftenderis quam dicasee natura rectano. minis rationem. soc.
Equidem beate Hermogenes,adhucnullam
dico, ferme'nama memoria excidic quod
dixer supr, meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem
mihi &tibi limul inueftigantibus hoc duntaxat prter uperiora compertet,
rectitudinem aliqu natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus
accommodare.Nnne: her.Valde.soc.Coniderandum retat, i noe deide. ras, qun ipius
it nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deidero equidem.soc. Animaduerte
igitur. HER. Quauia inuetigandmones. soc. Rectissima est amice, consideratio,ab
his qui cit hc perquirere,oblatis pecunis, et gratjs inuper actis:hi uero ophit
unt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, apis euafiffe ui
detur. Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliqu et fratrem upplex
ores, ut te doceat nomin rectitudinem quam
Protagora didicit. HER.Qum aburda hcel Veritas no, et petitio Socrates,
fi cum illam Protagor ueritatem nullomodo recipi,ea qu ex uc men cripci,ritate
illa dicuntur,alicuius prec timar.soc.Acuero i tibi hc non placent,ab Ho aut
ironic mero cteris poetis est dicendum. HER. Quid de nominibus, et ubi
Homerus Socrates,tradic:so c.Paimmulta,
maximauero et pulcherrimauntilla,in quibus diftin guitcirca eadem qu nomina
homines, &qu d ipfi inducunt. Annoncenfes ipum in his magnificum alquid et mirandumde
recta ratione nomin tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem
ipfam uti, qu natura conitunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij
uocant,recte eos admodum nominare. Verum qu nam ista: Soc. An ignoras quod de
Troiano flumine, quod ingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod
Xanthdijuocant, uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenes magnificum quiddam
cognitu eehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanth, quam Scamandr
nominare. Item fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem
quida ds, Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas, ut
fciat quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel
Batieam aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios
talia: Verum itarrerum inuentio acutius ingenium quam notr exigit. Scamandrius
aut &Altyanax quid ignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com
prehendi,facile et percipi potet,quam rectitudinem eeHomerusuelit in his nomini
bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,qu dico: HER.
Omnino.soc. Vcrum itorum nomin putasHomerum exitimae conuenire magis puero,
Atyanacta'ne,an Scamandri: HER. Ignoro. soc. Sicautem conidera:liquis te
interrogaret, utr putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus
apien. tes,reponderes uci apientiores.HER. Sic certe. soc.Vtrmulieresin urbibus
sapientiores ee tibi uiden, an uiri: quant ad genus attinet. HER. Viri.so c.
Necisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a mulieribus
Scamandri nuncu patum: quandoquidem uiri illum Atynacta uocare conueuert. Her.
Videtur, soc. Nnne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam mulieres eor
exitimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Atyanacta igiturrectius qum
Scamandrium nominatum - esse cenuit, HER.Apparet.SOCR. Animaduertamusquam ipe denominationishuius
cauam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipis cutatus et amplas mnia. Quapro
prer decet, ut uidetur, protectoris filium nominare &svavaxta, id est regem
urbis, urbis, in,eius, quam pater ipiuseruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem
mihi quocuider: Soc.Quod ac hoc maxime;porr &ipfe nondum
fatisintelligo, Hermogenes. Tu vero
percipis: HER. N perlouem.soc.Arqui et Hectori
boneuir,nomen ipfeHo meras impouit. HER. Quamobrem: soc.Quoni mihi uidet
id nomen Hector Atya sactieequamproximum: ferme'enim idem SIGNIFICANT, putanta
Grciutraq hcno mina regiaeffe. Cuiucun enim quis ava, id et rex extitit,eiufdem
eft et fxTue, id et potelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderec, et
habere.An forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomericientiam
circa nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia qudam attingere cfidebam: HER.
Nullo modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis.
SocR.Decet,utmihiuidetur, leonis fili leonem imiliter nominare, equi filium
equum haud certe dico, liquid tanquammontrum exequo nafcatur aliud quid dam qum
equus: fed cuius generis ecundum naturam et quod nacitur, hoc dico.Sies nim
bouis fecundum naturam filius equ gignit,non uitulus qui nacit, ed pullus equi
nus et nuncupndus.Et fi equus prter naturam gignit itulum,non pullus equinus di
cendus et hic,fed uitulus. Neqetiam i ex homine alia proles quam humana
producit, quodnaciturhomo uocari debet.Idemg et dearboribus,decteris omnib.
iudican dum.Probas hc: HER.Probo equidem. soc.Oberua me nequid defraudem. Eadem
quippe ratione,fiquis exrege nacitur, rex et nominandus: in alis uero et aljs
yllabis idemlignificari,nihil interet, neck referc iue addatur litera
aliqua,iue eti ubtrahatur, donec ESSENTIA REI SIGNIFICAT IN IPSO NOMINE
dominacur.HER. Qui itucais:'soc. Nihil mirum nouum ue dico, uer ita ut in
elementis fieri cernis, cis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero
elementa nequa, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonw, o fixpou et
whya. Cteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras,ut
Btte 4.7.c. nomina contituimus,atq;ita proferimus. Verum quo ug elementi ipius
uim declarat inerimus, conuenit nomen illud uocare ipum quod nobis fignificet
elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.c, nihil obftitit quin in tegro
nomine natura elementiilliusotenderetur, cuiusnominum autor uoluit:uquea deo
cite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui uideris.soc.Nnne ead derege ratio
erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cteris omnibus
fimiliter ex quolibet genere alter quiddam tale,nii montr fiat, eademq
dicendano: mina.Variare autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,qu
unteadem, ee di Gera. quemadmod pharmaca medicor coloribus &odoribusuariata
pe c eadem fint,nobis diuera uidentur: Medico at uim pharmacor conideranti eadem
iudican tur,ne eum additamta perturbant. Similiter forte qui et in nominibus
eruditus, uim illorum coniderat,neq; eius turbaiudicium, liqua litera addita
et, uel tranmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis ead uis
nominisreperitur.Vteanomina qu fupr diximus, Altyanax &Hector, liceras
omnino diueras,prter folum habent, idem ta menignificant. Item quod
&exmolis, id et,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communion cum
duobus uperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; unt alia, qu nihil
aliud quam regem SIGNIFICANT. Multa prterea unt, qu exercitus du cem
ignificant,ut ys, worm cedoOMG,.Alia item qu medicin profefforem declarant,ut
ictportas, a xecik @ poro. Alia permulta reperiri poflunt,fyllabis et literis
dicordantia, ui autem SIGNIFICATIONIS penitus cononantia. Sic ne et ipe putas,
an alia ter: HER. Sic certe.SOCR. His profecto qu fecundum naturam fiunt, eadem
tribu enda untnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero prter naturam hominesali
quifiunt in quadam fpecie monftri, uelut quum ex bono pioq uiroimpius
generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ortiri debet, ed eius in quo ipfe
eft generis:quem admodum upr diximus, i equusbouisprolem generet,non equum
eiusfilium,fedbo uem denominandum.HER. Sicet. Socr. Homini igitur impio ex pio
genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum. HER. Vera hc
unt.soc.Neque igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id et Dei
memorem, uel talem aliquem huiumo diuocarefilium talem decet, sed contraria
SIGNIFICANTIBVS NOMINIBVS appellare, i modo recte nomina intituta effe
debent.HER. Sic prorusagendum Socrates.
soc. Profe dio Oretinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoitum, fiue aliqua ors
illi nomen dedit, liue poeta quid, ferinam cius natur agret &moncan nomine
eo SIGNIFICANS. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ecundum
naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon, utibi
laborandceneat,to lerandum, &in ijs qudecreuit,per uirtutem perfeuerand. Argumentuerotoleran
ti u apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prbuit. Quod igitur mirabilisper
feuerantia uir hic fuerit, nomen ignificai Agamemnon, quali ayasos 967 oli
mrovlu. Fort uero et Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, et crudelitas
aduerus Thyeten,noxi perniciofumo illum demontrant.Vnde cognominatio parumperde
clinat, et clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his
autem qui no minum periti unt, atis Atrei ignificatio pater. Dicitur enim
ecundum erogs, afeger's atypw, quaiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq
fuerit. Videtur et Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe qu prope unt
uidentem,nomen itud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR.
Quoniam in Myrtilicde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus ppicere
quta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Qu enim antepedeserant, &ad
prsentia tantum respiciebat, hoc autem et prope apicere: quod et fecit, cum
Hippodami coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id
eft,prope,& ontos, quodad uiionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura
ipa uidetur impofitum, i uera unt qu circunferuntur. HER. Qunam ita: soc.
Quoduiuentiadhuc illi aduera plurima &grauia contige runt,tandem patria
eius omnis fubuera et. Defuncto prterea faxum in caput immi. net, ors certe
duriffima. hcproruscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to
you,id eft, inteliciim uoluiffet, fed paulo locutus obcurius, pro Talancato
Tantalum pouifler. Taleuti
nomen fortuna eius aduera iporumore gentium pr buie uidetur. Quinetiam patri
eius loui recte nomen et indicum,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio
qudam louis nomen, quod quidcm bifaij partientes,par tim una,partim altera
parte utimur. Quidamfive, quidamdia, uocani. Qupartes in unumcpofit, naturam
dei ipius oftendt, quodmaxiinedebernomen efhcere por e. Nulla enim nobis
cterisomnibus uiuendimagis caua et, quam princeps, rexo omni. Quapropter decens
nomen et hic Deus fortitus, per quem uita emper uiuent bus omnibus inet.Sectum
autem in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in di uidelicet ata awa. Hinc
Saturnifilium cum quis audiat, forte inolentem contumelioumpu tarit. Ver
probabile eft,magn cuiudam intelligenti piolem louem elle. Quod enin Hp -
dicitur,non puerum ignificat,ed puritatem mentisipfius, et fynceram integria
tem. Est aurem is opavo, id eft, cli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad upera
merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, qui
derebusiutli mibusagunt, puram mentem adeffe, et recevo, iure nomen
impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem, et
quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq cearem oftendere tibrecte
illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie pericul facerem,liquid ipa
proficiat peragator, et an deficiatnecne, qu mihi tam ubito ignoro equidem unde
nuper illuxit. HER.
Profecto mitttiden som Socrates
iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem, Hermogenes,hanc in me
apientiam ab Euclyphrone Pantij filio emanalie. Illi fiquidem atiti a matutino
affiduus,aures porrexi. Patet igitur eum deo plen non modo aures meas beata
apientia impleuile, uerumetiam animum occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut
hodie quidem utamur ipfa, et reliqua qu ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras
uero,fiin hoc conenerimus,excutiamuscam, expiemus, aliquem par
crutati,iuefacerdotem, feu ophitam qui purgare hc ualeat. HER. Probo hc
maxi. me Socrates. libentiime nang qu de nominibus retant, audirem. soc. Ira
prorus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiend iudicas,poftquam formulam
quandam prfcripfimus,ut pernocamusi eti nomina nobis ipa tetantur non cau
quodama. ata fuie,uerum rectitudinem
aliquam continere: Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent.
horum nang multa ecundum cognomenta maiorum pofita) unt, et fpe nequa conuenit,
quemadmod in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina
tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ, Itpinoy, alia
permulta.Talia itaq ) prtermittenda ceneo.decens econentaneumg maxime
reperire nos qu in rebus empio Lempiternis &natur ordine ctitutis recte unt
poita. Nam circa ita in
condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipornonnulla diuiniore
quadam poten ta humanaunt intituta. HER. Prclare mihi loqui uideris, Socrates.
soc.Nonne paretabipfisdjs incipere, rationem inuetigare qua bcos uocati unt:
Her.Nempe, soc.Equidem ita concio.Videnturutiq mihi Grcorum prici deos solos
putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbaror plurimiarbitrantur, solem,
luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hc omnia perpetuo in cursu esse
copicerent,ab hac natura moldatu f nominalle uidentur, deinde &alios
animaduerttes omneseodem nominenuncu pale. Habeoquod dico uerifimile aliquid,
nec'ne HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum: Contat de dmonibus
heroibus et hominibus qurendum ee, HER. Dedmonibus primum. soc. Proculdubio
Hermogenes.quidlibi uultdmo. nun nomen animaduertenum aliquid
dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit, HER.
Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin principio extitie? HER.Hoc
equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepot przentis uit fara fieri dmones
anctos,terretres,optimos,malor expullores,& cu licdes liominum.HCR. Quid
cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex auro contitut, ed
bonum atos prclarum.quod inde concio, genus noftrum fereum ee dicit. HER. Vera
narras. Soc. Annon putas iquis nunc ex notris bonus fc,aureihunc generis ab
Heliodo ftimari? HER.
Conentaneum et.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut
arbitror,eosdmones prcipuenup cupat,quia fapites d'ahuonts erant.Et ex
notraitud prica lingua nomen exitit. Qua obrem &is, et cteripoet
permultiprclare loquuntur, quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita
functus et, maximam dignitatem prmium ortitur,fic et d monecundum apienti
cognomentIca et ipfe affero dmuova, id et apientemom- nem efle hominem, quicung
itbonus, eum dmonicum effe,id et felicem,uiuenten acc defunct, recte dmonem ncupari.HER Videor.
mihi Socrates, in hoctecum s maxime
conentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequa inuentu difficile.paur lo
enim heroumnomen ab origineditac,indicans generationem illorum re WTO manae.
HER.Qua rationeid ais: soc. Anignoras emideos heroas effe: HER. Quid tum:
soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deor erga mulieres humanas, uel amore uirorum
erga deas untgeniti.Prtereai hocfecund pricam Acticorum linguam con
fideraueris, magis intelliges.reperies enim qud pauliper mutat et nominis
gratia ex UTO,undeunt heroes geniti: quod'ueaut hincheroum nomen et ducium,aut
ex eo qud fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, et ad interrogand
dierend promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut mododicebamus,Attica uoce
heroes the tores quidam, et diputatores et amatori uidentur. Vnderbetorum
ophitarum gee nusheroica prolesexitit. Verum n itud quidem difficile cognitu,im
illud obfcur, quamob cauam homines vbewmoi nominantur. habesipfe quid afferas:
HER. Vndeid habebone uir: Quin i reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo
qudtemo lius facilius quammereperturum pero.so c.In Euthyphronis inpiratione
confider se mihiuideris. HER.Abc dubio.soc. Ec merito quidem confidis.Nam belle
nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac pericul et nii caueam, nehodie apitior
quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea qudic. Hoc in primis circa nomina
animaduertere de serves cet, qud pe literas addimus, lepe ctiam demimus pro
arbitrio,dum nominamus, et a cuta penumero transmutamus, ut cum dicimus dicres:
hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, et pro acuta
fyllaba media, grauem pronciamus. Jn alijs quibudam literasintererimus,alia
uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc. Hoc et in vegen O
ctingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum et,uno a
excepto,grauiorig fine effecto.HER. Quomodo itud ais 's o c. Itak" hominis
nomen illud ignificat, quod ctera quidem animalia qu uident,non confide
rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem et uidet imul &contemu
platur,animaduertito quod uider. Hincmerito solus ex omnibus animtibus
homovrse @puro et nuncupatus, qualiaabeau contemplans,qu n WT5, id est, uidit.
Quid poft ce haqquram: Anuidelicet quodlibenter perciperem HER: Maxime.SOC.
Succede D teftas retatim uperioribusmihi uideturdeanima et corpore
cideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis funt. HER. Sine ctroueria. soc. Conemurhc
quem ad mod uperiora ditinguere. Qurendum primodeanima putas, utrecte Lux
nominata fuerit deindede corpore: HER: Equidem.soc.Vtigitur ubito exprimarn
quod primumm. hinunc e offert,arbitror illos qui icanimuocitarunt,hocpocillimum
cogitaffe, quod hc quoties adest
corpori, caula est illi uiuendi, repirandi,& refrigerandi uim exhibs: 9 et
cum primdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu
noni 21 naffeuidentur, quai awatzov, repirando refrigerans.Atuero, si placet,
fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos
quiEuthyphronem equtur,nm iftud quidem apernarenf,ut arbitror, et dur quidd ee
cenferent. ed uidean hoc ibi sit placitur.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud
animatibiuidetur corpus continae, uehere, et utuiuat et gradiatur efficerer HER.
Nil
aliud.soc. Annon Anaxagor ce dis,rerum naturam omnimente quadam et anima
exornari imul et contineri: HIR. Credo equidem.soc.Paret igitur eam potentia
nominare quelw.qu quan,naturan, oxa et xe, id eft uehit et continet.politius
autem fux profer.HER. Sicetomninoji detur et mihiitud artificiofius effe.soc.
Eft profecto.Ridiculum ac quia apparere, si ita ut pofitfuit, nominaret. Quod
uero pofthoc equi corpusnonne owua ncupis: HER.Certe.soc. Atquiuidemihiin
hocnominepauliper ab origine declinari. nen. pe corpushoc anim omua, sepulchr
quidam ee tradunt:qualiipfa prenti in tempo se ic epulta:ac etiam quia animaper
corpus omualvd,ignificat qucung ohelwa lign ficare potet.idcirco et rivec iure
uocari. VidenturmihiprtereaOrpheiectatores no mhocobid potiimpouiffe,q anima in
corpore hoc delictor det pnas, et hocci: cepto uallo claudatur,uelut in carcere
quod,utolor ferue. Effeitac uolunthoc ita utnominat,animou ce eruandigratia
clautr, quoad debita quQ expendar,neq literam aliqu adciendam putant. HER.
Dehis fatis dictum Socrates,arbitror.
Veri denominibusaliquor deorum poemus ne ita utdeloueactum et,coniderare,fecun
dum quam rectitudinnomina lint impoica: soc. Per Iouem nos quid imentem ha
beremus Hermogenes, precipurectitudinismodarbitraremur,faceri nihil nos de dijs
cognofcere,ne deipis inquam, neq deipornominibus quibus iplifeuocant. Con tar
enim illos quidem ueris enominibusnuncupare. Secund uero recte DENOMINATIONIS
modum exitimo, ut quem ad modlex in uotis ftatuit precarideos, quomodocung
nominarihis placet,ita et nos ipfos uocemus,tan nihil aliud cognoctes.Recte no,
utmihiuidetur,eft decret.Quare, li uis,ad hanc inuetigationpergamus,primo quid
djs prfati,nosnihilde iplis conideraturos: neq; enim poe confidimus:fed de
homini bus potius, qua potifim opinionecirca deosaffectinomina ipfis
intituerunt. Hoce diuina indignatione
procul.HER.Modete loquiuideris Socrates,
atqita prorfusa gendum.soc. Nnne Vesta fecundum legem incipiend. HER. Sicutim
decet. soc. Quaratione stav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile
iftud inuen 9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes PRIMI NOMINAM AVTORES non hebetes
quid fuisse, verum acuti fublimium rerum invetigatores HER. Quamobrem: soc.
Talium quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac i
quisperegrinaconlide. retnomina, nihil ominus quod ibiuult, unum quodq;
reperiret.quemadmodhocquod nos das, eentiam nominamus, quidam golov
nuncupant,alij wvia.Primo quidem ecundum alterum nomen itorum, haud procula
rationeuidetur rerum effentiam siav uocari. et quia nos quod efteffenti
particeps siav uocamus,ex hocrecte st poffet denominari.
Superioresnoftriquondam riav,tola uocabant.Quineti i quis facror
ritusanimaduerterit, exitimabit ic eosputae quihc pouert.Etenim ante deosom nes
Velt facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Vetam cognominarunt. Qui item
wola nominarunt,hifermeecund Heraclitum cenfuerc fluere omnia femper, nihilo
conitere.Cauam igitur et iporum originem ducem ipum wow, quod impel
lit.quaproptermerito ipum wola impellentcauam nominari. Dehis hactenusitalic dict,uelut
ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam at, de Rheaato Saturno conidera
reconuenit, quan de Saturninomine in uperioribus diximus.Forte'uero nihildico.
HER.Curnam Socrates: soc. O boneuir,
apienti quoddam examen animaduer ti. HER. Quale itud: soc. Ridiculum
dictu.habet tamen nonnihilprobabile. HER: Quid ais: et quo pacto probabile.so
c.Infpicere mihi Heraclitum uideor, i pridem a pienter nonnulla de Saturno Rhea
tradentem, qu et Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim
Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum iparum pro - ce greflum amnis
fluxuicompars, haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou
gas.HER.Vera hcunt.soc. An uidetur tibi ille ab Heraclito dientire, qui aliorum
a deorum progenitoribus ineruitRheam at Saturn:Nunquid putas temere illum no
mina itis impouie.Quin et Homerus Oceanum deorum originem intituit, et The tyn
genitricem.Idemouoluit,utarbitror, et Heiodus.Aitprterea Orpheus, Ocean primum
pulchrifluum ciugium inchoae, quicum Tethy germana eua commicuit. Vide maximehc inuicem cfonant,omnia in opinion
Heracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem
nomhaud fatis quid ibiuelit, in telligo. soc.Hocutiidem fermeignificar:quoniam
fontis nomet recondit.Nam doctons et xlsus,id et caturiens et traniliens,
fontis imaginem pr e ferunt, ex utrif queuero hice nominibusnomen tudcet
compoitum. HER. Hoc quidem bellii mum et
Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER.
Sicet.soc.Fratres autem eius dicamusNeptunum atq Pluton,nomeno aliud quo ipfum
uocant.HER.Prorus.soc. Videtur Neptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco
mooddy uocatusfuie, quia euntem ipum marisnatura detinuit,nec pro, grediultra
permitit,ed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ v uocauit,
quai qosideouov, id et pedum uincul.& uero decoris gratia forte adie ctum
fuit. Foritan n hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom
sids, id eftmultanofcens Deus,Fortais ab eo quod dicitur cdy, id eft
quatere,okwu ideft quatiens etnominatus, cuiw et d fuitadiect. Plutonem autem
quali zato, id et diuitiar datorem dicimus, quoniam diuiti ex terr uiceribus
eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, trite
tenebroum'ue. At hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuer quid fentis
Socrates. soc. Videnturmihi homines circa pottiam Deiiftiusmultifariam
errauie,eumg exhorruieemper,cum minime deceat. Porr qui ex hocpertimecit,qud
nemo poftquam defunctus et,hucredit, quod'ueanimanudata corpore, illucabit.
Cterum hcomnia et regnum et nomen h ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo
pacto: soc. Dicam quod fentio. Dic age. Vtr horualidiusuincul eft ad quoduis
animal alicubidetinend, neceitas'ne, an cupiditas? HER. Longe Socrates,prtat
cupiditas.soc.Ann plurimi,&dw quo tidie ubterfugerent,nii fortiimo uinculo
eos quiillucdecendunt, uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam
eos,utuidetur,potius neceffitate
deuincit, fi modouinculo nectitfortiimo.Her. Apparet.soc.Nnne rurus mult
cupiditates funt HER. Mult.so c.Ergo uehemtilimaoi cupiditate nectit eos,
fimododebet inolubilinodo conectere. HER. Certe.soc.Eft'neuehemtiorulla
cupiditas, ea qua quicrafficitur,dum
alicuius conuetudine meliorem feuirperat euadere: HER.Nul.. lamehercle Socrates.so
C. Hacdecaufa dicend Hermogenes, neminem hucillincuel lereuerti, nec eti
Syrenesipfas, im et eas et cterosomnes uauiimis Plutonis ora
tionibusdemulceri.t,utratio hctetat, deus is ophita proculdubio diertiimus et
ingentia confert his quipenes ipum habittbeneficia, qui u adeo diuits affatim
abundat, ut tantanobis bona uppeditet,unde et Pluto et nuncupatus. Ann philoo.
phitibiuidet officium, q nolithominibus corpora habentibus adhrere, sed tc dem
admittateos, canimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus:
Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detentur,i uirtutis eos aui
ditate uinciret. Eosautem quiftupore et infania corporis untinfecti,nepater
quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecum
tenere. HER.Nonni hil loquiuideris Socrates. soc.Longeabeft Hermogenes
utnom& dos, quali cudes id eft trifte tenebroum'uefit dict,imoab e
trahiturquod eft sid qvac, id et nole omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifte nomin
conditore &dys et ncupatus.HER.Quid pr terea dicimusde Cereris nomine,
Iunonis, Apollinis et Minerv,Vulcanig et Martis,cterorumdeorum: soc. Ceres
quidem dwuktor nuncupatur ab ipa alimentor largitione, quai didol pektyg,hoc
est exhibensmter. Kex uero, id et Iuno, quali fat, id eft amabilis,propter
amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ublimepectans quihoc nomen
intituit,aeram,spav denominauit, et obcurelocutus est, ponensin fine principi
quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronciaueris. DeflQKT say,id
et Proerpinam, et denmw nominare nnulliuerent, propterea qudillis ignota et
nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregvlw ipsam considerant,graue id
illis apparet. hocautde ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft qu
resfluentes attingit,& aequi poteft.Quamobrem gegraqemerito dea
hcnominaretur,propter fapientiam, et Encolu, id et contacta, qepomlis, id elt
eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhret illi apiens ipe des, quia
ipa talis et.Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes prolationis
gratiam ueritatem, utqepiqastav nomint. Idem quoq circa Apollinis nomen
accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preeferat.Ann
noti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocat,utarbitror,hu ius dei potentimaxime
cuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Null profecto
nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiet,
quod et cprehenderet omnes, et iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium,
medicinam, et sagittandi peritiam. HER. Aperias iam.Mirum quidd nomen effe id
ais.soc.Congrue quidem compoitet, cononat, utpote quod ad de um pertinet
muicum. Principio purgatio purificationes et ecundum medicinam,& ecundum
uaticinium,item qu medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones
expiationes, lauacra, et afperiones, unum hocintendunt, purum hominem et
corpore et anima reddere. HER. Sic omnino. soc. Nnnedeus qui purgat, ipse erit
aro awn et sp nwy,id eft abluensa malis, solvens,q Apollo ipfe SIGNIFICAT? HER.
Abque Tubio.soc. Quatenusitap diluitata soluit, uttali medicus, pnvwy merito
nuncupa tur. Secunda vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod
idem eft, recte more Thealicor nominarehunc poumus.hinempe omnes deum hunc mr
uoct. Quatenusatsi Boda wy, id eft emper iaculando arcu uehemens eft,s Badawy
dicipo tet,hoc et,perpetuus iaculator. Secundueromuicam, dehoc et cogitand
quemad modum de eo quod dicit et nrolo et
xomis,id eftpediequus,comes, et uxor, in qui. bus& ur et in
alijsmultis, idem quod imul ignificat.Hic quoq && znas ignificant uerfionem
qu imul et unaperagitur, quam cuerfionem dicamus.Ea in clis eft,qu per eos fit
quos snos uocamus:in cantu uero et quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia in his, uttraduntmuic et
atronomi periti,harmonia quad imulomnia cuertunt. Hicatdeusharmoni prfidet
omonwy,id eft fimuluertenshc omnia,& apuddeos et apud homines. Quemadmodum
igitoorkeudoy et Oxxosniv, id eft imuleuntem et imul iacent,uocauimus anonovlov
et KOITIY, o in ermutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat
&Mortondy, altero a interiecto, quia quiuo cfuietduro cum no mine.quod et
his temporib. upicati pleriq, ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertt,
perindehocmetuunt, ac si perniciem quand SIGNIFICARET. Sed reueranomen
hocomneshuiusdei uires cplectitur, quemadmodupra diximus. Significat elim
plicem,perpetuiaculatorem, expiator et conuertentem. Muar uero et muicno men,ab
eo quod dicitpes, id eft inquirere,indagatione et ftudio apienti tractelt.
agt,id et Latona, manuetudine dicit,quia fic edereuwy, id et prompta et
expofita et Tibens ad id quodpetit quiqs exhibend. Forte'uero ut peregriniuoct:multinamga,
t nomint, quod nomen tribuie uident,quia non rigida illi mens,ed mitis,ideo
agli, quali neopress,id eftmos lenis et mitis ab illo cognominat. opruis, id
est Diana, ex eo qud aprejs, quali integra modetaciz sit propter uirginitatis
election. Forit eti qua fiageplisoge,id eft uirtutis conci, uocauit nominis
inftitutor.Fortaffis eti dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft
quafiilla cgreum oderit uiricum muliere.Vel enim propterhor aliquid,uel
propteromnia huiumodinomen et intitut. HER: Quidue ro divvoos et espositor's
O.Magna petis Hipponici fili.Atqui etnomin ratio his djs inpoitor gemina,eria
uidelicet et iocoa.Seri quippe ab als qure,iocofam acni hil prohibetrecenere.
locoi fan et difunt: Dionyuso eft dids i ciroy id et uinida tor, qual tor,
quafi nobivuosioco quod cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s
quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati, oisdocevou exay, ideftmentem
habe rele putent. DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ed concedere propter ipfam
ex dogo, hoc et ex puma, generation opoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, Socra tes,Vulcana et Martem,cum fis
Athenilis,ilentio n prteribis. soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alter
quidem eius nomen quamobr it impofit, haud difficile dictu.HER.Quod: soc.
Pallad eam uocamus.HER. Plan.soc. NOMEN hoc cenendum et faltatione in bello ductum fuie.porro
uelfefe,uel aliud terra attolles re eu
manibusaliquid efferre,dicimus cmay, et wameat,id et uibrare,agitare et
agitari,& altare, et altationem perpeti. HER. Ablo controueria, Palladem
hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alter eiusnom quo pacto interpretaris: so c.
llwa quris: HER. Id ipsum. soc. Grauius hocamice: vident prisci blwaw exitimare,quemad, modum hiquihis
temporibusin Homeri interpretationibus unteruditi.Nam iftorum plurimi Homer
exponuntbwaw tano mentem cogitationemg finie. Et qui nomi na inuenit,tale
aliquid de illa fenfiffe uidetur,im etiam altius eam extolls,utDeimen tem
induxit, perinde ac fi diceret sleovu, hoc eftutens pro y externo quodam ritu, s uero et o
detrahens,fort'uero non ita, ed IGavnas, id eft,utpote qu diuina cogno cat,pr
cterisomnibus deoroli, id et diuina cognocent, uocauit.Neqab re erit,li di
xerimus uoluie illappellareeam klovlw, qualiipa in more intelligentia fit. Ipe
pot mod,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid
producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nomint:
so'c. Quidais:Num
ge neroum ipum pso- isog,id et luminisprfidem quris? HER.Hc quliffe uideor.
soc.Hic utcuiq patere poteft, quiso eft,& x ibiuendicat.Vnde igas id est,lu
minis prees etdictus.HER. Apparet: niitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An
neuideatur aliter de Marte, interroga.HER. Interrogo. soc. Siplacet, pys, id
eft Mars, dicitur fecund gger,id et macul, et av dogov,id et forte. Quineti fi
uolueris ob na turam quand aperam, duram atq inuict,immutabilem, quod totumgby
appella tur, ogy uocatum fuiffe, hoc quo et Deo penitusbellicoo cueniet. HER.
Prorus.Soi Deosiam mittamus per deos obsecro.Ndehis dierere uereor.Adalia uero
quecung uis,meprouoca,ut quales Euthyphronis equiunt, noueris. HER.Faciam
utpetis,i un deme qufiuero. meliquid Cratylus Hermogen ee negat. Inuetigemus
ita quid pus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri
hicloquit,uideamus.soc. quis, id et Mercurius, adermon pertinere uidetur,
quatenus gjelw rs eft, hoc et interpres et nuncius, furtius inloquendo
eductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto
quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ermonis et uus.Speuero
dehocHomerusait ukcal, id eft machinatuset. Ex utriq igitur no. men huius dei
componit,tum ex eo quod loquiet,tum ex eo quodmachinari et exco gitare dicenda,
perindeac i nominis autornobis prciperet: Paret, viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id
etloquimachinatus et, sipulw uoceris. Nos atarbitratiice legan tius eloqui,
guli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu, id et loqui, nomen habet,
propterea quod nuncia et. HER.Probemediusfidius Hermogen elleme Cratylus ne
gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes um.Soc. Conentane quoc
amice, wow biformem filium efle Mercur.HER.Qua rationer'soc. Scis qud fermo
# aw,id eftomne ignificat,circuit et uoluit emper,et geminus uerusuidelicetac
falsus: HER. Equidem. soc. Annon id quod et in ermoneuerum,leue eftat diuin, u
pra in dshabitans.Contr quod falum,infr in hominmultis,afper ato tragic:
Hincenim fabularum comenta et falfa et plurimacirca tragicam uitam
reperiunt.HER. Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft tot nuncians,
et s monasy, id et femper uolutans,7 dezros biformisMercurij filiusdiceret, ex
uperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aper atok
hircinus.Eftg Panuelipe ermo,uel ermo nis frater,fiquidem et Mercurij
filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum: Ce teri o beate, ut et
paulo ante rogab, ermonem dedshunc abrumpamus. HER. Ta. les quidem deos,li
uis,mittamuso Socrates, huiumodiuero qudam percurrere quid prohibet. Solem,
lunam, ftellas,terram, therem,aerem,ignem, aquam, ver et annum: D soc. Multa
funt acmagna qu poftulas. Sicamen gratum tibi futurum et,obfequar. HER.
Pergratum plane.soc. Quid primum pocis: an utipenarrabas in primis stov, id eft
folem; HER. Profecto.soc.Manifetius
id fore uidetur, li Dorico nomine quis uta tur. Dorici enim asoy uocant,ato ita
uocatur ecund &nizdv, id et ex eo quodcongre gat in unum homines,cum
exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id et emper
reuoluitur.Prterea quia uariat circuitu uo qu terra nacuntur. Variareautem et
duo. agy idem eft. HER. Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum: soc.Nomen
hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam pr se aliquid fert
antiquius, quod ille nuperdixit, quodluna fole lumen haurit. HER.Quo pactors o
coenas idem et quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy et
gvoy et id et nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam
circlutranseam con tinue renouatur, Vetusautem etmenis prteritilumen. HER.Vtig.
soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen
nouum acue tus emperhabet,merito uocarideberetadgurteoddam Nunc autem concio
uocabulo ahavice uocatur. HER. Dithyrambicum nomen hoc et, Socrates. Verum uave, id eftmenem:& spe
quomodo interpretaris. soc. Menis quidem vrs recteab vas. atroce, id
etminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero et sectic, id et corucationis co
gnomentum habent. Soekautem quia au o
ads avasosqe, ideft uium ad fe conuer. tit, nspon dici deberet, nunc
ccinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie et idap, id eft
ignis et aqua:' Soc. Ambigo equid,uideturg autMua meEuthyphronisdeeruie,
authocarduum quiddam effe. Aduerte obecro qu confu giam in omnibus qucunq
dubito. HER.
Quonam: soc. Dicam tibi.cis ipe qua ratio ne we nominat: HER. Non hercle.soc.
Vide quid dehoc upicer.Reor equidmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preertim
quiub Barbaris unt, habuie. HER. Quor um hc.soc.Siquis rectam itor impoitionem
fecundum grc uocem qurat,non ecundum eam qua et nomen inuent nimirum ambiget.
HER. Verifimile id quidem. soc. Vide ita nenomen hoc quebarbaricum it.neo enim
facile eft itud grc lin gu accomodare, contataita hocPhrygios nominare parum
quid declinantes, et . dwg et xuas,id eft canes, alia permulta. HER. Vera hc
sunt. soc. Ergo distrahereita nihil oportet, quandoquidem deipis nihil dicere
quiqu potet.Quapropter nomina illa ignis et aqu huncinmodum recio kzautic eft
dictus Hermogenes, quia qu circa terram unt, deed,id eteleuat.uel quia aega,
hoc eft emperfluit,uel quia eiusflu xu piritusconcitatur. Poet quippe flamina
aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTcow, agzow id et piritus
fluens, uel fluens flamen, dedica prterea fic exponendum arbitror, quoni a
dicirca g pwy, id eft emper currit circa aerem fluens, quocirca eddeks
dicipoteft.g aut, id et terra,planius fenum exprimit,igara dicatur. yaa enim
recte grkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nquod gazdan dicit,
genitum in re,inquit. Quid reftat deinceps. HER. Ver et annus, Socra tes. soc. Spore quid, id eftueris
temporaprica et Attica uoce dicendaunt,i uis quod conueniens et, cognocere. Hor
nanquocant, quia ief80, id et terminant hyemem atftatem uentosca et fructus ex
terra nafcentes. giveau tos at et nos, id eft annus,idem effe uidet. Quod e in
lumen uicilim educit,qucung nacunifiunto exterra,ipum in eipo examinat et
dicernit,annus eft: et ut upra louis nomen diximus in duo ect, ab aliquibus
Pav,ab alijs di uocari,ita et ann quidam giardy yocant, quia in eipo, quid quia
examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in eipo examinat.Vndeexo
ratieunanominaduo electa funt.qud e limuldicit,co giair tolov,id eft in eipo
examins, ditinctum dicitur griaunos, et 70s, id est annus. HER.
Atuero Socrates,iam longe
pgrederis.soc.Longiusequidin philoophia uideor euagari. HER. Quinim.
soc.Forte'magis ccedes. Her.Verum pofthancfpeci libentilime contplarer,qua
rationerectenomina ita prclara uirtutint impofira,ut ogrkas,id eft
prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's, iuftitia, ac reliqua huius
generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nomin ucitas, amice. Veruntamen
poto leonin pellem um in dutus,haud deterreridecet,im prclara ipfa,utais,nomina
prudenti,intelligenti, cogitationis citi cterorphuiumodicliderare.HER.Quin
profecto prius deitere nullo mododebemus.Soc. depolnmalemihide eo conijcere
uideor, quod modo coniderabam, antiquiflimos uidelicet illos nomin autores, ut
et fapienti noftrorum plurimis accidit,ob frequentem ipfam in rebus
perueftigandis reuolutionem, prter ceteros in cerebri vertiginem incidie:quo
factum puto utres ips proferri et vacillareil lis apparert.opinionis autem
huius caufam.haud interiorem uertiginem,ed exterior? cc ipfarum rer circuitum
arbitrtur:quas ita natura habere e putt, ut nihil in eis firmum. ZE et ftabile
fic,fed fluantomnesferanturo,& omnifariam agitentur, emper gignantur.PC et
defluant. Quod quidem in his nominibus, qu nuncrelata unt, conpicio. HERM. CC Quo
pacto Socrates.soc. Haudaduertiti superior nomina rebus qualidelatis,
fluentibus, et iugigenerationetranslatis impofita fuie: HERM.N atis
percepi.soc.Prins cipio quod primretulimus,ad aliquid huius generis attinet.
HERM. Qualeitud: soc. aprnois,id et prudtia eft,qops a govrous, id et lacionis
et fluxus animaduerio. Signi ficare quog potet,recipere vnou dops,id et
lationis utilitat.Tdem circa ipfam agita tionem ueratur. Quinetia liuis yvaus
id eft cogitatio fignificat govis vrnoip,id eft gene rationis cliderationem.you
c quippeciderare et. voxois autem, id eft intellectio, et rov ois,id eft
nouideideri.nouas uero res ee,ignificat eas fieri emper.atq hoc dei derare et
aggredi animum indicat qui nomillud inuenitvsotow. principio nang vsois,
ndicebatur,fed pro,duo se proferda erant,ut rebois, quafivov, id et noui
toisappe. titio et aggreio.ow poowy,id ettempertia illius quodmodo diximus
Opornotus, id et prudti, falus et coneruatio eft. udtskun,id et cientia, ab eo
quod inftar et fequit tra &tum et,quafi res fluentesolas animus perequatur,
intet et comitetur: at negexmo tra poterior,ne prcurioneicprior.Quare&
interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogimus,id eft ratiocinatio
qudam ee uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur
etiska. Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix, id eft fapitia,
agitationis eft tactus. Obcurius autem, et alieniushoc nobis. Verum animaduertendet in poetis,
quoties uolunt aduentantem aliquem et irruen tem exprimere,ovulo.id et
erupit,profiljjt,dicere.Quin et illuftricuidam apud Laced. moniosuiro nomen
erat os,id et prpes.Sic enim Lacedmones ccitationis impe tum indicant.
Qualiitaqomnia perferantur, huiusipiusagitationis, qu eo quod oos di
citur,ignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aophia demontrat..yglxid et
bonum cuiufqsnatur y sy,id eft mirabile,
amabile,delectabile ignificat.Enimuero potos fluuntomnia,partim celeritas,
partim tarditas inet.Eft igiturnon omneuelox, fed ipius aliquid y
soy.Quod quidayasov ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft
iutitia,quod xaiov oubsou idet iuti intelligentiam importet, facile conijcere
pol fumus. Quid autem ipum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem
huculoa multis quod dictum et cocellum,reliquum uero dubium. Etenim quicung
totum mobile arbitrantur, plurimum agitari ipum exitimt,per omnealiquid
permanare quo fingula fiant, quod'ue tenuilimum fit et uelociimum.Nec enim per
omniadicurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit obliterepenetrci,&
adeo uelox, ut cteris quafi tancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlaov,
id et dicurrens et permanans, merito dinglov eft appellat, x uno politioris
prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter
plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te dicdideiderio
flagranshc omnia perfcrutatus um,& in arcanis percepiquod hoc ipum iuftum
it, et caua.quo enim res ipf fiunt,hoc et caufa:proprie ita uocariitud debere
quipiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex.,
quiro quid ipfum iuftum it, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam
decet exigere, et caueam,utdicitur,uall upergredi.Satis enim femperrogaeme et
audi- Prouerbia ferepondent,meg uolentes explere alius aliud afferre
conantur,neo ultra coentiunt. Quidam ait iut hoc, folem effe.Sol quippe folem
dicurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam
qualiprclarum audierim, refero, ftatim ille meridet, qurito nunquid exiftimem
post solis occaum iuftnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille
fentiret,ipfum ait ignem iuft exitere.neqid cogni tu facile,
quarealius,inquit,nignem ipum ed ipum potius innatum ignicalor.Alius hc omnia
pro nihilo habet.ee enim iustamentem ill qu induxit Anaxagoras. Dominam certe
illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe
netrantem.Hic quidem amice in maior
ambiguitat fum prolapsus, qum antea dum nihil deiutitia clcicabar.Cter
utredeamus ad id cuiusgratia diputaus,nomillicale propter hc, quale diximus,eft
tribuc.her. Videris Socrates, ex aliquo
audie hc, nec ex tua officinaruditer deprompiffe. soc. Quid alia: HERM. Non
ita. soc. Atten de igitur; forte'nansin reliquis te deciperem, quali qu afferam
non audierim.Potiu ftitiam quid retare avdgay, id eft fortitudinnondum
peregimus.iniutitia faneobtacu lum eiuset quoddilcurrit per omnia, dvd pi in
pugnauerfatur.pugna in rebus fi quid fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius.
Quapropter fi quis d ubtraxerit ex nomine hocadipi,nomen quod reftat aveia,
opusipum declarat. constat plan qud non flu xus cuiuqz contrarius gom id et
fluxus,fortitudo eft,fed oppoficus illi quiprter iutum ficfluxui.Neqzenim
aliterfortitudo eet laudabilis. ew autem,ideft mas, et civip,uir imili quod ductorigin,cilicet ab vw gom,id et
urum fluxu.pusuero,id etmulier, quafi jov, id et fcunda et generatrix,biv,id
eft fmina.cn? Begrs, id et papilla dici tur,ox sacuideturHermogenes dici,quia
retrac, ideft germinare pullulareg facit,ut irrigans ea qu
irrigantur.HERM.Sicapparet, Socrates.SOCR.Idride,id et uirecere, adolecere,
florecere, augmentum iuuenum reprentat, quai uelox quiddam et fu bicum, quod
innuitille quinomen conflauit ex leiv, id et currere, et &Ma, id eft
faltare. Animaduertismeuelui extra curum delat,poftquplana ac peruia nactus um:
Mul ta quoqz uperunt qu ad eria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quoru
num eft utuideamus quid de xuwid et ars importet. HERM. Prorus.SOCR.Nonnehoc uu
v, id et habitum mentis otendit, i z demitur,intererifautomedi inter x et
v,& interv et nzovn: HERM. Aridenimi Socrates et inculte. soc. Anignoras
beateuir no mina uetera ditracta iam effe,atq cfua ermonis tragicitudiois,eleganti gratia ad
dentibus et fubtrahentibus literas,ac partim tporis diuturnitate, partim
exornationis& ftudio undiq peruertcibus ucecce in na rw,id eft fpeculo,
aburd eft ipliusaddi tament: Talia
certe,ut arbitror,facitquioris illecebras pluris timant ueritatem. Quamobr c
multanominibus ipis adiecerint,tdem effecert, utnemoiam nomindu fenfum
animaduertat.Quemadmoddum o qiz,id etmtrum quodd proferunt,ccl oqiya
pronunciare debert,ac cteramulta. Profecto fidareturcui arbitratu uo et de
mere& addere,magna utic eet licentia, et quodlibetnom cui rei unuquiq
tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ed enim mediocritatem quandam
aros decorum eruare te decet prsidem sapitem.HERM.Outinam.soc.Atqui& ipe,o
Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium dicuione, uir felix, exquiras, neuim
meam prorus exhaurias.Afcendam quippead upradictorum apicen: posto post artem
cli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationexcogitationemg olertem. Videtautem
li gnificare idem quodmultum pertingere et acdere.Componitur ergo ex his
duobus, pxos, id etlonge et multum, et dvey,id eft
acendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adummam dictorum
perueniendum eft, qurendum quid nomina ita significant, opeta, id est uirtus,
et xcxi,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere
uidetur.Nam uperioribusomnibus cononar,nempetanquam eancom nia:Kards sok,id et
male uadens:xari, id eft, prauitas erit. quarecum animamale adres ipfas
accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihcfa. culcas
inoshiq,id et timiditate patet, quam nondum declarauimus. prtermiimuse nim.
Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre. Multa inuper alia pr
terieuidemur. ddnc SIGNIFICAT durum anim uinculum.doms enim uinculum et.nian
uero forte quiddam durumg SIGNIFICAT quare timiditasuehemensacmaximum et ani m
uinculum: quemadmodum et exec,id et defectus inopia, dubium,malum quidd et,ac
fummatim quodcun progreus ipfius impedimentum,id male progredi uide tur
otendere,in ipa uidelicetmotione impediri at detineri. Quod cum animaubit,
prauitate plena dicit. Quod i illud prauitatis nomen talibus quibudam
cpecit,contra rium osti,id et uirtus ignificabit.In primis quid facil agilem
progreffum, deinde folutum et expedit anim bon impetum effe oportet.
Quamobrabloaz impedimto obtaculog s bov,id et emperfluens iure cognominari
poffet adgftn.fort uero et degerli
uocatquis, quia litaliftas ap&TUTTys,id eftmaxime eligend. Verum collio
uocabulo obetxdenominatur. Foritan mefingere dices:ego autem aero, imodo no men
illud prauitatis quod retuli,recte et inductum,recte quoc et itud uirtutis
nomen induci. HERM. Arranw,id eftmalum,per quod in uperioribusmulta dixiti,
quid ibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac inutu difficile. Icaq ad hoc
etiam machi namentum illud fuperiusafferam. HERM. Quid itud: SOCR. Barbaricum
quiddam et hoc esse dicam. HERM. Probeloquiuideris. soc. Cterum hciam fi placet
mittamus, nominauero ita menon et degev, id et pulchrum et turpe, conideremus.
Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum uperioribus conuenit.
uidetur quinomi na tatuit, paim agitationis impedimentum uituperare.utecce,s
igorri zion pouw, id eft femper impedientifluxum nomen dedit aegggow. Nuncuero
collidentes degsw appellant.HERM. Quid nonoy, id et pulchrum: soc.Hoc cognitu
difficilius, quanquam ip um ita deducitur,utharmoni duntaxat et longitudinis
gratia ipum it productum. HERM. Quo
pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum quoddam esse videtur. HERM. Quiitud
ais:'soc. Quam tu cauam appellationis rei cuiu cenes: an n quod nominatribuit:
Herm.Omnino.so c.Nnne causa hc cogitatio est veldeor, vel hominum,uel amborum:
HERM. Nempe.soc.Ergo xaroa,ideft quoduocatres, et kxav,idem accogitatio unt. HERM.Apparet.soc.
Qucunq mens et cogitatio a gunt,laudanda unt:qu non, uituperanda. HERM.
Prorus.soc. Quod medicin par. ticeps,medicin opera efficit:quod fabrilis
artis,fabrilia.Tu vero quid fentis? HERM. Idem. soc.Pulchrum ita pulchra. HERM.
Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM. Maxime. soc. Nomen ita @
hoc narv, id et pulchrum,merito erit pru denti cognomentum,talia qudam agencis,
qualia affirmantes pulchra ee,diligimus. HERM. Sicapparet. SOCR. Quid ultra
generis huius reftat invetigandum: HERM. Qu ad bonum et pulchrum
pectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum
contraria. soc. Quid
our popov,id et conferens it,ex uperioribus ip einuenies. Nam nominis illius
quodad cientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim pr e ferc aliud
quam qopav,id et lationem anim imul cum rebus, qu ue hinc proueniunt,uocari
orredoporre et ovu qopa, id et conferentia,ex eo quod fimul
circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem, id eft emolumentum: 7 koe
dos, id et lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult
exprimit. N bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id et
micetur diffuum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud excogitauit
pro vap ponens, ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id eft utile
soc.Vides tur Hermogenes,non icut
cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despax, id et
umptusuitat et minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq
permittit lationem rao-, id eft finem progreionis accipere at ceffare: ed
oluitfemper ab illa fugat,fi quis terminusfuperueniat, ipfams indeinentem immor
talemg prbet.hac rationebonum avame18yuocat arbitror.ipum enim motionis a ou do
ro, id eft foluens terminum,avandou uocari uidetur.conomoy uero, id et con
ducibileperegrinum nomet, quo penumero Homerus et uus. Eftaut hocaugen
difaciendio cognomtum.Her.Quid de hor contrarijs et dicendrsoc. Qu per
negationem itorum dicuntur,tractarenequaquam oportet. HER. Qun itar'sOc.co.uk
gogov,kiw deres davands, axopdes. HERM.Vera loqueris. soc. Sed Brabopov et yuso
s, id eft noxium et damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how
effe dicit,id et quod uult& nav, id etimpedire et coercere:pu id eft
fluxum:hocautem passim uituperat:quod uultanlay gp pouw, recte bonomopou
appellaret. uerum ornatus gratia Brabopn arbitrornominat. HERM.Varia
tibifuboritur, Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladi
legispraeludi quodd prcinuie,dum no men Bracoitopy pronunciares. so. Nego in
caua um Hermogenes,fed quinomip um intituerunt. HERM. Vera loqueris. Verum
Caudoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: et uide uere
loquar,quoties dico quod addtes ac de mtes literas lge nomin enum uariant,adeo
ut pe exigu quidmutantes, ctraria SIGNIFICATIONEM inducant quod apparethoc in
nomine dear,id et opportun. uenithocnu permihiin mtem deeo quod di& urus um
cogitanti.Recs et profecto uoxnobispul chra illa,coegit ctrarium onare nobis
d'top et {mps&d ov, fenum ipum cfundens.Ve tus autem quid nomen utrung
uulc, explicat. HERM. Qui iftucais: soc.Dicam equi. dem.haud prteritmaiores
notrosfrequentero et d utiolitos,necrariusmulieres,qu maximepricam uocem
feruant.Nunc autem pro uelipfum et uelx adhibent, produe. ro (quali
hcmagnificentius quiddam onent. HERM. Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiimiuiriin
op'a diem uocabant,pofteriores autem partim uopov,partim su'pow,co cant.
HERM.Vera hc funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius
quinomen impouit declarari.Nam ex eo quod imeipzory, id et deiderantibus homini
bus gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap
paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ibiuelit suopa,nequaquam
intelli. gas.quanquam arbitrantur nnullispopov dici,quod kuopa,id eftmueta qug
efficiat. HERM. Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyv,id eft iugum,
dvozov uocaui fe. HERM. Plan. soc. Enimuero luzw nihil aperit. at
d'voyou,divoiy dywylw,id et duori conductionem ligandi imul
gratia,monftrat.Idem eftdemultis alijs iudicand. HER. Patet.soc.Eadem rationediopita
pronunciatum ctrarium nominum omni qu ad bonum pectant otendit.porro bonipecies
exitens,dondeous,id eft uinculum quod dam et impedimtum proceionis effe uidet,
tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet,
Socrates.Soc.Verum nicin nomineueteri, quod ueriimilius etrecte intitutum
fuiffe, qum noftrum. Nempe cum uperioribus bonis conenties,fi pro 4,1 uetus
retituas.Nec enim deby;ed toy bonum illud ignificat,quod emper nominlaudat
inuentor: At ita fecipendiidet, imad idem pectat,d'ion, quali , , , , , , ,
ideft facile ad pro, greffum.uniuer hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia
penetrs, omniaq pe rornans,id ubiq laudat: qd uero obftat et detinet,
improbata. Quineti nominehoc {Butds,liyeter mored profpoueris,apparebit tibinomen
itud disutis boy, id eft li ganti fiftenti quod pergit,impofitum.unde et Musdes
cognominandum et. Herm. Quid dura,nmy, uslupia,uoluptas cilicet,dolor,
cupiditas, Socrates, et huius generis reliqua: soc.Haudnimis obcura mihi
uidentur Hermogenes, idbvi,id et uoluptas lir quidem actionis illiusnomen et,
qu advgay, id et utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo
quod et sova,dova proferatur.Ajax, id eftdolor, Stans Gews,id etdiolutione
corporis trahi uidetur.Nam in huiumodi paflione corpus diffol uitur.xvc, id et
trititia, quod impeditigio,id eft ire,demonftrat.& aguda, id eft crucia
tus,peregrinum nomen uidetur,ab ngdv dictum.duig,id eft dolor et afflictio,ab
gdl Oews,id eft ingreionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Crigol, id
eftmoe ror languor,lationis grauedinem tarditatemg ignificat. xto enim
onuselt.ioy uero pergens.xapod uero,id et ltitia gaudium, diazrews, id eft
profuione, et progias, id eft facilitate,poas, id et motionis anim, dicitur.
Tosalesid et delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur. Topavoy
autem trom,id eft inpiratione
delectationis in anim Quaremerito uocaretur garv,id et inpirans. Temporis autem
interuallo ad Top Arvo deuentum et.cuqpoouis,id ethilaritas et alacritas, quam
ob cauam dicatur,aignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod
dicitur e, id et bene. oum @ opeally id eft unaequi qualidicat animabeneres
affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus. Sed neg
difficile est assignare quid sgutta, id etcupidi. tas ibiuelit.Nomen
quippehocuim tendentem in Ovuoy, id est animam et iram et fu rorem oftendit.
Ovus autem loews& toews,id eft
flagrantia, feruore,& impetu anim. proindeiupo,id eft fuauis et
blandaperfuio,dicitur,jm,id et fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim
quodiulio ga,ideft incitatusrerumgappetens fluit,animam
uehementerattrahitpropter impetum iue incitamrum fluxus.ab hac tota uiHimeros
et nuncupatus.Prterea Pothos uocatur,id et deiderium, quod fane prfentem fuaui
tatem n repicit, quemadmod iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturquali
wvrG,id eft abentis ccupicentia.Idem ipe in id quod gratet animinixus,pr ente
co quod cupitur iuopo,abente wlo denominatur. iews autem, id et amor, quia
doga,id eft influit extrinecus,neg propria et habti gas,id et fluxio ilta,fed
infua per oculos. Quapropterabcogar,id et influere,opo, id eft influctio, amor
ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem pwsdicitur,wproo
interpoito. Ve. rum quid deinceps coniderandum prcipis? HERM. dlf, id eft
opinio, et talia qud, undenomen habentisoc.dke,uel diwa,id etperecutione dicit, qua pergit et
pro equituranima, conditionem rerum inueftigans:uel tfo Borm,id eft arcus
iactu. uides turautem hinc potiusdependere. oinois, id eft exitimatio,huic
confonat. oftendit quip pecioiy,id et ingreum animin unumquod coniderandum,
oioy,id et quale fic:qu admodum et bons,id eft uoluntas a Bor,id et iactu
dicitur: et Bns, id et uelle, pro pter ipum attingendinixum ignificat
etiamlis,id et cupere:& Bonbuch, id et cu lere. Omnia h copinionem
fequentia,Boras ipfius, id et iactus et nixus imagines ee uidentur.quemadmodum
contrarium, et boni, id et priuatio uoluntatis,defectusquid conequendiimpos
apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit,
inueftigat,adipicatur.HERM.Frequentiora hc congerere uideris, Socrates. Quare finis iam fic fauence deo.
Volo tamen adhuc, vyxlu et Exonoy,id et necearium et uo luntarium declarari.
Nempe uperioribusilta uccedunt.socRxozoy equidem eft si noy,id etcedensneg
renitens, hoc fiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id et ces denseunti,
quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id et necearium et obfi
tens,cum prter uoluntatem it,circa errorem infcitiam uerabitur decribiturautem
ex proceu ecundum neceitatem, quoniam in uia apera dena inceffum prohibent.
Vndeavaysazov dictum et,quali per et yroscop,id et per uall uads.Quou uero
uiget robur,ne deeramus. Quamobr interrogaamabo, ne deitas. HERM. Ecce rogo qu
maxima unt et pulcherrima: aksaa,id eft ueritatem, et fordo,id eftmendacium, et
y,id eft ens, et quareid quodehicagimus,voua,id eft nomen, dicitur. SOCR. Quid
vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo
conflatum, quo dicicurv, id et ens esse,cuiusnomen inquiitio et. Quod clarius
certe comprehendes in eo quod dicimus vojasy, id et nominandum. hic enim
exprimitur nomen quid it, entisuidelicet inquiitio. &ikba uero ficut et
alia componiuider.Nam diuina entislatio, nomine hoc includitur, ankd, quai
exitensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium motionis. Rurushic
uurpatur agitationis obstaculum, quod'ue itere cogit. Nam reboudw, id et dormio dicitur. 4 uero
adiectum enum nominis occulicouuero et Xoia, id estens et essentia,cum et rx66,
id etueritate, congruunt: fic apponatur.namrov, id elt uadens ignificat.Atdrv
id et non ens,quidam nominant xxcov, id et non uadens. HERM. Hcmihiuideris, 6
Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturqu fitrecta
itorum interpretatio, qu di cuntur ov, id et uadens:gov, id eft fluens,doww,id
et ligansac detinens, quid illi potii. mum repondebimus: habes'ne: Socr. Habeo
equidem.profecto nuper uccurrit no bis aliquid, cuiusreponione quicquam
uideamur afferre. HERM. Quale itud: soc. Viquodminime cognocimus, barbaricum ee
dicamus. fort enim partim reuera talia unt: forte'uero partim, ac prertim
nomina prima,temporum confuione infcru. tabilia.Etenim cum paflim uocabula
ditrahantur, nihilmirum eet i pricalingua cum
notra collatanihilo barbarica
uoce differret. HERM.haud alienum et ratione quod a dicis. Socr. Conentanea
quidem affero, non tamen idcirco certamen excuationem uidetur admittere.Sed
conemur hc diquirere, ato ita conideremus: fiquis femper uerbailla per qunomen
dicitur, qureret,rurus illa per qu dicuntur uerba, cici taretur, pergeretob ita
perquirere, non'ne qui refpondet, defatigari tandem et renuere cogeretur: HERM.
Mihiane'uidetur. SOCR. Quando ita quireponum denegar, merito ceabit: An non
poftquam ad nominailla peruenerit, qu cterorum unt& ermonum et nominum elementarHcutio
fi elementa funt,ex alsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum upra
et yaly,id et bon diximus, ex y s, id
etiucundo amabilio, et 805,id eftueloci compofitum.gooy rurus ex alijs conftare
di cemus,illa ex alijs. ed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex
alisnominibusno cotituitur,merito nosad element peruenife dicemus,nec
ulteriusbocin alia nomina, referendum. HERM. Scite mihiloquiuideris.soc. Annon
ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina elemta funt oportet rectam
illorrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id
quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hcredacta
uidentur:ac i ita e res habet, ut mihiuidetur, rurusage hic unamecum conidera,
neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM.
Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc. Arbitror equidem in hoc
tecentire,unam efferectam et primi& ultiminominisrationem, nul lum illorum
eo quod nomen est, ab alio dicrepare. HERM. Maxime.so c.Etenim om 2 nium qu upr
retulimusnominum recta ratio in hoc cticit, ut qualis qu res litin 7)
dicaretur. HERM. Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori.
bus competere debet sinomina fucura sunt. HERM. Prorus.so-c.Atquipoteriora no.
minaper priora hocefficere poterant. HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia
n prcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendt, i nomina effe debet:
Adhoc mihireponde. iuoce et lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara
re,nonneperindeac nuncmuti, manibus capite et cterismembris ignificare tenta
uiemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supern quippiam ac leue
demonftraturi, clum uerusmanum extuliffemus, ipam rei naturam imitantes:
inferiora uero et grauia deiectione quad humiinnuillemus. quineti currentem
equuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad
illorum imilitudi nem quam proximequio finxiet. Herm. Necelari quod ais
eemihiuidetur.soc. Huncinmodutarbitror his corporis partibus ostensum eet,
corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc.
Postqu uero uoce, lingua, et ore declarare uoluimus, nnne ita demum per
hcotenio fiet,li per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio: HERM. Necearium puto.
soc.Nomen itaq et, urapparet, imitatio uocis, qua quiquis aliquid imitatur,per
uocem imitat et nominat. HER. Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte
dictum existimo. HERM.Quamobr: Soc. Quoniam hos oui et gallorum cterorum
animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem qu imitantur. HERM.Vera
loqueris. SOCR.Decereid cenes: HERM. Nequaquam sed qunam Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non
talisimi. tatio qualis qu permuicam fit,quamuis uoce fiat,nec eti eorundem
quorum et mu. fica imitatio et,nec enim permuicam imitationem nominare uidemur.
Dico aut ic: Adetrebusuox et figura color plurimus. HERM.
Omnino.soc.Videturmihiiquis hcimitetur,neq circa imitationes iftas
nominandifacultas cfiftere. hfiquidem unt partim muica, partim uero
pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia ee cuiq putas,
quemadmod colori et cteris qu upr diximus: an n inet coloriacuocieentia
qudam,& alijs omnibus qucunc essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi
quidem uidetur. soc. Siquis cuiu eentiam imitari literisfylla. bisc
ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM. Maximequidem. Soci Quem hunc
ee dices: uperiores quidem partim muicum,partim pictorem cognomi nabas,hcuero
quomodouocabis? HERM. Videturhicmihi Socrates quem iamdiu qurimus
nominandiautor. soc. Siuerum hoc et,coniderandum iam denominibus illis qu tu exigebas,
pess, idet fluxu,igra,id et ire, goews, id et detentione,utrumli teris yllabis
luis reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm.Prorus. soc. Ageuidea musnunquid
hcola primanominaint,an fint et alia prterhc. HER.Alia equidem arbitror. Soc.
Consentaneum est cterum quis ditinguendimodusunde imitari incir pitimitator:
Nnne qudoquidem literis ac yllabis eenti fit IMITATIO, prta tprimu elementa
distinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam, elementorum primo uires
ditinguunt, deinde syllabarum tanium, rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri
usnequaquam. HERM. Vtiq.soc.Annon ita et nos primo oportet literas VOCALES
distinguere, poftea reliquas ecundum pecies, mutas et SEMI-VOCALES. Ita enim in
his erudi ti uiri loquuntur.acrurus uocales quidem,non tamen emiuocales, et
ipar uocalium pecies inuicem differentes. Etpoftquam bcbene omnia
dicreuerimus,rurus induce, renomina,coniderareg i untin qu omnia referuntur,
quemadmodum elementa,ex quibuscognocere licet& ipfa, et fi in ipis pecies
continentureodem modo ficutiner lementis. His omnibusdiligenter cogitatis,Icire
oportet afferre secdum fimilitudinem unumquod, iueunum uniit admouendum, eu
mulc inuicem commicenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere,
interdum purpureum duntaxat color adhi bent,interdum quemuis alium colorem,
quandoque multos conmiscent,ueluti cum imaginem viri quam similimam effingere
volunt, vel aliud quiddam huiusmodi, quatenus ima goqueo certis coloribus
indiget. haud ecus et noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq
egere maxime uideatur:oumbona , id et coniecta conficiemus, quas yllabasuocant.
Quas ubiiunxerimus, ex eis nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac
uerbismagnum iam quiddam et pulchrum et integrum contrue mus:& quemadmodum
totum ipum compoitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegr;
orationem uel nominandi peritia,uel rhetorica fbricatam,uel alia quauis qu id
efficiatarte.Imno nos itudagemus.modnam loquendo trangref fus fum, quippe
ueteres ita conflarunt,fi ita et contitutum. Nosautem oportet,fimodo artificiofe
conideraturiumus,ipa omnia fic ditinguentes, fiue ut conuenit primano mina et
pofteriora int poita,iue non,ita excogitare.Aliter autem cnectere uidend eft
amice Hermogenes,ne forte it error.Her. Forte per louem Socrates. soc. Nun quid ipfe cfidis ita te posse
ditinguere: Ego enim mepoe diffido. HE.Multo igitur magis ipe
diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et i pa rum
quid horum noe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfupr,dis prfati:ucq illis
ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones homindeillis concere:ita et ncper
gamusnobiipi imiliter prdicentes, quod fi quam optime ditinguenda hc fuiffent,
uel ab alio quopiam,uela nobis,ic certe ditinguereoportuiet: nuncautem,ut
fertur, puiribus ifta nostractare decebit. Admittishc'uel quid ais.HER. Sic
prorusopinor. soc. Ridiculum uium iri
Hermogenes, arbitror, quod res ipf imitatione per literas fyllabas a
factamanifeta fit. Necearium tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod
repicientes deueritate primorum nomin iudicemus:nii forte quemad modum
Tragiciquoties ambigunt, cmentiris quibudam machinamentis ad deosco fugiunt,ita
et nos ocyusrem expediamus,dicentes deos prima nomina pouie, et idcir corecte
intituta fuie.nunquid potiimusnobis hic fermoran ille, quod ipa a barbaris
quibudam accepimus: Nobis quippe antiquiores untbarbari,uelqud ob uetuftatem
ita ea dicerninequeuntut et barbara: Tergiuerationesh unt, et belliim quidem,
illorum quicunq nolint derecta impoitione primorum nomin reddere rationem. Ete
nim quiquis rectam primor nominum rationem ignorat, equentium cognocerene
quit.hcporr ex illis declaranda unt,illa aut is ignorat. quin potius neceffe
eft fequ tium peritiam profitentem,multo prius et abfolutius antecedentia
comprehendiffe, por feq otendere, aliter autem ciredebet fe in sequentibus
deliratur.an aliter ipe confess HER.Haud aliter Socrates. soc. Qu ego
enideprimis nominibus, inolentia ridicu lag admodum ee mihiuidentur,ea tec, i
uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius inueneris,mecum et ipe comunica. HER. Efficiam.fed
diciam forti animo. soc.Princi pio ipum g uelut inftrumentum omnismotusee
uidetur. Curautem motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors, id
eftitio ee uult.Non enim quondam, fedeutebamur.principiaut ab liay, id etire,
quodperegrinum nomen eft,& igra,id etire ignificat.Quare fi pricum
eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum, recte i'eois APPELLABITVR. Nc
autem ab kiau nomineperegrino, et ipfiusy conmutatione, et vipius
interpofitione livyoisnuncupatur. Oportebat autem sidingoy uel any dicere.
sas,id eft ftatio,negatio ipfius iga, id eft ire ele uult, ed ornatuscaufa sas
denomi natur.Element itaq ipum qopportunm motus intrumentum, ut modo diceb,uium
et nominum autori ad ipfam lationis fimilitudin exprimend: paflim itaggad motus
expreion utitur.In primo quidem ipo jau et go, id etfluere, fluxu per
literampla tion imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya apero.item in
uerbis huiufmodi, kdy percutere,&gaver uulnerare, ordy trahere, @ gndu
frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pu du uacillare, irritare, et
circumuerare. Hcomnia ut plurimperp ad similitudinem motionis effingit. Mitto
enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius
cocitatur. Quocirca ad itor expreione iplo s potiim uus fuiffe uider. Vfus eft
&, scilicetiota, ad tenuia qu per omniamaximepenetran tia.idcirco igra et
icadou, id eft ireprogredi per o imitatur. Quadmod per 4.0, qu E liter
uehementioris fpiritus unt, talia qudam nominum autor exprimit, fuzew frigt
dum, (soy feruens, osoatare concuti, et communiter aconoy, concuion
quaffationem: quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult
nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipiusd cpreionem
aco, lingu et uelut ha. rentis retractionem, peropportun exitimae
uideturaduinculi&ftationis potenti exprimendam. Etquia in a proferendo
maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit
nga, id et lenia et rcdaerah labi, et noMdeslie quidum,Ascrapov pingue, ctera
huiumodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy
lubricum, gauxudulce, yrdes uicoum, luculentum. Animaduertens quo&ipfius v
onum imoin gutture detineri, eo nominauit so vdby et te gutos, id etd intus et,
et qu intrinfecusunt, utres per literas reprentarer.Ipum uero w,meyer@,id et
magno tribuit &ipum % ukus,id et longitudini, quoniamma. gnliter unt.in
nomineautem spozzinoy, id eft rotundum,ipfo o indigens, o ut pluri mummicuit.
Eadem ratione ctera ecundum literas ac yllabas rebus ingulis accom modare
uidetur nominum autor,ignnomenocontitus,ex his deinde pecies iamre liquas per
imilitudinem contituere. Hc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio,
nii quid aliud Cratylus hic afferat. HER. Etenim Socrates, fpemeturbat Craty lus hic, uc principio dixi,dum ee quand afferit rectam
nomin rationem, qu uero sit, non explicat, utdicernere nequeam utrum de
indutria, nec'ne adefit obcurus. In prentia igitur Cratyle,coram Socrate dicas, utrum placeant
ea tibi qu Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre
poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate dicas,uel nos ambos
erudias. CRAT. Videtur netibi Hermoge nes facile ee tam breui percipere quoduis
atque docere,nedum rem tantam, qu maxi mum quid demaximis stimatur. HER. Non
mihi per louem, quinim cite loquutum Heliodum arbitror, quod operprecium it
paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne
graueris, fed et Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc.
Equidem Cratyle, nihil eorum qu upra
comemoraui; aerer.Nem peutcunq; uiumet, cum Hermogene hoc indagavi quocirca
aude fi quid melius habes, exprimere, tanqu im libenter,quod dixeris,ucepturus.
Neqz enimmirarer liquid tu hicehaberesprclarius. Videris porr &ipfe talia
qud conideraffe, &ab alijs di dicie. Siquid ergo prstantius dixeris, me
interdiscipulos tuos circa rectam nomin rationem unum connumerato. CRAT. Certe
mihi Socrates,utais, cur hc fuerunt,ac
forte dicipulum te efficerem.Vereortamen ne contr omnino e res habeat.Conuenic
mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerus Aiacem in acris Achilles
inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populor princeps, omnia mea ex
ententia protulifti.Ita cu quo que Socrates, nostra exmente uaticinari uideris,
fiue ab Euthyphrone fueris inpira tus, iue Mua qudam tibipridem inhrens nuncte
protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quo fapientiam meam
iampridem admiror,neq nimis confido. qua re examindum quid dicam,
exiftimo.Namaeipo decipi grauiimum et nimis enim 2 periculosa res eft, quum
eductorabet nunquam emperdeceptum proxime comita, tur. Oportetitao superiora
frequter animaduertere, et utpoeta ille ait, ante illa retros conpicere.Atqui
&in prsenti videamus quid nobis sit
dictum. Rectam
diximus nominis rationem, ququalis quqres fit, oftendit.Nunquid ufficienter ee
dict afferi mus: CRAT. Ego
quidem aero.soc. Docendi igitur gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorus. soc.
Annon et artem ee hancdicimus, et ipfius artifices: CRAT. Maxime. soc. Quos.
CRAT. Quos principio tu legum
&nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem imiliter at alias
inee hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam
deteriores unt,quidam prtantiores? CRAT. Sunt.soc. Nnne prstantiores opera sua
pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: ctericontra: Aedificatoresquoq
imiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficit: CRAT.Sic et.soc.
Nnne et legum ipsar autores partim opera suapulchriora, partim turpiora
efficiunt: CRAT. Haud ampliusiftud
admitto. soc. Non ergo leges alimeliores,deteriores ali tibiuidentur. CRAT.
Non. soc. Nec eti nomen utapparet, aliud melius, aliud deterius impoitum
ARBITRARIS. CRAT.
Negitud. soc.Ergo omnia nomina recte poita unt. CRAT. Quecunqueuidelicet
nominaunr. soc. Quid de huius Hermogenisquod upra dictum et, nomine: Vtrum
dicend non effeilli iftud impoitum, niiquod quo geridews,id eft Mercurij
generationis illicompe car: Animpoficum quidem, non tamen recte: CRAT. Nec
impositum esse Socrates, arbitror,fed
uideri.ee autem alterius cuiusd nomen, cui natura inest qu nomine con
cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem ee eum dicit:Nec enim hoc
eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem ee,cum non fit. CRAT. Quaratig ne id
ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere fala,ermo tuus conftat, et circa
id ueracur permulci nempe amice Cratyle, et nunc PRDICANT et quondam aerue
runt. CRAT.Quo pacto Socrates,dum dicit
quis quod dicit quod non et dixerit; An non hoc et falla dicere,qu n unt
dicere: soc.Prclarior hic fermoamice,quam con dicio mea et tas exigat.Attamen mihi
dicas,utrum loqui fala non poe aliquis tibi ui detur,fariaut pofle? CRAT. Neq
fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare: Quemadmodum liquis tibi
obuiushopitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hopes Athenienis,
micrionisfili Hermogenes. illeloqueretita,uel fari dicere tur,uel diceret,uel
falutaret,appellaret ita, non te quidem,ed hunc Hermogenem,aut nullum:
CRAT.Videtur mihi Socrates, incaum hc
ite uociferare.so c.at habeo. utr uera uociferat, qui ita clamat, an fala:
Anpartim uera, partim fala: Namhoc quo queufficiet. CRAT. Sonare huncego dicam
feipfum frutra mouentem, ceu fiquis ra puler.soc.Animaduerte Cratyle,utrum
quoquo modo conueniamus.Nne aliud no men, aliud cuius nomen et,effe dicis:
CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime
omni. So c. Et picturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT.
Certe.so c. Ageuero, force'ego quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forit
recte loqueris.poffumus has imitationes utra et picturas et nomina rebus his
quar imitationes unt, attribuere, nec'ne: CRAT. Poumus. SOC. Adverte hocin
primis,nunquid poffit aliquisuiri imagin uiro, &mulieri mulieris tri buere,
et in alijs eodem pacto: CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu
lieri,& mulieris uiro. CRAT. Ethoc. soc. An utrqueditributioneshuiumo
direct sunt: uelpotiusaltera,qu cui proprium fimileg attribuit: CRAT. Mihi
quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum imusamici, in uerbis pugnemus,
aduerte quod dico. Talemego ditributionem in imitationibus utriqz tam nominibus
picturis rect uo co. et in nominibus nrectam modo, fedueram. Alteramuero
disimilisipius tributio nem illationem non rectam,& in nominibus prterea
falam. CRAT. Atuide Socra tes,nefort in
picturis duntaxat id contingere poit,ut quis male dipertiat, in nomini bus
autem minime,fed neceari it recte femper adcribere.soc.Quid ais: quo ab illo
hoc differt: Nonefieri potet ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hctua figuraet,
oten datk illi forte'uiri illius figuram, forte'eti mulieris: Oftendere,
inquam, enibus oculo rum offerre. CRAT.Certe.soc.Nnneiterum ut eidem factus
obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est, quemadmod et
figura. Dico autita.Nn ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aur
idem infundere,fort'eius imi tationem dicendo quod uir et,forte' uero fmin
cuiud generis humani imitation, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc
aliqudo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates, licefto.soc. Recte
facis amice.aci id ita fe habet, controueria iam tolletur. Porr si in his huius
modi qud partitio fit, alter uereloqui,alterloqui fala uocamus.Si hocaccidit,
et poumus non recte nomina ditribuere, et qunon propria funt cuic
reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nomina ita con gerere
datur, necesse est et orationes similiter. Oratio quippe,utarbitror, et
uerborum &nominum cpoitio. Quid ad ita Cratyle: CRAT. Quod et tu.probe namg
loqui ui deris.soc. Quineti si prima nomina ad literas ipas quad imitatione
referimus, ctin. gere potet in his quemadmod in picturis,in quibusaccidit ut
congruas omnes figuras coloresg; adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim
uperaddamus,partim ubtraha mus,plura et pauciora exhibeamus. Nne fieri hoc
potest? CRAT. Proculdubio.so.. Quicuenientia oia tribuit,pulchras literas et
imagines reddit. Quiuero addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipe
facit, fedmalas,CRAT. Nempe. soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum
eentiam imitatur,nnne eadem ratione fi compertia om nia tribuit,pulchram
imaginem efficit: Idautem nomen exitic.finautem in paucs defi,
ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed non pulchra: Quamobrem nomina qu.
dam beneintituta erunt, qudam contra.CRAT. Forte. soc.Forican ergo nominum
hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nnne huic nomen erat nomi
numcditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmod in cteris artibus con.
ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter
noscon ftant. CRAT. Vera hc funt. Verum cernis
Socrates, quotiens has literas et
B et quoduis elementor nominibus per art grammaticamattribuimus, iquid
auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem cribimus;non
tamen recte, im uero id nullo modo fcribimus, quin potius tatim aliud quidd et,
c primum hor aliquid patitur.soc.Vidend Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto
conideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortais qucune aliquo ex numero contare uel
non csta renecee et, id quod ais perpetiuntur, quemadmoddecem, autquiuis alius
numerus. Nam quilibet numerus quoc additouel ablato, alius tatim efficitur.
Fort uero qua litatis cuiuslibet et imaginis haud eadratio et, ed diuera. Neg
enim omnia imago ba bere debet quc illud cuius imago et, li modoet imago
futura. Animaduerte num aliquid dicam. Anduoqudam hcerunt,Cratylus uidelicet,
et ipfius imago, iquis deo rum nmodo colorem tuum figuram expreerit,ut pictores
olent,ed interiora qu que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem,
calorem, motum,anim, fapienti; &ut breui complectar, talia prorus
effinxerit omnia, qualia tibiinunt: Varum, inqu, alterum itorum Cratylus
erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT. Cratyli Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis
amicealiam imaginis rationem ee qurendam, qumillorum qu paulo ante diximus ne
cogendum effe liquiduel additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusit imago
Annonentis quant deet ima ginibus, ut eadem habeantqu et illa quor imagines
sunt: CRAT. Equidem.soc. Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret
his quorum nomina unt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe
omniafierent, neutrum illorutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipa annomen.
CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroe,nominum aliud
bene,aliud contra pofitum effe:nec cogas omnes literas continere,ade ut penitus
tale fit, quale et id cuius eft nomen:ed mitte liter quoq mi nus congruam
afferri qudoq:i literam, &nomen imiliter in ermone: i in fermoneno
men,ermonem inuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus
nominari dici,quoad rei ipiuscuius fermo eft figura,init: quemadmod in elemento
rum nominibus qu nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT.
Recordor equidem,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om
nia conuenientia prorus adint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum
pau ca.Diciitap
beate,mittamus,nequemadmod qui in Aegina noctu circumuagtur, fero iter
peragt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera erius qum deceat, peruenie
uideamur,uelfalutem aliam quand exquiras rectam nominis rationem,nec confitea.
ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porr i ambo hc
dixeris, tibi ipfe contare &conentire non poteris. CRAT. Viderismihi
probeloqui Socrates.at que ita pono.soc.
Potquam de his conentimus, quod retat dicutiamus.Si bene no men poitum ee
debet,oportere diximus literas fibi cuenientes inee. CRAT. Plane. soc. Conuenit
autem ut liter rerum fimiles inint. CRAT. Omnino. soc. Quigi tur recte unt
poica ita pofita unt.Siquid autem non recte poitum et ut plurimum qui demex
conuenientibus imilibus literis contat, fi quidem imago et.habet aut et ali
quidnon conueniens,propterquod non rect et,nerecte nomen et intitut,Sic'ne an
aliter dicimus, CRAT. Nihileft Socrates,
ut arbitror, contendend: neq enim mihi placet,utomen quidem ee dicatur,non
tamrecte poit. soc.Vtrum hoc tibi non placet, quod nomreiipfius declaratio lit:
CRAT. Placet. soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse
primanon probedict putas: CRAT.Probe.soo Enimuero prima i quorund declaraciones
effe debent, habes'ne mod commodiore quo id fiat, qa li talia fit,qualia illa
funt qu declarari volumus:Anmodus ite pocius ei bipla. i biplacet, qu
Hermogenesalij plurimi tradunt,qud uidelicet nomina conuentiones qudam lint ijs
qui ita cotituerunt, acresipfa prcognouere,aliquid referentes:rectas nominis
ratio in cuentioneconitat,nec interit utrum quis ita utnunc ftatut et de
cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruuocatur, o magnum
cognominetur, wuero quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis
tibimodus pla cer: CRAT. Prtatomnino Socrates,fimilitudine referre quod quis
oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris. Nneli nomen rei imile
et,necee et elemra ex qui bus prima nomina cponuntur,natura ipa rebus ee
fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox pictur iz upra diximus,rei cuiuqu
imilem effinxiet,nii colores ipfi qui bus ctatimago, efTentnatura reiillius
imiles quam pictoris tudium mitatur: Anno impoibile: CRAT. Impoibile plane.
soc. Eadem rationenomina ipanun alicuius fimilia fierent,nii illa quibus nomina
cponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum reru, quarum nomina
imitationes sunt. Ea vero quibus constant nomina, elementa sunt. CRAT. Sane.
soc. lam tu sermonis eius esto particeps, cuius nu per Hermogenes. An recte diceretibi uili sumus, quod
ipsum plationi, motui, asperitati congruit? CRAT. Rectemihi
quidem. soc. Ipsum ata leni et molli, accteris qu narravimus: CRAT. Profecto.so
c. Scis ne quod idem, id est asperitas ipsa nobis quid oxigptys uo icatur,
Eretriensibus vero oxi spryg: CRAT.Vting.soc. Vtrambo hclp& o, eidem
fimilia videntur, idemg ostendc tam illis per ipliuse determination, quam nobis
pero nouissim, uel alteris nostrum nihil referunt: CRAT. Vtri plane
demonstrant. soc. Vtrum quatenus similia unt peto, uel quatenus dissimilia:
CRAT. Quatenus fimilia. soc. Nunquid penitus imilia unt,ad lacion que
ignificand: quin et ipum a inie ctum,cur non contrari aperitatis ipius
SIGNIFICAT. CRAT. Forte'non recte iniectet
Socrates, quamadmodea qu tu in superioribus cum Hermogenehoc tractabas,
dum &auferebas et inferebas literas ubimaxime oportebat. Acrecte mihi
facere uidebaris. et nunc forte pro 1, s apponend et. so. Probeloqueris. Quid
uero nuncuc loqui nihil percipimus inuic, quando quis orangn pronunciat: nec tu
quidnuncego dic, intelligis: CRAT. Intelligo equidem propter conuetudin. soc.
Ouir lepidiime, cum consuetudinem dicis, quid aliud prter conuentionem dicere
putas. An aliud conuetu dinem uocas, qum quodego cum id pronuncio,illud
cogito,eu quoc quod ipe cogt percipis: Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum. soc. S; id
mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex diimili uidelicet eius
quod ipe cogitans profero: qudoquide ipsum, dissimile eft eius quo tu ordygtym,
id et aperitatem ocas. Si hoc ita e habet, profecto ipfe ad id teipfum
auefacis, et ex hac CONVENTIONE rectam tibi nominis ratio nem proponis,pot tibi
idem t diimiles of imiles liter reprentt propter ipfum conuetudinis et
conuentionis acceum. Sin autem CONSUETUDO CONVENTIO MINIME SIT. Haudadhuc recte
dici poterit imilitudin esse declarationem, im cuetudinem dicere oportebar.
Siquid ex imilitudine et diimilitudine conuetudo declarat, Hisaricco ceffis, o
Cratyle nempe ilenti tuum pro cceioneponam) necee et conuetudin cca aliquid
CONVENTIONEM concere, conferre ad eor qu sentimus et loquimur expreio nem.Nam i
uelis,optime uir,ad numeror coniderationem defcendere, quo pactope ras, ade
propria repertur te nomina ut ingulis numeris imile nomen attribuas, i no
permieris ccefionem tuam, CONVENTIONEM AVCTORITATE aliquam circa nomin rationem
habere. Mihi quid et illud placet, ur nomina quoad fieri potet, rebus fimilia
inta Coc Vereor tamen neforte, utdicebatHermogenes, tenuis quodmodoic itius
imilitudi nis uurpatio, cogamurg et oneroa hacre, CONVENTIONE uidelicet uti, ad
recta nominum rationem:quoni tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum uel
omnino,uel maxima ex parte similibus, id et cuenientibus diceremus, turpiime
uero c contr. Hocaut poft hc inuper mihi dicas: qu nobis uim habtnomina,
quid'ue pulchr perhec effi. cinobis afferimus. CRAT. Doceremihi quid nomina
uident, o Socrates, id fimplicia ter aerend, qud quiquis nomina cit, et res
itid ciat.so. Forte Cratyle, tale quid
cuc dam dicis, q cnouerit aliquisquale itnom,et at tale qualis &res exitit,
rem quoq ipam agnocet, quandoquid nominis eft res imilis. Arsatuna eadem et
omniin cor ter e imili. Hac ratione inductus dixie uideris; quod quiquis nomina
cognocit, res ecc quoghi quoq ipfas agnocet. CRAT. Veraloqueris. soc.
Age,uideamus quismodus docenda rum rerum ite it,quem ipenuncdicis, et utrum
alius prtereait,hic tamen potior ha beatur, uel alius prcerhuncnullus. utrum
itorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, qud nullusuidelicet alius it,fed hic
folus et optimus. soc.Vtrum uero et resipas ita reperiri ces, ut quicung nomina
reperit, ea quoq quorum nomina unt,inueniat: An qurendum potiusalium modum
quend,hunco dicend. CRAT.Maxime omniale cundum ita huncipfum et qurend et
inueniendum. soc. Age, ita conideremus, o Cratyle: iquis dum res investigat,
nomina ipsa sequitur, rimatur; quale unquod uule elle,uides maximum decepcionis
pericula ubit: CRAT. Quo pacto: soc. Quoniam qui principio nomina pouit, quales
effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus, effinxit.Nonne itar
CRAT.Ita prorus. Soc. Siergo illenrecteenlit, et ut enlie intituit, nne et nos sequentes
eius ueftigia deceptos iri exitimas CRAT.Haud ita elt imneceffe ciencem fuiffe
illum quinomina pouit.Aliter autem, ut iamduddicebam, nomina nequa effent.
Euidentilimo autem argumento id ee tibipotet, haud ueri tate aberrauisse
nominum AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY), qud imale eniet, nequaq libiita
omnia consonarent. An
non aduertiti et ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. ne
Cratyle,ualet defenio. Quid enim mirum eft, li primodeceptus nomin institutor,
se quentia rurusad primum ui quad traxit,& ipfi cononare
coegit:Quemadmodcirca figuras interdexiguo quodam primo ignoto falof exitente,
reliqua deinceps multa Circa prin, inuicem cononant. Debetenim quio circa rei
cuiu principium tatuend differere cipium
ta, multa,diligentiime conliderare, utrum recte decernat,nec ne. quo quidem
fufficiens tuend di ter examinato,ctera iam principium fequidebent, Miror
tamen,fi nomina libmet con i ereremulta gruunt. Conideremus iterum qu upra
retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ignificare
qualiomnia currat,ferant et defluant. Ita'nelignificare cenes? CRAT. Ita
certe. et recte quid. soc. Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes. Principio
nom hocwrshug, id et scientia ambiguum et,magis a SIGNIFICARE uidetur, quod
istory,ideft fiftit in rebus animam,
quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos ee uidetur, ut principium
eiusutnuncdishulu dicamus, per e ipius eiectionem, et pro 4, 5 potius
adijciamus. Deinde Bbajok, id et firmum dicitur, quoniam badoows et scotas,
ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Prterea igoel
ad forte SIGNIFICAT quod isgor t powi, id eft itit fluxum, et ipum nisov, id et
credendum, isaw, id etfira mare omnino SIGNIFICAT. Quineti uykusid etmemoria,
ostendit prorus quod in anima nagitatio est, fedpovni,id eft quies, tabilise
permansio. Atquifiquis nomina ipaobler ueta cueapari et ovuqoa, id eft error et
ctingentia caus, idem uidebuntinferre,quod owens et ufiskur, id est
intelligentia at scientia, et ctera nomina qu prclarisunt rebus impoita.ltem
cualc et cronacc, id et incitia et intperantia, proxima hisui dentur icuclic
quid importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis
progreum. cronri uero omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft pere. cutionem
atq cogreffum.At ita qu rerum turpiimar nominaeffe putamus,nomi num illor qu
circa pulcherrimaunt, imillimauidebuntur. Arbitror et aliamultare periri
poffe,fiquis ad hc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominautorno cur rentes
delataso res,im ftabiles indicare. CRAT.Vertamen multa o Socrates ecundi
agitationis SIGNIFICATIONEM uides illum contituiffe. soc. Quid agemus Cratyle:
Nun quid suffragiorum calculorum intarnomina ipa dinumerabimus: at ad hancnorm
derecta ratione nomin iudicabimus,ut ea tandem uera int,quibus significationes
plu rium nominum fuffragantur: CRAT. Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his
iam omiis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixitinuper, firecordaris,
neceffarielle, illquinomina tatuit, prnouille ea quibus nomina tribuebat: pertasadhuc
in SENTENTIA, nec ne' CRAT. Adhuc. so c. Nunquid et illum qui prima nomina
pouit, nouiicais dum poneret: CRAT. Nouie. soc. Quibus ex nominibus
resueldidicerat, uel invene rat, quando necd prima nomina fuert inftitutar cum
dicta sit impossibile esse resuelig vuenire, vel discere, nisi qualia
nominaint, didicerimus, uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil Socrates, dicere. soc. Quo igitur PACTO
dicemus eos cientes, nomina pogillexuellegum et nomin conditores ante
POSITIONEM cuiuslibet nominis extitille extitiffe, eos res antea cognouiffe,
fiquidem n aliter quam ex nominibus dicires por finer"CRAT. Reor equidem
Socrates uerissimum eum esse sermonem quo dicitur excellentiorem quandam
potentiam quam humanam primarebus nomina prbuiffe, quo neceffarium lit ut recte
fuerint ditributa. soc. Nunquid putas ctraria libijpfipofuif-cc e nominum
AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY) li dm aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi
fupra dixiffe uidemur: CRAT. Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc.
Vtraigitur erantuir opti me; num qu ad ftatum uerguntian qu ad motum potius Neq
enim, utmodo dixi mus, multitudine iudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum
itaque dientiant contendanto de ueritate inuicem nomina, et tam hcqum illa uero
propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus. Qu nos
uertemus: Nec enimad alia no mina confugiemus, quia prterhcnulla. Verum alia
qudam prter nomina quren da funt,qu nobis ostendantabque nominibus, utra itorum
uera int, rerum uidelicet montrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hc
uera unt Cratyle, pof unt,utuidetur, res line nominibus percipi. CRAT. Apparet.
soc. Per quid potisi mum aliud fperas res ipfas percipere: Nnne per quod
conentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem, fcilicet fiquomodo
inuicem cognat sunt, et perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft ab illis, aliud
quiddam non illas SIGNIFICAT. CRAT. Vera loquiuideris. soc. Dicobecro nonne iam
spe concessimus, nomina qu recte posita sunt, fimilia illorum ee quorum
untnomina,rero imagineseffe: CRAT. Con cesimus plan.soc.Si ergo licet res per
nomina dicere, acetiam per eipfas, qu pr ftantior erit lucidior perceptio:Num
si ex imagine cogitetur et imago ipa utrum re cteexprea fit, et ueritas cuiushc
eftimago: Anpotiusfi ex ueritate tam ueritas ipa. qumipius imago, nunquid
decenter imago ad eam fueritintitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res
vel per doctrinam vel per inventione comprehendendint; iudicare, maioris qum
meum ac tuit, ingen opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe
quod non ex nominibus,immoex e ipis potiusdifcend quren dg unt. ERAT.
Sicapparet Socrates. soc. Animaduertamus
et hocprterea,n mulra hcnomina in idem tendentia nosdecipiant, c quiilla
impofuerunt, currere om nia semper flueresputauerint,ato ea cideratione
poluerint:uidenturnempemihiita exiftimaffe:quor camopinio fi talis
extitit,falahabda et.profecto illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, et ipfi
uacillant iactanturcs, et nosin eadem rapientes immer gunt. Clidera uir
mirifice Cratyle quod ego spenumero fomnio, utrum dicend est: esse aliquid ipum
pulchrum ac bonum,& unum quodas exitentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem Socrates ee uidetur.so c.Illud igitur ipum
cideremus, non i uul cus quidam aut aliquid tali pulchrum et, quippe hc omnia
fluunt:ed ipum pulchr dicimus, nonne emper tale quale et perfeuerat: CRAT.
Necee et.soc. Nunquid possibile eft ipum recte denominare si emper fubterfugit,
acprimo quid illud fic dein de quale it dicereruelneceari et,dum loquimur
aliudipum ftatim fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius ee: CRAT.
Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo e habet:
Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo in tempore minime permutatur:fin autem
emper eodmodo e habet;idemg exitit, quo modo tranfituelmouetur, cum ideam uam
non deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Prterea nullo cognosceretur. dum enim
cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid it aut
quale cognocinpoffet.nam cognitionulla ita rper cipit, utnullo modo fe habentem
percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe
affirmandet Cratyle i
deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio etnon
decidit, permanebit semper, ac emper eritcognitio irautem cognitionis peciesipa
dicedit,imul et in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,ne cognitio erit.Quod
fi perpetuomigrat, empernon erit cognitio. Aro hacra. tionenew quod.cogniturum
et,nec quod cognocen lum,emper erit. Sinautem fem per et quod cognocit,eft quod
cognocitur,eft pulchr,eft et bonum, et deniq exi. Itenium unquod et qu in
prentia dicimus,fluxus lationis imilia non uidentur.Vtrum uero hcita int,an ut
dicebantHeraclitiectatores, alijg permulti,haud facile di cerni potet.Nec
hominis anmentis eft feipfum animumg lu nominibuscredere; et autorem nominum sapientem
asseverare, atqz ita de eipo rebus omnibus maleen 9 ) tire,ut pPomba nihil
integrum firmum exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere,
&quemadmodum homines detillationibus capitisgrotantes,fimiliter quoqres w
ipsas affici iudicet, adeo ut detillatione et fluxu omnia comprehendantur.
Forte Cratyle ita et,forteeti aliter:forti animo &diligenti tudio
inueftiganda res et.neqenm fcile aentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi
fufficittas. Et liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT.
Nauabo operam Socrates. Ac certe {cito meetiam in prfentia non
torpere,immocogitti mihi et multa animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas
ipse, quam ut Heraclitus,res ee habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam
redieris me docero. Nuncautemut contituiti in agrum perge. Atqui et
Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de
his cogita. IL CRATILO - DELLA RETTA
INVENZIONE DE' NOMI. ERMOGENE -- CRATILO
SOCRATE. A vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar nostro con
Socrate? c*. Se il pare a te. ehm. O Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in
qualunque degli enti per natura la retta invenzione del nome, n aia nome
quello, onde convenendo alcuni il chiamavano, mentre proferiscono certa
particella della sua Toce: ma sia naturalmente certa retta invenzione di nomi
la medesima in tutti e Greci e Barbari. Sicch io Io addimando se daddovero sia
Cratilo il nome di lui, o n: ma egli confessa esser questo il suo nome. Or
Scrate dissi io, qual nome tiene egli? di Socrate disse: non hanno tutti quel
nome, col quale chiunque il chiama da noi: nondimeno disse egli uon il tuo nome Ermogene, n se ancora tutti gli
uomini ti CHIAMASSERO cosi. E mentre io lo addimando, e desidero sapere, che
cosa dica, non mi dichiara affatto niente: ma beffandomi, simula di aver nell
animo alcuna cosa, come egli intenda non so che dintorno a questo, i! che se
volesse esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che io confessassi, e dicessi lo
stesse, che egli si dice. Laonde udirci da te volentieri, se in qualche maniera
tu potessi congetturare il vaticnio di Cratilo. Anzi udirei molto volentieri la
tua opiuione intorno alla RETTA INVENZIONE DE NOMI, se ti fosse in grado, soc.
0 Ermogene, figliuol di Jponico,
proverbio vecchio, che sia malagevole da conoscer in qual guisa se ne
stiano le cose belle. Or la notizia de nomi non
picciola disciplina. In vero se io avessi udito gi molto tempo da
Prodico quella ostentazione di cinquanta dramme, nella cui dottrina ancora era
questo, come egli ne rende testimonianza; niuno impedimento sarebbe, che tu non
conoscessi incontinente la verit intorno alla retta invenzione de nomi. Ma ora
io non I . ho udita ma si ben quella d una. dramma. Per la quale cosa; non s
quello che d intorno a queslavi sia di vero: ma sono prrsio ad investigar,
inlteoie. con essd.tecoj.fcon Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia'
versi mente nome Ermogene, io sospetto, che egli mottegg; perch egli forse
pensa, che tu sia -desideroso dello acquisto de danari, e impoleule.seinjpre ad
otieuerli: ma come ho detto poco, f, egli
difficile, Ite ci si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli
spoetando iu meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi, come tu di o
piuttosto come dice Cratilo. em. E pur o Socrate, tuttoch spesso io abbia
disputato gi contostai, con altri molti tuttavia non ancora mi posso persuader,
che altra ai. la rotta invenzione del nome, phe lo assenso, e il consentimento;
perciocch a me pare, clic quel sia nome retto, il quale impone chiunque a
ciascheduno, e se di nuovo il mutasse, e altro ne ponesse, non meno del
primiero quello, che Si trasportasse sarebbe nome retto, come siamo noi soliti
di cambiare i nomi a servi, non vi essendo per jialura a ninna cosa il nome! ma
per legge, e secondo la usanza di coloro, che furono soliti cosi chiamarli. Il
che se sia. altrimenti, io sono apparecchiate .ad impararlo, o adirlo non
solamente da Cratilo; ma da qualunque altro, soc. O Ermogene peravveptora tu d
alcuna cosa: ma consideriamola. Quello che porr alcuno, con cui chiama
qualunque cosa, sar egli, il nome di ciascuna cosa? ehm. A me pare, soc. O se
il privato, o la citt il dicesse? uh. Lo assentisco. soc. Ma che, se io
chiamassi qualunque degli enti, come per esempio, se quello, che al presente
chiamiamo uomo, chiamassi cavallo, e uomo quel, che cavallo: pubicamente sar
egli il nome all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo privatamente uomo,
cavai lo puiilicnmenle Parli cos tu? erm. Tosi mi pare. soc. Or mi d questo.
Chiami tu alcuna cosa il dir il vero, e il Tabu? erm. In vero s. soc. Non lia
quella vera ORAZIONE: ma questORAZIONE falsa? erm. Cos affatto, soc. Quei
parlar poi, che die* le cose, che sono quali son esse ai li h rero: ma falso quello, che non come
sono? n, Cosi . soc. Adiviene egli questo, che col parlare si dicano le cose,
che sono, e che non sono? ehm. Si. soc. Il parlar che vero mi di, se vero tutto, non vere le parti? ehm. N: ma le
parti ancora, soc. Dimmi, le parti grandi saranno vere: ma le picciole n, oppur
tutte? exm. Io mi stimo tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu picciola del
sermone, che il nome? erm In modo nin no, essendo questa la minima parte,
soc..Ed ancora si dice egli peravventura il nome parte della vera ORAZIONE?
erm. - Senza dubbio, soc. Veramente parte vera, come , tu di. erm. Veramente,
soc. E la parte del falso, non ella
falsa? erm.Lo dico si. soc-Dunque lecito
dir nome vero, e nome falso, se si dice ancora la orazione. erm. In che modo n?
soc. Dunque quel nome, che chiunque dir, che in alcun si ritrovi, sar egli il
nome di ciascheduno? erm Si. soc. Peravventura quanti nomi dice alcun, che
abbia chiunque, tanti saranno essi? e allora, quando egli li dice? erm, Per
certo, o Sncrate: io non ho alcuna retta invenzione di no / t me, fuor che
questa, in modo, che non sia lecito a me
con altro nome chiamar la cosa, che con quello, che io ho imposto, n a te con
altro, che con quello, elle le imponesti. Cosi per certo io veggo nella citt,
che si hanno alcuni propri nomi delle medesime cose, e fra Greci in verso ad
altri Greci, in verso a i Barbari, oc.
Or rediamo o Ermogene, se pare a te, che gli enti se ne stiano in questo modo;
che ognun di loro tenga la propria essenza, come diceva Protagora, dicendo egli
esser 1 uomo misura di tutte le cose in modo, che quali qualunque cose mi
paiono, tali io le abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi; o pensi
piuttosto che siano alcune cose, le quali tengano alcuna fermezza della sua
essenza, eem. Alcuna volta, o Socrate, dubitando sono condotto a quello, che
dice Protagora: per tanto non mi persuado a bastanza, che se ne stia egli cosi.
soc. Ma che? set tu ancora alcuna volta condotto a questo, che non li paia in
modo niuno, che alcun nomo sia cattivo? erm. Per Giove n; anzi spesse volte
cosi sono disposto, che io stimo, che alcuni uomini siano al tutto cattivi, e
molti, soc. Ma che? non ti parso ancora,
che siano molti uomini buoni? erm. Molto pochi, soc. Nondimeno pare a te vero?
erm. A me si. soc.In che modo poni tu questo? forse cosi, che i molto buoni
siano molto prudenti, e i rei al lutto molto imprudenti? ebm. In vero a me pare
cosi, soc. Se Protagora diceva il vero, e se
questa la vent, che quali qualunque cose pareranno a ciascheduno, tali
siano; egli possibile, che altri di noi
siano prudenti, altri imprudenti? ebm. Per certo n. soc.E come io penso ti pare
ad ogni modo che Protagora non possa al tutto parlar il vero, essendovi erta
prudenza, e imprudenza, perciocch non sarebbe veramente luno dell altro pi
prudente, se le cose, che paiono a chiunque, le tenesse ciascheduno per vere.
IBM -Cosi . Ma n ed Eutidemo ' assentisci, come io penso, che dice, che tutti
abbiamo tutte le cose similmente, e sempre, perch cosi' non smeldio. no altri
buoni, nitri cattivi, se sempre, e parimnte si ritrovasse in tulli e la virt, e
la malvagit! ehm; Tu palli il vero, soc. Dunque se n tutte le rose si ritrovano
sempre in tutti, e simiglmutciiente; u qualunque cosa propria di ciascheduno, manifesto , rise
siano le cose quelle, che tengono in su stesse certa essenza ferma, u sono in
quanto a noi tirate in diverse parli, n da noi con la imaginazione e in suso, o
in giuso: ma stabili secondo se stesse in quanto alla loro essenza, come sono
'ordin. ite dalla natura. uu. Cosi ini
avviso, elio se ue stia questo. *oc Dunque mi di, se le cse se ne stanno
si per u-. tor, ma non nella stessa guisa lu loro azioni o eziandio esse azioni
sono una certa specie degli enti? esm. Ani cora esse ad ogni modo. soc. Dunque
le azioni sa tonno secondo la natura loro, non secondo la nostra opinione, come
per esempio, se noi si mettessimo a divider alcuno degli enti, forse sarebbe
qualunque cosa d dividersi ila noi come vorremmo, e coti che ci a gradissi.? o
pi tosto, se volessimo partire quafuo/pio cosa secondo la natura, con cui fa
mislieri che S I 1 al f lisca, e sia partita; parimente con cui secondo l tura
ti dee fare il partiraento; invero la dividerei. *io bene, e si farebbe la noi
alcun profitto, e questo si operetbbe bene; ma se cntro la natura travieremmo n
si farebbe niente la noi? erm Cos mi pare. soc. E se ci mettessimo ancora d
ffhbrugiiir alcuna cosa: non fa nilstieri, chieda s ablmigi secndo Ogni
opinione: ma sibbene secondo la reit opinione/ Qusta poi quella, onde qualunque cosa naturdlientc atta ad abbrugiarsi,' di abbruciare, e con cui nai turalmente ne
era atta, erm Queste cose son vere, soc. Non si ritrova la stessa maniera
dintorno alle altre cosi? ehm La medesima s. soc Anco-ra il dire non egli forse una certa delle azioni, ehm. -r
Certo si. soc. Or dir bene chi cos dice, coirne li par di dire . 5 o piuttosto
dii in colai guisa dice, come ricerca la natura del dire, e che si dica? e- se
eziandio dicesse con cui ricerca la natura, in dicendo farebbe alcun profitto,
altrimenti 1 . travierebbe egli, n farebbe nulla? ehm. In vero io stimo cos,
cometa di. soc.- Dunque il nominar " particella di dire; perciocch
nominando si fanno i ragionamenti; erm Ad ogni modo. soc. Dunque e il nomina
re 'certa azione, se ancora il dire era
certa azione; d' intorno alle cose? erm.-Cos . soc. Or le azioni ci par vero di
non risguardar a noi: ma di tener certa propria lor natura. ehm. - Cos . soc
Sicch da nominarsi in quella guisa, onde
la natura delle cose ricerca di nominate, e che si nomini, con cui, ma uon
secondo lo arbitrio deWolcr no- ) ( atro, se ti ba a dire alcuna cosa concorde
alle cosa dette. Ed in colai guisa facessimo noi alcun guada gno, e
nominaressimo: ma altrimenti n? krm. Cos mi pare. soc. Or dimmi ci, cbe era da
tagliarti, diciamo noi cbe era da tagliarsi con alcuna cosa? erm. Con alcuna
si. soc. E ci, cbe si doveva tesser da tessersi con alcuna cosa? e ci, che era
da forarsi, con alcuna cosa si dovea egli forare? erm.Al tutto. soc.Sim il
niente ci, che nominar si dovea, era da nominarsi con alcuna cosa? ibi*. Si-
soc. Ma che era quello, con cui fcea mistieri, che alcuna cosa si forasse? erm.
La trivella? soc. Che quello, con cui fa
mistieri, che si tessa? erm. La navicella, soc. E che con cui si nomini? erm.
Il nome, soc. Tu parli bene. Dunque e il nome
certo stromento. ss**. E si. soc. Dunque se io cercassi quale
stromento la navicella o non sarebbe d' esso quello, con cui si
tesse? erm. Cos . soc. Or tessendo, che facciam noi? o non separiamo la trama,
e gli stami confasi? ehm. Questo stesso, soc.Or potrai tu dir cos della
trivella, e delle altre cose? erm. Lo stesso, soc. Puoi tu ancora dir similmente d* intorno al nome
ci, che facciamo mentre col nome, che
stromento, nominiamo alcuna cosa? erm. N il posso n. soc. For se di
compagnia insegniamo noi mente, c dividiamo le cose, come sono? erm. Per certo,
soc. Sicch il nome certo stromento di
insegnare, divide 1sostanza, come !a
navicella della testura erm. 1 lassi a dire in colai guisa, soc La navicella ella strumento acconcio al tesserei 1
ehm, In che modo n. soc. Per la qual
cosa il tessitore si vaier bene della navicella, dice bene, secondo la maniera
del tessere: ma chi insegna, egli si vaier del nome, e bene, dico bene secondo
la maniera propria dello insegnare, ehm. Per certo, soc. Dell opra di quale
artefice si vaier bene il tessitore, quando si vaier della navicella? erm. Di
quella del legnaiuolo, soc. E egli chiunque legnaiuolo, o piuttosto chi tiene P
arte? erm. Chi tiene larte, soc. Similmente dell opera di cui il foratore si
vaierebbe bene, quando si valesse della trivella? erm. Del maestro del metallo.
soc. E forse chiunque maestro di metallo? o chi tiene larte? erm. Chi tiene
larte, soc. ' Stiano le cose cosi. Dellopera di cui il dottor si vaierebbe,
qualora si servisse del nome? erm. N ci posso dire io. soc. Ancora non puoi tu
dir questo. Chi ci d i nomi, dei quali ci serviamo? erm. Per certo n, i soc. -
Non pare a t peravventura, che la legge sia quella, che ci d i nomi? erm.
Apparisce. soc. Dunque il dottore si vaier dell opra del legislatore, quando
del nome si vaier, erm. Io penso si. soc. Pare a te, che ognuno egualmente sia
facilor di leggi, o chi dotato di arte,
erm. Il dotalo delP arte. soc. Si che o Erinngene non . ufficio di qualunque
uomo lo imporre i nomi; ma di certo autor di nomi e costui come apparisce ii legislatore, il quale fra
gli artefici si fa raro appresso agli uomini, ehm. Apparisce, soc. Deh considera, ove
riguardando il legislatore impone i nomi, e considera dalle cose antedette ove
riguardando il legnaiuolo fa la navicella? non ad una cosa tale, che da natura
sia al tesser acconcia? ehm. Al tutto, soc. Ma che? se nell opera si rompesse
la navicella, mi di se fabbricher egli un altra di nuovo alla somiglianza della
rotta, o piuttosto alla specie risguarder, secondo il cui esempio avr fatto la
navicella,' che si ruppe? erm. Alla specie, come io stimo, soc. Dunque
chiameressimo noi meritamente la specie la navicella? erm. Io penso si. soc. Se
fa mestieri alcuna volta, che si apparecchi la navicella per fornir la veste, o
qualunque altra cosa di filo, e di lana sottile, o grossa, bisogno , che tutte
le navicelle tengano la specie della navicella; e quale naturalmente a ciascheduna cosa accommodatissima, tale si
usi al fornir lopera, come il ricerca la natura, erm. Iti vero fa mislieri.
soc. La medesima ragione d intorno agli
altri stromenti conciossiach da
ritrovarsi quale stromento si confaccia per natura a qualunque cosa, ed da darsi a lei, con clii si fa ella, uon
quale vuole chi fabbricai ma quale ella
per natura. Perch fa mistieri, come appare, che si sappia accommodar a
qualunque cosa ci, die naturalmente acconcia al ferro, erm. Cosi si. soc. Pi-
oltre nel legno la navicella confacevole a ciascheduna. e*m. Egli vero. soe. Perciocch. secondo la ragione
della natura altra navicella si conf ad altra tela, e nell altre nella medesima
guisa, ehm* Veramente, soc. Fa mistieri ancora -ottimo uomo, che il poslor dei
nomi proferisca un nome per natura acconcio nelle voci, e nelle sillabe a tutte
le cose, e riguardando a quello stesso di cui
nome, formi qualunque nome, e gli attribuisca, se daddovero dee esser
positor proprio di nomi. Che se non con le medesime sillabe qualunque pocitor
di nomi esprime il nome, fa mistieri, che noi sappiamo, che n tutti i fabri ci
fanno nel ferro per la stessa ragione; qualora fabricauo il medesimo
stroxnento: ma nondimeno in quanto gli attribuiscono la stessa idea, in tanto
se ne sta egli bene, tutto che in altro e iu altro ferro; o qui si fabrichi
egli, o fra barbari non egli cosi? ehm.
-a. Si. soc. Dunque islimerai tu ancora nel medesimo modo finch il positor dei
nomi, ebe fra noi, e fra barbari concede
una specie di nome convenevole a qualunque cosa in qualunque sillaba, che 1 uno
dell altro non sia punto peggiore nell imporrei nomi. ehm. In vero si. sqc.
Chi per conoscer se sia impresso in
qualunque legno una specie convenevole di navicella? fpr&e il, legnaiuolo,
che la fai o il tessitore, che se ne dee servire? ehm. O Socrate, gli verisimile, die la conosca molto piu, chi se
ne dee valere, soc. Dunque chi si servili dellopera del Tacitar delllira? non
colui Torse, che benissimo sapr esser soprastante alla cosa Tatta, e conoscer
Tatta che sia, se sia Tatta bene o no? ehm. Al tutto, soc. Chif hm. Il citarista, soc. Chi poi dell'Opera di
coloro, che Tanno le navi? erm. Il governatore, soc. Chi eziandio benissimo sar
soprastante allopra del Tacitar delle leggi, e Tornita la giudicher e qui, e
Tra barbari? non chi se ne dee servire? ehm. Cosi , soc, *- O non egli d* esso chi sa interrogare? ehm. Costui
si. soc, Il medesimo che sapr risponder ancora? ehm. Si certo, soc. Or chiami
tu altro che dialettico chi sa interrogar, e rispondere? ehm. Non altro; ma
lui. soc. Siche Tattura di lignaiuolo il
Tabbricar il timone esscndo soprastante il governatore, se egli per dover esser buono, ehm, Apparisce,
soc. Ancora come avviso, opra di positor di nomi il nome, cui soprastante 1 uomo dialettico, se sono per
doversi por bene i nomi. ERM.-*Que$te cose son vere. soc. Dunque, a Erraogene,
corre rischio, che non Ha cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, n Tattura
d uomini bassi, e vulgari. Per certo Cratilo parla il vero, dicendo, che i nomi
per natura siano nelle cose; n sia chiunque autore di nomi: ma colui solamente
che risguarda al nome, che in ognuno per
natura, e sia possente di por la specie di lui nelle lettere, e nelle sillabe,
ehm. O Socrate, io non so in che modo sia da opporsi alle cose che tu di: ma
peravventura non cosa agevole il
percadrsi cosi allo improviso: ma mi
avviso, che io ti sarei piuttosto per ubidire in questo modo, se
dimostrassi quale da te si dica, esser la retta natura del nome. soc. In vero,
o beato Ermogene, non dico alcuna: ma tu ti sei scordato di ci, che io diceva
poco inuanzi, cio, che io non la conosceva! ma, che io la considererei insieme
con esso teca. Al presente poi questo solamente si fatto chiaro oltre alle antedette a me, e a
te di compagnia investigando, che Certa retta invenzione per natura tenga nome,
n chiunque sappia adattar bene esso nome a qualunque cosa, non egli cos? rum. Grandemente, soc Dunque rimane
da Considerarsi se tu desideri di conoscer quale sia la retta invenzione del
nome, ehm. In vero la desidero sapere, soc. r- Dunque cobsidcra. erM. In che
modo adunque fa inistier, che si consideri? soc.^O umico rottissima. la considerasione; ricercandosi questo da
coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il render loro grazie oppresso.
Or dessi sono i sofisti, coi quali Calia tuo fratello pare, che sia riuscito
saggio, pagati molti danari, ma poich non hai, che fare nella robba patema,
rimane, che tu supplichevole preghi il fratello, che ti insegni la retta
invenzione di questtll cose, che Protagora egli impar, erm. O Socrate, quanta
sconvenevole sarebbe questa dimanda, se non prestando aiuto alla verit di
Protagora amassi le cose, che si dicono con tal verit, quasi degne di alcuna
considerazione, toc. Ma se a te non piacciono elle, si dee imparar da Omero, e
dagli altri poeti. erm. O Socrate, e che
in che luogo ne dice Omero dei nomi? soc. Per tutto molte cose: ma
grandissime e bellissime son quelle, onde distingue dintorno a quei nomi, che
introducono gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che egli d intorno a questi
dica alcuna cosa magnifica, e maravigliosa della retta maniera dei nomi? essendo
manifesto, che i Dei chiamano rettamente quei, che son nomi naturalmente, o no
il pensi tu? ikm. In vero io so certo, se i Dei ne dicono alcuni, che essi
lr~cbiamano bene; ma quali di tu questi? soc. O non sai tu ci, che si dice del
fiume troiano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia, il quale i Dei
chiamano santo, gli uomini Scamandro. ehm. Il so. soc. Che dunque? non istimi
tu certa cosa grave il conoscer in che modo sia meglio, che si chiami quei
fiume santo piuttosto, che Scarnando? ma se vuoi considera questo, che il
medesimo dice dell uccello, che i Dei chiamano Calcidei ma gli uomini Cimindi.
Tu stimi vii disciplina il sapere quanto sia meglio, che si chiami il medesimo
uccello Calcide, che Cimindi, o Bracia, e Mirine, e molti altri tali, detti da
questo poeta, e da altrui? ma le. invenzioni di queste cose peravvenlura
superano le forze nostre. Cii cbe poi signifchioo Scamandrio, e Astiane si pu
comprender, come mi pare da ingegno amano, e apprendersi agevolmente qual retta
invenzione vuole Omero, che sia in questi nomi, coquali chiama il figliuolo di
Ettore: perciocch tu certamente sai, ove si ritrovano questi versi, che io di-
v co. a**. Ad ogni modo, soc, Dimmi, pensi tu, che di questi nomi stimi Omero
che peravventura pili convenisse Astianate al fanciullo, che Scamandrio? vrm.
Io no il posso dire. soc. Or in colai modo considera, se alcuno ti
addimantlasse, se tu pensassi che i pi saggi ponessero i nomi meglio alle cose,
o i manco saggi, erm. Chiaro , che io risponderei i pi prudenti, soc. Dimmi, se
le donne nelle citt pare a te, che siano pi prudenti, o gli uomini? per dir
tutto il genere? erm. Gli uomini. soc. Dunque tu sai, che dice Omero, che il
figliuolo di Ettore era chiamato da Troiani Astiaua. te, dalle donne Scamandro,
poich gli uomini lo chiamavano Astianate. erm. Apparisce, soc.- Dunque eziandio
stimava Omero, che gli uomini Troiani fossero pi saggi, che le lor donne, erm.
Io lo stimo. soc. - Dunque stim, che egli si chiamasse, meglio Astianate, che
Scamaudrio. ehm. - Apparisce, soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que
sta denominazione, perch dice egli, che solo difese loro la citt, e le ampie
muraglie. Per la qual cosa, (come pare) conviene# che si chiami il figliuolo
del Salvatore, cio di colai, che il padre di lai saiva va, come disse Omero,
erm. A me pars soc. Per qual cagione? perciocch o Ermogene, n io lo intendo
ancora bene: ma lo intendi tu? erm. Per Giove n. soc. O uomo da bene ancora
Omero pose ad Ettore il nome. erm. Perch? soc. Perch mi avviso, che questo nome si assomigli ad
Astianate; e essi nomi si assomiglino a Greci: dimostrando quasi il medesimo,
cio che ambidue questi nomi siano regali; perciocch di cui sar alcuno re, dello
stesso sia ancora possessore; essendo manifesto, che egli lo signoreggi, e
possegga, e abbia. O peravventura non pare a te, che io dica niente? e m'
inganna la opinione, onde mi confidava, come per certi vestigi, di toccare la
opinione di Omero d intorno la retta invenzione dei nomi? erm. -* In modo
niuno, come io penso: perch^forse tu tocchi alcuna cosa. soc. Egli conviene,
come a me pare, che si chiami similmente leone il figliuol del leone, il
figliuol del cavallo cavallo; non dico, se alcun altra cosa fuor che il cavallo
(come mostro) nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico, del cui genere secondo la
natura ci, che nasce, se il cavallo
naturale partorisse il figliuolo del bue vitello contro natura, non sarebbe da
chiamarsi poliedro: ma vitello, n eziaodio se dall'uomo altra prole si
producesse, che umana, ci che nascesse si dovrebbe chiamar noaio. 11
medesimo da giudicarsi degli alberi, e
delle altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm. A me par si. soc. Tu d
bene-, perciocch guardati, che io non ti inganni in alcun modo; conciosia, che
secondo la stessa, ragione eziandio se alcuna cosa nascesse da re, sarebbe da
chiamarsi re, non importando che si significhi lo stesso in queste, e in quelle
sillabe, o se vi si aggiugni alcuna lettera, o se anche la vi si levi; mentre
la essenza della cosa dichiarata nel nome signoreggi./, erm Come d tu cotesto?
soc. Io non dico oiuna cosa meravigliosa, o nuova: ma siccome tu sai, che
diciamo i nomi degli elementi: ma non essi elementi, eccettuatine solamente
quattro, cio b N E fi ma 1 rimanente, cos vocali, come mutoli, tu sai che
aggiugnendovi altre lettere, li proferiamo formando i nomi: ma iinch inferiamo
la forza dichiarata dell elemento conviene, che quel nome si chiami ci, che
egli si dichiara, norme per esempio il B, vedi i che il T aggiunte non imped
che con lo intero nome non si dimostrasse la natura di quello elemento, di cui
volle il positor del nome, siffattamente non li
prestato fede di aver posto bene i nomi alle lettere, erm. Tu mi pari di
parlar il vero, soc. Dunque fla la stessa ragion ancora dintorno al re.
Perciocch sar alcuna volta il re dal re, il buono dal buono, dal bello il
bello, e le altre cose tutte similmente da qualunque genere certa altra
progenie, e sarebbono da dirsi gli stessi nomi, se non ci facesse mostro.
Egli lecito, che in modo si variino per
sillabe, che sia avviso all nomo rosse, che le cose, che sono le stesse siano
diverse tra loro, cos come le medicine dei medici variate con colori, ed odori
spesse volte essendo le medesime, pare a noi, che siano diverse: ma dal medico
considerata la virtii loro, sono giudicate le stesse; n il perturbano le cose
aggiunte. Similmente peravventura chi
erudito dintorno a nomi considera la virtii loro n si perturba il
giudici di lui, se vi aggiunta alcuna
lettera o trasmutata o levata, o se in altre, e motte lettere si ritrova la
stessa virtii del nome. Come quei nomi, i quali di sopra abbiamo detto
Astianate, e Ettore hanno le lettere ad ogni modo diverse, fuorch il sol T, non
pertanto significano il medesimo... Mei medesimo modo ci che si dice prencipe
di citt, qual communicanza di lettere tiene egli con li due antedetti?
nulladimeno significa il medesimo, e molti altri vi sono, i quali nient altro
significano, che il re. Oltre ci molti sono, che significano il capitano
dellesercito, come altri ancora, che dichiarano il professor dell^medecina. E
si possono ritrovar molti altri discordanti nelle sillabe, e nellj lettere: ma
accordatisi al tutto nella virt, del significare, par egli che cos sia, o pur
n? zrm. Cos certo, soc. Or a queste cose, che si fauno secondo la natura sono
da darsi gli stessi nomi, ehm. Adognimodo, soc. Ma qualora alcuni uomini si
fanno contro la natura in certa specie mostri, come quando s genera lempio dall
uomo buono, k pio; ohi generato non dee
sortire il nome del genitore- ma di quel genere, nel quale ei si ritrova, come
diami di centrilo; se il cavallo generasse la prole del bue, non sa rebbe da
chiamarsi il figliuolo di lui cavallo: ma buemm. C osi . soc. -Dunque alluomo
empio generato dal pio, bassi a dare il nome del genere. ehm. Queste cose sono
vere, soc. Dunque non conviene, che si chiami un figbuol tale, amico di Dio n
ricordevole di Dio, n alcuna cosa siffatta: ina con ' nomi il contrario
significanti se pur i nomi deono conseguire la retta invenzione. sbm. Cosi al
tutto o Socrate da farsisoc. Come ancora
Oreste, o Ermogene, corre rischio che sia ben messo, o se alcuna sorte H pose
il nome, o alcun poeta; con quel nome significando la d lui natura ferina,
selvaggia, e montana, erm. Cosi apparisce, o Socrate, soc. ncora avviso, che il parere di lui tenga il nome
secondo la natura, erm. Apparisce, soc. la vero tale appar egli, che sin
Agamennone, quale pare che si affatica, e sopporta imponendo fine alle cose, le
quali parvero da terminarsi per la virt. Argomento poi della sua toleranza ne
diede il durar sotto Troia con tanto esercito. Dunque che questo uomo sia stato
buono nella perseveranza, il nome di Agamennone lo significa. 1$ peravventura
eziandio Atreo se ne sta bene, conciosia, che la uccisione di Crisipo, e la
crudelt intoruo a Tiesse sono tutte le cose daouosc, e perniciose in verso alla
virt, onde la denominazione del nome declina un tantino, ed gelata in modo, che non dichiari .^chiunque
la natura di questo nomo: ma cui som periti di nomi si mauifesta bastevolmente
la significazione di Atreo; perch esso nome
posto bene in- ogni luogo secondo 1 intrepido. Ancora pare che il nome
di Felope non sia dato a lui fuor di proposito, significando questo nome, che
sia degno di questa denominazione chi vede le cose dappresso, zbm. In che modo?
soc. Come si dice nella morte di Mirtillo contra di lui, che egli non abbia
possuto proveder niente, n da lunge vedere di quanta calamit fosse ripieno il
genere tutto, riguardando alle cose, che gli erano innanzi a piedi, e solamente
alle presenti. Ci poi il veder
dappresso, il che ei fece avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi
in matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe ognuno, che il nome Tantalo li
sia stato posto bene, e secondo la natura, se sono vere le cose, che si
raccontano di lui. erm. Quali sono coteste? soc. Che a lui ancora vivente
moltissime cose avverse, e gravi avvennero, il fio delle quali si era, che
tutta la patria di lui si vogliesse sossopra. Pi oltre, lui morto gli sta sopra
la testa un sasso, per certo, durissima sorte. Tutte queste cose adognimodo si
confauno col nome, non altrimenti, che se alcun lavesse volato nominar
pazientissimo: ma avendo parlato alquanto oscuramente, abbia posto Tantalo per
Talantato- In c vero pare, che un tal nome la fortuna di lui avversa l abbia
dato col rumor della gente. Anzi che bene si applic ancora il nome a Giove
padre; nondime no egli non agevole da
conoscersi essendo 1 no 1 me di Giove qual certa orazione, il quale in due
parti partendo, in parte si vagliamo dnna, in parte del laltra parte,
chiamandola. alcuni altri, le quali per ti in uno poste, dimostrano la natura
di Pio, il che dee poter fare il nome massimamente; non avendo noi, n tutti gli
altri niuna maggior cagione di viver, che il prencipe, e re di tutti- Dunque
avviene, che si nomini bene in cotal guisa, essendo Dio, per cui ca gioite il
viver si ritrovi sempre in tutti i viventi. Essendo poi uno il nome, in dtfe parti partito, come io dico. Questo
poi essendo fgliuol di Saturno cl all improviso l'udisse penserebbe cosa insolente.
M ragionevole, ehesia prole Giove di certa grande in telligenza; perch quello,
che si dice non significa fanciullo; ma purit, e incorruttibilit deliamente di
lui. Egli poi, come si dice, figliuolo
del cielo; conciossiach lo aspetto alle cose di sopra meritamente sidee
chiamare con questo nome, come all' alto risguardi onde, o Ermogene, affermano
coloro, che trattano delle cose sublimi, cheavvegna una pura mente, e a lui si
ponga bene il nome del cielo. Or se io tenessi a memoria la geneologia scritta
da Esiodo: e mi ricordassi quali egli introducesse i progenitori loro, in niuu
modo non cesserei di dimostrarti, che fossero scritti loro i nomi bene, finch
facessi la provi di questa sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcuna
cosa fornisca e se si dubiti, o n, la quale io non se certo, onde poco fa mi
sia venuta cosi allo mproviso. za In vero, o Socrate, pare a me, che t alia
similitudine di coloro, che sono da divinit rapiti, mandi fuori oracoli. soc. O
Ermogene, io stimo, che. questa sapienza si cagionasse in me da Eutifrone
figliuolo di Panzio; poich assiduo gli era instami dal matutino, e li porgeva
gli orecchi. Sicch manifesto, che egli
pieno di Dio, non solamente abbia ripieni di sapienza beota gli orecchi miei?
ma occupato t'animo ancora: io stimo veramente, che si abbia a fare in cotal
guisa. Che si vagliamo -oggi di lei, e si investighi da noi il rimanente, che
pertiene a nomi: diman poi, se in ci converremo, la manderemo fuori, e la
mondaremo con diligenza, ricercando alcun o sacerdote, ovver sofista, che sia
buono a purgar queste cose, bum. O Socrate, io approvo questo si, perch molto
volentieri udirei ci, che rimana d'iutorno a nomi. soc. Al tutto si dee fare
cosi. Dunque ove giudichi tu principalmente, clic si abbia ad incominciare;
poich abbiamo prescritta Certa legge per conoscere, se eziandio gli stessi nomi
ci attestino, che non siano stati fatti a uso: ma contengano alcuna invenzione?
i nomi dunque degli croi* C degli uomini peravventura ci inganaerebbono,
essendo molti di questi posti secondo le denominazioni de maggiori, e spesse
volte non convengono in modo niuno, come abbiamo detto nel principio. Molti
nomi poi pongono gli uomini quasi pelvoto, come e altri molti Per la qual cosa
io stimo, che siffatti siano da tralasciarsi: ma cosa verisimle si, che noi ritroviamo i nomi
posti bene, e naturali intorno Ile cose, che son sempre, convenendosi mollo,
che qui si abbia a cercare diligentemente la maniera del por i nomi: ma
peravventura alcuni d loro sono stati posti ancora da certa potenza pi divina,
che umana. ehm. 0 S ocrate, tn mi pari d parlar eccellentemente. soc. Non egli cosa convenevole lo iucominciar da Dei,
considerando in qual guisa sono stali chiamati i Dei bene con questo stesso
nome? erm.-E verisimile. soc.-In vero cosi io sospetto; mi par certo, che i
primi de Greci abbiano pensato quei soli Dei, i quali eziandio sono stimati in
questi tempi da molti,!' barbari il sole, la luna, la terra, le stelle, il
cielo. Dunque quasi, che essi vedessero tutte queste cose essere in un perpetuo
corso, da questa natura avviso, che ic
si abbiano nominate,poscia osservandone altri; le abbiano chiamate tutto con lo
stesso nome. Ci, che io mi dico tiene egli aluua verisomigliauza, oppur n?
.-Appar molto, soc che si ha poscia ad investigare? ehm E ma-nifesto, che si
dee cercare de demoni, e degli eroi, degli uomini. $oc.- De demoni? o Ermogene,
considera veramente se ti avviso, che io
ti dica alcuna cosa intorno a ci. che si vuole inferire il nome dedemoni, ehm.
DI pure. soc. Sai tu dunque quali si dica Esiodo, che siano i demoni? * km Non
intendo. soc. N eziandio, che egli dica essere stato degli uomini primieramente
il genere dell' oro? erm. Solio s. soc. Or dice dintorno a lui, poich la sorte
copr questo genere, che altri si chiamano demoni puri, terrestri, ottimi
fuggatori di mali, e guardiani di uomini mortali, erm. Che poi? soc. Per certo
io stimo, che egli chiami genere d oro, non fatto d oro: ma buono ed
eccellente, e di ci ne fo la congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia
del ferro, ehm. Tu narri il vero, soc. O non pensi tu, se al presente alcun de
nostri fosse buono, he egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro? erm. E
cosa verisimile, socOr sono alcun' altra cosa i buoni, che prudenti? erm
Prudenti. soc S che come io penso chiama quelli demoni principalmente; perch
erano prudenti ed intelligenti, e pervenne questo nome dalla nostra lingua
antica. Perlaqualcosa ed egli, e qualunque altri poeti molti parlano bene, che
dicono, che poich alcun buono si parte di vita, prende in sorte grandissima
dignit e premio, e si fa demone secondo la denominazione della prudenza. Cos mi
afferm ancora, che sia ogni uomo prudente, il qual buono, e sia egli demonio, e vivendo, e
morendo, e si chiami demone bene. erm. Mi pare o Socrate, che io consento
dintorno a questo con esso loco, soc. Poi, SIGNIFICA egli? ci non molto malagevole da considerarsi, essendo
poco distante il nome degli eroi, dimostrando che la generazione loro sia
derivata dall amore. erm. In che modo d tu questo? soc. O non sai tu, che sono
se-, midei gli eroi? erm. Che dunque? soc. In vero tutti sono generali, avendo
o Dei portato amore a donna mortale, o mortali a Dea, oltre ci se considererai
queste secondo la vecchia lingua degli Ateniesi il saprai maggiormente;
perciocch ti dichiarer che si mutato nn
tantino per causa del nome, onde soo fatti gli eroi, o che egli significa gli
eroi, o perch furono savi, e retori, e facondi, e al disputare acconci, essendo
bastevoli allo interrogare. Sicch quello, che poco fa noi dicevamo, dicendosi
gli eroi nella vece attica pare, che gli eroi siano atctmr relori, e che
interrogano e amano; onde il genere degli eroi si fa genere di retori e de'
sofisti: ci poi non malagevole da
intendersi: ma pi oscuro quello, per qual cagione Si chiamino gli uomini
gf$pcTrol P uo tu dire il perch? ersi. Uomo dabbene dove avrei io questo? anzi
se io potessi ritrovare alcuna cosa, uon 1 affermerei, pensando, che tu meglio
di me saresti per ritrovarla, soc. Egli mi
avviso, che tu ti confidi nella ispirazione di Eutifrone. erm. Senza
dubbio, soc. E meritamente tu ti confidi; perciocch troppo bellamente ini pare
ora di aver pensato, ed pericolo (se io
non mi guardassi) che no pares- e
gg>> c h io fossi divenuto piti saggio, che non si converrebbe. Or non
considera ci, che io dico; perciocch conviene primieramente, che si consideri
questo intorno a nomi, che spesse volte aggiugniamo lettere, e ne leviamo,
nominandole fuori della nostra inleuziope, e mutiamo le acutezze, come quando
diciaroo Al bia a cercare dell Miima, come sia ella chiamala bene? poscia del
corpo? erm. In vero si. soci Dunque acci io subitamente esprima quello,' che
ora mi si offerisce primieramente, io : stimo che Colo-i ro, che' cosi
chiamarono lanima abbiano ci pensato principalmente, che questa quante Tolte
col corpo si -, cagione, che egli viva, dandoli la virt del rispirare, e
rifrigerandolo; e come prima lo abhando-t nera quello, che il refrigera, eglisi
scioglie, e Sene muore, onde pare, che 1 abbiamo chiamata, quasi rifrigerante:
rt se, ti aggrada fermati alquanto. Mi par divedere alcuna cosa pi di questa
probabile presso coloro, : i quali seguitano Eotifrooe; perciocch
sprezzerebbono essi questa, come io penso, e la dimostrerebbono certa cosa
molesta: ma vedi, se ci ti sia per dover piacere, erm. D pure, soc. Qual* alt+a
cosa pare a te, che contegno il corpo, e il guidi, e faccia, che egli v;va, e
vadi intorno* che 1? anima? eatu.ij-' JNient altro? soc. Ma che? non credi tu
ad A nassa-' gpra, che la natura di tutte le cose sia lo inieMetto,e lanima che
ladorna e contiene?. erm. Cos si.' soc. Dunque ben fia, che a quella potenza si
applichi questo nome (pvvgyjnj, cio contenente la naturai ma si pu chiamare
ancora ornatamente. ' erm. Cos ad ogni
modo, e mi pare, che questo . sia di quello' pi artificioso- soc. E verameute,
anzi par. certo cosa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw Or,
che dobbiamo dir api ci, che segue? soc. Tu d del corpo? brm.-S. soc. Questo a
me pare in molti modi, se alcun declinasse un tantino. Perci, che alcuni
dicono, che egli sia allanima sepolcro, quasi ella sia sepellita in questo
tempo presente, e anco perch 1 anima col messo del corpo significa qualunque
cose pu significare per questa ca gione
chiamato ancora bene. Nondimeno mi Ravviso, che gli settatori di Orfeo
abbiano posto questo nome principalmente a questo fine; perch l'anima iti
questo corpo dia la pena de delitti, e sia chiusa iti questa siepe, e trincea
affine servi imagine di prigio ne. Per la qual cosa vogliono, che sia questo
cosi; come chiamato un chiostro per
custodir l anima fin, che purghi qualunque debiti; n pensano, che vi si abbia a
tralasciar pure alcuna lettera, ehm Or, O Socrate, mi pare, che dj intorno a
questo si sia detto bjBstevolmetite: ma de nomi de* Dei potressimo forse noi
considerare, come si fatto di Giove,
secondo qual retta invenzione fossero posti i nomi loro? soc. Per Giove s, o
Ermogn; se noi avessimo intelletto sarebbe una maniera buonissima il
confessare, che iton conosciamo niuna cosa d intorno a' Dei, dico n d intorno
ad essi, n a nomi loro, co quali si chiamano; manifesto essendo, che essi si
chiamino coi veri nomi: ma la seconda maniera della retta intenzione si , che
cos come ordina la legge, che si pre-i ghino i Dei ne voli comunque aggrada
loro di esser chiamati; cos ancora noi li chiamiamo, quasi da noi non si
conosca niun' altra cosa. Perch si
deterrai. nato bne, come mi pare. Per la qual cosa, se ti piace,
consideriamo quasi avendo detto innanzi a Dei, che da' noi non sia per
conoscersi niuna cosa d intorno a loro? non confidandosi noi di esser possenti:
ma pi tosto- d' intorno agli uomini oon che opinitine principalmente intorno a
Dei disposti posero lro i nomi; essendo .ci lunge da riprensione. fi erm. O '
Socrate; egli avviso, che tu parli modestamente,
c facciasi da noi in cotal guisa. .Dunque incominciamo .alcuqg,co$a da Veste.
secondo le legge.- bum. Cosi veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe
dir alcuno, che considerasse chi la si chiam Veste? erm. -Io pon penso per
Giove, bis ci siaagevole do riprovarsi. som O firnwgene buono. In vero par
bene, che i. prinp autori, de, nomi non siano tati certi gr*, solqni; ma
investigatori sottili di cose Sublimi. 11 Perch? sac Perch, mi pare cheil por
de' stomi sia stato di . certi uomini siffatti, *' se d leu n considerasse i
nomi forestieri^; non tnanbo ritroverebbe ci, che qualunque significasse, come
eziandio in qaesto, il qual noi chiamiamo essenza, alcuni sono,.' che il
chiamano altri di nuovo. Primieramente secondo luno di questi nomi,,,non ^
ovviso^ che si fofamrai forte lontano dalia ragione la essenza delle Icose, e
perch noi chiamiamo ci, che partecipe dS
essenza; per questo si potrebbe nominar Itene; perch parte, che ancora noi
anticamente,, chiamavamo gi ?r* o6(rffc- Appreso e leu* considerali* iscrifie,
stimerebbe, che; c^l cqn|i derisero doloro, ( bfc .li, et posero;,
perciocch vcrisniU iunanM-4-iWtt. i-, I>i^ che facessero i sacrifici a Veste
chi denominarono la essenza di tutte le cose.- ma quanti di;,
nuovo,la.fthiamarono aiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo Eratlito, che
sempre scorressero tutte le cose, e Piente Don si fermasse. Danqoe la cagione,
'e la origine loro fosse, chi le spingesse. Sicch meritamente si chiami la
cagione, che spinge. D intorno 1 0 questi fin qui siane detto in .colai guisa,
come da coloro, Che' 'non intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si
Iconstderi di Rea e di Saturno,* tuttoch de! nome di Saturno abbiamo detto di
sopras-hiB forse, chef io noti died nulla. EHM.-Perch, o Socrat? soc. O uomo
dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd. erm. Quale eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa
niol-U>, fiondimene 'Urn, che tenga feuno probabil cos. k*m.> Q uale n-
dessa? soc. Mi prvedere; che E radilo gi. molto nani chiaramente aldune cose
saggio, che si fecero nel tempo di Saturno e d Rea, fe quali eziandio si
raccontavano da Omero, ehm. Come di tu cotesto soc. Eradito dice, che scorrano
tuttalacose, e, non si fermi nulla; e assomigliandogli -.enti al flusso d un-
fiume, dice non esser possibile, che nei medesimo, fiume tu possa entrar due volte.
ehm. Q uesto A vero. soc. J O ti par egli, che colui da praclito dissentisca,
il quale pose Rea e Saturno Si lX, il prencipe di questa virt, come
TTOff/c/lefffiolf OVTK, cio legame di piedi: ma lE vi fu trasmesso forse per
ornamento, ftla perM avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in vce di
E si diceva primieramente on due LL come se dicesse fa ttoAAc bif(is dal dopare
gli alimenti, crtte/loti. c , certa amata, cos come si racconta, che Giove
amata lebbe. Ancora risguardqqdo allalto peravveulura chi ordini) questo nome,
denomino laere e parl oscurar mente, ponendo ci principio nel fine, il che ti
si far manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di Proserpina, ed enroAAtav
temono alcuni 'per quello di nominare, che
ignota: loro la retta invenzione de np; mi: perciocch mutando
considerano la 3U ancora adviene intorno al nome d A polline, avendo molti in
orrore questo nome, come porti seco alcuna terrihil cosa, o no il conosci tu?
ehm. Il Conosco ai, e tu di il vero. soc. -Ma ci, come mi avviso,
posto benissimo rispetto alla potenea di Dio. erm. In che modo? soc.
Sforzerommi di esprimere il mio parere, in vero non si avrebbe possuto
ritrovare un altro nome solo pi convenevole -alle quattro potenze, di Dio, di
maniera, che le tenesse tutte, e in un certo modo dichiarasse la musica, il
vaticinio, la 1 I T u ' ', medicina, e 1 arte del saettare. Or di, per ch
mi avviso, chp,tu dica un nome strano,,
soc. Anzi egli conveuevolmente
addattato; essendo Dio musico; perciocch la purgagioue primieramente, e le
mondazioni, che si fanno colla medicina, e col vaticinio; ancora le cose, che
si torniscono colle medicine de medici,
e gli incauti degli indovini, C le purificazioni, i lavacri, egli spargimenti
possono questo solo, cio di. rendere 1 uomo puro, e del corpo e deUaniina;
non egli cosi? erm. Cosi ad ogni modo,
soc. Dunque sar colui il Dio, il qual purga e lava chi libera da mali siffatti,
ehm. Senza dubbio, soc Per la qual cosa in quanto lava, e libera come medico di
tali inali; meritamente chiamato
liberatore. Ma secondo la indovinazione, e il vero, e il semplice, essendo una
stessa cosa il possiamo ancora nominar bene secondo il costume de Tessali. Per
l certo tutti costoro chiamauo questo Dio, semplice: ma pereh sempre imbroca il
sogno con l'arte del saettare, sempre percuote-, si pu dire perpetuo
percotente. Secondo la musica poi, si ha a pensar di costui come di chi si
dice, che segue alcuno; e della moglie, perch 1
A dimostra, come in altri molti luoghi il congiuogimento, e qui ancora
significa 1 * accompagnamento delle conversazione, e intorno o cieli, i quali
chiamiamo 7 TAovff, SIGNIFICA eziandio 1
* armonia, che nel canto, la qual ai
chiama concordanza. Perch dintorno a queste cose, come dicono i periti di
mnsica e di astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia. Questo Dio poi soprastante allarmonia volgendo insieme tutte
queste cose, e appresso agli uomini, e~a'ppresso V Dei. Dunque cos come T J y
o^oa/Afii/Sor, Kff opJtOv roti : ttoAAos, donde meritamente si pu chiamar obi
pensa avere intelletto. D intorno a Venere non
cosa degna, che si contradica ad Esiodo: ma si conceda, che si chiami
&QfOpo 7 vetrw, ci per la generazione della spama. MM.-Or, o Socrate, non
trapasserai sotto silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte essendo ateniese, soc.
Non conviene itKolcun modo. ehm. Per certo n. soc. Egli non malagevole da dirsi, perch sia posto luno de
nomi di lei. Kit. Quale? soc. Per certo noi l chiamiamo Pallade. ehm. Si certo.
sac^-Or istimando noi, che 1 sia posto questo nome dal saltar fra le arme, lo
stimeremo bene, come io penso, perciocch lo inalzar se stesso, o altra cosa in
alto, o da terra, o colle mani il diciamo TrAAetif, e thxAAe adii, Xfid pX B
^*. vi v XKps, y, cio Alarle, si dice secoudo il maschio MpetOtfjiCio forte. Pi lire sft la vorrai,
che egli aia stato chiamato per certa aspra natura, dura, e invita, e
immutabile, la qual si chiama ttppXTOI, questo ad ogni modo convenirli al Dio
guerriero. xrm. A d ogni modo. soc. Deh per li Dei lasciamo oggimai i Dei,
temendo io di disputar di loro: ma proponimi qualunque altre cose tu vuoi,
affine tu conosca quali siano i cavalli di Eutifrone. un. Farollo
addiinandandoti ancora una cosa di Mercurio poich Cratilo nega, che io sia
Ermogene, sicch tentiamo di considerar ci che significhi ppw$, cio il nome di
Mercurio: affine conosciamo, se egli dica alcuna cosa. soc. E nondimeno gpgyg,
cio Mercurio pare che sia intorno al sermone in quanto i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) t nhu'juKne, k
to xTxrnXoi sr ih * sospetto in questa
tal guisa, perch sfttei, cio sempre scorre, scorrendo intorno all* aria, perci
meritamente si pu chiamar fatfripo 7*
cio lanno pare che sia lo atesso; perciocch quel che a vicenda manda in
luce qualunque cose nascono e si fanno, e le essamina ia se stesso, e
discerne lanno, e come di sopra dicemmo,
che l nome di Giove era segato in due, e si chiamava dalcuni daltri a/# cosi ancora chiamano qui lanno
altri evi flfUTy, perch in se stesso, . f ^ altri ajoS, perch essaraina. Ma ia
ragione intera , che chi .esamina se stesso, si chiami ia due maniere essendo
uno dj modo che da un parlar solo si facciano dpepomi,eVl t/T, e bT-OS cio
anno, ehm O Socrate, tu te ne vai luoge oggimai. soc.-In vero mi avviso di far progresso nella sapienza, ebm.
Ansi si. soc. Per avventura il concederai maggiormente, xaw. Hor dopo questa
specie Volentieri contemplerei, in che rpodo questi nomi eccellenti di virili
siano posti bene, come (ppvn**\L ** Troppo aridamente, o Oberate, ed
incivilmente. 1 oc t-r-Q non sai tn, uomo beato, che i nomi, i quali
prim|erjqjentf furono posti, siano stati celati, da cip tragicamente li
vogliono narrare; aggiugnendo essi per eleganza, e levandone via lettere, e
parte per lunghezza tempo, parte per
desiderio di ornamento
'rivoltandoli" da tutte le parti, come per esempio tV TcS Hpctfaipa, c,oi
nello specchio, non parola te disconvenevole che si siaframesso il pa? per
certo tali cose fanno, come io stimo, chi prezzano, pih vezzi della boca, che
la verit, per la qual cosa framettendo molte cose a primi nomi, alla fine
fanno, che niun uomo intenda ci, che si voglia il nome, come mentre
proferiscono Ty aai'yyce, cio certo li i ; .-i
f'iitij n s . T ' *17 mostro, dovendosi pronunciare /'yot, e "tolte
altre ' ! "!. T I, .sose. ZBM, ci, o Socrate se ne sta veramente cosi,
soc. Ma se si concedesse di nuovo ad ognuno secondo il suo volere di aggingnere
e levare a borni, grande in vero sarebbe la licenza: e chiunque darebbe
qualunque nome a ciascheduna cosa, za*.Tu narri il vero; ma si conviene, come
io penso, che da t presidente savio, si servi certa mediocrit e decoro. irm. I
o il vorrei si. soc. E ancora io, o Ermogene, il desidero con esso tco: ma no
il nctncar, Umo flice, coi troppo eSsata
investigazione, affine non annichili al tutto k virt mia: perciocch io me ne
vengo alla cimjt delle cose antedette, poich dopo 1 J-*! arte avremo
considerato |iSJ iti, cio scorre
malamente > sari nati i/ct, cio vizio. Ed il proceder malamente che si fa nell
anima inverso alle cose, ritiene massimamente la denominazione del vizio; ma il
hxk)$ (Si'XI, cio il prcdere malamente ci, che egli si sia, pare a me che si
dichiari ancora nel nome t/fgiA/oe, cio nella timidit, la qual non ancora
abbiamo dichiarato; aveodola noi tralasciata; facendo mistieri che la si
considerasse dopo la fortezza. Appresso ci
avviso di aver tralasciato molte altre cose. Dunque it/ls l A/x
significa il forte legame dell* animai perciocch 7 -$ Aistf certa forza. Si che J\ei\ix, cio la timidit il grandissimo legame dell'anima, cos come
ancora j xitopix. )>S4C cio il dubbio
male,, e, sommariamente qualunque impedimento del. progresso. Questo
dunque pare, che dimostri x, K*k5s *, cio l andar male senza moversi, e con
impedimento; la propriet quando lanima tiene si riempie di vizio, che $e quel
nome di malvagit compatisse ad alcune cose siffatte, il contrario significher
virtlt. Primieramente SIGNIFICANDO abbondanza, e poscia che il flusso dell'
anima buona sia sempre sciolto. Perlaqualcosa quello- che senza retto tiono e impedimento x C Itati
KflAw/eoa, cio che sempre scorre ha avuto, come
avviso, questa denomufazine. Si che st bene, che alcun lo chiami
&ipp frtf, 4*** 8em lj re fluente. Ma peravvntura lo pu chiamar alcuno
oupgx&y, quasi, che qtiesto abito sia da elggersi massimamente. Ora
Spezzalo il vocabolo si chiama psT. D *rai lu forse, che io finga: ma io mi
affermo, che se pur quel nome d vizi, che io ho riferito introdotto bene, che ancor bene si introduca
questo nome di virt, erm Ma che si vuole T
KfltRf, cio >* raa,e i P er * quandi sopra hai detto molte cosef soc.
Certa cosa strana per Giove, e malagevole da ritrovarsi. Si che ancora a questo
io apporter quella machinazione. ehm. Qual macbina'zionef soc Il dire, che
questo ancora sia certa cosa barbara. ERM.-EgH
avviso, che tn parli bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da
parte, se il ti piace: ma tentiamo d* sedere In die modo se ne stiano bene
ragionevolmente questi nomi T K*At TO edxpoi, cio di bello e di turp. Or ci,
che significa oic^pat m > par manifesto, per certo egli conviene con gli
antedetti: perciocch mi avviso, che chi
ha posto i nomi biadimi ci, che iropedhce e ritiene dal corso gli enti* e ora
pose il nome ocel TW povv a ci, che sempre impedis*. se il flusso
ocsiaryoppovt. Ma ora pezzato il nome, lo chiamano cthry^p 0. Che si vuole il
kccAov, cio il bello?* soc. Ci via pih
malagevole da conoscersi, dicendosi che questo solamente per causa di armonia,
e di lunghezza sia derivato, donde s trasse. rm. In che modo? soc. Questo nome
pare, che sia certa denominazione di discorso. ' erm. Come di tu questo? soc.
Qual cosa stirai tu, che sia stata causa della DENOMINAZIONE di qualnuqne degli
enti? o non ci, che diede i nomi? erm. Ad ogni modo, soc Dunque questo sar
discorso o dei Dei, o degli uomini, o di ambidue. erm. Per certo si. soc. Dunque
70 KKOV ret Trp7(jiflCTflf, cio quello, che chiama le cose, e x kA? sono lo
stesso, che discorso. erm. Apparisce, soc. Dunque qualunque cose fa di nuovo la
meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma quelle, che no, sono da
biasimarsi. erm. Ad ogni modo. soc. Dunque ci, che alto al medicare fa ( le opre della medicina,
ci che atto all arte del legnaiuolo
quelle, che sono proprie di lei: ma tu come >1 potresti dire? ehm. Cosi.
soc. Si, che eziando il bello, le cose belle? ehm. Fa certo mistieri. soc
Poscia questo egli il discorso, come
diciamo noi? erm. Si certo, soc. Si che questo nome di bello, meritamente fa la
denominazione della prudenza operante certe cose siffatte, le quali
abbracciamo, dicendole belle, erm. Cosi apparisce. soCi-Quale altra cosa
..oltre al genere di lei rimane da investigarsi? e*m. Quelle che riguardano al
buono e al bello, cio quelle, che conferiscono, e sono utili e ci giovano, e ci
sono di guadagno, e le contrarie a queste. soc.-Ci, che sia quello che
conferisce, tu il ritroverai considerandolo dalle cose antedette, parcndj certo
germano di quel nome, che peritene alla scienza, non dimostrando egli niun
altra cosa, che 7HV (piX(pQp XV TUS flBfCt T6IV '7rpOC'yjiffTOV, cio il
portamento dell' anima insieme colle cose, e quelle che quinci provengono sono
chiamale 1 nocivo, e il dannoso . erm, Per certo . soc. Ed il fiAxfiepov, dice
sia t 0 fhAxvyov TO poD, cio ) 58 ( quello che nuoce si corso, t* J\g
jSAatT'yOI, TO jSot/OfievoV cnrrei, cio quello, che vuole impedire. e cnTTBIV
Reti c/leTlf, c ' impedire, e il legare di nuovo significa lo stesso, e questo
biasima per tutto. Dunque ci, che vuole ecmeil K cAell T 0 >6v Aofteroi I
ttntTBlV po0\ l si chiamerebbe bene fiovXonrTepOV, nia P er ornamento io stimo,
che sia stato nominato /JActjSspoV. O Socrate, vari nomi se ti vanno nascendo
di sotto via, e mi pare al presente, che tu abbia cantato innanzi certa quasi
ricercata della legge di Pallade, mentre proferivi il nome jJot ) .1
AaTTTepoJ/V. soc.-,0 Ermogene, io non sono cagione. - ma chi posero il nome,
ehm, Tu di il vero: ma che sar poi il uji/c/|ef, c ' dannoso? soc. Vedi, o
Ermogeue, ci, che debba essere e vedi quahto daddovero io parli, qualora io
dico, che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano d gran lungo il
senso de nomi in modo, che cambiando certa picciol cosa facciano alcuna volta,
che SIGNIFICHINO COSE CONTRARIE, il che. apparisce in questo nome Jisovjl, cio
opportuno. Ci poco fa in pensando quello, che io sono per dire, mi e venuto in
mente. In vero noi abbiamo nuova quella voce bella, e ci sforz a suonare il
contrario TO c/l/o K* T confondendo il senso ma certo nome vecchio f i s 9 (
dichiara quello, che ai voglia, e i no e allro me. eem. Come di t cotesto? soc
Dirolloli, tu sai che, magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del I e del
A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t tengono si la voce vecchia, ma ora
in vece del, vii aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo del J il o come queste
suonino alcuna cosa pi magnificamente. che modof soc. Come per esempio gli uo
rntm antichissimi eh, amavano T| ; y . cio il giorno: ma altri poscia il
chiamano ^ p J t e presenti ^ epxr, erm.
E gli vero. soc.-Dun- qne tu sai, che
con quel vecchio nome si dichiara so. la mente la mente di colui, che pose il
nome; perciocch eh, amarono il giorno S(lepxv> perch da|Ic ^ bre s, faceva
il lume agli omini */ povjlt, Che,1 desideravano, e si allegravano . IZ , AP /
arSCe * S0C ' ~ Ma ra in 0* ninno non
intenderesti, q ue,, cbe voglia ..tato nelle tragedie, bench stimano alcuni,
che si d,c * Wpct, perch faccia egli qualunque cose,u{ po( cio mansuete, ehm. -
Cos mi pare. soc. - N ti * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070 cio,1
giogo t,yQ Vt ' erm Per cert0( soo _ Ma ye raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra
niente: ma j 0V70t ) fio ( dimostra s'neK# T? J\oaeu$ 65 *m 7^7*,*' cio il
conducimento di due per causa di legare, e lo stesso si dee giudicar di molti
altri, erm. E manifesto. soc. Nel medesimo modo il to J\&ov cosi proferito
dimostra il contrario di tulli i domi; che ris guardano si bene; perch certo
essendo il idea. del bene, pare che sia
c/SO'piOf, cio legame e impedimento del progresso come certa cosa germana TO jSKjSspO, cio al
nocivo. erw: Socrate, cqs'i appar si.
soc. Ma non gi incoiai guisa nel nome vecchio, il quale yerisinaile, che meglio sia; sta-, to
ordinato del nostro, per certo tu coovenirai coj beni antedetti, se per lo g
renderai lo / t come anti-r ' 4 camente si diceva; non significando c/|ov : ma
J\li quel bene, il quale sempre lodato;
dall/ inventore dei nomi; e in siffatta maniera non discorda egli eoa seco,
anzi pare che sia lo stesso t/Isoy, KCt ( ftov, kx'i A.t/v, cio il cruciato par
nome forestiro detto da oc^yeiVOV' oJlv/n poi, cio il dolore, e FaSlitione si
denomina da e Vc/lu &BCo$ THS Al/TT?, c! dall entrar del dolore, erm. Apparisce, soc. a
yJtiJlV, cio il dispiacere chiaro ad
ognuno che e assomigliato il nome alla gravezza del portamento, ma ^ctpx cio
lallegrezza, e la letizia par, che sia chiamata da J\ loc^vireus, c '
dallfacilit evTTOpixs cio del movimento dellanima. Si cava T } p'M St cio il
diletto da Tg/>4.t?, cio dal dilettevole; maT-gp^j^ydaT rspJWoy da JtXTS
pr\-e&)$, cio dalla inspirazione del diletto aellauinia. Sicch meritamente
si chiamerebbe tpTrrovi, ' ) ( cio inspirante; ma dal progresso del tempo
il divenuto a t/>TTV 0. Per q ual
cagione si dica cio lallegrezza e vigoria non
bisogno renderne conto, essendo manifesto a chiunque trarsi questo nome
da ef, che si dice v TOS TrpxypLXXI TtV ffvp Hpepsa e certe altre si fatte
cose, onde hanno esse i nomi? soc.*-Si dice J\ooc, o da cio dallinvestigazione,
con la qual cambia, e segue lanima investigando la coudizion delle cose, o da
-j-jy TO^OU JohSt cio da ^ scoccar dellarco: ma quinci pare pi tosto, che
dipenda, | omeri J, cio la stimazione a ci consona, assomigliandosi allentrar
dellanima in qualunque cosa, il qual dichiara ci che sia qualunque degli enti,
cosi come e jgot/A*, cio lo volont si dice da l*Ho scoccare, TO 0VElecr$ttl, c,o ll desi ' derare, e
j?ovAst/ l la verit e t 0 cio la bugia, e to oy, c,oe lente, e 0V0fi cio il
nome di cui ora trattiamo, perch tenga questo nome. soc. Chiamami tu pcc!
ecrBxt, alcuna cosa? ebm. In vero chiamo lo investigar^,- soc. Egli avviso, che questo nome sia generato da quel
sermone, onde si dice esser oy, cio lente, di cui il nome investigaiipnfc, il che, pii,, chqramat^
con^prend erai. Per cert,o In quello che, noi; t}icjw TOt voj Utr O-TOl/, cio
nominato esprimendosi qui ci, che sia no es
dellente par che si dica con questo nome Qpx, w>; i.i ri r i otatf ;oq[ no' r ft. r ql essendo quasi
flst Oliffflt A, c,oe certa > div,na in',n t>. et MI scorreria: ma il
>J,sV(/|o5, c bugia, al portamento. Perciooehdi nnovo si disprggi*
quello, che vien ritenuto, e costretto; a star quieto* ed asso migliio T cio che 'non va. sart. Q
Socrate, mi avviso, che rimilo
fortemente' tu abbi ventilato questi nomi: 'ma se alesili) li addiniandass di
questi t# tOV, TO peOV,KO U Tft (Httl/V tosse U retta loro interpretazione, che
principalipenle 1 risponti eremo noi ? i 1 tieni tu forse? soc. Teugolo certo.
In vero poco fa .tei sovvenire un non. so che, coir la cui risposta pare a noi
di risponder alcuna cosa, san Qualej
cotesto? soc. Che diciamo, chesia Barbarei ci, che non conoSeijdno,-
perch forse sono daddovc >( re io parte tali, e malagevoli da ritrovarsi i
nomi pfimieri per. lantichit; perciocch torcendosi i nomi per tatto, non
sarebbe maraviglia niuna, e la voce antica colla nostra pareggiata non fosse
niente differente dalla voce Barbara, erm. Non e fuor di proposito ci, che tu
db soc. Dunque io apporto cose verisimili, non per tanto perci pare, che la
contesa ammetta la scasa: ma sforziamoci di investigarli, e consideriamo in
colai guisa, se alcun sempre cercasse quei verbi, per li quali si dice il nom,
e di nuovo procurasse di saper quelli, per li quali si dicono i verbi, n ci
facendo cessasse, forse non sarebbe egli ne-, eessario, che alla fine si
stancasse il. rispondente? brm. me par
si. soc. Dunque quando cesser meritamente colui, il qual nega la risposta? o
non quando a quei nomi pervenir, i quali sono quasi elementi del rimanente, cio
de sermoni e de nomi? in vero se in colai guisa ne stan' essi, non dee parer
pi, che daltri nomi siano composti, come per esempio abbiamo detto poco fa che
to otyxS OV, cio d bene fosse composto da ecyxtTTOv, cio del mirabile, e $ov,
t del veloce 3eOV P* cio il veloce,
diremo noi che costi daltri, e essi da altri: ma se alcuna volta a quello
perveniremo, che pi oltra non si forma daltri nomi, meritamente diremo noi di
esser pervenuti allo elemento, n pi oltre faccia mistieri, chel riferiamo ad
altri nomi, bum.' T u mi parj di parlar bene, soc. O non sono quei nomi
elementi i quali tu ora addmandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri
la retta interpretazione? sbm. Ci
verisimile, soc. Verisimile certo, o Ermogene. Per la qual cosa tutti
gli antedetti pare, che siano a questi ascesi, e se ci se ne sta cosi come mi
pare, or di nuovo considera con esso meco afline per avventura non impazzisca,
mentre tento di dichiarare la retta inlenzion dei primi nomi. zbm. Di pure,
perciocch io vi penser secondo il potere, soc. Io stimo veramente, che in
questo tu assentisca, che una sia la retta invenzione di qualunque nome, e del
primo, e dellultimo e niun di loro in quanto nome discordi dallaltro, ehm. Si.
soc. E nondimeno la retta invenzione de nomi, i quali poco fa riferito abbiamo,
voleva esser certa tale, che dichiarasse, quale si fosse qualunque degli enti,
ehm. Senza dubbio, soc. Questo veramente non dee convenir manco o primieri, che
agli ultimi, se sono per dover esser nomi, ebm. Al tutto, soc. Ma gli ultimi
nomi, come avviso, potevano fornir
questo per li primieri. ebm. Apparisce, soc. Stiano le cose jcos. Or i primi, a
quali altri ancora sottoposti non sono, in che modo secondo I possibile, ci
dichiareranno gli enti, se deono esser nomi? rispondimi a questo. Se non
avessimo voce, n lingua, e avessimo voluto dichiarar Vicendevolmente le cose,
non avremmo tentato noi cosi, come i muli al presente, di significarle colle mani,
coll* tetta, e col rimanente del corpo? ibm.- Non al i ;> i iiit k ' ci
: !>M Ili menti, o Socrate, soc. Ma,
come io penso, se volessi ni o dimostrar il supremo, e il lieve inalzeremo le
mani in. verso al cielo, la stessa natura delle cose imitando: ma se le
inferiori, c gravi le rivoglieremo alla terra; pia oltre dovendo dimostrare un
cavai corrente; o alcun altro animale, tu sai, che da noi si sarebbe finto i
gesti de corpi nostri, e le figure quanto pi presso alla loro somiglianza. erm.
Ci, che tu d mi pare necessario, soc. la questo modo, comio penso, con lo
imitar il corpo, si sarebbe con queste parti di corpo dimostrato quello, che
chiunque avesse voluto dimostrare. erm. Cos certo, soc. Ma poich vogliamo
dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa cosj finalmente la
dimostrazione da queste se per esse dintorno a qualunque cosa si fa la
imitazione? erm. Io penso necessario, soc. Sicch, come apparisce, il nome imitazione di voce di quella cosa, la
qual imita, e nomina chi imita con la voce, erm Il medesimo mi pare ancora si
sia detto bene, erm Perch? soc. Perch saremmo costretti a confessare, ohe
questi imitatori di pecore, e di galli, e daltri animali nominassero le stesse
cose, dequali si imitano. *hm. Tu pnrli il vero, soc. Non pare a te, che stia
ben questo? erm. A men: ma o Socrate; qual imitazione sia il nome? soc. Non tal
imitazione, qual quella che si fa per la
masica tutto che si faccia colla voce: n delle stesse ancora delle quali la
musica eziandio imitazione; non dicendo
noi, conio avviso, la imi tallone per la
musica. Ma cos mi dico, li trova egli iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in
motte color ancora? twm^kd wgnf modo.'- SOC. Dunque se alcuno queste imitasse,
intorno a queste imitazioni non si ri Irorarebhe io facoltdel nominare, essendo
altre desse la musica, 1 altre lo dipintura; non egft 1 cosi? va*. Veramtfhte. soc, Che a
questo? non pensi ta, che qualunque coso tenga csi la essenza, come if Colore,
e le altre cose, che abbiamo detto dianri? o hon si ritrova egli* ntl colore, e
nello vce certa essenza e in qualunque altre cose, che so n degne della
denominazion dellessere? ehm. A me parsi, soc. Che duh" que se alcun fosse possente di imitar con
lettere, e con sillabe la essenza di qualonqd csa; non dichiarerebbe egli ci,
che fosse qualunque 'Cosa, o pur n. soc. Qual diresti tu, che potesse far
questo? tu gii antedetti' parte chiamavi' msici, parte dipintori:' ma costui,
come il Chiamerai tu? "ew\ Mi par, o Socrate, che egli sia lautore del
nominare 1, ! il quale gi molto
cerchiamo, soc. Se questo vero, -ggimni
da cnbiderarsi dintorno quei nomi, che 1
; tu ricercavi pouj, c io del flusso, levai dellandare, a-^e noroj primieri, se
peravventura, come i tragici, qualora dubitano ricorrono alle machinazioni
innalzando i Dei, cosi ancora noi non, ci . espedissinv* tosto questo dicendo;
che da Dei siano posti primi nomi, perci siano stati ordinati bee. Duuqne
questo parlare sar egli ottimo presso noi, Oiquello che gli abbiamo ricevuti da
alcuni barbari, essendo i barbari di noi .pi antichi, o per la vecchiezza non
li possiamo discernere cosi come i nomi barbari ancora. Questi sono schermi, o
leggiadri al di chiunque non vogliono render la diffinizione della imppaiaiono
retta de primi nomi: perciocch chiunque non tiene la retta diffinizione
de'prirui nomi, non pu conoscer i seguenti. Questi per certo sono da
dichiararsi da quelli,, de quali non
alcuno, che ne sappia nulla. Anzi chiaro , che chi fa professione della
perizia de* seguenti, abbia compreso gli antecedenti inolio prima, e
perfeltissimamente li possa dimostrare, ma altrimenti dee sapere, che egli sia
per prender errore ne seguenti; c siimi tu in ultra guisa? ehm. N on
altrimenti, o Socrate, soc. Le cose dunque, che io sento dintorno a' primi nomi
mi avviso, che sinno cose ingiuriose, e
ridicplose, e se vorrqi con esso teco le conferir: ma se tu ritroverai cosa
migliore, eziaudio tu Con esso meco la' comruunicherai. erm. Farollo; ma d
oggimai con fidanza; soc. Dunque, primieramente jl p pare a me, che sia come
stromento del movimento tutto: ma perch tenga questo nome non labbiamo detto:
ma .phiaro , che vuol esser (eirtS", cio andata; perch non si valevamo
noi, per lo- adietro del jj- ma dell' 8) egli SIGNIFICA il principio {la
it/str. cio t'andare, il qual nme
forestiro; egli' lo f e yJj : il j r r .
v ' . r cio lo atiflar.- Sicch^s 41 prifnt? nme* di lu si ritrovasse
iraspaptalb nella voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V
nome fre stiero, e dal riiutaniento del
e' dal frammettersi il *,, y si
chiama Ma faceva bi so gii oidio qi dices-,
!' ' ir. t>-| ii -, j se k
ieiveei?, ovver eitr/j, * c/|s 080^0 il p elmento, parve come ora diceva*
opportuno stromento del moto all'autore de nomi per esprimer la somiglianza
del, portamento perla qual.cqsa'uso il p pec tutto alia espressione del
movimento.- Primieramente T ( p e 6 1 V
K poti, cio ne Ho scorrere, e nel flusso imita il portamento per la lettera p
poscia nella voce jrpoy.n cio tremore, e nel Ypxyjs.1, cio nellaspero, ancora
nelle parole di colai sorte ^poveiV >1 percuoter, Spxvsiy il romper fpln$iy
il tirare SpvTTT&lV rompere, xejiT t? tagliare in pezzi pspjSeiy,
vacillare, tutti questi per lo pili figura per lo p conciOssiache, io la lingua
nel proferir questa lettera non ritarda niente, anzi pili tosto si commove.
Sicch egli avviso, che si abbia servito
del p principalmente alla espressione di queste cose. Eziandio in tutte le cose
tenui penetranti massimamente per tutto si ba servito del t; laonde imita per
lo / jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio
landare, e il far progresso, come ancora per lo q e ^ e e le quali lettere sono di spirito pili
veemente. Cose si fatte ci esprime l autor del nome, come per esempi 0 TO 1
C08a fredda yo ( 90V, la bogliente, 70 1 lubrico, T0 yA^KU *' doIce tt* J^Aott
cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi dellinterno suono del p con lui nomin
to 6dlov, Kt TO 6VT0J, cio le cose interne, qnasi assomigliando le opre alle
lettere- poi diede ja fts'yotAw, cio al grande e t p*K6l, c * Ha lunghezza
perch sono lettere grandi: ma ffTpq'y'yuA^ c * rotondo, avendo egli bisogno
dell o, per lo pi nel nome lo mesool. E nella stessa guisa 1 autor del nome
pare, che si sforzi di accommodar a qualunque ente segno, e pome secondo le
lettere, e le sillabe, e da questi poscia comporre il ' rimanente delle specie
secondo la somiglianza. O Ermogene, mi pare che questa sia la retta
interpretazione de nomi, se non apportasse Cratilo alcunaltra cosa. ehm. E
pure, o Socrate, spesse volte mi travaglia Cratilo, come ho detto da principio,
mentre afferma, che vi sia alcuna retta interpretazione di nomi: ma nondimeno
quale ella si sia non la dice chiaramente in guisa, che io non possa conoscere
se egli volontariamente lo faccia, o pur n; cosi ne parla semprc d'intorno ad
essi. Dunque, o Cratilo, dimmi ora alla presenza di Socrate, se ti piace il
modo, con cui egli ne parla dintorno a nomi,' o Se tu puoi dire io altra
miglior guisa, il che se puoi il dirai a line, che o da Socrate tu impari, o
ammaestri nmhidue noi. ca. Ma che, o Ermogeuc? ti par egli ogevol cosa
rapprender in cosi poco tempo, c lo insegnare qualunque cosa noti che una
cotanta; la qual dintorno alle grandissime
stimata certa grandissima cosa? ersi. Per Giove n, anzi io stimo, che
Esiodo abbia parlato bene, che utile sia laggiuguer il poco al poco. Sicch se
tu sei possente al fornire alcuna cosa se ben picciola, no il ricusare: ma
giova a Socrate, ed a me appresso, dovendolo tu fare, soc. In vero, o Cratilo,
n io stesso affermerei niuna di quelle cose, le quali dianzi ho raccontato. Ma
iu quel modo, che mi parve ho ci considerato con Ermogene. Laonde prendi ardir
in esprimere, se hai alcuna cosa migliore, come io sia per ricever volentieri
ci, che dirai: nondimeno n mi meraviglierei se tu potessi dire alcuna cosa di
queste migliore, parendo a me, che tu abbia considerato siffatte cose, e
imparatele da altrui. Duo-, que se da te si dir alcnna cosa eccellente; mi
annovererai fra tuoi scolari intorno alla retta investigazione de' nomi, cr.
Per certo, o Socrate, questo tu di, mi fu a cuore, e ptravvenlura ti farei
scolare, nondimeno dubito, che la cosa se ne stia incontrario ad ogni modo,
perch mi sovvieue di dir in certa maniera lo stesso in verso a te che disse
Achille ne sacrifici in verso od Aiace. O Aiace, nato di Giove, figliuolo di
Telamone, re di popoli, tu hai proferito tutte le cose secondo il mio parere.
Ancora tu, o Socrate, pare che indovini secondo la mente nostra, o essendo tu
inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in te alcun altra musa, il che ti era
ceialo innanzi, soc. O Grati lo, uomo dabbene, ancora io ammiro gi molto la mia
sapienza, n mi confidi troppo. Sicch . io stimo che sia da considerarsi da
nuovo ci clic io mi dica, essendo gravissima cosa lo ingannarsi da se stesso;
perch come non fia cosa grave, quando non
poco lontano: ma sempre presente chi
per ^ingannare? sicch fa mislieri, come
avviso, voglicrsi spesso alle .cose antedette, e come dice il poeta,
tentar di guardar innanzi, e indietro parimente. Or al presente vediamo ancora
ci che si detto. Abbiamo detto retta int
rpetrazione di nome ci, che dimostra quale sia la cosa. Mi d, dobbiamo dir noi,
che qitesto si sia detto bastevolmente? in vero io l 'affermo. soc Dunque si
dicono i nomi percausa dinsegnare? eh. Al lutto., soc. Dunque dobbiamo dir noi,
che questa ancora sia arte, e mietici di le.? er.^S. soc. Quali? cn Quelli che
da principio tu chiamavi facitori di nomi. soc. Mi di, possiamo dir noi, che
questa arte sia negli uomini parimente come le altre, o altrimenti? questo poi quello, che io voglio I dire. Sono egli
alcuni dipintori peggiori, altri piti eccellenti? ce. Sono il. soc. Non fanno
gli eccellenti 1 opere loro pi belle, cio gli animali? incontrario gli altri?
ancora i muratori fan essi parimente le case parte pi belle, parte pi turpi?
ca. Cosi . soc. Gli autori eziandio delle leggi non fanno essi l opere loro
parte pi belle, parte pi turpi? ce. Questo non mi par no. soc. Dunque non pare
a te, che altre leggi siano migliori, altre peggiori? ca. Per certo n. soc. N
anco come apparisce stimi, che altro nome sia posto migliore, altro peggiore,
cr. N questo, soc. Dunque tutti i nomi sono posti bene. cr. Quanti sono nomi,
soe. Che del nome di Ermogene che si
detto di sopra? come dobbiamo dir noi, che a lui non sia posto nome, se
non, cheli compatisca spfiov'yGVEO'EflJ, cio, che sia della generazione di
Mercurio? o che sia posto: ma non bene? cr. O Socrate, non mi avviso, che ancora gli sia stato posto: ma
paia si: ma che sia daltrui questo nome, d cui
la natura ancora, che significa il nome. soc.-Dimmi, non mentisce
chiunque dice, che egli non si diea Ermogene non essendo da dubitarsi, che egli
non si dica Ermogene non essendo, cr In che modo di tu questo? soc. Forse perch
non lecito al tutto il dir il falso? e
si suol SIGNIFICAR poi questo il tuo sermone? perciocch, o amico Cratilo, sono
alcnni ancora, che il dicono al presente, e il dicevano gi. ca. Perch, in che
modo, o Socrate, mentre dice alcuno ci, che dice, dir egli quello, che non ? o
non egli il dire il falso,, dicendo le
cose, che non sono?,soc.-0 amico,questo parlar
pi eccellente di qnelche ricerca la condizione, e et mia; nondimeno
dimmi se paia a te; che alena non possa parlar il falso: ma il possa dir s. ca.
N dire, soc N ancora dirlo, n chiamarlo? come se alcuno fattosi incontro
prendendoti per la mano iosegoo di ospitalit dicesse, Dio ti salvi, o Ospite
Ateniese Ermogeoe figliuol di Smicrione; parlerebbe egli questo, o si direbbe
che parlasse; a direbbe questo, o saluterebbe in colai guisa non te:, ma
Erraogene, o ninno? ca* O Socrate, mi pare che costui gridi, ci in vano, soc.
Questo mi basta, dimmi grida il vero chi cosi grida, o il falso? o parte il
vero, parte il falso? perciocch baster eziandio questo. ca. Io direi, che
questo tale strepitasse, indarno movendo se stesso, come se alcun battesse i
rami. soc. Considera, o Cratilo, se in alcun modo conveniamo, non diresti tu
forse; che sia altra cosa il nome, altra quello, di cui il nome? cr. Veramente. soc. Dunque confessi
tu, che 1 nome sia certa imitazione della cosa? ca. Sopra il tutto, toc Dunque
e le dipinture in certo altro modo d tu, che siano imitazioni di alcune cose?
ca. Per certo s. soc. Or dimmi, perciocch forse i non . intendo, quel, che tu
di.- ma tu peravventura parli bene; polressiroo noi dispartire,, e portare
ambedue queste imitazioni, e dipinture, e quei nomi alle cose, di cui sono
imitazioni, o n? cr.~ Possiamo si . 1 soc. Or. questo considera primieramente,
se potesse' alcuno attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla donna
quella della donna, e le altre nel medesimo modo? cr. Cos certo, soc. Dunque iu
contrario ancora la imagine delluomo alla donna, e della donna alluomo? cu. L-
E questo, soc. Or ambedue questi compartimenti son forse elli, retti? ovver^
lun di essi? cn. L'uno d. soc. Quello penso io, il qual d il proprio, C simile
a ciascheduno. cb, A me par s. soc. Dunque acci tu e io essendo amici, non
contendiamo nelle parole, considera ci, che io djco. Io chiamo retto (
compartimento una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli animali, e nei
nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma vero. Ma laltro conducimento, e
portamento dal dissimile non retto, e appresso falso ne nomi. cr. O Socrate
redi che ci peravventura possa solamente cader nelle dipinture, che alcuno
compartisca male: ma non nei nomi: ma sia necessario che sia sempre bene. soc.
In che modo di tu? dintorno a che questo
da quelle differente? non egli forse
possibile, che nd alcun uomo fallsi alcun incontro dica, questa tua figura, e peravventura a lui dimostri la
figura di lui peravventura anche di donna. Dico essfcr il dimostrare 1*
offerire a sensi degli cchi.' c. 0T?. CR--Corto si. *oc. Dimmi, se questi due p
e+ paiono somiglianti allo stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la
determinazione del p f come a noi per lo ultimo o non significa niente agli noi
di noi? cr -Anzi il significa agli uni e agli altri, boc Forse in quonto sono
somiglianti il p e il o in quanto dissomigliane ti? ca In quanto somiglianti,
soc. Dunque n quanto sono simili in ogni luogo? CR.-Peravventura al SIGNIFICARE
almeno il portamento, soc. 0 il \ framesso ancora dimostra egli il contrario
dell' asperit? CR Peravventura, o Socrate, non
framesso bene, co-me quelle cose, le quali tu trattavi dianzi con
Ermogene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere ove massimamente facea
mislieri. E tu mi parevi d far bene, e ora hassi a por forse il p per lo soc.
Tu parli bene: ma che? al presente quando alcuno prnuncia oif, come dicevamo,
non ci intendiamo tranci? n sai tu ci, che io al presente mi dica? cr,- 0
amicissimo, per usanza lo so veramente, soc. ( Quando tu d usanza, pensi tu dir
cosa diversa dal componimento? chiami tu altro usanza, che quando 10
pronunciando questo, e considerando quello, tu conosci, che io considero; non d
tu questo? cr. Questo stesso, 'soc. Dunque se tu conoscessi questo
pronunciandolo io, li si fa per me la dichiarazione, cr. Cos . soc. Cio dal
dissimile ili quello, che io pensando proferisco, poi che dissimile il \ a quello, che tu chiami . Io
penso, '0 Socrate, che Ie^etno 1 scesseroi s oc; Per certo, o amid Crtlo, non
essitdo essi ignorami; cir. Non rti 2 5 sdt.-iR'itd niamo di nuoi-o col, Ond si
'^iprtimriro. Perci posto fa dicesti-, se tu li raccordi'; li era teeessario,'
che hi poneva' iWWii conOScts'I^'cbse/'cui 'tl penevai dimmi pare - tu ancra' ;
cosV; hP 'cit.4-Eziatf* diO si; "std.' PeTavventura dllu'J'che chi pose i
'pri ini nmi, cbuoscendH 'H poness. ' cA. Conosendlk soci. Da qul homi '
avrebbe egli'imparato, o ritrovato le cose,- ! s Otti a fossero ancora 'psti i
primi nomi! e di nhdVo'tfibiamD nij h si Csa impossibile di ritrovar l' Sj o
impararle altrimenti, che imparando i nhii/
per noi qul siWo 1 ritrovandola CR. O SOcrte,fnf avviso, che l~dc alcuna cosa, toc- Duriqe io
che modo dirmo''%ii che essi sapendo abbiano posto ? nomi! ossiatro dati
facitari dd )& te? ca. Ma chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero di
questi, soc. Quali d* questi due p, ottimo uomo e^ano. es s > forse di
quelli* che, si rifulgono olio sta? Io? o di quelli pi u,. tosto, che al
mpviinputfe? [ilrciocch nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r
do, quello chq poco^a abbianao ^ttos ;,^tf^C0si conyjenfj p ^oprate. i u ^oi
e:dV cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1 .flfr fermando di so sa il^
medepi 6 &P ' .'U , chia- ro , che
non si muta niente in qui 1 tempo, die c do sta cosi: ma se sl sempre uella
stessa guisa, ed il medesimo, in che
maniera si potrebbe mutare, o mo- ver non diseostaudosi punto dalla sua idea?
cr. tu modo ninno, soc. Pi oltre u alcuno si conoscereb- be facendosi altro e
diverso incontinente, che se no ; vico quello, che l idee conoscere. Sicch non
si po- trebbe conoscer pi, che, ed
qoelio ohe si co* no sa e, d il
bello, ed anche il buono, ed oqul*iB4 qnc degli enti, non mi pare che ci che
diciamo al presente sia simile al flusso ed al portamento. Or se questo se ne
sl egli cosi, o come dicevano i settatori di Eraclito, e altri molti non si pu
discerner agevol* mente, non
ol^jtridqaaqirfbf, jhp intelletto fidar se stesso, e lanimo suo a nomi e
raffermar sapiente lootore del nome; e in colai guisa dispreggiar se stes- so e
gli enti, quasi, che niuna cosa sia vera: ma scor- rano, e cadano tutte,
conHMewfcne; e qual gli uomi- ni malati delle distillazioni della testa
giudichi, che iimilmeule si dispongano le cose stesse in modo, che si tengano
tutte dallo scorrimento, o dal flusso. Peravventura, o Cratilo, egli cosi peravventura altrimenti ancora. Dunque egli si dee
investigar questo con aui- Mo frte, e heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen-
te: perciocch ancora tu sei giovane, e ti
beetetole la et, e se ritroverai alcuna cosa iti investigante), ezian-
dio la dei compartire con esso meco. ca. O Socrate, io vi attender e saprai
certo, che ancor io al presente non sto senza considerazione; anzi in
pensando,, e in rivolgendomi molte cose per lanimo, pere a me, che se ne stieno
elle maggiormente in quel modo, che. come Eraclito' diceva, soc. Da qui innanzi
o amico poich sarai ritornato, mi insegnerai: ma qra come sei. apparecchiato
vattene al campo; perch ancora Ermogene ti accompagner, ci. -Si far, o Socrate,
come, tu ammonisci.' ma dintorno a quello aforzati ancora tu di considerare. Nome
compiuto: Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: in torno al cratilo, ermeneutica,
svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del linguaggio, forma logica.
Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dionigi The Swimming-Pool Library. Dionigi.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Mentioned by Cicerone was a philosopher of the Porch who liked to
quote poetry when he was teaching. Grice: “So do I: never seek to tell thy love
– for love its own pleasure – the four corners. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisio,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A slave of Tito Pomponio Attico before being set free. Atticus and
Cicerone often referred to him in their correspondence. He was evidently a man
of learning who had studied philosophy. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Dionisio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio: la ragione conversazionale all’isola -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. The ruler of Siracusa, the nephew
of Dion of Siracusa. Interested in philosophy, he invited Plato to his court,
but Plato’s attempts to put his political ideas into practice were thwarted. Dionisio is eventually deposed and
went into exile. Dionisio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice e Dionisiio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisodoro: la ragione conversazionale e l’accademia a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Flavio
Mecio Severo Dionisodoro. Dionisodoro. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionisodoro,” The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Diofan: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A tutor in philosophy and
acquaintance of Plotino. He teaches that pupils should submit completely to
their tutors, including sexually. Plotino was shocked by this, and asked
Porfirio to come up with an argument to use against D. on this matter. Diofane. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Diofane,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionneto: la ragione conversazionale del prrincipe filosofo
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He was Antonino’s tutor, who first fired the future emperor with
enthusiasm for philosophy. Antonino says that he learned from hin not to be
distracted by trivia, to take a sceptical attitude towards those who claim to
be able to work magic, and to avoid cock fighting. Dionneto. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo d Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dionneto,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Luigi Speranza.
Luigi
Speranza -- Grice e Dioscoro: la ragione conversazaionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. D. or Dioscuro studies philosophy in Rome. He writes a letter to
Agustino seeking to discuss a number of philosophical issues. Agostino replies at
length, arguing that the issues are of no real importance. Dioscoro. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dioscoro,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Disertori:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della tensione
dell’arco e il volo della freccia – scuola di Trento – filosofia trentese --
filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo trentese. Filoso
trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I
like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the
sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo Prati.
Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea con
“Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a Milano e si
specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento, dove
esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era
preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista. Antifascista da sempre, negli anni quaranta
partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale,
Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera.
Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di
neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria
a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento. Pubblica più di 300 saggi di filosofia. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa.Altre opere:
“Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, La collezione si trova già
chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco carteggio
con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti
sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti
durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche
scientifiche. Coppola, Passerini,
Zandonati. SIUSA. G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati, Un
secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” D. Atti del convegno di
studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di D., Manfrini,
Calliano (TN), L. Menapace et al., Note biografiche, R. Bacchi et al.,
Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento, Raccolta di scritti di D. (con
documentazione) Studi scientifici del
periodo svizzero Fascicolo, carte 131, opuscoli 10 3 Raccolta di
articoli e scritti di D. rilegati in volume denominata "Zibaldino" "Saggi
nel cassetto" Fotocopie rilegate in 3 volumi di scritti inediti di D.
"Il libro della vita" Traduzione in inglese di alcuni capitoli
de "Il libro della vita" ad opera di Nicola Lubimov. Contiene anche:
alcune lettere a D. di Lubimov relative al lavoro di traduzione Fascicolo,
carte 360 32 6 Scritti di D. rilegati in volumi Minute
dattiloscritte rilegate in volume. - "Scritti vari "Scritti vari "Scritti vari vol. "Scritti vari ;
contiene anche carte sciolte
"Trattato di psichiatria" [Minuta dattiloscritta e a
stampa con ampie correzioni e integrazioni del "Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria", scritto con Marcella Piazza e pubblicato a Padova:
Liviana, Bozze a stampa con correzioni dell'edizione in spagnolo, Buenos Aires:
Libreria El Ateneo. Raccolta di scritti,
discorsi, relazioni ed appunti di Disertori riguardanti argomenti vari
Recensioni e documentazione relativa agli scritti di D. Unità archivistiche 30
Contenuto Raccolta di recensioni a opere di D. 1 "Gandhi"
Recensioni relative all'opera "Gandhi: pensiero ed azione" (Trento:
Disertori, "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale"
Estratti e recensioni relativi al "Saggio di fisiologia del liquido
cerebro-spinale" (Roma: Pozzi); "Encefalite" Recensioni e articoli di giornale relativi ad
alcune pubblicazioni di Disertori sull'encefalite Fascicolo,
"Liquor" Recensioni relative a "Saggio di fisiologia del
liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi,"Sulla biologia
dell'isterismo" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi
a "Sulla biologia dell'isterismo" (Reggio Emilia: Poligrafica
reggiana, "Il libro della
vita" Estratti, recensioni e
articoli di giornale relativi a "Il libro della vita" (Verona:
Mondadori, "Trattato delle nevrosi" Estratti, recensioni e
articoli di giornale relativi al "Trattato delle nevrosi" (Torino:
Edizioni scientifiche Einaudi, "Itinerari pitagorici" Recensioni
e documentazione varia relativa all'opera "Itinerari pitagorici" (Trento:
TEMI, "Parapscicologia e
ipnosi" Estratti di riviste e articoli di giornale riguardanti la
parapsicologia e l'ipnosi Fascicolo, "De anima" Recensioni e
ritagli di giornale relativi al "De anima: saggio sulla psicologia
teoretica" (Milano: Edizioni di Comunità, "Mazzini
filosofo" Recensioni e ritagli di giornale relativi a "Mazzini
filosofo: nel centenario dell'Unità" (Trento: TEMI) Fascicolo, carte "Trattato di
psichiatria" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al
"Trattato di psichiatria e socio-psichiatria" (Padova: Liviana) di D.
e Marcella Piazza "Pellegrinaggio in Egitto" Recensioni e
documentazione varia relativa all'opera "Pellegrinaggio in Egitto"
(Venezia: Pozza, "Timeo" Recensioni dell'opera "Il messaggio del
Timeo" (Padova: "Esperienza dell'India" Recensioni
relative a "Esperienza dell'India" (Vicenza: Pozza, "Personalità
caratteropatiche" Estratti di riviste e recensioni relative alla
pubblicazione di "Le personalità caratteropatiche submorbose e
tetratologiche"; con Marcella Piazza (Padova: Liviana, "Cronaca di un
safari" Recensioni relative a "Cronaca di un safari"
(Venezia: Pozza, "La montagna di Vishnu" Estratti, recensioni e
articoli relativi a "La montagna di Vishnu: taccuini di viaggio nel
sud-est asiatico e nell'Uganda" (Vicenza: Pozza, "La sfinge olmeca" Recensioni
relative a "La sfinge olmeca: note di viaggio in Messico e Guatemala"
(Vicenza: Pozza, "Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria"
Estratti di riviste, recensioni e documentazione varia relativa a
"Trattato di psichiatria e socio-psichiatria", scritto con Piazza
(Padova: Liviana; Contiene anche: dispense del Convegno nazionale di
psichiatria sociale (Bologna, "Parkinson" Recensioni relative a
"Fisiopatologia e terapia del morbo di Parkinson e dei parkinsonismi:
contributo teorico ed esperinza con l- dopa" (Padova: Liviana, "La
via delle perle" Documentazione varia, tra cui alcune lettere,
relativa a "La via delle perle: note di viaggio in Birmania, Borneo,
Giappone, Cina esterna, golfo del Siam" (Vicenza: Pozza, "Sfida al secolo" Recensioni e
articoli di giornale relativi a "Sfida al secolo: la natura, l'uomo, il
tessitore" (Padova: Liviana; Trento: TEMI) Fascicolo, "La stagione
dell'infanzia" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi
al contributo "La stagione dell'infanzia" (Forlì: Cooperativa
industrie grafiche) "Luci
d'autunno" Recensioni relative a "Luci d'autunno: diari,
taccuini di viaggio, saggi, poesie" (Trento: TEMI). Contiene anche lettere di Piccoli e Demarchi "Il
monolito dei fulmini" Recensioni relative all'opera "Il monolito
dei fulmini: (note di viaggio in Sud America)" (Vicenza: Pozza, Contiene
anche lettere di Prò e Condini; La tensione dell'arco" Recensioni
relative all'opera "La tensione dell'arco e il volo delle frecce"
(Abano Terme: Piovan). Contiene anche: lettera con recensione di Capasso
"Poesie" Recensioni di
poesie di D. "L'ombra eleusina" Recensioni relative all'opera
"L'ombra eleusina: studi su l'arte e la cosmovisione di Annunzio"
(Abano Terme: Piovan) Contiene anche: 2 lettere a Disertori di Lidia Ratti e
della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
"Sotto il cielo di Saturno" Recensioni relative a
"Sotto il cielo di Saturno" (Trento: TEMI). Contiene anche: 1 lettera
a Di. Di Graffer Documentazione raccolta a fini di studio e relativa
all'attività accademica, (con documentazione) Unità archivistiche 13
Contenuto Dispense relative a studi, scritti e ritagli di giornale 1
Documentazione varia relativa al Movimento Federalista Europeo
"Cronaca su conferenze" Appunti di Disertori per conferenze e
articoli su argomenti vari; "Psichiatria sociale" Dispense di
psichiatria sociale relative a problematiche socio-economiche "Criminalità" Dispense
relative a criminalità, obiezione di coscienza, diserzione "Riabilitazione"
Dispense riguardanti terapie di riabilitazione Fascicolo, carte "Stupefacenti, leggi" Testi
di leggi riguardanti gli stupefacenti Fascicolo. Dispense e documentazione
varia relative all'attività accademica. La documentazione è relativa ad esami e tesi
di laurea. Contiene anche: alcune lettere di studenti a Disertori riguardanti
le tesi di laurea. Fascicolo, carte
Relazione di Disertori e Marcella Piazza circa Copie della
relazione presentata al seminario di neuropsichiatria, psicologia e filosofia a
San Miguel de Tucuman (Argentina) Attività in Sudamerica Raccolta di scritti di
Pincherle "Lavori
neurologici" Estratti di riviste e dispense relativi a studi di
neurologia; Contributi vari relativi a terapie farmacologiche e note
informative di case farmaceutiche
Miscellanea (con
documentazione dal 1904) Contiene anche: autografi di Annunzio inviati a Rovetta;
scritti di Marcello D. e ritagli stampa con anche articoli sulla scomparsa del
padre Marcello; manoscritto "Elementi di fisica per le classi inferiori
delle scuole medie", compilato dai professori Vittorio Magnago e Arcadio
Emmert Fascicolo, carte, volume 1. Nome
compiuto: Giuseppe Disertori. Beppino Disertori. Disertori. Keywords: la
tensione dell’arco e il volo della freccia, libro della vita (why do we live?),
il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione
dell’arco, volo – eraclito – platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s
Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul
segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dòdaro:
la ragione cconversazionale e il convito, ossia, tracce di un discorso amoroso
– scuola di Bari – filosofia barisese – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Bari). Filosofo
barisese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Grice: Ddaro is
an interesting one totally cryptic of
course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one!
Recall Nowell-Smiths challenge to Austin: Donne is incomprehensible, He surely
aint! Costretto a riparare a Turi
per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si leg a Maglione, Castellano, Piccinni
e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri artistici e letterari
del caff-pasticceria Il Sottano (in quegli anni frequentato da Moro,
Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Cal ecc.), fondato da Scaturchio, e agli
incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso periodo
conobbe Nazariantz, il quale rappresent per Ddaro una sorta di guida, fu lui,
infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove ebbe
modo di stringere amicizia con Bodini, Cal, Scotellaro. Abbandon presto Bari,
tentando una prima fuga a Parigi, citt in cui sarebbe tornato a vivere altre
volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe, prima
del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi,
presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attivit artistica
furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito
nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni
quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto:
Verri riporta in suo intervento: arriva con la novit dei colori "bruciati".
Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato incantesimo di
barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione presso il premio
"Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a Lecce, lavora presso
l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto contatto con Fiore, figlio
di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo. Sempre nel clima della
Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al suo arrivo a Lecce
riallacci i rapporti con Bodini e Cal, oltre che con Suppressa, conosciuto in
occasione del premio Il Maggio di Bari, entr, inoltre, in contatto con quelli
che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici: Durante, Massari,
Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse importanti sodalizi
amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in corrispondenze
private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e collaborazione come il
"sodalizio Caruso-D.". A Leccesi rese protagonista, con Candia, di un
grande fal in cui i due bruciarono tutti i quadri realizzati fino a quel
momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di
barca", insieme a pochi altri, si salv dal fal perch all'epoca custodito
presso la casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e
sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui
si dedic allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perch del linguaggio,
rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte Genetica con sede
a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci lorigine dellitaliano
o romano nel battito materno ascoltato in et fetale, teorizzando il romano o
italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualit dellessere umano non
un regressus ad uterum, bens la coppia, la dualit, ovvero la dimensione
originaria della comunione con laltro e come lutto, annodandolo alla mancanza
di Lacan. Il movimento si doter di due riviste: Ghen, giornale modulare ideato
da D. con sede a Lecce, e Ghen Res Extensa Ligu con sede a Genova e diretta da
Mignani. Lidea del modulo come unit di misura sar alla base della struttura
modulare di Ghen oltre che della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli
studi sulla dimensione pre-natale, fino a sfociare nel manifesto
"Incliniamo lorizzonte. Litaliano o il romano diventa una congiunzione,
una dichiarazione onomatopeica in cui si alimentava il trionfo del lutto e la
mancanza. Lorizzonte diventa orizzonte mediale: poesie per i treni, per gli
altoparlanti e pi in l romanzi in tre cartelle, romanzi su cartolina, collane
spaginate, poesie e poesie visive da proiettare per le strade, poesie per
internet, net.poetry, narrazioni su leaflet, romanzi da muro-narrativa
concreta, romanzi di cento parole da pubblicare in store, nelle vetrine dei
negozi. Al Movimento di Arte Genetica aderirono, o ruotarono attorno alle sue
riviste e attivit, un numero considerevole di autori provenienti dalle
sperimentazioni poetiche e poetico-visive, performative, sonore, plastiche:
Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari, Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano,
Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari, Miglietta, Center of Art and
Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra,
Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art Foundation (South Australia),
Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany,
Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento di
Arte Genetica, avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue
modalit fruitive, avviava il progetto "Archivio degli operatori
pugliesi", per una catalogazione degli operatori estetici e culturali.
Crea e anima il centro di ricerca (strutturato, nel nome, sulle coordinate
della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca:
filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica
di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti
universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli
da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del
gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte
di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in
store. La sua attivit letteraria ed editoriale
stata caratterizzata da uno spiccato senso per la formazione di gruppi e
la ricerca di autori da lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un
autentico volano per operazioni di ampio respiro che andavano spesso a
coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea e dirige una
mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento delloggetto-libro,
fra queste: Scritture (Parabita, Il Laboratorio), Spagine. Scritture infinite
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato
poster, spaginate, Compact Type. Nuova narrativa (Caprarica di Lecce,
Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, Diapoesitive.
Scritture per gli schermi (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni)
scritture di ricerca da proiettare, Mail Fiction (Caprarica di Lecce,
Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, Wall Word (Lecce, Conte
Editore,)tradotta in giapponese ed esposta allHokkaido Museum of Literature di
Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta, International
Mail Stories (Lecce, Conte Editore), Internet Poetry (Lecce, Conte Editore) una
delle primissime esperienze italiane di net poetry, Walkman Fiction. Romanzi da
ascoltare (Lecce, Argo), E 800 European Literature, in 5 lingue (Lecce, Conte
Editore), Pieghe narrative (Lecce, Conte Editore), Pieghe poetiche (Lecce,
Conte Editore), Pieghe della memoria (Lecce, Conte Editore), Foglie nude (Doria
di Cassano Jonio), Locandine letterarie (Lecce, Il Raggio Verde), Romanzi nudi
(Lecce) in unico esemplare, Carte letterarie (Lecce, Astragali), Mail Theatre
(Lecce, Astragali), New Page. Narrativa in store, (Lecce) narrativa breve, poi
anche poesia e teatro, in cento parole, collana che guarda alla comunicazione
pubblicitaria con i testi applicati su crowner, pannelli cartonati in uso nella
comunicazione pubblicitaria, ed esposti in store, nelle vetrine dei negozi.
Nell'ambito della poesia verbo-visiva e del libro-oggetto, presente in numerose manifestazioni di Nuova
scrittura: Ma il vero scandalo la
poesia. Un salto di codice, Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo,
Strud (Lecce), Ospedale psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo
D'Elia; Centro internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti
sulla Puglia, Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce; Cercare
Bodini, Bari / Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono.
Situazione italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno;
Far libro. Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze, Il segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale,
Breton et le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di
Sibari, Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione
Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del
fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta.
Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte
moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta,
Gallarate,L. Pignotti, La poesia visiva, L'immaginazione (Lecce), S-covando
l'uovo, Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia
totale. Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della
Ragione, Archivio libri d' artista. Laboratorio, G. Gini e F. Fedi,
Milano, presente in Musei, Biblioteche,
Archivi. Tra i pi importanti: Biblioteca Nazionale Centrale di FirenzeLibri e
pagine d'artis tacon lopera Mar/e amniotico, 1983; Galleria darte moderna di
Gallarate, con le opere Mourning Processes. The word, e Processi di lutto.
Notizen: dis; Museo S. Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica,
Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura,
Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of Literature, con la collane Wall
Word, nteramente tradotta in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe
(Fondazione Benetton, ) ecc. Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce);
Progetto negativo (Lecce,); Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate
Professore (Parabita); dis/adriatico (Caprarica di Lecce); Tracce di un
discorso amoroso (Caprarica di Lecce); Compact Type. Nuova narrative Con Verri,
(Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free
Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void
Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan);
Parole morte. Dead Words (Lecce); Laddio alle scene (Lecce); Antonio Verri.
Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets
(Lecce), 16 Pieghe narrative e 2 Pieghe poetiche: Pieghe narrative: Vento,
vento, I colombi della clausura, Il figlio dell'anima, La Balilla, Graziato, Il
monumento, Dove volano i gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco,
Cocker, All'ombra del grande vecchio, Reparto P, Il tradimento, 27 marzo,
L'esame. Pieghe poetiche: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza
(Lecce); 7 i Romanzi nudi, titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era dautunno,
Il fal, LObjet trouv, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma
(Lecce); Di viole. Dincanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco
di frammenti (Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate
(Lecce) interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori
dellanima (lecce, ), Di un solstizio damore (Lecce, ), Maria la magliaia
(Lecce), Teresa. LAltrove, (Lecce), La mer. Ma mre (Lecce), Una notte senza
stelle (Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce),
Una sua lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno daccademia
(Lecce). Tra i gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale
(Lecce). La tromba dellaltrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce);
Operatori culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo,
Lecce); Ambivalenze genetiche, Ghen (Lecce) ora in Genetic Ambivalencie, Art
Communication Edition, Toronto-Canada) Links, Ghen (Lecce), Il complesso di Edipo
e quello di Caino, Quotidiano (Lecce); I processi di lutto. La Weltanschauung
ghenica in, La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio,
Codice yem: le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia,
Ghen (Lecce) (ora in Regione Puglia, Creativit e linguaggio. Atti del Convegno,
Maglie); Dis-astro, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, Larea inter-media,
in F. Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; Ipotesi
interpretativa del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella
poetica. Della scissione. Della prevenzione in Tossico-dipendenza: progetto di
lotta Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; Mater externata, in
L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dellacqua, Lecce; Lontananze genetiche.
Ad cantus enclitico, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto
negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nellarte
contemporanea, Roma-Bari); La letterariet di Caruso, in E. Giann, Poiesis:
Ricerca poetica in Italia, Arezzo; La poesia totale di Spatola. Il convegno di
Celle Ligure, On Board, Lecce; Wall Word: parole da muro, romanzo da muro, in
F.S. Ddaro, Street stories, Lecce; Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento,
in E. Coriano, A tre deserti dallultimo sorriso meccanico. Three deserts from
the shadow of the last mechanical smile, Lecce; Una pagina diversa, up to date,
in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e
Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; Lampliamento della
flessione, in Archivio libri dartista. Laboratorio 66, Milano; Le anime
narranti di Alberto Tallone, in Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano
(Torino), New Page (Lecce); L'ortografia
morta. L'apparato pausativo, in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Gi
cos tenera di folla, in Intrecci, Napoli, Odipus, Edoardo, un cavaliere senza
terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit.
Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06: Unaltra pagina. Le ricerche
intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di teoria letteraria/editoriale,
su utsanga. Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata
duale, Imago mundi-Visual poetry in Europe, su imagomundiart.com. Antonio
Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un
cavaliere senza terra, SudPuglia, Aprile, Gi cos tenera di folla, Napoli,
Odipus, Francesco Aprile, La parola intermediale: lineamenti di un itinerario
pugliese, in Aprile F.-Caggiula C., La parola inter-mediale: un itinerario
pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Aprile, Fra parola e new media, in
Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti del
convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni
asemiche nel movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C., La parola
intermediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Visual
poetry: A short anthology, in utsanga, L'ortografia morta. L'apparato pausativo, in utsanga,
Testi di teoria letteraria/editoriale, Codice Yem, le origini del linguaggio:
ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga, Letterariet di Caruso, in
utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di Celle Ligure, in utsanga
Francesco Aprile, Il rapporto D.-Verri attraverso la critica, in utsanga
Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in utsanga, Aprile, LArte
Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa, Poesia, Teatro, Scavi in
store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio etnografico,
Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di critica
letteraria, Sondrio, Edizioni CFR, Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco
Aprile, in utsanga Lamberto Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce,
Argo,ora in utsanga Lamberto Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere,
immagini da leggere, in utsanga, Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine,
Omaggio alla "O" in D., in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga
Alessandro Laporta, cercarlo dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against
again. Risarcimento dei supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio
Marullo, F. S. Ddaro. L'ultimo mentore, in utsanga Omaggio, in utsanga Cantata
plurale, materiali 01, Caprarica di Lecce, Utsanga. AP01-L0T30R0 g lift rhe mi
domandate, U- [U quello che svista, mi
Inon son pre molto chio mi trovavo a risali Filer, in citt-, ed ecco, .
j.^^-jania da staimi riaonosctoo J d.=o ^ ^ H,,e- 1 fu/rirt 't-irrT,t punto
poco fa, che ^ guita tra Agatone contarmi la conversazione seg e Socrate e
Alcibiade j discorsi, sai, di allora
parte al convito ^S)> ^ perch me gli Amore; o che vi si disse C ^ ggntiti da
Fe- rapportati un altro che g detto che nice, figliuol di Filippo (7)> B
Convito li conoscevi anche tu. Ora, egli non nii dir nulla di chiaro. Sicch
ridimmeli tu tu sei proprio quello a cui si conviene rifr' discorsi deir amico
tuo. E per prima cosa, mi domand a quella conversazione t-r; Ed io gli risposi
: Si vede davvero, che dite ne ha fatto il racconto, non tha rapporta/' nulla
di chiaro, se tu credi che la conversazine della quale mi chiedi, sia succeduta
da poco tanto che io ci avessi potuto essere. Ma si. 0 come mai, Glaucone,
dissi io ; o non lo sai, che sono anni parecchi che Agatone non pi tornato qui? Mentre da quando io ho
dimestichezza con Socrate,' e ho fatto mia cura di sapere giorno per giorno ci
chegli fa o dice, non sono ancora passati tre anni: Prima giravo a caso di qua
e di l, e immaginandomi di far qualcosa, ero luomo pi misero del mondo, non
meno di te ora che credi di dover fare qualunque altra cosa piuttosto che
filosofare. E lui Non celiare, disse: ma dimmi: quando ebbe luogo quella
conversazione? Ed io Mentre eravamo ancora ragazzi risposi quando Agatone vinse
per la prima solta nella gara della tragedia, il giorno dopo e ie egli e i
coristi celebrarono il sacrifizio di ringraziamento. Un gran pezzo, dunque, si
vede. Ma chi 'Socrate stesso? B niVff-'1 cl medesimo che a Fe- un certo
Aristodemo, Cidateneo, un omet !h adatta a a s _ in t^'^'' ai auei discorsi, C '?'cosi '! > '' '
rircipio, O P ?. f. com 'i' ' t nUssario che io h siccit Se duirque ta ^,
>50 quanto alla sprovvista. Cli 'O.! fuor di misura; ment q gente 1
discorsi, e in ispecie a e, me. e ; acca e daffari, e 1. ne ru, 1 sento
compassione,,uUa. E forse, pare di far qualcosa 1 gtimate me uno sforc> -.-
jtrc-cdi e il vero-,,e lunato; e credo, c do ma lo so. non die io di voi non lo
credo, ni amico dici Sei sempre lo stesso, Apollodor ^ sempre male e di te nic
esimo ^^iseri, da par propriamente, die tu
di dove :ratciii fuori, conlinciando io ti sia venuto il soptamm ^osi
dnvvero ; ma cer ne discorsi; aspro con te e coa-1! .fu con Socrate. 'o
fuorci,(, APOLLODORO E Gi sintende, carissimo; perch ia e di me e di voi, sono
furioso e deUro^ AMICO Non mette conto, Apollodoro, qugsj- ora di ci; per,
quello di cui tabbjan chiesto, flio e non altrimenti, ma raccontac'i T discorsi
si fecero. APOLLODORO Furon su per gi di questo tenore. Ma piuttosto (9) mi
prover a raccontarvi ogni cosa dal principio, come quello fece a me. Egli,
dunque, mi raccont, dessersi incontrato con Socrate, lavato (io), e anche
calzato, cosa che a Socrate non succedeva spesso; e d avergli domandato dove
savviasse cos rimbellito; e quello gli rispondesse: A cena da Aga- Olle. oiche
ieri a sacrifizi del ringraziamento 0 scansai, per paura della gente; ma gli
proson ^ d un bello Ma'em' il tur, r-
disse, che sentimento tato? (12) mudare a una cena non invi^d m disse vuoi. '
sposi: Quello che tu perch noisi mm? fiFtese anche proverbio, sicch dica che
buono P^r guerriero, C ? aue o ' ,otet il r ' ' ^ ^he io, Socrate, cor
presentarmi, f '' i,. Tcinvu di un,a r;. ona di P . ,- Guarda tu d,e m. D uomo,
non mvi^ ^h;, quanto a 0^,6 rveici non inviuro, bens italo da te. ^^nsuUerem V
,::t:;tdi'ci6 he . 0,0, dire, su, anScambiate che si furono queste narono. '
Ora, Socrate ^soenava, siero, fermandosi per istrada, ^ che gli ordinava di andar pure innanzi. trov
quando fu giunto alla casa di Aga o, aperta la porta, e gli venne incontro caso
ridicolo. Perch gh Un ragazzo e lo condusse dove e Convito i giacere, e ii
colse, che stavano per nf- cenare (17). E appena Agatone T j disse : O
Aristodemo, tu arrivi in punt ^ ' 'sto nare, sintende, insieme con noi. venuto
per qualche altra cosa, rimettila Anche ieri tho cercato per invitarti ^ m
riuscito di vederti in nessun luogo (st come mai non ci conduci Socrate? ' Ed
io disse mi voltai addietro e non in nessun luogo Socrate che mi seguisse; Si
risposi che io ero venuto appunto con Socrate invitato qui a cena da lui. Hai
fatto bene ripigli Agatone, ~ lui dov ?
Dianzi, egli era per entrare dietro a me - 0 dov? Son tutto stupito. Ragazzo, o
non taffretti a guardare, riprese Agatone e non ci meni qui Socrate? e tu,
Aristodemo, dice, sdraiati accanto a Erissimaco, E, mentre il ragazzo gli
lavava i piedi, perch si mettesse a giacere, un altro dei ragazzi, raccontava,
torn annunziando, che questo Socrate, ritiratosi nel vestibolo della casia
accanto, se ne stava li fermo, e per quanto lui lo chiamasse, non era voluto
entrare (20). 0 che strana cosa tu dicil disse Agatone. 0, dunque, non lo
chiami da capo e non seguiti? Ma nientaffatto lasciatelo stare. riferiva daver
detto; anzi Perch lui ha questusanza-; dovunque si trovi, ira ( Ja las ripresa 1 fs - 1 dStnoUsi. iP : M
'bbePe. Sf he vi volete, gi e tg ' ' 7urittura ?rleervi-, il dte io on siedili
fate COMO SSU^ . epoi mai invitati da voi, 'Cppe 'T S ve 11- eSble a l
to'ttateci iti ssi principiarono a c, raccontava, ess p ^atone pm ^ m Socrate
^X' socrate, ma Aristo 'r^r hft.ie.ilopo hmd S .oaonlope' ,a,emte; s era tanto
lungo, con ^ Aratone- si. che a mezzo della . Qua, Sopiva solo a giacere ti ^ e
_ disse idea sapiente, che vXlo; giacchi. ^ ?::rhtv.a,euti-ip' mosso. ^
S.,rebbe pur bene, dis- Socrate sede, e Sa V -Agatone, se la saptc . rete dal
pi P'' t,ei Wechtol l l i'r tdo ci tocchiamo; come p,u filo di latta, scotte ^ P' ^ j rosi, io 0 .
Chi, se 1' : forchi di molta ;o molto lo starti a ^jj,|,j,pito da te. Ila sapienza io sar, pcn
sarebbe tti, la mia, quando j. siccome un so-hina c disputabile, g'^c rigoglio
la mentre splcmhda e pien, ^ 1., ITONE,
Voi. /-Vt Convito tua, che da te ancor giovine ha sfi COSI gran Juce ed ha
brillato diana^' co pm d. trentantila Elleni per testiSo?' Tu sei un
impertinente, Socrat ^ 5 ). Agatone; se non che questa dell^. f'^Ose .
quistione che decideremo anchessr qui a poco, prendendo Dioniso^ ce (27); ora,
per prima cosa, mettif^'^'^ a cena. Dopo ci, raccontava, Socrate si mettessi-
giacere ; e quando lui e gli altri ebber finito a - cenare, facessero le
libarioui, e cantato linn all Iddio, e compita ogni altra cerimonia ('28') si
voltassero al bere; ma qui Pausania principisi a parlare in questo tenore: Bene
sta, amici disse come faremo a bere fi p,u a comodo? Io vi so dire in ve- it
che mi sento molto aggravato dal bere di cri. ' POSO, e cosi, vate g'^^ch jeri ci erabere ! in che modo
potremmo bere fi pm a comodo. bene rispose : Di ci tu dici certo nel bere .
comodit li jeri ' vocile io sono degli annaffiati ^euiiieno ^^ tito Erissimaco
figliuolo di ua cfsf ~ bene davvero; si sente in fnr,,' f gna sapere da voi,
come per bere Agatone? c neanclie io ^rispos^^' ^ f ^oC..--rep '>Srep (tra
per me e po ne una . ^3tra, P .entissrmt ne rci''^ se v ' ' } ntianto a nor > ci alto. perche, q^t^n ^i m t strac
'''Socrate e aUaltra, >:rradatto ^'7:,n. to, delP-i, si chiamer dunque, li
arante^ o 1 altra. g-i senta vogha ? a eh nessuno tiefcse^ Olfo vi. , ? r sia
vai.- ^ aire la medicina La ta o %5lS'3sri- giorno innanzi. j^pse Fedro acanto
a me, di obbedirti, prendendola parola massime, in . ;';^bediranno anche gh
altri, medicina; ma ora ti odo se si consigliano bene. unti di non Sentite
queste della lor rmfare dellubriacarsi il ^ piacere nionc, ma di bere cos ^ poich se Or bene, -
ripigliai Jo^.pole, e non a deciso che ciascuno beva q _ pp altri sia nulla di
forzato, fo dopo proposta; cd che si
congedi la son trata or ora; lei suoni per conto suo ^'' piace, alle donne di
dentro, e noi si n il nostro tempo a conversare. E su qn^p getti, se siete
contenti, ve lo proporrei AI che tutti
diceva acconsentissero c 1 ' tasser a fare la sua proposta; sicch Eriss'
riprendesse: II principio del mio disco^r! conforme alla Menalippe di Euripide
h > non mia, bens di questo Fedro
qui, la / che son per dire. Fedro, di fatti, se'ne lag sempre meco. Non intollerabile, dice, 0 Eris'' siraaco, che ad
altri Dii si sian composti da poeti inni e peani, e allAmore, che cosi antico e cotanto Iddio, nessun poeta
mai, di tanti che B ce n stati, abbia composto un elogio; aiui se vuoi guardie
a quei bravi sofisti, scrivano si, gli elogi di Ercole e di altri eroi in prosa
per esempio leccellentissimo Prodico ;
questa anche meno da stupire, ma
io stesso mi sono g. imbattuto in un libro dun sapien- lmTfA lodato soprammodo
per c drpcV simili cose tu ne veconto 'Tiolte. Fare un cosi gran al mond ^
lAmore, nessun uomo nchca voi, cintratterremo Erissi '^ ' ;rLrto l^on ti direi
di .ri ' ^ di niente sostengo di ot j,
Agatone c ,U amore U?- .-^fone. t,e sostengo u. . . ^gaiuL^v- ' fi di cose di Vende, Aristofane, ! e neanche,
/,, n alcun altro E Mutto Dioniso e A to 1 ^^unque la parafa io vedo qui. f Jo
l'ultimo CsiaP-VP-ritrimi avranno detto,.tiPlU Clic . Ug auDiuiiw ;n. rie peri
P iranno detto nsto- se non che, _, Su via, con bbastanz oa (S),uona fortuna
C39;> P 'Amore. . assentirono tutti, e feA ci anche gh Per, di tutte cero lo
stesso invito di Aristodemo si rile cose che omscun > ,ia, di cordava
appuntino, t P_^ P^^ tutte quelle che npet _ ' ehe a me parve di memoria e i
discorsi d quelli c fossero tali, un per uno (.qOA VII discorso di FEDRO, a-,co
raccontava che E per il primo, come dm, Fedro cominciasse a un n maravighoso
tra grande Iddio fosse lAmore, e mar r
Convito gli uomini e tra d;: 7 ' B 1 essere tra i pi antichi T la- gAMORE ni vi
sono, ni si citano j, ''S' itot di n prosatore n poeta; Est prima fosse il
Caos, dice, nni I ^ terra Dal largo petto, d'ogni cosa sede' In eterno sicura e
Amor. Afferma, che dopo il Caos queste dn. nascessero, Terra e Amore. Pannenide
che la Generazione Pnraissimo lAmor di tuttiquanti Iddi pens. con Esiodo
saccorda Acusileo ; da tante i'chiss antichissimo. Antichissimo, poi, comegli .
ci causa dei nulfa^dr Op eli certo, non
so di un appena giovine giovi pi diunorr !-^^' ^ allamante viro di tri ^^PPoich
ci che deve ser'ene Qiip f intera vita a chi sia per viverla la ricchezza
Parentela, n gli onori, n benencllnn ^ 'ont altro pu insinuarlo cosi tiuesto?
La' come lAmore. Ora, che egli 'azione
nei brutti, lemu n privato qualit n C tl n privato ' v .. u,. ijuam.i > c
belle Opere pui S^ado di compiere grandi i o ' ac trv affermo che un uomo ^ crarla da ^ qualche
brutta cosa ti senza difendersi per vi hcri .'' ^ dagU amici nc n^cche egli
soprattutto da E li^,/da ^i-Uamato, che ^ Q^to vediamo neh, d esser feria'
Pantano, n.i Sechi:, se aie vi ( f ts. P Ji ;. iiez^a esercito si c P modo di
reg T^non ci i-orc di quello di con uS tre I Sauendo gli 11 ' i;c r;bbcro, s.o
pe, dire, li accanto a ^mjni tutti quanti ( 44 )- Idre in ponW S'' esser sdsro
disertsre i, un nonio che /.e' lo ammetterebbe Vsr he eWrrrrriue nitro i 1.,,.
persoir direbbe morire pi volre^ ; prima che questo, ^ in un pencolo I serro,
bbnmlo r^ ehe aon dargli ajuto, no
.^g^be dun divino lAmore di per se P di pm vaspirito di virt da che Omero B
lorosa indole (46). E, coraggio m dice, nvere un Idd P^ ^p,,ato taluni croi,
questo 1 An da lui negli amanti. Vili fi sono disposti a E si, che soli . 8 Xe
uomini, r morire per sli-^i ?''^'testimonianza, quanto le donne. E di ci,-,inla
di Pelio, che basta, agli Elleui Alceste Sglmola C sola consenti a morire per
il marito s pure aveva padre e madre; i quali essa, pe f damore, tanto super
nellaffetto da farl- rere estranei al figliuolo, e non appartenen lui che per
il nome. E per aver compiuto a ^ statto, parve navesse compiuto un cosi bei['
agli uomini e agli Dei, che, avendo pur niohi compiuto molti e belli atti, ad
assai ben pochi det tero gli Dei questonore, di ricondurne quass laninia
daHInferno, ma la sua la ricondussero D compiaciuti dellatto suo. Tanto anche
gli Dg; pregiano sopra ogni altra losservanza e la virt di Amore (49). Invece,
Orfeo, figliuolo di lagro, lo rimandarono via dallinferno a mani vuote
mostrandogli un fantasma della donna per la quale era disceso, anzich dargli
questa stessa, poich, come un citaredo che era, sera chiarito di animo molle, e
gli era mancato lardire di morire di amore come Alceste, anzi sera ingegnato
dentrare vivo nellinferno. Sicch per questo glinflissero una pena, e lo fecero
mo- E rirc per mano di donne; in quella vece Achille, figliuolo di Tetide,
onorarono e mandarono alle isole de beati; perch egli, saputo dalla madre, che,
se avesse ucciso Ettore, sarebbe morto, dove, non uccidendolo, avrebbe, tornato
a casa, finito vecchio i suoi giorni, 80 os prescegliere, andando in ajuto a
Patroclo amante suo e traendone vendetta, non solo morire per lui, ma
soprammorire(53) ^ lui gi uscito causa gli Dei, soprammodo anci essi
compiaciuti di lui, lonorarono partico- rmente, perch egli aveva tenuto in cosi
gran Conv non solo -j^n. :!^oi^^\fdcgy^
^ZXo^to, come dice %eUe> giovi ^Lhe
-llE>cio o'^: AMARE ; per6 0 n arato >1 uage dellamante, an :.3 '' mv 0 a
f r '' ri 17) E P ? Setok debeati. - S^te^idS ret ato e in morte W). Di questo
tenore / ssero termi altri ehe ., dopo im ei li saltando recr-,srieordav.gran
ta m. .j^,l, dicesse, a il discorso di t'ausa oisoonsQ m DlSCUiv \ e ci si sin
lon bene, o Eetoo- ^ P-'J,ssere,osto il soggetto f ^ i,re Amore. Foi plicemcnte
invitati ad elog^^^^^e bene, ma %e lAmore fosse uno^^^,gU uno, 0, e non uno. or, n lSi Convito coiivieii meglio dire
prima qual^ i amndi io ,i sforzer a corregge^ cloanrc quale Aurore bisogna
lodare P-i ;,n erodo degno dell'Iddio. Perche,m,f d. che Afrodite non senza Amore PP' ''^o fosse una, uno sarebbe
Amore- due C6o), anche due necessit che
^ siano ( 60 . E come non son due le De ? pi antica e senza madre, figliuola di
Ciel appunto nominiamo celeste - laltra da Giove e Dione, che appunt
chiamTainr^l gare (62). Quindi,
necessario, lAmore J deUuna, chiamarlo a buona ragione volcrare ^1 leste
laltro. ^ Ora, gli Dei si devono bens lodare tutti (6A- pure, ci si deve
provare a dire le qualit sortite da ciascuno dei due. Imperocch (64) ogni
azione ha questa natura; di per s n buona
ne cattiva. Ci per esempio che noi facciamo o il bere 0 il cantare o il
discorrere, son cose di cui buona non
per s stessa nessuna; ma ne -tra, per il modo com fatta, riesce tale;
perche fatta bene e rettamente diventa buona, cos appunto lamare im ^ buono c
degno delogio; quello che bene incita ad amare. LAmore, veracemente icello con
cui veracenii quello CC IL X adunque dellAfrodite volgare vo gare, e opera a caso; ed esso amano gli uomini abbietti. Amano cUc i S'O'.
iricoo 1 ^ ^ piuttosto I costo^ ''%i che pi stoUac P '^ ^rdavtdo che a sod- o
non ng^'^^'^Xinten. Onde Dtr' i,e P ^^ \orc, se V occasione, sen'- ' '^,cUo di
cn' ' il contrafa //>! ^Perocch es
^p\\altra, e p.A' . '%Tfe ,mto, .00 t'p tsi 0 poi cruna e ,aschio > P
appunto si rivol 5 ' ' li lascivia ( 69 ) prediligendo dtscl.io 8Vispi. ^Tme8'lo
lofo, fc per natura pw forte iigenaa. ^ ^l'^^^^rnte riconoscere jelh T afooo
i,c oaiotcn- 1> t ' Scindono gii ' ?'lata.'>r> Sfitto,SO g.-J ;jSrrro
pcch q o i. frisoUtto 0 ot ad amare, sono P ,e lintera '.to. col tancinllo e
vvere n co orto e non gii,dopo 'f ; ; ra di senno,0. come giovine, co P uotsi
di corsa prendersi beffe di 1 . 'ol,,,o, fan altro. Vi dovrebbe '' on fosse i
cMli non si amino r afffncbl n^^,,^ ^ a cosa spesa di mo ta cuta^ P .poanto a '
0 fine dei tandnlli dove 6 ora. > e
virt danimo e d. corpo Convito mettono essi questa legge a s proprio volere; se
non che bi sogneS lor cotesti amanti volgari, come appunta,82 il pm che per noi
si possa, a non . libere (73). Ch essi son quelli volto lamore in vituperio,
tanto che tal dire che turpe cosa sia il gratificare T ti C74). E dicon cos,
avendo locchio V di cui vedono lintempestivit ed poich, di certo, nessun atto
compiuto ordin mente e conforme alla legge potrebbe co.rrT gione arrecare
biasimo. E appunto la legge, che governa 1 amore nelle altre citt, Exdle ad intendersi poich nei! concetto uno
solo ; ma qui varia. Dappoich nellElide e nella Beozia e dove non sanno
ragionare, unica legge questa che bene gratificare gli amanti, e nessuno^ n
giovine n vecchio, direbbe che sia male ; affinch, credo, non abbiano a durar
fatica a persuadere i giovani con ragioni, inabili come'sono ^ ragionare;
invece, in molti luoghi di Ionia, c m molti altri riputata cosa turpe, tra quelli lutti che son
soggetti a barbari (80). Di fatti, Ira 1 arbari, per ragione delle tirannidi,
si reputa ^ turpe questo, e cos ancora ogni studio di sapienza e di GINNASTICA.
Poich quivi, mim- giova a chi governa, che si gene- o alterigie grandi n
amicizie doffnt g^giiarde, quello che, non meno prattuttn lAmore
so^sperienzrfirr^^^' ii^parato per ini anche di qui; ch lamore di -.rnona- Cosi
dove disciolse la lor sig ^^^^fjcare gli salda, di cosa sia il g ^,.^,,c7.^a r
SSo delUsoverchlena jiriaa^' ' lhanno effemminatezza dei dei quella vece, dov^_
a sia in ^n n V.cposto hanno (84) fo di quelli che cosi dispo^ p., bella, e com
XI I,uperocch (85) chi nJii bello r amare aper ottimi, :s!esop o>frs -. e
ancorch sieno pm cabile incoraggia altra parte, chi -a nqualcosa mento da
tutti,un innamodibrutto; c che il co brutto, e la rato par bello, non cO q
lode, legge ha dato licenza a chi j quah, ;?ndo sia per conquistar^ ; ^\,que
altra chi osasse fare per correr raccoglierebbe ca da ' 'dfppoUt, s P ''^ i
maggiori biasimi,- , q q averne u di cavar denaro a qualc^'^J^ ^solvesse fido
(90) o un altro g^Jo I 9 amati, 1 a fare quello che g > un quali nelle lor
richieste dormite sulle implorazioni e giuramenti C i) ), e servono ' servo
tollererebbe serv,v ^ dagli ann-ci edaC,''' sua adulazione e abL ^ elli vJ
monendolo e arr^ ^ '^'ezione fq.x ' Petatid! f-- li cosrreT '' .? > li i- P
rn. Sr,^ me a qdIo che effetti L ' ^ to.
E il pii, tecribile r' ' S a meno dice )a geme, s,o J,,? ' 'l , co . gli_ Dei
perdonano, se trasgredisci poich giuramento Afrodisio i f^. CosihannoefhDefri,
licenza accordato a chi ama ogni legge di qui. Da questo lato terrebbe, che
nella citf\ nn t 1 o ne lamore7- ' ''
simo e amore e il mostrarsi amici agli amanti. Ma Jlh VV P^dri, preponendo
pedaS g I 3 gh amati, non permettono che discorrano cogli amanti, e i coetanei
e gli amici ) \ itnperano quando vedano succedere qualcosa di simile, e i
vecchi, daltronde, non inter icono cotesti censori, n Ji biasimano, come se non
dicessero giusto, uno, che per opposto ^ardi^ a tutto ci, stimerebbe che qui
una simile cosa si reputi bruttissima. Ebbene, la cosa, credo IO, sta cos ;
non a mi solo modo ; eh ci e ie s
appunto detto in principio, ehessa non sia bella n brutta; ma fatta
bellamente bella, ruttaniente brutta (100). Ora, bruttamente , belT^ gratifichi
un malvagio e in malo modo; niodo^'^'^p'^ quando un uomo probo e in probo
malvagio quellamante volgare, che Convi
0 on L i r' ^^' ;, la ia. P '' '^ ' 1 /Ilfscors f fprmo Ip IpfTffC l> '
nresto, perch s' L' r esser preso p crrutinitore, truuo 1 esse p scruti tempo
Aprp da denari e ua- P l ' l il lasciarsi prendere da s, sgo;;Ucii brutto, sia eh (loa) non menti e non resista,
s^ e par disprezzi. senza dire che da cJ sia n ferma n stabile, s .^^Ha i sauna
nobile rbellan.entc deve leiTge nostra una sola y Dappoich a noi Saio
gratificale n.i d questa la legge; ^'f
Vrervit verso lamato servire spontanei qualunq ^^ulazione, cosi s concluso, che
non,est non vitupeun altra servit sola spon oggettorcvole, quella che ha la
v'rtn p Ch appunto ammesso n quando uno
si risolva a niH ^ ii noi, perch egli creda di diventa^r^m i',''di lui o in
sapienza o in qualun virt, questa servit spontanea no pur essa brutta, n sia
piaggeria ? ? Pqueste due leggi, - quelf ch^ regf/? dei fanciulli e quella che
regge Pai sapienza e di ogni altra virt (foj) IT4 correre al medesimo, chi
voglia che to^?' Il compiacere lamato allamante. Ch qual? insieme sincontrino
lamante e lamato, ree nt ciascuno la sua legge - quello che qualunque servizio
egli renda agli amati che lolompTc! ciono, giustamente lo renda, questo, che a
chi sapiente lo faccia e buono, qualunque ufficio egli presti, giustamente lo
presti, e luno, potente dintelligenza e dogni altra virt, ne dia, a tro
manchevole in coltura e in ogni altra sapienza, ne acquisti, allora si, queste
due concorrendo in uno, egli accade, e sol- tamo cosi, che bello sia il
compiacere lamato all amante, ma in altro caso no. In questo, persino il
trovarsi ingannato non punto i ogni
altro, o che tu sia ingannato 0 ^,0. ti porta bruttura. Perch, se uno che a\-
ricco avesse per ragion di ricchezza perto i?' '^ ^vasse deluso per essersi sco- n^en
brutto^-^'^^ Povero, non perci gli sarebbe
perch un siffatto uomo d a di B I anin .0 suo. a>ep perch buono c P
.jy;ore egU stesso, dilu diventare Lll ' '^ ' poi deluso, P bello lBga anche
questi da a divede^ I,t 0 V P ^T'r^ ''^.1 diventare mighore 5 .^ontro, e la ter
chicchessia; e quest . bello per '. ?ella cosa di tutte. Cosi, di virt comptacere ^ Celeste, I ' Questi r Autore della D 1 di gran pregio alla \
amante ' i .Uri - sopra d st q volgare. E qaesK sono dellultra Deu.d ^
allimprovviso sono, 0 Fedro, le ^ er la
mia parte. intorno alla\more IO t arreco p
aiacch i sapienti Fatto pausa assonanze - avrebbe minsegnano a fare di q
a. ^ere Aristofane; dovuto, disse Aristodemo discorre ^ se non che gli era o
per _ p ^ altra causa venuto il ^aco il medico: -di parlare, sicch disse ^ ^^i
O EriSsiquesti giaceva nel letto op cessare (m) maco, il dover tuo e ^nai il
singhiozzo, o di P^^' Erissimaco rispose; non mi sia cessato ..rch parler m E
io far tutteddue le cose, l n' cc, c sato, in vece mia, p pi, SP'onao li .
guarda se il f P che jg r . nendo,1
fiato per peaaetto .t S' E gargarismi
collacqua. Se o. fa'^ lascia vincere, e letichi il naso e starnutisci ; e
quando olqiiesto una volta o due, ti cesser molto forte. _ O parla d,re Stofane
io far cos. ^n- Ed Erissimaco principi a dire : Dunque, siccome Pausania, prese
bene le mosse del di- i86 scorso suo, non lba compiuto a dovere, mi par
necessario che io mi deva provare a metter la fine al discorso. Di fatti, che
lAmore sia duplice, pare a me si sia distinto bene; per, ehesso non risieda
soltanto negli animi umani n abbia soltanto i belli per oggetto, ma molti altri
siano gli oggetti suoi, e risieda anche altrove, nei corpi, cio, di tutti
quanti gli animali, e nelle piante della terra, e per dir cosi, in ogni cosa
che viva, a me pare averlo appreso dalla medicina, 1 arte nostra, come grande e
maraviglioso Iddio egli sia, c a tutto si distenda e per le umane e le divine
cose(ii2). E comincier a dire dalla medicina, anche per fare onore allarte. La
natura dei corpi ha il duplice amore aneliessa, cd questo: il sano nel corpo e lammalato Convito
5 .-no per consenso di tutti, cosa diversa e dissi- rnile- e il dissimile
desidera ed ama cose dissidi i sicch altro
lamore che ha sede nel sano. -Itr t quello che nellammalato. Siccome,
dunque, secondo ha detto or ora Pausama e bene gratificare i buoni tra gli
uomini, male i Snaiosi; e cosi anche necorpi
bene gratificare quanto v di buono e di sano in ciascun Spo e si deve, -
e questo fe ci che si chiama arte medica - e invece male il gratificare quanto
v di cattivo e di morboso, e gli si ^^ ve far brS 0 amore, questi luomo sopra tutu intenderne d medicina. E chi
sa farli mutare, in modo dm in ricambio di un amore si acquisti J Mi; ;n cui
lamore non sia, ma bi- tro, e in farcelo nascere, o, quando sogni generarlo.,
-uesti sarebbe davvero un valente artenc i,- ip rose che vi sono di f7^
^n-unaan laltra nemicissime, e la -nnnste il freddo 0 U ' , 'vi vi. -sr aX tra tali asti(ii7) PO^ti
ed pio, secondo la L credo, dico io,
T,.a\rco. r gnnaSca O'ii e lagricoltura. La musica poi. Convito' per
poco che ci si badi, si vede chi. stesso tenore, come forse anche p deiu .87
dire;ch, quanto alle parole, egh^n me bene. Giacch dice che luno si accorda con
s, come armonia lira. Ora, grande
assurdit 17 i' unarmonia discordi n rieri,,: j. c, che B discordanti. tuttora
derivi da cose tu Se non che forse voleva dir sto, ehessa nasca dall acuto e
grave discordi; priiTiii e dopo consenzienti per opera dell musicale; ch,
certo, armonia non nascerebb ^ dallacuto e grave discordanti tuttora; ch
armonia consonanza, e consonanza un consenso; ora, consenso impossibile che provenga da cose discordanti,
finch discordano; e quello daltra parte, che discorda e non consente, impossibile che armonizzi : appunto come il
ritmo nasce dal veloce e dal lento, discordanti da prima e poi consenzienti. In
tutte queste cose la musica quella che
mette il consenso, come in quelle altre la medicina, generandovi un amore e
concordia vicendevole. Sicch la musica, alla sua volta, scienza dellamoroso nellarmonia enei ritmo. E
nella composizione stessa dellarmonia e del ritmo non punto difficile discernere lamoroso, n cost v
il duplice amore : ma quando bisogni usare del ritmo e dellarmonia cogli
uomini, sia componendo, che e quello che chiamano niclopea sia usando
rettamente di melodie e metri composti ci che s detto educniione qui c la difficolt e c bisogno di buono artefice. Poich torna da
capo lo stesso discorso, che gl> Convito fine che diventino pi uomini J non
son tali in tutto, perbene quelli che tenerlo caro, e bisogna_ gffceleste,
lamore della ce- E invece quello di Polimnia leste Musa Ci 7 j> jj deve
amministrar con t il volgare, n qnm ci col, le piade; c 1 tanto negli aiiiniali
c _g miscono dal brinato 1 ''; Labpr0PP
V accesso e disordine risp amorose, la cui scienza de' jielle stagioni degli
anni si' c1h; as^i ^ Di pu. ancora, ci sacrili.! tutti e presiede I arte
divinatoria, p a cui vicendevole
comunione degli dei'oar'a non hanno altro oggetto, se non Pose. risanamento di
Amore. Ch >' suol generarsi, quando uno non grati ordinato, e onora e venera
in ogni suo questo, ma laltro, si rispetto o VIVI 0 morti, si rispetto agli
Dei; dove aT punto commesso allarte
divinatoria di vigilare gli amori e sanare; sicch, da capo, 1>arie
divinatoria operatrice di amicizia tra
gli Dj! c gli uomini mediante la scienza di quali tra le propensioni amorose di
questi tendono al lecito e quali allempiet. Cosi molteplice e grande, anzi, in
breve, una universale potenza ha ogni Amore; per la maggior potenza la
possiede, si presso noi e si presso gli Dei, quello la cui sodisfazione nel bene accompagnato di sapienza e giustizia;
esso appresta ogni felicit, e ci mette in grado di convivere gli uni cogli altri
e diventare anche amici agli Dei, migliori di noi. Ora, ancor io (136) forse
nel lodare Amore tralascio molte cose, non per di proposito. Ma se ho
tralasciato qualcosa, spetta a te, Aristofane, di supplire; o se tu hai in
mente delogiare lIddio in qualche altro modo, e tu 1 elogia ; ch ti anche cessato il singhiozzo. Q.U, Aristofane,
presa la parola, cominci) raccontava, a dire: Si, appunto cessato, non file io ali abbia applicato
lo star: richiedi iili roihoti e ptent, quii l tr ; Lrnu.0 . Pd W' ho dppliccto
lo su, . c nW - g p 1 d ' '; ';'i rl sV
'per cominci P ' > ' Tu burli, man ^
^j^ella al discorso tuo, ^ioTcX Vdire' qualcosa di ridicolo, mentre ^ avresti
potuto parlare bene, E Aristofane, ridendo, P istare Erissimaco, e sia per non
a farmi che me n esca SI stanno per . che sarebbe un guarg o toS;. >i ' _ e
or cedi di f p 'dj (' > r:.:orpdrrr.rm-.p .Mn. d stare. Discorso di
Aristofake cominci a dire E in vero, mnte di discorrere in Aristofane lO
q^jella che tu e una maniera diversa ^ pare che gh Pansini die fitto. pottor
uomini non abbiano pu Convito di Amore, ch. se lavessero con, mnakato in
onorsuo i maggiori ' fcbbcf, e celebrato i maggiori sacdi, noS che di tutto
questo non gli si fa SI dovrebbe fare pi che altra cosa D Perch , tra gli Dei, il
pi amico dcel essendo soccorritore loro, e medico di ^ dalla cui guarigione
deriverebbe la felicur giore al genere umano. Io, adunque, mi sCf^ . a
dimostrarvi la potenza di lui, e voi ne sarct maestri agli altri. Ma vi bisogna
per prima cosi intendere la natura umana, e i casi di essa. Ab antico, di
fatti, la natura nostra non era quella medesima dora, bens diversa. Ch da prima
E erano tre i sessi umani, non due, come ora, maschio e femmina; ma vi se ne
aggiungeva un terzo, partecipante di tutteddue questi, del quale resta oggi il
nome, ma esso stesso scomparso. Allora,
di fatti, vera e la specie e il nome uomo-donna che partecipava di tutteddue,
maschio e femmina ; ora non ne resta che il nome a vituperio. Di poi, lintera
figura di ciascuna persona era rotonda, colle spalle e i fianchi tuttintorno, e
di mani naveva quattro, c gambe quante le mani, e sul collo tondo due visi,
simili da ogni parte ; su ciascuno poi de due visi posti 1 uno di rincontro all
altro una 90 sola testa, e quattro orecchi, e due membri, e il rimanente, quale
da ci si pu congetturare. Camminava poi si ritto, come ora, per il verso che
voleva, e si quando si metteva a correre, reggendosi sulle sue otto membra
andava via lesto facendo la rota, a modo di 57 Convito quelli che, \MssT,'poi.
^ ^ s Xch il Maschio fu in origine
protre e siffatti, p, della terra, e il terzo genie del sole, ^ ^^eddue, della
luna, giacche partecipava di quello e di questa)- ^^gVianza coloro progenitori,
cammino, per terribili per forza e per
Sicch in principio grandi e assalirono gli Dei. r .litri Dei si consultarono
Sicch Giove e g i ^ stavano che cosa occorresse loro^dj in dubbio ; che nc a
fulminarla nt di farne J P^^^bhero scomparsi insieme come t celebrati dagli
uomim; e gli onori, e 1 imoerversare. Infine, ead, volevano If f 'X ,4 E' mi
pa- Giove si form a fan. uomini esire disse avere un LholffU?). cessino stano e
insieme, P ra - disse - H spardalla petulanza. Giacdr tir ciascuno m dtie, ^
noi perranno pib deboli, e mstenmj^diritti ch cresciuti di nunier^, . ^j^e
contisopra due gambe. Ght P luiino a imperversare, e non vogliano stare quilli,
e io, disse, li segher da capo ''' due, sicch cammineranno sopra una gamba s 7
saltellando. E detto questo, tagli gli
mini per il mezzo, come quelli che tagliano ] sorbe per salarle 0 quelli
che tagliati le povj E col capello (149): e a quelli che tagliava, comanda ad
Apollo di girargli il viso, c met del collo dalla parte del taglio, perh r
uomo, guardando il taglio fatto di lui, si conducesse con pili misura; il resto
lo medicasse. E Apollo gir il viso, c col tirare da ogni parte la pelle verso
il ventre, come si chiama ora, vi fece, a modo delle borse a nodo scorsoio, una
sola bocca, c la leg nel mezzo del ventre, tgi quello che si dice ora
lombelico. E le altre grinze ve n era rimaste tante le spian, e rassett le
costole, servendosi di un istrumento, su per gi come quello dei calzolai nello
spianare sulla forma le grinze delle pelli, e ne lasci alcune poche, nel ventre
e nellombelico, per ricordo dellantica jattura. Or bene, quando la creatura
umana fu tagliata per il mezzo, ciascuna met desiderando laltra le si faceva
incon- gittandole attorno le braccia, e avviticchiandosi runa allaltra, poich
si strugge- H vano di risaldarsi, morivano di fame e dogni altra sorta dozio
per non voler fare nulla lunO senza dellaltro. E ogni volta che una delle met
morisse, e laltra sopravvivesse, la sopravvissuta ne ricercava unaltra c le si
avviticchiava) 0 che simbattesse in una met duna intera onna, quella ^i^g
chiamiamo donna Mio,. Giove, omo; 0 I o '' ^ li oerchc sino avendo oonip pudende, pej rfn terra, come le che
meSin^e, cos sul negli nlm, diante quelle la femmina niediame .tllabbraccio. se
un uomo con questo fine, eh onerasse, e la specie s> imbatteva J^ttesse
maschio con esistesse, e se im ^^are insieme, maschio, venisse 1 ' ^ a
operare.eprene smettessero, e si rnolg dulia vita. \\ Tini un contrasse Ciascuno, dunque, come le gno
dun uomo, ulte eiasogliole; uno due. S inten scuno cerca il contrassegno
insieme uomini che sono come un taglio di qu che allora si chiamava i(omo-ioM
a, son di donne e i piti degli adulteri da questo sess son proveiiun; e cos q^-
sesso, Convito 6o sono taglio di donna, le non badano di molto a^Ii uomini
queste, ma hanno piuttosto il cuore alle donne ed il sesso loro quello da cui pr. vengono le tribadi, aitanti
poi sono taglio di maschio, vanno dietro al masclo ; e sinch sono ftnciulli,
come particelle che sono di maschio, amano gli uomini e si compiacciono di giacere
- con questi e tenerli abbracciati, e son costoro i migliori fanciulli e giovinetti, ch non v
nature pi virili di loro. E v chi afferma, che questi sieno degli svergognati!
bugiardi; non gi per svergognatezza che
cosi fanno, ma per ispirito di,baldanza e virilit e ma- sciiiezza, appetendo il
simile a s. Una gran prova n questa; soltanto costoro fatti giovani riescono
uomini da attendere agli affari pubblici E diventati maturi, mettono amore ai
fan- li ciulli, c di nozze o di far figliuoli non si danno pensiero di per
loro, ma la legge ve li costringe; quanto ad essi, son contenti di vivere gli
uni cogli altri senza ammogliarsi. Sicch un siffatto uomo diventa addirittura
amante (i i) di fanciulli od amato, appetendo sempre nei due casi quello che
gli congenere. Ora, poi, quando C un
amante di fanciulli, o chiunque altro s ini colla sua propria met di prima,
allora una maraviglia come si struggano
di amicizia e m trinsichezza ed amore, tanto da non volere, per cosi dire,
separarsi gli uni dagli altri neancie per un minuto. E questi son coloro, che
riman gono insieme lintera vita, e non saprebbero neppur dire, che cosa mai
vogliono che per opera delluno succeda allaltro. Giacch non pn' t Sin rinsien''
. .v, ciascuno dei esprimere, Lm ^ralcos altro, cbe tjo ^ ^-ee ^ 'Tl nrc%ti ^
/' eoelinstr'if^'' ia ha se Elesto, cogl
in cnimm sopra di > {. rnai, niano, si domandasse onera delI.icceda
allaltro? ^dasse da incerti della risposta, ^.^^nreluno nello stessissimo luogo
n nt notte - potervi lasciare lun liqnefarvi e eoach se desiderate nhe siete,
diven^ilarvi insieme,,n tiate uno, e sinch > morti, comune come uno \i,m
invece di due anche laggi nei reg ^^^^^date. se
questo morti uno solo (i6 ^^ddisfatti, quando lo che inmo bene, che, sentito ci, nessuno, proprio
nessun darebbe di avere strerebbe di volere altro, . ^ desiderava pure
propriamente sentito qu,j, ^to diventare da un penzo, unito e fuso coll ^to di
due uno. E la causa n questa, cne, nostra natura era si desiderio, adunque, e
all. d;\ nome amore. eravamo uno; E prima dora, come dico, i ora, poi, per la
malizia nostra, sia paniti di casa dalla mano di Dio, come i- Arcadi da quella
dei Lacedemoni. Sicchfc^ ' cogli Dii non ci si conduce come si conviene ^ v da
temere, che si possa essere segati da capo e si vada attorno, come le figure delineate
dj rilievo sulle tombe, tagliate per il me^o dei nasi, diventati a modo di dadi
cotisunti. Anzi per questa cagione bisogna che ogni uomo esorti B ogni altro a
condursi piamente verso gli Dei, perch alcune si sfuggano, altre si conseguano
delle cose, a cui Amore guida e
capitano. A cui nessuno faccia nulla in contrario; e fa in contrario chi
sinimica gli Dei giacch diventati amici dellIddio e rimpaciati con lui, ci
succeder di ritrovare- e incontrare i propri amati nostri, il che ora accade a
pochi. Ed Erissimaco non mi simmagini, per canzonare il mio discorso, che io
parlo di Pausania e di C Agatone; forse, anche loro sono di quelli, e tutteddue
maschi da natura ; se non che io parlo di tutti, e uomini e donne; ch cos la
stirpe nostra diventerebbe felice, se dessimo perfezione allamore, e ciascuno
sincontrasse nel proprio suo amato, tornando nellantica natura. E se lottimo 6
questo, necessario, che di quanto oggi in poter nostro, ottimo sia quello che
pi vi si avvicina. E ci il ritrovare un
amato, fatto secondo il proprio cuore. Del che, se sinneggia autore un Iddio,
Amore quello a cui a ragione spetterebbe
linno. Amore che ci di moltissimo
giovamento nel presente, poich ci riconduce nel proprio, e ci d le maggiori
speranze per lavvenire, se per noi,i .-.et v W sii a S-'r-' xvin j il mio
discorso tr.rno ad Amore, di'crs ^ ^ canzonatura, t %c p- g ; . r, ' ir.d,c a
pari P' quelli che rimangono P ^ Socrate, rimangono, di fatti, , racconta che
Ma io taro a tuo n do^ j,,,1 o rispondesse Enssimaco ^P ^^p^ss, discorso sono
valenti in cose che Socrate e A^a dovessero esdamore, temerei g' ^ ^-ose oramai
si sere impacciati a ^ro fiducia, son
dette e cosi perch E Socrate rispose; dve sono 94 tu te la sei quando avr
discorso,ira..uraro, perch io mi turbi, che il teatro sia in grande aspettazion
me, che io debba discorrer bene. Sarei d^avvero uno smemorato, Agatone,
soggiunse Socrate, se, avendo visto 1 raggio e Palterczza con cui tu sali su
pa^ co insieme cogli attori, e guardi in accia ^ gran teatro, quando tu devi
rappresentare 1 componimenti, e non ti mostri sgomento un poco, ora credessi,
che tu ti debba a cagione di questi pochi che siamo Ma che !, riprese Agatone,
non mi cred Socrate, cosi pieno del teatro, da ignorare ne che a un uomo di
mente fanno pi paura n persone di senno che molte senza. Certo, Agatone, non
farei bene, ripigli Socrate, se pensassi di te nulla men che gentile Anzi io so
bene, che se tu timbattessi in-persone che tu reputassi sapienti, ne saresti in
maggior pensiero che della folla. Ma, bada, che noi non si sia gi di quelle;
perch noi ed eravamo in teatro e facevamo parte della folla. Per, se tu
timbattessi in altri sapienti davvero, ne sentiresti tu rossore, quando tu
credessi di fare qualcosa di brutto? (170) o come lintendi? Dici il vero
rispose laltro. E della folla tu non ti vergogneresti, se tu credessi di fare
qualcosa di brutto? Dove Fedro, raccontava, interloquendo Caro Agatone mio,
dicesse quando tu risponda a Socrate, non glimporter pi nulla di nulla, di
quello che qui succeda comunque succeda, purch abbia soltanto con chi
conversare lui, specie con un bell omo. Ora, Socrate io lo sento conversare
volentieri ; ma a me necessario aver
cura dellelogio di Amore, e riscuotere da ciascun di voi il suo discorso. Dopo
sodisfatto ddio ciascuno conversi poi quanto vuole. Ma tu parli bene, Fedro,
disse Agatone c niente m impedisce di parlare ; non mancher poi occasione di
conversare con Socrate. .v mpon!n,tntt, c non li mostri T pocoi ohi credessi,
chr f. r ,, ^ ''.ihr rt \ ^ P'I Jf m Futdjo che: molte-ci Jo. A.-atc-uc,
nonfiiiti htne, - nv'l,> -.MJ.S - se p s I di :c nalla uicn ch - t so bc ^,
cho se tu limbattessi fe?:tB r.epntf. -i rapanti, ne Sare.sti inV,.-1 r^ero che
deiia folla. M.s, bada- die .UU fiJ, d! c, parchi noi cl tuati-0 e fflceaamo
parte della folla. Pet,fc.,r ^ tiaib.ittcss M :iln-it;. p{cnti davvero-, nc
scw.h - tu t-o$.sore, quando in crcdtssi di -fare qua. -li brullo? o come
rintendi? rtk'ci 11 Tcro rispose Taltro. . il j- . .in f>>}lii tu non ti
vergognerusti, t ti i di f.)ro qualcosa d! brutta? 4 - l odro, raccontava,
inierioquetido->~ opc? C^ ^ l'Iddio clascuuci conversi poi qyaj 4 l? J Ma in
p,i. li bene,.Fedro, c niente mimpedsfc di parlarci nph-manv:, poi occasione di
cons etsare cori .Socrate. ni AGVrONE
Discorso o priwa ha? discorso Tc'ct > P^'^ ^%arabbiano lldd\o poi dire Cn ^
non,. .. ^o dei beni, pvand gli uomini nup\e essendo i -- 'Chiusi lIddio;
r/ntsuno lba di n tutti cotesti beni ^% ure, dogGi lode go quale di quali cose
E cosi g^Jf egli u discorso sia 075;
stesso quale eg bello, egli ^^/osiff^to. D P^ ge d pi giovine degli Dei, g
foggu di 'quesm suo tratto eg smsso, P,e,oce b fuga la vecchiaia, P dovere ci
arrii almeno assai pih pres p aver a a fianchi. Ora, P neanche di lontano, iu
odio e non le si acco, ^ ^ ^^^6) ; -b E sempre co giovani usa e sempre bene sta
1 antica oute - . consen col simile saccompagna ( questa non ziente con phio in
conscio, che lui gc di lapeto O? )- C vanissimo tra gl Iddii c gio\ gli antichi
fatti intorno agh Parmenide dicono (179), esse di Necessit, e non di Amore, se
pur sero il vero; ch non si sarebbero viste tazioni e legamenti vicendevoli ed
altri violenti atti, se Amore fosse stato tra lor^b^ amicizia e pace, come ora, dal di che sopra i
Numi regna. Dunque giovine eguT P e oltrech giovine, delicato: solo un poet gli
fa difetto quale Omero, che mostri la delicatezza di lui. Ch Omero afferma, che
Dea Ate sia e delicata, almeno delicati sieno i piedi di lei, poetando: I pi di
lei son delicati; e il suolo Non tocca; dei mortali ella sui capi Cammina.
Ora, buono argomento a mostrare la
delicatezza sua, chella non sul duro cammini, ma E sul tenero. E lo stesso
useremo noi argomento a provare di Amore che delicato egli . Che n cammina sul
suolo, n sui crani i quali punto teneri non sono, ma nelle pi tenere cose e
cammina e dimora. Perocch nelle indoli e negli animi degli Dei e degli uomini
la dimora pone, e n in tutti gli animi del pari, ma dove in uno simbatta
dindole dura, va via; dove di tenera, vi saccasa. Poich egli, dunque, e copiedi
e con ogni sua parte a contatto delle pi
tenere g(5 tra le tenere cose,
necessario che delicatissimo sia. Sicch giovanissimo e delicatissimo, e di giunta fluido di forma.
Ch non sarebbe neUenU ' ( !?'. C o s p o^. iorf , M , l ''?Si AmP pos '
'',jvveoen '^ nso di ^ guerra sempre. .! P T Wer. d irM ch f del colore, ad
anima e ct.a So.e o cta ' K' I soggetto la Amore; e dove f ner, non saccoppa A,
Todoroso loco sia, 1 P fiorito c ou pernianej iiMddio e basta sin Orbene, della
0' Jella vlrt dA ore qui e molto resta a g U principaltsconviensi dopo quella P
^ offesa nt sinio . cito Amore ^ ^,84> di Dio o a Dto nc -tUre eo'U stesso,
s Perch nfc per violenza non tocca ^ qualcosa patisce; - eh ^ volontario i; in
tutti il servigio ' ^ jj^ reme (t 5) > assente a volente, h legSh,
giustizia, affermano che giusto sm- ^ ^i^sinaa. Peroc; provvisto di temperanza ora^^ ^ ^esidern ch
si consente che vince P non sia temperanza, e che p g sono da me, vabbia
piacere essuno- O questi forza che sien
soverchiati soverchi : ma se piaceri e desidp t.(. E quanto a coraggio adr^
P^^tut pure Are contrasta. Chi n (, Amore, ma Amore Are possied^'^am^ Afrodite,
secondo fama (188) or l di tiene in
poter suo il posseduto pi coraggioso
dogni altro, debbe esli certo il pi coraggioso di tutti ^'?5' della giustizia e
temperanza e coraggio dS'r? d.o s toto; resta ddk sapiens,; SI pu, bisogna
provarsi a non ometterla (looT E da prima, perch io per la mia parte lodi lL
nostra, come Erissimaco la sua, poeta
lIddio sapiente per modo che rende tale altrui; almeno diventa poeta,
ancorch pria fosse di Mm privo, quello cui tocchi Amore. Il qual suo tratto ci
si addice usare a testimonianza che Amore, in somma, artista buono in ogni creazione che attiene
alle Muse (192); dappoich le cose, che uno o non ha o non sa, non mai le
darebbe ad altri, n le insegnerebbe ad alcuno. Oltrech la creazione degli
animali tutti, chi vorr contradire, che non sia sapienza dAmore, quella per cui
opera gli animali tutti e nascono e crescono? Ma nel magistero delle arti, non
sappiamo, che quello di cui questo Iddio si sia fatto maestro, rinomato riescito ed illustre; quello, cui Amore
toccato non abbia, oscuro rimasto? Larti
del saettare e del sanare e del divinare Apollo trova, guidato da desiderio e
da amore sicch anche questi discepolo saria dAmore, c le Muse ne appresero
musica, ed Efesto larte Zi ^^ le cose
dCo' amore, s m c ' onpoirto 1 ft-i generer, vive d'.C ''chfe^rn brutte..^ jf di bellez5-a. priircipro ^ o;ndc>,onzi,
_An SI narra (, ai bellez^-' ', principro u- - inna'. si ^ ; terribili eventi,
-t^ecessit % i nsi s ; / ts -s ' Vantare Amore, es-o Fedro, a \ ^ e ottimo,
dipoi 1 sr: Ji ,. ., mar cairn , ai,caco, . s> D attesti tore dei beni, timoniere, ' paure, in
pencoli, m ^ ^tore ottmm, di I marinaro, commilitone quanti gli Dii c uomini
adorm bellissimo e ottimo, che ad ogni'?,? ' seguire innepiando e prendendo
pa?? canzone, eh egli, molcendo ]intellel gli Dn e degli uomini, canta (203)
'ti auesto discorso, dice, o Fedrh sia parte offerto in voto allIddio, dove di
s^T dove di misurata seriet.^, in quanto ir, perato. duando ebbe finito
Agatone, tutti, disse Aristodemo gli astanti esclamassero, che il giovi- netto
avesse discorso in maniera degna e di s e dellIddio. Sicch Socrate, volto ad
Erissi- maco, dicesse : O figliuol dAcumeno, ti par egli che un timore da non
intimorire mintimorisse poco fa e non fossi invece profeta nel dire quello che
io ho detto dianzi, che Agatone avrebbe parlato mirabilmente ed io mi sarei
trovato nellimbarazzo ? DeUuna cosa rispondesse Erissimaco mi pare che tu
labbia indovinata, che Agatone par- B lerebbe bene; ma che tu ti troveresti
imbarazzato, non lo credo. E come, beatuomo ripigliasse Socrate non mi troverei
imbarazzato cosi io come chiunque altro, che dovesse prendere la parola dopo la
recita di un cosi bello e svariato discorso ? E il rimanente non stato altrettanto maraviglioso; tua sulla
fine, quella tanta leggiadria di vocaboli
__ me. di clrdo di dir nulla, scndr'^- non sar ^^^i^zza, per poco -
s> ^-Cia ^lla vergogna, se C sono t'^g? Vaiscorso mha rrchu- \ia. Giacchi-_
occorso 1 caso d Omero (ao/b Agatone lanciasse^ e nu faGORGIA, E ho capito >
''X s. ->^r: '?dS ^ 1 stato davvero ndmo, q p^^te rSHiSSi che D Sa ; S S
lualunQue cosa. biso'^ni dire il ' , _ mimmaginavo, che o ila cosa, quale si
s-^nto; pd, scelto del ; che questo fosse 11 ^ia acconcio vero il meglio, pot
^,He avrei di E presumevo gran c del ino scorso bene, ). Invece, si vede d di
lodare ogni cosa ^ era gcose Vha 1 VVt 'nenzognere, et cosa^^a mila. Giaccnc s
- f., v Amore, o dascuno di noi paia di lo razzolando a che lo lodi, n 1'P X
cono ed A . ogni patte, e tale, e aotote i c affermate eh egli :rj.r ^ T' n b
|,.S i-l. M io nonco c;:o'rn, H'' ' ch non lo conoscevo, mi so no i! '' 'P ! r
I ? ''io all, M ,S V 3 (zio), questo modo; non nma ch la lingua ha promesl la
Adunque, addio elogio; che odare a
questo modo ; non potrei. plT lete, il vero, si, non ricuso di dirlo di nr^' e
non rispetto ai discorsi vostri perch S. rida dietro. Ora, tu, o Fedr^'^guarjf discorso
COSI ti fa pr ; sentir dire il vero di Amore c n quei vocaboli e quella
giacitura di senteme che mi verr per prima alla bocca. E a questo, raccontava,
Fedro e gli altri Pili- virassero a parlar pure nel modo, che a lui paresse di
dover fare. Ebbene, Fedro Socrate riprendesse permettimi anche, che io faccia
qualche piccola interrogazione ad Agatone, affinch prima io mi abbia C alcune
concessioni da lui, e poi, cos, discorra. Ma si, lo permetto; rispondesse Fedro
interroga pure. Dopo di che oramai Socrate avesse cominciato, su per gi, di
qui. Di certo, Agatone caro, tu ti sei introdotto bene, m parso, nel tuo
discorso col dire che prima bisogni mostrare quale egli , lAmore, poi E 7 ^ . .
vi va a gen'O . Q^^^sto in ogni altra,re Ji . via, esposto qnaW HS - 'Se.WB '^
Teg'''r? D up questo t- ^8 ^ nulla ^ D f ' . L> ' di q0 ' d,c o di ma ada^f
jj padre e cgir P. ondere a dolere. fp^rfi' 5 t ma'drd del pat> p anche a
questo. jjspondinti Assentiss ^ . y^^sse gallo ci I Or bene, -- tu intenda me
poche altre cose^ P ^^^. dassi : O 'r;srid^c;.-o.t-e,,o,.tr 'qualcuno o no?
Rispondesse, c Dun fratello oDicesse di si. domandasse dis^SSSaSrsulVatttore.^^
Di^qualcosI ciottissimo- .^gesse Sotanto questo. 1 lo desidera o O Di certo
r'sp'^ Ora, desidera egli e ai sesso della cosa che desidera ^ j. sedendola? ^
nr,-,-. ama;, 'aoti Pos. B V D Non possedendola, par naturale
Guarda-riprendesse Socrate natura e, non sia necessario, che dera desideri ci
di cui manchevoI ^ desidena dirittura,
quando non ne l ''o role. Tu non puoi, Agatone, immagiare ' '- 5 aia necessario
a mw ^ Quanto grande, es paia necessario a me; o a te pare? E anche a me
dicesse. Dici bene : vorrebbe forse chi
ser grande, o forte chi forte?
Impossibile, dietro lintesa. Perch, appunto, non sarebbe-manchevole di tali
qualit chi le ha. Dici il vero. Percli, se uno che gi forte, volesse esser forte ripigliasse
Socrate, e veloce uno eh veloce, e sano uno eh sano... giacch qualcuno potrebbe
credere, che queste e simili qualit, quelli che son tali e le hanno, desiderano
quelle stesse che hanno; sicch questo io lo dico, peich non ci lasci trarre in
inganno or bene, costoro, Agatone, se tu la intendi, devono pure avere nel
presente ciascuna delle qualit che hanno, o le vogliano, o no, e queste, oh
citi mai le desidererebbe?. Per, quando uno dicesse : Io che son sano, voglio
anche esser sano; ed io che son ricco, voglio anche esser ricco, c desidero
appunto queste cose che ho, noi gli risponderemmo Tu, amico, che possiedi
ricchezza e sanit e forza, vuoi possederle anche o tu le l^'- .,,,o qtiello eh
e ^JpSesse ' V untare ^ ^ O non t in proi^
Z che non si ^ ancora t P^ a l^!^ il inantenerntt pe r ksic^ j presente?
' 0 no -- ' 'Tchi nque altro il 1 '' ^ E questi, Lello che non tiene desUeri
tuttavia, desi J on ha e t mano e al cui h manchevole. .e egli d i desiderio e
Vamotc n Sr- -tSse. ^,cr.te-ri.ssu^LLvia.-coimlnd-Socm^^ mianio quello d. OT
poi, di co in primo luogo, e u di cui patisca difetto Si - affermasse. ^ente,
Jt che Ora, per ^etto che lAmore sia. tu nel tuo discorso hai ,ente im Anzi, se
vuoi, te gi questo; che Tu hai detto, credo,assetto per via d agli Dei le cose
^ ^i bruttezza non amore di bellezza-, g a detto su p potrebb essere amore. gi
cosi? rispondesse AgatoneSi che lho detto - risp par]: da galantuomo . e, ora,
se rnci,>^ 4 ) Socrate; ora e 0
Acconsentisse. ' on s rimasti darr a CI di cui
in difetto, e che 0 am Si - dicesse. >ia? in difetto, dunque, di bellezza a non lha?
^aiore, ^ Necessariamente affermasse Che dunque? quello che in difetto di 1,, lezza, e non possiede
bellezza per ness^^ ' oh lo dici tu bello? ^ ^sunmodo^ No davvero. Ebbene
convieni tu ancora, che Amore sia bello, segh
cosi? E Agatone Risico, dicesse - 0 Socrate, di non avere inteso nulla di
ci che ho dett dianzi. Eppure hai squisitamente parlato, Agatone - C Socrate
ripigliasse. Ma dimmi ancora una piccola cosa: il bono a te non pare anche
bello? A me si. Se, adunque, Amore difetta di bellezza e se bont bellezza, anche di bont, dunque, esso
difetterebbe? Io rispondesse non saprei come contradirti; sicch sia pure come
tu dici. Alla verit, amato Agatone concludesse ^ tu non puoi contradire; ch a
Socrate non i punto difficile. e U discorso in- ^ io giorno d Dio ora r-he sentii nn ^ ^,rno iteXe cose, e una
Tdeila peste, fece, col P ^''\gli Ateniesi, pt'ttj ^tardasse loro di olia agli
_ .ricrifizio. cbe la_n^e m quella appunto cit ^ g, ehessa jgcianni,qu ^ ^
discorso, outi fra ose dantore, punti cou tenne, lo, rover a ripetervel, p
Agatone, nu P c gintende, Ag ' e il #> ' impano la via. teogo .1 modo che tu
hai ape VTcorrere chi lAmore J facile
fcriiua discor ^ che P . ?! lco.,amo si. quello,^ -t iroono,e,io-og ^'^
,es.^ Tma Agaldno a me, '^ lei, cose che ora Ag bellezza. f' 'do me'clle stesse
ragioni con cui^t^^^^ sSo cosmi, ., ne n d^o. come l'inmo^ ;r tinta; brutto, adunque, ^.^p^tto? D lei-'' o - /;Sp
cir non s.a belio, rese o credi, clte 4 brutto? Icbba necessariamente esser
Certissimo. O anche quello che rante? o non senti, che tra sapienza e ignoranza
Coni E che mai? Lopinar rettamente e senzessere di dar ragione, non sai, dice,
V sapere; poich come sarebbe mai coV^- ' naie la scienza? E neanche ignoranz' '' ' che apporsi al vero, come mai
sarebbe ranza? Lopinione retta appunto
cosi',?' cosa di mezzo tra intendere e ignorare
Dici il vero risposi io. B Non forzare, dunque, ci che non bello a esser brutto, o ci che non buono, cattivo. E ! cos anche lAmore, poich
tu stesso convieni che non buono n
bello, non credere per ci che deva essere brutto e cattivo, ma una cosa di mezzo,
dice, tra questi. Eppure, dissio si conviene da tutti, che un grande Iddio. Da tutti quelli, intendi tu,
che non sanno o da quelli che sanno? Da tutti quanti a dirittura. E lei ridendo
O come, Socrate, disse converrebbero che
un Iddio grande coloro, i 0 quali dicono chegli non neanche un Iddio? Chi costoro? dissi io. Uno
tu, risponde, e uno io. E io domandai : Come mai dici tu questo ? E lei
Facilmente rispose : perch, dimmi ; tutti gli Dei non dici tu die sono felici?
O che ardiresti tu dire, che alcuno degli Dei non sia felice? io no possiedono
'A' oo v.n to, Di non to desidera, appunto, a'^ ,4 e boto '' eoo t in dite 0 come Tni^ r^nt: oto aneto A To'^aedi un
Dio? . dissi .sarebbe maiVa^more? Che, dunque, tortale? r f; '''ltpto''e-un eto
di metto Come prima V rti! to,Dio.i >^ inno B il demoniaco e un il mortale.
- diss^E quale possanza ^gU ^ei Dintetpmte '. f oni, degU um, nomini, agli uomn
^ n^^jjjjii, deg^ smettendo preghi ^^rrifizh . . pgr mandi e rieambii de. a
fb,,i, nenipm pe t nel meato tra gl n Convito modo che il tutto resti
colleentr. simo. Attraverso di lui pasfa 'r? I na tutta quanta e quella de sacS
saenfizu c le iniziazioni. Dio non si ^
uomo; per ogni conversazione e coll Dei cogli uomini, sia desti, sia
addorm per mezzo del demoniaco che la si fa p > ^ i che sapiente in simili cose, uomo d ^ ^ chi sapiente in ogni altra cosa o dUrr'^' '
mestiere, un manuale. ^ urte 0 (li
0^a,di questi demoni, 1 Amore un, 1 ~ ^
CS^i suo padre - dissi io - e chi su ve
ne son molti e diversi : E chi madre ?
lunghetta, risponde, a narrare; pure te 10 dir. Quando nacque Afrodite,
gli Dei celebrarono un banchetto, e vera cogli altri Poro 11 figliuolo di Meti
(218). Quando ebber cenato, ecco che arriva Penia per accattare, perch era
luogo di scialo; e girava attorno alle porte. Ora, Poro briaco di nettare, ch
il vino non cera peranche, era entrato nellorto di Giove, e vi sera,
sopraffatto dal sonno,-addormentato; sic- C ch Penia, macchinando per la
miseria sua di avere un figliuolo da Poro, gli si mette a giacere accanto e
concepisce Amore. Ed per questo che
lAmore divent seguace e ministro di Afrodite, perch fu concepito nel giorno
natalizio di lei, e insieme di sua
natura amante del bello, poich anche Afrodite
bella. Perci come figliuolo di Poro c di Penia, lAmore sebbe questa
sorte ; prima eh egli sempre povero, c
tutt altro che delicato c belio, come i pi credono, anzi duro, e squallido e
scalzo, e senza 8i D dormendo avan | r n oi i-sofist ^ e\io stesso g' mudre e p Inta ^ada bene del
padre, ' T rVa e''' Chi h t ret e --
^TXSn: Se.' tr fi S>s; . sri'S- Sf' :.,.eh..o.e.0 _ disse - ^ V e -li ole
raBSs . q e ^ apP ' ^jd't '! um e altri, e d q cose pmbell ^rio clic Amore sla
filosofo, Convito egli sia un che di mezzo tra sapiente e rante. E di ci
gli causa anche la sua; perch lui viene,
si, da padre sapiente' ^'!? molti ripieghi, ma da madre non sapiente e se
ripieghi. Questa, dunque, , amico SocrateT natura del demone; e laver tu
ritenuto Amore fosse quello che tu hai detto,
stata una C svista da non doverne fare le maraviglie. credevi, come a me
pare congetturando dalle tue parole, che Amore fosse lamato, non gii lamante.
Perci, credo io, lAmore ti appariva bellissimo. Ch di fatti loggetto dell
amore il veramente bello e il delicato e
il perfetto e il beato ; invece, quello che ama, presenta un altra idea, quale
lho discorsa. Ed io ripigliai Sia pur cos, forestiera: ch tu parli bene. Ma
se tale lAmore, di che uso agli uomini? D Q.uesto, Socrate rispose mi
sforzer dinsegnartelo ora. Dunque tale lAmore,
e nato a questo modo, ed , come tu dici, amore di bellezza. Ora, se uno ci
domandasse O Socrate e Diotima, che egli
mai lAmore di bellezza? Ma lo dir pi chiaro cosi: Chi ama la bellezza, che ama
egli mai? Ed io risposi Che la diventi sua. La risposta dice desidera quest
altra interrogazione : Qjuello, a cui la bellezza diventa sua, che navr egli?
Io A rispondo'' 1' uundo, si sei- ^ i. 8' ' f p s ' ' ! S bello e li
down'.rd;ioo>d,' rs. Socrate, su. diventi suo ^ Snti suo, che
navr,.,,nriparpihage- aos 3 sar felice. possesso del bene Di fatti. -- dtsse
domandare son feli taesto .mote e iel
deM- : sia causa di 0 violenta disposiit' , O non jllorch deside ' 1 enttano gU .t 'ti q . i
olaf''. ^ S8rlSm reomotosamenm^ ;' ifcoSattere i per proprio . . p si a venir
meno aeiw qualunquealtro atto? ^ facciano per virt di ';' ''-o' S # animali,
qoale d c raziocinio, o g rnsi? Lo sai tu dire ^ struggersi damor saprei. Ed io
da capo diss ^ ^ai diin cose dimore, se non mteod, J'^Ma^ppunto per J^j 2
so''chrho bisogno or ora, io vengo da te, peretso ^ di maestri. Ma dimmela m e
di tutt altro nelle cos amor Ebbene, se tu credi eh P ^ pib vohe sia di quello
che abbiamo c ^^.^a il non te ne ^ale cerca essere, P L discorso, la natura m
gitale - quanto pu, sempre pu solo per questa via, per la via dell razione,
perch lascia sempre un n'^ '^' invece del vecchio ; giacch anche nel tratt'o '^
tempo che ciascun animale si dice vivere e rare il medesimo, come, per esempio
uno T fanciullo insino a che sia diventato vecchio t detto il medesimo ;
per cliiamato il desimo, quantunque non
conservi mai b st ig stesse cose, ma parte si rifaccia sempre giovine parte
alcune cose le perda e nei capelli c nella, carne e nelle ossa e nel sangue e
in tutto quanto il corpo. E non solo nel corpo ; ma anche nel- lanima il
tratto, i costumi, opinioni, desiderii, piaceri, dolori, paure, tutte le
disposizioni siffatte non sono mai presenti le stesse in ciascuno, ma quale
nasce e quale muore. E, cosa pi bizzarra ancora, le cognizioni non solo alcune
nascono c altre muoiono, e non siamo mai neppur rispetto alle cognizioni i
medesimi, ma anche ogni singola cognizione
soggetta allo stesso. Giacch quello che si dice meditare, ha luogo perch
la cognizione va via; dimenticanza, di fatti,
dipartita della cognizione : meditazione, invece, ingenerando una
cognizione nuova in luogo di quella che se n ita, salva la cognizione tanto da
parere la stessa. Ch a questo modo tutto il mortale si salva, non col restare
sempre in tutto e per tutto lo stesso, come il divino, ma col lasciare quello
che se ne va e invecchia, qualcos altro nuovo, quale esso era. Con questo mezzo
o Socrate dice il mortale partecipa della immortalit, cos il corpo come ogni
altra cosa: impossibile in altro modo.,
r n. ' 08 r,o siacch per .8 xxvn me nc . ito q ! I! ;dio-s pi dubi ^ .
j^.dare all amor stupore, '?irfagio'^ -h aie io ho uoiuim . ^ niente ci
i>j.jnore del di- o come si struggono d amor concependo ccn^^ e di ventare
rin eterno, lasciar di se g ^gnl pericolo e son pronti per e consumar le
sonorto a PATROCLO ^f^no, se non avessero figliuoli per salvar loro il reg
creduto, die una immorta ppuiito conser a; loro, come apF _anzi> rimasta
memoria ^j^vvero viamo noi oraf i io
credo. per imniortal virt Convito e per siffatta gloriosa fama,,, cosa, tanto
pi, quanto mieiin sono dellimmortale innamorar pS Ora quelli disse, che so ^
poralmente, si voltano piuttosto allff^ diventano amorosi a questo modo e
diante la generazione dei figliuoli, Immortai vita, insin che il tem,
Procurando , ^ur, secondo credono, e felice e ricordata; i pregni invece
nellanima... giacch vi sonopu, quelli, dice, che concepiscono nelle anime anche
pi che nei corpi, le cose che allanima s addice e concepire e partorire. E oh!
che le SI addice? La sapienza e ogni altra virt, cose appunto di cui sono
generatori i poeti tutti, e quanti v ha artisti che si dicono inventivi: per d
ogni intendere dice il maggiore e il pi bello
quello il cui oggetto sono gli ordini delle citt e delle case, a cui si
d nome di temperanza e di giustizia. E quando poi uno, essendo divino, sia da
giovine pregno di tali cose nel- 1 anima, e, giunta let, desideri oramai di
partorire e di generare, cerca, credo io, anche lui, girando attorno, il bello
in cui generare ; giacch uel brutto non generer mai. Sicch, come pregno eh egli
, si compiace de corpi belli piuttosto che de brutti; e quando sincontri in una
Della anima e generosa e di buona natura, si compiace, e di molto, dellinsieme,
e subito con, honda in ^he studii pr- ^
ersona poomo buon venuto ^ette a educarlo.^ ^,ersando con della beila ^15 di
cui era ^ntan credo, e gener {a.pa^^;\cnin> ^'^to insieme con quella, %' CV'
>VTeS cWto,n con coi C il W' > n
immagini di Ti Tjo che fu W So parli
bene; per bad, non hanno di fronte a discorsi ^ aguale. E insieme, bevuto, pu
non esser p S gocrate ha b-ruomo. appunto addosso., disse Socrate? Ti vuoi
chetare Alcibiade -, non Aff di Posidone - P P^ f non v ci metter bocca; che io in faccia a te, no
nessuno al mondo che o crei. Ebbene, tu fa cosi, riprese i. se tu vuoi, loda
de_? Sha a fare. Come dici -ripet Alcibiade Erissimaco ? Che io dia lo gastighi
davanti a ^ che hai tu O tu interruppe Socrate ^ per il capo? Mi loderai per
canzo farai? r\ir s r- %A rhe son levai'- ^rp e noi altri Ma quapi canzonare la
erto, io non so se si mette sul seno ed t p jo gl qualcuno ha visto t s'rnulaar
ho visti una volta, doversi far m aurei e bellissimi e m ^;,enendo tutto 50
della mia bellezza, che sul seno si fo^s^ ^ inaspettato c una mia lo giudicai
un guada S P . modo, a tS,.; d' pptendera . .o ci 6 : compiacendo Socrate ore i
che costui sapeva, gi ^ Sicch, con ! ne tenevo non vi so g-avo. Ebbene fece
ginnasdcrt lott spesse volte, senza che ci fo nessuno. E che sha a dire? No un
passo avanti. Poich non venivo nessuna di queste vie, mi parve cheV ^dovesse
assalirlo alla gagliarda, e una voir u nn ci ero messo, non smettere, ma oramai
che affare questo. Sicch lo inlv a
cenare meco, tendendogli un agguato propri! come un innamorato all amato. E
neanche 0 diede retta subito; pure col tempo sarrese. Ora la prima volta eheci
venne, volle, finito d cenare, andar via. E per quella volta io ebbi vergogna e
lo lasciai andare; ma la seconda, fatto il mio piano, dopo che ebbe cenato,
conversai con lui molto avanti nella notte, e siccome voleva andar via, col
pretesto che fosse tardi, lo forzai a rimanere. Ora egli si mise a riposare sul
letto vicino al mio, su cui aveva cenato, e nella stanza non v erano altri a
dormire, fuori di noi. E, sin qui, un
discorso da potersi fare a chiunque; ma di qui avanti non mi sentireste
parlare, se, prima, dice il proverbio, il vino non fosse veritiero coi
fanciulli e senza 1 fanciulli: e poi mi pare ingiusto, una volta che mi son
messo a far lelogio di Socrate, di nascondere un suo superbissimo atto. E per
di pi leffetto del morso della vipera ha luogo anche in me. Giacch raccontano,
che la persona che lha provato, non vuol dire com egh k stato, se non
amorsicati, poich questi soli Convito _ j -inno e compatiranno, 'siccht i -r. o- doite s to'fare e dire doloroso (jorso fl
P potesse essere fTX . e'-e'morso da discorsi me gli s ^ ' no neggio duna
vipera, ffamio operare Agatoni, Ens-, rte vedendomt davmi Aristofamsimachi,
Pausami, ^nsto ^jj^inarlo, e Socrate stesso, che ^ e dal delirio tanti altri?
Che sen. della filosofia siete m voi B Poich, dunque, amici, p^^ve^ che io ; i
ragazzi furono usciti, a P lon dovessi pigliarla larga con ^jgsi; libera quello
^^tto - quello rispoSocrate, dormi? ^ Che cosa?se - Sai tu che cosa ho ^ciso
disse. A me diss to g ti vedo esitare innamorato o degno ' questa dia farmene
parola. tJr, grande il sposizione-, io ritengo . g y altro che non compiacerti
anche mel e se ti faccia bisogno della sostane-, amici miei. A me nulla di . deei: quanto diventare il migliore che
iT'' '' 4 CI io credo, che nessuno mi sa aium
di te. Ora, a non compiacere un tua fatta io mi vergognerei assai pi dav
persone di senno, che non davanti alla ge stolidi a compiacerlo. E lui ebbe
ascoltato, con aperta ironia, e proL io'
solito, risponde: O caro Alcibiade rTw m realt di essere un uomo non
dappoco: cade che sieno vere le cose che tu dici di v in me una potenza per cui
tu potresti diventare migliore ; una infinita bellezza tu avresti scorto in me,
e superiore di molto alla venust eh
attorno a te. Sicch se tu, avendola vista, tenti di accomunarti con me e
barattare bellezza con bellezza, non
piccolo il vantaggio che tu pensi di prendere sopra di me, anzi in
cambio dell apparenza tu cerchi di acquistare la realt del bello, e pensi di
barattare davvero oro con ferro. Ma, beatuomo, guarda meglio; che io non sia
nulla e tu tinganni. Appunto, la vista della mente comincia a vedere acuto,
quanto quella degli occhi prende a scemare del vigor suo; ora tu sei ancora
lontano da questo. E io, sentito ci. Quanto a me ripigliai, le mie disposizioni
son quelle, n se n detto nulla
diversamente di come penso : decidi poi tu come tu credi meglio per te e per
me. Ma di ci riprese tu dici bene ; sicch a suo tempo ci consiglieremo insieme
e faremo quello che ci parr il meglio cosi in questa, come in ogni Convito
cpntite e Ora io. P'' 'lomTsaW'.' loi '
reaovo aver lanca ni lafi' ' /' Vr iu. 5o rti C Latori' P jJ era ' rebbero da
ridere, tal propriamente di I So i 1 S i t Satiro petulante, p sempre e
calzolai e ^lodo, sicch ogni perstesse
cose nello smss aerebbe sona inesperw e priva 3, beffa dei suoi discon . rima
le vede aperti e p j^^nno l ov i soli
.<!?' ' in s pia poi dmnn ' .i,o an di simulacri di Virt, conviene meditare
con mira a tutto per bene, a chi voglia essere una p lodo Queste, o amici, son
. quelle di Socrate; e in <^he egli mha cui lo biasimo, v ho questo sol- B
offeso. E, in fede nnn.non .^ne tanto a me, ma anche tantissimi e ad Eutidemo
di Diocle ^ altri, ai quali lui dando ad intendere di v 1 essere ramante, se n
fatto lamato in camk-'^ damante. appunto
quello che dico anche te, Agatone; non ti lasciare ingannare da lup ma
ammaestrato da casi nostri, tienti in guardia e non imparare, secondo il
proverbio, come un ragazzo, a tue spese. Quando Alcibiade ebbe finito di
parlare, si fece, raccontava, un gran ridere della franchezza con cui egli si
dava a divedere tuttora innamorato di Socrate. E Socrate O Alcibiade dice, tu
non sei per niente briaco, mi pare; altrimenti non ti saresti provato,
rigirando il discorso con tanta finezza, ad occultare la causa per cui hai
detto tutte queste cose ; e lhai messo poi come di passaggio, in fine, quasi
non D avessi detto ogni cosa per metter male fra me e Agatone, giacch, a parer
tuo, io devo amar te e nessun altro, e Agatone deve esser amato da te, e da
nessun altro al mondo. Ma ti sei fatto capire; ch cotesto tuo dramma satirico e
Silenico s scoperto. Ma, caro Agatone, chegli non ne profitti punto; anzi, fa
proposito, che te e me non ci separi nessuno. E Agatone risponde: Certo, o
Socrate, tu risichi di dire il E vero: e lo argomento anche da questo chegli s
messo a giacere fra te e me, appunto per separarci. Or bene, egli non ne
profitter niente affatto; anzi, ecco, mi levo e mi metto a giacere, dice
Alcibiade, q proposto Jmba a dare lascia, to ' Iffarnii in wtto. Ma se ^ d'
lomo che Agatone si lodato niirabd u^'!: Socrate u capo nie, in uomo, lascia
ria me? (^9 onesto giovinetto che sia re e non invidiare f^pto desiderio di
lodato da me; ch . y, -soggiunse Agatone -, no^ mai. di mutar posto, risoluto,
ora P siamo alle sohte esser lodato da g^^ate, b mtposrispose Alcibiade, P
belle per sibila a chiunque altro di g persuasivo sene. E ' p^cUi stm ha
trovato e con clie u giaccia vicino a lui 1 Agatone, dunque dar a sdraiarsi accanto
S ^ue .ir improvviso s i, uscita di uno, si [ porte; e trovatele aper P ^ ^
g,^eerc, l fecero avanti m ver . ^i a bere vino I c tutto and sossopra e SI tu
o quello che dicessero, Aristodemo dichiarasse? non ricordarsene nel resto;
poich non vaveS D assistito da principio, e sonnecchia ; ma la som? ma, diceva,
era, che Socrate li costringeva a convenire, che appartenga allo stesso uomo il
saper fare tragedia e commedia, e chi per virt darte sia autor tragico, sia
anche comico; del che costretti a consentire, senza seguire gran fatto,
prendessero sonno, e prima si fosse addormentato Aristofane, poi, a giorno
fatto, Agatone. Quanto a Socrate, dopo averli messi a dormire, si levasse e se
ne andasse via, e lui, comera solito, lo seguisse; e andato al Liceo, lavatosi,
vi si trattenesse come altre volte, il rimanente della giornata, e trattenutosi
cosi, andasse poi la sera a riposare a casa. Nome compiuto: Francesco Saverio Dodaro.
Dodaro. Keywords: tracce di un discorso amoroso, mappatura, signature,
segnatura, cantata duale, cantata plurale, cantata duale, origine del romano,
edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione
inter-mediale e luto, immagine e segno, senso, sensibilia, visibilia, Freud,
Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, silenzo silenzo silenzo silenzo Catullo poema
rima ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of
altro Hegel on conscience of ego and
conscience of alter, Sartre on nous and love affair infinito
lingua a codice codice come
ripetizione ripetizione dei suoni del
cuore ontogenesi ripete filogenesi commune, vacuum del ventre della madre,
etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza,
Schultz, unita emica come classe di unita etica
criterio: un accordo o codice di relevanza lintenzione del mittente. Refs.: Luigi
Speranza, Grice e Dodaro The
Swimming-Pool Library. Dodaro.
Luigi Speranza -- Grice e Dolabella: la ragione conversazionale all’orto
romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.Publio A follower of the philosophy
of the Garden, and the son-in-law of Cicerone. The achieved the distinction of
being pronounced a public enemy by the Roman Senate. He ordered one of his
soldiers to kill him. Nome
compiuto: Publio Cornelio Dolabella. Dolabella. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dolabella,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Dommazio: la ragione conversazionale a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher, known only from
a surviving bust. Dogmatius.
Dommatio. Dommazio. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
e Dommazio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Donà: la ragione conversazionale e la sessualità – scuola
di Venezia — filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo
veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “Well, Donà has
philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it –
‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he
uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with
‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per
riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta,
a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine
degli anni ottanta, collabora con Cacciari presso la cattedra di Estetica
a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta,
inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della
quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con
Cacciari e Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha
insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente
insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre
con Gasparotti e Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Emo. Dirige per la
casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e
"Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del
festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste,
settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale
"L'Espresso". Attività musicale In qualità di musicista, dopo
aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un
suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo
linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più
articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte
esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si
esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo
sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera.
Nasce così il D. Sextet. Suona con
musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana.
Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Gillespie,
Brown, Gordon e Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo
gruppo: il D. Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il
quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona
da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con
suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola
Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di
Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il 'bello, o di
un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme
del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione
dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città
del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore,
Milano); “L' Uno, i molti: Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova,
Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti,
Reggio Emilia Figure d'Occidente.
Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della
natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita
come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze
(Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis
Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione”
(Moretti et Vitali, Bergamo J. Wolfgang
Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il
sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica.
Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia
alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della
domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno
all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della
conoscenza” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di
Shakespeare” (Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia,
letteratura, arte e politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In
Principio. Philosophia sive Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie,
Mimesis, Milano-Udine); “Di un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte”
(Bompiani-Giunti, Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine);
“Un pensiero sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La
nave di Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni
sull'incontraddittorietà a partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua,
di là. Ariosto e la filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano);
“Miracolo naturale. Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte
e Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Wikipedia
Ricerca Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a
ragazzi o uomini La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di
attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La
mascolinità è costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni
comportamenti considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente
influenzati. Fino a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o
socialmente è oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla
definizione del sesso biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine
possono esibire caratteristiche maschili.
Nella mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità.
Gli standard di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi
storici. Le caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente
considerate maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza,
coraggio, indipendenza, leadership e assertività. Il machismo è una forma di
mascolinità che enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le
conseguenze e la responsabilità. Il suo
opposto può esser espresso dal termine effeminatezza. Uno dei sinonimi
maggiormente usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche
significa uomo. Contesti storici e
culturali L'interpretazione ed il riconoscimento della mascolinità variano
all'interno dei diversi contesti storici e culturali. Nell'antichità era
prevalente prendere a modello l'uomo d'arme; la figura del dandy, tanto per
fare solo un esempio, è stato considerato un ideale di mascolinità nel XIX
secolo, mentre è considerato al limite dell'effeminato per gli standard
moderni. Le norme tradizionali maschili,
così come vengono descritte nel saggio di Levant intitolato "Mascolinità
ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità, non mostrare le
proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore, perseguire il
successo e raggiungere uno status sociale più elevato, l'autonomia (il non aver
mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e l'aggressività, infine
l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio). Queste norme servono a
riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando gli attributi e le
caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al genere
maschile. Lo studio accademico della
mascolinità ha subito una massiccia espansione d'interesse, con corsi
universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad
oltre 300 negli Stati Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la
correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di
discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri
campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere. Natura ed educazioneModifica Competizione sportiva, scontro fisico e
militarismo sono caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme
analoghe in quasi tutte le culture del mondo. La misura in cui l'espressione
della propria mascolinità possa esser un fatto di natura o il risultato di
un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del condizionamento
sociale) è stato oggetto di molte discussioni.
La ricerca sul genoma umano ha dato importanti informazioni circa lo
sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di differenziazione
sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri umani: il TDF sul
cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale maschile, attiva la
proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9" la quale aumenta
l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile nell'embrione. Vi è ampio dibattito poi su come i bambini
sviluppino a partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi
la considera un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente
collegata al corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è
legato al sesso maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il
quale diviene così l'aspetto fondamentale della mascolinità. Altri invece suggeriscono che, mentre la
mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però
ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola
fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti
sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo
spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene
considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a
radersi. Mascolinità egemonicaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Maschilismo. Esempio di maschio poco più che adolescente
con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera principale per gli
uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare a mantenere
economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il comando e
la leadership[23]. Raewyn Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e
privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma
maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne
invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come
prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità
patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la
subordinazione delle donne. Pleck sostiene che una gerarchia di mascolinità tra
gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia riferita all'orientamento
sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e spiega che
"la nostra società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo centrale
per tutte le sue classifiche di mascolinità, distinguendo i veri uomini dotati
di virilità da quelli che invece lo sono solo per finta. Kimmel promuove questo
concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei gay" indica che
uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora d'indicare un maschio
attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck conclude sostenendo che per
evitare la continuazione dell'oppressione maschile sopra le donne, sopra gli
altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono essere eliminate una volta per
tutte le strutture ed istituzioni patriarcali dall'auto-consapevolezza
maschile. CriticheModifica Si tratta di
un argomento dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti
storicamente debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno
rilevato un corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei
valori contemporanei, ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé
certi ruoli tradizionali appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale
che la società d'oggi ha in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed
infine anche alla promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un
pressione rivolta agli uomini per femminilizzarsi. Le immagini di ragazzi e giovani uomini presentati
nei mass media possono portare alla persistenza di concetti nocivi alla
mascolinità; gli attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i media
non prestano una seria attenzione alle questioni relative ai diritti maschili e
che gli uomini vengono spesso dipinti in una luce negativa, soprattutto nella
pubblicità. Jackson scrive che le forme dominanti di mascolinità possono essere
di sfruttamento economico e di oppressione sociale. Egli afferma che "la
forma di oppressione varia dai controlli patriarcali sui corpi delle donne e
dei diritti riproduttivi, attraverso le ideologie di domesticità, femminilità
ed eterosessualità obbligatoria, alle definizioni sociali del valore del
lavoro, le presunte maggiori abilità naturali del maschio e la remunerazione
differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo. Il lavoro meccanico in
fabbrica è associato con la mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in
crisiModifica Un discorso sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi
decenni, sostenendo l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi
nella civiltà occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi. La crisi è
anche stata spesso attribuita alle politiche conseguenti al femminismo in
risposta sia al presunto dominio degli uomini sulle donne, sia ai diritti
attribuiti socialmente sulla base del proprio sesso d'appartenenza. Altri vedono il mercato del lavoro in
costante evoluzione come fonte della crisi della mascolinità, la
deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche con nuove
tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di entrare in
questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al contempo la
necessità e domanda di forza fisica. Tendenze contemporaneeModifica L'operaio edile, esempio moderno di
mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente
costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte
cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la
mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo
definitivo. Secondo un documento
presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una
diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente
verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi. Uomini e donne
possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che
considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi
disturbi alimentari. Sia gli uomini che
le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere
psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e
maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente
nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più
attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo
(dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa). Terminologia I
concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono
soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di
mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. Constance L. Shehan, Gale
Researcher Guide for: The Continuing Significance of Gender, Gale, Cengage
Learning, .google. com/books/about/ Masculinity_and_ Femininity_in_ the_MMPI_2 l?id=5
KLPlmrwhat+masculinity+and+ femininity +are%22 google.com/ books/ about/ GenderNature_and_Nurture.html?id=R6OP
AgAAQBAJ&q=%22biology+contributes %22+%22 masculinity+ and+femininity %2 2about/The_Sociology_of_
Gender.html?id=SOTqz UeqmN MC&q=%22+ biological +or+genetic+contributions Ferrante,
Sociology: A Global Perspective, 7th, Belmont,
CA, Wadsworth, What do we mean by 'sex' and 'gender'?, su who.int, World Health
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Bushidō Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di mascolinità Leather
Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay) The Men's
Bibliography, bibliografia completa sulla mascolinità. Boyhood Studies, bibliografia
sulla mascolinità giovanile. Practical Manliness, sugli ideali storici della
mascolinità applicati agli uomini moderni. The ManKind Project of Chicago, supporting men in
leading meaningful lives of integrity, accountability, responsibility, and
emotional intelligence NIMH web pages on men and depression, sulla depressione
maschile. Article entitled "Wounded
Masculinity: Parsifal and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che
si riferisce alla mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla
narrativa maschile. Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity
Conspiracy, critica mascolina online. Future Masculinity, corso di critica
sulla mascolinità. Portale Antropologia Effeminatezza termine Michael Messner (sociologo) sociologo
statunitense Privilegio maschile
privilegio sociale degli individui maschi derivante solamente dal loro sesso. Nome
compiuto: Massimo Donà. Dona. Keywords: sessualità, eroticamente, per una
filosofia della sessualità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donà” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Donatelli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’esperienza – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like
Donatelli – his titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and
common experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial
notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche
contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha
conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a
Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla
filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana,
in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel
dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua
proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell,
Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e
perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride.
Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati,
tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed
Etica e Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide
pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato
ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino,
Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando
giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria
vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari,
Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e
Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein, Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari,
Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale, Roma,
Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica,
Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano,
LED,I destini dell'etica Bioetica e
progresso morale dell'Italia, su
ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta
di bioetica The Italic branch
consists of Latin on the one hand and of the Urabrian-Samnitic dialects,
on the other. Latin, with which the little known dialect Sf Faleriv
is closely related. So long as the language is confined to Latium, there
exists no dialectical differences of any importance. The contrast between
the popular and the literary language, which arise from Livio Andronico –
up to Cicero -- becomes sharper in the classical period, and the further
development of the former is almost entirely lost to our observation
until the Middle Ages, when the popular Latin of the various provinces of
the Roman empire meets us in a form more or less changed and with a
rich development of what we know call Italian. We should also consider the
development of the Latin of antiquity. Cp. Corssen Uber Aussprache,
Vocalismus und Betonung der lateinischen Sprache, Leipzig Kuhner
Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen Sprache, Hannover, Stolz and
Schmalz Lateinische Grammatik, in Muller’s Handbuch der klass.
Altertumsw. IThe Umbrian-Samnitic dialects are known to a certain extent
through inscriptions, and through words quoted by Roman writers. We are
best acquainted with Umbrian (Breal Les tables Eugubines, Paris Biichelor
Umbrica, Bonn) and Oscan (Zvotaieff Sylloge inscriptionum Oscarum,
Petersburg- Leipzig). Of the Volscian, Picentine Sabine, Cp. Budinszky Die
Ausbreitung der lat. Sprache uber Italicn und die Provinzen des rSmisohen
Reiches, Berlin, Cirober in the Archiv fur lat. Lexikographie g
KeUio; Aequiculau, Yestinian, Marsian, Pelignian and Marrucinian dialects
we have only very scanty remains (Zvetaieff Inscriptiones Italiæ Mediæ
dialecticæ, Leipzig). All these dialects are forced into the background
at an early period by the ifitrusion of Latin. The Sabines, who receive
citizenship, seem to have been the first to become romanised. The s^west
to give way was Oscan, which in the mountains does not perhaps become
fully extinct. Cp. further Bruppacher Osk. Lautlehre, Zurich, Endoris Yersuch
einer Formenlehro der osk. Sprache, Zurich. Nome compiuo: Piergiorgio
Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza, let’s cooperate (cooperiamo), let’s
make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo
relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima
persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale,
plurale, Mill, virtu, Conant, ambi, both
– the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Donati: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del fra – scuola di Budrio – filosofia budriese – filosofia
bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Budrio). Filosofo
budriese. Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Budrio,
Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and
he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes
about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of
reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred,
means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel
a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale
la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia
filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali
basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno
associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle
società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che
emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di
terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale
sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di
nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica
relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e
più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della
contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o
intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa
prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da D., da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a D. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi
assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ),
altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi
della società (D., Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di
Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui
il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,,
l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In
Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational
Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere
teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società:
la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro
Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione
Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e
Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli.
Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi
Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto
distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San
Michele per "Pensiero sociale
cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la
promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia,
Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa
essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica
-- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria
relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione
alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di
“Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono
accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia
relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno
o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o
una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto, ‘l’intersoggetivo’.
Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi ovvio, ma non lo è
affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione epistemologica
generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni che da essa
derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione di una
diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico, Marx,
Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha compiuto
l'operazione che viene proposta dalla sociologia relazionale: partire dal
presupposto che “all'inizio c'è la relazione”, ossia che ogni realtà sociale
emerge da un contesto di relazioni e genera un contesto di relazioni essendo
essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non significa in alcun modo aderire ad un
punto di vista di relativismo. Si tratta esattamente del contrario: la
sociologia relazionale si fonda su una ontologia dell’intersoggetivo relazionale,
e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo della relazione che vede nella
relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale seconda la loro propria natura.
La sociologia relazionale e una forma del relazionismo filosofico. Per l’intersoggetivo
(la relazione) intende l’intersoggetivo nel spazio-tempo, dell'inter-umano,
ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e un soggetto agente S2 chi
collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce il loro orientarsi e agire
reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per distinzione da ciò che sta nel
singolo attore individualo o collettivo considerati come poli o termini della
relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che D. chiama ‘il fra’ -- fatta
insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in cui vengono definite sia
la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che stanno in società: dipende
da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione sociale in cui le due soggetti
si trovano) se, in che forma, misura e qualità le due soggetti può distaccarsi
o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più o meno prossimi, alle
istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita sociale. La
teoria relazionale della società ha elaborato nuovi concetti che sono stati utilizzati
non solo da filosofi, ma anche in altri campi, come il diritto, la legislazione
sociale, l'economia. I concetti originali elaborati da D. sono varie. Il
concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte leggi dello Stato italiano. Il
concetto di ‘cittadinanza societaria è stato utilizzato dal Consiglio di Stato
(Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza, N. della Sezione: in
importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in
campo economico da filosofi come Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio
relazionale’ è stato ripreso nella legislazione regionale e nazionale in Italia,
anche in relazione alla buona pratica nelle politiche familiari analizzate con
le ricerche svolte per l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di
‘lavoro relazionale’ e il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il
concetto di ‘welfare relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle
famiglie (utilizzato dal Centro studi Erickson). Il concetto di differenziazione
relazionale si applica in particolare alla problematica della conciliazione fra
lavoro e famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e
dato come una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di
capitale sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici
si applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività
relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di
riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma
sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una
serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più
estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi
di D., Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale
all'indagine sociologica, Carocci, Roma, D., Manuale di sociologia della
famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia
in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari,
Carocci, Roma, è il più recente D, "La famiglia. Il genoma che fa vivere
la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella
della salute: si veda Donati Manuale di
sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le
generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni.
Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul
cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul
welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale”
(Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive”
(Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile:
Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La
società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove
esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che
emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge,
Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero
sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice
Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul
capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale
in Italia: luoghi e attori, Angeli, Milano, D., I. Colozzi, Capitale sociale
delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e
di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la
sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato
la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle
applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento
sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende
perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le
teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le
valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di
esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di
conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano,.
Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi
delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family
friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale
sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e
pratiche. I, il Mulino, Bologna,
Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo
scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi, Il servizio
sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss,
Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in
Donati, Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi, FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano,
Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre
il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Der Dual ist ein Numerus, der sich in indogermanischen wie
nicht-indogermanischen Sprachen findet. Die indogermanistisch zentralen
Sprachen Altgriechisch und Altindisch haben diesen Numerus in allen
flektierenden Wortarten; andere Sprachen haben ihn nur in einer Wortart. Die Minderheitensprachen
Ober- und Niedersorbisch pflegen den Dual bis heute. Auch im Bairischen gibt es
noch formale Dualrelikte. Das Buch bietet eine Darstellung der
einzelsprachlichen Dualsysteme in der Indogermania und Rekonstruktionen der
Dualsysteme der Zwischengrundsprachen und des Ur-Indogermanischen. Neben dem
genealogischen Vergleich wird auch der typologische Vergleich mit Dualsystemen
anderer Sprachgruppen wie etwa Finno-Ugrisch, Semitisch und Bantu angestellt.
Der Leser gewinnt so einen Überblick über die Entwicklung einer typologisch
markierten grammatischen Kategorie und einen Einblick in die kognitiven
Prozesse, die zum Werden und Schwinden des Duals im Wandel der Sprachen
führen. Rezensionen "" Salvatore
Scarlata in: Kratylos, Pinault in: Bulletin de la Société de Linguistique de
Paris, Pierce in: Journal of Historical Linguistics, Bohumil Vykypel in:
Linguistica Brunensia, http://hdl.handle.net""
Remo Bracchi in: Salesianum, Lühr in: Germanistik, Heft, Duale (linguistica)
numero grammaticale Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento grammatica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Il duale in linguistica è una delle possibili
realizzazioni della categoria morfologica del numero grammaticaleche può essere
espressa tanto nel nome (sostantivo e aggettivo) quanto nel pronome e nel
verbo. Benché sia meno diffuso di singolare e plurale, il duale è presente in
molte lingue del mondo. Esso è presente nelle più antiche lingue
indoeuropee, come il sanscrito o il greco antico, nel lituano, nello sloveno
moderno, nel friulano e anche nelle lingue semitiche, come l'arabo - che ne fa
tuttora uso nelle sue varietà moderne, sia pure limitatamente al nome -
l'ebraico e nell'egizio. Il duale è frequente per indicare parti doppie
del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe, ma nelle lingue che lo
possiedono non è raro il suo uso anche per indicare oggetti a coppie o
semplicemente coppie di oggetti o persone casuali: due persone, due anni, ecc.
("duale occasionale"). Mentre in francese, in tedesco, in
italiano o in spagnolo, tutte lingue che non presentano la forma duale se non
per tracce come per esempio in italiano ambo, si è soliti anteporre al
sostantivo plurale l'aggettivo numerale che ne indica la quantità esatta (due
uova, due amici, ecc.), nelle lingue che posseggono il duale questo può bastare
per indicare una quantità pari a due. Per esempio in arabo sanah "(un)
anno", sanatayn "(due) anni". La mu'allaqa di Imru l-Qays,
una delle più famose poesie arabe, esordisce con un imperativo duale: Qifâ,
nabki... "fermatevi (voi due) e piangiamo...", riferimento al fatto
che il poeta si rivolgeva a due suoi compagni. Bibliografia Modifica
Albert Cuny, Le nombre duel en grec, Paris, Klincksieck, Fontinoy, Le duel dans
les langues sémitiques, Paris, Les Belles Lettres, Molinelli, Il numero duale
nel greco antico, Roma, Fritz, Der Dual im Indogermanischen, Heidelberg,
Winter, Grammatica Morfologia (linguistica) Portale Linguistica:
accedi alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Salvatore Talia
Numero (linguistica) categoria grammaticale Grammatica lituana regole
della lingua lituana Articoli del greco antico Wikipedia Il contenuto. Grice: “In my seminars I
explained explicitly that we would be dealing only with conversational DYADS!”
Grice: “This was my nod to the Old Latin dual!” – Grice: “Austin used to say
that no distinction is too fine, or too nice. The origin of the Latin fifth
declension out of the dual number – We can provide an EXPLANATION of the
appearance of the Latin fifth declension (e stems) as a result of the LOSS of
an earlier dual inflection, whose main feature is the suffix jk (full grade ej)
. The dual character of the Latin -ies (series) forms can be demonstrated on
the basis of their ‘semantic’ development. The dual number in the Indo-European
languages. The most ancient Indo-European languages had three number
categories: the singular, the dual, and the plural. In the Indo-European
languages, the dual number was typically used for NATURAL PAIRS (‘oculi’, the
‘same’, two hands), sometimes also for an accidental or artificially arranged
pair (‘two men’ (andre), two horses pulling one carriage, two oxen in one
yoke), and possibly for two objects of the SAME kind (two fires, two lime
trees). Elliptical usage of the dual is also attested, ‘two fathers’, as when
Homer refers to ‘Ayax and his brother’ or Latin ‘octo, ‘eight’, originally, or
literally, two sets of four finger-tipes Wackernagel, Campanile, Malzahn,
Clackson). The degree of preservation and PRODUCTIVITY of the dual in the
Indo-European languages differ considerably. Traces of the dual in Latin. The
dual number as a separate CATEGORY was presumably lost by Latin and the other
Italic languages already in the pre-historic period (Buck). Lat. ‘duo,’ ‘two’
< IE duwo < PIE duwo-hj (Tagliavini). Lat. ‘okto’ ‘eight’ < IE okto,
‘8’ < PIE hkekto-h0. Lat. viginti, ‘twenty’ (< IE wiknti < PIE
dwi-dknt-ih), literally, ‘two tens.’ A few Latin forms – ambo, duo -- have a
specific inflexion which may be the result of the transformation of the dual
form within a declension. Thus we have masc. nom. ‘ambo’, duo; gen. ‘amborum’,
duorum; dative-ablative ‘ambobus’, duobus; and acc. ambos/ambo, duos/duo. Lat.
masc. ‘ambo’. The inflection of ‘ambo’ and ‘duo’ keeps the original dual ending
in the nominative. It does not show the dual ending in the other four cases –
where it adops the regular PLURAL ending. Here we have a case of an ADAPTATION
(SUBSTITUTION_of the dual inflection by the plural inflection. Traces of the
dual number in Latin are restricted to ‘ambo’, ‘both’, and the numerals (‘duo,
octo, viginti) – while some have traced other dual forms in declesions –
Danielsson). The question of a dual form, e. g. ‘Pomplio,’ (Lat. Pompilio, nom.
du. ‘two of the Pompilius family’), attested in epigraph CIL I 30: M. C.
POMPLIO NO. F. DEDRON HERCOLE = ‘Marcus and Gaius Pompilius, the sons of
Novious, gave (this) to Hercules.’ The interpretation of the form POMPLIO as
dual may be implicatural rather than semantic. The form POMPLIO need not be a
dual form -- it may be just the
nominative singular with the final s by custom omitted when there is a formal
agreement with the second prae-nomen, though belonging to both. Dual endings in
the Indo-European languages. In proto-Indo-European hl forms the basic dual
ending, which may have a strong form (ehl or hle) in animate nouns. It is
assumed that the numeral ‘two’ has the form ‘duwo-ehl’ (literally, ‘two
persons, or animals’), which later develops into the masculine form. IE ‘duwo,
m. Latin for some time kept the dual ending -e (PIE ejl). The loss of the dual
causes the proto-Latin forms ending in -e (once dual forms) to generate a
separate group: a fifth declension. From a variant dual ending -e, the -e-
would have to have formed in the oblique cases. The genitive dual ending in
Indo-European is -es (PIE ejls gen. du). Both a dual inflection with -e (gen.
du. -es) and -e (gen. du. -es) would have ensured the stabilization of the
feature -e- after the loss of the dual number in the Italic languages. The
cause of the loss of the dual number in Latin. Most probably, the loss of the
dual as a separate CATEGORY takes place within the a- stem and the -o- stem
declensions. In the nominal paradigm, a specifically Latin innovation causes a
change in the infection system. This innovation is the loss of the old plural
ending -os, which are well attested in the other Italic languages, along with
the adaptation of the enings of the PRO-nominal system -oi -- whence Latin
‘-i.’ – cf. nom. sg. m. -os > -us. Nom. du. M. -o (ambo, octo, duo). The
PLURALISATION of the dual in the -o- stem declension happens largely without a problem – providing
you keep a Griceian ‘eye’ – Cf. ‘pater,’ father. nom. sg. m. pater; nom. du. m. ‘patere’.
nom. pl. m. ‘pateres’. As Austin pointed
out to me, the loss of the dual in the Indo-European languages suchas Latin did
not happen solely via the good old pluralisattion of the dual form, but also by
way of a ‘singularisation’: i. e. the dual inflection is re-fomed into the SINGULAR
inflection. This way of the elimination of the dual number is very much
attested in Latin, in all the forms ending in -ies, for example. Then we have
the dual forms of the Lat. viginti type. The Latin cardinal number ‘viginti,’
‘twenty,’ is a remnant of the dual number. ‘Viginti’ represents the IE
archetype wiknti nom. acc. du. ‘twenty’, from PIE dwihl-dknt-ihl, literally,
‘two tens’. Since, unlike ‘duo,’ it represents a numeral higher than 4 – and
all Latin numerals from ‘quattuor’ up to ‘mille’ did not decline --, ‘viginti’
simply keeps the shape of the nominative dual. Some dual forms with no singular
form underwent a singularization (or sometimes a collectivization). As a result
of such an adaptation, the dual is re-constructed morphologically, and
re-interpreted pragmatically via implicature. This singularization (but
sometimes collectivization) of a dual form creates the need to establish a
declension. The literally DUAL character of some Latin expressions ending in
-ies may be explained through a detailed pragmatic calculation. Nome compiuto: Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: il
fra, relazionalismo, internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il
fra, fra tu e io, intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta
fra, implicatura, reflessivita, reciprocita. Ambidue. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Donati” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dondi:
la ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale -- l’astrario – iter romanorum
– colonna giulia – la colonna del circo neroniano di Buschetto -- petrarca – scuola
di Chioggia – filosofia chioggese – fiolosofia veneziana -- filosofia veneta --
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Chioggia). Filosofo chioggese. Filosofo veneziano. Filosofo Veneto. Chioggia,
Venezia, Veneto. Grice: I like Dondi and I like a watch chain!. Figlio di
Jacopo, studia FILOSOFIA a Padova. Insegna a Padova. Si trasfere a Pavia. Dopo
un periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a
Pavia. Scrittore di rime, amico e corrispondente di PETRARCA (si veda), anche tra i pionieri dell'archeologia. In
occasione di un viaggio a ROMA, descrive e misura monumenti classici, copia
iscrizioni e trascriv i dati rilevati nel suo Iter Romanorum. La sua fama legata soprattutto all'astrario da lui
progettato a Padova e costruito a Pavia, dove,
conservato, nel castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca.
L'astrario un orologio astronomico che
mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del sole e della
luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla
latitudine di Padova, la lettera domenicale che determina la successione dei
giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della
Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di D. andato distrutto, ma ben conosciuto perch il suo ideatore ne dette
una particolareggiata descrizione nel saggio Astrarium, trasmesso da due
manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto
circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un involucro a base eptagonale.
Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario riproduce i moti del sole, della
luna e dei cinque pianeti. Esso indica anche la durata delle ore di luce alla
latitudine di Padova. Come misuratore del tempo esso, oltre all'ora, indica
(forse per la prima volta tra glorologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di
dieci. La presenza di trattati di astrologia nella biblioteca di D. fa
sospettare che la progettazione sia stata influenzata da astrologi antichi.
L'orologio astronomico che si pu tuttora ammirare sulla torre dell'orologio,
Padova, in piazza dei signori, una copia
non dell'astrario di D., ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo
la tradizione stato D. ad introdurre a
Padova la gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realt, il
giornalista padovano Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi documentazione alcuna che attesti che D. ha
mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui dedicata una delle statue che adornano il
prato della valle a Padova. Il circolo numismatico patavino gli ha dedicato una
medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Facchin. Ai D. dedicata la ballata iniziale di Mausoleum.
Siebenunddreiig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts di Enzensberger.
Altre opere: Rime, Daniele, Neri Pozza, Vicenza; Astrarium, E. Poulle, CISST;
Opera omnia D., corpus pubblicato sotto la direzione di Poulle. Padova. Andrea
Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni. Musei civici
pavia. Albini, L'astrario di D., su Museoscienza. Ricerche d'Archivio
riguardanti la famiglia D. Di Holzer. Albini, Machina Mundi. L'orologio
astronomico di D., Create Space, Astrario, Gabriele D. Universit degli studi di
Padova. Dizionario biografico deglitaliani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker. Replica in scala
, su pendoleria. com. (Di Cjiovauui Odo ndi alf'Otcfcgto, TTtedico eli Padova,
e Dei uiouumeutv antichi da fui animati a ctonia, e di afcuui ceitti inediti
def medesimo. rt A FILIPPO SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E
PROFESSORE DI archeologia bella criverbit. JL u non ignori certamente, o
amatissimo Schiassi, cum io faccia di le gran cubitale per la somma erudi-zione
archeologica che possedi, e per la forbitezza dello scrivere latino, nella
quale con pochi vai distinto ; e come poi io non sia ad alcuno secondo
nell'osservanza ed amore verso di te per le doti singolari dell'animo tuo. In
verit io ho sempre desiderato mi fosse prta occasione di farti noto pubicamente
questo mio volere; ma quella mi fall maisempre, o, a meglio dire, non ebbi mai
ardimento di abbracciarla, parendomi da non doversi indirizzare a te cose che
non fossero parlo d'in- gegni maturi, fra' quali per fermo non da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni
m'inducono ora a prendere contrario divisamento. Il perch, in arra di rispetto
e di benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera intorno a D., e publicarla
intitolata al tuo nome ; indotto anche da ci, che in essa circa lobelisco
vaticano, della cui traslazione tu di fresco con scienza e perizia ne hai
scritto ho io allegate alcune cose, dalle quali appare essere ora per la prima
volta manifesto come il medesimo nel medio-evo sia stato atterrato, e non guari
appresso di bel nuovo ristabilito, non altri- menti come sono di comune
consentimento i pi accreditati scrittori delle cose passale: de quali in
ispezialit qual sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io intanto a te
sottometto di tallo cuore e senza cerimonie la mia opinione, qualunque ella
siasi: ritieni poi, che con animo a tc per intiero affezionatissimo mi dispongo
a ci fare. V enezia v>die PETRARCA (si veda) abbia scritto di D. suo amico
non meno con verit die con magnificenza, essere egli stalo d'ingegno s sublime
e potente, che ito sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo avesse lo studio
della Medicina,Jo capiranno coloro specialmente, i quali siano a giorno come il
medesimo siasi reso distintamente celebre nelle scienze mediche, FILOSOFICHE ed
astronomiche; c, di pi, conoscano come in altre discipline, a dir vero non
comuni, fosse egli oltre l usato erudito. Peritissimo ancora in scienza morale,
nella cognizione dei monumenti antichi, e nel linguaggio delle Muse italiane :
le quali cose, come disse Celso in altra occasione, quantunque non
costituiscano il Medico, tuttavolta lo rendono pi atto alla Medicina, e fanno s
che abbia a primeggiare fra i dotti del suo tempo. Ed in vero, che non si possa
lare un pieno uso della Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo,
se quelle dellanimo del pari non si curino,
chiaro di gi abbastanza per concorde dottrina degli antichi e recenti
filosofi, suffragata dalla sperienza. Intorno a ci sono manifesti i sentimenti
del LIZIO, d Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco Lettera III. a
Sancse data in luce a Venezia. ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo
slesso argomento ci hanno lasciato in appresso uomini sa- pientissimi. Che poi
da unaccurata osservazione deglantichi monumenti, e dalla lettura delle
iscrizioni ne vengano singolari ajuti onde conoscere pi diffusamente l arte
medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti in quella, cio di MERCURIALE (si
veda) intorno alla GINNASTICA, il quale tratta anche del sito pi salubre alla
costruzione delle fabbriche e circa gli strumenti chirurgici; di Sicco e di
Baccio intorno ai bagni termali; di Bartolini sopra lantico puerperio: ai quali
libri se ne potrebbero facilmente aggiungere altri di tal fetta, cio di
Bellonio, Gioberti, Cagnato, Reinesio, Rodio, Patino, Sponio, Triller,
Ilundertmarki, Cocchi, e altri; cosicch niuno deve maravigliarsi del progetto
di Bartolini nel comporre lopera intitolata Antichit necessarie ad un medico, del
cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme, lo stesso autore ne diede
breve compendio in una Dissertazione stampata in Hafnia sopra lincendio della
biblioteca. Le moltissime sue lodi, scritte in prosa ed in verso, ci fanno
ampia testimonianza che lo studio della poesia giova a meraviglia per fecondare
e ricreare l ingegno, per aggiungere fregio alla lingua ed allo stile, e per
fare acquisto di altre doti richieste ad un uomo di lettere; n vi sar al certo
chi ignori che i Medici versati nella medesima n andrebbero stimati da pi che
gli altri, e si leggerebbero con pi di di- letto le Opere loro. Noi conosciamo
ancora che gli stessi scrittori dellarte medica, distinti fra gli antichi,
Ippocrate ed Areteo, succhiarono da Omero il loro bello; il primo de quali fu
detto dEroziano uomo omerico quanto allo stile (Glossar . Hippocr. Praef.,
edit. Lips.); e Triller fa vedere che al secondo giov dassai la lettura dello
stesso autore (Opuscula medico-philologica): il che chiaro apparisce parimente
di Galeno e di altri. Eccellente si la
cura posta da Bartolini nel trattare che fece di questo argomento nella
Dissertazione intorno ai Medici-poeti, publicata in Hafnia; ed ora se ne
potrebbe formare un soggetto con assai pi di splendore. Sono poi da tenersi in
gran conto quelle cose che furono scritte da Fracastoro, uomo grande nell una e
nell altra facolt, ad Amalteo, medico non meno che poeta celebre del suo tempo;
cio andare di gran lunga errati coloro i quali avessero per niente la poesia, e
la stimassero cosa incompatibile colla Medicina: che anzi dichiara apertamente
con Andrea Navagerio, essere inetti a toccare il fondo di ogni scienza, o a
gustare appieno le bellezze di qualsiasi arte meccanica, coloro i quali
andassero privi e mancanti di vena poetica (Fracast. Opera edita Corniti). D.
per coltivare l animo in questi studj, indotto dall esempio ed intrinsichezza
del Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l apogo della gloria, consegn
allo scritto monumenti non dubj di questo studio, commettendoli ai posteri; ma
quelli inediti, ed appena conosciuti in un codice cartaceo di quella et,
posseduto un tempo dallo stesso autore, tocc per avventura a me solo di vederli
presso Papafava, figlio dAlbertino, fregiato della primaria nobilt fra i
Padovani e Patrizio Veneto, il quale mi onorava di singolare cortesia; nel qual
codice io stesso ho letti gli scritti inediti del Dondi senzaltro giudizio od
altro ordine, da quello in fuori con cui qui li riporto. Vi sono nel codice
Lettere intorno a diversi argomenti, scritte dal Dondi a varie persone ; cio: A
PETRARCA (si veda). Si protesta tornargli a grande vantaggio 1amicizia di lui,
per arricchirsi a perfezione della morale filosofia ; il che osserva essere
assai conforme all insegnamento di Seneca nella Lettera Lettera a Lucilio di quell eccellente e tutto
nerbo Anneo, maestro mio e tuo, e di
tutti i buoni amici in generale. A Gasparo, che lo dimanda di quelle cose che
Seneca scrive nella settima Lettera a Lucilio sopra gli spettacoli dei Romani,
gli d spiegazione abbastanza chiara, come portavano quei tempi s riguardo alla
materia, come pur anco alle parole; vi adoper eziandio dellarte critica a
motivo delle scorrezioni del testo, per colpa in gran parte della ignoranza
degli amanuensi, e dellaudacia di coloro che vi posero mano alla emendazione. A
Mazio di Verona, fisico egregio. A Petrarca (Padova) Una lunga Lettera circa il
metodo di vita da seguirsi dal Petrarca, la quale i precettori del Seminario di
Padova avendo ricevuta da me, che la trascrissi dal codice soprallegato, non
dal Marciano, come porta ledizione, aggiuntane unaltra del Pe- trarca al Dondi,
fu da loro data alle stampe. A Lombardo Serico, cittadino padovano. Al frate
Guglielmo da Cremona, teologo. Fa vedere gl ingegni degli antichi di gran lunga
supe- riori ai moderni s in fatto di lettere, come ne fa chiara testimonianza
PETRARCA (si veda), non meno che riguardo alle opere famose delle arti pi
belle, collesempio alle mani di un insigne scultore soprafatto di ammirazione
alla vista di monumenti antichi. A Leniaco, cittadino veronese. A Cremona,
maestro nelle arti liberali. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed egregio.
A Caselle, cittadino padovano. Aromatario. A Paganino da Sala, Dottore in legge
e uomo di milizia. Con queste si congratula della dignit di Cavallicre
conferita di fresco a Paganino; cos per altro, che ne fa di molto pi stima
dellonore ottenuto dallalloro in Diritto civile, dal quale egli traeva di gi
vantaggio e lode. A Nicol Alessi, Protonotario e Vice-Cancelliere del Signore
di Padova. Ad Andreolo Arisio Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza
che v nelle biblioteche di Francia dei
libri specialmente di Filosofa morale, di cui era tenuto a giorno per lettere
di Arisio cola dimorante. Al frate Guglielmo, Vescovo di Pavia. Ad Albertino
Salso, precettore di Fisica. AdAngarano di Vicenza. Data in luce in uno all
Opera del Pondi intorno alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro
Giacomo Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni, stampati a
Venezia Panno Ai Professori direttori di Medicina e delle Arti nello Studio di
Padova. Fa loro avere un libro da lui composto, del quale d contezza con queste
parole: Ricevete un Trattatello che vi
dar per ispiegato P ordine oscuro di
Galeno nella distinzione delle disposizioni
dei corpi umani, il quale ei ristrinse con brevit nel libro di Microtegno,
asse- n gnandovene le reali differenze fra quelle, tranne poche che vollero accennare sin qua di volo
altri espositori, ma in molte colle
relative differenze. Al maestro Guidoni (di Bagnolo) in Venezia, nomo egregio,
fornito di molto sapere e virt. Padova, Cappelli, cittadino cremonese. Intorno
a Pasquino, Cancelliere di Galeazzo Visconti Principe di Milano, ne fece parola
Pietro Lazerio nelle Miscellanee cavate dai libri manoscrilti nel Collegio
Romano dei Gesuiti. Pasquino avea fatto richiesta delle Lettere scritte dal
Dondi a diversi; e D. si argomenta a tuttuomo per dissuaderlo che quelle
Lettere non erano tali che meritassero a pezza le sue dimande. Poscia scrive
molle cose circa i rotti costumi degli uomini del suo tempo, degne alla scorza
di un va- lente filosofo. Queste Lettere sono piene a ribocco di sentenze
morali, siccome quelle che furono composte da un au- tore che metteva ogni cura
nel leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche dilucidate le di lui Lettere a
Lucilio, con annotazioni allegate circa alle medesime da Gasparino Barzizio nel
suo Commentario, da me veduto scritto a mano. Di qual desiderio ardesse D, di
vedere monumenti antichi, ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma,
ad unico oggetto di venire in pieno conoscimento dellantico e nuovo stato della
citt. Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla publica autorit
confermata ; tuttavolta ho letto io stesso nel codice manoscritto, di cui feci
menzione di sopra, le annotazioni dello stesso D. intorno ai principali
monumenti dell antichit nel viaggio e nella dimora che fece a Roma, esaminati,
credo io, da lui appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede cos dal
principio : Ilo riportato queste cose
scritte in lettere quando fui reduce da Roma.
Non prezzo dellopera il
rescrivere qui le anno- tazioni del D., nelle quali vhanno anche difetti di
scritturazione, potendosi avere alla mano scrittori famosi per molto sapere, i
quali ci hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo pi li accuratezza e
dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la quale versa
circa l obelisco valicano, poi- ch mollo
stimala per singolare novit, facendoci vedere un distico da nessuno, per
quanto io sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella
poi suona cos. In Roma La colonna Giulia a quattro lati, che si eleva di costa
a S. Pietro, ha di grossezza presso l estremit di mezzo, lunghesso ciascun
lato, otto piedi all in- circa ; di altezza poi, secondo un buon calcolo,
ascen- de a 00 piedi, ossia a dieci pertiche. Ma un prete ac- casalo l vicino
afferm che un tale laveva misurata con uno strumento ad ombra, e la trov di
braccia. Martino nella Cronaca dice che la sua lun- ghezza va a un dipresso a
120 piedi; ed Eutropio afferma la stessa cosa. Svetonio poi dice eh di pie- tra di Numidia. E vi sono poi ne suoi
due lati lettere incise di tal maniera: Divo Cnesari Divi Julii F Augusto Ti
Cacsari Divi Augusti F Augusto Sacrimi. Intorno alle antichit romane sogliono
premettere alcune cose pi memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei
Pontefici e deglimperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi
che trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente vengono
loro attribuite. ir Al di sopra della mela di questa colonna Giulia vi sono
scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae Appositi s
manibus itane erexere columnam. Plinio {Hi storia Nat..), e Svetonio (nella
Vita di Claudio) dimostrano apertamente che lin- signe obelisco sia stalo
trasportato dallEgitto a Roma per comando di Cajo Caligola ; e in sguito, mes-
sa a fondo da Claudio nella costruzione del porto di Ostia la nave su cui era
stato trasportato, la pi me- ravigliosa di quante mai si fossero vedute solcar
ma- ri, il medesimo sia stato collocalo nel circo di Ne- rone ; ned da entrare in forse che il medesimo, fregiato
di quella cospicua iscrizione ne due lati, non sia quello stesso che sempre fu
tenuto per lobelisco vaticano. Di questo attestano tutti gli scrittori pi
accreditati, che non sia mai stato mosso da dove per la prima volta fu
inalzato, n in alcun tempo atter- rato, fino a tanto che, volendolo Sisto V.
Pont. Massimo, trasportato dal luogo, dove pri- ma era posto, mediante un
congegno di macchine maravigliose di Domenico Fontana del contado di Campo
Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al giorno doggi si trova. Di tanto
unanimemente ne stanno mallevadori in particolar modo Decembrio, Poggio Fiorentino,
Vegio, Alberiino, Bargeo, Panvinio, Marliano, Pigafelta, Palladio, Gamuccio,
Mercato, Nardinio, Kirhero, Fontana, Bellorio, Fontana, Bonanno, Bandinio,
Milizia, Cancellieri, Winckelmanno, Fea, Zoega; lultimo dei quali, che ci da
unopera perfettissima sopra gli obelischi, impressa a Roma, come a nome di
tutti gli altri scrisse di quello con facondia. Questo dei romani obelischi il
solo superstite alle rovine della citt, si tenne in piedi nel Circo vaticano
fino a tanto che larchitetto Fontana, per comando di Sisto Pontefice Massimo,
lo trasfer nella piazza di S. Pietro. Quindi non da prestarsi credenza a Ciampinio, a
Molineto, a Vitlorellio, a Ficoronio, a Marangonio, a Guattanio, e a pochi
altri, i quali affermarono che il medesimo era di gi abbattuto e steso al suolo
allorch si fece la sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V. Tuttavia,
giudice e testimonio D., ora ci si para innanzi all impensata il distico da
tempo scolpito sopra l obelisco, dal quale non fuori di propo- sito n lecito far congettura eh esso avesse
incontrata cogli altri la stessa sorte, e poscia nel medesimo sito, dove
dapprima era posto, sia stato di bel nuovo inalzato ; ovvero, se non fu
ritrovato intiera- mente abbattuto e steso a terra, fosse almeno cos piegato,
che il suo inalzamcnto si avesse a tenere in conto non altrimenti che di fatto
assai meraviglioso, e da tramandarsi con lode alla memoria dei posteri per
mezzo d un monumento cospicuo cesellalo a Roma; al quale in sguito, come sar a
vedersi dalle cose che qui sotto si diranno, se ne aggiunse un altro di simile
a Pisa. Per verit, tostoch lesesi questo distico, ci ricorre alla memoria quel
tetrastico sopra quella grandissima mole di marmo, tradotta per mare ed
inalzata dalle mani di dieci fanciulle, per il sommo ingegno del chiarissimo
architetto Buscheto; il quale tetrastico si vede scolpito nel medesimo tempo
sopra il di lui sepolcro, che fronteggia il tempio maggiore di Pisa, e parla
cos, Quod vix mille boum possent juga junctn movere, Et fuod, vix poluil per
mare ferve ralis, Busketi iiisu, quod crat mirabile vini, Dena puellarum turba
levabai onus. Del qual tetrastico, siccome
noto, furono fatte tante e cos scipite interpretazioni, che il fatto
delle dieci fanciulle si spacci per una favola ; quasi che quelle parole non si
potessero applicare all inalzamene della gran mole, portato a termine per opera
di Buscheto con tale perfezione, che dieci donzelle colle sole loro mani
sarebbero state da tanto a quellimpresa, e che a loro in certa guisa sembrasse
do- versi attribuire la grande erezione. Pare che P opinione popolare abbia
condotto in errore tutti coloro che di questo fatto hanno discorso per iscritto
; cio che il contenuto in quei quattro versi accennasse alle macchine costrutte
da Buscheto nella fabbrica del tempio pisano ; perch il medesimo, ma in altri
versi, vi si leggeva in lode di Buscheto sulla facciata di quel tempio. Per
quanto poi si sa, nessuno avrebbe sospettato se sia da intendersi lo stesso
intorno al lavoro eseguito in Roma. Se non che quelli che giudicano imparzialmente
defatti, e sono di parere che P obelisco nel medio-evo sia stato atterralo, e
poco dopo novamente inalzato da Buschelo, sembra ci possano fare senza taccia
di errore, se specialmente considerino che tutti quegli aggiunti, rappresentati
ab antico colle stesse parole intorno al trasporto dell obelisco sopra una nave
duna meravigliosa grandezza, e la maniera stessa adoperata nel suo secondo
inalzamento, acqui- stano insieme chiarezza e fede ; altrimenti non veggo
quello che se ne possa dire di vero e di ragionevole su questo fatto. Che
lobelisco sia stato fermo in piedi presso la Cappella della Basilica Vaticana,
nel qual luogo sino dal principio era stato posto, chiaro dalla Bolla di Leone, per Li quale viene
confermato il fondo ai Canonici della Basilica medesima, nel cui terzo lato
(disse) corre un'altra via dall'aguglia che si nomina sepolcro di GIULIO (si
veda) Cesare; colla qual denominazione sol- tanto apparisce sia stato in uso
nel medio-evo d indi- carsi questo monumento (Collezione delle Bolle della
Basilica Vaticana di Roma. Tennero dietro quei lagrimevoli tempi, nequali per
la discordia di Enrico e Gregorio, che tra loro si combattevano, tocc a Roma di
patire moltissime calamit, nonch assedj, incendj, smantel- lamenti e
distruzioni di fabbriche anche in quella parte che si chiamava Citt Leonina, in
cui stava lobelisco: le quali cose tulle noi leggiamo testimo- niate
publicanienle da scrittori di quellet, c di gi scritte da storici accurati d
Italia di tempo posterio- re nei loro divulgati lavori, senza che mai ne accada
per avventura di vedere da essi fatta alcuna menzione dell obelisco ; onde
sorge qualche probabilit, che ad esso pure sia toccata in quel tempo la
medesima disgrazia dessere rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di
osservare, che niuno di quelli dequali abbiamo gli scritti circa le antichit di
Roma, o di quelli de quali abbiamo le collezioni da gran tempo date in luce
delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cenno del distico intorno a Buscheto;
non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che sappiamo aver egli stu-
diosamente esaminato gli antichi monumenti, e dellobelisco aver fatto parola
soltanto secondo la voce del popolo ( Epislol familiares, edit. Genev.). Noi
pertanto andiamo debitori al Dondi, siccome a quello che forse primo di tutti
ci diede una giusta conoscenza del tetrastico pisano, e la notizia della mole
insigne ultimamente alzata in Roma, la quale
di moltissimo vantaggio per far conoscere la storia delle arti
meccaniche del medio- evo in Italia : soggetto di un voluminoso ed utilissimo
scritto. Un silenzio cos durevole ed universale non pu essere di certo a molti
senza ammirazione ; ma ove essi considerino che l obelisco di bel nuovo
inalzato era stato a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il
giro di quasi tre secoli avanti D,, e che mostrava quel distico a lettere
sfuggevoli, sebbene ab antico scolpite, difficili alla lettura per la
sconvenienza del sito, talch siasi preso Buzeta per Buscheto ; e che finalmente
nel secolo XV. le medesime erano del tutto scomparse, non avranno pi luogo s
fatte meraviglie. Senza dubio Decembrio Opera ripiena di scelta erudizione e
poco conosciuta, scritta circa la met di quel tempo, intitolata hibri selle di
polizia letteraria, c data ai tipi in Augusta, ce lo rappresenta tanto ridotto
a mal termine, che non dee fare stupore sia esso sfuggito acuriosi indagatori
degli antichi monumenti, ed abbia indottoVeronese a parlare in tal foggia. Quel
lato eh posto a Mez- zogiorno viene corroso ogni d pi dai continui
vapori dell Austro e dalle procelle ; e i geometri e glarchitetti tutti del
nostro tempo ne trovarono tanto di logoro, che ritengono sia scemato da imo a
sommo quasi duecento libre. E il Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio intorno la
zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso la prima volta a
Venezia con altre sue Operette, mette in bocca a Barbaro Ermolao questi delti.
Appena si pu descrivere a parole la grave colpa
che hanno i Romani per quell obelisco vaticano, i quali, quasi invidiando
che sopravivesse una qualche opera alla nostra et, cui lunghezza di anni o durata di tempo non valesse a distruggere,
adoperarono s che fosse quasi tolto alla publica vista per mezzo di ammonticchiati rottami e murate
easupole. Ma che D. si abbia procurato colle osservazioni sulle romane antichit
cognizioni per dare a buon diritto lodi secondo le azioni, n prova la Letlera diciottesima a Paganino
Sala, decoralo poco in- nanzi della dignit di Cavalliere : nella quale difende
che la scienza delle leggi da tenersi in
maggiore estimazione che larte militare, scrivendo: Che il senato e il popolo romano avessero
operato secondo questo parere di CICERONE, lo attestano alcune facciate, le
quali sino al giorno d oggi si conservano nella citt scolpite in marmo, alcune
delle quali, ) n m inganna la mia memoria, ho lette io stesso, dove vengono anteposti in ordine di scrittura
gluomini famosi in pace per consiglio a quelli che travagliarono nella guerra.
A piedi della rupcTarpa si conserva uno splendido arco trionfale di marmo, che tiene inscritti due grandi uomini,
vale a dire Lucio Settimio e Marco
Aurelio, sopra cui dopo una lunga serie
si offrono a lettera alcune cose in
proposito, le quali, tienle a mente, sono
queste: Ob rem publicam restitulam itnperiuinque populi romani propagatimi insignibus
virlutibus eorum domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse consolidato per senno alla conquista
dellimperio, e i grandi in pace a grandi
in guerra, quantunque senza dubio l una
e l altra sia cosa gloriosa. Cos il
titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto civile, colla quale si
amministrano bene in pace i publici
affari, si giudica doversi anteporre al titolo
di Condoiliere d'eserciti, colle armi de' quali si gover- ni nano le
cose al di fuori. Posciach D. ebbe
osservate le rovine della romana antichit, nella Let- tera duodecima al frate
Guglielmo da Cremona ne scriveva in tal modo, Quantunque poche ne sieno rimaste
delle opere degli antichi ingegni, pure se alcune qua e l se ne conservano, vengono
ricerca- te, esaminate, e tenute in gran
pregio dagli appassionati in tal genere; e se vorrai mettere a para- gone queste dei giorni nostri con quelle, ti
sar chiaro come gli autori di quelle
sieno stati pi avvantaggiati dalla natura e dall ingegno, e pi dotti nel magistero dellarte. Parlo di edifizj
antichi, di statue, di sculture, e
daltre cose di simil fatta, alcune delle quali, con diligenza osservate dagli
artelici di questa et, li fanno dare nelle meraviglie. Nella qual Lettera
stessa, dopo di avere trattato dif- fusamente sulla eccellenza degli antichi,
aggiunse anche le seguenti cose, spettanti allo studio degli anti- clii
monumenti. Io avrei credulo che tu ti avessi occupato con piacere a leggere di
quando in quando scritti di tale specie, o almeno alcuni dei principali tra
essi, ed in quelli ne avessi considerato in > molte parti, non senza
stupore, i costumi e le azioni dei tempi andati: perch se vorrai con
giustizia raffrontare quelli con questi
che di presente conosciamo, sarai costretto a confessare che la giustizia, il
valore, la temperanza e la prudenza hanno avuto
certamente un seggio luminoso nei loro animi, e dall impulso di quelle virt si hanno procacciato alcun che di magnifico a gran lunga superiore
alle pi larghe mercedi. Del resto, prova
di ci sono quelle cose che, ordinate una
volta per onorare gloriose intraprese,
durano ancora nella citt di Roma. Conciossiach sebbene molle e delle pi
preziose ne abbia mandalo a male il tempo, e di alcune sieno mostrate soltanto le rovine, che ci
presen- ti tano alcune tracce di ci che per lo innanzi erano; tuttavia quelle
poche e a meraviglia stupende che ne restano, sono pi che bastanti onde fare
testimonianza che coloro i quali le decretarono, non poteano essere che dotati
di somma virt, e che coloro aquali venivano dedicate ad eterna ed onorevole
ricordanza doveano avere operato gesta magnanime e strepitose. Voglio dire
statue che, fuse in bronzo o scolpite in marmo, durarono fino al giorno d oggi
; e mollissimi pezzi sflagellati a torli ra, ed archi trionfali di pietra di
gran lavoro, e co- li lonne storiate di memorabili imprese, ed altre cose
moltissime di tal genere, messe alla vista di tutti onde onorare personaggi
illustri o per avere stalibilita la pace, o scampata la patria da
sovrastante pericolo, o disteso il
dominio sulle vinte nazioni. E siccome mi sovviene eli io vi leggeva con molto
mio compiacimento, cos voglio sperare che tu pul re, passandovi sopra qualche
fiala, le avrai considerale, e fatto sovresse alcun segno di meraviglia, ed
avrai detto per avventura teco stesso: Queste per fermo sono prova d uomini
grandi. Resta che a fornire lelogio di D. io lo dimostri anche amante dello
studio poetico, onde sia manifesto com egli abbia occupato un luogo cospicuo
fra i Medici del suo tempo. Anche i meno esperti di tali cose sapranno che
delle sue composizioni italiane una sola ne fu data alle stampe, indirizzata a
PETRARCA (si veda), la quale con altre dello stesso autore suolsi vedere
congiunta, e ne fu fatta memoria nel Dizionario degli Academici Fiorentini
della Crusca. Ma nel codice manoscritto, di cui sul principio ho fatta
menzione, se ne leggono quaranta del genere di quelle che con vulgare
vocabolo invalso chiamare Sonetti. Queste
trattano di varj argomenti, e specialmente dell amore alla virt, della malvagit
dei costumi del suo tempo, della lode e del biasimo di alcuni Principi allora
regnanti, di citt vedute nel suo viaggio per Roma, di risposte ad amici; e di
amorose assai poche, ben diversamente da quello che portail suo secolo. Le
poesie volgari du D. furono scritte a PETRARCA (si veda), e a quelli amatori
delle Muse che a lui erano legati in istrelta amicizia ; cio a Broaspitia
veronese, a Vanozzi, a Melchiore e Benedetto parimente veronesi, a Pace
padovano, al frate Guglielmo da Cremona, a Giovanni di Venezia suo
condiscepolo, a Campo, e Castellione Aretino. D. visitando la tomba del
Petrarca in Arqu scrisse forse il primo di tutti su tale argomento una
composizione, imitato poscia da uomini dotti dogni nazione e d ogni tempo ;
cosicch coll andare degli anni io ho raccolto versi in gran copia sopra questo
soggetto, i quali potrebbero uscire in luce con generale approvazione. La
poesia usata da D, non sempre sciolta e
facile; tuttavia fornita di gravit e di
eleganza: gli piaque di framischiare sovente versi latini ai volgari, come
sappiamo su IP esempio degli antichi poeti es- sersi usalo fare da alcuni
moderai con vano sforzo. Nella sua giovinezza atlendeva con piacere a
verseggiare, come scrive a Guglielmo da Cremona: Gi nella vaga elade de
primanni Mi piaque udir e dir talvolta in rima, Bench con grosso stile e rude
lima: Poi che lalma vestir di miglior panni Mi piaque pi, perchio conobbi i
danni Dei persi di, lasciai la via di prima. Prendendo quel che piu prezzo si
stima Con maggior cura e studiosi affanni. I codici scritti a penna assai di
rado ci offrono versi di D., ed io ne ho veduti se non pochissimi in due
soltanto: uno de quali trovasi nella Biblioteca del Seminario di Padova, un
tempo posseduto dal Facciolati ; l altro squarcialo, e mal difeso dalle in-
giurie dei tempi, fu da me rinvenuto poco fa nellul- tima stanza della Basilica
di S. Marco in Venezia, e portato nella Biblioteca regia : il perch non dee
parere fuori di ragione eli io ponga qui appiedi di que- sta Lettera, come per
saggio, sei componimenti volgari di esso Dondi. Da tutto il fin qui detto
risulta, che presso i giusti estimatori deglingegni il Dondi and fornito di
tanta e s svariata dottrina, che vha onde tenerlo del tutto eccellente fra i pochi
periti in Medicina del suo secolo, e che perci non ho gettato inutilmente il
tempo e la fatica nel farlo riconoscere per tale. Venezia, Sel veder torto del
vostro Giovanni Mira la region terrestre ed ima. La gente ricercando in ogni
clima, Ebrei, LATINI, Greci ed Alemanni, Regni comuni, e sudditi atiranni; Al
mal son pronti, e per quel si sublima, Spenta
virt, e la fortuna opima Col vizio sta su gloriosi scanni. Ito il tempo che fu col buon Augusto, Rari son
quei che per virt guadagna; Astuzia e frodo regna con bugia. A cui dunque direm
del calle angusto, Per qual si va con la virt compagna? Degno del mal cos lagnarsi pria. Oli puzza
abbominabil di costumi! Oli maledetti d di nostra etade! Oli gente umana senza
umanitade! Pi che senza splendor oscuri fumi! Convien che l mondo in breve si
consumi. Poich giustizia ed innocenza cade; E sol quellarte e studio par che
aggrade. Per qual lun laltro offenda, inganni e schiumi. Qual cieli
infortunati, qual figure. Qual mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben
or s disperso? Quanto beate fur pi le nature Nellimperio d Augusto, quando
ingegni, Virtute e pace ebbe lUniverso! Cantra insolenliam Fenetorum
inferentium guarani Amino Paduae. Se la gran Babilonia fu superba, Troja,
Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si vede, e quell altre si noma. Ma dove
sletler pria stan selve ed erba; E se altra possa fu mai tanto acerba A metter
sopra altrui gravosa soma. Tutte san gi quantogni orgoglio doma Al fin colei
clic a s vendetta serba. Per qualunque
maggior signoria Dovrebbe rifrenar con pi misura Fraterna di giustizia
sua potenza; Di aver con suoi minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e
dura, E temer sopra s dal Ciel sentenza. Cum visitasset sejiulchrum Domini
Fraudici PelrarcUae in A rquada. Ilei sommo cielo con eterna vita Gode P alma
felice tua, PETRARCA; Quindi di sodo sasso in nobil arca La terrena caduca
parte uscita. La fama del tuo nome gi gradita Sonando va con gloriosa
BARCA la barca di PETRARCA --, Di vera
lode e dogni pregio carca, Per lUniverso in ogni canto udita. Nelle scritte
sentenze tue si vede La gentilezza dellingegno divo, E qual sii stato in
cattolica fede. For chi anco tama non
privo Ancor di te; c chi morto li crede Erra, chor vivi e sempre sarai
vivo. Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo Joanni de Fenetiis
studenti in Medicina, qui tcripseral eidem quondam tmlgares rhythmos. Le tue
parole mi par belle tanto, E s bene ordinate tutte quante. Qual se dette le
avesse o Guido o DANTE ALIGHIERI (si veda), Ovvero esaminate in ogni canto. Per
quando fra me mi penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da color
che tu imiti, buon rimante, E che han vestito di quellarte il manto. Ondio ti
prego che scrivi talvolta, S che svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto
dalla turba stolta. Onor ti render, che sei ben degno. Pi chel fanciul al
maestro chascolta. Guardando a te col balestriere <0 al segno. Cos il
codice. Dica contra chi vuol: il saper vale Pi che il folle ardimento, cd ogni
schiera Produrr a torto quantunque sua fiera: Per ragion giusta, dee terminar
male. E chi per van conforto daltrui sale Oltra quel che convien a sua maniera.
Degno che non governi ben bandiera, N
ben cavalchi alcun sotto sue ale. Adunque imprenda pria quei che non sanno, E
non ardisca saltar di leggieri; Contra salza a baldezza di vesciche. Ch
chi corrente ha pi volle le fiche, E
scaccomato in mezzo il tavolieri, S chei riporta la vergogna e l danno..tK*rCP
odiatene di oti 300 esemplati. BUSCHETO di Isa Belli Barsali - Dizionario
Biografico degli Italiani - Pubblicit BUSCHETO (Busketus, Buschetto,
Boschetto). - Si ignorano l'origine e gli estremi biografici di questo
architetto attivo a Pisa tra il terzo venticinquennio del sec. XI e i primi del
XII. Compare in due soli documenti certi (pubblicati dal Pecchiai), e come
operarius di S. Maria. l'ideatore del
progetto della cattedrale pisana e come tale infatti ricordato ed esaltato, nel paragone con
Ulisse e con Dedalo, nell'iscrizione che si legge sulla sua tomba collocata
nella prima arcata a sinistra della attuale facciata (trasferitavi da quella
primitiva): "Non habet exemplum niveo de marmore templum. Quod fit Busketi
prorsus ab ingenio. Una pi tarda iscrizione elogiativa aggiunta sul sarcofago
in occasione del trasferimento della tomba dalla vecchia alla nuova facciata
(al tempo cio dell'architetto di quest'ultima, Rainaldo) esalta del B.
soprattutto le capacit tecniche: "Quod vix mille boum possent iuga iuncta
movere / Et quod vix potuit per mare ferre ratis / Busketi nisu quod erat mirabile
visu Dena puellarum turba levabat onus. Accenti assai simili aveva un'epigrafe
romana, ora scomparsa, trascritta da G. Dondi, che celebrava un
"Buzeta" per aver nuovamente eretto l'obelisco nel circo neroniano:
"Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae / appositis manibus hanc erexere
columnam". Questa somiglianza di tono nelle due epigrafi, pisana e romana,
indusse il Morelli a proporre l'identificazione di "Buzeta" con
Buscheto. Non risulta certo che sia da identificare con il B. che compare in
due atti della canonica del duomo di Pistoia (L. Chiappelli, Storia di
Pistoia..., Pistoia). Per altre ipotesi (B. del fu Giovanni giudice dei signori
di Ripafratta, Monini), basate su documenti presunti o per documenti (Pecchiai)
poinon rintracciati, si veda Scalia. I lavori della cattedrale pisana, iniziati
nel 1063 al tempo del vescovo Guido da Pavia, proseguirono, sostenuti da
donazioni, tra cui quelle di Enrico IV e della contessa Matilde. Gelasio
consacra la cattedrale, forse non ancora del tutto compiuta. Dopo questa data,
l'edificio venne ampliato con il prolungamento a ovest del corpo longitudinale
della chiesa, di circa quindici metri, che port di conseguenza alla costruzione
dell'attuale facciata (per il Sanpaoles. Per le fondazioni della prima facciata
si veda Bacci). L'individuazione, ovviamente fondamentale, dell'attivit di B.
nella parte pi antica del duomo, ha avuto un lungo iter critico. Alla luce
degli studi recenti da credere che il B.
progettasse e iniziasse la costruzione in et ancor giovane, proseguendone poi
la fabbrica fino al primo decennio del sec. XII. Molte ipotesi sono state
avanzate sui tempi e i modi della fabbrica del duomo durante la direzione di
Buscheto (Dehio-von Bezold; Salmi, 1938;Sanpaolesi). Una documentazione
indiretta aiuta solo parzialmente. Accettando l'ipotesi del Burger, che
l'epigrafe con data 1085 murata sulla porta della pieve nuova di S. Maria del
Giudice (Lucca) vada riferita al completamento dell'abside di questa chiesa -
anteriore stilisticamente alla sua facciata - il1085verrebbe ad essere anno
ante quem per il completamento di una parte dei lavori al duomo pisano
attribuibili a B., dato il rapporto esistente tra il duomo di Pisa e l'abside
della pieve nuova di S. Maria del Giudice: la chiesa del contado lucchese
sarebbe anche il pi antico edificio derivato dalla cattedrale pisana. I forti
pilastri interni all'incrocio del transetto delineano le dimensioni della
cupola e autorizzano a ritenere che B. progettasse anche questa parte
(Sanpaolesi), anche se poi possibile che
i lavori si protraessero. La cupola originaria - poggiante su un tamburo con
monofore ad archetto e su trombe coniche venute in luce durante i restauri del
secondo dopoguerra - indica rapporti con l'architettura del Mediterraneo
orientale e della Sicilia. Un problema aperto
quello della forma della facciata di B., forse gi compiuta nel 1118
quando fu consacrata la chiesa, certo gi esistente quando nella chiesa fu
tenuto un concilio, e disfatta probabilmente dopo la costruzione della nuova.
Ipotesi ricostruttive possono trovare appoggio nell'esame analitico e
comparativo di alcune facciate di chiese pisane (S. Frediano di Pisa, la pieve
di Calci gi aperta al culto, la pieve di Vicopisano) e lucchesi (le due pievi
di S. Maria del Giudice), tutte in contatto con la cattedrale pisana. Queste
facciate mostrano una ricorrente tipologia ad archi ciechi su due ordini, che
si presenta in logico e armonioso rapporto con quella soluzione ad archi ciechi
che compare nei fianchi del duomo di Pisa. Il linguaggio di B. non certo riconducibile ad una tradizione locale,
ed estremamente colto. Accettando
l'ipotesi di identificazione con il Buzeta dell'iscrizione romana, il soggiorno
a Roma illuminerebbe sul sottofondo classico della sua cultura: l'impianto
dell'edificio e i grandi colonnati basilicali, i capitelli foggiati ad
imitazione dell'antico, la quasi completa assenza di decorazioni figurate
rivelano infatti la conoscenza e lo studio delle opere romane; significativo che anche il neoclassico
Milizia ne notasse "le proporzioni del tutto non... spregevoli" e la
sodezza. Nello stesso tempo B. a
conoscenza dell'architettura lombarda e dell'architettura orientale, dalla
bizantina all'araba. Contatti e rapporti culturali sono d'altronde superati in
una unitaria visione di grande respiro, che fa di B. uno dei massimi
architetti. La cattedrale pisana
capostipite del romanico pisano. All'opera di B. e del suo continuatore
Rainaldo si rifece non solo la generazione a loro pi vicina, ma una folta
scuola, estesasi nella Lucchesia, nel territorio fiorentino, e nelle zone
politicamente o commercialmente in rapporto con Pisa (in Sardegna e in Puglia),
scuola che ne mantenne alcuni tratti essenziali, pur modificandosi nel tempo e
nei diversi centri. Fonti e Bibl.: B. Maragone, Annales pisani, in Rerum
Italic. Script., a cura di Gentile; Sardo, Cronaca pisana, a cura di Banti,
Roma, D., ITER ROMANVM, in CODICE TOPOGRAFICO DELLA CITTA DI ROMA, cur.
Valentini-G. Zucchetti, IV, Roma, Milizia, Mem. degli architetti antichi e moderni,
Parma; Morrona, Pisa illustrata, Pisa, Morelli, Operette, Venezia; Grassi,
Descriz. Stor.-artistica di Pisa, Pisa, Parte storica; Parte artistica; Fleury,
Les monuments de Pise au Moyen Age, Paris, Rossi, Inscriptiones christianae
Urbis Romae, I, Romae, Dehio-Bezold, Die kirchliche Baukunst des Abendlandes,
I, Stuttgart, Monini, B. pisano, Pisa; P. Schubring, Pisa, Leipzig Venturi,
Storia dell'arte italiana, Milano; J. B. Supino, Arte pisana, Firenze,
Pecchiai, L'opera della Primaziale pisana, Pisa, Papini, Pisa, I, Roma, La
costr. del duomo di Pisa, in L'Arte, Bacci, Le fondaz. della facciata nel duomo
di Pisa, in Il Marzocco, Tronci, Il duomo di Pisa, cur. Bacci, Pisa; M.
Hauttmann, Die Kunst des frhen Mittelalters, Berlin, Salmi, L'architettura
romanica in Toscana, Milano-Roma, Toesca, Il Medioevo, I, Torino, Guyer, Der
Dom zu Pisa und das Rtsel seiner Entstehung, in Mnchner Jahrbuch der bildenden
Kunst, Salmi, La genesi del duomo di Pisa, in Boll. d'arte, Thmmler, Die
Baukunst in Italien, in Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, Ragghianti,
Architettura lucchese e architettura pisana, in Critica d'arte, Burger,
L'architettura romanica in Lucchesia e i suoi rapporti con Pisa, in Atti del
Seminario di storia dell'arte, Pisa-Viareggio, Sanpaolesi, La facciata della
cattedrale di Pisa, in Riv. dell'Ist. d'archeol. e storia dell'arte, Il
restauro delle strutture della cupola della cattedrale di Pisa,in Boll. d'arte,
Burger, Osservazioni sulla storia della costruzione del duomo di Pisa, in
Critica d'arte; Barsotti, B. e Rainaldo, in Cattedrale di Pisa (catal. della
mostra), Pisa, Delogu, Pistoia e la Sardegna nell'architettura romanica, in I
Convegnointernaz. di storia e arte,Pistoia Scalia, Ancora intorno all'epigrafe
sulla fondazione del duomo pisano, in A G. Ermini, Spoleto, Thieme-F. Becker,
Knstlerlexikon, s.v. Busketus. Circo di Nerone Circo scomparso della Roma
antica Circo di Nerone (o Vaticano) Sito archeologico Roma Nero Circus
Ricostruzione del Circo di Nerone in un disegno di Pietro Santi Bartoli Civilt
Civilt romana Utilizzo Circo Localizzazione Stato Citt del Vaticano Mappa di
localizzazione Il circo di Nerone era un impianto per spettacoli dell'antica
Roma lungo 540 metri e largo circa 100, che sorgeva nel luogo dove oggi si
trova la basilica di San Pietro in Vaticano, in una valle che correva da dove
si trova la parte sinistra della basilica fino quasi ad arrivare al Tevere.
L'area dei Carceres, da dove partivano le bighe, era situata nel punto dal
quale la Via del Sant'Uffizio lascia piazza Pio XI, mentre quella del lato
curvo va rintracciata qualche decina di metri dopo l'abside della basilica di
San Pietro. StoriaModifica L'opera, iniziata da Caligola e completata da
Nerone, era stata costruita all'interno della villa di Agrippina Maggiore,
villa che alla morte della madre di Caligola pass in eredit a Nerone. Nel circo
privato dell'imperatore si tenevano corse di cavalli, bighe e quadrighe, molto
popolari a Roma, tanto che in alcune occasioni l'imperatore, che normalmente vi
assisteva solo con la sua corte, fece aprire le porte del circo al popolo
romano. probabile che l'impianto non
dovesse contenere pi di 20.000 spettatori. Qui ebbero luogo, forse per la
vicinanza all'adiacente necropoli, alcune esecuzioni dei cristiani giudicati
colpevoli di aver causato il grande incendio di Roma. Nerone, secondo Tacito,
aggiunse lo scherno al supplizio. Come avvolgere gli uomini con pelli di
animali perch fossero dilaniate dai cani, o inchiodarli alle croci, o
destinarli al rogo come fiaccole, che illuminassero l'oscurit al termine del
giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo, e vi aveva
organizzato giochi circensi, mescolandosi alla folla in abito d'auriga o
guidando un carro da corsa. In tal modo si aveva piet di quei condannati, bench
colpevoli e meritevoli del supplizio, perch venivano sacrificati non per
l'utilit pubblica ma per la crudelt di uno solo.[1] Il circo fu abbandonato gi
verso la met del II secolo d.C. e l'area fu suddivisa e assegnata in
concessione ai privati per la costruzione di tombe appartenenti alla necropoli.
Tuttavia pare che fino al 1450 ne sopravvivessero ancora molti resti, distrutti
con la costruzione della nuova basilica vaticana. L'obelisco, che era posto al
centro della spina del circo, era stato per volere di Caligola trasportato fin
qui da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii. Qui rimase fino a che papa
Sisto V lo fece spostare al centro di Piazza San Pietro. L'area dove sorgeva
anticamente il Circo di Nerone. Publio Cornelio Tacito, ''Annales, Basilica di
San Pietro in Vaticano Via Cornelia Altri progettiModifica Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su circo di
Nerone. Portale Antica
Roma Portale Architettura Portale Roma Necropoli vaticana Ager Vaticanus Via
Cornelia Strada romana antica Wikipedia Il contenutoGrice: I thought it was a
good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of time (as
stretch a rather English root cf. German zeit, our tide --, and borrow from
Latin, tempus, which gives us temporary, as I use in my Personal Identity,but
also tense This tense is better than by
vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and
tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a
mispronounciation of Fremch temps, Latin/Roman tempus So as Cicero would have it, its tempus we
should care about! -- Giovanni Dondi dallOrologio. Nome compiuto: Giovanni De
Dondi. Dondi. Keywords: lastrarium, Leibnizs Law, time-relative identity, total
temporary state (Grice: Im thinking of Hitler); Wiggins, Myro, The Grice-Myro
Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior,
Creswell, Mellor logica cronologica,
tense logic tense implicature -- iter romanorum. Refs: Luigi Speranza, Grice e Dondi The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dorfles:
la ragione convversazionale e l’implicatura conversazionale del kitsch – scuola di Trieste – filosofia
friuliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Trieste). Filosofo trestino. Filosofo
friulese. Filosofo italiano. Trieste, Friuli – Venezia Giulia. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his
‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre
goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica
allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza
dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo
di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo,
denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a
quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e
Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale
contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di
articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia
e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose
collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano,
l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle
arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta
componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo
alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica
quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale
presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione
pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo
spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti
gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo
dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno
fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti.
Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad
analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale,
facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose
monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols,
Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco
nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul
disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo
a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà
poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in:
Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro,
presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa
dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si
occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro
Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha
scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La
(in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha
soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un
inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova
con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come
il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito Irritazioni: un'analisi
del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi.
Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi
che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo.
NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte
Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico
ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da
Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol,
disegni" Colonetti e Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un simbolo alchemico, acronimo del motto
rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum
Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi,
Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU.. Muor e a
Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico
letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di
Piero, Giorgio, era fratello di Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti:
Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro
della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J.
Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla
città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di
Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino,
membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World
Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e
dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la
laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris
causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine
al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del
Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici
d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso
tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il
pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie
sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma
e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino,
Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani);
“Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF,
Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il
disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in
Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica
del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del
cattivo gusto, Milano, Mazzotta); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Corbusier, Gropius, Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode et Modi, Collana Antologie e saggi, Milano, Mazzotta, II
ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e
storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo perduto, Collana
Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal costume alle arti e
viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal Neobarocco al Postmoderno,
Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I turbamenti dell'arte, Genova, Costa
e Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa et Nolan, Elogio della disarmonia:
arte e vita tra logico e mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico,
Milano, Studio Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari,
Bologna, Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo
Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione,
con tavole di Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze
critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design:
percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio
Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi
nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi,
Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo
specchio, Luni, Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L.
Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy, Puppo, D. e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti
della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Compositori, L'artista e il
fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo
Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La inciviltà del rumore, Collana I
Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura
nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato
alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo
Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Sansone e N.
Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore
senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry
Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Colonetti et al., Bologna, Compositori, Arte con
sentimento. Conversazione,Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa, Essere
nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato,
Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita,
Aldo Colonnetti, Estetica senza dialettica. Scritti, al, Luca Cesari,Milano, Bompiani,
Paesaggi e personaggi, Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Sansone, Milano,
Skira; "Interviene D.", in alterlinus "Calligaro: parole e
immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né
rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf
Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Arnheim, Guernica.
Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a D. «La mia vita infinita da
Giuseppe agli smartphone», su corriere. Cazzullo: la mia vita infinita da
Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, il Redazione, Novità formali e
riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un
sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il
Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano,
Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Mazzon: Civico Padiglione
d'Arte Moderna, Milano,Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco,
Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano:
Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron:
materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Gnoli, D. il rivoluzionario critico d'arte, La
Repubblica, Bucci, Morto, critico
poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma D., signora di cultura, Il
Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio
decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Mandelli, Capire l'arte
contemporanea su youtube.com D., «Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere
della Sera, Cazzullo, la mia vita
infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera. Natura insieme degli esseri viventi e
inanimati considerato nella sua forma complessiva Lingua Per natura si intende
l'universo considerato nella totalità dei fenomeni e delle forze che in esso si
manifestano, da quelli del mondo fisico a quelli della vita in generale.
Paesaggio naturale Storia del concetto Natura (filosofia). Il termine
deriva dal latino Natura e letteralmente significa "ciò che sta per
nascere": a sua volta deriva dalla traduzione latina della parola greca
physis Il concetto di natura come una totalità che va a comprendere anche
l'universo fisico è una delle molte estensioni del concetto originale; sin
dalle prime applicazioni di base della parola φύσις da parte dei filosofi
presocratici, esso è entrato sempre più nell'uso corrente. Questa
concezione è stata riaffermata con l'avvento del moderno metodo scientifico
negli ultimi secoli. Natura e ambiente Ambiente (biologia). I
boschi fanno parte del gruppo della Natura. La "natura" può riferirsi
alla sfera generale delle piantee degli animali, ai processi associati ad
oggetti inanimati, al modo in cui determinati tipi di forme esistono ed ai
cambiamenti spontanei come i fenomeni meteorologici o geologici della Terra, la
materia e l'energia di cui tutte queste realtà sono composte. Viene inteso come
ambiente naturale il deserto, la fauna selvatica, le rocce, i boschi, le
spiagge, i mari e gli oceani, e in generale quelle cose che non sono state
sostanzialmente modificate dall'intervento umano, o che persistono nonostante
l'intervento dello stesso. Ad esempio, i manufatti e le trasformazioni umane in
genere non sono considerati parte della natura, venendo preferibilmente
qualificati come una natura più complessa. Più in generale, la natura
comprende i seguenti contesti e dimensioni della realtà. La Terra è il luogo
primigenio degli esseri umani, che ospita la vita come da noi concepita e conosciuta.
Sulla sua superficie si trova acqua in tutti e tre gli stati (solido, liquido e
gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e ossigeno che, insieme
al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la Terra dai raggi cosmici
e dalle radiazioni solari. La sua formazione è datata a circa 4,54
miliardi di annifa. Vita Le piante (Plantae Haeckel) sono organismi unio
pluricellulari, che comprendono tutti i vegetali, soggetti a nascita, crescita,
riproduzione e decesso. Gli animali comprendono in totale più di 1.800.000
specie di organismi classificati, presenti sulla Terra dal periodo ediacarano.
Il numero di specie via via scoperte è in costante crescita, e alcune stime
portano fino a 40 volte di più la numerosità accertata. Delle 1,5 milioni di
specie animali attuali, 900 000 sono appartenenti solo alla classe degli
Insetti. Ecosistemi. Una tempesta. Gli ecosistemi sono costituiti da una o più
comunità di organismi viventi (animali e vegetali), e da elementi non viventi
(abiotici), che interagiscono tra loro; una comunità è a sua volta l'insieme di
più popolazioni, costituite ognuna da organismi della stessa specie. L'insieme
delle popolazioni, cioè la comunità, interagisce dunque con la componente
abiotica formando l'ecosistema, nel quale si vengono a creare delle interazioni
reciproche in un equilibrio dinamicocontrollato da uno o più meccanismi
fisico-chimici di retroazione (detti anche "feedback"). Troll,
dall'esame di alcune serie storiche di foro aeree, notò che gli ecosistemi
mostravano una tendenza ad aggregarsi in configurazioni unitarie (denominate
principalmente Macchie, Isole e Corridoi). Ricordando la dizione di Humboldt,
Troll chiamò tali formazioni "paesaggi". L'ipotesi Gaia è la
teoria, inizialmente avanzata da Lovelock, ma già anticipata da Keplero, secondo
la quale tutti gli esseri viventi sulla Terra contribuirebbero a comporre un
vasto ed unico organismo (chiamato Gaia, dal nome della dea greca), capace di
autoregolarsi nei suoi vari elementi per favorire a sua volta le condizioni
generali della vita. Naturale e artificiale. Natura e artificio. Il
concetto più tradizionale della natura, che può essere usato ancora oggi,
implica una distinzione tra naturale ed artificiale: con
"artificiale" si intende cioè che è stato creato dall'opera o da una
mente umana. A seconda del contesto, il termine "naturale" potrebbe
anche essere distinto dall'innaturale, dal soprannaturale e
dall'artefatto.Bottega dello scultore, miniatura che raffigura l'opera umana di
modifica degli elementi e degli arredi naturali Le difficoltà nella definizione
stessa della naturacomportano un'ambiguità nel rapporto tra uomo e natura. Alle
volte il concetto è usato in senso derivato per riferirsi a quelle zone create
dall'uomo, ma dove grande spazio è riservato alle popolazioni vegetali e
animali. Si può parlare ad esempio della natura di una foresta, anche se
coltivata e sfruttata da secoli. In tal caso ci si riferisce a una modalità di
gestire l'ambiente da parte degli umani, piuttosto che all'assenza di intervento
umano. L'idea di natura è stata rielaborata dalla cultura urbanache ha
formulato la mitica nozione di barbarie per definire tutto quanto si pone al di
fuori della civiltà. Il fatto che il termine selvaggio vienne usato da un lato
come sinonimo di naturale, dall'altro per denotare certi atti come
particolarmente violenti o efferati, mette in evidenzia una certa tendenza
ideologica, piuttosto inconsapevole, a considerare parte della natura come
estranea alla culturadominante, come qualcosa di primitivo se non di malevolo. Paradossalmente
accade anche che, in altri contesti, la parola «naturale» possa venire usata
nel linguaggio corrente come sinonimo di normale, legittimo o logico, come la
fonte cioè dei principi più retti dell'uomo civilizzato. Lo sviluppo della
scienza e della tecnologia negli ultimi due secoli è stato a sua volta in gran
parte accompagnato da una certa contrapposizione ideologica tra uomo e natura;
la conoscenza viene generalmente considerata uno strumento di dominio della natura
piuttosto che un mezzo per vivere in armonia con essa. L'epoca moderna ha visto
d'altra parte lo sviluppo della teoria della legge naturale, che pone in
risalto i diritti dell'uomo, il quale sarebbe stato dotato dalla natura di
prerogative inalienabili; in tale contesto si fa riferimento ad una natura
umana senza implicare necessariamente l'appartenenza ad una natura ancestrale. Tutela
della natura. Lo sfruttamento del suolo e il problema dello smaltimento dei
rifiuti procede di pari passo con la crescente urbanizzazione. La crescente
industrializzazione ed urbanizzazione del pianeta ha posto il problema della
conservazione della natura in forme nuove e sempre più urgenti. Agli ambienti
naturali si sono andati via via sostituendo paesaggi artificiali, che oltre a
distruggerne l'amenità, ne hanno alterato la loro peculiare storia ecologica.
Sin dalla preistoria l'uomo è intervenuto a modificare il paesaggio naturale,
attraverso disboscamenti e l'introduzione di colture e animali di importazione,
con grave danno per la flora e la fauna locali, oltre che di quelle non
addomesticabili. Ma è stato soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale
che l'umanità si è dotata di mezzi molto più invasivi, che deturpano gli
ambienti fino a provocarne spesso la desertificazione. Fra le principali cause
della distruzione della natura vi sono: inquinamento, ed emissioni di gas
serra; sfruttamento delle risorse naturali, deforestazione, agricoltura
intensiva con uso di pesticidi, pescamassiccia; estinzione di numerose specie
viventi; ignoranza dell'ambiente biofisico, mancanza di cultura ecologica. Alle
alterazioni della natura ha contribuito inoltre la crescita esponenziale della
popolazione umana, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.[2] Con la
ricerca scientifica si riesce soltanto a rimediare per lo più parzialmente ai
danni, cercando di razionalizzare lo sfruttamento del suolo, arginare la
diffusione dei parassiti e limitare l'inquinamento. Per il resto, la lenta
crescita di consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura nei paesi
industrializzati ha portato a provvedimenti come l'istituzione dei parchi
naturali. Dopo la seconda guerra mondiale sono sorte alcune organizzazioni
internazionali per la difesa della natura come l'IUCN, il WWF, l'UNESCO,
l'UNEP. Dagli anni ottanta le varie nazioni del pianeta hanno iniziato a
partecipare a delle conferenze su scala globale per trattare soprattutto dei
problemi del clima, con risultati di scarsa efficacia. Ducarme e Denis Couvet,
What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications, Springer Nature, Natura,
su treccani.i Newman, Age of the Earth, in U.S. Geological Survey's Geologic
Time, Pianta, su treccani Baccetti B. et al, Trattato Italiano di Zoologia
nsect Species, su infoplease. Rawls, Lezioni di storia della filosofia morale,
Feltrinelli, Viale, Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti
della civiltà, Feltrinelli, Brevini, L'invenzione della natura selvaggia.
Storia di un'idea dal XVIII secolo a oggi, Bollati Boringhieri, Pollo, La
morale della natura, Belardinelli, La normalità e l'eccezione: il ritorno della
natura nella cultura contemporanea, Rubbettino. Voci correlate Ambiente naturale
Ecologia Filosofia della natura Ipotesi Gaia Natura (filosofia) Naturalismo
Scienze naturali natura, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. natura, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Natura, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere riguardanti Natura, su Open Library, Internet Archive. Natura,
in Catholic Encyclopedia, Appleton. Ducarme e Couvet, What does 'nature' mean?,
in Palgrave Communications, Springer Portale Ecologia e ambiente
Portale Scienza e tecnica Ecosistema porzione di biosfera delimitata
naturalmente Ecologia branca della biologia che studia le interazioni tra
gli organismi e il loro ambiente Ecosistema terrestre Madre Natura
personificazione della natura Lingua Segui. Madre Natura è la personificazione
della natura. Werner, Diana di Efeso come allegoria della Natura,
circa Caratteristiche Madre Natura, figura dal trattato Atalanta Fugiens Essa
(a volte conosciuta come Madre Terra) è la comune personificazione della natura
focalizzata intorno agli aspetti di donatrice di vita e di nutrimento,
incarnandoli nella figura materna. Immagini di donnerappresentanti madre
natura, o la madre terra, sono senza tempo. In età preistorica le
dee erano venerate per la loro associazione con la fertilità, la fecondità e
l'abbondanza agricola. Le sacerdotesse mantenevano il dominio di vari aspetti
religiosi delle civiltà Inca, Algonchina, Assira, Babilonese, Slava, Germanica,
Romana, Greca, Indiana e Irochese per millenni prima dell'inizio delle
religioni patriarcali. Talvolta viene indicata come la sposa di Padre
Tempo. Grande Madre Gea Tellus Mati Zemlya PachamamaTeteoinnan dea azteca della
guarigione, e dei bagni di vapore. Madre Russia personificazione
nazionale della Russia Padre Tempo personificazione del tempo. Nome compiuto:
Angelo Eugenio Dorfles. Gillo Dorfles. Dorfles. Keywords: filosofia del kitsch,
“Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno,
linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. Dorfles.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Doria: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- scuola di Genova – filosofia genovese –
filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo geovese. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Grice: I love Doria: a nobleman who should be
sailing off Portofino, is writing a progetto di metafisica after discussing the
filosofia deglantichi you HAVE to love
him! Plus, he philosophised WHILE sailing! Figlio di Giacomo e Maria Cecilia
Spinola, appartenente alla nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero
ben quattro dogi della repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata
a cinque anni dalla morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle
lo fa rimanere solo con la madre che influenza negativamente il suo carattere
melanconico ma vivace, il suo desiderio di virt e Gloria. La madre, che egli
accusa esser stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era
disinteressata del figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi
bigotti che lo fano crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli
viene indicata dai suoi educatori gesuiti come un positivo castigo alluomino
re. Divenne quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti,
facile e condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di s e fatuo
divenendo un Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virt vera
ed esistenta ogni vanit e molte volte prende con lidea di virt il vizio ancora!
Pieno di s e fatuo. Comp con la madre il grand tour Firenze, Capri, Girgentu -- dei viri ben nato
dal quale ne usce libero dallinibizione religiosa, ma con un nuovo abito di un
anima viziosa, la quale lo fa mirare come idea di virt la rilassatezza nel
senso, la prepotenza con i deboli e la vendetta. Tornato a Genova, la trov
bombardata dal mare dalle navi di Luigi XIV. In quell'occasione conosce il
conte di Melgar che lavvia nellarte militare e lo introduce nel giro del
patriziato mondano. Innamoratosi fortemente di una meritevole donna che muore
poco tempo dopo, cadde in depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi
dispendiosi viaggi. Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per
recuperare certi suoi crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di
leggi e cavillose procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un
certo profitto per ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama di
spadaccino gli fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene
massime di cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un
uomo a s inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il
perdonare generosamente fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema
vergogna il non chiamare a duello un nobile a s uguale quando da quello si era
qualche offesa ricevuta. Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio
cavalleresco tanto da essere messo in prigione aumentando cos la sua fama di
duellista e vendicativo presso la nobilt locale. Comincia a disgustarsi di
questa sua vita fatua e falsa trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando
nella cerchia degli intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto
l'attacco della Chiesa preoccupata che il loro sensismo approdasse a un
conclamato materialismo. La posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande
processo contro glateisti, quegli intellettuali che si erano illusi di poter
modernizzare la dottrina cattolica. Si schier con questi frequentando il
salotto filosofico Caravita che si era gi battuto contro l'Inquisizione e che
era divenuto il centro di diffusione della filosofia cartesiana. Qui D. ha modo
di conoscere il protetto di Caravita, quel VICO (si veda) che scriver del
genovese che fu il primo con cui pot cominciare a ragionar di metafisica nella
quale si intravedevano lumi sfolgoranti di platonica divinit. Per organizzarsi
contro le polemiche dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il
Caravita pens di fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo
diverse difficolt, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che
annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede
lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore)
dove sostene la superiorit della nobilt per virt e non per nascita, e dove
contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi
(Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza,
Della scherma). La guerra, scriveva D., non e un privilegio della nobilt di
spada ma un'attivit che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando affidato
a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo,
Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da
alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il
Cartesio, o ad arte ne tronca o perverte il senso. Critica la politica di
Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va basata non sopra l'idea degli
uomini quali sono ma sulla virt, il giusto e l'onesto. Lo Stato anda guidato,
come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi cos sostenitore,
secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a circolare in Europa, di
un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria cominci ad interessarsi a
temi scientifici mandando alle stampe le sue Considerazioni sopra il moto e la
meccanica de' corpi sensibili e de' corpi insensibili (Augusta) e una Giunta d
iM. Doria al suo libro del Moto e della Meccanica. Opere queste, dove si
critica il metodo di GALILEI (si veda) e si mette in discussione la distinzione
cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome del principio neo-platonico
dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo sperato e vennero anzi
aspramente criticate da pi parti. Divenne un personaggio ambito da nobili e
femmes savantes che lo invitavano nei loro circoli culturali dove riceve
numerosi attestati di stima. Per ricambiare le nobili dame, sue discepole,
pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la donna, in quasi tutte le virt
pi grandi, non essere all'uomo inferior. La donna ha gli stessi diritti naturali
delluomo e puo governare e fondare grandi imperi ma non e adatte
fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre una sapienza storica e
filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere che Dio avesse dato a
tutti eguale abilit per intender le scienze, mentre iddio non ha ugualmente a
tutti gli uomini distribuito e perci vediamo che molti non son capaci nelle
scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo ricambiavano con
tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo stato ma non puo
essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che rimase
problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il matrimonio una
legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia. Si considera
ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il platonismo ha
pressoch distrutto li saggi di filosofia di Locke ed in parte ancora la
filosofia di Cartesio. Compiva un capovolgimento delle sue convinzioni
moderniste passando nel campo degli antichi quando il suo Nuovo metodo
geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna l'arte di esaminare una
dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria sintetica la conoscenza
del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente criticati da parte della rivista
Acta eruditorum. Ancora pi aspre le contestazioni ricevute a Napoli che gli
costarono un sonetto denigratorio che cos recitava. Di rispondere a te nessun
si sogna /de' nostri, e strano assai che
Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione alla
recensione pubblicata sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. GlOziosi,
dove profuse tutte le sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero
filosofico di Locke, dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva
detto di lui il Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con
l'avvento del re riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova
completamente isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere
scrivendo Il Politico alla moda. Si rendeva ormai conto di come fosse
irrealizzabile il suo ideale di un governo ad opera del concetto di sovrano
virtuoso e di filosofe legislatore. Il magistrato, il capitano, il sacerdote e
tutti gli ordini che governano hanno diviso la filosofia dalla politica per
unire alla politica la sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono
governare lo stato colla politica del mercadante, e non con la politica del
filosofo. Constatava come vi fosse ormai una generale crisi dei valori perch in
questo nostro tempo si corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di
Locke e di Newton e si pratica solamente la politica mercantile. Completamente
ignorato dall'ambiente intellettuale, D. malato e in difficolt economiche muore
indicando nel suo testamento la volont che fosse pubblicata a spese di un suo
cugino, a saldo di un debito da questi contratto, l'opera Idea di una perfetta
repubblica. Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad
essere bruciato per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia.
In realt contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilit del matrimonio,
la castita, l'eternit delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia
etico-politica dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione di
quello della Roma repubblicana, perch posto il governo in mano agli
uomini, forza che sia moderato da un
magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la tirannia. Gli unici a
esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi napoletani difendendo i
libri di quel savio e cordato vecchio di D., di cui s'infama la venerata
memoria. E al centro del saggio La distruzione della fiducia e le sue
conseguenze economiche a Napoli. Si argumenta che il governo nell'azione di
depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virt e della
ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicit. Altra azione, che si riveler in seguito disastrosa per la societ
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento
dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attivit di governo,
l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento
della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente
perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi
ordini del Regno: tutto ci al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica,
l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri
diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale
che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel
rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento
dell'attivit di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a
produrre effetti duraturi sulla societ meridionale, non solo a livello
mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei
fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno
d'Italia. Altre opere: Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi
sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Hopper);
Considerazioni sopra il moto e la meccanica de'corpi sensibili, e de' corpi
insensibili. Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi,
Amsterdam, Esercitazioni geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi
demonstration (Venezia); Discorso apologetico (Venezia); Soluzione del problema
della trisezione dell'angolo (Venezia); Vita civile (Napoli, Angelo Vocola.
Pierluigi Rovito, Dizionario Biografico degli Italiani. Larte di conoscer se
stesso, in De Fabrizio, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini,
Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S.
Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Da Muratori a Cesarotti,
V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI,
Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura
religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli,
Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta
repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti inediti,
Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile, Torino; Massime
del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto nel volume
miscellaneo Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, D. Gambetta,
Rovito, DORIA, Paolo Mattia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scazzieri, Il contributo italiano alla
storia del Pensiero Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Belgioioso, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vidal, Il pensiero civile di D. negli
scritti inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Fondatore di Roma
e primo re de' romani. Romolo fu il primo re de romani e padre della romana
republica. Uomo primieramente dardentissimo animo e per le armi grande. E cos
fatto certamente l'aveva disposto la fortuna a quello che dovea seguire. Per la
cui opera, in tratante minaccie di vicini, di spinose montagnie surgesse il
fondamento dellomperio che dovea crescere infino al cielo. Perch non si potea
porre sicuramente tanta grandezza in debole fondamento. S gran cosa richiedea
terra salda e duca dalto animo. E cos e, che dove prima a pena e assai erba per
lo armento dErcole, e dove prima a pena solea essere assai fronde per le capre
di Faustulo, in quello luogo puose la fortezza di tutte le terre e la somma
signoria delli uomini. Dunque costui CON REMO SUO FRATELLO (e insieme con Rea
Silvia, la quale e chiamata Ilia, madre senza dubio) creduto o fitto FIGLIUOLO
DI MARTE, incontanente comelio nacque prova la crudelt di Amulio, re
dellalbani, e non solamente contro alla madre, ma eziandio contro a s e CONTRO
AL SUO FRATELLO. Dal quale Amulio e comandato eh' ellino fossero gittati NEL
TEVERE. E a caso elli sono liberati, o che fosse per divina provedenzia, la
qual cosa lecito di credere dello
imperio che dovea essere s grande, quella provedenzia apparecchiante non
sperato cominciamenlo alle grandissime cose. Soperchiando il fiume a caso le
ripe e non potendosi andare a quello, furono gittati quelli fanciulli presso
alla ripa; e, partendosi li famigliari del re, i quali li avevano gittati,
rimasono salvi. A questo luogo, TRATTA DAL PIANTO DI QUESTI FANCIULLI, venne
una lupa (o eh' ella fosse vera o ch'ella fosse cosa finta, dell'una e dell'
altra nominanza), e, comella avesse
compassione, venne a questo luogo, del cui latte elli sono nutricati, traendo
con li labri il latte delle tette della detta fiera, infino che furono trovati
da Faustulo pastore del re, il quale di sopra avemo nominato, e la lupa similmente,
essendo discresciuto il fiume; e in fino agli anni della pubert coli' amore del
padre sono nutricati. Ma allora pi di d in d il suo vigore si mostrava e per
effetto diventava Famoso. Gi sono cari da ogni parte e ampiamente sono
terribili, ogni cosa ardivano; gi il suo notricatore, per le opere informato,
comincia a fermarsi in quella openione ch'egli aveva pensalo, cio quelli essere
figliuoli del re. Questo celato per alcuno temp, finalmente apparve: preso Remo
da' famigli del re e datogli pena, per consolare la ingiuria fu dato a NUMITORE
suo avolo per parte di madre, nel cui terreno tramendue i frategli avevano
fatte correrie. Il quale veduto, non mosso ad ira, com' usanza, per l' ingiuria
ricevuta, ma mosso verso di quello con una nascosa dolciezza, e udito ch'elli
sono due, considerato da l'una parte l'etade di quelli, da l'altra l'aspetto
nobile e non di pastori, vennegli a memoria i suoi nipoti; e, dimandando
pianamente delle circostanzie, trova poco meno che costui e l' uno de' suoi
nipoti, e di questo non dubita. Per elio il tene in pi libert, e non come preso
ma come suo, come veramente elio e. E questa e pi diritta via a distruzione del
re, perch manifestato a Romolo non solamente la condizione del presente stato
del fratello, ma la nazione di tramendue nascosta infino a quello tempo;
ammonendoli colui, ch'e tenuto padre, ch'elli non sono suoi figliuoli ma sono
di schiatta reale; e, spostali per ordine lingiuria di quegli e con questa
lingiuria di suo avolo e di sua madre, fatto Romolo pi animoso, conosciuto il
fatto, dispuosesi non solamente a LIBERARE IL FRATELLO, ma vendicare s e '1
fratello e l'avolo e la madre, non manifestamente perch era dispari in
possanza, ma pianamente mandati alcuni giovani di qua e di l, i quali si
trovassono a una ora nella casa del re. Cos disposti glagguati, e a tempo
accorrendo Remo, corsono contra Amulio, il quale non si guarda e non pensa s
fatto pericolo. Morto Amulio, NUMITORE fratello di quello, e innanzi cacciato
da lui, fu ristituito nel regno, essendo allegro, non meno per la condizione
de'trovati nipoti, che per avere acquistato il nonne sperato regnio. Da poi,
perch elli erano di grande animo, e '1 regno di suo avolo gli paree picciolo,
lassano Alba all'avolo. E, amando il luogo della sua puerizia ovvero del suo
pericolo, procurarono di fondare nuova terra in quello luogo. E cos, per buono
agurio, edificarono aspera e, acci ch'io dica pi propriamente, pastorale casa
in SUL MONTE PALATINO. E fu posto alla terra il nome di Romolo solamente,
essendo vinto il fratello nello agurio: il quale nome e temuto poi al mondo da
li popoli e dai re. Poi, o che tra quelli fosse nata discordia, o che fosse
perch egli avesse dispregiato il comandamento del fratello, Remo, avendo
passato il nuovo muro, E MORTO. O che e per cupidit della signoria, o per
rigore di giustizia, la credenza varia
nelle cose antiche. Romolo, avendo presa la signoria, ordina sacrifici della
patria e forestieri, e prende abito di re e ornamenti, e ordina XII littori, e
compone la legge. Solo a fermezza del popolo e fondamento di pace e di
concordia tre cose sommamente li pare di provedere : il consiglio, e io
accrescere della cominciata citt, e la durabilit; perch era in picciola terra
pochi abitatori. E per questo gli e speranza di brevissimo tempo, mancando la
cagione del generare de' figliuoli. Dunque primieramente furono eletti C
antichi al Senato, chiamando questo ordine dalla etade, perch il nome de' padri
e detto dallo amore e da la cura della republica. Secondo, intra due boschi fu
posto uno tempio chiamano asilo -- i greci il chiamano santo -- il quale stando
aperto, grande turba incontanente venne di vicini paesi; la terza cosa parea
che si dove fare con matrimoni -- perch soli i maschi non poteano durare se non
una etade -- ; la qual cosa, perch e negata da' vicini superbamente e
vituperosamente, si fa per forza e per ingegnio. Perch in questo mezzo, non
mostrando l'ira e il dolore d'essere rifiutato, il re apparecchi di fare
solenni giuochi a Nettunno, e comanda di fare dinunziare il d per li popoli
vicini. II quale poi che sopravenne, molti maschi e femmine delle terre vicine
a Roma vennero per vedere i giuochi, e non meno per cupidit di vedere quella
nuova terra quasi nata di subito. Nel mezzo de giuochi, essendo ogni uomo
attento con gli occhi e con l'animo, diliberatamente SONO PRESE TUTTE LE
FANCIULLE, non a fine di sua vergognia, ma di tenerle per mogliere e per avere
figliuoli. Dunque confortate con buone parole, tra lo isdegno e le lacrime,
pelle lusinghe di quegli li quali l'aveano prese, prima Romolo, e poi gli
altri, una per uno ne tolseno per moglie: e questo e cagione e cominciamento di
molte battaglie. I padri e i parenti di queste fanciulle, lamentatisi della
forza e della malvagit de' suoi osti, dai quali ellino, invitati a giuochi,
sono stati offesi per gravissima ingiuria, incontanente uscirono fuori della
terra e tornarono a casa; e, moltiplicando le lamentanze, aggravarono l'offesa,
e pigliarono l'arme e apparecchiaronsi di fare la vendetta. E di lutti i popoli
si fece una raunanza a Tazio re de' sabini, perch questi avevano pi possanza e
aveano ricevuto pi ingiuria. Ma perch la presuntuosa ira non pu indugiare n
ricevere consiglio, e perch l'apparecchiamento alla guerra pare pigro per
rispetto dello ardore dell'animo, ciascheduno, non aspettando l'uno l'altro,
andarono alla battaglia. E innanzi a tutti i ceninesi con l' oste corsero nel
terreno de' romani : contro ai quali venendo Romolo, mise in rotta i nimici, e
UCCIDE ACRONE, re di quelli, venuto alle mani con lui in singolare battaglia;
e, con lieve assalto, prende la terra di quelli, la quale era impaurita per la
morte del re e per la fuga del popolo. E, tornando a Roma vincitore, porta in
Campidoglio l'armi del re ed edifica lo primo tempio in Roma e sacrificollo
sotto il nome di GIOVE Feretrio -- dove i capitani de' romani non portano,
quando sono vincitori, se non la preda de' capitani vinti in singolare
battaglia, la quale elli chiamano grassa robara. Dunque in quello luogo egli
appicca l'armi del morto re, per esempio del tempo da venire, rado ma grande
dono di quelli che venieno dietro. I secondi che corsono nel terreno de'romani
furono gli atennati; e questi sono vinti e perderono la terra. Ma per prieghi
di Ersilia, moglie di Romolo, la quale e una di quelle sforzate che porta a gli
orecchi del re i prieghi e i desideri dell'altre, ricevuti a misericordia,
venneno ad abitare a Roma. Da poi i crustumini, movendo elli la guerra, sono
vinti leggiermente, crescendo ogni d la virt di Romolo; e, venuti a Roma quelli
chi sono vinti, crescendo Roma per li danni de'nimici. E pi a fare colli
sabini, i quali quanto pi tardi tanto pi maturamente si moveano: presa la rocca
di Campidoglio, per tradimento d'una donzella figliuola di Spurio Tarpeo, il
quale era castellano della delta rocca, dal quale ancora nominato quel monte in mezzo di Roma, e
dubiosa battaglia, combattendo quelli dal luogo di sopra. Nella quale battaglia
mancando Osto Ostilio, il quale e arditamente per la parte de' romani infino
ch'elio puo, la gente de' romani tutta si cess in dietro, cacciando indietro
eziandio Romolo il quale li contrasta. E elli, non sperando gi pi della forza
umana, dirizzando al cielo le armate mani, chiamando Giove com' elio e
presente, pregando o che gli togliesse la vergogaia del fuggire vilmente, o eh'
elli fortificasse gli abbattuti animi de' suoi con celestiale aiutorio, fa voto
di fare in Roma uno secondo tempio a GIOVE STATORE, secondo che piace agli
scrittori; e, quasi ricevuta la promissione dal cielo, fatto pi ardito ristoroe
con sollecita mano la battaglia gi caduta, dicendo a'suoi chiaramente che Giove
comanda cos. Per questo la sua gente, seguendo lo esempio del suo re e il
comandamento di Giove, torna contro a'nimici, da' quali non speravasi ch'egli
tornassino; e combattendo innanzi a gli altri aspramente Romolo, essendo gi
mutata la condizione della battaglia, quelli che incalzavano cominciarono a
fuggire. Intra i quali MEZIO CURZIO, secondo dopo il re de' sabini, uomo
famosissimo e in quello di 'nanzi a tutti gli altri in fatti e in virt molto
ardito, non sostenne il furore. Una palude, ch'era presso, e pericolo e salute
a lui, nella quale spaurito il suo cavallo furiosamente salta con grande paura
de' suoi, ma confortandolo elli e mostrandogli la via, usce fuori. E di questo
nacque il nome di quella palude, cio, lago Curzio. Uscitone fuori costui, gli
animi crebbono a' suoi, e ancora, bene che con varia fortuna contro a' sabini,
corsono insieme. E, sendo in questo stato, la piet trova via di non sperata
pace. Combattendo dall'una parte i mariti, da l'altra parte i padri, vennero
tra questi quelle eh' erano state sforzate; e, non considerando s essere
femmine, non temendo il pericolo, con prieghi pieni di lagrime e misero abito,
pregarono che fosse posto fine alla guerra. E se voleano pure andare dietro,
volgessono le spade pi tosto contro a quelle, le quali erano cagione della
guerra, che, uccidendosi insieme, bruttassono se di presente e per lo tempo a
venire bruttassero li figliuoli di quelle -- dall'una parte essendo i figliuoli,
dall'altra essendo i nipoti --- e dessono eterna infamia a quelli che ancora
non poteano peccare. Dall' una parte e dall' altra si piegano gli animi e l'ira
s'abbatt e, che maraviglia a dire,
subitamente nell'una oste e nell'altra fu arrestato il romore dell'armi e il
gridare de combattitori, s umile ammirazione e intrata per quelle rabbiose
menti! E non pot lungamente stare nascosta: le affezioni mutate incontanente
uscirono fuori, e lo riposo segue a la piet, e la pace segue al silenzio; la
concordia e fatta toccandosi i re le mani, e Roma maravigliosamente crescette
per lo venire de' sabini. E non meno crebbe Y amore dell'una parte e dell'altra
verso di quelle valenti donne, e innanzi a gli altri di Romolo, il quale rend
loro grandi e debiti onori. Ancora restano due guerre. L'una colli fdenati li
quali, temendo la potenzia della signoria di Roma, la quale cresce, e avendola
sospetta, per s fecero la pruova che gli altri aveano fatta. Entrando elli nel
terreno de'romani come nimici, Romolo li anda incontro, e puose il campo non
lungi dalla terra de' nimici; e, mostrando maliziosamente temere, conduce i
nimici nelli agguati, e di questo e una non proveduta paura e uno subito
fuggire, in tanto che, mischiati insieme i vinti e i vincitori, le guardie delle
porte appena discerneano i suoi cittadini da nimici; e, entrati dentro, e presa
la terra. L'altra guerra e con quelli da Veio, li quali si mossono per amore de
fdenati e per odio de romani, e questi, vinti in campo, e guasto il paese,
dimandando pace, fecero triegua per cento anni, perdendo parte del suo terreno.
Questi furono i cominciamenti di Romolo, questo e il corso di sua vita e
lordine de suoi fatti; per li quali, appresso quella salvarla generazione d'
uomini e non ancora assai ammaestrati animi del vulgo, egli merita essere
creduto avere alcuna divinit per lo padre e per se. Uomo al quale non manca
animo n ingegnio, in battaglia glorioso, in casa savio: ordina centurie del
popolo e di cavaglieri, acci che in ogni tempo di pace e di guerra elio e niuno
nega ch'elio non e inolio amato. Le opinioni di questa cosa sono varie. Alcuni
dicono ch'elio e portato in cielo e posto nel concilio delli dei. Ma
questo gran salto a uno uomo armato e
gravato di peccati, bagniato di sangue e ignorante del vero Iddio e della via
del cielo. Ma lo ardente e non temperato amore s fa credere ogni cosa. Dunque,
achetata la tempesta, essendo risposto da' senatori -- eh' erano stati
d'intorno -- al popolo -- disideroso di vedere il suo re e a pruova cercandolo
-- eh' elio e andato in cielo, affermando uno eh' e' lo ha veduto, e creduto. E
quello e GIULIO PROCULO, uomo di grande nominanza appresso a' suoi, secondo che
si trova, e di grande santitade e, che manifesto , di gran nobilitade, come
colui che, nato di re albani, venne a Roma con Romolo ed e cominciamento della
giente de Giuli -- il quale, ardito di venire in palese, da parola d'allegrezza
al popolo eh' e in tristizia, dicendo che in quello medesimo d Romolo, discso
da cielo in abito pi che d'uomo, e stato con lui, affermando eh' ha comandato a
lui, con grande tremore non ardito di guardare la sua facia, questo, cio eh'
egli dicesse a' suoi cittadini che onorassino l'arti delle battaglie, essendo
certi che ogni potenzia umana diseguale
alla sua in fatti d'arme; e che la sua citt, cos piace alli dei, sar capo e
donna di tutte le terre. E, dette queste parole, levatosi da gli occhi monta in
cielo. E queste cose sono credute a GIULIO il quale le conta e giura, e lo
dolore della morte e mitigato con lo consolamento della divinit, e l'ira, la
quale il popolo ha concetta per la morte di s caro re, e umiliata: cos ogni
uomo crede leggiermente quello ch'elli desidera. Ma altri pensano che e morto
da' senatori, veduto il buon destro per la tempesta del tempo, e ch'elli il
nascosono nel pantano della palude, acci CHE NON APARE ALCUNO SEGNIO DELLA SUA
MORTE. Questa, chente dice Livio, oscura
fama, ma, come piace a chiarissimi scrittori, certamente vera; bene che, come dice quello nel medesimo
luogo, quell' altra fu nobile per l'ammirazione dell'uomo e per la presente
paura. Puossi forse credere ancora quello che alcuni hanno pensato, eh' elio
non e portato per divinit in cielo n in terra morto come uomo, ma eh' elio fu
morto per la lempestade e per lo furore della saetta -- la cui forza ineffabile, e l' operazione nascosa --. E questo essere avvenuto a tutti
quegli sono con lui, i quali, quanto elli sono pi presso, tanto sono smarriti
pi e impauriti. E la libert di molte
mani nelle cose dubbiose, ma la verit
una sola, e questa profondamente
nascosta della morte di Romolo come in molte altre cose. Nome compiuto: Paolo
Mattia Doria. Doria. Keywords: co-operazione, duelo duel, the duelists, cooperation il sensismo, roma repubblicana, la
aristocrazia romana, Romo, Romolo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Doria,” The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Dosseno: la ragione
conversazionale alll’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. A follower of the sect of the Garden.
Seneca mentions a monument to him with an inscription testifying to his wisdom.
Dosseno. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Dosseno,” The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dottarelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Musonio – scuola
di Bolsena – filosofia bolsenese – filosofia viterbese – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bolsena).
Abstract. Grice: “We
discussed at Austin’s ‘kindergartens’ – his Saturday-morning paraphilosophical
meetings for us weekly philosophical hacks – whether we should care about
Etruscan, since Italian linguists were trouble finding it ‘Indo-European’ enough
– and then, all of a sudden, he said, ‘As per next Saturday, we’ll start to
learn Eskimo!” -- Filosofo bolsense. Filosofo
viterbese. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo, Lazio. Grice: I like Donatelli; he
is an Etruscan, from Balsena, and its only natural that he is obsessed with the
one and only Etruscan philosopher, Musonio! Si formato
alla Facolt di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato con Cornelio Fabro e
si laureato con una tesi sul dibattito
epistemologico del Novecento (Popper, Feyerabend, Lakatos, Kuhn) sotto la guida
di Baldini. Si poi specializzato in
Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come maestri Italo Mancini e Salvucci, con
cui ha discusso una tesi sulle implicazioni epistemologiche della filosofia di
Kant. Ha insegnato nei Licei ed stato
docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale, Bioetica
nelle Universit della Tuscia, di Macerata e Firenze. Ha sempre coniugato il
lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni
consecutivi stato Sindaco della citt di
Bolsena (VT). Eletto la prima volta con una lista civica di sinistra, stato successivamente confermato. Direttore
generale della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e
alla sovrintendenza della gestione complessiva dellEnte, ha avuto la
responsabilit diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane,
del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del
progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una strategia integrata
di sviluppo dellarea del Mediterraneo. Con Picone, filosofo e psicoanalista
junghiano, nel 2004 stato cofondatore
della Societ Filosofica Italianasezione di Viterbo, di cui attualmente vicepresidente. Nel ha costituito
il Club per lUNESCO Viterbo Tuscia, di cui
presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti all'epistemologia,
all'etica, alla filosofia politica e alla pratica filosofica. In Popper e il
gioco della scienza ha svolto un'analisi critica dell'epistemologia
falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della
coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretrasse
e resistesse dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al paradigma
del razionalismo critico, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre pi
deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza,
Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha
evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una scienza rigorosa la
metaphysica generalis, prima parte della metafisica come era intesa nella
tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene ad assumere la
metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale e analogico
che anche prassi, vita. In questa
prospettiva la filosofia kantiana viene valorizzata per la sua peculiare
dimensione "cosmica", come scienza della relazione di ogni conoscenza
e di ogni uso della ragione umana con lo scopo essenziale di essa, e viene
ricollegata alla filosofia come era praticata soprattutto nell'antichit: arte
di vivere, esercizio spirituale. Il filosofo pratico, il maestro di saggezza
tramite linsegnamento e lesempio, cos
lautentico filosofo, che, nel quadro della complessiva ed originale
riorganizzazione kantiana dellorizzonte utopico di derivazione platonica e
rousseauiana, diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che pi
si avvicinato stato Socrate, per via della sua esemplare
coerenza di vita. In Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del
fondatore della psicoanalisi viene letto come un episodio della lunga
tradizione che ha interpretato la filosofia come "medicina per
l'anima". Il rapporto di Freud con la filosofia si nutre di una profonda
ambivalenza: da un lato un'irresistibile attrazione; dall'altro quasi la
necessit di rassicurare se stesso e gli altri su una propria incapacit
costituzionale (Autobiografia) alla pura speculazione e sulla sua ferma volont
di sottrarsiproprio lui, formidabile affabulatoreal fascino delle narrazioni
filosofiche. La riflessione di Freud non trascura nessuna delle dimensioni
fondamentali della ricerca filosofica. Neanche quella teoretica, volta a
costruire visioni complessive delluomo e del mondo; quella che gli appare la pi
rischiosa, perch la pi astratta, la pi esposta alla frequentazione della
metafisica e della religione, sempre in procinto di cadere nella trappola della
verit assoluta. Pi a suo agio Freud si sente invece nel lavorare lungo un'altra
linea dimpegno tradizionale della filosofia: la riflessione critica sui saperi
e sulle pratiche umane. Nell'opera di smascheramento dei meccanismi con cui le
ideologie e le prassi individuali e sociali ammantano la loro miseria umana,
troppo umana, le potenzialit della psicoanalisi si esprimono al meglio.
Masecondo l'interpretazione di D. la fatica intellettuale di Freud trova la
propria collocazione pi appropriata nella dimensione della ricerca filosofica
che interpreta se stessa come unattivit in cui luomo si dedica alla cura e alla
fioritura di s, alla coltivazione della propria umanit. Questa dimensione della
filosofia come arte di vivere stata
approfondita da D. attraverso la ricostruzione della vita e del pensiero del
filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio l'Etrusco. La
filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalit della tradizione
culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio espressione significativa di quel crogiolo di
idee ed esperienze di ricerca della felicit che
l'ellenismo della tarda antichit, in cui si rispecchier poi la civilt
medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale. Musonio ha dato il
tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione filosofica della Tuscia:
ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione, imitazione di Dio,
skesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la coltivazione di s,
finalizzata alla fioritura dellautentica esistenza umana. Ladesione del
filosofo di Volsinii allo stoicismo
decisamente sotto il segno di Socrate: la filosofia pu proporsi come
arte regia in quanto, in primo luogo,
arte di governare se stessi. Lideale dellautosufficienza del saggio si
traduce nella predilezione per lagricoltura, come attivit pi appropriata per il
filosofo. La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti pi belli e
pi giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto quel che
riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto necessario per vivere a chi ha la volont di
faticare: e tutto questo con decenza, nulla di ci con vergogna. Ad un analogo
sentimento di appartenenza al cosmo e ad un profondo rispetto per gli altri
esseri umani e per tutti i viventi, sono ispirate anche le sue riflessioni sui
rapporti sociali, sulla schiavit, sulle donne, sulla nonviolenza,
sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare. Riflessioni che Musoniosecondo
la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe tradurre con coerenza
esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale, diretta a coinvolgere,
insieme, il corpo e lanima. Sobriet, rispetto, universalit e condivisione sono
le parole di riferimento di una visione etica che anticipa in modo sorprendente
istanze fondamentali della moderna sensibilit ecologista. La visione della
filosofia come arte di maneggiare gli assoluti
approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Kant, Levi e altri maestri.
La filosofias ostiene D. anche quella pi incline a farsi coinvolgere
nell'impresa di estinguere la sete dellassoluto, contiene in s, nella propria
vocazione alla ricerca di una comune verit mediante il dialogo, un antidoto
indispensabile al rischio distruttivo che pu annidarsi in ogni tentativo umano,
tanto umano di cogliere la totalit, linfinito, Dio. Anche le grandi tradizioni
religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare
parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e
la mente degli uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo
con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando
diventa urgente addomesticare i dmoni che una frequentazione inadeguata del
sacro pu evocare. Dmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza,
totalitarismo e di cui la storia degli uomini alla ricerca della verit assoluta,
della totalit autentica ed incondizionata, dellesperienza integrale purtroppo costellata. La consapevolezza che
anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente innocente, non cancella
ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione pi profonda di
questoriginale forma di esercizio spirituale: una ricerca appassionata del bene
e della verit, capace di resistere alla suggestione del possesso compiuto e di
mantenersi in quella apertura alla possibilit dellerrore che presidio di autentica libert per s e per gli
altri. Altre opere: Il gioco della scienza (Massari); Metafisica non scienza
(Massari); Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant
(Introduzione al Saggio sulle malattie dellanima di I.Kant (Massari); Utopia e
ragione come luoghi del incontro dellego ed il tu, in Le ragioni della speranza
(La Piccola Editrice); Lassoluto e il relative (Il Prato); Musonio (Annulli
Editori); Freud. Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori, Riverberi Di
Tuscia e daltro, Annulli Editori); La farfalla dellanima e la libert, Armando
Editore. ETRUSCO MUSEO CHIUSINO DAI SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI
ALCUNI RAGIONAMENTI DEL DOMENICO VALERIANI E CON BREVI ESPOSIZIONI DEL CAV. ai
smagata POLIGRAFIA FIESOLANA A SUA ECCELLENZA IL SIG. MARCHESE ANGELO CHIGI
LUOGOTENENTE GENERALE E GOVERNATORE DELLA CITTA E STATO DI SIENA CAVALIERE
DELLA LEGION D ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E
GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI TOSCANA PRESIDENTE DELL
ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICIT CHE
LO SPLENDORE DELLA FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE DOTI
SOSTIENE ED ACCRESCE E DELLARTI LIBERALI CULTORE E FAUTORE CALDISSIMO SI MOSTRA
QUESTA RACCOLTA DETRUSCHI MONUMENTI CHIUSINI CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C.
GLEDITORI P. B. C. C. F. S. C. A. M. P. F. D. ri si trova itna mirabile
abbondanza di marmi finissimi consistenti in colonne antiche di granito nero e
dell Elba e dEgitto, di granito rosso del pi compatto, di cipollino orientale,
e daltri marmi duri e fin anche di breccia d E- gitto, di che va ricca ed
ornata la cattedrale, ove son poste in uso con antichissimi capitelli di gusto
squisito. Anche sparsamente per la citt sincontrano in copia marmi duri o
eretti in usi decorativi o depositati a parte e non ancora posti in opera. Non
mancano monumenti di romana scultura di raro pregio in basso e tondo rilievo,
tra i quali splende un sarcofago colla caccia di Meleagro, ed una assai bella
testa di Augusto nel palazzo episcopale, e nelle case Paolozzi. Le antiche
iscrizioni lapidarie son pur frequenti per la citt sparsamente. E poi
sorprendente il numero dei sotterranei che sincontrano sotto le fabbriche del
paese, e sono per ordinario eseguiti di ben connesse pietre quadrate assai
grandi. Rieca pure la citt di avanzi di
fabbriche antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni. Ed in vero non
sembra che di tali pubblici comodi mancar dovesse un paese, ove si trovano s or
genti ab b ondantis s im e di acqua potabile, e delle quali non ha guari e
stata fatta bella scoperta dal nobile sig. Flavio Paolozzi, in alcuni
spaziosissimi sotterranei, da lu aperti, ove non ancora si osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei
loro sentieri numerosi e feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di
piombo somministravano per quanto apparisce, acque abbondanti e perenni all'
antica citt. Ma ci che maggiormente sprona la curiosit degli eruditi il visitare nel territorio di Chiusi gli
etruschi sepolcreti, dove fu trovato quanto di pi mirabile conserviamo nei
nostri musei, mentre non senza una qualche almen lo tana emulazione col
famigerato sepolcro di Porsenna eretto un tempo in questa nostra patria,
presero i suoi citladini etruschi l'esempio di rendere le lor tombe in vario
modo as- J-Ja dovzia d antichi monumenti darte nell'etrusco citt di Chiusi
nostra patria, non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi, ci ha fatto
sospettare che saremmo giustamente ripresi, qualora tal dovizia si teness fra
noi medesimi inosservata ed inutile all incremento della scienza archeologica.
A ci credemmo sufficiente riparo di offrir libero accesso a chi volesse que
monumenti osservar con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma riflettendo
poi che la pi gran parte degli eruditi, cui non
dato il potersi recare personalmente a Chiusi, restavan privi del bene
di conoscere questo ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare anche
questa numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si potesse
miglior divisamento di quello da noi gi compito, di far disegnare con fedelt
massima i monumenti pi ini ere s santi, che possediamo, e quindi a nostre spese
farli incidere in rame in dugento sedici tavole distribuiti, raccomandandone
l'edizione al cavalier Francesco Inghirami. A tale nostro invito egli non solo
ha cortesemente aderito c oli ine arie ar s ene per nostro conto, ma si compiaciuto inoltre di venir pi volte da
Firenze a Chiusi per confrontare i disegni coi monumenti originali, e ci ha
fatto inoltre il dono da noi gradito delle brevi interpetrazioni che abbiamo
apposte a ciascun monumento, al che abbiamo aggiunto anche alcuni ragionamenti,
donatici dallegregio sig. prof. Valeriani nostro concittadino. Chi ha per le
mani l opera che ora pubblichiamo, non creda gi di conoscere, p e' suoi rami,
tutti i monumenti antichi di Chiusi, mentre n
assai pi dovizioso il paese. Qui
ti d quei di Tarqui ni a, fo rse perch ne fu inventore un diverso
architetto. Nellannoverar che facciamo de monumenti antichi pi insigni di
nostra patria, non da pretermettersi che
in vicinanza della citt rsta sotto una collina di tufo breccioso verso l
Oriente un cimitero antico di cristiani, eh noto sotto la denominazione di
Catacombe di s. Mus tio la Vergine e Martire, inclita patrona della citt e
della diocesi- Questi sotterranei non solo servivano alla sepoltura de
cristiani, e in specialit dei martiri, ma nel giorno di festa e nel natalizio
dei Santi vi si raccoglievano per celebrarvi i divini misteri, ivi oravano, ivi
stavano refugiati nel maggior impeto della persecuzione, a scansar la rabbia
dei tiranni, come descrive un nostro concittadino che di tali sotterranei h a
ragiona to eruditissimamente, L'abbondanza delle cristiane iscrizioni che
spettano a questorispettabile sotterraneo, notante dal prelodato relatore, lo
rendono anche pi degno dell'attenzione d'ogni erudito. Il libretto che a
memoria di ci egli ha scritto con somma eleganza e dottrina, dove si trova
incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio sotterraneo, oltre le iscrizioni ivi
adunate e illustrate ',e laltro libretto di non inferior merito, scritto da
vari eruditi, circa il gi nominato monumento sepolcrale del Poggio al-moro 1,
forma insieme colla presente opera l informazione di quanto crediamo ess er su
ffidente ad erudire i cultori dell' archeologia circa le antichit osservabili
di Chiusi nostra patria. 1 Pastumi, Relazione di un antico cimitero di
cristiani, in vicinanza della citt di Chiusi con le iscri zioni ivi trovate.
Montepulciano Sepolcro Etrusco Chiusino illustrato nelle sue epigrafi dal Prof.
Gio. Batt. Vermigliol, con laggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del Rosso
sulla parte architettonica dello stesso monumento ed una lettera del sig. Dolt.
Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliol ec., Perugia sai
magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si
reso celebre fra gli altri l ipogeo situato in un possesso della g ra
riducale fattoria di Dolciano, il quale conserva in se stesso un antico modello
rarissimo di fabbrica etrusco, perch a differenza degli altri scavati nel tufo,
questo vedesi edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati senza
cemento m volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne cinerarie occupato, le
quali hanno in fronte sculture vaghissime ed epigrafi etru s che, dalle quali
resulta essere stato questo sepolcro a pi famiglie comune. Altri non meno
importanti ipogei scavati nel tufo si osservano in varie pendici del
monticello, sul quale era ed tuttora la
nostra citt. In alcuni di essi, con animo di sodisfare Valtrui erudita e
commendevole curiosit, i proprietari lasciarono in parte i monumenti meri
facilmente amovibili, acci sia noto come e con quali riti vi fossero depositati
fin da quando ve li posero gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le nostre
indagini fin ora scoperti, due soli noi trovammo scavati regolarmente nel vivo
tufo m guisa di camere e dipinti : luno aperto nel maggio del 1827 in un podere
chiamato P o gg io-al-moro, l altro in alt ro podere detto il C olle, le cui
pitture son riportate in quest opera. Pare che lo stesso pittore li dipingesse
ambedue, ma l ultimo aperto si conserva assai meglio, forse perch ladiacente
suolo men umido . I soggetti quivi
dipinti son pure i me des imi in amb edue gl ip 0 gei ; ndi {feriscono
granfatto, si nello stile, si. nel metodo del dipinto, e s nel s og g ett o iv
i Ir att ato dalle pitture dellegrottecornetane, che si altamente sono state
encomiate . E probabile che in questi due sotterranei dipinti vi fossero
depositati oggetti di prezzo ragguardevole, e perci dagli stessi antichi
derubati, perch non vi stato trovato
quasi nulla, specialmente in qul sepolcro che lultimo stato scoperto. poi singolare, come i soffitti intagliati nel
tufo sieno pi elegan- lei il loro cognome anche gli altri re etruschi, cosi
esprimendosi quel dotto ed ingegnoso poeta. Nomina videbis, modo namque
Petulcius idem, Et modo sacrifico Clusius ore vocor. Questa gi potentissima
citt, che fu detta Camars nella lingua dei nostri padri, ( il qual vocabolo per
significa lo stesso che il pi moderno Clusium, imperocch le du voci ca, e mar,
o mars, che lo compongono, vengono interpetrate, chiuso dalle paludi ); Che la
nominarono pure Chiamarle, e Camarsoli, Livio, Eutropio, ed Antonio Sabellico,
diede luogo a molte dispute fra gli eruditi per determinare se annoverar si
dovesse fra le dodici antiche citt etruschs, capi di origine-, ma le ragioni
addotte in contrario non montano a nulla di fronte all unanime consentimento di
tutti i pi accreditati scrittori antichi, e moderni, che lo affermano. Ed lo
sorto persuaso che non manchino autorit bastanti a provare, che non solo ella
fu una delle dodici citt capi d origine, delle quali era composta la famosa, ed
antichissima confederazione etnisca residente a Fiesole, che risale per autorit
di molti gravissimi scrittori, a 2o5o. anni circa prima dell era volgare, ma
che avesse puranco lonore di tener lunga stagione lo scettro sii tutta
lEtruria, come lo afferma il dottissimo Dempstero, che sostiene avervelo ella
tenuto per 5qo anni di seguito- Di fatti anche Virgilio, parlando di Chiusi -,
nomina un suo re chiamato Osi- nio, la cui et
molto antica, essendo quello stesso che trovassi impegnalo nelle guerre
eli ebbe a sostenere il Frigio Enea in Italia, contro Turno, ed i Rullili,
prima di stabilire i suoi penati in questa bella, e da tutte le straniere
nazioni ambita penisola. Ma anche molto avanti che quel Troiano qu navigasse,
aveva avuti Chiusi i suoi regnanti, poich si annovera Osinio trentesimo sesto
dei regi Etruschi. Ci che basta a togliere lonore della fondazione di tal citt,
a Tirreno, a Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a fiorire in
potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior altezza nell' una e
nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui fu scacciato dal trono Tarquinio
Superbo, ne fanno chiara fede gli storici, ed. i poti. Imperocch Livio nel
secondo libro della prima deca, narra che i Tarquinii espulsi da Roma, eransi
rifugiati presso Larte Porsena re di Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al
luogo citato, che giudicando quel valoroso monarca nobilissima impresa per lui
l includere quella metropoli nei suoi domimi, mosse a quella volta con poderoso
esercito grandemente inanimito contro i Romani, ed avendo posto il campo sul
Gianicolo, cinse la citt et assedio, e tanta costernazione vi sparse, che mai
prima d allora s gran terrore aveva invaso il senato, ed il popolo romano.
Cotanto formidabili erano in quel tempo le genti chiusine, e s grande e temuto
suonava per le terre italiche il nome di Porsena . DELL ANTICA CITTA DI CHIUSI
li impresa malagevole assai quella di rintracciare le origini delle
antichissime citt italiche, i cui fondatori si perdono, per lo pi, nel buio
delle et favolose. E quanto furono esse pi cospicue, e pi potenti, per valor
d'armi, e per senno dei loro abitanti, per sapienza, e per arti belle, tanto
cresce la difficolt di poterne rinvenire con sicurezza, e fissare i
cominciamenti Avvegnach i poeti singolarmente, seguiti poi dagli storici
ancora, assumendosi l' incarico di celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare
che siansi fatto uno studio esclusivo di nasconderci il vero. Questa sorte
pertanto comune con molte altre anche
alla nostra famosa Chiusi. Tuttavia, bench io non dissimuli a me stesso, che
ben aspro e certamente il cammino, in che sono entrato, e tale forse ancora da
non trarmene fuori senza pericolo di smarrirmi tra va -, pure non so astenermi,
spintovi da quel caldo amor patrio, che mai non tace negli animi bennati, dallo
scrivere alcuna cosa intorno alla citt di Chiusi . E tanto pi volentieri lo
faccio, m quanto che pubblicandosi un'Opera ove non sono raccolti che antichi
monumenti chiusini, non giudico disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei
vetusti tempi quella si splendida, e si rinomata citt. Lasciando pertanto da
parte, come, e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o Telemaco ne
ponesse le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o sivvero Classo re
degli Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di un secondo Tirreno, e
se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io lo direi meglio
arnpliatore, e ristauralore della medesima, bench s ignori in qual secolo ci
avvenisse ), egli fuor d' ogni dubbio
che questa citt risale ad una remotissima origine . Loch peraltro discoprire
volendo, e stabilir con certezza, sarebbe lo stesso che mettersi a navigare in
un mar senza sponde. Per lo che, scender ad epoche meno lontane, e pi certe,
quando gi la citt di Chiusi teneva ampio dominio sull' antica Etruria. Mentre
pare da un distico che si legge nel primo libro dei Fasti d Ovidio, che
prendessero da Elr. Mas. Chius. zo coll' uccisione del Console Lucio Cevlio, e
di 3 ooo soldati, furono dalla valida l'esistenza dei Chiusini obbligati ad
abbandonarne l'impresa, e spingersi a sciogliere il freno ai loro furori contro
Roma. Lo che narrasi da Lucio Floro nel primo libro della storia romana, e
possono consultarsi ancora su questo proposito, Diodoro Siculo, e Polibio. Ne
fa pure un cenno Plutarco nella vita di Numa Pompilio, e ne parla pi a lungo in
quella di Camillo. Anche la risposta, che lo storico di Cheronea fa pronunziare
con barbara confidenza da Brenna condottiero dei Galli, agli ambasciatori
romani, che s'erano a lui recati per chiedergli ragione a nome del Senato, del
suo procedere verso i Chiusini, infestandone i possessi, disertando i campi, e
minacciando la citt, ne fa viepi chiara testimonianza intorno alla celebrit, ed
opulenza della medesima, essendosi cosi espresso qul fiero conquistatore. Ci
fanno manifesta ingiuria i Chiusini, come coloro che ambiscono di possedere una
estensione di compagne, molto maggiore di quella che possono coltivare, e
superbamente ricusano di concederne una porzione a noi forestieri, che siamo in
gran numero, e poveri. Circa la fertilit poi dell agro chiusino, leggasi Plinio,
ove ne loda il frumento, cosi per la qualit sua, come per la quantit che ne
produceva. E Marziale erasi prima di lui nell ottavo epigramma del i 3 . libro
espresso in tal guisa Imbue plebejas
clusinis pultibus ollas jj. Moltissime altre autorit di antichi scrittori avrei
potuto raccogliere, onde mettere in pi chiara luce, ed evidenza, la grandezza,
e V opulenza della citt di Chiusi iti remotissimi tempi, la potenza dei suoi
re, il valoroso coraggio, e l'operosa industria dei Suoi abitanti, t libert del
suo territorio, e lo splendore che la rese tanto famosa per lunga serie di
secoli, ma stimo che bastino le gi riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati,
per farne concepire, a, chi vorr leggere questo ragionamento, una giusta, e non
umile ida. N poteva daltronde dilungarmici gran fatto, attesa V indole di
quest' Opera, e la brevit della periferia, cui ho dovuto perci ristringermi nel
comporlo. Mi contenter dunque di aggiungere, che venendo puranco ad epoche a
noi pi vicine, dopo lo smembramento dell impero romano per opera dei
Longobardi, ebbe Chiusi, bench decaduta immensamente dall antico suo lustro, il
titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio bibliotecario in s. Zaccaria, che
Liutprando mand ad ossequiarlo il suo nipote Agiprando, 0 come leggesi in altro
codice Adelprando, duca di Chiusi. Il qual fatto viene riferito egualmente dall
autore dell Etruria Regale. Ed anche giunta la citta di Chiusi all estrema sua
umiliazione, rimase ognora citt vescovile, come lo tuttavia, e fregiata di assai privilegi. E si
legge in un manoscritto che tratta di cose etnische, e conservasi nella
libreria Rondoni JlcJlklh che circa di n' era vescovo un tal Teodosio. Ricavasi
pc-i dal decreto di Gregorio, cap. 9. delle costituzioni, che l' anno 3 II qual
fatto confermano, oltre Polibio, Dionisio d Allea mas so, ed altri Storici,
anche santAgostino nella sua Citt di Dio, Sidonio Apollinare, Chilidiano,
Orazio Fiacco, Marziale, Tztze, e molti altri. N parr strana una si gran
potenza dei chiusini, ed una tanta opulenza, a chiunque facciasi a riflettere
ai magnifici e sontuosi edifizi, dei quali Chiusi adornavasi. E baster riferire
a questo proposito la descrizione del labennto fattovi costruire dallo stesso
Porsena, perch gli servisse di sepolcro, e che si legge in Plinio al capo decimo
terzo del libro trentesimo sesto, ove riporta, co/n ei dice, le parole stesse
di Marco V rrone. Fu sepolto, scrive egli, questo monarca, sotto la citt di
Chiosi ove erasi fatta inalzare una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa
da quattro lati, o muri, ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi in
lunghezza, avendone cinquanta di altezza. Nell area interna di nove mila piedi,
raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse introdotto senza
un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la strada onde uscirne.
Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque piramidi, quattro negli angoli, ed
una nel mezzo, larghe alla base, ciascuna setlantacinque piedi, ed alte
centocinquanta. Slava nella cima d ognuna di esse un grosso globo di bronzo,
sovrappostovi un petaso, dal quale scendevano varie catene, cui vedevansi
sospesi dei campanelli mobili, e sonanti quand erano agitati dal vento, come
raccontasi pure del tempio di Do- dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne
sorgevano altre quattro alte cento piedi', sopra le quali era praticato un
piano, ed in esso pure si alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo
gli annali degli Etruschi veduti da f arro nc, erano tanto alte, quanto il
rimanente dell edifizio. Ora domando io : a qual potenza, ed a quanta ricchezza
doveva esser salita la citt di Chiusi, onde concepir potesse un suore, e
condurre ad effetto la superba idea di fare erigere una fabbrica di questa
sorte, per servirsene di sepoltura, quando ancora si voglia credere esagerato
un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o stranezza vi certo, nella surriferita descrizione,
giacch pi agevole il disegnare quelle
piramidi sulla carta, come saviamente riflette anche il Pignotti, che il trovar
la maniera di farle stare in piedi. Tuttavia per, bench debbasi ridurre la cosa
a pi ristretti, e pi giusti limiti', conviene non pertanto ammettere, che la
tomba di Porsena fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da superare di
gran lunga quanto di pi grandioso fece ammirare V umana vanit nei trascorsi
tempi, o si ammira pure nei nostri, presso le altre nazioni, se non per altro
per la singolarit della sua costruzione, e per la gigantesca sua mole-, poich
tal cose possono ingrandirsi bens dai narratori di esse, ma inventarsi non mai.
N meno splendida da credere che fosse la
nostra citt, n inferiore la sua potenza 284 anni pi tardi, quando scesero in
Italia i Galli Senonio Avvegna ch avendola quei barbari cinta d assedio, dopo
aver battuti i Romani ad Arez- 5 iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse al
vescovo di Chiusi, bench se ne taccia il nome nel luogo donde ho tratta questa
notizia. E finalmente narrano, il Surio tomo l\, e 1 Usuando nel Martirologio,
che il d 3 di luglio, imperando Aureliano, vi conseguirono la palma del martirio
i santi Mustiola cugina dell' imperator Claudio ed Ireneo diacono, i cui corpi
sono esposti alla venerazione dei fedeli nella stessa citt. Non solamente gli
antichi monarchi, ed i grandi Chiusini avevano le loro tombe gentilizie ; ma le
private famiglie eziandio, e queste pi c meno grandiose, a seconda della
propria condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl ipogei, che sortosi in buon numero dissepolti
finora. E non dispiacer, credio, agli amatori delle cose etrusche, il sapere in
qual modo discopronsi cotali sepolcreti. Nei trascorsi tempi era stato il solo
caso l'autore di simili ritrovamenti, poich
contadini arando la terra si abbattevano di tempo in tempo in alcuno di
essi, senza cercarne. Ma da varii anni a questa parte, la cosa ha cangiato d 3
aspetto e si determinata la maniera di
rinvenirli a colpo sicuro, ed eccone il metodo. Avendo osservato alcuni signori
Chiusini, come, e dove erano situati gl ipogei discoperti dal caso, pensarono
di fare dei tentativi, saggiando il terreno, per discoprirne degli altri
espressamente cercandoli, ove se ne riscontrasse del sovraimpostoj ed i primi
saggi \ per essi sperimentati, sortirono un felicissimo effetto. Questi diedero
loro animo a procedere ai secondi, e quelli ai terzi, e cos ad altri di mano in
mano. Di modo che nel corso di pochi anni se ne scoprirono in tal quantit, che
alcuni dei sullodati signori, come fra gli altri, Casuccini, e Sozzi,
arricchirono, o formarono di pianta, ragguardevoli collezzioni, di urne
funebri, vasi, specchi mistici, idoli, sitale, scarabei, ed altre
interessantissime anticaglie. Le quali collezioni si vanno pure di giorno in
giorno aumentando, mediante i nuovi scavi che si continuano sempre a fare con
caldissimo amore di patria, e senza risparmio di spese. La qual cosa, se e
lodevole in un governo, lo molto pi
nella condizione privata. Che al nascimento del cristianesimo, ed al tempo
della propagazione di esso, fosse Chiusi tuttavia una rispettabile citt, e fra
le prime ad abbracciare la fede evangelica, si deduca ancora da quanto sono per
dire. Nelle catacombe che si trovano situate alla distanza di circa un mezzo
miglio dalla citt medesima, e delle quali fanno menzione, V Ughelli, il
Boldetti, ed altri, essendosi di recente intraprese delle escavazioni, che si vanno
proseguendo con ardore, sono stale riaperte molte strade, ove si rinvenuto un numero considerevolissimo di
sepolcri murati a pi ordini, che saranno ben presto formalmente aperti. Nei
quali, se per mancanza di autentiche non si potr asserire con sicurezza che vi
siano siati sepolti corpi di Santi Martiri, non pu dubitarsi per che abbiano
servito di tomba ad individui della primitiva cristianit. In alcuni di essi
trovati discoperti si osservato essere
state deposle in ciascuno le ossa d{ due o tre individui : lo che mostra ad
evidenza che fosse grande in quei tempi il numero dei cristiani in Chiusi,
venendo ci infermato dall essersi col
diretti dalla stessa Roma, diversi seguaci della nuova religione, fra i quali
la surriferita Vergine Mustiola, e dall 3 avervi spedito l* imperatol e
Aureliano un suo Prefetto per nome Pardo A promano, affine di perseguitarvi i
cristiani -, e non pochi di essi vi subirono il martino, come t due santi
nominati qui sopra le anime goduto dopo chelleno son separate dal corpo. Furon
varie presso gli antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi
vediamo frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e nebassirilievi alcune
imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono di
piacevoli strumenti, poich prevaleva presso di loro la massima che il premio
concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna ubriachezza. Al
pari dissoluta sembra laltra massima degli Etruschi i quali fanno consistere
tal beatitudine nel libero consorzio di ogni senso, per cui si vedono
replicatissime pitture nei vasi etruschi dun satiro ed una menade, ai qual
soggetto si d nome di baccanale. Men dissoluta
1 immagine del Chiusino scultore antico di questara, ove al suono di
variati strumenti ci rappresenta una mimica danza, replicato soggetto nelle
sculture pi antiche di Chiusi. Il rilievo di questa bassissimo, al pari dellantecedente, e il
disegno parimente un terzo del suo
originale. JSum. j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi nelle
terre deglEtruschi rappresentative della SPERANZA se ne incontrano alcune alate
come la presente. Le ragioni che mossero questi popoli ad AMMETTERE LE ALI ALLA
SPERANZA, son da me dichiarate nello spiegare i monumenti etruschi, non meno
che il significato della veste che tiene scostata dal fianco. Qui soltanto
ripeter brevemente, che gl3truschi hanno spesso confuso LA SPERANZA colla
Nemesi, dando all una ed allaltra le ali MA LA SPERANZA, A DIFFERENZA DI
NEMESI, CONTRAE LA VESTE PER AVER PIU SPEDITO IL PASSO, ONDE MOSTRARE CON
QUANTA ANSIETA LATTENDE CHI SPERA. La mano elevata suole aver altres qualche
simbolo o significato, ma di questa nulla diremo per esser guasta; e solo
avvertiremo esser questo disegno uguale in grandezza al suo originale. JSum. 2
. Lo scarabeo rappresentato in questo num. 2, ha una figura scolpita rozzamente
al segno da mostrare una sola gamba, sebben sia nuda in tutto il corpo. Il
petto delineato in guisa che addita
esser donna,- e qualora interpetrar si volesse quel che tiene in mano, direbbesi
non impropriamente un pomo granato, sicch il combinare con tutto ci latto di
stare assisa ci potrebbe far creder che fosse Euridice o Proserpina, entrambe
dimoranti all inferno, dove figurasi assiso chi vi destinato, per mostrar cred io la stanchezza
di quella dimora. Cos Teseo condannato all inferno fu non solo cos
rappresentato dagli Etruschi 6, 1 Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento v, p.
17 5, sq., e cap. u, 2 Micali, Monuments ant. pour louvrage inlilul p- 110. sq.
l'Italie av. la dommation des Romains, Lanzi, Saggio di lingua etrusca, tav.
Monum. Etruschi; ser. nij p. 202, sq. n. 2, p. lai 4 Ivi, p. ao 5 ETRUSCO
2D2IL2.1 S&TftiL2 Non vi soggetto
che abbia tanto occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali,
quanto i Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i simulacri
di quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due estremit delle
cotriposizioni, senza che abbiano colle composizioni medesime nessuna connessione
storica o favolosa ivi posti manifestamente non solo per ornamento, ma per
allusione speciale al passaggio dalla vita alla morte, e nuovamente dalla morte
alla vita, come dicevasi dai Gentili che i Dioscuri ebbero da Giove il
vicendevole dono della immortalit 3 . Or poich il presente bassorilievo in unara di quattro facce, ove da ognuna di
esse ripetesi a guisa dornato il soggetto medesimo di due giovani equestri, e
poich questo monumento stato ritrovato
in una tomba sepolcrale, cos non credo erronea 1interpetrazione ch'io d a tal
soggetto dei due dioscuri, ripetuti simmetricamente per ogni faccia dellara. Il
rilievo della scultura bassissimo,
eseguito in pietra tofacea, la quale si lavora con molta facilit per esser
fragile. Il disegno un terzo dell
originale. frequentissimo al pari
dellantecedente soggetto quello che losservatore trova in queste 4 Tavole
distribuito, non altro ivi raffigurandosi che il gaudio mistico dal- i B. rii.
del Mus. Borgia riportato dal Millin, Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o.
Cori, Inscript. Antiq. in Etruriae urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x. et
xGxrti, 2 Inghirami, Monumenti Etruschi, r nuovo negli oggetti ferali laugurio
di prosperit che i vivi facevano ai morti, nella fiducia che godessero una vita
migliore. Laltezza di questo vaso un
terzo dell originale. tavola. Ecco un saggio dei tanti vasi di bronzo che si
trovano a Chiusi. La grandezza del disegno
pari a quella del suo originale, ed ha ornamenti siffatti, che non
disdirebbero ad unopera di fusoria dei migliori tempi dell arte; specialmente
se consideriamo quel manubrio a cui si leggiadramente vien data la forma d un
giovine in atto di riposo. Un altro genere d utensili tutto diverso dai fin qui
esposti, occupa la Tav. X, ove pure
diverso in tutto lo stile del disegno che ne traccia la rappresentanza;
talch sarei per dire che altri fossero gli artefici e la scuola di scultura,
altra quella di plastica, altra quella di fusoria, altra quella gliptica, altra
quella di grafito in Chiusi, e che tutte separatamente si vedono in queste
dieci tavole. Nel presente disco manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d
ogni ub io i Dioscuri: soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perci
diconsi spec chi mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza,
ragionando dei Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata in
alto accenna il cielo, laltro linferno col braccio al basso: attitudine che a
meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come dicemmo spiegando la
tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente, che questi mistici utensili
si trovano tra i cadaveri come un amuleto relativo al transito delle anime da
questa all altra vita. Una gran parte di figure in bronzo quasi esattamente
simili alla presente si trova in vari musei d Etruria ; e poich io ne vidi
alcune che sostenevano un gran disco con una incassatura al lembo di esso, cos
mi detti a credere che in antico siano stati specchi di toelette, il cui disco
lucido era probabilmente incastrato nella ghiera del disco di bronzo ade r ente
alla anzidetta figura, che gli serviva di manico 3, e della grandezza di questo
disegno, eh' uguale al bronzo archetipo. Non
dunque inverisimile che essendo questo un vero specchio da toelette, sia
quel manico dal quale retto, la figura
di Veneie.3 Ivi, tav. g ma descritto in simile attitudine anche da Virgilio *.
La stessa Euridice si vede rappresentata allinferno sedendo per terra, in atto
desser liberata da Orfeo * 11 pomo granato nelle mani delle persone infernali superstizione che usavasi anche tra gli
Etruschi, rappresentati nei coperchi delle loro urne cinerarie 3 . Ma in tanta
goffaggine chi decide? Num. 3. Lo scarabeo di questo num. sar spiegato con
altro d'ugual soggetto. mrriensa variet di forme che sincontra nei vasi
sepolcrali, ve ne son 1 j C | 6 ^
6r n ' r o uar do meritano d'esser fatte
conoscere coi rami per la H r t0 s n S^
ar ta ; e per quanto non potremo in
questopera dar 0 . o nuna di esse, pure non sapremmo astenerci dal farne
conoscere le pi a- 3 ' H t0 r >r *. nc T a ^ menl:e riguardo alla utilit che
queste nuove forme poscaie a e aiti meccaniche, ed al miglioramento degli
utensili domestici. t . . Pj ente,n questa VII tavola figurato di terra cotta di color rosso, si- rorrisn 3
m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro vasetti insieme uniti al disotto, ed ai
quali . . n on quattio fori nel
recipiente maggiore praticati, onde potrebbero ntrodurvs. quattro diversi
liquidi, come si vede chiaramente nel disegno superate " 6 ^ recc liette c ^ e servono di manichi nel vaso
di mezzo sono trafoche ' C me Se V1
fo8Se P assa t a una cordicella per appendere tutta la macchinetta, per ques o
aggiunto sembra essere stata di qualche uso. tavola Vili. annoverare
preSeiUe da re P u tarsi antichissimo,
qualora non vogliasi mento eli occh' imi ^ tlV0 delIe antiche opere plastiche.
I profili con gran g a a pert.ss,m. ne. volti che vi son modellati,
e quei veli che hanno nera anche^nfll* *' mm, espressi dagli antichi nei
monumenti sepolcrali. Avverte chi ha fatto eseguirequesta tavola, che sotto al
vaso copiato un ornato doro dalla parte
anteriore, il doppio dell originale, e sotto
disegnata la parte posteriore di esso, della grandezza del monumento, ed
aggiunge che le due sfingi rappresentatevi sondi un lavoro mirabilmente finito
e minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI ETRUSCHE Quanto saviamente dichiarasi dal eh. pr.
Valeriani nel secondo suo dotto ragionamento che segue, mi dispensa dallonere
di spiegare le iscrizioni funebri che trovansi nei cinerari etruschi di Chiusi,
perche scritti in una lingua perduta. Tuttavia quel barlume che le moderne
indagini dei dotti sopra di essa ci fan vedere, sar posto a profitto dall'
eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il pi meritamente accreditato in simile
materia, onde in fine di questopera trovisi qualche notizia di queste
iscrizioni funebri chiusine, che ove lo concede lo spazio vi si distribuiscono,
senz altro dirne per ora. V* : IHd-M 3 Pi -O J I- :ian 0qm v : Pi +i f 11 A? 3 d-flq = i anq V >/ di. yfMRY/\ IV. =3
Dliaq => --1 Mti V V -, Mooum. Eu.., set. m. 36 >4 d^osamcnte remota,
dice il Pejleuttier nella sua storia dei Celti, gli antichi popoli di questo
nome, o i Cello-Sciti, la cui lingua se non
primitiva in un senso assoluto, 10
per lo meno relativamente a quasi tutte le lingue conosciute, s furono
sparsi da una parte nell Asia occidentale, e dall altra nell Europa, si
estesero in quest ultima regione, gli uni al Settentrione, e gli altri lungo il
Danubio. La posterit di questi poi rimontando quel fiume, pervenne in seguito
alle sponde del Reno, le quali oltrepass, e riempi delle sue numerose
popolazioni tutto l intervallo che si estende dalle Alpi ai Pirenei, e ai due
mari. Laonde ovunque la lingua dei Celti mescolandosi agl idiomi indigeni, form
delle combinazioni, ov ella domin sensibilmente . Ed anche in quei contorni che
aveva trovati deserti, o dai quali aveva fatto scomparire gli abitanti, il
celtico si conserv nella sua purit originale. Alcuni secoli dopo la popolazione
sempre crescente di questi Celti, o Galli, li costrinse a passare i Pirenei, e
le Alpi. In Italia, dopo avere occupato da prima tutto il paese posto al piede
delle montagne, eglino si estesero di mano in mano, nel- l'Insubria,
nellUmbria, nel paese dei Sabini, in quello degli Etruschi, degli Osci, dei
Sanniti, ed in tutto il resto della penisola al d qua del Garigliano. Nel
medesimo tempo alcune colonie greche approdarono all estremit orientale
dItalia, e vi formarono degli stabilimenti. Lasciami poi ben presto le sponde
del mare, e spingendosi sempre avanti, incontrarono finalmente i Celti, che
continuavano pure dal canto loro ad avanzarsi ancor essi Dopo alcune guerre, poich questo sempre 11 primo caso dei due popoli che s
incontrano j s riunirono nell antico Lazio, e non vi formarono pi che una sola
societ, che prese il nome di popolo latino. Allora le lingue delle due nazioni
si mescolarono insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti. N
bisogna dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il celtico un
gran vantaggio. Il greco, che non
allora, o a grandissima distanza, la lingua di Omero, di Platone, doveva
dal canto suo il nascimento ad un miscuglio di mercatanti fenci, d avventurieri
di Frigia, di Macedonia e d llliria, e d quegli antichi Celto-Sciti, che mentre
i loro compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull' Asia
occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi la Grecia.
Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava di nuovo col
celtico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua latina, che rozza
nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col tempo, divenne in fine la
lngua di Terenzio, di Cicerone, di Orazio, e di Virgilio. Ed questa medesima lingua latina, che dopo un si
bel regno terminato con un s lungo e tristo tramonto, veniva ad amalgamarsi
ancora unaltra volta col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti dei
Goti, dei Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco tempo dopo la
lingua di Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali considerazioni, e per
quelle gi riferite in questo ragionamento, io credo che si debba battere un
cammino diverso da quello che si battuto
finora dagli archeologi, nell investigazioni intorno gli antichi Etruschi, ed
al loro linguaggio. E non gi perdi io abbia la nati d sopra, molta gratitudine
dobbiamo avere ai Signori, Vermiglol, Zannoni, Mleali. Orioli, Ciampi, e pi
particolarmente all infaticabile cav In- giurami, per i tentativi che tutti
questi hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi, affine di
condurci vie pi addentro nei penetrali delle cose etrusche, non ci siamo non
pertanto finqu partiti, quanto alla lingua, dal punto dove eravamo cinquanta, o
sessanta anni, per non dire quasi un secolo addietro. N qui sarebbe per
avventura fuor di proposito lo stabilirese la nazione etrusco debbasi avere
assolutamente nel numero delle perdute, e nel caso affermativo determinare il
come, e il quando sia questo avvenuto, oppure considerare la dobbiamo come
trasfusa nella romana, o combinata con tutte quelle che invasero a piu riprese
lItalia. Ma siccome cotali ricerche mi farebbero deviar troppo dallo scopo che
mi sono prefisso in questo discorso, e mi trarrebbero troppo in lungo, cosi le
serbo ad altro tempo, e ad altro lavoro. E per istringermipi dappresso al mio
soggetto, dovremo noi riguardare la lingua etnisca, o come primigenia, e indi
genia dell antica Etruna,o come proveniente da altro pi vetusto idioma
italico-, o sivvero come un composto di pi dialetti stranieri, combinati
collindigeno, quali sarebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco
antico, il traco-frigio, ed altri, qua portati a diverse epoche dalle varie
colonie che si venneroa stabilire nelle nostre belle contrade. Riflettendo che
tutti gli archeologi, i quali procacciarono di rischiarare questa materia
oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso finora circa lintelligenza dell
antica favella dei nostri padri, e quelli che pretesero di trarla dall Oriente
senza alcun altro soccorso, e quelli che la vollero derivare dai greci e i
fautori dell antico latino $ pare che ne inviti la sana critica, e ne sproni il
buon senso, a tentare un altra via, per vedere se si giungesse finalmente a
sciogliere questo famoso nodo gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si
pu raccogliere di antichissimo italico, donde procede in gran parte il vcchio
latino, non trascurando il greco, per le ragioni che svilupper altrove, e
ricorrendo pure ai dialetti annoverati qui sopra, si possa con sicurezza
avanzare qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un compiuto
alfabeto, e quindi a bn leggere, ed intendere, tutto quello che ci rimane di
etrusco. Imperocch, sia che abbia veramente esistito una lingua primitiva,
della quale tutte le altre non siano che derivazioni, e prodotti, o sia che le
diverse popolazioni umane siensi fatta da principio, ciascuna la sua lingua, e
che per moltiplicate combinazioni, e dopo una lunga serie di secoli, questi
diversi idiomi particolari siano venuti, per cosi dire, a fondersi in un idioma
generale, che in seguito poi siasi diviso, e suddiviso di nuovo, in lingue, e
in dialetti diversi, vi sono pochi argomenti pi degni dell attenzione del
filologo, e del filosofo ad un tempo, di queste formazioni, di queste
separazioni e di queste riunioni d linguaggi, che indicano le principali epoche
della formazione, della separazione, e della riunione dei popoli. Lidioma
latino che disparve al nascere dell'italiano, era stato in una molto recondita
antichit il prodotto di una simile rivoluzione. Quando ad un' epoca pr-
Porgiamo alla considerazione dello spettatore in questo disegno la pi grande
urna in marmo che siasi fin ora trovata nei moderni scavi di Chiusi, misurando
in lunghezza circa 4 braccia. Ha nel cornicione superiore una lunga iscrizione
etnisca, ma disgraziatamente dipinta, e non conservata come desiderar si
potrebbe per l'intelligenza compita, quantunque da quel che resta comprendesi
essere un aggregato di nomi famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la
rappresentanza della scultura, ove si vede la moglie che dal marito congedasi,
o questo da quella per girsene allaltra vita. Una Furia come addetta al
ministero delle anime, abbracciando la donna par che indichi esser lei la
defonta, e non 1 uomo che il soggetto ivi appella. Infatti contiene il
coperchio dellurna una donna, come vedremo. Termina la composizione con altre
due Furie, una delle quali pronta a
ricever lanima alla porta infernale per dove passavasi quindi agli Elisi a ; e
le altre cinque figure intermedie non altro significano a mio credere che
parenti, e forse anche estinti antenati, dequali siansi voluti rammentare i
nomi nella iscrizione. Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria uno
dei principali ornamenti del Mueo Casuccini di Chiusi. Ecco il coperchio in
marmo dell urna gi osservata nella Tavola antecedente. Quivi e una donna
mutilata in parte, come esser sogliono le sculture sepolcrali visitate dai
primitivi cristiani, ed in quella occasione depredati quei loro sepolcri; ma
pure non sempre del tutto, e infatti si
trovato in Chiusi qualche ornamento doro uguale alla collana che riccamente
scende sul petto di questa defonta, la quale
succinta, come esser sogliono le protome delle donne. Ha in mano un pomo
granato, conforme davansi a chi si portava all inferno. Quando si volesse dare
una interpetrazione a questoscuro soggetto in bassorilievo, si potrebbe dire
essere il giovane Astianatte genuflesso sul larario, in atto di venire immolato
al furore di Pirro. Il monumento unurna
di terra cotta non molto conservata. Monum. Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi,
p. 177, 46. 3 Ivi, ser. 11, p. 229, a 3 o. stolta presunzione di credermi pi
perspicace, e pi istrutto di quei dottissimi, che si affaticarono in clamo su
questo istesso argomento, ma solamente perch il tentar nuove strade in materia
cotanto astrusa, permesso a chi che sia,
particolarmente quando tutte quelle tentate finora, non sono opportune a
condurci a buon porto . E perch pur vero
che non di rado tocc in sorte ad uomini di mediocre ingegno e sapere, il
discoprimento di ci che rimase lungamente occulto alle pi profonde, e costanti
ricerche di sapientissimi osservatori. Protesto peraltro ampiamente desser
pronto ad abbandonare la mia opinione su questo proposito, quando i dotti me ne
oppongano un altra pi plausibile, e pi idonea allo scopo cui diretta. Essendo io scevro affatto di ogni
particolare affezione per essa, ed alienissimo da qualunque spirito di sistema,
n altro cercando che la verit . Avvegna che, una delle cause positive, anzi la
principale, a mio credere, che abbia cos ritardalo, ed impedito la scoperta del
vero in questa materia, stato senza
dubbio lo spirito di sistema, portatovi da ciascuno di quegli archeologi, che
vi esercitarono con particolari indagini il proprio ingegno, ostinandosi, e
forzandosi per ogni maniera, a derivare da un solo fonte la Unga etnisca.
Idifatti, niente pi funesto ai veri
progressi delle scienze, n pi contrario al discoprimento della verit, di quello
che lo sia uno spirito sistematico. Imperocch tutto allora si sconvolge, si
contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo comunque al proprio
sistema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto, convenire con quello . Ma
chi adopra in tal guisa, non v altrimenti in cerca del vero, e si affatica
soltanto a rinvenire ci che egli si
preventivamente immaginato di dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali
pretesero di far venire gli Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri
Orientali, crederono di vedere perfino la forma delle lettere etnische, in
quella delle ebraiche, e pi specialmente delle cosi dette sanimaritane, bench
non ve ne fosse la minima idea. E t.enevansi tanto pi sicuri del fatto loro, in
quanto che usarono i nostri antichi padri condurre la loro scrittura da destra
a sinistra, come glebrei, i Sammarilani,ed altri popoli dellOriente.I S
mancarono di viepi confermarsi in tale opinione, osservando alcune voci etrusche,
simili, o provenienti dai dialetti semitici-, quasi che fossero queste
argomento bastante a costituire la identit di origine dell' etrusco con quelli,
e non sapessero tutti i filologi, che sincontrano delle voci simili di suono, e
di significato ancora, in quasi tutte le lingue conosciute, senza poter
giungere a provare per questa via, che l una derivi con sicurezza dall' altra,
e tutte da un fonte comune. Mentre sono tali somiglianze, ed analoge, il
prodotto di quei mescolamenti, dei quali ho parlato in principio. E con tanta
maggiore facilit debbono essersi mischiate, e combinate non poche voci
orientali all etrusche, per lo commercio singolarmente dei Fenici coi nostri
antenati, in epoche da noi remotissime, come altrove si detto-, insegnandoci concordemente gli
antichi scrittori quanto in ci valessero gletruschi, o Tirreni, e come
signoreggiassero i due mav che circondano Italia, cui diedero perfino il nome.
si vede nel manico il sole, come io
spiegher meglio in seguito, e l'atto delle mani e dei piedi che volgesi in
alto, in basso e per ogni senso, simbolo
della generale influenza dei suoi raggi, cbe si spargono in giro Gli ornamenti
a bassorilievo che circondano questo vaso NON HANNO UN SIGNIFICATO DIVERSO da
quei che vedemmo alle yavole, ed perci
inutile ripetere ulteriormente il gi detto. M immagino che la figura qui
espressa, e ripetuta pi volte in molti vasi trovati nei sepolcri, possa esser
Marte, il quale significar vi debba, che il tempo in cui domina quel pianeta lautunno, come in altri monumenti se ne vede
l'indizio i 2, e questo tempo vi si rammentava per la ricorrenza del suffragio
delle anime 3, al quale oggetto erano istituite feste ed offerte ; o forse
rammentasi la deit deglitali primitivi. Sono assai numerosi gl idoli femminili
in bronzo di piccola dimensione pari al presente, eh io credo essere stati
nominati comunemente dagli antichi gli Dei Lari, o Penati, o Geni tutelari, e
Giunoni 4, quando, come questa statuetta, erano femmine; e dice vasi che ogni
donna aveva la sua Giunne per protettrice 5 . Il gusto dei Greci, come
ricaviamo dalle opere loro trovate in Ercolano e Pompei, era dinventare
ornamenti per le suppellettili anche non attinenti al fasto ed al lusso, dove
introducevano con molto genio ed ingegno animali ed umane figure : genio che si
propag per lItalia, come vediamo nelle opere di Chiusi, di che abbiamo un bell
esempio nei due manichi di bronzo incisi in questa XXHI Tavola, un de'quali ha
un mascherone bizzarramente travisato con fogliami, fiori ed una barba assai schersosamente
spartita. Bella parimente limmagine
dellaltro manubrio disegnato di faccia e di profilo, dove si vede un anima- i
Monumenti etr., ser. 11, Tay. xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser. 1, p. 279. %
Ivi, ser. vi, tay. F2, num. 3, p. 17 5 Virgil. Aneid., Ovid., fastor. 5x2, 544
* y* 4 ^ 5 .notabile che i coperchi delle urne in terra cotta sieno di miglior
modello eh esser non sogliono quelli scolpiti in pietra N chiaro esempio questa re- combente figura che
serv di coperchio all urna precedentemente esposta. Ognun vede quanto il
panneggiamento sia pi ragionato nelle pieghe di quel che osservammo allaTav.
XIV ove ne reputammo lurna spettante a ricca matrona. Chi sa che il lusso de
marmi non prevalesse in tempo della maggior decadenza delle arti ? La muliebre
figura qui esposta fu eseguita in fragile pietra tofacea e trovata acefala in
un sepolcro, colla particolarit che il collo
vuoto come anche il torso, ed
servito per deposito d umane ceneri e d J ossa cremate, che vi si
trovarono al- 1 aprir della tomba, ove la statua era sepolta. Il significato
non facile a penetrarsi, ma dal pomo che
ha in mano, e dall atto sedente, non sarebbe fuor di proposito il congetturarne
che fosse una Proserpina, la quale riceve unitamente col suo consorte Plutone
le anime che scendono al Tartaro. Difatti anche al Museo Pio dementino vedonsi
que due numi sedenti a . La singolarit dell esposto monumento esige che se ne
mostri anche la parte avversa alla gi veduta. Ivi pi chiaramente si nota che a
formarne il magnifico sedile concorrono i simulacri di due sfingi, le quali
assai frequentemente sincontrano in monumenti ferali; poich la sfinge
reputavasi animale chimerico infernale 3, e perci attamente posti ad ornar la
sedia della divinit che attende alle anime trapassate da questa all altra vita.
La frequenza dei volti velati che vedonsi neyasi di terra nera, come in questo,
non lasciano luogo a porre in dubbio se siano o n rappresentanze di larve o
Lemuri, cio delle anime 5, ed il gallo che sovrasta al vaso, pare, come ho detto
altrove 6, indubitato simbolo del buon augurio di felicit nella futura vita,
che a quelle anime predicevasi dai superstiti viventi. La figura con faccia
larvata che 1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e ser. vi, Tav. i, pag. ai, 52.
Visconti, Mus. P. Clem. Voi. li. Tav. 3 Monum. etr. er. i, p. 582. Etr. Mas.
Chius. SULL ALFABETO ETRUSCO Uopo che gli uomini ebbero trovato coll uso
naturale degli organi della parola, un mezzo facile di comunicare i loro
pensieri ai presenti, cercarono, e trovarono in seguito, quello di parlare agli
assenti, e di rammentare a se stessi, ed altrui, ci che era stato pensato, e
detto da loro, e da altri, e ci ancora di che erano convenuti insieme. La prima
cosa pertanto che si presentasse loro allo spirito in questa ricerca, furono le
figure geroglifiche ; ma colai segni non erano abbastanza chiari, e precisi, n
abbastanza univoci, per adempire lo scopo che avevasi in mira, di fissare cio
la parola, e di farne un monumento pi espressivo del marmo, e del bronzo. Il
desiderio dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno, fecero finalmente
immaginare quei particolari segni, che noi chiamiamo lettere ognuna delle quali
f destinata a notare uno dei suoni smplici, che formano le parole', la riunione
dei quali segni, ci che dicesi alfabeto.
Volendo per risalire fino alla prima origine d questo maraviglioso
ritrovamento, rischieremo sempre di smarrirsi senza riparo, in un mare di
oscurit, e dincertezze, e circa V epoca in cui giunsero gli uomini ad un si
nobile discoprimento, e circa la nazione che prima di ogni altra vi pervenne.
Lasciando perci da parte la ricerca di quello che io giudico moralmente
impossibile a rinvenirsi, volger le mie indagini a cosa pi certa, od almeno piu
probabile, qual e la quistione, se gli Etruschi, od i Greci fossero i primi a
far uso di una cosi bella, ed utile invenzione. E qui pure siamo costretti a
navigare, presso che senza bussola, m un ampio pelago, sparso di profondissimi
vortici, d' orribili mostri, e di scogli assai pericolosi. Imperocch, se molti dotti
sostennero, e sostengono tuttavia che i Greci sono anteriori agli Etruschi
nelluso dell alfabeto, e vengono riguardati come i maestri di essi, in
qualsivoglia arte o scienza, non per
altra parte minore il numero, n di minor momento V autorit di quelli, che citar
si possono per sostenere il contrario. Perloch io aderisco a questi ultimi,
sembrandomi la loro opinione pi ragionevole, e pi giusta, ed i sostenitori di
essa persuadendomi colle loro ragioni, ci che non giungono a fare i propagatori
del grecismo, ad onta ancora di tutte le parole greche, o grecizzanti, che s
incontrano ad ogni passo in quasi tutti i monumenti etruschi, discoperti
finqui, avvegnach intorno a le mostruoso, che per aver motivo d' essere
attaccato al vaso figura di morderlo. Sotto un Ercoletto giovane, che tiene la mano
alzata, vibrando la clava in segno di recar danno e morte, ed ha cinti i lombi
colla pelle di leone, simboleggiando di non curarsi della generazione, come proprio drcole quando figura il sole iemale.
Difatti rispetto ai viventi il sole che
loro apporta la vita colluniversale tepore della natura in primavera, e porta
danni o morte col raffreddamento del tempo iemale. Qual simbolo pu dunque esser
pi adattato a decorare un sepolcro, che quello dove rammentasi la vicendevole
transizione dalla vita alla morte? Lo scarabeo di cui si vede f impronta ha
inciso un centauro con un fanciullo sul dorso, forse Chirone col giovane
Achille che dicesi da taluno essere stato affidato a quel mostro per riceverne
la puerile educazione. La rappresentanza di questo specchio mistico sarebbe
forse difficile ad inter- petrarsi, qualora non fossene venuto a luce un altro
di quasi ugual soggetto. In quello vedesi Giunone sedente in atto di porgere ad
Ercole la mammella, perch ne succhiasse il latte, il ch succede alla presenza
di Mercurio 3 . Sappiamo infatti che Giove bramava che Ercole per ottenere
limmortalit, bench nato da mortai femmina, sorbisse almeno latte divino, onde
per uno dei soliti inganni frequentissimi nella mitologia, Giunone gliel porse
senza avvedersene. Mercurio vi si crede introdotto, per attestare ad Ercole
daver egli pure profittato di tale arguzia, per entrar fra gli Dei, bench nato
da Maia donna mortale. Qui non espresso
latto di Giunone per allattar Ercole, ma pur vi si vede Mercurio che si fa noto
col suo cappello, e par che accenni d aver profittato egli stesso
dellespediente che suggerisce ad Ercole, il quale gli sta davanti. Ha la clava,
in mano ed un piede elevato, indicando che salir deve all immortalit 3 per opera
di Giunone 6 eh fra loro. fli8vq :ian8 j
v :ioj vi. j a 11 y fi j 1 :i n tnq r = o 4 vii. 1 f\ il 8 4 Y d : fi m 3 4 t
:42 vili. -ifi n t v t :o 4 . in i n q n o n lx - -4/nm-rfl4 itntnqfl .-4sa x.
Monumenti etr. Galleria Omerica Tom. ii, Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De
pateris ariliquor.ex schedis Blandirli Sermo ed epislolae tab. 4 Diodor., Sic.
Bibliot. bist. Mon. etr. ser.n, Tavv. lxxu, lxxii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni,
Lettere di etrusca erudizione pubblicate dall Inghirami, pure in ogni tempo di
tracciare nello stesso modo le loro scritture. E tutti, c/uesti ultimi
specialmente, furono sempre uniformi in questo, ad eccezione degli Etiopi soli,
e degli Abissini, che sebbene parlino, e scrivano un dialetto semitico,
scrivono tuttavia da sinistra a destra, come gl Indiani, ed i segni deliaco
alfabeto hanno un valore sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il
tibetano, ciascuno dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una
vocale, e forma una sillaba. Ci che non accade in nessuno degli alfabeti
europei, e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono pure delineati
da sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana lopinione di quelli, i
quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti, fossero discesi in prima
orgine da una colonia, o emigrazione asiatica. Ma di ci altrove. E se i
Persiani, ed i Turchi scrivono da destra a sinistra, bench la lingua dei primi
venga dalle Indie, e quella dei secondi dalla Tartaria, ci procede dall aver
tanto gli uni, che gli altri adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso
la religione del borano. Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti
caratteri, non da maravigliarsi n punto
n poco, se essi non abbiano ardito d alterarli, n quanto alla primitiva lor
forma, n quanto alle maniere di rappresentarli colla scrittura. Ch del resto
ben diversi riscontratisi gli antichi caratteri persiani chiamati zendici, e
pelvici, come assai differenti ritrovatisi, e pel modo di scrverli, e perla
loro forma, ofigura, quelli dei Tartari. Ci premesso o siano stati gli Etruschi
i ritrovatori dellalfabeto che porta il loro nome, o labbiano composto di pi
antichi alfabeti italici, o V abbiano derivato da altrove, come pare dai nomi
stessi che portano le lettere del medesimo, bench sia diffcilissimo, e forse
impossibile a provarsi, per mancanza di documenti sicuri, il come, ed il quando
abbiano ci fatto-, peraltro fuor dogni
dubbio, che i Greci non lo comunicarono loro, e non furono per conseguenza i
loro maestr.Che anzi da credere che sia
accaduto tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione mitissima, e
potentissima in et molto remote, e quando la Grecia era tuttora barbara, e
selvaggia, 1 abbiano comunicato ai Fenici per via di commercio, e che da quelli
passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ci che sostengono quasi tutti gli
antichi scrittori, cio, che Cadmo facesse loro il dono del primo alfabeto. Del
qual Cadmo scrive Plutarco nei Simposiaci iib. 9 quist. 5, che quel sapiente
pose Z'aleph, o alpha per prima lettera del suo alfabeto, perch cosi chiamasi
il bue nella lingua dei Fenci, il quale animale non da stimarsi n secondo n terzo fra le cose
necessarie all uomo come pens Esiodo. Circa poi al grecismo, che sincontra nell
etrusco, e nellEtruria, e circa le arti greche, che vi si osservano, come
ancora in altre parti dItalia, ne parler a lungo in un discorso, che tutto si
aggirer intorno a questa materia, esclusivamente da ogni altro oggetto. E
prover allora, che lidioma degli antichi Etruschi nel suo fondo tutt' altra cosa che greco;
dimostrando ad un tempo, in qual modo, e questo grecismo sian da dirsi alcune
cose eli io riserbo ad un altro ragionamento. Ma ritornando al titolo del mio
discorso, cosa V alfabeto etrusco? questo un prodotto indigeno dell antica
Etruria, o sivvero vi fa trasportato da altra parte del mondo? E se qua venne
da estranei lidi, chi fu mai quel benefico straniero, che fece all Etruria un dono cosi prezioso ? Ed in questa
supposizione, pass egli ai nostri antenati dall Oriente, oppure dall antica
Grecia ? O si compose egli forse degli elementi di pi antichi alfabeti italici,
o di questi, e del pelasgo fra loro mescolati, e confusi ? E se vi fossero
ragioni bastanti a dichiararlo prodotto indigeno, a quale epoca rimonterebbe l
antichit sua, ed a quale ammettendo che sia frutto straniero, e per qual mezzo
pervenne ai padri nostri? A tutte queste quistiom, che possono opportunamente
esser mosse intorno al tema che ho tra mano, io mi studier di rispondere,
quanto meglio e pi concisamente per me si potr, e come sar possibile
rispondere, in qusto breve ragionamento, m una materia cosi oscura, e
difficile E circa alla prima quistione,
l alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo presentemente, non certo una cosa diversa dall antico alfabeto
greco, ma sono anzi talmente somiglianti fra loro, se tolgasi il rovesciamento
delle lettere nell uno di essi, da doverli giudicare al confronto, senza timore
d ingannarsi, la stessa cosa, sia diesi riguardi la forma delle lettere, o si
consideri l uso delle medesime, N giova opporre a questa asserzione, la maniera
di scrivere degli Etruschi da destra a sinistra, avvegnach usavano di fare lo
stesso anche gli antichi Greci, prima dell et di Pronapide, che si pretende
essere stato il maestro di Omero. Che anzi esser potrebbe credi io, una tale
particolarit, un argomento favorevole agli Etruschi, per crederli i ritrovatori
del loro alfabeto Al che si aggiungerebbe forza non poca, considerando l
antichit loro, pi recondita assai di quella dei Greci. E pi ancora verrebbe
avvalorato, e confermato un tale argomento, che gli Etruschi, cio, siano stati
eglino stessi gli autori del loro alfabeto, riflettendo che i medesimi
continuarono in ogni tempo a scrivere, ed anche sotto la dominazione dei
Romani, da destra a sinistra-, lo che non avvenne dei Greci, iquali cangiarono
metodo, e presero a condurre la loro scrittura da sinistra a destra. Ora pi ragionevole il credere, che il
rovesciamento degli elementi alfabetici, e del modo di scrivere, siasi operato
da chi lapprese da altri, che da chi ne f l inventore. E questo rovesciamento
di scrittura presso i Greci, vuoisi fissare, come di sopra accennava, ai tempi
omerici, o di Pronapide. A questo argomento per se ne potrebbe, per avventura,
opporre un altro, dicendo, ch giusto appunto perch gli Etruschi scrissero
sempre conducendo, e tracciando i caratteri da destra a sinistra, non debbono
riguardarsi come i ritrovatori del loro alfabeto, ma convien credere che lo
abbiano ricevuto da qualcuno dei popoli asiatici, e particolarmente di quelli
cos detti semitici., quali usarono T-;,-
Per la qual cosa, mi pare che dopo tutto quello che ho detto finqui', si possa
rispondere alle questioni proposte in questo medesimo discorso, che V alfabeto
etrusco non venuto dal greco, ma bens
questo da quello j che desso non primitivamente
indigeno dell antica Etruria, quanto ai suoi elementi, i quali furono qu
portati da una emigrazione antica, in tempi tanto reconditi da non poterne
fissar V epoca precisa, e che s ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi
lo portasse il primo fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell'
alfabeto etrusco, in et da noi remotissime, dettero un ragionamento a parte,
che verr pubblicato in seguito in quest opera stessa. Ci peraltro non vuol gi
dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua del tutto asiatica, come la
giudicarono troppo leggermente alcuni filologi, sebbene asiatici si riscontrino
l antico culto, e la maggior parte dei riti religiosi, e civili degli Etruschi.
Or qui farebbe di mestieri combattere, e confutare tutte le opinioni contrarie
; n io sarei alieno dal prendermi un tale assunto, se i limiti prescritti a
questi ragionamenti, nei quali non deve olt repassare, per lindole dell' opera
cui son destinati, la periferia di poche pagine di stampa per ognuno di essi,
me lo concedessero. Non potendo ci fare, nel modo che si converrebbe, mi
ristringer ad aggiungere quanto segue, e mi terr per ora contento di questo. Il
Cori, il Majfei, ed il Mazzocchi confrontando gli alfabeti punico, e celtibero,
o cantabro colletrusco, dicono che vi trovarono minore analogia, quanto alla
forma dlie lettere, che coll ebraico. Il Donati poi che fece la stessa cosa nei
suoi Dittici seguitando le osservazioni, che avevano gi fatte prima di lui a
questo proposito, l Aquila, Teodozione e San Girolamo, scrive nell opera sua
intorno alle iscrizioni, che quelle cos dette Cizzie, sono riguardo ai
caratteri, mollo simili alle etnische j e lo stesso dice ancora del marmo
Sanvicense conservato in Osford, che vuoisi pi antico della guerra troiana, e dei
caratteri incisi sulla lamina bustrofeda di bronzo, riportata dal prelodato
Majfei nella sua Critica Lapidaria, non meno che di quelli sulla colonnetta del
Museo Nani di Venezia, giudicata pelasga-tirrena, bench fosse ritrovata a
Mitilene . Questi monumenti, che si credono tutti scrtti in greco antico, e per
essere questo mollo simile all etrusco, specialmente circa la forma delle
lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo, o convalidare l'
opinione di coloro, i quali pensarono che il greco antico, l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per
giunta alla derrata, la lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza
avere peraltro mai pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero
pi antichi degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili come un assioma, che
la lingua etrusco era greca in non differiva da quella che nel dialetto, nella
quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da altri. Ne si avvidero, n lui stesso,
n i suoi seguaci, che i Pelasghi, i lirrem, i Pladani, i Lidii, gli Arcadi, e
gli Ausoni, sono perch s J introdussero nell' etrusco, e nll' Etruria
propriamente detta, quel grecismo, e quelle arti. Che in quanto alla
somiglianza, ed anche identit dei caratteri etruschi, e greci antichi, sii di
che fondarono finora il loro pi valido argomento tutti gli archeologi fautori
del grecismo, per asserire che l' etrusco, ed il greco antico sono in ultima
analisi la medesima lingua, il pi
frivolo, ed anche il pi ridicolo ragionamento, che immaginar mai si possa,
Avvegnach, vale lo stesso che se io ragionassi cosi: glitaliani, i francesi, i
fiamminghi, gli spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed altri popoli d'Europa,
come gl'inglesi, i dalmati, e glolandesi, si servono dello stesso alfabeto per
iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle lingue sono la stessa cosa. Ma
quante sono in antico le lettere dell alfabeto etrusco, poich essendone stati
pubblicati finora dagli antiquari fino a tredici, o quattordici, chi ne conta
un numero maggiore, e chi minore; ed il laborioso, e dotto abbate Lanzi ne
ammette venti nel suo ? Si deve credere che fossero sempre in egual numero,
oppure che venisse questo accresciuto a pi riprese, e ad epoche diverse, come
si narra essere avvenuto dal greco, il quale f condotto fino al numero di
ventiquattro lettere, bench non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non
sarebbe questa una ragione di pi, onde confermare ci che accennava poc anzi,
che l alfabeto, cio, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici, e da questi ai
Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi alfabeti italici oltrepass
mai il numero di sedici lettere? Difatti nei piu antichi monumenti, fra i quali
nessuno vorr contradire che siano da riporsi gli atti dei fratelli Ar- vali,
non se ne contano che sedici sole. Di pi non trovandosi mai usato l o nelle
epigrafi antiche veramente etnische, riscontrandosi questa lettera fra quelle
degli altri monumenti italici parimente antichi, come pure fra le prime sedici
dell alfabeto greco, cosi detto cadrneo, s pu dubitare se gletruschi ne
avessero neppur tante in principio, e cresce sempre pi la probabilit della mia
asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio, le lettere dell alfabeto cadrneo
furono le seguenti . cio: ab r a eikamnoiipstt. Alle quali poi ne aggiunse
quattro Palamede, che sono, e 3 $ x. E finalmente Simonide lo accrebbe di altre
quattro, cio, zi va. E pare anche ben naturale, come f pure osservato dall
erudito filologo francese Sig. Letronne, che quei primi sedici caratteri siano
stati inventati avanti agli altri, perch rappresentano i sedici tuoni
elementari, o semplici, ch formar si possono colla bocca umana, sia per
intuonazione, o per articolazione. Mentre gli altri caratteri aggiunti a
questi, ed usati negli alfabeti dei differenti popoli, esprimono, o delle
gradazioni di quei suoni principali, o la riunione eli pi articolazioni in una
sola . Di maniera che ognuno di essi pu essere pi, o meno esattamente
decomposto nei primitivi suoni eh egli contiene. Che s regola di sana critica
di non prestar fede agli antichi poeti, in tutto ci che narrano di sovrumano, e
di misterioso, lo del pari di
rintracciare il vero anche in mezzo alla favola, che viene giustamente definita
dai sapienti, il velo deila verit, e della storia. Ipoeti dell antichit, ch
erano pi istruiti di tutti gli uomini dellet loro non inventarono, come si
crede male a proposito, le favole, ma bens adornarono con finzioni la storia .
Rimossele quali finzioni, cosa ben
facile di rinvenire la verit, nei pi notabili avvenimenti per essi narrati, e
abbelliti. Cosi la pensa Agostino nel lib. della Citt di Dio. E ci avverte
Vossio nell aureo suo trattato De fatione studiorum, che non si dicono favolose
le antiche et, perch sia falso ci che di essici vien riferito dagli scrit-,
tori, ma perch la storia di quella ci
pervenuta insieme colle favole mista, e confusa. /u M : oj : ntriq r :
oqflj v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l =
irnoai 4 /ini AD Jflmq 3E : Am 34t : 44 -1V84flHMI3:3Hiq3:q/1 4/mmq vo IHltfl 4 14 : I ?434 : I \IA8 JAMAJll V A'!
vq 1 : U434 .- A n 33 4fl mif A4 : Al 3 f 25 tutti popoli anteriori ai Greci, e
che trovansi tutti amalgamati cogli Etruschi nelle et pi lontane. Perloch
convien dire che siano gletruschi stessi, i quali portino diverse
denominazioni, dalle diverse provincie d loro abitate, nelle quali era divisa
lantica Etruria. E come oggi i fiorentini, i senesi, i pisani, i lucchesi, magellani, i casentinesi, e simili, sono
tutti toscani, cosi pure nei pi reconditi tempi gli Umbri, gli Enotrl, gli
Aborigeni, e tutti gli altri annoverati di sopra, erano Etruschi. Silio Italico
lib. a. 0 chiama Ausonia la Lombardia. Ed Eliano lib. 8. della Varia istoria,
crede che gli Ausoniifossero i primi abitatori di Italia-, mentre Pirgilio nel
io. 0 dell Eneide, li confonde con quelli che popolavano questa bella penisola
sotto il regno di Saturno. Servio poi commentando un tal passo, dice che gli
Ausonii furono s dei primi popolatori c Italia, ma non gi i primi di tutti, nei
soli. Ed ecco perch alcuni scrittori hanno compreso sotto il nome di Ausonia
tutta lItalia. Ora tutti i surriferiti popoli, non esclusi neppure i Latini,
che molti autori vogliono che fossero diversi, e dagl Italici propriamente
detti, e dagli Etruschi, ripetono la loro prima origine da una colonia, o
emigrazione qua venuta dallAsia, in tempi forse al di l di quelli che da noi
son detti storici. Lo che fu negato acremente da altri per la sola ragione di
potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di Etruria, e che vi
sintrodussero insieme con essi, le arti e le scienze, e perfino la cognizione
dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza offendere il senso comune,
che queste regioni erano popolate molti secoli prima che i Greci le
conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in seguito delle colonie,
conviene di necessit ammettere, che i Greci non furono i primi abitatori
dItalia, e per conseguenza neppure di Etruria, e molto meno insegnarono loro a
parlare. Quando peraltro non voglia credersi, ch i popoli italici, e gli
Etruschi, fossero tutti muti prima dell arrivo dei Greci fra loro. Laonde cade,
e si annulla il sistema dei fautori del grecismo. Macrobio infatti ammette un
diluvio, non gi ai tempi di Deucalione, e di Ogi- ge, ma bens a quello di
Giano, chei qualifica per primo re di tutta l'Italia. E Dionisio dAlicarnasso,
che sempre in contradizione con se
stesso, dopo avere scritto che i Pelasghi furono i primi popolatori d! Italia,
che 5oo anni prima di Giano ne scacciarono i Siculi, e che gli Enotri eransi
prima dei Siculi stabiliti nell Umbria, pretende poi di darci ad intendere, e
farci credere, che Giano precedesse la venuta di Enea in Italia di un solo
secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto secolo d oro, ossia il secolo della pace,
e della giustizia, fu secondo Virgilio, ed altri scrittori antichi, quello in
cui regnarono Saturno, e Giano, questo non pu essere stato posteriore all et di
No, e de'suoi figli, che dietro gli insegnamenti paterni, calcarono essi pure
la via della giustizia, e coltivarono tutte le virt sociali. Etr Mas. Chius. Tom. nemico se gli Dei, per
suggerimento di Nettuno, non lo avessero voluto salvo 2 . Or non vedi qui pure
Achille che tenendo lo scudo lungi da se, pone mano alla spada ? Non vedi il
Tanato che quasi obbrobriato volge il tergo alla pugna col suo martello sugli
omeri, per mostrare che morte non avea luogo in quel conflitto, perch ad ogni
costo dovevasi Enea salvare alla gloria dItalia? Questo disegno una quarta parte del suo originale in marmo d
alto rilievo. Qui si mostrano i due laterali scolpiti del cinerario che nella Tavola. Nell'uno e nellaltro sono
rozzamente indicate due porte, che rappresentano, credo io, le infernali, alla
custodia delle quali stan vigilanti due ministri del Tartaro. La figura
femminile al num. 2 visibilmente una
Furia, come dichiaralo quella face che regge con ambe le mani; di che detti
altri cenni 3 ; la virile col martello sugli omeri il Tanato, altrimenti detto Cliarun tra gli
Etruschi \ e confuso collOrco, ministro anchegli di morte e dinferno, che
spesso incontrasi nei monumenti antichi dEtruria 5, e non gi tra quei de J
Greci, n deRomani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per
coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovr trattare altrove; ora avverto
che questa la terza parte del suo
originale : Affinch I urna cineraria gi esposta si mostri compita, fa d uopo di
non disgregarne il suo coperchio, dove si vede un seminudo recornbente con una
patera in mano, nellattitudine stessa che vedonsi rappresentati gli Etruschi a
mensa. N la patera disdice a chi cena, mentre vedesi usata a convito dai
commensali 6 . La veste che in parte copre il recornbente detta sindone, pure usata ai conviti 7. La
nudit della persona indica 1apoteosi, di che altrove d conto 8 . Il frammento di
scultura segnato in questa tavola, un tufo
tenero, e del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della presente
collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba dove fu ritrovato
non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano lara intiera? chi
crederebbe che questa sorte di monumenti in tenera pietra arenaria si trovino
quasi costante- 1 * spiegazione della Tav. xm. 4 Monumenti elr. s -5 Mono. etr.
ser. i, p. 44 73, 74, 264, 284. 6 Ivi,
ser. vi, tav. F. num. 2 . 7 Ivi ser. i, p, 395. 8 Ivi ser. n,j>. 628. Nelle
urne di Volterra parventi ripetuto questo soggetto medesimo, ed ivi
spiegandolo, avventurai linterpetrazione di un fatto tebano, del quale io
stesso poco andai persuaso, n ora saprei meglio dire. Vi suppongo Anfiarao
nellatto daver tagliata la testa di Menalippo, che Tideo, sebben ferito, aveva
gi ucciso; e gliela port, per cui da Tideo medesimo fu commessa latrocit di
aprir quel cranio, e divorarne le cervella. In ogni restante ancora son simili
queste due sculture, sebbene men rozza lurna di Chiusi. Questo disegno una quarta parte del monumento originale di
marmo in bassorilievo. Quanto la frequenza delle rappresentanze di avvenimenti
ferocie marziali, come quei della tavola antecedente, fan giudicare letrusca
nazione dumor malinconico 3, altrettanto voluttuosa e molle giudicar si
dovrebbe dal presente gruppo che appartiene alla scultura antecedente, per
esser quella unurna cineraria, questa la di lei copertura . Credo per altro che
luno e laltro soggetto non dallindole degli Etruschi abbia origine, ma da loro
massime di religione, dove dicevasi che la vita era un irrequieto contrasto, e
la morte conduceva ad un vero godimento, il quale non sapevasi esprimere che
mediante la soddisfazione dei sensi 3. Mentre il fasto orientale sfoggiava in
lusso degli abiti, lEROISMO dei Greci caratterizzavasi col MOSTRARSI A NUDO Tra
i guerrieri di questo bassorilievo ne vedi uno vestito, e in questo caso
potrebb' esser troiano, e tra i Troiani credilo ENEA, che soggiacque a mille
peripezzie di grave cimento, senza per mai soccombere, perche gli Dei, per quel
che ne dicono Omero \ e VIRGILIO 5, avean destinato chegli regnar dovea sopra i
superstiti Troiani, e sopra i figli dei figli, e sopra quei che appresso erano
per venire da loro. Difatti racconta specialmente Omero che Achille, cosa
strana ! si sgoment nel combattere con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo,
cercava di sottrarsi ai colpi vibrati da quelleroe 6 ; ma poich questi a
vicenda contrattosi colla persona, e copertosi collo scudo evitava lassalto
dell avversario ', come nel bassorilievo mirasi espressa la figura che ne
occupa la parte media, Achille allora pose mano alla spada, ed avrebbe
trucidato , pag. i8t, lettera al dott. Maggi, a Inghirami, Lettere di etnisca
erudizione, Tom. 3 Lettere, lettera di Maggi. mente mutilati? Eppure cos; n ci far tanta sorpresa, se consideriamo
che anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti dagli antichi.
Sarebbe forse ella mai una ferale cerimonia liturgica ? Qui osserviamo ancora
un vasetto in pietra arenaria, tre quarti men grande del suo originale; ed simile a quei che prima dicevansi
lacrimatorii, e che ora si dicono unguentari 3, perch si vedono in mano di chi
versa unguenti sul rogo 3, n questo dei
comuni per la gran somiglianza coi vasi egiziani delluso stesso.Notiamo questi
recipienti con volgar nome di bracieri, mentre per tali si tengono quei che
sono atti a contener brace, ed insieme i vasi escari, e culinari. Ma loriginale
qui copiato a met di grandezza, non fu vero braciere, n veri escari quei
recipienti che vi si contengono, mentre luno e gli altri sono di fragile terra
cruda, non atta a resistere leffetto del fuoco . Io suppongo essere stati
adoprali nei riti funebri i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a
bruciar vittime, e profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in luogo
di lasciar questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del rito, altri
bracieri di semplice figura, e formalit, perch di terra non cotta,
sostituivansi a quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo, consueto simbolo di buon augurio, che vedemmo
altrove 4 . Le varie teste che ornano lutensile han pur esse il significato
medesimo relativo alle anime, come in altre occasioni ho notato*. Serve la
tavola presente a mostrare qual fosse la forma esteriore del braciere o
escaria, o estia che dir si voglia, la quale vedemmo nella parte anteriore
disegnata nella tavola antecedente. Le sfingi e larve che vi si vedono apposte,
sono analoghe all'uso ferale di questi monumenti 6 .Questo vaso ch una quarta
parte dellariginale, della solita pasta
nera con ornati, e figure a bassorilievo i, le quali sono in questo disegno
della loro naturai grandezza, e ne occupano tutto il corpo. Ivi son ripetute
tre volte. La prima di esse figure indubitatamente un Marte; e in conseguenza la donna che
gli dappresso, quantunque priva di
attributi, pu credersi Venere, che nella mitologia 1 Museo Chiaramonii Tav.
xxv. 5 Pollux. 1 . i, segm. 3 . 2 Paciaudi, Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo
6 Motium. etr. ser. i, p. aao. 3 V e d. p. ij, 7 Vcd. la spiegazione della Tal.
ini. SUL GRECISMO CHE SINCONTRA NELL' ETRUSCO, SULLE ARTI GRECHE OSSERVATE IN
ETRURIA, E SULL ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA ITALIA. Era involta lorigine
degli Etruschi in ima impenetrabile oscurila fino dal tempo in cui scrivevano i
pi antichi storici che noi conosciamo. Lo che fa certamente gran maraviglia,
quando si riflette all esteso dominio di quel popolo, s celebre, e s potente,
che aveva una Casta sacerdotale, e possedeva tempo immemorabile un particolare
alfabeto, ed era pi avanzato nella civilt di tutte le altre nazioni di Europa.
E ci molto prima dei Greci, pensino, e ne scrivano in contrario, i dotti
compilatori della Rivis a Lungo. Tutto quello poi, che noi sappiamo della sua
susseguente istoria, e c e e suistituzioni, non ci stato trasmesso che dalle nazioni
contemporanee, giacche gli scritti degli autori etruschi, sono periti da lunga
et. E le loro iscriA ni scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono finora pi
intelligibdi per noi, i quello che lo siano i geroglifici egiziani. Ma se
dunque la lingua etrusco, non in prima
origne la stessa che a greca antica, con piccola diversit di dialetto, come
pretendevano, il Gori, e i suoi fautori, e pi modernamente l industriosissimo
Abbate Lanzi, e tutta la sua scuola. Se i Greci non furono i maestri
degletruschi, in qual modo, riprendono quelli di contraria opinione, s J
incontra cosi frequente il grecismo nell' etrusco, e si osservano cosi
comunemente le arti greche in Etruria . ben rispondere a queste domande, sono
da premettersi alcune considerazioni, che verr qui brevemente esponendo.
Ridonda in primo luogo, nelletrusco, il grecismo, per una ragione opposta
diametralmente a quella predicata, e diffusa fin qui dagli archeologi, cio,
perch furono gli Etruschi ad un epoca assai recondita, i maestri dei Greci, i
quali riceverono da essi, e daglegizi, le prime nozioni della scrittura, per
mezzo dei Fenici, come altrove accennammo. Questi elementi per non erano in
prima origine prodotto indigeno della Etruria, ma v erano stati trasportati da
una pi antica emigrazione asiatica. Osservansi poi, in secondo luogo, in ogni
parte di Etruria, ed anche nel resto dellantica Italia, gli avanzi delle arti
greche, perch quella vivace, ed ingegnosa nazione, che aveva il talento e
lattitudine di perfezionare, non me- Quando si trova nei monumenti Mercurio che
ha sulle spalle un ariete, se gli d il nome di Crioforo, e cosi nominavasi la
di lui statua venerata in Lesbo, che avea scolpita Cakmide, a significare
ch'era il dio dei pastori, come crede la plebe, mentre altri asserivano eh
aveva liberato quei di Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma
espiatoria intorno alla citt, con un montone sulle spalle. Ma il vero senso,
bench mistico di quellatto, la
congiunzione del sole col segno dellAriete, per cooperare allo sviluppo della
generazione, mediante la quale son rivestite le anime dutnana spoglia, per cui
credio che talvolta il nume vien espresso con lubriche forme. Il religioso
cerimoniale deglidoli portava in fatti che lariete o lo stesso nume si
rappresentasse nelle patere libatorie per onorare i morti. Questa pittura nel mezzo d una tazza di terra cotta, che ha
di pi il pregio dessere scritta, ove peraltro non leggesi che un saluto di buon
augurio ad Erilo Epro; K)oe. tavola xxxvr. Di questa muliebre figura non mi
occorre dir molto, per esser gi nota mediante l'estese notizie e congetture che
ne detti altrove . Io la giudicai rappresentativa della divinit presso gli
Etruschi, giacch ne monumenti de'Greci non si trova mai, e la dissi una Nemesi
Dea chebbe origine in Asia, e perci munita di pileo frigio, e di doppie ali,
onde mostrare la velocit del suo corso, per cui le si vedono altres le scarpe.
Ha in mano un simbolo eh' io giudicai allusivo alla natura prolificante w*,
//>, mentre gli Etruschi tennero la narura e la divinit per una cosa
medesima. La corona che lattornia di
frassine, vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento, eh uguale in grandezza
al suo originale, un disco di bronzo
assai frequente tra i monumenti etruschi, lucido nella parte avversa, e
manubriato in sembianza di specchio; e poich se ne son trovati alquanti nelle
ciste mistiche, ove Clemente Alessandrino dice esservi stati riposti gli
specchi unitamente ad altri simboli mistici, cos li chiamai ordinariamente specchi
mistici 3 . i Monumenti etr. ser. ti, dispregiarsi l'etimologia, quanti 1
ella sobria, e ragionata,) comincer da
quelli delle lettere dell alfabeto . 1 quali non avendo alcun significamento in
greco, e portandone uno analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl
idiomi asiatici, ben facile a
comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l Asia derivar
debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha, per esempio, significa
principe, primo, principio, e smili, in pi dialetti asiatici, e precisamente in
quelli cosi detti semitici, nei quali si pronunzia aleph, o alepha, e per
contrazione alpha, cui pare che fosse dato un tal nome per essere la prima
lettera dell alfabeto, Beta, che viene da beth, betha, suono imitato dal belare
delle pecore, e per sempre inalterabile nella sua naturale Semplicit, checche
ne ciancino in contrario i grammatici, i quali pretendono di farcelo
pronunciare bita, ed anche pi barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la
somiglianza che ha questa lettera colla casa stessa, nell Alfabeto semitico.
Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire carnelo, ed imita colla sua
forma la gobba, o le gobbe di quell animale. Cosi delta deriva da da- leth, o
deleth, deletha, e per sincope delta, e significa porta, cui somiglia pure
nella figura. E cosi ancora epsilon fu presa dalla he semitica, e trae la sua
denominazione dal suono che si manda fuori nel pronunziarla. La zeta, deriva
dalla zain, quasi ziian, che vale un arme, perch somiglia nella sua forma ad un
dardo. E cosi percorrendo l intiero alfabeto. La quale opinione acquista una
forza tanto maggiore, in quanto che si osserva, che gl' ingegnosissimi Greci,
non hanno neppure nella loro lingua, che
si ricca, un vocabolo indigeno per nominare la pi bella, e la pi
maravigliosa di tutte le cose create, qual
il Sole. Imperocch la voce, elios, di cui si servono per nominarlo,
non altro chela pura semitica, el, o
eloab, inflessa alla greca . E SIGNIFICANDO essa, fra le altre cose, anche Dio
nel suo primitivo idioma, si vede il perch si propagasse ancora in Grecia, come
altrove il culto del Sole. A maggior conferma poi del mio assunto, ecco una
serie di nomi, presi qua, l senza
scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire, divinit,
eroi, fiumi, monti, citt, provincie, popoli, edifici!, e simili, i quali tutti
sono evidentemente orientali, avendo nelle lingue asiatiche, un significato,
mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi degli altri paesi. Lo che viene a
provare ad un tempo, che i Greci non sono i ritrovatori della loro mitologia, e
che altro non hanno fatto che foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei,
prendendo per cose reali simboli degli
Orientali, e le loro allegorie, e parabole . ti. facile infatti avvedersi, che
Pale, la quale presiedeva alle feste rurali in Italia, e Pallade, che mentre
era la Dea della guerra, e delle arti, insegnava la convenevole cultura agli
Ateniesi, non sono che un soggetto medesimo, sotto due nomi diversi; quali per vengono entrambi dalle voci
semitiche, palai, e pillai, che significano, regolare i cittadini, e da
pillali, che vuol dire ordine pubblico. no che l'industria di farsi suoi gli
altrui ritrovamenti, mand a pi riprese, come tutti sanno, colonie in Italia, le
quali vi fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto, riportarono nelle
nostre contrade, pi belle, e pi gentili quelle arti medesime, che ne avevano
prima trasportate, grossolane, e rozze alla terra natale, i loro predecessori.
Ora, siccome andrebbe grandemente errato il giudizio di colui, che vedendo un
italiano vestito alla parigina, o allinglese, volesse inferirne, che quella
foggia di vestimento sia invenzione italiana, cosi di quelli, che tutto vogliono attribuire ai
Greci, perch i monumenti che ci rimangono dei nostri antenati, sentono pi, o
meno del greco stile, e della greca maniera. N vale opporre, che mancandoci le
autorit degli antichi scrittori, onde fiancheggiarla, e provarla, fa duopo
rigettare una tale opinione. Imperocch, ove siamo privi di monumenti scritti,
che bastino a provare un assunto di questa specie, giuoco forza ricorrere al senso comune, e
farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima conclusione pi di
qualunqu autorit degli scrittori, trattandosi dei non contemporanei. Ora questo
senso comune, e questo raziocnio, rafforzati da un gran numero di nomi, ( oltre
quelli dell alfabeto, e dei suoi elementi ), di fiumi, di montagne, di citt, di
provincie, di divinit, di eroi e simili, ci attestano altamente, e chiaramente
ci dicono, che dessi non possono esser venuti che dall Asia, perch sono
asiatici, e tutti ritrovano il loro significamento negli idiomi di quella parte
di mondo. Ed essendo questi medesimi nomi per la maggior parte assai pi antichi
di tutti i monumenti, e di tutte le storie che finqui si conoscano, non si pu
negare di ammettere, che se asiatici non furono i primissimi abitatori di
Italia, e per conseguenza dEtruria, tali per debbono essere stati
assolutamente, quelli che insegnarono agli Etruschi larte Ai scrivere, e ne
volsero glintelletti alla cultura delle arti necessarie alla vita, e delle
utili, e dilettevoli discipline. E perch non paia ai nan dotti in tali materie,
ed agli imperiti delle lingue orientali, che io mi tragga dalla propria Minerva
siffatte opinioni, cos contrarie alle gi invalse, ed approvate dal maggior
numero degli archeologi, che scrissero sull Etruria, e sugli Etruschi, necessario che io venga esponendo, le
opportune prove di quanto asserisco, ai miei lettori. Perloch, senza veruna pretensione
all' infallibilit delle mie asserzioni, eccomi pronto alla dimostrazione delle
medesime. E tralasciando di riferire in questo ragionamento tutte le
tradizioni, non mai interrotte dai tempii pi reconditi fino all et nostra, le
quali dicono essere stati gli antichi Etruschi nazione cultissirna, e
potentissima, mi ristringer a quella che cistruisce aver eglino attinti i primi
lumi della loro civilt, da una colonia, o emigrazione proveniente dalle parti
orientali, che furono la cuna del genere umano, e di ogni sapere, e non gi dai
Greci, che erano a quei tempi, se pure esstevano, del tutto incolti, e
selvaggi. Venendo pertanto all etimologia dei suddetti nomi, ( che non sempre da Etr. Mus. Chius. ^ libio, e
Tolomeo, dalbascuenze pits, equivalente a schiuma, perch situata, secondo
Rutilio, vicino al fiume Ausuro, e sull Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et
Ausur aquis. Orvieto, chiamato Herbanum da Plinio, prende il nome dalle
celtiche voci herd, e baun che vagliano terra alta. E di l scendendo verso
Roma, incontrasi non lontano dal Tevere il lago Vadimone, o alletrusca
Vadimune, oggi lago di Bassano, alle cui acque attribuisce lo stesso Plinio,
fra le altre qualit, vis qua fracta solidan* tur; la qual salutifera
propriet significata dalla prima parte
del suo nome, chea vateded equivale in celtico ad utile,proficuo,e simili.
Angiunge poi lo scrittore medesimo che era quel lago riguardato come sacro,
perch sotto l immediata protezione di non so qual deit ; lo che viene espresso
dalla seconda parte del nome chei porta, cio, mund, o pi dolcemente mun che
corrisponde difesa, protezione, e tutela. Trovavasi poi al mezzod di tal lago
Fescennio, luogo celebre per le sue oscenit, e le quali sono indicate dal nome,
essendo gitisi appunto licenza, sfrenatezza, il SIGNIFICAMENTO di quello; e per
ne cantarono, Orazio Fescennina per hunc inventa licentia morena, e CATULLO, Ne
diu taceat procax Fescennina licentia; Oltre di che, il celtico wels-hein,
latinamente Fescennium, s interpetra bosco di Venere. Nomina Tito Livio, Fanum
Voltumnae, oggi Viterbo, e credesi comunemente che questa Voltumna fosse una
divinit. Difatti il Dempstero la reputa la prima fra tutte le etnische, e
Banier V annovera frale campestri. Ma da
credere che Voltumna, venga dalle due voci volt e tun, e per questo il Fano
prendesse il nome non gi dalla divinit, ivi adorata, ma dal luogo ov era posto,
poich significa colle percosso dal fulmine,o colle fulminato. Cosi pure, Auno,
famoso Ligure, ausiliare di Enea, quando venne a stabilirsi in Italia, e che
trovasi descritto nell'undecimo libro dellENEIDE, come paurosissimo nello
scontro colla valorosa Camilla, significa precisamente pauroso, timido in lngua
armorca, uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone, che and pure col suo
naviglio in soccorso di Enea, si traduce capitano di mare, come Taro,,f
interpetra gran fracasso, o che f gran fracasso, rovino, o danno, ed ognuno di
leggeri comprende, quanto ci si convenga ad un tal fiume romorosissimo, e
precipitoso. Iasio viene da iasesc, che vuol dire, longevo, antico, e ben
corrisponde allidea, che ce ne danno ipoeti, come Capi deriva da capasci, uomo
libero, traendosi da ca- pasc, libert. Laberinto procede da labiranta, che vuol
dire torre, palazzo; Trittolemo da triptolem, che vale lapertura dei solchi,
Celeo da celi, vaso, ordigno, masserizia, e per dice VIRGILIO (si veda), Virgea
preterea Celei, vilisque supellex. Palilie, ossia la festa deglistituti, e
delle leggi, derivada palili, c he significa lordine pubblico, o da peli], che
vale moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in Isaia, Penati, voce che deriva da penisi!, luogo interno, o
intimo, e la cui radice penh, che vale
penetrare; tutte le quali significazioni convengono benissimo a quelle
familiari divinit degli antichi Romani. E Levana deit latina essa pure, la medesima che Lucina, la quale sostenta i
nati di fresco, e deriva da Jevanh, che vuol dir Luna. La Parca, non cosi detta a non parcendo, come pretendono i
Grammatici, e gli Etimologisti latini, ma bens da parech, che vale rottura,
perch tronca essa il filo della vita; come Cerere, da gheres, spiga matura, e
Cibele, da chebel partorire. Difatti quella prima la dea delle messi, e viene riguardata la
seconda come la madre di tutti gli Dei . Osservo il Passeri, che Venere, detta
Venus dai Latini, era parola sconosciuta ai Greci, i quali esprimono questa
pagana divinit, colle voci Sfpofarv, topo, Afroditi, o Afaodite, Kipris,
Kitereia. E fu per lungo tempo ignota anche ai Romani, come attesta Macrobio
nel primo libro dei Saturnali. Afferma poi Earrone che il notile di questa Dea,
non conoscevasi fra gli stessi Romani, n greco n latino, neppure sotto ire. Ed
aggiunge Pausatila nel suo primo libro, che era ignoto agli antichi Greci, e
che lo aveva trasportato fra loro Egeo dalla Fenicia, e dallisola di Cipro. Gli
Etruschi per conoscevano benissimo una tal Dea, eia chiamavano Vendra, come
rilevasi da un antico specchio mistico . E la sua origine sente d ebraico,
avvegnach, ben-thara vuol dire figlia del mare perch tbara significa umidit,
dal qual vocabolo fecero i Grecite, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono
dette Tbarso quasi tutte le citt marittime, e tarsisc, il mare, il lido, un
porto. Dalla stessa voce ben, che si cangia spesso in ven, per le regioni a
tutti note, furono composti molti nomi di Dee, come quello della Bendit degli Sciti,
di Bentasicima figlia di Nettuno presso Filostrato, ed altri. N vennero da una
sola parte, e nomi, e riti, e costumanze asiatiche in Etruria, ed in tutta
Italia, ma per pi e diverse vie: peri oche non da un solo linguaggio asiatico
trar si debbono le spiegazioni d questi nomi, ma da pi, e diverse lingue, e
dialetti di quella famosa contrada. Quindi tutti i celtici, e tutta la gran
famiglia degl idiomi cos detti indo-scitici, possono esser messi utilmente a
contribuzione, come altra volta accennammo per la retta intelligenza dell
etrusco, e per interpelrare gli antichi monumenti del nostro paese-.Dal che
viene a dimostrarsi, che il dotto, ed acuto padre Rardetti, non aveva poi tutti
i torti, di che altri volle troppo leggermente aggravarlo. Ma riprendiamo la
nostra disamina. LIGVRIA, nome di quel tratto di paese, detto la riviera di
Genova, fu cosi detta da Liguria voce bascuenze,che vuol dir soave. E si
formarono probabilmente da questa, il verbo latino, ligurire, che significa
mangiare soavemente, o mangiare cose soavi, e il nome greco liguros che vale
anche soave. Pisa, cosi chiamata, o per la figura dell antico suo porto, che si
trarrebbe da pi* se,che vale in dialetto lidio porto lunato, o se fu detta
Pissa, come la chiamano Po - II NUDO idoletto in bronzo che in questa Tav. si
espone davanti e da tergo, nella grandezza medesima delloriginale, con altri
similissimi a questo, sparsi pe'musei, forma soggetto di mature, ma non per
anche fruttifere riflessioni degli archeologi, che se per un lato vi ravvisano
una gran somiglianza coi monumenti egiziani da far sospettare che sian idoli
venuti dEgitto in Etruria, atteso specialmente il costume e f acconciatura
anteriore e posteriore decapelli; dallaltra non concepiscono come gli Etruschi
abbian potuto ridursi a mendicare manifatture dEgitto,menti' erano essi
medesimi famigerati artefici; n la storia ci addita in conto veruno un traffico
simile tra le due s disgregate contrade.
vero che Strabone veduti i lavori dambedue le indicate nazioni, li
giudic di un medesimo stile, simile a quello dei Greci antichi ma par chei ci
riferisse allo stile dellarte, e non al costume delle figure . In qualunque
modo peraltro si volesse risolvere lobiezione, qui non sarebbe luogo opportuno
di estendervi. Laltro bronzo che rappresenta una fiera testa di lupo, serv
probabilmente per ornato nel manubrio d un arme da taglio. Ebbero gli antichi
una singoiar cerimonia religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio,
consistente in un convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto, dove
si apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che
lautamente mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre
mense ed altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi, aquali
porgevan vivande, come se fossero stati realmente Ior commensali =. dunque probabile che il presente rudere
antico facesse parte dun di queIetti che preparavansi per le statue, i quali si
potevano usare a tal uopo di qualunque grandezza. Lornato stesso di un seguito
di figure tutte ugualmente recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa,
fan sospettare delbanaloga di rappresentanza colluso accennato del rudere, chdi
pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente disegno. Lo stile a
parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo dun antichit non poco
lontana. gi noto all osservatore il nome
e luso di questo mobile, per le tavole, al cui proposito dissi che \non veri
foculi, ma figure di Monum. etr. ser. m,
p. 4 oi. a LIVIO. Laurent, de prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 *,
il secondo in Giobbe. E Pamilie, festa che veniva dopo la raccolta, ed il cui
significato e 1 uso moderato della lingua, da dove s introdusse presso i Greci
il costume di fare esclamare e rivolgere al popolo le parole pi yWoias tamnete
glossas. cio, troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul,
la bocca circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome era
questa una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e felici,
cos tutte le piccole societ dei congiunti, o daltre persone che vivono insieme,
furono dette fatniliae, e da noi famiglie. Camilla voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo,
e significa ministra degli Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa
un tal nome, ci che dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu, giacch cam
vaia mano, ed bill figliolanza, come osserv Eccardo al titolo 23 della Legge
Salica. E filia a manu, o serva a manu e una espressione convenientissima alle
giovinette, che metter dovevano le mani in cento cose, essendo destinate a
servire. Tarconte, autore secondo le favole di Tarquinia, fratello di Tirreno,
o disceso da lui, che sopraintese a dodici citt, il che non bagattella,f secondo la verit storica un
valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne denominato lo scudo 5
tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o dellarmorico targad. E
finalmente, Tages, o Tagete, che narrano esser saltato fuori fanciullo, dalla
terra che sfavasi arando, che fu alla nazione etrusca il primo maestro
delVaruspicio, che il senatore Buonarroti lo ha creduto espresso nella tavola
45 fra le aggiunte al Dempstero, non pu venire che dalla voce asfcia, tag, la
quale significa giorno. E pare che gli Etruschi volessero fare intendere con
questa figura, o parabola, che i giorni, p come noi diremmo il tempo, aveva
loro insegnato l aruspicina, o l'arte di antiveder l avvenire. Avvegnach di
simile parlare figurato, sono ripiene le pagine degli scrittori sacri, e
profani. Dei quali baster nominar qui, tralasciando gli altri, David, Pindaro,
Tullio, e VIRGILIO. E siccome dice lo stesso Pindaro che le ore avevano
insegnato agli uomini molte delle antiche arti, cos poteva secondo gli
Etruschi, aver loro il giorno insegnato l aruspicina-, Imperocch scrive il
prelodato Tullio, che opinionutn commenta del etdies, naturae iudicia
confirmat; E Virgilio cant, Turne, quod optanti, divum permittere nemo Auderet,
rolvenda dies en attullit ultro. Domander ora ai dotti, se dopo la spiegazione
da me data a tanti nomi dei quali potrebbe estendersene il numero per
centinaia, e migliaia, sia possibile che una fortuita combinazione, possa
rendere cos ragionevolmente corrispondenti i loro significati, agli usi, ai
tempi, ai luoghi, ed alle circostanze degli oggetti per essi indicati. 4 va spossato di forze; e incontro a lui, come
narra Omero i Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe.
Il berretto asiatico, del quale il recombente
coperto in questa tavola, mostra pi manifestamente che altrove la sua
qualit di Troiano, e perci mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che
vedonsi rovesciati a terra, fan fede che il fatto accade in un campo di
battaglia; e nel tempo stesso pi che bellezza, d merito al monumento quella
ricchezza di lavoro, che netempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello,
che n il vero pregio. La ricchezza colla quale vedemmo decorata di scultura
l'urna cineraria in marmo, il cui disegno
stato presentato nella tavola antecedente, tre volte pi piccolo della di
lei grandezza, non potette appartenere che a persona qualificata e facoltosa.
Ci si verifica nell'osservarne il coperchio in questa tavola disegnato, sul
quale riposa un giovine riccamente vestito, decorato di onorifiche insegne,
quali sono principalmente lanello e la corona di alloro che ha in mano, il
torque che gli orna il cllo, ed un ricco balteo che dall' omero sinistro gli
scende al destro fianco. La corona che ha in capo non di semplice onore, ma gli spetta come
recombente a convito: posizione che viene affermata dalla tazza che ha in mano,
come usa chi sta a mensa. stato
ragionato dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non poco del
favoloso 3, come lo prova inclusive la diversit colla quale narrata, ma nella variet della favola v gran
concordia tra i mitologi per introdurvi i cavalli 4 . Or poich veri
combattimenti antichi a cavallo non si conoscono descritti dagli autori detempi
omerici, o poco dopo, cos non resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti
5, o con gli Ateniesi 6, che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le
rappresentanze dellantichit figurata. Dunque intendo di calcar le massime
consuete spiegando il presente bassorilievo per un Amazone equestre, la quale
combatte con un militare a piedi, sia pur costui un eroe degli Argonauti
seguaci di Ercole, o un Ateniese del seguito di Teseo. La Furia con face in
mano spesso introdotta nei combattimenti
anche dai tragici greci 7. Lurna cineraria in marmo originale misura quattro
volte questo disegno. La semplicit dello stile caratterizza questo bas- i
Iliad. a Inghirami Galleria omerica, Iliade Tav., Monumenti etr. Diodor. Sic.
Monum. etr. 7 Ivi, Ser, 1. p. 269, 3 i 6, 477
534 5 ^ 9 568 . 3 9 essi erano quei che si trovavano
entro le tombe di Chiusi, perch essendo di terra non cotta, potevan soltanto
servir per figura in qualche sacra cerimonia 1 2 . Ecco pertanto in questo
disegno uno de veri foculi, o thimiateri qualora questo braciere sia stato in
uso per cuocer vittime, percb di bronzo, e per ci capace a resistere all'
azione del fuoco, siccome anche i vasi e gli altri arnesi da cucina, che vi si
trovarono dentro. Anche la sua grandezza eh due terzi maggiore di questo
disegno, attesta della capacit dessere stato ado- prato. Lindefessa gentilesca
superstizione ci fa supporre, che non a caso fosse un tale utensile ornato dal
Capricorno, ripetuto nei quattro suoi angoli, mentre ogniun sa che quel celeste
segno fu oroscopo di fortuna, che tennero per loro impresa Cesare Augusto,
limperatore Carlo V, e Cosimo I Granduca di Toscana. Quell'animale vi sta
dunque in luogo del gallo che vedemmo nellaltro foculo gi rammentato. La forma
di questo foculo di terra nera e non cotta permette che se ne osservino
distintamente i vasi da cucina e da tavola ivi contenuti. Le replicate teste
dariete ivi affisse, nonlascian dubbio che il vaso non sia fatto espressamente
per uso sacro, ed allusivo a Mercurio; il quale presedeva alle libazioni, come
il mediatore delle preci che gli uomini porgevano ai numi 4. Oltredich ci noto, che alle anime, come anche ai numi
infernali, facevasi olocauso dun ariete di color nero; ed io vidi a questo
proposito vari bassi altari nel museo etrusco di Volterra, ornati di teste
dagnelli, come il foculo qui esaminato. In un bassorilievo trovato a Chiusi,
ove sembrommi di vedere il medesimo soggetto che nel presente, all'occasione
daverlo dovuto spiegare, scrissi quanto appresso. Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea
dalle furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immagin di
lasciar combattere a saziet i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea lidolo, 9
1 ombra di lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento di due partiti per
un fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la
rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva il simulacro dEnea
caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Diomede, in atto di
cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si tro- 1 Ved. Tav.,
VIRGILIO, Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L Varr ap. Geli. 2 Inghirami, Im, e R. Palazzo
Pitti, p. 88. ! iu, c. 11. 3 Ved. Tav. 6 Ilomer Iliad. Monuin. etr: ser. n, p.
mostra in questa Tavola il disegno rappresentatovi, non potea meglio esprimere
in esso un tale avvenimento, poich dipinse Peleo qual destro giovine preparato
alle nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti, che quasi per coprirsi J volto col ve lo per lonta di
quell'atto. Peleo esegu ci per consiglio di Chirone divenuto il di lui suocero
con quelle nozze. A lui davanti Peleo conduce la sposa, quasi che gli
domandasse assenso della unione maritale, mentre il centauro collatto di
stender la mano dimostra lannuenza paterna dellimeneo. superfluo il sospettar chaltra favola sia
rappresentata in questa pittura fuor che quella di Peleo e Teti davanti a
Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi si leggono setie teaes kipos,
e quindi un nome proprio di Nicostrato collaggiunto consueto nikoztpatos kaaos.
Le figure qui riportate son alte la met di quelle che vedonsi nella pittura del
vaso originale, che ha fondo nero, con lettere dipinte in bianco appena
visibili. I vasi che han la forma come il presente sogliono avere altres tre
manichi, ed una sola fronte ornata a figure; questo a differenza degli
altri dipinto da due parti, una delle
quali descritta nella Tavola
antecedente, f abra, che dir si potrebbe la parte opposta del vaso, a causa
della inferiorit della esecuzione del disegno,
la qui delineata, ed il vaso tracciato sotto di essa poco pi della decima parte delloriginale, in
fondo nero con figure rosse. 11 vecchio calvo che sta nel mezzo a due donne in
atto di correre o di ballare, tema
comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno di essi, per quanto appresi da S. E.
il principe di Canino esimio possessore e cogni- tore di tali pitture, uno di
essi, io diceva, manifesta con epigrafe il nome del vecchio Tindaro, dal che si
dedurrebbe essere una delle donne la figlia Elena danzante con una delle sue
compagne nel tempio di Diana, dove fu rapita da Teseo, e portata in Atene: tema
che ora mavvedo essere pi chiaramente espresso nel vaso che io inserii
nellopera dei Monumenti Etruschi, e che dissi allusivo al corso degli astri a,
e che ora maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di quel ratto
con la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri simili tratti di quella
favola, i quali non significano in sostanza che un continuo levare e tramontare
degli astri 3, e delle combinazioni loro con la luna: nome che in greco porta
con poca variet anche Elena Selene da sto la risplendente, e aiUn la luna. La
figura di questa Tavola dipinta nella
grandezza medesima in una tazza di terra cotta con giallastro colore su fondo
nero, il cui aspetto ha tutti i segni del sati 1 Ser. v. Tav. g 8 . 2 Ivi, ser
v, p. 87, li 4, 4 Ivi, p. 567. sorilievo non distante dai buoni tempi dell
arte; e se la figura equestre comparisce alquanto piccola, fu condotto a s
ingrata licenza lo scultore nel volervi introdurre delle figure a piedi e a
cavallo protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero il fondo sul
quale son collocate. Prima di coricarsi a mensa usarono glitaliani dei primi
tempi di Roma di spogliarsi de'propri abiti, e prendere un manto che dissero
veste cenatoria o sindone, colla quale in parte avvolgevansi e in parte potean
restare a nudo, per aver le braccia pi libere allazione di prendere il cibo,- e
cos coperti dieevansi dai latini semi-amidi, ma quelluso fu abbandonato e non
tardi, ond che dErodiano fu addotto come affettata imitazione delle antiche
statue Di tal costume par che serbi memoria la figura della Tavola presente che
giace sul coperchio,spettante allurna in marmo che antecedentemente abbiamo
veduta. Dell'iscrizione sar dato conto a suo luogo. Il vaso che qui si mostra
un terzo pi piccolo dell' originale, di
quesoliti di terra nera che si trovano a Chiusi, n potrassi mai supporre che
siano daltra fbbrica fuori della chiusina, poich oltre la terra nera e non
cotta che vi si adopra- va pi che in altre officine, hanno essi vasi certe
forme, una delle quali la presente, che
mostrano un carattere del tutto originale ed unico, s nelle sagome, s negli
ornati. Accenna Omero essere stata volont degli Dei,che Peleo togliesse Teti
per moglie, quantunque Dea; mentre quelleroe non avrebbe volontariamente
aspirato ad una unione s eminente. Apollodoro ne spiega pi minutamente il
successo, e dalla di lui narrazione par che abbia origine questa pittura. Era
fama che Giove unitosi con Teti, da cui rest incinta d'Achille, ne procurasse 1
imeneo posteriore con Peleo, quantunque mortale 3 . Quindi soggiunge
Apollodoro, che il centauro Chirone consigli Peleo ad impadronirsi della ninfa
divina con sagace destrezza, n lasciarla andare, per qualunque forma chella
avesse presa. La insidi difatti Peleo, e quantunque la Dea si trasformasse in
acqua, in fuoco, ed in bestia feroce, egli ritennela finch non ebbe ripresa la
di lei primiera forma di ninfa. Il pittore del vaso di cui si i Monum. Etr.
ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine
lliad.H-imer. lliad. Elr. Mas . Chius. Torti.
I. ragionamento y SUGLETRUSCHI Disputarono lungamente fr loro gli scrittoli,
come abbiamo accennalo, intorno all origine degletruschi, e fabbricarono su
questo soggetto tre sistemi diversi. Volevano, per esempio, alcuni che eglino
fossero un popolo uscito dalla Grecia, ed una colonia di Pelasghi, mentre
sostenevano altri che erano Lidii, e veni nano dall Asia, ed altri finalmente
affermavano essere i medesimi originarli di Italia. La quale ultima
opinione ragionevolissima, e noi la
crediamo la vera. I moderni poi hanno superato gli antichi nel numero delle
ipotesi, e dei sistemi-. Imperocch il Maffei,col Mazzocchi, ed il Guarnacci, li
fanno venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall' Egitto, il Pelloutier, il
Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li crede Humboldt I anello di comunicazione
fr i Latini, e gl Iben, laddove Niebuhr riguarda la Rezia come la primitiva lor
sede. Ed in fine il Mailer suo discepolo, adottando un termine medio, ammette
un popolo primitivo di Etruria, eh ei chiama Rase ni con Dionisio d
Alicarnasso, e sulla cui origine lascia la qm- stione indecisa, bench creda d
altronde, che questi Raseni si mescolassero coi Pelasghi, qua venuti colle loro
colonie di Lidia. Ora questa moltitudine dipotesi antiche-, e moderne, da altra
causa non possono crtamente procedere, che, oda troppa leggerezza, e
precipitazione nell esaminare i monumenti dei nostri padri, o da impremeditato
sistema in coloro, che ne presero a scrivere, o dal pi nocivo di tutti i
sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che vi sifaccia attenzione, e si
vogliano mettere alla prova, non
difficile a chicchesia di accorgersi, che q.essuna di quelle iptesi, e
nessuno di quei sistemi, contiene elementi che bastino a diradare il buio che
involge le cose etnische, ed a spiegare, anche probabilmente i monumenti che ci
rimangono di quella illustre nazione. Scegliendo peraltro da ciascuna di quelle
ipotesi, e da ognuno di quei sistemi, ci che v di pi ragionevole, e di pi
giusto, e formandone un insieme, vi si trover, se il giudizio nostro non v
errato, quanto f di mestieri, per portar piena luce e spiegare con ogni
chiarezza, e senza replica, tutto quello checi rimane di etrusco. Stabiliremo
dunque frattanto, che furono glEtruschi un popolo particolare dItalia, indigeno
di questa bella penisola, che ebbe, com
naturale, una lingua sua propria; la quale non la. Stessa che la greca antica,, come
dimostrammo nel precedente ragionamento, e che anzi ne differisce mollissimo,
anche per sentimento del prelodato Mailer. Col quale aggiungeremo, a conferma
di quanta asseriamo, che inori>', dei loro ro: orecchie ircine, barba
prolissa,naso simo e coda di cavallo. L'otre vinaria ove stassi assiso pure suo speciale attributo. Liscrizione
letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il significato panaitios
iupos kacos. Non oso farvi emenda, mentre non avendo io veduto il monumento,
non posso n asserire, n porre in dubbio se questa sia la vera lezione. Quando
non vogliasi azzardare il supposto che la terza lettera dell ultima voce sia
nell originale un p, per cui avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in
altri esempi si vede, potremmo almeno pensare ad una omissione dellasta che del
c ne dovea formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe
alludere al vino, quando n fatto abuso. N nieu dubbie si mostran le altre voci,
a meno che vogliansi leggere - tv -7 bifidi) : dfiUfVf: V13M : lllfttqfi : 04
:4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43 #filflfiOmfiq ; invddfi : O4 > /in fio
Doppia epigrafe 4fi Sopra il coperchio filfin8dV3 Nell orlo del coperchio
Iffifliqa : ignqfiq : Jfi 1 -r fi sic om 131 : lantqfi : I O q fi 4 fiinvi-nai
: firmo filflfl031 6 * 46 il nome di quei nuovi coloni, e non quello dei
primitivi alitanti. Imperocch, trovandosi, prosegue lo stesso Mailer, nella
Tavole Euguhine, la parola Tursee, con quelle di Tuscom, e di Tuscer, impossibile di non conchiudere, che dalla
radice Tur si sono fot mali Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla radice Qp,
derivaronsi Opscus, ed Oscus; Di maniera che Tuprvoi o Tv eP moi e Tusci, non
sono che le forme asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo nome Che del
resto, un argomento per noi fortissimo, atto a dimostrare oltremodo remota la
civilt degli Italioti, e singolarmente degli Etruschi, ricavasi pure da tutti
quegli antichi scrittori, i quali parlano della cosi detta Confederazione
etnisca residente a Fiesole, e da tutti quei Gronlogisti, che ne fissano lo
stabilimento a lobo anni prima dellera volgare ; dei quali vedasi, fra gli
altri, il Sg. de Long-Champs, nei suoi Fasti universali. Lo che ci fa credere
che gli abitanti d questa regione, avessero gi acquistale fino diallora, non
ordinarie nozioni di politica teoria. Ed infatti, bench la voracit di secoli, e
pi ancora la feroce ambizione, e la crudele prepotenza romana, ci abbiano
invidiate le storie etnische, ed anche la maggior parte dei monumenti di quel
popolo celebratissimo. Bench la vanit senza limiti dei Greci, sia venuta, per
giunta alla derrata, ad involgerne di puerili, e RIDICOLE FAVOLE, perfino il
nome, non che le azioni dei nostri antenati, per quella loro presunzione
stoltissima, di far credere che tutte le altre nazioni del mondo, non furono
nulla, in paragone di loro; esistono pure tuttavia in Etruria delle
costruzioni, che gli eruditi chiamano Ciclope, perch non hanno il carattere, n
fenicio, n egizio, e che sono per conseguenza indgene, le quali sfidano da
quattro mila anni a questa parte,glinsulti degli uomini e gli urti del tempo, e
stanno a conferma di quanto asserimmo qui sopra, circa la suaccennata civilt, e
straordinaria potenza, ed energia degli Etruschi . E tali sono, fra le altre,
le mura di Volterra, e di pi altre citt dell antica Etruria, le quali sono
formate di enormi macigni, senza alcun cemento, resi fermi soltanto dal proprio
peso- Mal epoca della colonizzazione, della quale parlammo di sopra, non si pu
fissare che per approssimazione. La quale peraltro cred il Mller, gi citato pi
volte, che coincida colla emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e
prodotta da quella, e se la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono
pure i compilatori di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero
possesso i nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose
guerre, prima di spossessarli delle trecento citt, che eglino occuparono, al
dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che fu pi tardi chiamato
Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi si estesero dalla parte
del Mezzogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed anche al di l nel Lazio, come
lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano. E dietro le tradizioni popolari,
quello stesso Tarconte, al quale si attribuisce la fondazione delle dodici citt
di Etruria, condusse anche dodici colonie al di la degli Appennini, e vi gitl
le fondamenta di Dei, non sono quelli che s' incontrano presso gli Elleni, e
che trovatisi nelle dottrine dei Sacerdoti Etruschi, molti punti, affatto
diversi dalla greca teologia. E ripeteremo ci che altrove dicemmo, che la
sorte, cio, di questa nazione, pare che
quella di essere debitrice dei suoi primi progressi nella civilt, non ad
una trib greca, o mezza greca, siccome crede lo stesso Mailer, e con esso lui i
dotti compilatori della Rivista di Edimburgo ; ma bens ad una emigrazione
asiatica, pi antica dei greci medesimi come abbiamo assento, ed in parte ancora
provato nel precedente ragionamento. N punto esiteremo d affirmar qui, che la
lingua etnisca, o ella non fu mai scritta nella sua purit primitiva, e scevra
di ogni mescolamento di stranieri vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima et,
non fino a noi pervenuto alcun monumento
scritto, il quale ce ne possa far fede. E ci sosteniamo con tutta franchezza,
perch quelli conosciutifinqui, sono tutti composti, senza veruna eccezione, di
un rnescuglio di voci, prese ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di
quegli antichissimi linguaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti gi
pubblicati in quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in altro
discorso a questo solo scopo diretto. Sul proposito per dell' essere, o non essere
gli Etruschi una trib greca, o mezza greca,
molto curiosa la novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mller, e
con esso ancora i surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove
dicono che i toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali leggende,
la propria civilt alla marittima citt di Tarquinia, e nominatamente a Tarconle.
I quali due nomi altro non sono, secondo essi, che due variazioni di Tirreni .
Ma questa una greca invenzione, ed anche
di moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi, ed similissima a tante altre dello stesso
calibro, dai medesimi Greci accreditate, e spacciate per fatti, intorno
allorigine di tutte le pi celebri nazioni dellantichit . Ed aggiungono i
medesimi autori, che sbarcarono precisamente a Tarquinia, e col stabilironsi da
prima, quei terribili Pelasglii di Lidia, i quali portano seco le arti, e le
scienze, che avevano gi apprese o nella patria loro, o nei loro viaggi -,
credendo di poter cosi conciliare maggior fede al loro racconto circa la
primitiva civilt degli Etruschi. Al venir dunque di si fatti coloni, secondo
quell' eruditissimo prussiano, e quei dotti inglesi, vide per la prima volta
'questo barbaro pase, degli uomini coperti di bronzo, equipaggiarsi a suono di
tromba per la battaglia. Ud allora per la prima volta, l acuto squillo della
tibia lido-frigia, accompagnare i sagrifizii, e fu testimone della rapida corsa
delle galere a cinquanta remi, Siccome per la tradizione passando poi di bocca
in bocca, non conosceva pi limiti, cosi tuttala gloria del nome toscano, anche
quella che non apparteneva pr- priameiife ai coloid, si attacc a Tarconte
discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come dicemmo nel precedente discorso,
riguardandolo quale autore di urler novella, e migliore, nella storia di
Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire, gli Umbri, ed i Latini ; diederq a
questa nazione, che incominci allora ad accrescersi, ed estndersi N credo che
allia torlo il MiMer, attribuendo alla preminenza di questi ultimi sul mare
inferiore, la mancanza delle colonie greche, sulla costa settentrionale della
Sicilia, ove al tempo di Tucidide, non eravi che Lnera. Il timore degltruschi,
chiuse per lungo tempo ai Greci, il passaggio dello stretto di Reggio- E non
avvenne che dopo V epoca in cui ebbero acquistata i Focesi una potenza navale,
che fu dato loro di esplorare entrambi i mari. Ma la rivalit non tard molto a
manifestarsi fr i due popoli, i quali crcarono d'impadronirsi dell isola di
Corsica . E gli Etruschi uniti ai Cartaginesi, disfecero i Focesi. Furono pero
meno fortunati nelle loro guerre marittime coi Borii di Guido e di Rodi che
avevano formalo uno stabilimento a Lipari. Finalmente, il popolo di Ciana in
Campania, avendo dichiarata la guerra ai Tirreni, chiam in suo soccorso Gerone
tiranno di Siracusa, che li disfece completamente, e liber, dice Pindaro nella
prima Ode pizia, la Grecia dalia schiavit. E difetti uno scudo di Bronzo
trovato nelle rovine di Olimpia, porta questa iscrizione = Gerone, figlio di
Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste spoglie dei Tirreni
vinti a Clima. Ammesso pertanto che furono gli Etruschi un antichissimo popolo
d Italia originario dello stesso paese, conchiuderemo questo breve
ragionamento, colle riflessioni seguenti. L Che di necessit ebbero essi,
linguaggio, usi, Leggi, costumanze, arti, scienze, e religione loro
particolari, e proprie, bench dovessero i primi progressi nella civilt ad una
emigrazione asiatica, in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con
precisione. Il. Che per conseguenza, fra le altre cose, che qui per brevit si
tralasciano, i vasi dipinti di terra cotta, come quelli neri, ed altri, di
qualunqueforma, e grandezza, siano essi aretini, o chiusini, o campani, sono
genuinamenee etruschi, e non altro che etruschi. Bench sia piaciuto agli
Archeologi di chiamarli vasi greci, e pi modernamente ancora italo-greci. Le
quali denominazioni hanno dato loro quei dotti, perch vi si scorgono, come pure
nelle urne cinerarie, e nei sarcof agi, disegnate e dipinte, o scolpite, a basso,
e a gran rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche; ovvero che tali
divennero dopo essere state prima etnische, e perch vi si leggono parole
greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero essere nel mondo
due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli comuni ad entrambi. Conforme
fu sagacemente osservato, dal dotto, e perspicace sig. principe di Canino nel
suo Museo Etrusco. Campani poi faron detti, eziandio tali vasi, perch se ne
fabbricavano . e se ne trovano nella Campania, che fu pure colonia etnisca,
come si dicono chiusini, ed aretini, da Chiusi, e dArezzo, ove esisterono
speciali fabbriche dei medesimi. E sul proposito del sig. principe di Canino,
sono assai dispiacente di non aver letto prima dora quel suo dotto e giudizioso
lavoro, perch avendovi riscontrate al- altre dodici citt. Lo che serve a
trovare che l Etruria della valle del P, fu colonnizzata dall' Etruria del
Mezzogiorno. La medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul
proposito dello stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller suppone
che quelle colonie fossero realmente etnische, contro, lopinione di Niebuhr suo
maestro, il quale pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi Tirreni,
confusi cogli Etruschi, a cagione dellidentit del nome. In ogni caso per,
sembra allo stesso Miiller, che la popolazione etrusco della Campania, non
debba essere stata molto considerabile, perch vi prevalse il dialetto Osco, e
perch non si mai trovata in tutto quel
tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca. Laonde convien credere,
prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e nella
mollezza, esercitasse la sua fatale influenza sugli Etruschi, che vi si erano
stabiliti, mentre furono obbligali ad abbandonare il possesso delle ricche
pianure di Capua ai Sanniti, col discesi dalle loro montagne. Io non saprei qui
sottoscrivermi allopinione del dotto archeologo prussiano, sembrandomi troppo
debole la ragione che egli adduce, per stabilire che fosse piccolo il numero
dei coloni Etruschi della Campania, quella cio del dialetto Osco rimastovi
dominante, poich potrebb essere ci avvenuto anche dall' avervi quegli ospiti
soggiornato per breve tempo, oppure da un riguardo che poterono benissimo avere
i Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un esempio noi stessi nelle
nostre contrade al tempo dell Impero francese. E certamente gli Etruschi, non
erano cosi feroci, come i Romani, i quali ebbero linumanissimo orgoglio di
togliere perfino la lingua ai popoli che avevano linfortunio di cadere sotto il
loro giogo di ferro: ( checch ne cantino in contrario ifanatici loro lodatori
.) E se permesso di paragonare le grandi
cose alle piccole, quando sono dello stesso genere, dir in appoggio della mia
supposizione, che anche i Chinesi soggiogati gi da piti secoli dai Tatari Mant-
sciu, hanno conservato, e conservano tuttavia dominante il proprio idioma,
bench soggetti ad una dominazione straniera. Oltre di che, viene ad accrescersi
la forza del mio ragionamento, riflettendo che era ben facile, e naturale il
conservare nella Campania il linguaggio del paese, altro non essendo il
medesimo, che un dialetto della lingua Etnisca. Sembra poi cosa provata, e da
non controvertersi, che i Tirreni dopo il loro stabilimento in Italia,
esercitassero per lungo tempo la pirateria, e che si rendessero cos famosi
nelle pianure della Grecia, ma peraltro
assai difficile a decidersi, se una tale accusa debba applicarsi a Tirreni del
mare Egeo, oppure ai Tirreni Etruschi', I quali possedendo dei buoni porti sui
due mari, conservaronsi la dominazione delluno, e dell' altro, e si resero
formidabili, non solamente alle navi mercantili, colle loro corsare, ma
eziandio alle altre potenze, coi loro navali armamenti. A molti sar nuovo ed
inatteso questo singoiar monumento,- ma non a chi ha scorsa la mia Opera su i
Monumenti Etruschi ove alla ser. VI, e precisamente alla Tavola G5 ne ho dati a
luce due inediti, n finallora da nessun altro mostrati, In seguito si videro
esibiti ripetutamente nelle Opere del eh. dot. Dorow. Io dissi di quelli, come
pur di questo ripeto, esser vasi di terra nera, al cui orifizio soprapposto per coperchio un capo umano, ed a
suo luogo spiegai come querecipienti dovean simboleggiare il mondo, ed il capo
sovrimpostovi la divinit che Io governa dall alto decieli \ Ma poich questa
specie di vasi trovasi nei sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti
capi rappresentino deit speciali, cosicch se avr barba un di essi, come quello
che pubblicai altra volta 3, si potr dire un Bacco infernale, mentre nel presente
monumento dov un capo imberbe, ed alcune
protuberanze che dan segno di petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il
vaso qui esposto avea ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno
ch'io vedo di questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le braccia,
avvingendone il recipiente, indicano il patrocinio che la divinit dovea
prendere di quel morto ritornato nel caos della materia mondiale. Dico tuttoci
brevemente perch in queste materie mi sono esteso altrove abbastanza. Qui
aggiungo l'osservazione che molti vasi uguali a questi, ma in pietre di varia
specie trovatisi nei sepolcri egiziani e in gran parte anche dipinti nei
papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe; e dai capi che hannovi
soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per figure delle principali deit
egiziane, Questo vaso in terra nera due
terzi pi piccolo dell originale. tuttava
non risoluta questione se figure simili alla presente, cio che abbiano lunga
barba, corona in testa, abito lungo fino ai piedi un manto sugli omeri con vaso
in mano, ed attorniate da sermenti dedera o di vite, questionabile, io diceva, se dir si debban
figure di Bacco o d'un qualche di lui sacerdote. altres cosa degna
dosservazione che locchio qui eseguito, non come dalla natura umana si
mostra, poi disegnato precisamente come
si vede nelle figure de vasi di Grecia di Sicilia, e di tutta 1* Italia
meridionale, ove trattisi di pitture che affettino qualche arcaismo nel loro
stile, e specialmente ove le figure sono come qui di color nero sul fondo
gialla- 1 Dorow, Voiage archeologique dans V a cienne xbtrurie avec xvi
Planches. 1 Voi. io 4 - P- 46, Paris. 1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi.
Etruschi Pesaro Monumenti Etruschi, 1 2 > ser. v f p. 490 ser - Vi* Tav., p.
4 ^. 3 Ivi, ser. vi, Tav. num. 1, 3 . ser. vi, tav. N4, num. 1, e P4. numm. 1,
2. cune opinioni, che mi paiono le pi giuste, e ragionevoli in questa materia,
e le quali si accordano con quelle da me emesse nei precedenti ragionamenti, mi
sarei fatto un dovere di render nolo al Pubblico molto prima, quanta
sodisfazione io ni abbia di trovarmi d'accordo con un uomo di tanto ingegno e
di tanta dottrina . 0 Che si avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a voler
credere opere greche i suindicati vasi, perle sopra esposte ragioni, e perch se
ne rinvennero alcuni persino nell' Attica, ed in altre parli della Grecia, i
quali sono peraltro in piccolissimo numero, in confronto a quelli discoperti in
Etruria, e nelle altre parti d'Italia. Ed una tal foggia di ragionare, simile a quella di chiunque osservando per T
Italia, o in Francia dei lavori di porcellana della China, e del Giappone,
pretendesse di stabilire, che quei lavori sono italici, o francesi, solo perch
si trovano in Francia, ed in Italia. IV.
Che non meno strano, per non dire
assurdo il pretendere di togliere agli Etruschi l onore di tali manifatture,
per farne dono ai Greci, perch s incontrano molti dei suddtti vasi che hanno
elegantissima forma, e sono disegnati pure, e dipinti con un gusto squisito.
Quasich gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla faccia del globo
terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi dimorato per lunga
serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro neppure i pi furiosi
partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di tale, e tanta stupidit, da
non saper migliorare, ed anche condurre a perfezione, le loro invenzioni, come
fanno tutti i popoli del mondo Che non si vorr sostenre finalmnte, che le arti
non pvesser presso gli Etruschi, come presso tutte le incivilite nazioni, che
le coltivarono, diverse epoche, cio quella della primitiva rozzezza, qxiella
del miglioramento, e quella della perfezione, come quelle del decadimento, e
della successiva barbarie. N saprei addurre, per rivendicare questa usurpazione
fatta dagli archeologi ai nostri padri, pi bella prova, e pi convinciente
ragione d quella prodotta dallo stesso signor Principe di Canino, apag. ig
dellopera citata qui sopra. Cio, che i vasi dipinti non sono sicuramente greci
perch i Greci stessi non se ne sono vantati giammai. Ed ben gloriosa per gli Etruschi una tele
invenzione, conforme riflette pure il prelodalo scrittore, perch furono essi i
primi ad iscoprire colla meditazione, e colle pi profonde indagini, che per eternare
le tradizioni dei popoli, pi del marmo, e del bronzo, valevole Imile terra cotta, perch ella sola
passa a traverso alla fuga dei secoli senza alterazione veruna . jflniiia : 3 n
iq 3 or 248v8 in gran travertino che serviva di porta ad un sepolcro amq&o
: ofl janqoai Etr. Mus. Chiut. ha sulle spalle, e come questo riferir si debbe
allautunno l'accennai spiegando altri vasi chiusini analoghi a questo, LVI. Le
quattro tavv. sono impiegate a mostrare un bel monumento di pietra tofaceadella
figura dut) cubo, della grandezza due volte maggiore del disegno qui ripetuto,
e che mostra quattro lati scolpiti con figure a rilievo assai basso, come sono
gli altri monumenti di simil natura trovati a Chiusi. Io non saprei dire se ara
sia questa, oppure altare, o foculo, o base, o altr'oggetto qualunque, perch
non vedendone io che i disegni non posso da essi giudicarne con fondamento.
Esaminiamone le sculture che si vedono in quattro lati del cubo. fuori di dubbio che qui si tratta di riti
funebri, e d'ultimi uffici di piet resi ad un morto, che vedasi steso sul
feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh
in piedi presso a quel letto di morte ha un tale atteggiamento di
dolore, che non saprebbesi meglio immaginare dal pi sagace dei nostri artisti,
brattanto cinsegna che tenevasi per atto di duolo il porre le mani al capo.
Infatti nel quadro medesimo compariscono due altri astanti colle mani portate
al capo ugualmente, ma ben si ravvisa che l'atto suggerito pi da formalit che da quel vivo
dolore che esprime IL GIOVANETTO PROBABILMENTE FIGLIO DELLESTINTO, di cui qui
si rappresentano lesequie. Un simile atto, e da uomini similmente
abbigliati, pure nella pietra di memoria
perugina da me pubblicata *, ove rappresentasi ugualmente la funebre cerimonia
che praticasi all occasione di un morto. Espressiva parimente la prefica a capo al letto, in
sembianza di strapparsi per dolore i capelli, mentre uonio che al cadavere pi vicino, alza le mani probabilmente per
espressione pure di dolore, mista per di sorpresa. Una figura eh ultima nella
composizione, suona le tibie con certa bocchetta che legavasi agli orecchi o al
capo in giro. Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non credo che
andasse esente da superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, mentre
credevasi di poter porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3, e
cos allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime
restassero consacrate alle deit infernali 4 : superstizione peraltro che manca
nel monumento perugino indicato. Dietro al tibicine alla Tavola LIV vediamo
quattro uomini armati di bastoni, che in mano di Etruschi non improbabile che siano augurali, ancorch non
Lettere di etnisca erudizione. e seguente Tav. xi. 2 Monumenti etruschi, ser.
vi, tav. Za, e Lanzi Della Scultura degli antichi e vari suoi stili Tav. v. 3
Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua memoria sulla religione dei Gentili
nel morire ; Osservazioni letter. Tom. 1, art. x. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap,
il Mafie! cit. p. 5i stro 1 2 . Una tale osservazione unitamente con altre pu
essere di non poco rilievo per indagare lorigine primitiva delluso di porre
siffatte stoviglie dentro i sepolcri. A chi ha buon gusto peri lavori di
metallo sar gradevole il conoscere la forma singolare e del tutto nuova non men
che bella di questo vasetto di bronzo, disegnato nella grandezza medesima
delloriginale. Apparentemente dovea contenere de liquidi, e perci lintelligente
artefice oper per modo che tutto vicorrispondesse lornato. Ecco l un uccello
aquatico sopra una pianta quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al
coperchio: ecco l una conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco
l infine i lunghi manichi formati in guisa di colli duccelli aquatici come del
becco loro nel quale han termine si rav visa. Il vaso di terra cotta di color
rosso che vedesi rappresentato nella parte superiore di questa LII Tavola, gi noto per la frequenza colla quale si trova
nelle collezioni di simili antichi oggetti. Par che i Gentili 1usassero per
lucerna; ed alternativamente colle lucerne trovasi difatti nei sepolcri, ma in
esso valutavano anche la forma di barca e di recipiente, alludendolo a certa
favola d'rcole eliebbe in dono del sole un vaso, col quale varc l'Oceano. Come
poi si applicasse al vaso qti esposto lindicata favola cosa inutile chio lo ripeta, dopo averne
sufficientemente parlato nell opera deMonumenti Etruschi % dove ne ho riportati
alcuni di varie forme. Liscrizione che
sul manico suole indicare il figulo, o la fabbrica figulinaria. Il Vaso
al disotto in questa medesima tavola di
que consueti chiusini di color nero s nella superficie che nellinterna sua
pasta. Questa qualit di vasi aver suole dei bassirilievi, che girano attorno
ripetendosi ogni quattro o sei figure, perch fatti colle stampe. Bisogna
convenire della gran somiglianza tra quella manifattura, e le cose egiziane.
Vedo nella prima figura femminile latto dalzare unuccello, cos nelle figure
egiziane dei calendari vediamo elevare per la testa, o calare al basso tenuti
per la coda animali, che indicano il sorgere o calare abaco dei segni zodiacali.
Delluomo che segue con bastone in mano io non saprei dir cosa che avesse
inoppugnabile sostegno. Ben potr dire che a lui segue la chimera colla doppia
testa di leone e di capra, chio mostrai altre volte 4 esser composto di segui
celesti. E poi chiaro il centauro qual cacciatore, che porta la preda appesa al
suo frassine che 1 Moni;memi etr. Ser. v. Tav. 2 Ser. li, p. 359, 36 i, 3 Ivi
ser. vi, Tav. E 4, F^. 4 Monurn. etr. ser. w, p. 38 a. Vogliamo credere che
nella statuetta in bronzo qui rappresentata di naturai grandezza sia da
riconoscersi una Minerva per 1 usbergo del quale vedesi armata? Del piccol
mostro pure uguale in grandezza alloriginale in bronzo, non fo parola, poich
probabilmente dagli editori di questopera ne saran pubblicati dei simili, chio
vidi vari anni indietro a Chiusi. Il vaso
desoliti che trovansi per tutta 1 Italia meridionale, con figure
giallastre in campo nero, la cui gola soltanto a una pittura che vedremo nella
tavola seguente, mentre monocromo, ed ha
tre manichi, d una forma essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi
accessori nei ricchi scavi di Canino, e daltre parti dItalia. Io non mi
persuado come il mito delle Amazoni combattenti, s ripetuto nei vasi fittili di
tutta lItalia, come si vede in questo, non abbia una qualche allusione
religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo medesimo soggetto. Si
vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a cavallo, ed i loro avversari
sempre a piedi, ed in positure di soccombenti al conflitto, colle ginocchia
piegate. Eppure se alle favole che trattano delle Amazoni dovessimo ricorrere
per Spiegarne il mito, noi le troveremmo sempre vinte o da Ercole, o da Teseo,
o dAchille Io non vedo in quel mito che 1allegora del contrasto e del dominio
del tempo in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del zodiaco, ma
siccome troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegora lo sviluppo, cos
rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai lungamente di questa
materia. Questa la pittura del vaso, la
cui forma vedemmo nella Tavola antecedente, e che vien riportata nella
grandezza di due terzi del suo originale. xxxi. /uif/mDajmjaa xxxii. jfliDnaD :
an/d-nit/i : Yfl xxxm. i/vjad anfl-uitfl'i ; or xxxiv. j/qnqai ; vJDfi : ofl,
V433 : J lf d Galleria Omerica Tom ii,Tav.VJlDfl : 31 : Vfl Veil. Mommi, etr.
agli articoli A magoni. abbiano la forma di lituo, come osservansi nel
monumonto perugino. Infatti ad essi spettava il presagire che lanima del
defonto fosse passata in luogo di riposo; di che se non troviamo prove di antichi
scrittori, certamente ne conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo
del pi volte citato monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli
auguri muniti di lituo simile a quello
di costoro che qui hanno in mano le verghe, eh' io dissi augurali. Dopo gli
auguri vengono immediatamente nella Tavola LV le prefiche, donne prezzolate che
a suono di tibia cantavano lamenti, e piangevano la perdita del morto ed in
modo sconcio e forzato strappandosi le chiome e perquotendosi, mostravano
cordoglio di quella disgrazia. Quel che sia rappresentato nellaggregato di
figure della Tavola LVI non mi possibile
il dichiararlo n mi concesso d azzardare
quelle congetture che pu immaginare a suo grado ugualmente chi l'osserva.
tavola evie Questo bronzo in tutto uguale al suo originale fu anticamente uno
specchio dallopposta parte, come lo attesta lo specular pulimento che vi si
trova. Qui nel suo quasi insensibile concavo, invece di grafito ha soprapposta
una lamina cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria, forse adattata
all'adesione del manico. lo vi ravviso Bacco, il quale ha sulle spalle una
face, che tale vedrehhesi qualora fosse intiero il monumento, poich ve ne sono
altri esempi 3 . Egli si appoggia ad un altro nume significativo della forza
creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo artefice del mondo, che il trae
dal disordinato e tenebroso caos per virt concessagli dal creatore, e vi porta
luce con la sua face, non men che ordine armonico, indicato da quella ninfa che
precede i suoi passi, arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in
cento guise ripetesi nei monumenti antichi, e della quale ebbi luogo di
trattare altrove 3, Sebben questa bella tazza sia di bronzo, pure se ne usavano
dagli antichi anche di terra cotta d ugual forma e lavoro, come si vedono in
Volterra nel museo del pubblico, ed in quello del Sig. Cinci. Il disegno qui
esposto soltanto un terzo minore del suo
originale. Il pezzo aggiunto lateralmente fa vedere lacconciatura di testa ch
dalla parte opposta del recipiente. i Fest. in sua voc. Lecil. Sat. xxn. Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n. i., ser. v,
p. 3 a,, ser. vi, Tav. Y, n. 1 . W'
Principe di Canino, ed altri gi se ne conoscevano, dissotterrati a diverse
epoche, ed in luoghi diversi ., Diodora Siculo poi descrive nel libro quinto,
dietro Possidonio le mense degli Etruschi imbandite due volte al giorno, le
loro drapperie ricamate, le loro coppe eli oro, e dargento, e le loro falangi
di schiavi. Al cui quadro aggiunge Ateneo nuovi tratti, e. mostrano chiaramente
le figure giacenti nei sarcofagi, che gli aggiunti di pmgues, ed obesi, dati
dai Romani per isclierno agli Etruschi, non erano suggeriti dalla malizia
nazionale soltanto. E Roma prese ad imprestito dall'Etruria i combattimenti dei
gladiatori, bench sembri che luso orribile dintrodurli nei conviti, e nei
banchetti, appartenga sopratutto agli Etruschi della Campania, e specialmente a
quelli di Capua. Altrbuisconsi per agli antichi Etruschi anche alcune
invenzioni nella musica, e singolarmente rapporto agli strumenti di essa, poich
non havvi autore, ch'io mi sappia, il quale pretenda che questa nazione abbia
discoperto qualche modo particolare di tale scienza, bench le venga accordata
in essa qualche celebrit, egualmente che nella plastica ; E non gi come piace
ai compilatori della rivista edimburghese, perch e Aino erano vicini ad un
popolo, il quale essendo estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar loro
tuttoci che riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vita pubblica,
e privata, mentre avvenne appunto il contrario. Bench non si possa decidere
dietro alcun monumento storico, se dovessero gli Etruschi a se medesimi, oppure
al commercio che ebbero coi Greci, dopo che gi le arti erano giunte ad un certo
grado di perfezione fra loro, i successivi progressi, fatti dai medesimi nella
scultura, e nella statuaria, pur tuttavia ci che dicemmo in altro ragionamento
intrno allanteriorit degli uni, o degli altri, rende quest'ultima supposizione
molto probabile. Ma egli per certo, che
se questo rapporto esist per qualche tempo fra gli Etruschi, ed i Greci, non fu
mai d una grande intimit. Lo stile toscano nelle arti presenta sempre qualche
rassomiglianza con quello deoli Egiziani-, E le opere pi perfette di questa
nazione, hanno tutta quella durezza, e quella mancanza di vita, e di
espressione, che qualificano la scultura greca, anche prima che Fidia
accendesse la sua immaginazione alle descrizioni omeriche di Giove, e di
Minerva, e che avesse Prassitei e espresso col marmo l'ideale chegli si era
fatto della bellezza. Lo che prova essere stati i Greci i perfezionatori, e non
gl'inventori di quelle arti che si dicono belle ; E viepih si conferma che i
medesimi furono in antichissimi tempi i discepoli degli Etruschi. non gi i
maestri, come pretendono i nostri grecomani. Al contrario, in tutta quella
parte dell arie ove il meccanismo senza vero gemo pu mungere alla perfezione,
gli Etruschi non la cedono in verun modo ai Greci stessi, biella maggior loro
raffinatezza. Ed un poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo libro dei
Dipr.osqfisti, celebra le opere etnische in metallo, come le migliori m tal
genere ; Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle lampade, ai
candela- QUALI FOSSERO LA VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA RELIGIONE ED IL
GOVERNO DEGLI ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO PRINCIPALMENTE Ma chi
pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero mortai che se ne cerca, Noi
hiasmerebbe, se sott esso trema. Caute Par. - -=-x jgj> 1\ on certamente agevole impresa quella di ritrarre
i costumi domstici di un popolo, che non ha trasmesso alla posterit veruna
immagine di se stesso nelle produzioni letterarie. E tali appunto sono gli
Etruschi, della cui prosperit nazionale pare che sia stata la primaria base l'agricoltura,
che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro clima, e che sembra avere
in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i benefizii della natura non sono
stati distrutti da un cattivo governo, o da una assurda Legislazione, Tuttava
per, non ha mai goduto V Etruria centrale, come la Campania, di una spontanea
fertilit. Fu d'uopo ognora che spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e
la loro destrezza, per adattare la cultura alle diverse qualit del terreno, che
s incontrano in questo paese, e per arrestare le mondazioni del P nelle
provinole che circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi antichi.
I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se vogliamo credere
alla storia, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla fosse conservala
lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco; E pare che un passaggio di Giovenale
nella satina sesia, ci mostri la stretta rassomiglianza che passava fra le virt
domestiche delle donne romane degli antichi tempi, e quelle delle donne
etnische. N ci dester maraviglia a chi sappia, che i primi abitatori d Roma,
non eccettuato il suo fondatore, non furono altro che Etruschi, della cui
energia, e del cui nazionale carattere, formano al parer mio una sufficiente
prova, le grandi loro conquiste, la loro destrezza, ed il loro coraggio nella
navigazione. Ma quando il commercio, e la conquista nelle parti meridionali
dItalia, ebbero condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi se ne
impossessarono collavidit di un popolo mezzo barbaro ed il lusso invece d
introdurre fra essi il raffinamento, e leleganza delle maniere, non vi port che
un vano splendore, ed un gusto disordinato per
sensuali piaceri, come rilevasi anche dalle pitture di alcuni vasi,
delti male a proposto italo-greci, dei quali ne ha discoperti un gran numero
nei suoi scavi il signor La forma del governo etrusco, ove riunivansi l
aristocrazia, ed il sacerdozio, imped efficacemente al genio di quella nazione,
di prendere lutto il suo naturale sviluppamelo. Imperocch ai Lucomoni, ossia
alla nobilt ereditaria, aveva rivelato Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi,
che si dovevano osservare dal popolo, col potere di Applicarli nella maniera
che paresse loro la piti propria aperpetuare il loro monopolio esclusivo, e
tirannico-, E per rapporto poi al potere civile, formavano questi medesimi
Lucomoni il corpo governante di tutte le citt di Elruria. Nei primi tempi si
parla di re, non gi dell intiero paese, ma bens di stati separati, ed il cui
potereera senza dubbio limitatissimo da quello dell alta aristocrazia-, E
questi re senza potere, spariscono ben presto intieramente, come pi tardi nella
stona greca, e romana, Mentre che in Etruria, non sorge alcun ordine
corrispondente ai plebei, per rappresentare V elemento popolare della
Costituzione. E molto difficile di poter fissare con esattezza i privilegi del
gran corpo della Casta potente-, E Miiller inclina per l'opinione, e mi pare
eli abbia dato nel segno,che i coltivatori fossero i servi dei proprietarii del
suolo, come furono in tempi a noi piu vicini i Penasti in Tessaglia, e gl Iloti
a Sparta. cosa certa difatti, che
esistesse una classe simile in Etruria, ma non
per probabile eli ella comprendesse una gran parte della popolazione,
non essendovi altro argomento, al quale appoggiare questa, ipotesi
contrastabilissima, se non quello che i clienti di Roma fossero servi dei
Patrizn. Tuttavia per fuori di ogni
dubbio che l aristocrazia etrusco teneva gli ordini inferiori in una dipendenza
politica, e che per questo non pervenne quella nazione, al grado di potenza, a
cui avrebbe potuto giungere-, Ma la sua prosperit prova ad un tempo che non era
governata neppure affatto tirannicamente. Non sembra nemmeno che lagitasse lo
spirito della democrazia, fino al punto di risvegliar dei timori, ed eccitare
la severit della casta governante. Le insurrezioni di cui parlano gli storici,
sono attribuite espressamente agli schiavi. Era l'antica Etruria fertile di
grani, e particolarmente di quel farro che i Latini chiamarono far, ed anche
odor, la cui farina forniva il puls, che noi diremmo polenta, o polenda e che
era lordinario nutrimento degli abitanti di questa parte dItalia. Il ferro
delle sue miniere, e specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la
sua purit-, E forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e
perle opere di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi. poi molto probabile, anche secondo il
Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che loro venisse dal
Settentrione. Il precitato Miiller, che
come abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, v discutendo con moli
acutezza nell opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi tempi
di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo maestro a
preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di schiavo I origine
etrusco di quel principe, menzionato dalli Imperatore Claudio nel suo discorso
sullammissione dei provinciali nel Senato, il cui testo fu discoperto nel
secolo decimo sesto in tan, ed ai tripodi, e simili, giacch
discopronsigiornalmnte alcune di tali opere egregiamente eseguite. Si spiega
per facilmente la differenza che incontrasi fra le opere degli Etruschi, e
quella dei Greci col carattere della religione dei due popoli. Imperocch la
religione dei Greci conti Univa potentemente al perfezionamento delle arti
plastiche, ove quella degli Etruschi, in ci che le appartiene in proprio, non
ha niente che risvegli, e che trasporti V immaginazione dell artista. Pare anzi
che ella favorisse efficacemente una opinione, che noi ritroviamo del pari
nella teologia dei popoli settentrionali, ed in quella deglIndii, ed questa: che gli Dei erano eglino stessi, come
pure il sistema, al quale presiedevano, gli effetti di un potere che non
iscorgevasi che a lunghi intervalli nella produzione degli esseri, e che
assorbiva tutto ci che aveva crealo, per crearlo di nuovo. I SIMBOLI di questo
potere erano gli Dii involuti della teologia etnisca, i cui nomi rimanevano
ignoti e non erano oggetto di un culto popolare, ma che Giove stesso consulta.
Gli Du consenti poi, che erano dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt
ordine delle cose esistenti, e ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii.
Manifestatasi la loro intervenzione negli affari umani, pi che in altra maniera
con presagi di grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate con espiazioni
sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato pot la moralit guadagnare qualche cosa
dalla religione etrusco, che non corrispondeva in verun modo alla mitologia
ridente, ma licenziosa dei greci, la poesia e le arti dell altro, vi dovettero
indubitatamente scapitare non poco. Lo stesso difetto d immaginazione viva e
disinvolta caratterizzava la dottrina etrusco dell immortalit dellanima. Il
loro mondo sotterraneo, non era altroch un Tartaro senza Eliso. La
superstizione non form in nessuna parte del mondo, un sistema pi completo che
in Etrucia, senza eccettuarne neppure le Indie, e t Egitto Le regioni del cielo
erano divise, e suddivise in modo che ogni prodigio poteva avere la sua
spiegazione precsa. Ifenomeni dellatmosfera, il tuono soprattutto, ed i lampi,
erano osservati, e classati comma minutezza, che avrebbe potuto fornire oli
elementi, aduna vera scienza, se gli osservatorifossero stati veri filosofi, e
non Sacerdoti. Ma nel fatto t osservazione di quei fenomeni, non servi ad altro
che ad accrescere la servit della moltitudine, a quelli che reclamavano la
co'nuzion esclusiva dei mezzi coi quali potevano placarsi gli Dei sdegnati
contro il genere umano. Non necessario
di avvertire, che la filosofia nel senso greco di questaparola, vale a dire lo
studio libero delluomo della natura, e della provvidenza, era ignota agli
Etruschi, bench non si possano negar loro le cognizioni pratiche, col mezzo
delle quali eseguivano le belle opere d'Architettura, e di Idraulica, che
vengono ad essi attribuite dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose
etnische senza prevenzione veruna, e senza spirito di pare. Elv. Mas. Chius. Go
tavola. Quanto sia malagevole scioglier lenigma che nelle strane loro figure
chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben potrebbero dirlo e il
Caylus, e il DHan- carville, ed altri chiarissimi ed eruditissimi ingegni che
in vano vi si applicarono; e quantunque in gran parte non mostrino significato
nessuno che ragionevolmente si presti alle indagini dellerudito, pur taluni,
ancorch pochi, han contrassegni da non permettere che siano annoverati tra i
soggetti capricciosi insignificanti e per conseguenza inesplicabili. Nello
scarabeo di n. 1 ci guidano con qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce
come le figure alle quali si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi
sopra non senza qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma
etrusca, pure nson disposte alluso inverso come scrivevano gli Etruschi, n
presentano voci che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di
paleografia, e glossologia, che partecipano dell'antico greco e dellantico
latino. Qualora non vi fosser lettere direbbesi che vi si vede Vulcano assiso
sulla sua pesante incudine in atto di ascoltar le preghiere della consorte sua
Venere a pr d'Enea, come ne d sospetto lo specchio femminile che tiene in mano,
la donna la libera di lei nudit. Che le
lettere esprimenti parole tronche vi si conformino lo congetturo dal potervi
leggere fex, quasi ephestus chera nome grecamente dato a Vulcano anche dagli
antichi Latini. Segue 1 altro bisillabo vev, che se crediamo sformata l'ultima
per una v, potremmo leggervi la voce Venus con poca difficolt. Ed in vero
quella barba, che in un modo s sconcio si volle accennare alluomo sedente, d
qualche idea del rozzo costume praticato dal marito di Ciprigna, che qui si
vede contro a lui con assai studiata, sebben antica maniera dacconciarsi la
testa per viepi sedurre il manto a compiacerla nell inchiesta delle armi pel
figlio Enea : soggetto non raro nella glittografia, dove lartefice Vulcano sempre assiso, e Venere che incontro a lui si
trattiene a pregarlo, sempre in piedi. Quando si voglia credere che la
composizione incisa in questo scarabeo num. 2 abbia un qualche significato allegorico,
e non sia stato fatto a solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto dato da
un leone ad un cinghiale, potremo credere che stiano i due animali a rammentare
due precipue situazioni del sole nel cielo, dalle quali ne avviene il calor
benefico dell'estate, e 1 importuno freddo nellinverno. Infatti il segno del Leone che domina in estate, e
che abbatte colla forza dei raggi solari quei mali che alla natura cagiona 1
ingrato e sterile, inverno significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel
trattare dei Monumenti etruschi - vote eh bronzo a Lione ; Il quale pretende
che il vero suo nome fosse Mastarna, e che foss e compagno di un capo dicosi
detti Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si che la voce etrusco Mastarna, vale
imbrattato, ossia di sordida origine,^ corrisponde cosi a quanta ne dice la
tradizione. Ma mentre JMebuhr si allontana intieramente dalla storia,
supponendo che Tarquinio il vecchio fosse uno di quei Latini pnschi da ha
immaginati, pensa il Mailer ehei fosse veramente etrusco, e che traesse il suo
nome da Tarquinia, ( e lo pensiamo noi pure,) il cui dominio estendevasi allora
dalla parte del mezzogiorno, fino alla citt di Roma, che erane anche dipendente
in quel tempo. I compilatoli della Rivista edimburghese non credono che questa
opinione sia basata s fondamenti abbastanza solidi, bench paia loro pi
probabile di quelle di lebuhr, per sostituirla ai racconti della storia comune
; E non sanno comprendere neppure, come dei fatti accompagnati da circostanze s
ben precisate, quali sono quelle dell'esistenza di Servio Tullio, e
deiTarquinii, del loro paese, e dello stato loro possano cangiarsi tutto ad un
tratto in un simbolo di etnisca supremazia. Lo che peraltro non dester nessuna
maraviglia a chiunque sia meglio di loro istrutto delle antichit etnische, e
conosca pi a fondo che essi non conoscono, luniversalit dello spinto simbolico
di quei remotissimi tempi. E comunque sia poi la cosa, checch si debba pensare
eh tali supposizioni, il fatto vero si
che Roma fu conquistata dagli Etruschi sotto la condotta eli Porsetto re
di Chiusi, come lo prov, sono gi molti anni, Beaufoit, disvelando gli
artifizii, sotto i quali avevano procuralo i Romani scrittori di nascondere
questo colpo umiliante. Oltre di che, furono, come abbiamo gi detto, anche i
fondatori, ed i primi abitatori di Roma, una truppa dibanditi toscani. Ma circa
ad un secolo dopo il regno di Porsena, vennero gli Etruschi umiliati essi pure
dai Celti, e da altre barbare genti, che si resero padrone di tutto ci che
eglino possedevano sulla riva meridionale del P fino a Bologna, e che
occuparono anche. Roma, bench temporanamente. I Romani per, vincitori dei
Galli, e cosi pi fonnidabih che mai, non tardarono molto a conquistare, e
colonizzare quella parte i truna, che si estendeva al mezzogiorno della selva
Ciminia; Ed anche laCam- pania eia caduta allora sotto il potere dei Sanniti, e
tutte le provinole etnische al settentrione deglApennin, erano rimaste sotto la
dominazione dei Galli. Tentarono indarno gli Etruschi, dopo la gran disfatta,
che ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di Bussano, di chiamare in loro
soccorso i mercenarii Galli, poich furono battuti di nuovo, perch le loro
temporarie confederazioni, non poterono opporre una efficace resistenza, contro
la disciplina, che la vittoria aveva gi organizzata nelle armate romane; Eia
potenza di quel popolo celebre, e valoroso per s lunga serie di secoli, rimase
intieramente abbattuta,prima delle guerre di Pirro, e di Annibale. del cielo,
di che ho trattato in altre mie opere. Le colonne ed i vasi che son sepolcrali
rammentano le ceneri degli avi, presso i quali fu ucciso linfelice Laomedonte
assalito da Ercole nplia sua patria presso le lor ceneri. Questo disegno una quinta parte della grandezza che ha 1urna
di marmo. La rozzezza della scultura di questumetta in pietra tufacea che nel
suo originale soltanto doppia di questo
disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi il soggetto che a me sembra
esservi espresso. Imperocch io vi scorgo nella figura equestre unAmazone, di
che ho non lieve indizio nel berretto che le copre la fronte, e quindi in ogni
restante della composizione, che non differisce dalle gi esposte alle tavole.
Qui v'una circostanza che ne scopre sempre pi lallusione a soggetto ferale,
ed 1 albero significativo dombra, e
privazione di luce : luogo insomma dove passano i mortali dopo il periodo
vitale assegnato loro dalla natura in questa terra. Un pregio singolare di
questi bassirilievi di pietra tofacea in
qualche modo Tesser tutti chiusini, e duno stile che pu dirsi unico in questo
genere di antichissimi oggetti d'arte. Quel di Perugia chio riportai con
esattezza alla Tav. Z 2 della ser. VI deMonumenti etruschi, inferiore nellesecuzione forse per difetto
della cattiva sclta nella pietra eh' molto pi tenace di quella chiusina, e pi
assai porosa, ed a luoghi affatto spugnosa. Loriginale di questo che abbiamo
sottocchio non che per met maggiore del
suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi rappresentata una processione religiosa.
La prima figura che ha semplice manto, e non veste lunga dunque un uomo che ha in mano una gran
foglia, dalla quale argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti
portavansi le foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, chio esposi altrove 3
. Segue la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne sa il
destino, Dopo una figura con bastone in
mano,molte delle quali vedemmo gi nelle tavole scorse. Ma siccome tien dalla
sinistra mano un uovo, cos potremo in qualche modo congetturare che la pompa
della quale quel seguace fa parte sia espiatoria, e perci analoga al defonto,
presso al quale quest ara stata trovata.
Poco sappiamo di una tale superstizione, ma ci
noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate infernale, 1 Ingliirami, Monum.
etr. g 5, e Galleria Omerica Tom. n, tav. cxciv, p. j 54 * 2 Monumenti etr.
ser. v, p. 44 l 2 * 3 Ved. le tavole 11, lii, iv,, xxxvni, lui,, Lvi. LAmorino
qui espresso copia dun bronzo grande
quanto il suo originale, eh duna bellissima patina verde. Non saprei giudicare
dal solo disegno, che m sottocchio, qual ne sia lazione, e quale il significato
di essa, onde mi limito ad osservare che lacconciatura di testa, non meno che
lo stile assai molle, e s vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei
gi esaminati bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare questidoletto per un
opera eccellente degli Etruschi, allorch sottoposti ai Romani praticaron le
arti netempi di Adriano. Leggendo lo storico Diodoro ho incontrato un
avvenimento drcole, che mi sembra molto analogo a quanto si rappresenta in
questo bassorilievo. Narra quello scrittore che tornato Ercole insieme cogli
Argonauti alle spiagge troiane, ove avea lasciati in deposito a Laomedonte la
vinta Esione ed i cavalli di Diomede, invia suo fratello Ifito, e Telamone a
riprendere il deposito affidato a quel re; ma il perfido ne ricusa la
restituzione, ed oltraggia i messaggi. Allora gli Argonauti muovono contro
Laomedonte e contro i Troiani suoi sudditi, e dopo un vivo combattimento
trionfano. Ercole sopra dogni altro fa prodigi di valore, ed uccide di sua
propria mano il re Laomedonte Tanto basti a ravvisar qui E avvenimento or
descritto. Ercole ha in mano la spada per uccidere il perfido Laomedonte che h.
gi ghermito pei capelli, n pu altrimenti evitare il colpo fatale di morte. La
pelle di leone che si annoda sul di lui torace lo manifestano per Ercole,
sebbene usi spada e non clava. Laomedonte altres fassi noto al berretto
asiatico proprio dei Frigi e Troiani in modo speciale, come ripetuti esempi ne
d nella Galleria omerica 3 . Il bastone pastorale gli posto in mano dall artista ad oggetto di
aumentarne la distinzione, come spettante alla famiglia di Dardano, eh io dissi
altrove 3 essere stata distinta per la sua occupazione di guardare gli armenti
de suoi antenati, non meno che per la singolare bellezza della quale furono
adorni i di lei componenti. Difatti qui Laomedonte si mostra bellissimo e
delicatissimo, in paragone del robusto Ercole, e dellaltro eroe eh degli
argonauti combattenti in quella occasione con Ercole. Le due Furie con face
rovesciata, ripetutissime nelle urne etnische, non hanno un positivo ed
intrinseco rapporto col fatto. L'altare serve soltanto di espressione per
mostrare che il paziente altro scampo non ha che reclamare la protezione Diod.
Sic. Bibl. hist. Galleria Omerica, Iliad-, Tav. le arche racchiudevano oggetti
sacri di mistica rappresentanza, non visibili ad ogni profano. Il vaso dipinto
con queste donne che staccano in giallastro su fondo nero, fu, credio,
venerando per gli oggetti contenuti nella cesta, piuttostoch per le donne che
la portano. Nellinterna e concava parte duna tazza di terra cotta vedesi
dipinto con fondo nero un sacrifizio, che mostra, credio latto del camillo, o
vittimario di cuocer le carni della vittima sul fuoco acceso nellara o foculo,
mentre il sacerdote che sembra di Bacco
pronto a farvi una libazione, versandovi parte della sacra bevanda.
Dalla bassezza di quellaltare, pare che latto religioso fosse diretto al culto
di Bacco stigio, che pregavasi perch fosse favorevole ai morti; come difatti la
tazza dov questa pittura fu posta come le altre in un sepolcro. invero assai singolare il bronzo num. 1 che
qui presentiamo in disegno nella dimensione del suo originale, come si pu
riscontrare nel privato e ricco museo del sig. capitano Sozzi di di Chiusi
dovesiste. Non del tutto nuovo per
altro; ed io vidi un idolo lungo due piedi e sottile nel museo di Volterra
tutto nudo, e colle braccia aderenti al corpo, senza nessun emblema. Il Gori
che lo illustr, gli dette nome di Lare domestico ridotto pi grande e piu
maestoso della specie umana, oppure un dei Lemuri che credevansi ministri del
Genio malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che da Plutarco si dice esser
comparso a Bruto in aspetto pi grande di quel chesser suole lumana specie 4 .
lo crederei che pi convenientemente confermar si potesse esser questidolo
chiusino un Lare domestico, forse anche Lemure, pei lumi che ce ne d Plutarco,
giacch Tesser vestito e laver patera in mano tanto converrebbe ad un Lare,
quannto sconverrebbe ad un semplice Genio. Lo stesso Gori ha posti nella sua
collezione altridoletti che hanno la qualit speciale desser pi lunghi delle
dimensioni spettanti allumana specie, ma che lespositore per bizzaria dichiar
con nomi speciali =, senza darne sodisfacente ragione. I bronzi notati di numm.
2 e 3 sono le due estremit dun manubrio di qualche vaso usato probabilmente per
sacri riti, come lo mostra la testa dasino che ne compone la superior parte,
mentre si tien per ovvia la notizia che questo 1 Plutarc. de animi
tranquillitate, ap. Gori, Mus. Etrusc. Voi. i, Tab. cim, Voi. n, i. 2 Gct, Mus.
etr. Tom, tab. v. si attribuiva una virt espiatoria 1 . La figura virile ultima
non ha caratteristica veruna che la distingua. Da un lato, cred'io, di questo
cippo o ara che sia, v unauriga nell'atto di guidare il suo carro alla corsa :
istituzione antichissima rammentata inclusive da Omero % fra gli onori
compartiti da Achille allombra di Patroclo.Sorprender gli archeologi la novit
di questa lucerna fittile che porta effigiato un centauro colle ali non pi
veduto, chio sappia. Ma canger la sorpresa in persuasione, tostoch richiamer
alla memoria quanto dissi altrove rapporto alla composizione siderea di untai
mostro; di che ripeto qui soltanto qualche leggierissimo cenno. Dissi pertanto
che stando alle dottrine dIpparco, il Centauro si compone di un cacciatore, o
per meglio dire della costellazione che in antico aveva il semplice nome di un
dardo, e dellalato cavallo sidereo che dicesi Pegaso [citato da H. P. Grice]. E
poich questo rappresentasi per met soltanto nel davanti, cos inventarono di
aggregare il restante del cavallo, o sia la posterior parte al cacciatore
arciere. E siccome il Pegaso composto dal Centauro figurato con ali, cos non fuor di proposito il trovare in questo
arciere colla caccia in mano la posterior parte del cavallo Pegaso colle ali
che formano il distintivo del destriere abitatore del Parnaso. Il vaso
rappresentato in questa Tavola due terzi pi piccolo del suo originale di terra cotta di naturai colore, a
differenza daltro simile qui pure esposto alla Tav., eh' di terra nera. E poi singolare in questo il
veder le braccia staccate dal vaso e fermate con delle cuciture di fil di ferro
agli orecchi o manichi di esso vaso, e pare che abbiano tenuto qualche cosa
nelle mani che soglion esser traforate . Un indizio di barba rasata ce lo fanno
credere un Bacco. Per ogni restante si legga quanto dissi alla Tav. Fu costume
frequentissimo nei sacri riti del gentilesimo lintrodurvi le femmine canefore,
o cistofore ma specialmente in Etruria, e i monumenti ci mostrano come un tal
uso invalse qua nei tempi antichissimi, come Io mostra il famoso vaso dargento
di Chiusi da me riportato altrove. Quelle ceste, o picco- i Suid. in VOC.
Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu # 3 Monumenti etr. ser. v^av.
lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih, Ragionamento vii. SULLA VERA SITUAZIONE
TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA SEDE DELLIMPERO ETRUSCO. AffdS'vtffzoufft
yap y, 1 U : VI I q 3 : alflNS J/ttq A J : V1V :tfntnqf\ jmn/qo . jfjvm/dn nq/i R13D J/ilflllV Monutn. etr., sei:, u, p.
56. 2 Milli, Peintures
de Vases ani., Tom. 2 3, not. (6). 3 Monum. etr., ser. n, p. i52. 4 Ivi, p.
693, 713. Etr. Mus. Chius. Tarn. 1. 5 Ivi. Ved. la
spiegazione delle Tavole i, p. e ixxvui. 6 Ivi, tav. xlx, e sua spiegazione. 7
Euripide nelle Baccanti atto primo scena iv in principio. 9vono discorso anche
intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro, celebrandone le ime, e 1 altro.
Scrive La-Martiniere che le rovine d questa citt ritengono tuttava t antico
nome, e che si chiamano Vetulia,ree/ che concorda coll'Alberti, e si legge in
una nota del precitato Cluverio, che Vitulonia era situata fra Populonia, e la
torre d San Vincenzo, presso alle paludi caldane, ed il fiume Linceo, detto
oggi la Cornia. La quale opinione pare appoggiata da quel passo del sullo dato
PLINIO; ove nomina insieme Tarquiniesi,
i Tuscanes, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini, ed i Volterrani,
cognominati etruschi, comegli si esprime. Molte altre citazioni, ed altre
notizie avrei potute raccogliere ed aggiunger qui, riguardanti la nostra
Vitulonia, ma le ho tralasciate per brevit, e penso che siano anche troppe le
gi addotte, per dimostrare quanta confusione, e quanta incertezza si riscontri
negli autori, ogni volta che ne fanno parola. Ad onta per di tanta confusione,
e di tanta incertezza degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia,
per cui sembrato ad alcuni archeologi,
non solamente difficile ma eziandio impossibile di poterfissare, ove sorgesse
un giorno quella primitiva sede dell impero etrusco, quandi esso estendevasi a
tutta l Italia; io voglio non pertanto tentare in questo ragionamento di
stabilirlo. E voglio in questo tentativo mettere a profitto le belle, e ricche
scoperte di vasi etruschi, e di altre anticaglie, fatte dall'egregio signor
prncipe di Canino nelle sue terre di questo nome, e giovandomi ad un tempo dei
lumi sparsi da quel chiarissimo scrittore, illustrando gli uni, e le altre, e
per cui viene ora meritamente lodato in questa materia, come il pi benemerito
promotore della gloria dei nostri padri. Tralasciando pertanto di rintracciare,
lo che sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe edificata da Tarconte,
come pretendono alcuni autori, o dal celeste Ogige, il quale come vuole non so
qual poeta, Itali Tuscas pelago descendit ad oras, dove torreggi Vitulonia, o
finalmente lo fosse dagli Etruschi, regnando su di essi, come piace ad altri
quello stesso Giano Velo che istitu, per quanto si dice, il culto di Vest, e le
Vestali nelle nostre contrade, diede il suo nome al Gianicolo, combatt per tre
anni coi Celtiberi, e finalmente li vinse, e li sottomise alla sua dominazione:
quello stesso infine, che consacr, giusta le tradizioni, una gran selva a Crono
nelle vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome potrebbesi interpetrare
stagno, od acqua incostante, passer in quella vece a determinarne subito la
topografica situazione. Circa la quale io credo che non possa rivocarsi in
dubbio, quanto il sullodato signor principe di Canino ne ha detto nel primo
volume del suo Museo etrusco, parlando in particolar modo della sua Necropoli;
E sono persuaso che ella sorgesse veramente nel luogo da lui supposto, e
descritto. Bifalti la prodigiosa quantit di vasi etruschi di sommo pregio, e di
somma bellezza, e nei quali sono rappresentate favole, o storie anteriori alla
fondazione di Ro- Crede Ermolao Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov
era una volta Vilu- lonia, lo che non pu essere. E VAlberti scrive che ai suoi
tempi chiamavasi Veletta, o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri
sostengono, che altro in oggi ella non sia ch un luogo deserto, distante tre
miglia dal mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che
confondono Populonia stessa con Vitulonia, bench fossero per localit, per et e
per potenza paranco, luna ben distinta dall' altra. Jf erudito Guarnacci poi,
dice di non poter determinare neppur egli, ove giacesse questa famosa, ed
antichissima citt, perch s conosce, secondo lui, solamente il nome della
medesima, ignorandosi per del tutto, a qual distanza precisa fosse ella situata
da Volterra, e dal mare Ma Annio da Viterbo nelle sue note agli Equivoci, di
Senofonte, afferma esservi un colle chiamato Vetuleto, e lo afferma con qualche
probabilit, per let sua, sul quale crede che fosse situata altre volte
Vitulonia. E pensa che dopo la rovina di questa, gli restasse un tal nome. Il
medesimo poi ne deriva letimologia del nome da due parole araniee, che
verrebbero a significare, capo di molte citt; ci che non sarebbe disconvenevole
a Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in molti altri scrittori si legge
paranco, che essa godeva il privilegio di ammettere i forestieri alla
cittadinanza volterrana, come ancora la privativa in et pi remota, di dare i
fasci, e le insegne reali, la qual cosa indica essere stata la medesima al
disopra di Votterr. Non di meno il chiarissimo Passeri nel suo trattato della
Numismatica etrusca ; la crede colonia dei Voltrrani, bench ci non possa essere
accaduto, se pure vogliamo ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo
la sua decadenza, e totale rovina, e dopo il successivo ingrandimento
dell'altra. Mentre quando eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di
potente impero, ben ragionevole il
credere che succedesse tutto il contrario . Lo stesso Silio Italico, citato
disopra, chiam la nostra Vitulonia splendore della Meonia gente, alludendo
probabilmente a quei Lidii che si dicevano venuti a stabilirsi in Etruria, e
principalmente in quella regione-, e la disse ad un tempo inventrice dei Fasci,
delle scuri, dei Littori, della Sedia Curale, e della pretesta, come pure le
attribuisce il merito di avere adattata l'enea tromba agli usi guerrieri-,
cantando nell ottavo libro delle guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia
gentis, Bissenos hoec prima dedit precedere fasces, Et junxit totidem tacito
terrore secures: Et princeps Tyrio vestem prsetexuit Ostro; Hasc altas eboris
decoravit honore curuies, Heec eadem pugnas accendere protulit sere. Esistono
infatti antiche medaglie, riferite dal prelodato Passeri, ed anche dal
Guarnacci, coll epigrafe Vetiunia, e coll emblema della scure, o bipenne,
insegna dei Magistrati etruschi, e precisamente di quella citt. Ed alcuni gravi
scrittori mo- Messina, e fuori ancora dItalia per fiancheggiare le inaudite
millanterie di quei medesimi Greci, e loro forsennati seguaci, riprodurr qui
una opinione singolare, ma vera, e che mi pare che siastata sostenuta anche dal
Vico ; e dir che le Muse ebbero origine in Italia, nellinfanzia, per cosi dire,
del mondo. Ed aggiunger, che da questa bella penisola emigrando, pr quelle
vicissitudini, che modificano, e fanno cangiar di aspetto continuamente a tutte
le cose umane, passarono in Arcadia, colle prime colonie italiche di Plasghi
Tirreni, che erano indigeni di questo delizioso paese, favorito in ogni tempo
sopra di ogni altro dalla natura, per tutte le arti dilettevoli, e per tutti
gli ameni studi. Ed andarono ad invadere,
popolare la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed incolte, dove ebbero
poi nome, e culto per opera di Anfilone, di Lino, dEumolpo, e d Orfeo, ma vi si
erano condotte da prima coi sunnominati Pelasglii-Tirreni, pastori ad un tempo,
e poeti. Da dove ritornarono pi tardi in queste benedette contrade in compagnia
dEvandro, e non ne partirono mai pi-, ad onta di tutte le devastazioni e di
tutti i flagelli, che vi portarono gli stranieri, i quali ne fecero in tutte le
et il primo oggetto delle loro ambiziose conquiste . E persuaso come io sono,
che Vitulonia dettasse in remotissime et le sue leggi agli Italioti,
potentissimi allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi medesimi, nelle
cui vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta \dal signor principe
di Canino, come Roma le dett loro, e all universo, in altri tempi, dall alto
del Campidoglio, terminer questo mio ragionamento, ripetendo con VIRGILIO,
Purpureos spargain flores, animasque parentum His saltelli accumulem donis. M
non voglio per dar fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al signor
compilatore dal Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto
rispetto, a volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di
dire, quando ha scrto del medesimo, con franchezza pi che cattedratica, Contribuiscono ad illustrare qualunque parte
delle antichit dell' Etruria le utilissime lettere d etnisca erudizione che si
pubblicano dal cavaliere Inghirami; siccome allo stesso tendono nel modo loro
particolare, le ingegnose conghietture del signor Principe di Canino, quelle di simil genere del professor
Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo chiusino perch sebbene io confessi ingenuamente : che
mi rifugge t animo alt idea, che debba venire un Oltramontano ad insegnare a
noialtri Italiani, a conoscere le cose nostre, e quelle dei nostri padri, mi
sar tuttavia gratissimo di potergli rendere pubblica testimonianza di avere
imparato qualche cosa da lui, come non poche me ne insegnarono altre volte, e
di vario genere, Dempsteri, gli Acker-
blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo ci onore, ed altri ancora che per
brevit si tralasciano. e 9 ma, e vi si osservano costumi anti-romani ancor
essi, dal medesimo dissotterrati nelle sue campagne della Cucumella, e
Cannellocchio, mostra ad evidenza, che tanta ricchezza di vasi dipinti, non
poteva appartenere che alla Necropoli di una citt grandissima ed opulentissima,
e capo di potentissimo impero. N i tre ponti dallo stesso discoperti sulla
Fiora cosi l uno all altro vicino, servir potevano ad altro che a mettere in
comunicazione fra loro le due parti di questa medesima citt ; E questa non
poteva esser che V itulonia, se ben si voglia riflettere alla sua localit,
dietro quello che si legge negli scrittori antichi, e moderni, bench alquanto
oscuramente, intorno alla situazione di quella metropoli. Che se qualche
ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario, pregato a considerare un poco meglio i
monumenti dei nostri antichi, e singolarmente quelli dissepolti nelle terre di
Canino, ed anche a porre maggiore attenzione quandi egli legge le opere degli
antichi, e son di parere, scorger facilmente timpossibilit di provare il suo
assunto. In quanto poi al predicare la civilt italica molto anteriore a quella
della Grecia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi, che riprodurre
quanto era stato opinato nello scorso secolo dai dottissimi archeologi, e
filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi e non greco-mani, Dempstero,
Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnacci, Bocliart, Mazzocchi, Lami .Bourguet, ed
altri ancora. E pi modernamente dalli eruditissimo poliglotta Acherblad,
dallillustre Marini, e dal celebre Visconti, prodigio dingegno, e di dottrina,
anche a giudizio dei pi dotti francesi. La quale opinione, propagata da tutti i
surriferiti grandi uomini, che trovasi confermata nelle memorie dell'accademia
delle iscrizioni di Parigi, e che messa
in piena luce da quella mente straordinaria di VICO (si veda), poi quella stessa riprodotta, e commentata
dal sullodato signor Principe di Canino, nei varii articoli del precitato primo
volume del suo Museo etrusco, dopo che la riscontr comprovata dai Monumenti da
lui discoperti, negli scavi fatti eseguire nelle sue terre. N di poco
momento per me, onde viepi confermarmi
in questa opinione che mi divenuta
certezza, t autorii a del profondo archeologo romano AMATI (si veda), uomo di
somma perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichit versatissimo, e che la
sostiene egli pure. Che del resto la iattanza impudentissima dei Greci, dei grecomani, circa la civilt, e le arti italiche,
non nuova in queste contrade, sapendo
ogni mediocre erudito, che per rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria,
pose mano Catone a scrivere i suoi libri dlie origini, e si mostr grandemente
sdegnato, perche nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia
si nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora dunque,
animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno, per le tante
inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli Alpi a Etr. Mus.
Chius. Torri. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea, come inventa Omero alle
furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immagin di lasciar
combattere a saziet i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea lidolo, o
popolarmente parlando, l'ombra di lui. Questa poetica immagine del
combattimento dedue partiti per un vano fantasma fu cara oltremodo agli Etruschi,
mentre ne vediamo la rappresentanza in molti delor cinerari, un dequali eh in
marmo, fu da me inserito nella serie che ho data demonumenti omerici della
Iliade, similissimo a questo ch' di terra cotta due terzi soltanto maggiore del
presente disegno, mentre quel di marmo
due terzi maggiore di questo modellato in creta. Vi si vede pertanto il
simulacro dEnea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Diomede,
in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si trova,
spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe
Troiani ed Achei. Loriginale in terracotta era dipinto a vari colori, ma ora
svaniti. L iscrizione soltanto dipinta
in color di porpora, e rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto,
le cui ceneri chiudeva lurnetta. Un licenzioso stuolo di baccanti si offre allo
sguardo dell.osservatore della tav. presente, e ci avverte esser questa la
pittura dun vasetto ch rappresentato alla tavola e frattanto si verifica la
massima comunemente invalsa per esperienza, che tre quarti dei vasi fittili
dipinti hanno soggetti bacchici. Questo ha figure nere su fondo rosso ed il vasetto originale tre volte maggiore del
disegno dato alla tav. suddetta. La statuetta di Venere che orna quest' ago
crinale grande al pari del presente disegno
adattatissima a dar compimento ad un utensile di muliebre decoro. singolare il vedere nei Monumenti etruschi la
Venere quasi sempre coperta negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso,
ravvisato il velo del quale son coperte agli occhi della nostra penetrazione
moltissime delle operazioni della natura: osservazione che dovette esser
propria specialmente degli Etruschi, i quali si magnificano come studiosi della
filosofia naturale. Proporrei ancora il sospetto che lago crinale fosse un
simbolo mistico, e per tal cagione posto nel i Iliade Tav. Non credasi per mai
da alcuno, che io ni" altlia la stolta pretensione di non essere
criticato, ch anzi mi reputer sempre ad onore ogni critica fatta a dovere, Ma
quando venga questa in mal tempo, e con peggior garbo, metter sotto gli occhi
di chi vorr leggermi, il seguente epigramma. Censura sapiens, et doctus
acutnine gaudet : Stultus at insano carpere dente solet. Ex tribus his titulis,
quem vis, tibi delige lector: Sic sapiens, doctus, stultus et esse potes. XLI.
VIDflDMU 4/mvfl4i flnoai ; qn-i XLEL
-.43 : F\\F{- 1/1-1 : 4 /Oq/ : i4 : 4/RttYf : intblq/d :m3iifl4 ; i n/qi :
43H3vi :.lamvfliflm: finn o ni asiaq'D : 4flim#4 : intn.q/a : xLvm. 4/aifn/qi3i lantqfl = ioqfiN ninni m Y 131 : 4An#isa
: ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f : laUfVf : flitifl Al disopra del coperciio. a
Siccome finisce il lembo del coperchio pare che abbiano continuata la parola al
di sopra del coperchio della stessa urna. I 74 (lutto nell'arte, mentre qui la
Furia infernale esce di sotto terra; come nel teatro. Se questuso non molto antico, non potremo reputare
antichissime neppure queste sculture ove tal uso imitato. Lurna due terzi pi grande del presente disegno. Il
soggetto di questo rozzo vasetto non che
un baccanale. Il vecchio barbato e nudo rappresentar dovrebbe un satiro, mentre
a centinaia s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi nei sepolcri, e le lor
mosse costantemente bizzarre, come acche la lor nudit costante, non permettono
di separar questa virile figura dal coro satiresco di Bacco. Ma la rozzezza del
lavoro accompagnato da negligenza; fece dimenticare al pittore di aggiungere
alla sua figura la coda equina che a satiri non manca mai. La donna eh dalla faccia opposta del vasetto, non pu
essere per conseguenza che una baccante . I circoli che in buon numero si
vedono attorno alle due figure sono un enigma finora inesplicato. La grandezza
delle figure uguale a quella delluomo
barbato. La pittura giallastra in fondo
nero. I tre recipienti che occupano questa tavola son vasi con pitture in parte
nere e in parte giallastre, che si mostrano separatamente dai loro vasi, e che
vedremo in seguito coi respettivi loro richiami. Ma il vaso segnato di numero 2
ha soltanto una pittura a parte, laltra di minor conto si vede qui in
piccolo.Io vi ravviso due degli Efebi davanti al ginnasiarca, il quale ha verga
in mano insegno che istruisce e comanda. Tali erano gli esercizi del ginnasio,
dove la giovent sistruiva negli esercizi del corpo e dellanimo; e gran parte
delle pitture devasi han simil soggetto nella parte opposta ad altra, che aver
suole qualche rappresentanza mitologica o simbolica, come in questo vaso, dove
si vedr Ercole accolto dal centauro Eolo. Queste favole credio avevano un senso
misterioso, e la giovent sistruiva nelliutelligenza di quel senso non a tutti
palese, per cui ne vasi comparisce nel tempo medesimo listruttore e 1
istruzione che rnostravansi con quelle pitture. Questo, pare a me, ehesser
possa il momento in cui Ercole passando dal monte Foloe per andare a cercar del
cinghiale dEriinanto, trattenutosi dal centauro Folo figlio di Sileno e della
ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il pi ospitale che potevasi. Ercole ebbe
desiderio di bere del vino. Folo ne avea soltanto in un vaso ehera stato dato
da Bacco ai centauri in comune, e perci non ardiva daprirlo. Ma Ercole
incoraggillo a deporre ogni timore, ed apri egli stesso sepolcro dov' stato trovato . Dissi altrove difatti, che si
venerava in Roma l'ago crinale della Madre Idea custoditovi fra le cose fatali,
da cui facevasi dipendere la stabile conservazione dell'impero. Le oreficerie
degli Etruschi, di che presentiamo qui un saggio, esser sogliono di uno
squisito lavoro. I due pezzi superiori pare che siano stati usati a formare una
collana, poich di simili ornamenti vedonsi le belle collane scolpite al collo
delle matrone che si trovano giacenti sopra i coperchi delle urne 3 . Ci sia
detto per disinganno di coloro che trovando nella Grecia altri ornamenti
muliehri lavorati in oro con una perfezione e con un gusto simile a quei dei
nostri Etruschi, ne dedussero che di Grecia si facesse smercio in Italia di
tali bigotterie; ma poich la forma dei due pezzi superiori trovasi ripetuta
soltanto nelle sculture d'Elruria,e non in quelle di Grecia, cos non abbiamo
pruove che usassero tali ornamenti fuor dellEtruria, n che non si potessero
quivi anche eseguire. Tra le infinite bizzarrie che vennero in testa ai figuli
per variar le forme dei vasi, che servirono per ornar le ceneri dei sepolti,
questa che presentiamo qui non
certamente delle men singolari. Il suo nome suol essere d' un ciato
quando ha forma dun corno potorio; ma in figura di gamba non avendone io mai
incontrati, per quanto abbia veduti moltissimi vasi sepolcrali, non saprei
certamente quei che possa dirsene. La sua grandezza due volte maggiore di questo disegno. della solita terra nera di Chiusi, ed ha vernice
nera assai lucida che lo cuopre d'uu color solo. In generale questi eran vasi
da bere usati col rito, che dovevasi affatto votarne il recipiente, per cui non
era necessario di tener questi vasi in piedi, ma suolevano star discenti sulla
mensa. La tragica morte di Eteocle e Polinice
soggetto che fu caro agli antichi Toscani che lo elessero soventemente
per ornarne i loro sepolcri. Qualche mossa, qualche ornato,lo stile medesimo
della scultura, fan vedere che vi fu comunicazione tra la scuola di Volterra e
quella di Chiusi. Il costume della Furia eh'
fra i due moribondi pi che altro manifesta la probabilit di questa mia
opinione; come si riscontra dai paragoni che posson farsene 3. Altrove notai
parimente 1uso teatrale di far comparire, non gi dalle scene i soggetti
infernali, ma dal palco medesimo, quasi che sorgessero di sotto terra ^. Un tal
uso vedesi esattamente intro- Monum. etr., ser. li J 2 Ved. la Tavola. Monum.
etr., Tavv. II vasetto che primo si presenta in questa tavola di terra nera, uguale in tutto al disegno. Le
teste velate son cos ripetute nei vasi sepolcrali chiusini, che io non dubito
di confermare il gi detto, nel supposto che siano indicative di larve Ci vien
fatta peraltro notare 1 esattezza del lavoro, non meno che la perfetta
conservazione del monumento. Si osserva un anello d oro eh in propriet del sig. capitano Sozzi. Il
lavoro, per quanto mi si elicer finissimo e di grandezza in tutto eguale
alloriginale. stato, per tanto riportato
in doppia grandezza l'incavo che tien luogo di pietra anulare, perch meglio si
osservi lo stile elevato di quel lavoro. I due animali, il leone cio e la
sfinge potrebbero essere interpetrate pel passaggio del sole dal solstizio
estivo allautunno, mentre quel mostro con corpo di leone e testa e petto di
donna non altro pare che indichi, sennonch il sole che uscito dal segno del
Leone ardentissimo passa in quel della Vergine, ove comincia a perdere lestiva
sua forza, per cui si assomiglia a una femmina. La galante forma del vaso n. 1
non comune fra quelle usate dai Greci.
Limpasto della terra tutto nero, ed in
luogo di figure dipinte ha dei bassiri- lievi minutissimi, daquali, come da una
doppia fascia, circondata la pi larga
parte di esso . In una delle nominate fasce al n. 3 stanno assisi due uomini
con veste talare, in atto di voler dispensare delle corone, che ricevon coloro
i quali stanno in piedi. Sotto alla lorsedia
un uccello, che secondo le moderne interpe- trazioni dei geroglifici
egiziani, come dissi altrove ?, significa la casa dello sparviere, eh pur
simbolo della divinit; e in conseguenza la casa o regione del cielo, sul quale
stabilite si vedono le figure sedenti del nostro bassorilievo. Porgono esse
dunque delle corone ai guerrieri, in premio di aver combattuto. Le sfingi nei
sepolcri le ho sempre credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai
segni dellemisfero superiore a quello inferiore 4, che dicevasi regno dei morti
5, e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 - Nel
bassorii. n. 2 v un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad esso
presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa unanima che
passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue virt' 6, accennando
non altro che il tempo di tal passaggio, come ho provato anche altrove? in
questOpera. 1 Monum. etruschi, ser. i } i, Ved. la spiegai, della Tav. 3
Lettere di etnisca erudizione; Monum etr.; Lettere; Vedasi tutta la mia lettera
scritta al dottor Maggi nel Tom. delle lettere, Ved. la pag. 5i, e 52 . ;5 quel
vaso dovera, come appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti col
dallodore del vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo, armati di
grosse pietre, un de quali qui
rappresentato in dietro ad Ercole in atto di scagliarliela ; e forse Anchio, o Agrio che furono uccisi da Ercole,
perch i primi ardirono dentrare in quella caverna 1 . Questa pittura con figure
giallastre inet del suo originale. In
questo bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed ignoto sul
monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla citt di Troia, ove segnalavasi
in tutti i giuochi e combattimenti che vi si facevano, ed in essi riportava la
palma sopra ogni altro concorrente, inclusive sopra Ettore e su gli altri suoi
fratelli, che sdegnando d' esser vinti da un ignoto pastore meditarono di
assalirlo ed ucciderlo. Ma Paride allora si dette a conoscere per loro
fratello, e cosi fu salvo. Qui Paride
NUDO COME SI COMPETE AD UN ATLETA, ed ha lunga palma sugli omeri, qual
vincitore in competenza coi fratelli che invidiosi lo guardano, e meditano la
di lui perdita, istigati a tanto misfattto dalle Furie infernali che loro si
fanno dappresso. Il ginocchio che Paride tiene sullara significala protezione
divina ehegl implora da Venere, come ho detto altre volte a, e 1 ottiene; mentre Priamo suo padre, a cui si
pales, lo ristabil nel suo rango 3 . Il disegno
una terza parte delloriginale.Chi mai trovar potrebbe in questo vaso un
gusto greco? Anzi a rettamente parlare diremo esservi un fare eh' tutt'altro
che greco.Lornamento del piede partecipa delle scannellature che s frequenti
ravvisiamo nelle opere dell'Egitto. In ogni restante v' una originalit
singolare. I mostruosi animali a bassorilie* vo che ne ornano il corpo son
frequenti in questi vasi chiusini di terra nera, ed io li tengo sempre per
quelli animali caotici che ad oggetto di rammentare la pili antica delle
orientali cosmogonie ne ornarono i sepolcri, di che ragionai anche altrove L La
donna che serve d'apice a! coperchio del vaso, in quanto al disegno non molto dissimile da quelle dipinte in giro nel
vaso della Tav. LXXII, come ancora in riguardo al costume dellabbigliamento.
Questo dunque lantico etrusco stile, o l
imitazione di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura pur
trovata in Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or sio ripetessi qui pure,
come ho detto altrove 5, che i Greci lavorarono vasi in Etruria, e quindi anche
i nazionali ma in uno stile del tutto differente, non ne avrei forse in simili
esempi le prove? Diodor. Sicul. Nonn, Dionis. intit. lItalia avanti il dominio
deRomani Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5, .Monum. etruschi ser. v, Tav.
lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i raonum.ant.uniti allop. droni perfino del tuono,
e del fulmine, i quali peri loro sorprendenti, e terribili effetti,
somministrarono in ogni tempo e in ogni dove abbondante materia alla
superstiziosa credulit dei popoli. Giammai per, n presso alcunaltra nazione,
ebbe la scienza tonilruale, efulguraria tanti cultori, come presso gli antichi
Etruschi, n mai se ne fece altrove uno studio cos costante, come nell Etruria
propriamente detta, e con successo cos, favorevole. Ma i sacerdoti etruschi,
dopo avere immaginata una scienza profonda, e difficile, sui tuoni e sui
fulmini, trovarono ancora il modo di renderla terribile e spaventevole al volgo
della loro nazione. Imperocch, stabilita la distinzione tra ifulmini di
consiglio quelli di autorit e di decreto, tra i postulatorii, i monitorii, i
confermatorii', gli ausiliarii, gli ospitalieri, ed i fallaci, i pestilenziali,
i micidiali i minacciami, ed i reali, e simili, ne fabbricarono ancora una
spece di Diario, ossia Rituale. Del quale, per darne una idea ai nostri
lettori, ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in italiano. Questo Rituale
adunque, o Diario tonitruale, e locale secondo la luna coni essi lo chiamavano,
fu tratto, per quanto ne dicono le tradizioni, parola per parola, da Publio
Nigidio Figlilo, dagli scritti sacri di Pagete ; Ed riportato da Lidio nel suo libro dei prodigi
al cap. xxvu, pag. 101, dell edizione fattane a Parigi,per cura di Carlo
Benedetto Tinse. Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al luogo
citato, su tal proposito . Se egli
manifesto che gli antichi sapienti etruschi prendessero in ogni
disciplina augurale per guida la luna, poich secondo il corso di quella
espongonsi qui appreso anche i segni tonitruali, e fulgorarli, rettamente far
chiunque si sceglier per duce in questa scienza le stazioni lunari, Laonde
quinci dal cancro, e quindi dal novilunio, istituiremo la diurna cognizione dei
tuoni, secondo i mesi lunari. Dalla quale passavano i Tusci, o sacerdoti
etruschi ad insegnare le osservazioni locali, anche intorno ai luoghi percossi
dal fulmine. E pare che il principale di tut fi i collegi di questi Tusci
risiedesse a Fiesole, leggendosi in Silio Italico Adfuit et sacris interpres
fulminis alis, Faesula Incominciando poi il Diario, o Rituale fulgurano, e
tonitruale etrusco, dal primo giorno lunare del mese di giugno, dice cosi. Se
tuoner nel'primo giorno della luna di giugno, vi sarei abbondanza di biade,
eccettuato l'orzo, ed i corpi umani saranno attaccati da perniciosi morbi ; E se
tuoner nl secondo, le donne partoriranno piu facilmente, ma peri ranno le
greggi, e vi sar abbondanza di pesci. Tuon and poi nel terzo sara il caldo
secchissimo per modo, che non solamente gli asciutti prodotti della terra,
resteranno inariditi, ma si abbruceranno ancora gli umidi e i verdi. Laddove se
tuoner nel quarto, laria sar talmente coperta, di nubi, e s piovosa, che le
biade periranno per la putrida umidit. Se tuoner nel quinto giorno, sar
dinfausto presagio alla campagna, e si turberanno tutti quelli, che presiedono
ai villaggi, ed ai piccoli castelli, e borghi ; Se nel RAGIONAMENTO Vili, E IX
SULLA SCIENZA TONITRUJLE, E FVLGURARIA DEGLETRUSCHI rpy.[xTcc re Fai $u oyav
?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aerer 9 stai ra 7repe tjv xepavvosxomav sar to*vt&>v
v.S'peomav e^et^yacavro. Diod. Sic. B^ovrat xaS' v7rvous ayyXwv ics Xyot,
Astrampsycb. de Sonili. interp. F_Ja superstizione, il pi funesto di tutti i
flagelli che affliggessero mai, in qualunque regione, ed in qualunque et, umana specie, facendola gemere sotto il giogo
pi duro, e pi pesante di quanti ne seppero immaginare, e fabbricare, la
tirannide pi scaltra, e il despotismo pi sospettoso, mescolando ognora
profanamente, per meglio abbrutirla, ed opprimerla, il venerando nome di Dio,
alle loro malvagit le pi enormi, fu sempre, e presso tutti i popoli della
terra, il maraviglioso ordigno, e lefficace strumento, onde si valsero gli
astuti, ed i tristi, a danno dei semplici, e dei buoni, ed i potenti, glippocriti, per dominare i deboli, e farsi
giuoco dei creduli- Questa Furia pertanto, esecranda, e crudele, la peggiore di
quante ne racchiude nel suo seno lInferno, che ha percorso sotto varie
vestimenta, e con diverso aspetto, tutta la superficie della terra, quella che fece risuonare di strani ululati,
e di querule grida le selve di Marsiglia, pei riti sanguinari di Teuta, le
foreste di Norimberga, per quelli d'Irmensul le montagne della Scandinavia, per
placare l ira di Thor o la vendetta di Odino, e le pianure della Perside, onde
rendersi propizio Arimane; ed pure
quella medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide, e della Tauride,
fece scorrer vermigli itessalonci torrenti, e quelli d Irlanda, accese gli
orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desol le Americane contrade, e coperse
in una sola notte la Francia intiera, di spavento e d lutto. Questa Furia
spaventevole che prende tutte le forme, e che le varia poi in mille guise
secondo i climi diversi, ed atteggiandosi ancora nel percorrere in ogni
direzione la terra, secondo le differenti passioni, e la varia indole dei
popoli, ebbe anche presso gli antichi Etruschi, influenza grandissima, e
prepotente dominio. N avrebbe, potuto accadere diversamente in una nazione, ove
la casta sacerdotale, o i collegi dei Tusci, facevansi, come in Egitto, e nelle
Indie Orientali, una privativa dell istruzione, e di tutte le cognizioni
letterarie e scientifiche. Ora questa medesima Erinni,invadendo lantica
Etruria, e facendone in crto modo suo nido, signoreggi in singoiar guisa gli
spiriti dei nostri antenati, prevalendosi anche presso di loro, di tutti gli
strumenti opportuni al suo scopo. Laonde s impa- Etr. Mus . Chius. 11 ri 0 8o
o/o dal fulmine aneli essi, come facevano i loro maestri. Quindi allorch esso
partiva dall' Oriente, ed avendo toccato leggermente alcuno, ritornava da
quella parte, era questo il segno di una perfetta felicit . Non traevas
peraltro nessun augurio del fulmine, quandi esso altro non faceva che strepito.
Quelli poi che sembravano promettere lene, o male, erano presi per contrassegni
della protezione, o della collera di Dio. Laonde V erano fulmini di cattivo
augurio, dei quali potevasi peraltro allontanare il presagio, come dipendeva
dalla volont degli uomini il procurarsi quello dei fulmini di augurio
favorevole, per mezzo di cerimonie religiose, e di offerte. Ve n erano poi
altri, di cui non era dato ai mortali di rimovere la minaccia, per via di
alcuna espiazione. Brasi introdotto pure fra i romani, come insegnavasi in
Etruria, che romoreg- giando il tuono dalla parte destra, annunziava sempre
qualche cosa di felice, e che era di funesto presagio allorchfacevasi sentire
dalla parte sinistra. I luoghi colpiti dal fulmine divenivano sacri anche pei
Romani, come tali divenivano per gli Etnischi, e non era pi permesso
d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano allora degli altari al dio
Tonante, e gli Aruspici avevano cura di consacrarli col sagrifizio di una
pecora, dal cui nome venivano detti bidentali. Anche gli alberi fulminati
dovevano essere purificati, ed una certa classe di sacerdoti delti strufertarii
facevano in tale occorrenza un sacrifizio colla pasta cotta sotto la cenere. Se
dobbiamo prestar fede a P ausonia gli abitanti della citt di Seleucia adorano
il fulmine, che eglino riguardavano come la loro divinit suprema. Cantavano
inni in suo onore, ed il culto di esso era accompagnato da singolarissime
cerimonie. Ma da credersi che il fulmine
altro non fosse, se non se il simbolo di Giove, che adoravano quegli idolatri
come essendo il padrone degli Dei. Nella Mitologia sono i ciclopi che
fabbricano entro la fucina dellEtna i fulmini al padre degli Dei, e servivansi
per comporli, e temprarli delle seguenti materie. Mescolavano insieme i
terribili lampi, lo strepito spaventevole, le striscianti fiamm, lei collera di
Giove s ed il terrore degli uomini. Il fulmine per non era lattributo esclusivo
di Giove. Nellopera di Ralle intitolata Ricerche sul culto di Bacco, stampata a
Parigi, domo primo, si legge che Proserpina ingener Zagreo, cio Bacco, colla
testa ornata di corna, il quale da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s
inalz al trono di suo padre, e tratt il fulmine colle mani ancora infantili. E
nella descrizione delle pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla
Winkelmann di una corniola, rappresentante Bacco con diversi attributi, ed un
Satiro, ai piedi del quale vede si il fulmine. Anche Luciano, e Nonno
panopolita, come pure molti monumenti antichi anno il fulmine per attributo a
Bacco. Tutte le grandi divinit del paganesimo hanno due caratteri distinti:
Luna generale, ed era quello del primo principio, dotato della forza, e della
potenza universale, e laltro particolare, che ciascuna di quelle divinit
riceveva dalle funzio-, 7sesto s ingenerer un insetto nocino nelle mature
biade, e se nel settimo regneranno dei morbi, senza per che ne molano molti, e
le secche biade cresceranno, mentre sinaridiranno le umide e verdi. Tuonarldo
nel giorno ottavo sar annunzio di grandi piogge, e della morte del frumento,
nel nono significher che dovranno perire le greggi per l'incursione dei lupi, e
nel decimo che vi saranno frequenti morti, ma che tuttavia l'annata sar
fertile;Mentre se tuoner nelVundecimo, annunzier innocenti calori, e letizia
alla repubblica, e se nel duodecimo accadeva lo stesso Quando tuona nel giorno
decmotrzo, minaccia la rovina di un uomo prepotente, nel decimoquarto, indica
che laria sar eccessivamente calda, e non dimeno sar lieto il provento delle
biade, con gran comodit di pesci fluviali, ma i corpi cadranno in languore; E
se poi tuoner nel decimoquinto i volatili saranno affetti da incomodi nell
estate, e periranno le bestie natanti. Se nel decimo sesto giorno tuoner, non
solamente minaccia diminuzione dell'annona, ma anche guerra, e verr tolto
dimezzo un uomo floridissimo; Se tuoner nel dectmo settimo, vi saranno calori
grandissimi, e mortalit di topi, di talpe e di locuste i E non pertanto lanno
apporter abbondanza e stragi al popolo romano. Tuonando nel decimottavo,
minaccia calamit ai frutti, nel decimonono moriranno gli animali nocivi agli
stessi frutti, e nel ventesimo minaccia dissezioni al popolo romano. Quando
tuona nel ventunesimo giorno, indica penuria di vino, buon provento delie altre
raccolte, e gran copia di pesci, nel ventesimosecondo presagisce un calore
dannoso, e nel ventesimoterzo dichiara letizia, allontanamento di mali, e fine
di morti. E cos nel ventesimoquarto annunzia abbondanza di tutte le cose, e nel
ventesimo quinto significa che vi saranno guerre, e mali innumerevoli.
Finalmente se tuoner nel giorno vigesimo sesto, il freddo nuocer alle biade,
nel vigesimo settimo, i primati della repubblica avranno da temere di andare
incontro a perigli per parte dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi libert di
biade, mentre tuonando nel vigesimonono, le cose della citt si troveranno in
migliore stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve spazio di tempo spesse
morti. E cos di tulli gli altri mesi. Allafine poi dellultimo mese, 5 viene
osservato, che Nigidio oiu- dico che questo Diario tonitruale, non fosse
generale, ma per la sola citt di Roma. N ci parra fuori di proposito, a
chiunque facciasi a riflettere che i sacerdoti etruschi, erano solili vendere a
caro prezzo la loro scienza, a tutti quelli che ambivano di farne acquisto, e
singolarmente ai Romani, che ebbero cominciamento da u na ciurma di banditi d
Etruria, e ne divennero poi gli emuli, quindi i nemici, e finalmente i padroni,
ed oppressori. Impararono per ben presto anche i Romani a fare la distinzione
fra i fulmini lanciati il giorno, e quelli che lo erano nella notte-, E
credevano che partissero i primi dalla mano di Giove, ed i secondi da quella di
Summanno, la qual dottrina tutta
etnisca. Dopo questa distinzione, non tardarono molto a trarre ogni sorta di
presa- m p. e. gl' Iotorti, i quali sono quelli che tracciano cadendo una linea
tortuosa, nei quali sono prima di tutto da ammirarsi,al dire di essi, la loro
natura, e la difficolt di contemplarli ; Ed aggiungevasi dai medesimi libri,
che non lutti producono i medesimi effetti, neppure quelli che vengono formati,
secondo loro, dall' aria, e dal concorso delle nubi. E vi si trovano pi altre
osservazioni di questa, e di altra specie, che sono pure riferite da Lidio a
pag. 171, cap. 44 Afferma anche Arduino
che i Tusci attribuivano a noveDei la facolt di scagliare i fulmini, e che ne
distinguevano undici specie diverse j E per viepi persuadersi che eglino
riguardavano come cosa di grande importanza la scienza dei fulmini, leggasi
anche Seneca, lib. 2. cap. 32, 33, e seguenti, delle questioni naturali, ov
egli descrive prolissamente tutta la lor dottrina, e tutta la loro scienza sui
fulmini, ed anche intorno alla divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che
tocca pure CICERONE (si veda) nel libro primo della divinazione. Censormo poi
al capitolo xi, pag. 69, De die natali, loda esso pure i libri rituali degli
Etruschi. I medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni per
impedire che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in altri. E
cosi, leggiamo nei Geoponci, o scrittori delle cose rustiche, che sotterrando
in un campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadr il fulmine-, E nel lib. 8.,
cap. xi, soggiunto, con una sentenza di
Zoroastro affinch n i tuoni n i fulmini
facciano svanire i vini dopo di che si
prosegue cosi, Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli, e delle botti,
allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i fulmini, e i tuoni.
Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona fsica, ma ci non monta.
Cosi la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi sovrapponevano alcuni rami di
alloro, i quali dicevano essere giovevoli in ci, per contrariet di natura, e
qui avevano ragione. Nei suddetti libri sacri, e rituali dei Tusci,
incontratisi ancora altri nomi da ti ai fulmini, oltre quelli gi riferiti in
questo ragionamento. Imperocch altri ne chiamarono Fumidi, altri Candidi, altri
Irruenti, ed altri Presteri,' E ci dicevano essi di aver istituito, perch
producono diversi effetti. Quindi soggiungevano che gli Ardenti sono quelli che
si dicono Presteri, e quelli senza fuoco son chiamati Tifoni, laddove i pi
languidi son detti Enifie. Diconsi poi Egide quelli che noi diremmo Prefratti,
o rotti prima, i quali sono portati da un igneo globo Donde avviene che V etnisca tradizione, mette
le Egide intorno a Giove, quasi insinuando che laria la causa cosi della procella, come del
fulmine, e della concussione del tuono. Quando il fulmine romoreggiava fra il
giorno, e la notte, solevano chiamarlo I ROMANI fulmen prevorsum, e dietro glinsegnamenti
degli Etruschi attribuivanlo a Giove, ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i
Celti, abitanti delle parli settentrionali dEuropa, credevano che i rimbombi
dei tuoni fossero cagionati dai colpi di clava, coi cosa degna di osservazione il vedere che gli
Scandinavi, ed altri popoli del Settentrione facessero essi pure uno studio
particolare sui fulmini, sui baleni, e sui tuoni, e che avessero formato di ci
una scienza come glantichi Etruschi, giacche rAnnuani, alle quali l'aveva
ridotta il sistema del politeismo. Elleno ha per attributo il fulmine, sotto il
primo rapporto, ed ci che si ritrova
presso tutte le nazioni antiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo
PLINIO (si veda), nove divinit che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano a
Marte quelli che producevano degl' incendii. Eravi a Milon in Egitto, un tempio
dedicato a Nettuno fulminante, per testimonianza di Ateneo, lib. 8. E Sidonio
Apollinare chiama lo stesso Nettuno Giove Tridentifero, in questi versi, Sacra
Tridentiferi lovis hic armenta profundo Pharnacis immergi! Genitor. Mentre
Stazio nel primo libro dell'Achilleide, lo chiama ii secondo Giove. Apollo
vienne spesso rappresentato, secondo Golzio, colle ale ed il fulmine j. E si
vede su molte medaglie romane colla testa coronata di lauro, ed il fulmine in
mano. Sofocle nellEdipo Tiranno, J, e PLINIO (si veda), lib. x, cap. 2. 0,
parlano pure di Marte fulminante, come si vede su diversi monumenti antichi.
Vulcano lanciava aneliesso il fulmine, secondo Virgilio, e Nonno nelle
Dionisiache, ed alcune medaglie dell isola di Samo, lo rappresentano cosi.
Vedesi poi il Dio Pane col fulmine, su due piccole figure romane in bronzo, e
ne parla Ateneo nell undecitno libro dei Dipnosofisti. Cibele si vede spesso
rappresentata col fulmine, e lo portavano pure Minerva, e Giunone. E
questultima era collocata a Cartagine sopra un lione, tenendo il fulmine sulla
destra, e lo scettro sulla sinistra-, Mentre della prima dice Virgilio: Ipsa
lovis rapidum jaculata e nubibiis ignem. Finalmente lanciava il fulmine lo
stesso Amore, E questo Amore Kspmvofofos, cio laudante il fulmine, scolpito sullo scudo di Alcibiade, secondo
lEpigramma dellAntologia greca. Molti poi sono i generi degli stessi fulmini.
Insegnavano i Tusci, e lo riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono
asciutti, non ardono, ma disperdono, e che gli umili non bruciano
mainfoscano.Quindi ne annoveravano un terzo genere,chiamato chiaro', i quali
sono di una natura veramente mirabile, imperocch asciugano, p. e. le botti,
piene di vino o di altro liquido, lasciandole intatte, e non iscorgendovisi
alcun vestigio per ove le abbiano vuotate . Di pi, loro, l'argento, ed il
bronzo, vengono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei sacchetti,
ove suino riposti, senza arderli in verun modo, e neppure abbronzargli, ed
anche senza guastare il sigillo di cera col quale siano stati chiusi. Si
racconta che Marcia principessa romana fu colpita da uno di questi fulmini,
essendo gravida, il quale uccise il feto che ella portava, ed essa poi
sopravvisse senza verun altro incommodo; E narrasi ancora nel prodigi
Catilinarii del Municipio Pompeiano,che Marco Erennio Decurione fu percosso da
un fulmine in giorno perfettamente sereno. Oltre questi generi di fulmini, libri dei Tusci ne contenevano ancora altri,
come, Etr. Mai. Chius. trar nel cielo: opinioni uscite tutte quante dalle
dipinture allegoriche delle antiche rivoluzioni del nostro globo. I Brasiliani,
ad ogni scoppio di tuono, riguardano tremando il cielo, e sospirando ; E
credono che sia il loro Agnian, o lo spirito maligno, che minacci di
percuoterli. Almeno cosi ci assicura il viaggator Cereal. In Circassia, i
piartele tuona, escono gli abitanti dai villaggi, e dalla citt, e tutta la
giovent si mette, al dire di Tavernier nei suoi viaggi, a ballare, e cantare in
presenza dei vecchi. Le quali danze, e le quali cantilene, se non furono
funebri, o guerriere nel loro principio, bisogna dire che la gioia di quei
popoli sia fondata sull' idea che il tuono sia di un felice presagio. Idea
conforme ancor questa a quella dei Persi, e di un gran numero di popoli
antichi, quali credevano che il fulmine
rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ci perch presso i Magi era il fuoco
temblma della Divinit, conforme si pu vedere eruditamente provato dal Signor La
[fide, nell opera da lui composta sulla religione dei Persiani, cap. primo.
Presso i sunnominati Circassi, un uomo ucciso dal fulmine giudicato avere ricevuto da Dio un gran
favore : E se il fulmine stesso
semplicemente caduto sulla sua casa, egli e tutta la sua famiglia sono
nutriti per un anno a spese del pubblico. opinione degli antichi idolatri, che
Giove punisse, non gi con volgari ga- stighi, ma bens fulminandoli, tutti gli
spergiuri. E per si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cio Imperocch Giove scaglia questo fulmine veramente
mirabile, contro gli spergiuri . Ad onta per di queste popolari credenze, non
mancavano tuttava di quelli, che le schernivano, e se ne ridevano di tutti i
volgari timori . Difatti Luciano, nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni
uomini, che spergiuravano in dispregio dei Numi, subindic il timore del fulmine
dcen o che que sta specie di mortali, temono pi una lucerna spenta, che la
caduta di uri fulmine, e di esserne colpiti. s w cuy:. 5 T0= fawoo vale a dire: pertanto
alcuni di quelli che spergiurano, temerebbe piuttosto una lucerna spenta, che
Infiamma di quel fulmine domatore di tutte le cose. I Romani, che al dire di
Cicerone, presero auspicia et sacra ab Ltruscis, e secondo Valerio Massimo
derivarono tutti i semi della religione dall Etruria, e noi aggiungeremo
francamente, anche ogni demento di civilt, fecero passare un gran numero di
etruschi Numi a Roma . Quindi provano con buone ragioni, ed autorit . il
Dempstero, ed il Gori, che erano presso che infinite le divinit adorate dai
nostri maggiori, e che la pi gran parte presero domicilio in Roma. Laonde
chiameremo temerarie, e stolte le critiche mosse da alcuni Archeologi pi
moderni, contro quei te alla prima percossa che hanno dal fulmime, non
dispiacer ai nasini lettori il vedere mescle nessuno animale arso, o acceso dal te qui a confronto le
supersituom tomtrual, r7P f u l vararle desi Scandinavi, ed altri setten-
fulmine, se non e morto, e simili. ejiu 0 uiun 5 t j ], . t j /-.p trionali con
Quelle desi cinlichi Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano tali os
inori un / et servazioni consentanee alla buona fsica, 1 stesso proposito quali
il loro Dio Thor percuoteva Giganti. Il
qual linguaggio lo stesso che quello dei
moderni Persiani, i quali credono che le stelle cadenti siano colpi di fulmini,
che gli Angioli scagliano nelle altre regioni, contro i Demoni, che si forzano
di rieririo tonitruale di quelli, ha molta somiglian za col Diario fulgorale, e
tonitruale di questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib. i, cap. 3i della sua
storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali, cne i tuoni di
gennaio significano che i venti soffieranno con mag gior gagliardia del solito,
e che sorgeranno le biade pi dritte, e grandi. Quelli di febbraio annunziano
una grande mortalit e singolarmente di quelli che vivono nella delizia. E
quelli di Marzo indicano gagliardi venti, e che vi devessere gran fertilit in
quell anno, e straordinario strepito nei giudizii . Indicano i tuoni di aprile
che cadr una pioggia conveniente elle biade 9 e che la campagna sara abbondante
in tutto il corso dell'anno, mentre quelli di maggio significano tutto il
contrario, cio, penuria di biade, ed una formidabile carestia di tutte le cose.
Presagiscono poi quelli di giugno una piu abbondante fertilit, bench predi cono
al tempo stesso infermit spaventevoli. 1 tuoni di luglio annunziano abbondanza
di frumenti, ma distruzione di legumi 9 e di frutti . Predicono quelli di
agosto che gli uomini converseranno pacificamente fra toro 9 ma vi saranno
malattie pericolose 9 E quelli di settembre denotano fertilit in quelIalino,
nel quale per sovrastano guerra, sedizioni, e morti . 1 tuoni di ottobre sono
qualificati collepiteto di portentosi, perche indicano grandi tem peste in
mare, ed in terra ; quelli di novembre, bench raramente tuona in tal mese, promettono
fertilit nell'anno seguente. E quelli finalmente di dicembre significano
abbondanza di tutte le cose, ed una gioconda conversazione degli uomini fra
loro. Altre osservazioni dei settentrionali sui fulmini, sui lampi, e sui tuoni
portano quanto segue. Quando nellestate per esempio, tuona pi che non
lampeggia, significa dover soffiar venti da quella parte, e per lo contrario se
balena pi che non tuona, deve cader molta pioggia. Quando lampeggia essendo il
cielo sereno, vuol dire che vi saranno pioggie, e tuoni 9 e far un tempo da
inverno E tali cose poi saranno gravissime, ed atrocissime quando questi lampi,
e questi tuoni verranno da tutte le parti del cielo. Ma se balener soltanto
dalla parte ciV Aquilone indicher pioggia nel giorno seguente j E se i lampi
verranno dal punto preciso del Settentrione 9 soffieranno venti. Lampeggiando
dalla, parte di Austro, di Coro 9 o f avonio, essendo serena la notte,
significher che devono venir pioggie, e venti da quelle medesime parti.
Dicevano ancora i settentrionali, che i tuoni che scoppiano la mattina di
buonora annunziano venti e quelli che si sentono nel mezzogiorno predicono una
grossa pioggia . Aggiungevano poi essere imjjortantissimo il sapere da qua!
parte vengono i fulmini, e dove si dirigono. Imperocch sono crudelissimi quelli
che partendosi dal settentrione vanno verso l Occaso, e sono di ottima natura
quando ritornano finalmente a quelle parti dalle quali sono venuti, perche
quando vengono da quella parte del cielo dondebbero origine, e poi ritornano alla
medesima, presagiscono allora una somma felicit da quella parte di mondo 9
rimanendo per infelici tutte le altre. E finalmente altre curiose osservazioni
aggiungevano intorno a questarticolo, come, che la notte piu che il giorno
lampeggia senza tuoni, che la natura ha dato il privilegio al- l uomo di essere
rare volle ucciso dal fulmine, e che se questo accade talvolta, assai pi conveniente, e pietoso ufficio il
sotterrare quel morto, che il bruciarlo. Che te ferite dei fulmini sono pi
fredde che tutte le altre, che le bestie moiono istantaneamen- parla CICERONE
(si veda) nel primo della divinazione, n fa diuopo osservare il diverso
inalzarsi della fiamma, o lo scrosciar della medesima, n lo scoppiettar dell
incenso, delle quali cose scrisse, secondo Stazio, un tal Tiresia, famosissimo
augure etrusco. J\ occorre tampoco far menzione, per esaltare Tetnisca
sapienza, di ci che osserva fra gli altri Seneca, Uh. n, delle quistioni
naturali, circa l avere i medesimi fatta anche la distinzione tra i fulmini prodotti
nelle nubi, nell'aria, d onde scendevano
in terra, e quelli che prodotti nella terra slanciavansi in alto, e verso le
nubi medesime, giacch queste, e molte altre simili cose trovansi narrate, e
raccolte da vari autori. Ma non sono per da passarsi sotto silenzio alcune
memorie di PLINIO, ove narra distesamente in due capitoli, le opinioni degli
Etruschi, appoggiate ad una ragionevole fiolosofia, circa lessenza, o la
natura, e circa le diverse specie di fulmini da essi distinte. Conferma ivi
quel sapientissimo scrittore ci che abbiamo qui sopra accennato, che vengono
cio i fulmini, tanto dalle nubi, quanto dalla terra, ed assicura aneli esso,
che trovavansi negli scritti etruschi, nove, o pi probabilmente undici specie
di fulmini, delle quali Romani loro
figli, e discepoli, non ne avevano osservate, e mantenute che due. Il che viene
a confermare sempre piu il detto di Cicerone, che quei superbi conquistatori,
ed oppressori del mondo, ebbero dagli Etruschi non solamente lorigine, ed i
riti religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma eziandio la civilt. Egli
osserva pertanto particolarmente, la diversa natura, e diversi singolarissimi
effetti dei fulmini, che dal cielo provengono, e di quelli che dalla terra sono
prodotti-, ed avverte ad un tempo, che queste osservazioni furono trasportate,
e trascritte negli annali romani, aggiungendo inoltre che vi erano pure le
maniere ed i riti per chiamare i fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece
forse Porsernia, che con un fulmine cos ottenuto, ed accompagnato da un mostro
chiamato Volta, devast, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei dice di pi,
che in questa scienza era dottissimo Numa Pompilio, e che avendolo poco bene
imitato Tulio Ostilio, fu arso da un fulmine-, E che per questo fra i diversi
nomi che per l'etnisca disciplina furono dati a Giove, di Statore, di Tonante,
Feretrio, e simili, s'incontra pure quello di Elido, o Evocatore. E finalmente
che si prevedono in tal guisa le cose future, bench sia temerit il credere, che
si possa comandare alla natura, o sforzarla . Il medesimo autore osserva poi,
come il baleno sia piu veloce del fulmine, e del tuono, e come perci il fulmine
stesso debbasi prima vedere, che udire. Circa le qiiali osservazioni di Plinio
intorno alla scienza tonitruale, e fuigurari a deglEtruschi, vi sarebbero da
fare molte fisiche riflessioni, se l indole dell opera per la quale sono
scritti questi ragionamenti, lo comportasse. E sul proposito di questa scienza
etrusca, nella quale dice il sullodato Plinio essere stato peritissimo il re ISuma,
ascoltisi anche Ino Livio, lib.t, il quale lo chiama non solamente dotto nelle
arti peregrine, ma eziandio nella tetrica, e trista due dottissimi scrittori;
Colle quali critiche pretendono di negare, che per esempio, un tal Nume, non
abbia potuto aver culto in Etruria, perch si cede adorato net Lazio, ed m
Roma,; Avvegnach dovrebbe piuttosto aver luogo la congettura contraria, come
saviamente rifletteva il sapientissimo Guarnacci. Imperocch, dovrebbe dedursi
che se una tale divinit si vede adorata in Roma e nel Lazio, ben ragionevole il credere, che abbia prima
avuto culto in Etruria- quando si voglia riflettere, che una colonia etrusca
erano i Latini, e che lo stesso fondatore dell Eterna Citt, coi suoi primi abitanti,
non furono altro come anche altrove accennammo, che una banda di fuorusciti
Etruschi. c he se poi igrecomani, sottilizzando, ed ostinandosi ognora pi a
volere irrefragabili prove, e quasi ancora la fede di battesimo, come diceva il
prelodato Guarnac- ci, che un tale idolo, od un tal monumento qualunque, sia
veramente etrusco, e non greco, n romano ; Oltre che si pu risponder loro che
queste prove intrinseche, non le hanno dordinario neppure le cose veramente
greche, e romane, e che l'antiquaria iti genere si aggira sulle asserzioni
degli antichi autori, i quali ci hanno lasciato scritto, dove i vani Numi, e i
diversi riti abbiano avuto loriginario loro culto, Si pu ad essi aggiungere
ancora che ve una probabilit, la quale confina colla certezza, che dove un si
gran numero didoli, di vasi ed altri monumenti di ogni maniera, sono stati
trovati, siano stati pur lavorati. Ed essendo imedesimi stati dissotterrati
negli scavi etruschi, ed indicando una grandissima antichit, e mollo superiore
alla civilt greca, e romana,
irragionevole, ed assurdo il credere, che i soli Greci, e romani li
abbiano dappertutto disseminati. Ed anche a ci che dice il chiarissimo signor
Vermigliali, il qlude pretende (. E roga ime di Admeto e di Alceste) che i
monumenti italici pi sono antichi, e pi grecizzino, ed al contrario latineggino
maggiormente, quanto pi si avvicinano all epoca del dominio romano in Etruria,
come pure che glitali antichi spesso aspicassero, si pu rispondere cosa che sar
di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non sanno, o non vogliono trarsi fuori
della traccia segnata dai loro predecessori abbiano essi fatto bene o male.
Ed questa :,o,m, ere l e osservazioni
del sullodato filologo perugino, perch la lingua greca figlia della vetustissima etnisca in quanto
alle sue radicali, bench ne differisca grandemente nelle inflesStoni, di Greci
sono scolari degli antichi Etruschi, ossiano Pelasghi Tirreni, indigeni d
Italia, i quali andarono in remotissima et a colonizzare, e popolare la Tracia
eia Grecia, come m altro ragionamento accennammo . In quanto poi alle
aspirazioni degl Itali antichi, procedono queste dallorientalismo, che ridonda
in ogni dove in Italia, e che vi fu introdotto in tempi da noi oltremodo
lontani da una colonia orientale, coi primi elementi della civilt, come pure
asserimmo nel quarto di ave Sti ragionamenti medesimi. Ma torniamo ai fulmini
ed ai tuoni. Non occorre citar qui i libri fatali degletruschi, ricordati da
Livio, hi. V, n i fulgorali, e gli aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius.
Tom. J, Chi mai oserebbe di qualificare lavvenimento qui espresso, non
vedendovisi che due militari pronti alle difese e alle offese, senza ravvisarvi
ne 1 inimico, ne oggetto veruno che sia motivo di questa loro disposizione al
combattimento? Ma siccome questa pittura
nel mezzo duna tazza, intorno alla quale sono altre figure giallastre,
come questa, in fondo nero, cos tenteremo di trarre da quellequalche argomento
a cognizione di questa. Un corpo esanime steso al suolo, presso cui stanno
alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume diverso, mi richiama alla
mente lavvenimento del corpo di Patroclo, contrastato fra i Greci e i Troiani,e
finalmente ottenuto da quelli collespulsione di questi. Non vi sono
caratteristiche assolutamente variate tra combattenti e combattenti, a
dichiarar Greci gli uni, e Troiani gli altri,ma pure la totale nudit dei primi
li fa credere eroi,che la Grecia rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli
altri tre hanno in testa un berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi
3 .Hanno essi pure nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento, che
raramente onon mai trascurasi nelle figure asiatiche, per quanto io abbia nei
monumenti antichi osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo morto, altres nudo del tutto, e inconseguenza
spettante ai Greci, cqme difatti era Patroclo il caro amico di Achille, che fu
ucciso in guerra da Ettore, secondo Omero l . Probabilmente anche i due
guerrieri dipinti nel mezzo della patera, e che vedemmo nella tavola
antecedente,son due Greci alla custodia e difesa del corpo di Patroclo, ch'
dipinto nel fregio della tazza medesima. Infatti essi vedonsi ARMATI, MA NUDI,
giusta il costume greco eroico, siccome dicemmo. Qui le figure son ridotte un
terzo pi piccole di quelle che vedonsi nella tazza originale, ove sono di color
giallastro in fondo nero. Qualora mi si conceda esser probabile la
interpetrazione dellantecedente rappresentanza della morte di PATROCLO, e del
contrasto tra i Greci e i Troiani, per ottenerne il cadavere, non mi sar negata
fiducia nella supposizione eh'io son per proporre, che in questa pittura, la
qual fa seguito allantecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon
resi dallamico Achille a quellestinto eroe, e particolari Galleria oraer.
Iliade, Voi. 11, Tavole cxcix, 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11, p. 45- cc,
cci, ccn. - a Plot., Vii. Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che erano
Etruschi ), di che non vi stata mai
veruna cosa piu incorrotta, e veneranda. E dicendo che lo stesso Numa era dotto
anche nei liti peregrini, si deve intender qui di quelli di Samotracia, che
erano i idrici, e tri- sti dei Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come
altrove dicemmo, e lo abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano
come peregrini, perch tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi
lontani, passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali riti possed
Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale portossi in Samotracia
pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e per introdurre poi in Troia
una religione del tutto ponforme a quella dei suoi antenati, che era l Etnisca.
E si noti, che il medesimo Livio, e tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere
che il pi volte nominalo Numa Pompilio fu religiosissimo, e propagatore in Roma
di ogni pia istituzione ; Ove non altro ei propag certamente, che riti
etruschi. Ed ecco una erudita chiacchierata sulla scienza tonitruale, e
fulguraria degli Etruschi. La quale potrebbesi ancora condurre pi a lungo, ed
arricchire di pi altre peregrine notizie su questa recondita disciplina, se non
fosse il gi detto pi che abbastanza pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e
per quale sovrumana potenza, andarono a mancare queste, e tante altre
superstizioni, stabilite, ed inveterate nel mondo, radicatissime nei cuori
degli uomini, e venerate, e temute in tutte le regioni della terra aliar
conosciute? In qual modo cessarono i terrori e la paura, onde avevano saputo
gli antichi sacerdoti, di concerto sempre cui Despoti, invadere gli spiriti dei
mortali, tenuti ognora da essi, a bello studio nella cecit, nel timore e nella
pi profonda ignoranza con mille misteriose ambagi, e con mille disperate
minacce? Scomparvero tutte queste tenebre, e caddero tutti questi arcani e
portentosi ordigni, al comparire della luce Evangelica. Al comparire di quella
legge, t unica fra quante ne vide l'universo, che introducesse la vera libert,
e la vera eguaglianza fra gli uomini. Al comparire di quella legge in somma,
che mette, davanti a Dio, a livello del pi temuto tiranno, e del pi potente
monarca, anche il pi infimo del popolo. In urna di marmo LI. : flnoai ; qflj J3
: M : 43 un. fm \iflj : miai : janavi : armo LIV. : iaruv/Hflm ; f\nn o
Nellorlo dun vaso cinerario di terra cotta LV, mtvfl Jtiat v/rji 9 questo idoletto in piccolo, quello che dissi
esser l'altro, rappresentato pi in grande, e con alquanta variet nelle Tavole
XLIX, e LXVII di questa raccolta, essendo il presente di grandezza simile al
suo originale. Ma la di lui piccolezza, e 1 non esser vuoto, non permette che
si riconosca per un cinerario, sicch fu tenuto soltanto pel nume che riceve,
abbraccia e protegge gli estinti, che nati dalla materia terrestre tornano dopo
la morte in seno alla terra, o per meglio dire alla natura mondiale, della
quale Bacco era il nume tutelare. E poich mi si dice che piu d uno di tali
idoletti si trovarono in uno stesso sepolcro, da ci argomento che speciale fu
nel sepolto la venerazione pel nume da questa immagine rappresentato. Si vede
un fregio in bassorilievo che ricorre in giro in un vaso dei consueti chiusini
di terra nera, e non v differenza in misura tra loriginale e la copia. Il
significato mi sembra lo stesso dei precedenti lavori di simil genere. Vedo
ancor qui come altrove la Chimera, e credo che loggetto sostenuto in mano dagli
uomini sia, come nei calendari egiziani, lo Scorpione sidereo. Aoter di
passaggio a tal proposito che il famoso torso egiziano in basalto, che un tempo
fu del card. Borgia, pubblicato dal eh. Lenoir alla Tavola VI del forno [, num.
g si vede come qui una figura con Io Scorpione tenuto per la coda, e dietro a
se v parimente il leone con la coda che termina in un serpe, e con la Capra sul
dorso, n spiegasi differentemente che pei segni delle celesti costellazioni. Si
vuol peraltro che nella Capra sopra del Leone si ravvisi il trionfo del Capricorno
sopra il Leone, e probabilmente i due serpenti che nel nostro bassorilievo si
manifestano, saranno quei che dominano il cielo nel tempo dell'indicato
trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano, che mentre il Capricorno
comparisce al nostro Zenith, la Vergine si mostra sotto il segno dello
Scorpione, o del domicilio di Marte 3 : e difatti s nel monumento chiusino, che
nell'egiziano comparisce una figura che ha in mano uno scorpione, se non che
nell'egiziano si mostra femminile quella figura, che qui per la sua nudit, par
eh esser debba maschile, ma ci non si manifesta con sufficiente chiarezza. Che
i cavalli abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Cavalli
siderei, gi me n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente
essere il cavallo sidereo un paranatellone del levare eliaco dello Scorpione J
.Lettere di etnisca erudizione. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a
ivi. Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che Omero 1 *
pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo nel di lui
funerale. Nei vasi, che negli annali dellistituto di corrispondenza
archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei combattenti, col cesto
come qui, degli uomini coperti d'un manto con braccio scoperto, e dall'in-
terpetre attamente chiamati rabdofori 3, i quali assistendo a quel giuoco hanno
in mano una verga biforcata, similissima a questa dei presenti i . Le due
ultime nude figure una soccombente allaltra prevalente, ancorch senza cesti
alle mani, mostrano che i pittori aggiungevan talvolta delle figure e dei
gruppi a capriccio, ad oggetto d'empir lo spazio che doveasi dipingere. Se per
consultiamo i pi moderni sentimenti degli archeologi, troveremo-ammessa pure
lipotesi, che una figura umana stesa per terra presso alcuni combattenti,
ascrivere si debba, unicamente ad alcuno dei contrasti gimnici, senza ricorrere
al particolare avvenimento di Patroclo per isvilupparne il significato. Un
sacerdote di BACCO ed una Menade con dei vasi libatori formano il soggetto di
questa pittura, e son frequentissimi quanto altri mai nei vasi fittili dipinti,
onde potremo giustamente ripetere col Lanzi che di cento vasi tornati a luce,
novanta contengono soggetti bacchici.
singolare il tirso eh entrambe le figure sostengono, mentre ha
un'armilla che nei tirsi non comune, ma
nemmeno del tutto insolita, senza che per altro sintenda qual n'era l'oggetto.
Nelloscurit di questo soggetto non altro saprei ravvisarvi che il celebre greco
Capaneo estinto sotto le mura di Tebe. Altrove pure narrai come questi van-
tavasi che avrebbe presa Tebe, volesse Giove o non volesse, ma provocati gli
Dei con tali bestemmie, ne accadde che mentre il primo dava la scalata, Giove
non lasci compier limpresa, e con un fulmine Io precipit dalla scala e lo
uccise 6 . Or io noto che qui si vede una scala squarciata dal fulmine, un uomo
rovesciato che dallalto cade a terra, e dietro a lui le mura forse di Tebe,
dove stanno alla guardia militari tebani. Le altre figure si possono intendere
pel restante dellesercito, eh spaventato, e stramazzato a terra per lo spavento
del fulmine. L'urna in marmo cinque
volte maggiore di questo disegno. i Iliad. a Galleria omerica Iliade. 3 Voi. n,
p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard, Annali dellistituto di
corrispondenza ardi. Monumenti etr. ser. i, Tav., e altrove, mentre altri sono
come il presente eseguiti in forma di vasi con capricciosi ornamenti, rivestiti
per lo piu da fogliami, e con iscrizioni latine, come pur qui si legge,
indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io stesso nella mia dimora in Chiusi
vidi molti monumenti e rottami di essi, di stile greco e romano e bellissimi.
Nellinterno d una tazza di terra verniciata in nero, si vedono queste due
figure di color giallastro; e sono, per quanto mi sembra, d'uno .stile
perfettamente simile a gran parte di quelle pitture monocromate dei vasi
italo-greci. Vi si rappresenta un suonatore con cetra e plettro, in atto di
attendere dalla Vittoria il premio del suo valore, e credo che ci alluda ai pregi
morali dellani- ma, che negli estinti son premiati nella vita futura; e perci
soggetti simili ed analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti nei
monumenti che pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre opinioni. Se aver
vogliamo un esatto conto dogni figura eh in quest urna di marino, il cui
disegno qui un ottava parte del suo
originale, non saprei se potessimo riescirvi con plausibile disimpegno. Ma se
consideriamo che gli artisti obbligati a trattare nelle opere loro un qualche
mitologico soggetto, eran poi costretti ad ornarne tutto lo spazio del marmo
che formava il primario lato dellurna sepolcrale, ancorch il soggetto da loro
scelto non richiedesse tante figure, quante ne occorrevano ad ornare lo spazio
determinato, noi troveremo irreprensibile lo artista che abbonda in figure,
ancorch non richieste dal soggetto che tratta, come ne somministra un esempio
assai chiaro il bassorilievo di questa Tavola. Io vi ravviso Ulisse in atto di
adoprare il suo arco, il qual potea dalle sole sue mani esser teso, ed uccide i
proci di sua moglie Penelope, i quali dilapidavano le di lui sostanze. Egli ha
un berretto appuntato, eh la consueta
causia che lo distingue come famoso viaggiatore del mare . Sta con un ginocchio
sullara, mostrandosi protetto dai numi 3 nella difficile impresa desterminare
egli solo coll'aiuto del figlio Telemaco i tanti suoi nemici. La colonnetta
sulla quale solevansi tener degli idoli domestici, mostra chegli gi penetrato nell'interno della sua casa,
mentre le colonne doriche vedute nella parte opposta danno indizio che lo
avvenimento accade nella sua reggia. La forza chegli mostra di fare col braccio
destro per tendere un arco, fa ben ravvisare chei solo poteva piegarlo a forza.
i Inghirami, Monum. etr. % Ved. Monum. etr. Qui si mostra nuovamente un ago, o
spillo crinale in oro di un lavoro delicatissimo, considerando che nel suo capo
segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi il lavoro che portato in grande, si vede al
min. 2, il cui ornato di semplice
bizzarra. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare, per essere una di
quelle solite fermezze che in luogo d esser di bronzo, come se ne trovano a
centinaia, doro, e rarissima. Si creduto da taluno che queste fermezze
servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d amianto dove bruciavasi, ed in
tal guisa stata trovata ragionevole
l'indifferenza che tali fermezze siano in maggiore o minor numero in un
sepolcro; e se questo , noi reputeremo pi che altri opulente il morto presso al
quale stata trovata questa fermezza
doro. Il numero 4 similmente doro, e
credesi frammento d'una collana . II pregio di questo monumento consistendo
principalmente nella iscrizione dalla quale
circondato, cos attenderemo di conoscerne 1 interpetrazione per opera
del cultissimo Vermiglioli che unitamente alle altre del Museo chiusino, ce le
piepara per darcele tutte di seguito in quest opera stessa. I Centauri, che nel
calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo dautunno, in cui
celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -, hanno servito altres
d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie, come qui si vede, figurandovi
uno di tali mostri che avendo rapita una delle donne invitate alle nozze
dIppodamia la difende dai Lapiti, che vogliono rivendicarla. II disegno del
vaso che qui presentasi la met pi piccolo del suo originale in marmo statuario,
ci fa sicuri che in Chiusi, dove stato trovato, fiorirono due scuole assai
diverse di scultura; funa etnisca, 1 altra romana, giacche si trovano
recipienti eseguiti per luso medesimo di riporre ceneri di umani cadaveri, gli
uni in forma quadrangolare a modo di cassetta, con bassirilievi di figure e con
etiu- sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti vedere in quest opera alle Tavole,
1 Inghiraroi, Mommi, etr. - Sa mai vha luogo allinterpetrazione di queste due
statuette di bronzo num, i e 2, i cui disegni sono grandi quanto i loro
originali, potrei avventurare che 1 una di a. i fosse dApollo laureato in
fronte e con tazza in mano, comesi vede altrove nei vasi dipinti 'rialtra n. 2.
diMercurio conpetasoin testa,sostenendo con la sinistra mano una sacca o
borsa,ch propria di questo nume, come tutelare del commercio. La corniola che
qui mostriamo al num. 3, ci fa istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato
il gruppo delle tre Grazie, che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti
luoghi e in tanti tempi diversi. La dimensione della pietra misurata dall'ellisse num. Fu posto in
ridicolo il Gori celebre antiquario di cose etrusche, perch fatti disegnare una
quantit didoletti in bronzo che si conservano nella R- Galleria di Firenze i *
3, pretese dare a tutti loro un nome speciale, formandone una serie di etrusche
divinit senza rammentarsi che soggiogati gli Etruschi, signo reggiarono i
Romani in questo nostro paese, ove introdussero colle lor colonie artisti e
culti sacri tutti lor propri. Perch' io vada esente da simil taccia non mi
costringa l'osservatore a dare un nome allidoletto di bronzo che i sig."
editori del Museo chiusino han posto al num. , 2 della Tavola C, che nel
disegno trasmessomi per la incisione trovo notato esser della grandezza
medesima dell'originale come pure laltro di num. 3 . grave danno per la scienza
antiquaria che dai collettori di antichi monumenti non facciasi caso nessuno
della maniera come questi si trovano sotterrati, dal che non pochi lumi trar si
potrebbero per la storia dellarte, non men che dei riti sacri presso gli
antichi. N prova la figura che trovo disegnata al num. 3 di questa Tav., mentre
si scorge di un arcaico stile ben diverso da quello che spetta alla figura
superiore . Or se questi idoletti furon sepolti promiscuamente fra loro in un
sepolcro medesimo, potremo frale supposizioni lecite ammettere che la figura di
num. 3 sia eseguita ad imitazione dell antico stile, e contemporaneamente
all'altra modellata certamente quando nell'arte era noto uno stile assai pi
perfetto . Dopo varie mie riflessioni sul significato di queste donne che in
piccol bronzo trovansi frequenti negli scavi dEtruria, restai perplesso nelle
due i Tishbein, Pittare de Vasi antichi posseduti dal cav. Hamilton. Tom. i,
Tav. 8, 9 .Visconti, Museo Pio dementino, Tav. r. 3 Museum etr. exhiben insigne
veterum Etruscorum monumenta aereis tabulis cc, edita et illustrata .4 Maffei,
Osservazioni letter L uomo gi rovesciato per terra, che vedasi nel sinistro
Iato dellurna rispetto al riguardante, fa conoscere gi incorniciata la
carnificina dei proci. 11 giovine che vibra la bipenne sopra un armato pu
significar Telemaco, il quale si presta in aiuto del padre alla strage di quei
malvagi. La Furia infernale tra le colonne della reggia attamente manifesta il
terrore di s lugubre azione che scompiglia la casa reale dUlisse.I due
combattenti al sinistro fianco di quelleroe son figure, a mio credere,
arbitrariamente dall'artista introdotte ad empire un vuoto che restava senzesse
nel suo bassorilievo, come ho detto pocanzi, ed anche in occasione di spiegar
la Tavola. Mi sia permesso di rimettere ad altro miglior Edipo, chio non sono,
din- terpetrare qual fosse lintenzione degli antichi Gentili nel rappresentare
questo, come pure mill altri idoletti di bronzo, che trovansi nello scoprire
antichi sepolcri. Io posso dire soltanto essermi noto che innumerabili erano
glidoli dagli antichi tenuti nei larari come dissi pocanzi . Ma non so poi quel
che significhino gran parte di essi, come il presente, n per quali
superstizioni passassero nei sepolcri, qualora non sieno stati considerati che
per semplici bronzi atti a dissipare i maleficii 2 . LArpocrate fanciullo
inetto e silente, perch non compiutamente ben formato, significativo del sole
ibernale, il soggetto che in questa
piccola statuetta uguale al suo originale in bronzo si rappresenta. Fu
antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto, che ha in capo, il
segnale, ma introdotto atempi deTo- lomei fra i Greci e fra i Romani formossene
una divinit pantea 3 con forme non altrimenti egiziane, fingendolo un Amore,
perch da questi nasce lo sviluppo della natura produttrice, per cui gli posero
in mano il corno dellabbondanza che attender dobbiamo dallo sviluppo del calor
solare, passato il tempo dinverno. Il vasetto di terra cotta parimente rappresentato di misura uguale al
suo originale, ed dipinto a figure nericcie
con fondo giallastro pendente al bianco, o piuttosto dun bianco abbagliato,
ed dun genere che gli archeologi
convengono di nominare maniera egiziana 4, s perch vi si vedono strane figure
sul gusto di quella nazione, e s ancora perch in Egitto si trovan similissimi a
questi. Ved. la Tavola uxi. a Monum. etr. 3 Iablonski Pantheon Aegyptior. lib.
u, cap. vi, Etr. Mus. Chius. Gerhard, Annali dell istituto di corrispondenza
archeologica voi. in, anno i 83 i, p. i4> *4 orecchi, piedi e coda di
cavallo, con busto virile: aggregato non comune in Smili fantastiche figure,
delle quali ebbi luogo di trattare estesamente altrove, dandole per simboli
autunnali II vaso che ha in mano quel mostro non che un emblema di pi per indicare la stagione
dautunno, allorquando sempiono tali olle di vino. La donna che gli dappresso
una Tiade seguace di Bacco. II perch poi la unione di queste due figure
significasse il passaggio della razza umana dalla vita rozza e disordinata,
alla virtuosa e civile per opera di Bacco e dei suoi misteri, argomento sul quale scrissi altrove
abbastanza per darne il conveniente sviluppo a . Delle due figure, che qui
sotto al num. 2 si vedono riportate nella misura di un quarto pi piccole
dell'originale, dipinte nella parte opposta di questo vaso, non saprei
indovinarne il significato, tranne il supposto d'unarmatura da un giovane
ottenuta nel passaggio all et virile i . Il disegno del vaso ridotto alla grandezza di un quarto del suo
originale, Questo mistico specchio non pu spiegarsi che mediante l'osservazione
di molti altri, nequali per ordinario si trovano insieme dei numi o eroi di
opposta natura o potenza. Spesso vi sono espressi Dioscuri, la cui consueta
combinazione fu da me assai esaminata in altre mie carte, ovio li mostrava in
sostanza 4 espressivi di due contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo
i Gentili alla formazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure Teti e Giunone perpetuamente nemiche fra
loro, di che ho pure altrove ragionato 6 . Che la donna seduta sulla pistrice
sia Teti lo mostra chiaro un frammento d una tazza etrusca, dove la figura
medesima ivi dipinta ne porta il nome scritto. Che la donna opposta sia Giunone
lo prova Io scettro che impugna. tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui
espresso nella grandezza del suo originale num. 1 mostrasi attaccato da un lato
ad una testa femminile di nessuna significazione, e dall altra ad una maschera
scenica virile, nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli Antichi di variare
ornamenti, giacch non altro che il capriccio pu a\erli dettati, come qui li
mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo. Possiamo frattanto tener per sicuro
che gli artisti di Chiusi non furono di meno elevato genio degli ercolauesi
nelleseguir le opere loro metalliche. Del bronzo in figura di maschera di cui
vedu qui il disegno n. 2, nulla so dire ad istruzione di chi losserva. 4 Monumenti etr., ser. 11. 5
Plutatc. de Iside et Osir. in prineip. 6
Galleria omer. voi. 1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il nome di
Speranza o quel di Giunone, invocata dal femminil sesso in loro tutela. Ma chi
non sa che la Speranza, e la Fortuna, ossia la fiducia di migliorar sorte nel
mondo, era loggetto primario del culto gentilesco dItalia? 5 Il bassorilievo
della Tavola presente unurna di marmo
due terzi maggio- giore di questo disegno. Qui, a parer mio, si rappresentano i
due strettissimi amici Oreste e Pilade nel pericoloso momento dessere a Diana
immolati, per l'uso barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li stranieri a
quel lido approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare del luogo C f- v ; r. f- M 5 !,$ 1 C V 5 V V* . c se ?
n 11 a . Eg ri) ' Z > 'i:- ai
scritto, mi costringe a tenermi in assai ristretti limiti nel ragionarne, poich
i nientissimi sigg. T editori di quest'opera destinarono con savissima sceltala
illustrazione della parte epigrafica di tali monumenti al prof. Vermiglioli
espertissimo quanto altri mai di s difficile scienza. A sodisfar dunque
soltanto la sollecita curiosit di chi osserva il monumento qui esposto mi
permetto di accennar di volo, esser questo uno specchio mistico di quetanti che
trovatisi storiati nei sepolcri dEtruria, e solamente lisci in quei della
Magna-Greeia, ed in esso esservi quattro figure di deit cio la Parca, Apollo,
Venereletea o libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi loro
scritti in etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in altri di questi
manubriati dischi 1 . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo dApollo, ed altres ripetuto
io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun Venere letea o libitinia, o
Proserpina, che il Gerhard ha cos bene illustrata per una Dea infernale, non
distinta per dalla luna 3, per cui credio qui si vede connessa in amplesso con
Apollo considerato come il sole. Ecco dunque per la prima volta incontrato
negli specchi mistici il nome di quella donna che s ripetutamente vi si vede
rappresentata, e che per Venere libitina azzardai nominarla tal volta anche
prima della presente ed importante scoperta 4. In fine AH 4/3 0 Talna eh nome
altres ripetuto nei mistici dischi, e che io sostenni con lungo ragionamento
esser significativo di Giunone 5 quantunque disgiunta dai consueti simboli di
questa Dea, mentre qui ha lo scettro che la fanno indubitatamente conoscere per
la regina degli Dei unitamente con Giove che nera il supremo loro imperante. Ma
una pi sodisfacente interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi
attendere dallerudito Vermiglio]/', al quale, come io dissi disopra, destinata. In urna figulina i flit a a =
flnflo ) f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD : 1SUfflM : lOqfld In urna figulina lviii. CO
-A l#q vn : im : fURO M : VfflDt : r :
VA LX V-V# : VD flitmao i Monumenti etruschi s a -Gerhard, Venere Proserpina
illustrata, Nuora collezione dopuscoli e notizie di scenze, lettere ed arti,
pubb. dal cav. Fr. Inghirami, 4 Monum. etr. <a, , e Sol. laBaHBBsasaasa
XXXZ'/Z/. - A'/AZY.Y (IX XUI m ;_i lira vz. 7
LII fC) i Ouj/ IsUcAenni. eli/ T ,J\ T. L/A' 3TT J ^ JCZ/Z z,Jirv: T
z^rjrji-'. IXX3TT 'X tea T^reiir. ir**:-Jz-j:. amiBft'igwpcj &r. CJI. v ~
Grice e Musonio (Bolsena) G. MUSONIO RUFO C. Musonio Rufo esercita un forte
influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre delletrusca Volsini (Bolsena)
suscita per la sua fama di filosofo linvidia di Nerone. C. MUSONIO RUFO segue
Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando
Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto
in occasione della congiura di Pisone e confinato nellisola di Gyaros nelle
Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente
richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria
del Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi
soldati, ma senza successo.Quando VESPASIANO assunse il potere, C. Musonio Rufo
accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio
nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei
filosofi da Roma, ma poi lo esili per la seconda volta ; per Tito, che gi lo
aveva conosciuto, lo richiam dopo la sua assunzione al trono. In seguito
mancano notizie su di lui, ma da una lettera di PLINIO (si veda) il Giovane
sembra che non fosse pi in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato
seritti, anzi sembra che si sia servito soltanto dellinsegnamento orale, del
quale, per, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono : 19
brevi apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; 2 altri
apoftegmi e trattazioni filosofiche relaivamente ampie raccolti da Epitteto
nelsuo insegnamen- e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; 3
esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte pi
estesa dei frammenti. verosimile che
provengano da uno scritto di quel Lucio che si
gi ricordato e che si deve ritenere la fonte pi importante dello Stobeo
; unaltra Epitteto, cio Arriano. Sembra
che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto
Adriano) abbia composto Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. giudicata falsa una lettera di Musonio a un
certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di
Musonio e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla
dipendenza di questo da uno seritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da
una fonte pi antica. Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova
i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro,
amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa,
Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come
Rubellio Plauto, forse Borea Sorano e Minicio Fundano, Musonio si avvicina ai
cinici nellassegnare alla filosofia finalit radicalmente etico-pratiche,
accetta spunti dellascetismo neo-pitagorico, ma nel complesso dipende dallo
Stoicismo con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascur le
esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ci che
vi detto degli Dei, designati con le
denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero
comune e non ha carattere filosofico determinato : invece riporta allo
Stoicismo l'affermazione della necessit universale, che equivale alla teoria
del fato. Per l'interesse di Musonio si concentra sulla funzione pratica della
filosofia, che assolutamente necessaria
in quanto (secondo la tesi introdotta dai cinici nel I secolo a. C. e poi
generalmente accettata) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua
la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perci necessaria a tutti, alle donne non meno che
agli uomini : essa per identificata alla
ricerca e alla realizzazione della virt, per conseguire la quale non vi necessit di molti discorsi, n di molte teorie
; inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore importanza dellinsegnamento o del
discorso. Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virt, se il
discepolo non stato corrotto, una breve
dimostrazione sufficiente per fargli
riconoscere i principi etici giusti. Ci che soprattutto importa che maestro e discepolo uniformino la loro
condotta ai propri principi. Si comprende che Musonio si interessasse in primo
luogo della formazione etica degli scolari. Nellinsieme, la morale di Musonio
si conforma alle dottrine tradizionali della sua scuola. Occorre distinguere ci
che e ci che non in nostro potere: ora da noi dipende soltanto
luso delle rappresentazioni, cio l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul
male, dalle quali determinata la giusta
valutazione delle cose e quindi l'intenzione quale atteggiamento interiore
della volont; in essa, se retta,
consiste la libert, la virt, la felicit. Tutto il resto non dipende da noi e
perci rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci allordine
necessario dell'universo e aecettare volentieri ci che arreca. Soltanto la
virt bene, soltanto la malvagit male e ogni altra cosa indifferente. Per, per rafforzare la volont,
Musonio riteneva necessario, oltre
l'insegnamento e lesercizio morale, anche lindurimento fisico, perch, essendo
il corpo uno strumento indispensabile dellanima, occorre rafforzare ambedue. In
generale raccomanda, avvicinandosi al Cinismo, la vita semplice e conforme alla
natura e accoglie dal Neo-Pitagorismo il divieto dei cibi carnei. Oltrepassando
le opinioni di molti stoici antichi, esige una vita morale severissima,
raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e lesposizione
dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano unanima nobile e
retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli spiriti,
ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli insegnamenti,
perch i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalit ; inoltre non
si pu trovare nelle sue parole lespressione di una visione della vita vi-
brante di dolore e di amore simile a quella di Seneca. aio Musonio Rufo. Gaio
Musonio Rufo (Volsinii) un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr. I 1, Col.), con parte di una diatribe.
Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. noto che nacque a Volsinii,
corrispondente all'odierna Bolsena, in Etruria, che fu cavaliere. Il pr-nomen
Gaio lo conosciamo solo attraverso Plinio il minore che ci fornisce anche
unaltra notizia su una sua figlia (presumibilmente chiamata Musonia, secondo
luso romano), sposata ad Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per
stima e affetto nei confronti del suocero. Sappiamo dalla voce Mousonios della
Suda che Musonio e figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua
famiglia, che era comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen Musonius
denotare la gens, e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come
forma latina di un gentilizio etrusco Musu, Muu-nia.. E capo a Roma di un
circolo o gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee
abbastanza tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a
Rubellio Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e
allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, Musonio lo segue in Asia.
Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio
ritorna a Roma, ma, in concomitanza della congiura di Pisone, e mandato in
esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros, inospitale e
rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrit morale e della sua
coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati da Tacito
nelle Storie. Dopo essere ritornato dallesilio, forse grazie a GALBA, con il
quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra civile seguita
alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo episodio
significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in pratica i
principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era teatro di
violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si impegna a
svolgere unimprobabile opera di pacificazione. Sera mescolato agli ambasciatori
Musonio Rufo, di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello
stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con
le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ci fu
per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi
lavrebbe spinto via o lavrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei pi
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza. Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dellamico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea Peto. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte
del suo stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla
corrente stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava
contrario ad intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in
questo caso non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la
memoria dellamico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: Allora Musonio
Rufo attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Barea Sorano con una
falsa testimonianza. Evidentemente con quellaccusa si rinnovavano gli odii
delle delazioni. Ma laccusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di
Sorano e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato lamicizia. Musonio porta avanti con tenacia
il suo impegno, che e coronato da successo. Fu deciso allora di ri-aprire il
processo tra Musonio Rufo e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani
di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severit dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, pi per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe n animo, n eloquenza sufficienti in quel frangente. Pi tardi
Musonio riusce a guadagnarsi la stima di VESPASIANO evitando la cacciata dei filosofi.
Ci e per un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto da TITO, le
fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli altri
filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da DOMIZIANO, che fa
uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio
minore si apprende che egli non era pi in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: Che non necessario fornire
molte prove per un problema Su chi nasce con un'inclinazione verso la virt Che
anche le donne dovrebbero studiare filosofia Se le figlie debbano ricevere la
stessa educazione dei figli maschi Se pi
efficace la teoria o la pratica Sul praticare la filosofia Che si dovrebbero
disprezzare le difficolt Che anche un principe deve studiare filosofia Che
l'esilio non un male Il filosofo
perseguir qualcuno per lesioni personali? Quali mezzi di sostentamento sono
appropriati per un filosofo? Sull'indulgenza sessuale Qual il fine principale del matrimonio. Il
matrimonio un ostacolo per la ricerca
della filosofia. Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato. Bisogna
obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze. Qual il miglior viatico per la vecchiaia? Sul cibo
Su vestiti e riparo Sugli arredi Sul taglio dei capelli. Lo stile delle
diatribe semplice. In genere viene posta
una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso
costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il
paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa
caratteristica si adatta bene alla sua personalit e al suo tipo di
insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre,
frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo
(in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto lungo abbastanza da rappresentare la sintesi
di un intero discorso. C', poi, un aneddoto in Elio Aristide ed Epitteto ne
racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano, inoltre, due
epistole, concordemente ritenute spurie. Musonio rappresenta, con Epitteto, il
principe MarcAurelio Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti pi
significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi
corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo
tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero
radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e
onestamente, cio mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo
della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa pi utile, in
quanto ci persuade che n la vita, n la ricchezza, n il piacere sono un bene, e
che n la morte, n la povert, n il dolore sono un male; quindi questi ultimi non
sono da temere. La virt l'unico bene,
perch da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra
che solo il filosofo si occupi di studio della virt. La persona che afferma di
studiare filosofia deve praticarla pi diligentemente di chi studia medicina o
qualche altra attivit, perch la filosofia
pi importante e pi difficile da comprendere di qualsiasi altra
occupazione. Questo perch, a differenza di altre abilit, le persone che
studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e abitudini
sconsiderate, imparando cose contrarie a ci che impareranno in filosofia. Ma il
filosofo non studia la virt soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto,
Musonio insiste sul fatto che la pratica
pi importante della teoria, poich la pratica ci porta allazione in modo
pi efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti
a vivere senza errori e abbiano la capacit di essere virtuosi, non ci si pu
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilit di vivere
virtuosamente viva senza errori pi di qualcuno che non un medico esperto, un musicista, studioso,
timoniere o atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilit senza
errori. In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offr a un re in
visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere
cosa buono o cattivo, utile o dannoso,
utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose proprio il compito del filosofo. Poich un re
deve anche sapere cos' la giustizia e prendere decisioni giuste, il principe
studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalit, modestia,
coraggio, saggezza, magnanimit, capacit di prevalere nel parlare sugli altri,
capacit di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La filosofia,
sosteneva Musonio, l'unica disciplina
che fornisce tutte queste virt. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli
offr tutto ci che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re aderisse
ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poich l'essere umano fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli
entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo
richiede labituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsit di
cibo, a un letto duro, allastensione dai piaceri e alla sopportazione dei
dolori. Questo metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende
idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile
sviluppando il coraggio attraverso la sopportazione delle difficolt e
rendendola autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto
che l'esilio, la povert, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un
filosofo deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere
picchiato, deriso o sputato come n dannoso n vergognoso e quindi non avrebbe
mai litigato contro nessuno per tali atti, secondo Musonio. L'opposizione di
Musonio alla vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che
gli uomini che vivono nel lusso desiderano un'ampia variet di esperienze
sessuali, sia legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva
che a volte gluomini licenziosi perseguono una serie di partner sessuali
maschili. A volte diventano insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili
e scelgono di perseguire coloro che sono difficili da ottenere. Musonio
condanna tutti questi atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli
atti sessuali finalizzati alla procreazione allinterno del matrimonio sono
giusti. Denuncia l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti
omosessuali un oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto
dal piacere vergognoso vile nella sua
mancanza di autocontrollo. Musonio difende l'agricoltura come un'occupazione
adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o all'insegnamento
di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio sottolineano
l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato che ci che
si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il proprio
appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una virt
vitale. Sostene che lo scopo del cibo
nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere.
Digerire il cibo non ci d alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a
digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. la digestione che nutre il corpo, non il
consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo
digeriamo, non quando lo gustiamo. Musonio sostenne la sua convinzione che le
donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i
seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso
potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In
secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini: vista, udito,
olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse parti del
corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un uguale
desiderio per la virt e una naturale affinit con essa. Le donne, non meno degli
uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e censurano il
loro contrario. Pertanto, concluse Musonio,
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi
considerino come vivere onorevolmente, quanto lo per gli uomini. Suda 1305: Figlio di Capitone, etrusco, della citt
di Volsinii; filosofo dialettico e stoico, vissuto ai tempi di Nerone,
conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri. Ci sono anche lettere che
sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad Apollonio. Naturalmente per
la sua schiettezza, le sue critiche e il suo eccesso di libert fu ucciso da
Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che portano il suo nome e anche le
lettere (tr. Andria). Epistole. Di origine etrusca: cfr. Filostrato, Vita di
Apollonio di Tiana, Cfr. M. Pittau, Dizionario della Lingua Etrusca (DETR),
Dublino, Ipazia Books. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe. Storie.
Storie, Cassio Dione. Girolamo, Chronicon, Titus Musonium Rufum philosophum de
exilio revocat; Temistio (Orationi), inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e
Musonio. A. Cameron, Avienus or Avienius?, in "Zeitschrift fr Papyrologie
und Epigraphik". L'attribuzione
data nell'estratto XV Hense: sicuramente questo Lucio era un allievo di
Musonio, e uno specifico riferimento in cui Musonio parla da esule a un esule
rivela che anche Lucio partecip al bando del suo maestro. Per la datazione,
nella diatriba VIII (60, 5) Lucio riporta una conversazione di Musonio con un
re siriano e dice, tra parentesi, che c'erano ancora re in Siria a quel tempo,
vassalli dei romani. Dato che l'ultima dinastia di sovrani siriani fu
detronizzata nel 106 d.C., Lucio deve aver scritto qualche tempo dopo questa
data. nell'edizione Hense del 1905. Una delle due una lunga lettera scritta da Musonio a
Pancratide sul tema dell'educazione dei suoi figli (dell'edizione Hense).
Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto Un re dovrebbe voler ispirare
soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La maest caratteristica del re che incute timore
reverenziale, la crudelt di quello che ispira paura (in Stobeo). A differenza
del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, Musonio
sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto
coerente con il panteismo stoico, non
estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; cfr. Nussbaum, The Incomplete
Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of
Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome, ed.
Nussbaum and Sihvola, Chicago, The University of Chicago Press. Bibliografia C.
Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hense, Lipsia, Teubner, Cora Lutz, Musonius Rufus,
the Roman Socrates, in Yale classical studies. Dillon, Musonius Rufus and
Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University
Press of America. Renato Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg
und Niedergang der rmischen Welt. Berlino, Walter de Gruyter, Cynthia King,
(Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Ed,
Irvine. Create Space. D., Musonio l'etrusco. La filosofia come scienza di vita,
Roma, Annulli. Musnio Rufo, Gaio, su Treccani.it Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Gaio Musonio
Rufo, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su
Open Library, Internet Archive. Stoicismo Portale Antica Roma Portale Biografie
Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Stoic i[altre]. Nome compiuto: Luciano
Dottarelli. Dottarelli. Keywords: limplicatura di Musonio, Musonio, Etruscan
influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman The Etrurian connection. Etrurian as antique Etrurian as exotic for Indo-European Aryan
Latins (Romans). Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dottarelli The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Drimonte: la ragione conversazionale e la setta di Caulonia -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Caulonia). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico. Drimonte.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Drimonte,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duni:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della costume, o
sia, sistema di dritto [sic] universal – il diritto romano universalizzabile – scuola
di Matera – filosofia materese – filosofia basilicatese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Matera). Abstract. Grice: “When Quinto
prefaced his collection of essays on political philosophy for Warnock’s Oxford
readers, he lists Machiavelli’s Il Principe along with Hegel, Philosophie des
Rechts. In Rome, it is all about the rechts – which they call the ‘diritto.’ My
conversational maxims, then, become ‘legal’ in Kant’s conception – ‘act as if
you maxim may become a universal law.’ When Kant uses ‘law’ he is thinking ‘legally’!”
-- Filosofo materese. Filosofo basilicatese. Filosofo italiano. Matera,
Basilicata. Grice: “I like Duni; but of course he errs, as Kant does – for how
can a ‘sitte’ a mere costume, become ‘universal’ – yet that’s the oxymoronic
title of his tract, ‘scienza dei costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella della
cattedrale di Matera, e fratello dei compositori Egidio Romualdo ed Antonio,
nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo anche alcune composizioni da
gravicembalo, pur se non seguì le orme dei fratelli maggiori in campo musicale,
e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario della città di Matera. Si laurea
in Napoli. Torna a Matera dove aveva già intrapreso la pratica di avvocato
presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu insegnante presso il
Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in seguito sede del Liceo
Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la morte del padre, lascia
Matera trasferendosi dapprima a Napoli e successivamente a Roma. Presso l'Università degli Studi La Sapienza
fu docente di diritto canonico e di diritto civile, e pubblica un Commentarius
in cui esponeva la dottrina giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto
XIV che in seguito lo sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a
Roma entrò in contatto con le opere di Vico, del quale divenne un convinto
sostenitore. Eleggendo Vico a suo maestro, si propose di realizzare un
programma di diritto universale come fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo
dalla sua formazione cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo
legislatore, e non distinse l'etica e la giurisprudenza considerandole
integrative in quanto tendenti allo stesso fine, cioè a dare il senso della
vita, e quindi facenti parte entrambe della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla
giurisprudenza universale”; sua opera fondamentale, dedicato al promotore della
politica riformatrice del Regno meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio”
indica esclusivamente nel vero il principio unitario delle conoscenze umane, a
cui ricondurre anche la fondazione delle scienze morali. Il bene o vero morale
(Cicerone e buono), che differisce dal vero metafisico perché comporta anche
l'elezione volontaria del vero conosciuto, si esprime come onestà e come
giustizia. La morale propone l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e
opera dall'interno, invece il diritto indica la via per andare al giusto,
regolando i rapporti tra gli individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente
al Saggio, scrisse un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito
della storia di Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti
in cui polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a
Napoli la “Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata
a Antonelli, in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri
ac novo iure codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza
universale”; “Origine e progressi del cittadino e del governo civile di
Roma”; “Scienza del costume o sia sistema
del diritto universale”. LA A falſa comune opinione adotta ta co me
un'affioma dai Politici, che le So cieti Civili naſcono colla forma di Governo
Monarchico, diede occaſione non meno agli antichi, che moderni Scrittori della
Storias Romana di formare di queſta Nazione tutt ' altra idea di quella, che fu
realmente. I vo caboli di Re e di Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi, in cui
viſſero gli Storici, quando già fioriva in Roma la Monarchia, gli traſportarono
a credere, che il Governo cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla, forma
Monarchica. Taluni peraltro convinti da’ fatti contrari della Storia furono
obbligati a confeflare che ne' primi tempi di Roma quantunque regnaffe la
Monarchia, pure.que Ita non poteſſe dirá alſoluta ma che folle accom
accompagnata, e mifta di Ariſtocrazia, ' é, Democrazia; ' e che in conſeguenza
i Patrizi inſieme co ' Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo, di
cui peraltro la ſomma foſse preſso de' Re. L'Idea adunque che tam luni
Scrittori fecero del Governo di Roma fin dal fuo nafcere, fu di conſiderare
Romolo co'ſuoi Succeſsori o per veri Monarchi; o per Monarchi, che aveſsero
comunicato parte dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej,
riputando i Patrizi e Senatori, come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj,
im piegati dai Re nelle cariche più gelofe del lo Stato, ed i Plebej per Ceto
anche di Cit tadini ma ignoranti e vili, che ſerviſsero per le faccende
ruſtiche, e per la guerra; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici
affari. Venne, come diſi, tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore,
che tutte le Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare, fe non con la
forma Monarchica, non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo
poſsa mai unirli, e comporli B un > 7
un Ceto di famiglie a convivere tra loro, ed a formare un corpo. Imperciocchè,
dico no efli, non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione,
ſenzachè qualcuno di eſſi, o per violenza, o per fraudolente ambizione induca
gli altri alla di lui foggezione e Si gnoria; tantoppiù che non ſi faprebbe in
al tra maniera immaginare, come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare
in Società Ci vile, facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria
famiglia, pofsano ſenza il mezzo della violenza, o dell'inganno, ab bandonare
la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile. Su queſta mal fondata,
opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana, in cui intefero parlare
di Re, e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca, e Monarchia non dubitarono
punto di defi nire il Governo fotto Romolo, e Tuoi fuccef fori per Monarchico.
Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non s'uniformano all ' Idea di
una perfetta Monarchia, furono co ftretti ad ainiettere una Mon: irchia mitta
di Ariſtocrazia inſieme, e Democrazia. Tutte Tutte le ragioni politiche, che
ſogliono ads durſi dagli Scrittori nel pretendere, che le So cietà Civili non
poſſano altrimenti nafcere che colla forma Monarchica, fono a mio giu dizio
tanto lontane dal dimoſtrarla, che anzi provano tutto il contrario, cioè, che
la unione de' Padri di famiglia, nel comporre la Società Civile, debba
neceſsariamente pro durre forma di Governo Ariſtocratico, e non Monarchico;
poichè fe effi non fanno im maginare, come tali particolari Monarchi di
famiglia poſsano ſoggettarſi alla pubblica, Podeſtà ſenza frode o violenza di
qualcuno di loro, io al contrario non ſo concepire,.come tal violenza o frode
d' un ſolo por fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di
famiglia avvezzi a ſignoreg. giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca,
Qualunque voglia figurarfi la frode o la violenza d'un folo, egli è chiaro che
tali mezzi non faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale
cambiamento di con dizione, quanto, lo è il paſsare da quella, in cui trovavanli
di Signori aſsoluti, a queſta di B 2 fud E fudditi, trattandoſi di cambiare
condizione in tieramente oppofta; ed ognun fa, quanto rin.: creſce al Signore
il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire. Che ſe mi
diceffero, che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere, io gli
riſpondo, che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non è, ne
può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia, quanti
converranno ä formare la So cietà. Sicchè tanto è fupporre, che la forza d'un
folo baſti per opprimere gli altri, quan to è dire, che molti non fiano in
grado di vincere la violenza d' un folo; ciò che o non è affatto poſſibile, o
almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro, e ſtravagante; ma la
ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema generale. Quindi il preten
dere, che le Società Civili debbano necella riamente cominciare colla forma di
Governo Monarchico, è lo ſteſso, che fupporre la violenza, o la frode d' un
folo maiſempre ſuperiore alla forza, ed alla deſtrezza di mol ti; e ciò non
baſta, perchè biſognerebbe an che > 1 che ſupporre, che al numero di molti
non fc gli preſenti mai occaſione favorevole per re fiftere, e liberarſi dall'
uſurpato potere di un ſolo; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra
immaginazione. Se poi vorranno fingere, che dopo la violenza, o frode uſata dal
Mo narca per ſoggettare gli altri, poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi
ſoggetti, forſe perché il Monarca ſia dotato di virtù tali, che baſtino ad
innamorargli, oltreché une tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente,
incontra il maſſimo oſtacolo di non poterſi concepire, come gli Uomini avvezzi
a dominare poſſano cosi preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire
per qualunque ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca. Ma poi non è
poſſibile il concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro,
che naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di
dominare, ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione; fe
pure non vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima
delle Umane paſſioni. Qui Qui potrei co ' monumenti pervenutici de gli
antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di un tal ſentimento
dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt altra forma di
Governo, che la Monar chica; e che laddove eſli ſuppongono, che la Monarchia
ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili, fi troverà maiſempre l'ulti
tima a venire dopo l' Ariſtocrazia, e Demo- ' crazia; perché la naturalezza
delle Umane vicende è tale, che i Padri di Famiglia nel formare la Società
Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta, che eſercitavano in Caſa,
cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile dell'antica Signoria; poichè
l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da, uno ſtato ad un altro
direttamente oppoſto al primo, e perciò quando trovali nella contin genza di
dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore, procura ſempre di
paſſarci per gradi, e non di ſalto. Quin di è, che fe vogliamo ragionare a
ſeconda, dell'idee Umane, dobbiam dire, che tali Pa dri di famiglia qualora li
vedranno obbligati dalla dalla neceſſitii di laſciare la Monarchia del ta loro
famiglia, ſebbene converranno vo lentieri in Società Civile per trovare mag
gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà pub blica compoſta di forze unite, e
per confi gliare ai vantaggi, e comodi della vita; pu Te non ſi diſporranno mai
a cedere dell'anti ca poteſta, fe non quanto biſogna per reg gerſi il Corpo
Civile, e quanto meno liane poflibile di quella dominazione, che lafciano. Or
la forma di governo, che dovranno fce gliere, farà certamente l'Aristocratica,
come quella, in cui fi cede il meno dell'anticas Signoria, formandoſi una
Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno preſſo gli iteſi mem bri, che la
compongono, e nel tempo ſtello col Governo Ariſtocratico ſieguono a ſignorega
giare ſul Volgo, e ſulla Plebe, che ſi ricovera ſotto la loro protezione. Che
ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio, come coll' andar del tempo dall'una
forma di Governo ſi fuol para ſare all'altra, poſſiamo qul accennare breve.
mente, che ſtabilitaſi la Societ: Civile nella ſua origine colla forma
Ariſtocratica, che dee ellere 1 B 4 priva d'ogni dritto Civile i Indi
l'oppreſſo eſsere la prima a naſcere, gli Ottimati na turalmente faranno
traſportati dall’amor pro prio ad opprimere, e tirannizzare il Volgo, o ſia la
Plebe, che ricoverandoſi ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita,
rimane Volgo creſciuto in numero, maſſime col mez zo della procreazione, pel
deſiderio iſpiratoci dalla Natura di fottrarci dall' altrui tirannia, cogli
ammutinamenti e ſedizioni cerca di li berarſene; e quindi avviene, che dall'
Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia. Finalmente il Popolo tutto reſo
partecipe del Governo, naturalmente ſi divide in fazioni, le quali agi tandoſi
continuamente tra loro, non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle guerre
Civili, che di ricoverarſi ſotto la Monarchia. E que Ito ſembra il corſo
ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte uniforme
altresì alle memorie pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per non
partirci dal noſtro argomento, ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go verno
Civile di Roma. E ſulla prima fa duo po po di ſviluppare dalle tante incoerenze,
che troviamo nella Storia, quella prima forma di Governo, che venne iſtituita
ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána. Dicia ino adunque, che la prima
forma diGover no iſtituita fin dal tempo di Romolo tanto è lungi, che fofle
ftata Monarchica, o miſta di Monarchia, che anzi ſi riconoſce chiaramen te
Ariſtocratica delle più feverè, che mai li poſſa immaginare, come realmente lo
furono le Nazioni tutte nei loro forgimenti. E pri mieramente l'efferſi
attribuita a Romolo, e ſuoi Re fucceffori la Monarchia, nacque fo vratutto,
come diſli, dalla falſa intelligen-. za della voce Rex, col di cui nome vennero
chianati tutti quei, che da ROMOLO fino al la creazione de' DUE CONSOLI ANNALI hanno
la cura di presedere, e far da Capi del Senato regnante. La voce “rex” nei
tempi, in cui gli Storici, come LIVIO e Dionisio compilarono la STORIA ROMANA, e
certamente appresa in SENSO DI “mon-arca”, come temps, in cui fioriva. la monarchia
e con un tal supposto non ſapendo neppur eſi immagina. re re altra forma di
Governo nel naſcimento della Città Roinana, andarono a credere, che o in tutto,
o in parte regnaſſe la Monarchia. Ma ſe vogliamo inveſtigare la vera originaria
fignificazione della voce Rex, troveremo, ch'ella viene da reggere, e ſoſtenere,
e che propriamente dinotava un Capo e Dace del la Repubblica, e non un Monarca
di pode Atà aſſoluta. La ſtella eſpreſſione di rex tro viamo uſurpata in tutte
le altre Nazioni, di cui ci è pervenuta la Storia; ma il Governo del le
niedeſime non ſi può attribuire a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi,
dai quali ſcorgeſi, che tali Re altro realmente non era no, che Capi, e Duci
delle Repubbliche: per che inſieme colla perſona del Re troviamo i Senati, da
cui definivanfi gli affari pubblici dello Stato. Soleaſi per altro diſtinguere
l' incombenza dei Re in pace ed in Città da quella, che rappreſentavaſi in
guerra; poi che qualora erano in piegati a far da Capita ni Generali a
comandare l'eſercito, ſpiega vano certamente una podeſtà affoluta, come quella,
ch'è troppo necelaria nel Capitan Gen Generale per lo buon regolamento delle
fac cende militari. Trattaſi in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le
opere militari, le qua li non ſoffrono dilazione, e richieggono la più rigoroſa
ſegretezza per forprendere l'ini mico, ed in conſeguenza i Re in guerra per
natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà aſſoluta, perchè non giova di
eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli altri, è maf fimamente de'
Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi
Jitari, e perciò non ci dee far maraviglia, fe per conſigliare al pubblico bene
fafi co ſtumato di concedere al Re, quando coman da in guerra, una poteſtà
indipendente e Monarchica. Ma di qualunque carattere ftata foſſe lae poteftà
dei Re in guerra, non dobbiamo con fonderla colla podeſtà da effi loro
praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato. In fatti Tacito narrando i
coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi
diſtinguevano i Re propriamen te 1 te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica
dai Capitani Generali; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e.
Signori, ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei, che li erano reſi celebri pel
valore, ' I Re, dices egli, ſi eleggono dal Ceto de' Mobili, e per Capitani
Generali ſi ſcelgono i più celebri nel valore; Ma i Re non rappreſentano pode
fà libera ed illimitata (a ); quanto a dire che la qualità di Re preflo gli
antichiſſimi Germani non produceva poteſtà fuprema, e Monarchica, tuttoche
Tacito gli aveſſe at tribuito il nome di Rex. Dionisio parlando degli antichi
Re della Grecia fcrive, che i Re delle antiche Greche Nazioni, preffo di cui il
Principato era ereditario, o pure elettivo, governavano col conſiglio degli
Ottimati, come lo atteſtano Omero, e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali
antichi Re eſercitavano il Prin cipato con poteſtà aſſoluta, come veggiamo a
tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate, duces ex
virtute fumunt. Nec Regi bus infinita, aut libera poteftas. DI ROMA. 29 tempi
noftri (a ). La voce Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina
dinotava une Capo di qualunque Ceto, o di Repubblica, e non un Monarca z e
queſto Capo qualora veniva deſtinato a comandare in guerra; al lora fpiegava la
poteſtà aſſoluta; Ma nei tem pi poſteriori, quando le Nazioni pervennero allo
ſtato di Monarchia fi ritenne la ſteffa voce “rex”, che paſsò a SIGNIFICARE il
Monarca, quan to a dire, che il nome di Rex attribuito a ROMOLO, ed agli altri
Re successori, non può eſſere un argomento per definire il Governo Monarchico
nel naſcimento della Città Romana. Parliamo ora ad esaminare i fatti narratici
dagli storici, dai quali unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo.
Dioniſio, il quale a differenza degli altri s'impegna a de (a ) Dioniſio Antiq.
Rom. lib. 2. Graecanici Reges çerte, qui haereditarium Principatum fumerent,
quolve Populus fibi ipfe praeficeret, confilium habebant ex OPTIMATIBVS ut
Homerus, et antiquitlimi quique Poetarum teftantur.. neque (ut fit in noſtro
feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem
exercebant. deſcriverci minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto ROMOLO,
febbene non ſeppe, formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma del
Governo, pure ci ſomminiſtra ba. ftanti lumi, onde poſſiamno ſcovrire il vero.
E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni ſul
propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile, e più
atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili, e per di fenderla
dagl' inſulti dei Popoli eſteri. E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben
iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche, e delle Barbare, delle forme del loro
Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore; indi gli conſiglia a
riflettere maturamente l' affare, affinchè poteſſero riſolvere, se piutto fto
voleano ubbidire a un ſolo, o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di
moderazione a ſeguire il loro volere. Dopo una ſpe cio Dioniſio antiq. Rom.
lQuum autem diffi çilis fit earum (vitae uempe rationum ) electio, juf lit
ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo conſiglio tra loro, non
dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona dello ſteſſo
Romolo, non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore per quanto
l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori, ma perchè giudicavano, che con una
tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi, cioè la libertà
propria, e · l' impero preſſo degli altri (a). Da un tal racconto ognun vede,
che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata dicere, NUM UNI RECTORI, AN
PAUCIS PARERE MALINT. Etenim, inquit, quamcumque Reipublicae formain in
ftitueritis, ad eam recipiendam paratus fum, nec principatu me indignum
cxiſtimans, nec detrcaans imperata facere. (a) Dioniſio loc.cit.Illi,
communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc moduin: nobis nova Reid
publicae forma non eft opus; nec a majoribus proba tam, et per manus traditam
mutabimus, fed et pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine inſigni prů.
dentia illam Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, et praefenti fortuna
contenti ſumus; cur enim illam in. cuſemus, quum fub Regibus contingerint nobis
bona, quae apud homines habentur praecipua, LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec
eft noftra de Republica fententia &c. niſio compoſe tali narrazioni
piuttoſto allas maniera, com'egli avrebbe penſato di fare, che con quella, che
Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando di riflettere
le tante improprietà di ſimile allo cuzione, in cui ci propone Romolo per Uo mo
iſtrutto delle Barbare, e delle Greche Na zioni, anzi delle varie forme del
loro Gover no; quando al contrario, come dimoſtraremo a fuo luogo, i Romani per
molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti, mallime alle Greche Nazioni,
ci giova quì di notare quell'eſpreſſione, che il Governo Regio po tea loro
conſervare il pregio della libertà, il quale certamente non ſi può ottenere
colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di podeſa d' un ſolo aſſoluta, ed
arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un Monarca dotato della più retta
politica ę ſaviezza, e di coſtumi i più ſublimi ed innocenți, il Popolo non può
godere altro pregio di libertà, ſe non quello, che deriva dalla rettitudine
dell'animno dalla ſaviezza del Monarca medeſimo; mais non ſi può pretendere
ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA. godere il dritto e la libertà di reſiſtere, ed
oppora al di lui ſentimento e comando; poiché la forma Monarchica, come tale,
racchiude la fuprema poteſtà preſſo di una folo; e tutto il reſto del popolo
potrà fo lamente eſercitare quell'autorità, che pia ce rà al Monarca di
comunicargli; ficchè ſi conſidera allora ' tale autorità come dipen dente e
ſoggetta maiſempre al voler del Monarca e non libera del popolo, che l'
eſercita per comando del Principe. Ed ecco che Dioniſio leffo finora ci propone
il Gover no Regio non già in ſenſo di Monarchia, ma di Capo e Duce d ' un ceto
d' Uomi ni, che intendono d'eſser membri del Go verno medeſimo, per eſſere
anch'eſſi a par te della libertà di comandare. Siegue indi Dioniſio a narrare
la diviſione del Popolo in Tribù, e Curie, inſieme colla egual partizione de'
campi, e de' terreni tralle Curie; e poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta
in Padri e Plebe, nel riferire il carat tere che i Patrizi doveano
rappreſentare nella Repubblica, chiaramente ci atteſta, Tomo II. С che che ai
Patrizi apparteneva la cura dei Sacri, l'eſercizio de' Magiftrati,
l'amministrazione della Giuſtizia, ed il Governo della Repubblica unitamente
con ROMOLO. Ę poco dopo narran do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj
replica lo ſteſſo, cioè, che Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine,
immediatamen-: te creò dal Ceto de' Patrizj i Senatori, i quar. li doveſſero
ſeco lui amminiſtrare la Repubbli. E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia
alle Repubbliche delle antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero, e
di altri Poeti Greci, che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui
preſedeva il Re, il qua le per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $
Dionifo loc. cit. Romulus porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus,
mox legibus latis praefcri plit, quid utriſque faciendum effet: ut Patricii
facra curarent, Magiſtratus gererent, jus redderent,SECUM REMPUBLICAM
ADMINISTRARENT. Dioniſio loc. cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem
ordinem redegit, confeftim decrevit Se fatores creare, ut ellent, QUIBUS CUM
ADMINI STRARET REMPUBLICAM. DI ' ROMA. 35 niera però, che il Governo della
Repubblica riſedelle prello il Senato compoſto degli Ot timati, come per
l'appunto furono i patrizi di Roma. Indi riferiſce le particolari in combenze
attribuite a Romolo, come Capo del Senato, cioè, che prello di lui eſſer do
veſſe la principal cura dei Sacrifizj e del le coſe Sacre: che doveſſe aver
cura delle Leggi e de' Coſtumi Patri; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli
delitti più gravi, e de' minori ne giudicaſſero i Senatori; che foſſe di ſua
incombenza di convocare il Senato ed il Popolo tutto, colla prerogativa di
dover eſſere il primo a profferire il ſuo ſentimento, ma che le determinazioni
del Senato dovef ſero dipendere dalla pluralità dei fuffragi; e finalmente, che
poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta in guerra, Paſſando poi a ſpiegare, C 2 qua
Dioniſio it. Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent,
quoſve populus fibi ipfe praeficeret, conlilium habebant ex Optimatibus, ut
Homerus et antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. Dioniſio loc.cit. His
conſtitutis, honorcs, et potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit. Regi
quidem eximia mune DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del Senato,
fcri ve, che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al Senato,
preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di decidere col
mezzo della pluralità dei ſuf fragj, ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix
ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni, (fempre
col falfo fuppofto, che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli
della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi, nè Die {potici del Governo, ma
ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt
haec: Primum, ut Sacrificiorum, et re liquorum Sacrorum penes eum eflet
principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet;
deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam, omniſque Juris,
quod vel natura di&ar, vel pacta et tabula fanciunt curam ageret; utque de
graviſſimis delictis ipſe decerneret, leviora permitteret Senatoribus,
providendo interim, ne quid in judiciis pece caretur; utque Senatum cogeret,
Populum in concio nem vocaret, primus fententiam diceret, quod pluçi bus
placuiſſet, ratum haberet. Haec Regi attribuit mu nia, et practerea fummum in
bello Imperium, (be neppur ftà nell'amminiſtrazione della Repubblica. Da tutto
queſto racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare, che Romolo non eb
l'ombra, della poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la
poteità ſuprema riſedeva preſſo il Senato medeſimo, e preſſo gli Ottimati; e
che tutto quello, che fu attribuito alla perſona del Re, conſiſte va nel fare
da Capo del Senato Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli
affari, e di eſſere il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento; ma
che la poteſtà di determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori, in
maniera che le determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a
cui il Re medeſimo dovea foggiacere; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea di
Monarchia, ma C3 ci Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po teſtatem
hanc addidit, ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur, de his decerneret,
et ferret calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia. Id quoque a
Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non erant fui
arbitrii, ut, quidquid vellent, facerent; fed penes Senatum erat tocà publi cæ
adminiftrationis poteftas. ro ci
manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori, i quali
furono eletti dal Ceto nobile de’patrizj. Egli è ve che il re di Roma ſpiegava
la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra; ma queſta, come dicemmo, non toglie, nè
s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico, perchè in tutte le
Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale,
per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il
comando del Du ce dell' Eſercito: E qui giova d' oſſervare, che ſebbene nelle
Ariſtocrazie il Capitan Generale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra;
pure la dichiarazione della guerra, e tut to ciò, che appartiene al ſiſtema
generale di eſercitarla, dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante,
quatito a dire, che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce
ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe
medeſimo ciò che non ſoffre dilazione, e l'attendere l'ora colo del Senato
ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue
ITgue non già dall'uſo della poteſtă, che ſi eſercita in guerra, ma dalla
ragione delle pubbliche determinazioni, le quali, qualora dipendono dall'
arbitrio di quei pochi, che compongono il Senato, ci manifeſtano chiara mente
l'Ariſtocrazia, e non la Monarchia, anzi neppure un miſto dell'una è dell'altra;
perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato, ſempreche tutte le pubbliche
determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei Senatori s non ſi
può aſcrivere, che ad un più ordinato regolamento del Senato mede ſimo, come
avviene in tutti i Ceti di per fone, in cui vi ſia un Capo, il quale ſembra
effer neceſſario, affinchè ſia meglio regolato il Corpo intiero di quei, che lo
compongo ño; ma non già che la coſtituzione del Capo vaglia à mutare o alterare
in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So bene, che anche nelle
Monarchie fogliono eſſervi i Se nati, maſlime de Grandi dello Stato ma cali
Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu ſtabilito in Roma forto
Romolo; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a C4 quals 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de
gli affari, o pubblici, o privati; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i
confini d'un mero configlio, ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di
approvare, di repu diare la deliberazione; quanto a dire, che la determinazione
dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai ſentimenti dei ſuoi
Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano talvolta ſtabiliti
tali Ceti di perſone, che ſogliono aver nome di Con ſiglieri del Monarca.
All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone, di cui ognu na ſpiegava
uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche determinazioni, e queſta
tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente, che coſtituiſce la vera
forma di Governo Ariſtocratico. Quindi pof ſiamo francamente affermare, che
dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato, ivi non vi può eſſere neppur l'ombra
della Monar chia, ed al contrario dove regna la Monar chia, ivi non può eſſervi
Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e l'altra forma di governo come verno
non ſi diſtinguono in altro, ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema
riſiede in un folo, e nell' Ariſtocrazia in molti. Ma per eſſer meglio convinti
d'una tal ve rità, ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo
di Poteítà, che riguar da lo ſtabilimento delle Leggi, il quale più d'ogni
altro fa diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia, ſecondo che venga
eſercitata da un ſolo, o da molti, è che ſecondo il ſenti mento di tutti i
Politici ſi conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato. In fatti
tra tutte le pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen
te quella, che diceſi poteſtà Legislativa; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi,
come quel lo, che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica
tranquillità, è il punto più ge lofo, che poſſa eſſervi nel regolamento del le
Società Civili, e come tale ci manifeſta, e ci fa diſtinguere ad un tratto la
Monarchia dall'Ariſtocrazia. La ragione ſi è, perchè pre ſcriver la Legge allo
Stato altro non è, che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes membri del Corpo Civile alla cieca obbedien
za di ciò, che la Legge comanda; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più
ſublime di quella di poter comandare la Legge. Or fen za biſogno di ſoggettarci
ſu tale articolo ai ſentimenti degli Storici; qualora ci riuſciſſe di
dimoſtrare, che la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di
Romolo, ma preſſo l'Ordine del Senato regnante, non ci rimarrà luogo da
dubitare, che l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É
qul fa d’uopò di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella
Legge feconda de Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare
dell'origine delle Leggi Romane · Ci fa egli ſapere, che ſul principio il
Popolo Romano ſi regolava ſenzos leggi certe e determinate; ma che tutto ſi go
Bernava col mezzo della dutorità del Re. A tal de Orig. Juris: Et quidem initio
Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca, fine jure certo pri A tal
narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile, valutando aſſai più la
di lui Autorità, che quella di Dioniſio li dettero a credere che realmente il
Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico, poichè (dicono eſli ) ſe
ne primi principi della fonda zione di Roma al dir di Pomponio non v'era no
leggi ſtabilite, e determinate, ma tutto li regolava collº autorità del Re, ne
liegues neceſſariamente, che la forma del Governo cominciare dalla Monarchia.
Ma io non sò, come tali Interpreti poſſano formare da quelle parole di Pomponio
un tal giudizio, quando dall' altre, che ſeguono, li dimoſtra il con trario.
Indi (fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing qualche maniera ingrandita la città,
dicéſi, che lo ſtesſo Romolo aveſſe diviſo il Popolo in trenta parti, chiumate
CURIE a motivo, che allo primum agere inſtituit, omniaque manu Regis guber
nabantur. NellePandette Fiorentine leggefi MAŇU A REGIBVS GVBERNABANTVR ma de
ciocchè fregue, e dall' eller direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di
Romolo, dee fi piuttosto abbracciare la lezio ne volgata, omniaque manu Regis
gubernabantur. allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti, e
colle determinazioni delle medeſime Curie; ed in tal maniera promulgò egli
alcune leggi dette CVRIATE, come fecero altresì i Re ſuoi successori. Or fe
folle vero, che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia Monarchica,
dovrebbe eſſer falſo, che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la Repubbli ca degli
Ottimati, con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di diſporre degli affari
pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi. Nè vale il ſupporre, che
Romolo regolaſſe, la Città coi ſentimenti delle CURIE di puro conſiglio, quafi
che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire, o di ripudiare tali fen
timenti. Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente s'eſprime, che gli affari
ſi determi navano per Sententias partium earum, che in buon (a ) Poftea
au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur, Populum in triginta
partes divififfe, quas partes Curias appellavit, propterea quod tunc
Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat; et ita leges
quaſdam et ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt et fequentes Reges. buon
latino non poſſono ſignificar Configlio; ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono
Curiato non per altra ragione, fe non perchè le de terminazioni venivano
preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse Curie, e non dall' arbitrario vo lere
di Romolo. Egli è vero, che tali Leggi coll'andar del tempo furono anche dette
Regie a cagion che ſi proponevano dai Re ne' Comizj Curiaci; ma poichè tutti
gli Storici con vengono nell'affermare, che gli affari li de terminavano
dalSenato a relazione degli ftelli Re, come Capi di quella adunanza, non ci dee
far maraviglia, ſe le Leggi ſi foſſero dette anche Regie; perchè venivano
propoſte dal Capo del Senato, cui ſi dette il nome di Re. Dunque fe vogliamo
credere più a Pompó nio, che a Dioniſio, pure ſiamo obbligati coll'autorità
dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne' tempi di Romolo l'Aristocrazia, u non
la Monarchia; perché altrimenti non ſi potrebbero comporre le prime colle
ſeguen ti parole del Giureconſulto. All'incontro egli farebbe coſa ridicola il
ſupporre, che pri ma di ſtabilirſi le leggi certę, Romolo governaſse da Monarca,
e che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia; e quando anche potefle'aver luogo una tal
fuppoſizione, non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito, prima che ſi
dalle una certa forma al Goveșno, la quale non fi dee ripetere, fe non dal
tempo, in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма,per meglio chiarirci
di tal verità, con „ viene di riflettere, che quella eſpreſione di Pomponio, cioè,
che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe, ma che tutto ve niva
regolato coll'autorità di Romola, non può ſignificare forma di governo monarchico,
come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó d'inveſtigare la vera
ſignifi çazione di quelle parole, Omniaque manu Regis gubernabantur. La voce
Manus, è vero, che per traslato • ſtata anche appreſa da' Latini in ſenſo di
poteftà (a); pure non hanno 1 I Latini
quandą apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA', s' avvalſero di quelle
locuzioni IN MANU ESSE, HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA, 47 hanno mai detto
gubernare manu in ſenſo di governarc, colla poteſtà; nè mai trovaremg gubernare,
o regere, o altre fimili parole in ſieme colla voce manu, per ſignificare
poteſta nel governo, Molto meno può adattarſi alla voce manus la ſignificazione
di arbitrio, o la diſpotiſmo, come piacque ad altri Inter preti; perché un tal
difpotiſmo altro non è, che poteft fuprema, ed indipendente; ma comunque ſi
apprenda tal poteſtà, ſiamo pur troppo ſicuri, che nel linguaggio latino quel
gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo di poteft. In queſta eſpreſſione
adunque di Pomponio la voce manus deeſi riferire a tutt'altra intelligenza, che
a quella di po teſtà; e poichè tal voce è ſtata anche appre fa dai Latini in
ſenſo di forza, e di valore di corpo, o d'animo, come la troviamo in tan te
locuzioni (a), non poſſiamo fpiegare il detto VENIRE > DARE, MANU MITTERE
fimili. (a) Nel fenſo di FORZA, VALORE, E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS
MILITARIS, MA detto di Pomponio, ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime
origini della Città re golati gli affari colla forza, col valore, e col la
guida di Romolo, come quegli, che tra quelle poche perſone, che ſi unirono ſeco
lui nella fondazione della Città, facea la fi gura di Capo e Duce. E queſta
intelligen za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di
Pomponio; poichè, dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa,
fine lege serta, fine jure certo; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale
di abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una Società Civile, non
v'era biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici, ma tutto re golavaſi con
quei medeſimi coſtumi, fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli, che
unironſi con Romolo; e perciò dice Pomponio, che ſi vivea ſenza Leggi certe,
perché MANUS ARMATA, MANUM CONSERERE, IN JICERE, INFERRE MANUM ALICUI REI
IMPONERE, MANU DOCERE, e fimili. E noz Italiani abbiamo ritenuta l'eſpreſione
di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima dello Stato di pronta, e
spedita eſecuzione. D'L ROMA.perchè allora la Legge era la voce mede ſima del
Capo dell'unione, il quale poteva occorrere ad ogni diſordine. Ma quando poi
crebbe la moltitudine degli Abitanti, allora biſognava di ſtabilire le Leggi,
non poten doli regolare un Corpo Civile colla fola voce parlante del Duce. In
fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non ſono, che voci mute di chi governa;
e ſiccome per regolare i pic coli Corpi può baltare la voce parlante di chi gli
regge, cosi moltiplicataſi l'unione degli abitanti, e pervenuta al grado di
formarli un Corpo conſiderabile richiede neceſariamente lo ſtabilimento di
Leggi certe, le quali pre ſtino l'uffizio della voce medelima di quel Ceto,
preſso di cui riſiede la pubblica pote ftà. Ciò ſuppoſto, fino a tanto che
Roina ven ne abitata da piccol numero di perſone, la vo çe parlante di Romolo
baſtava per regolare gli affari; ma moltiplicatoſi il numero, fi do vette
venire alle determinazioni delle Leggi certe, non potendoſi altrimenti
ſoſtenere un Corpo Civile. Ma prima di ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo
ſupporre, che Romolo co D man mandaffe coll'arbitrario fuo volere; perchè lo
Steffo Po mponio ci aficura, che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi
certe, furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie, o
ſia del Senato; e poichè non è poſſibile l'immaginare, che il Governo per coså
breve tempo dipendeſse dal voler del Mo barca, e che immediatamente poi
paffalle nella poteſtà Ariſtocratica, perciò dobbiams conchiudere coll'
autorità dello ſteſſo Pompo nio, che fin dal principio la Città fu eretta colla
forma del Governo Arittocratico. Ne G può conoſcere altra divertità tra quel
tempo, in cui fi vivea ſenza Leggi certe, e quell' altro, che venne
immediatamente, in cui furo no ftabilite le Leggi, fe non che in quello la
poteſtà degl’ottimati ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo, manu Regis,
laddove in quefto il Senato fpiegava la sua potestà colla voce muta delle
ſtabilite Leggi; ma l' uno e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma, Aristocratica;
Quindi è ancora, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa, fine's jure
certo, non si poſſono apprendere, come fecea fecero alcuni Interpreti, quaſiché
il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante, perché non ſi può
fingere ſocietà d’uomini, che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento, ma
ſi debbono riferire a quella intelligenza, che meritano, cioè che tutto veniva
preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze, che ſpiegavali col
mezzo di Romolo loro Capo; perché non v ' era biſogno ancora di ſtabilirſi
leggi certe, come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti, Siegue
Pomponio a narrare, che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie, coi di cui
ſentimenti li determinavano gli affari, allo ra cominciaffero a ſtabilirli le.
Leggi cere te, che furono perciò dette Curiate, come fecero altresi i Re fuoi
fucceffori: Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad Populam tri lit,
tulerunt eam fequcntes Reges: 1 qut gł Interpreţi del Dritto Romano per
ſoſtenere la sognata monarchia di Romolo caddero in tun'altro equivoco nell'apprendere
l'espressione di Pomponio di ferre legem ad populum in fente D2 d'ef d'eſſerſi
comandate le leggi da Romolo, e dai Re fuoi fucceffori. E febbene una tale
interpretazione ſi oppone direttamente a cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce
nelle parole antecedenti, cioè che il governo della Re pubblica ſi amminiſtrava
per mezzo de' fen timenti delle Curie: propterea quod tuma Reipublicæ curam per
ſententias earum partium expediebat; pure abbagliati da quel guberna bantur
manu Regis, ſi videro obbligati a rico noſcere nella perſona di Romolo e degli
al tri Re la poteſtà fuprema di comandare le leggi. Siminaginarono dunque, che
lo ſta bilimento delle Curie non toglieva al Re la poteſtà Monarchica, poichè
febbene il Sena to interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i
ſentimenti delle Curie ſi debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio, e
che in conſeguenza la poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo,
e ſuoi Re ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi, al
dir di Pomponio, fpie gavaſi dal Re, ne ſiegue, che la forma del Governo
debbafi attribuire anzi a Monarchia, che, che ad Ariſtocrazia. Ma io non só
intendere con qual fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di ferre
legem ad populum al fenſo di comandare, e preſcrivere la legge, quando al
contrario egli è coſa notiſlima pref fo i Latini, che il ferre legem nella ſua
vera intelligenza ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per
determinarji, o ripudiarſi, e non il preſcriverla, e comandarla; anzichè
qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne ad populum, ad
plebem, e ſimili, non v'è eſempio, che foſſe ſtata mai tal lo cuzione appreſa
in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo, alla Plebe, ma ſempre nel ſen ſo di
proporla, per determinarſi dal ceto del popolo o della plebe. E quando la lega
ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta, allora diceaſi lex
juſſa, condita; ſic chè altro era il ferre, altro il jubere legem; il ferre
fignificava proporre, ed il jubere pro D 3 pria (a ) Vedi Briſſonio de
Formulis. il quale traſcrive i laoghi degli Scrittori Latini ſu sale articolo priamente
dinotava la determinazione, o sia le juffione della legge. Tra gli altri
Scrittori Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio, in cui cgli îi avvale
dell' eſpreſsione di ferre legem, o pure rogationem, nel ſuo vero ſenſo di
propar re, e non già di comandare, e ſoprattutto quando riferiſce le
pretenſioni de' Tribuni del la Plebe, in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo
ſempre di proporre o promuovere, e lis mili, e non mai di preſcrivere, o
comandare, perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà, fe non quella
di promuovere, e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo, e non già di
comandarle. Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua
fi gnificazione baſta un luogo folo di LIVIO (si veda), in eui eſpreſamente ſi
addita la differenza tra "! ferre, e jubere legem. Racconta egli, che
pell'anna 372. il Senato ordinà, che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la
deliberazione d' intimark la guerra a' Popoli di Veletri. I Patrizi co nofcendo
d' eſſerſi laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri,
decreta rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc SS ponefe,al Ceto plebeo l'affare d'
intimarye loro la guerra, e che propoftafi una tal delibera zione tutte le
Tribù conſentirono a coman dare', e determinare una tal guerra. E qui Livio
eſpreſſamente fi avvale della voce fer re, quando parla di proporſi l'affare al
Ceto plebeo, e della voce jubere, quando riferiſce la juffione della guerra
ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ). Egli è vero, che l' eſpreſ Gone di
ferre legem é ſtata poi dai Latini tra ſportata anche a fignificare la
promulgazione della legge in quelle locuzioni Lata lex eft, e limili; ma
neppure "la trovaremo uſurpata in queſto ſenſo, quando ci ſi aggiugne ad
Populum, ad plebem c. perchè allora ritie ne l' originaria ſignificazione di
proporre, e non di promulgare (.b). Comunque però fi D4 ap LIVIO. Id Patres rati contemptu accidere, quod
Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet, decreverunt, ut
primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen do...... Tum, ut
bellum JUBERENT, latum ad Populum eft; et nequidquam diffuadentibus Tribu nis
Plebis, omnes Tribus bellum JUSSERUNT. Tum ut bellum juberent, LATUM AD PO
PULUM EST. Livio loc. cit. apprenda, o in ſenſo di proporre, o di pro mulgare,
egli è fuor di dubbio, che non mai può ſignificare juffione è determinazione
della legge. Ciò ſuppoſto, per ritornare ora a Pomponio, ognun vede, che le di
lui parole: Et ito leges quaſdam et ipfe Curiatas ad populum tue lit; tulerunt
ex Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo, che Romolo, e gli altri
Re aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non vogliamo tacciare il
Giureconſulto per ignorante del linguaggio latino, ma quel tu lit ad populum
deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva ſoltanto preſso la perſona del Re,
di proporre gli affari pubblici in Senato, ed in conſeguenza le leggi, la di
cui juffio ne nondimeno dipendeva dal fuffragio delle Curie medesime per
fententias earum partium, e non dall'arbitrario volere del Re; e le leg gi fi
diſſero Curiate non per altra ragione, ſe non perché vennero preſcritte, e
comandate dalle Curie, e non dal volere del Re, quan tunque egli come. Capo del
Senato, e come riconoſciuto per lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM
A 57 Senatori godeſſe la facoltà di proporre cioc chè gli ſembrava più
eſpediente per l'ottimo regolamento dello Stato; ma' una tal prero gativa fu
fpiegata' altresì dopo il diſcaccia-, mento de'Re dai Conſoli, dai Tribuni mili
tari di poteſtà Confolare, dai Ditcatori, e da altre Magiſtrature di ſublime
autorità, le quali tutte proponevano al Senato, alla Plebe, al Popolo tutto, le
determinazioni degli affari pub blici, e maſſime delle leggi; niuno però fin è
ſognato finora di aſcrivere la forma del Governo ſotto i consoli a Monarchia,
perchè la ragione di Capo d'un Popolo senza carattere di potestà assoluta non
può produrre monarchia, fe non vogliamo confondere ! idea del governo monarchico
coll'aristocratico e democratico. winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori
chepiù degli altri ci narrano con qualche diſtinzione la forma del Governo
tenuta ſotto Romolo, fo no Dioniſio, e Pomponio. Il primo ci de fcrive
chiaramente la coſtituzione del Senato, dal di cui arbitrio dipendevano le
determina zioni degli affari e l'intiero regolamento dello dello Stato, ciocchè
eſclude di fatto ogniom bra diMonarchia in perfona di ROMOLO. Il fecondo non
ſolamente non fi oppone a quan to riferiſce Dioniſio, anziché ce lo conferma
più chiaramente, prima col riferirci, che nel naſcimento della Città non
v'erano leggi cer te e preſcritte, ma che tutto regolavaſi col conſiglio e
guida di Romolo, ed indi cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la
moltitudine degli abitanti, fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle
leggi certe. Quali leggi inſieme col reſto de' pubblici af fari, eſſendoſi
diviſo il Popolo in trenta Cu rie, furono preſcritte col fuffragio delle me
defime; ragion, per cui fi diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la
prerogativa di Rom molo, come Capo del Senato, fi riduceaus alfa - facoltà di
proporre predo il Ceto de Se natori ciocchè gli ſembrava opportuno per
determinarli gli affari dal Senato medeſimo per ſententias carum partium. In
fomma, che Je leggi col reſto delle pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano
colla juſsione delle Curie, o fia del Senato, non si può negare per l'alt
torita DI ROM A.torità di Pomponio, di Dioniſio, di Livio, e di tutti gli
Storici, i quali concordemente combinano ſu tale articolo. Il determinarli gli
affari per ſententias delle ſteſſe. Curie e de Senatori, in buon latino non può
fignifica re pareri confultivi, ma juſsione per mezzo della pluralità de*
fuffragi. Quel tulit leges ad populum attribuito a Romolo, ed ai Re fuc celori,
altro non contiene, che la facoltà del Re nel proporle, e non già nel
comandarle, e prefcriverle. Dunque dai detti degli ſteffi Storici siamo
convinţi, che la forma del Gom verno iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur
l'ombra dellaMonarchia, perché doves vi è Senato, preffo di cui rilieda la
poteftà. ſuprema di decidere gli affari dello Stato, ivi non vi può regnare il
Monarca. E per ultimo troviamo nella Storia Civile di Romaun fatto
incontraſtabile, che di ſya natura ci dimoſtra, quanto foffe lontano dalla
Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo. Egli è troppo noto il dritto
di Pa tria poteſtà, che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino Romano ſulla ſua
famiglia ſenza limiti, @fen. 3 e fenza la minima dipendenza dal re, o dal
Senato. Non intendā io qui di quella potefta patria praticataſi nei tempi
poſteriori, e maf fime fotto gl’Imperatori, ma di quell'affolu to Impero
Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma, e che dai Decemviri fu tra-.
ſcritto nelle xir. Tavole, come riferiſce Dio-, niſio (a ). Era certamente la
Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua
famiglia, finanche verſo i pro prj. Figli, fovra di cui il ' Padre eſercitava
dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico della vita, e della morte
loro (b), eltre dell'arbitraria facoltà di poterli vende re, in manierachè dopo
la terza vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno. Or queſto
dritto Patrio, che con vera efpref fione Antiq. Rom. lib. 2. Sull' autorità di
Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo di legge delle
mit. Tavole con quelle parole: ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM, DANDIQUE
POTE STAS EI ESTO. SI PATER FILIVM TER VENVM DUIT, FILIUS A PATRE LIBER ESTO:
altro capa delle? fione da Valerio Massimo e da Quintiliano venne detto Patria
Majeſtas, fu eſerci tato dai Romani non ſolamente dal teropo della
promulgazione delle XII. Tavole, ma fin da’ pri ra, delle xir. Tavole riferito
da Ulpiano. E Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator (inc tende di
ROMOLO) omuem ur breviter dicam, pour teſtatem patri dedit in filium, idque
toto vitae tem pore, five in carcerem eum detrudere; five fla gris caedere,
five vinctum ablegare ad ruſtica ope five necare libeat, etiamli filius tractet
Rempue. blicam, etiamfi Magiftratus gefferit maximos, etiamſi fudii erga
Rempublicam laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro
roftris favente plebe concionantes in Senatus invidiam, fruenteſque aura
populari, detracti e ſuggeſto, abducti ſunt apa tribus, poenas daturi ex
ipforum fententia; quos, duin per forum ducerentur, nemo adftantium eripere
poterat, non Conſul, non Tribunus, non ipſa turba, cui tuin adulabantur, licet
omnem poteſtatem ſua minorem exi ftimans. Taceo, quot viri fortes necati Gnt. a
patri bus &c.... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe
Legislator Romanus, permifit etiam vendere fi lium.. Majorem largitus
poteſtatem patri in filium, quam hero in mancipiuin; lervus eniin ſemel
venditus, deinde libertatem adeptus, in poſterum fui juris eſt; fi lius vero a
patre venditus, fi liber fieret, rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur;
iterum quoque venunda tus, et liberaçus, fervus patris crat tertiam demum
yendiționem eximebatur e patris po teſtare et c. Declamat., ut ante? poſt primi
tempi di Roma, poichè Ulpiano afferma d'ellerli introdotto moribus, cioè, non
per legge ſcritta, ma per antichillimo coftu me Patrio; Dioniſio (6) lo
riferiſce ad una legge di Romolo; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge
Regia. Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti, coll' affermare
d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume; e la ragione ſi è,
perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata
inſieme col la coſtituzione delle Famiglic medefime, e prima che quefte
conveniſſero a formare So cietà Civile, ſicchè troyandofi tal coſtuine già
introdotto nello Stato di famiglie, natu ralmente fu conſervato e ritenuto
dalle Fa miglie, che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma. In fatti
tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti per
le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his, qui ſunt fui, vel
alieni juris. (b ) Loc. cit. (c ) Collar. leg. Mofaic. tit.). tichi Scrittori (a ). E ſebbene Triboniano (b
) credette, che folle queſto dritto proprio de' Romani, pure s'inganno, forſe
dall' avere of fervato, che ne’tempi, in cui i Romani eſer citarono queſto
dritto con aſſoluta poteſtà, e. nel maſſimo ſuo rigore, l'altre Nazioni l'avea.
no già raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani, come avvenne
altresì presso gli itefli Romani, mallime fotto gl'Im peradori, nella di cui
età la poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore. Comunque
sia, quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea
ftimonianza di tanti Scrittori, che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato
da'Romani fin dai primi tempi di Romolo. Qui cade in acconcio di riflettere
ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella
in atto, che ritornava trion LIZIO Nicomache. Cesare, de bell. Gill. Plutarco
in Lucullo Giustiniane Novella Inf. trionfante per la vittoria contro i curiazi.
Dionisio fembrami', che racconti il fatto al ſai meglio di LIVIO (si veda),
allorchè cinarra l'accuſa, e'l giudizio d'Orazio, in cui non fa men zioné né
del Giudizio de' Duum viri, nè dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo,
che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio; ma ſemplicemente ci rac
conta, che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo, il Padre
di Orazio, oltre di aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la minima pena,
pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe privativamente alla di lui
cognizione, tractandoſi d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli, e che in
confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di
queſta Cauſa. Ma il Re per una parte credeva anch'egli di doverli af fólann
Dionis. Antiquit. Romanarum. Pater contra patrocinabatur filio, acculans filiam,
et negans eam dicendam cædem, fed poenam verius, poftulabatque fibi de fuis
malis permitçi Judicium ut qui ambo rum effet Pater. 2 • Í folvere ORAZIO (si
veda) io benemerenza della vittoria ed
in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in
tempo, che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode, ed applauſo per
un'opera egregia preſtata alla Pa tria; è molto più à cagione, che il Padre
preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà
di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già
adoluto. Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli emuli,
ed inimici d'ORAZIO. Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente di
rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo, il quale confermò il giudizio
Paterno con affolvere l' accufato Orazio. Un tale rac conto è molto più
verifimile di quel; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell'
appellazione propoſta da Orazio al Popolo; poichè in que' tempi l'Impero
Paterno eras Tomo 11. E nel Dionis. Praeſertim patrc quoque ipſum abfolvente,
quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar: nel ſuo miglior vigore; nè
il Re fenza of fendere le leggi del Patrio Impero potea to gliere il giudizio
di queſta Cauſa dallauto gnizione del proprio Padre, e tasferirlo ai Duumviri,
e molto meno in ſimili Cauſe era permello al Popolo di prenderne cognizio ne in
pegiudizio del dritto Paterno. Ma la contingenza straordinaria d ' eſſerſi
mella, la Città in rivolta per queſto fatto, produſela neceflità di ſedarſi il
tumulto coll’eſpedien te politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo,
e l' Impero privato del Padre dovette cedere alla ragione della pubblica
tranquillità. E quindi intendiamo ancora la ragione, per cui Dioniſio riferiſce,
che que Ita fu la prima volta, in cui il Popolo preſe cognizione d ' un
giudizio Capitale (a), non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il
Senato giudicato di delitti capitali, come Pion. lor. cit. Populus autem
Romanus tum pri mum capitalis judicii potestatem nactus, comprobavit Patris sententiam
Juvenemque abſolvit a cac dis crimine, come ſe prima non foſſero mai accadute
con tingenze fimili o fe al Senato, che gode vala ſuprema poteſtà del Governo
folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti Capitali; Ma
l'eſſere ſtata que. fta la prima volta, in cui eſercitoſli dal Po polo il
dritto di giudicare d ' un delitto capitale, deeſi riferire al fatto
particolare, di cui ſi trattava, cioè alla poteſtà di giudicare d'un Figlio di
Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'impero paterno, a cui privativa mente
ne apparteneva la cognizione. Or per tornare al noſtro propoſito diciamo, che
fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono, che Romolo infieme coi Re ſucceſſori
fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero fat to oſſervazione
ſull'Impero Patrio, e familia re praticato da ’ Romani fin dalla fondazione
della città, ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di poterſi unire inſieme
Monarchia, Civile prello del Re, e Monarchia familiare preſſo i privati cittadini;
poichè chi dice Monarchia familiare prello de' privati Citta dini cfclude ogni
ombra di Monarchia preſſo E 2 il ma dello il Re; e la ragione ſi è, perchè fe i
Padri di famiglia ſenza la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato
fteſſo Senato regnante erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia,
ſia de ' figli, fia dei fervi, e famoli, come mai poſſiamo figurarci, che tali
Monarchi familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile?
Chiamaſi Monarchia Civile quello fta TO, in cui tutto l'intero corpo civile in
tutte le ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema
d'un folo che comanda. Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione
nel ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed
indipendente nella fua fa miglia, é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca? E
come mai poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema, e foggezzione? In
tutte le Società Civili, ove regna la Monar chia, non trovaremo mai poteftà
familiare in dipendente dal Monarca, perchè l'una eſclu de direttamente l'altra.
In fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri
altrimenti eſercitarſi, fe non in quelle società civili, che ſiano governate
colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no ſolamente può
comportare diviſioni di po teſtà pubblica, e privata; pubblica preſso il Ceto
degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli ſteſſi rappreſentan
ti della Repubblica, i quali ſpiegano la po teſtà pubblica, quando uniti
inſieme com pongono l'autorità regnante, e la privata, quando ſeparatamente
regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie: Or quanto tal diviſione
di poteftà pubblica, e privata è comportabile call' Ariſtocrazia, altrettanto
fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza, la quale coſtan
temente ci atteſta, che la Monarchia non mai ammette un tale impero paterno
nelle famiglie, come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo, che la
Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del monarca. Ne poſliamo figurarci, che
la poteſtà fa niliare de’Romani foſſe ſtata in qualche ma niera ſubordinata
alla poteſtà pubblica; pero E 3 chè 9 come / E ché ſono troppo chiare le
teſtimonianze de gli Storici, come abbiam veduto, dalle quali Siamo a ſacurati,
che l'Impero Paterno de' Romani in que' tempi avea carattere di po teſtà
aſſoluta; ed indipendente; e quando al tro mancaffe il dritto vite e necis, e
di vendere i propri figli ci dimoſtra chiaramen te, che non potea eſſere un
dritto ſubordina to; poichè i dritti ſubordinati, e dipendenti riconoſcono
neceffariamente certi confini, ol tre de' quali non lice di eſercitarli; ma
qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita, ch' ċ l'ulti mo termine di ogni
poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone, ceſsa ogni ſoſpetto di
ſubordinazione; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze degli Storici ſiamo
convinti, che l'impero paterno di fatto è esercitato da’Romani senza la minima
dipendenza del la poteſtà pubblica. Dunque non abbiam cam po da fuggire da quel
dilemma, cioè, che o fi dee ammettere per punto di Storia certa, che quei Padri
di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa, e non poſſiamo fingere
poteſtà Monarchica Civile; o fe vogliamo nega negare tal poteſtà familiare ai
Padri di fami glia, allora ci ſi chiude affatto la ſtrada di fapere la Storia
Civile di Roma; perchè fe voglianio mettere in dubbio i punti di Storia
confermatici concordemente da tutti gli Scrittori, non ſiamo più in grado di
dar fe de a tutto il reſto. Grice: “Unfortunately, Duni, being the elitist he
is, spends more time on the monarchy than the republic, and focuses on the
concept of ‘citizen.’Ricerca Imperativo categorico concetto della filosofia
kantiana L'imperativo categorico è il principio centrale nella filosofia morale
di Kant, così come dell'etica deontologica moderna, altrimenti chiamata legge
morale. Immanuel Kant Introdotto nella Fondazione della metafisica
dei costumi, potrebbe essere definito come lo standard della razionalità da cui
tutte le esigenze morali derivano. Secondo Kant, gl’esseri umani occupano
uno speciale posto nella creazione, nella quale la moralità può essere definita
come somma ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui ciascun
uomo deriva tutte le altre obbligazioni e i doveri. Egli definì un imperativo
come una proposizione che dichiara una certa azione (o anche un'omissione)
essere necessaria. Mentre la massima è un principiosoggettivo, l'imperativo
categorico è invece un principio oggettivo; l'intenzione è poi il fondamento
intrinseco della massima. L'etica di Kant si riferisce a massime e ciò a cui
attribuisce grande importanza è l'intenzione. Un imperativo ipotetico
costringe all'azione in determinate circostanze: se io desidero dissetarmi devo
assolutamente bere qualcosa. Un imperativo categorico, d'altro canto,
denota un'assoluta e incondizionata richiesta: un "devi"
incondizionato, che dichiara la sua autorità in qualsiasi circostanza, entrambi
necessari e giustificati come un fine in sé stesso. È meglio nota nella sua
prima formulazione: "agisci soltanto secondo quella massima che, al
tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"ma esistono
altre due formulazioni dello stesso imperativo categorico: "agisci
in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni
altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo." e
"La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da
dover essere considerata auto-legislatrice e solo a questo patto sottostà alla
legge."[3] Kant espresse estrema insoddisfazione per la cosiddetta
filosofia popolare dei suoi tempi, credendo che non avesse potuto mai superare
il livello degli imperativi ipotetici: una persona utilitarista direbbe che
l'omicidio è sbagliato perché non massimizza il bene per il maggior numero di
persone, ma questo è irrilevante per coloro i quali sono interessati solo nel
massimizzare risultati positivi solo per sé stessi. Conseguentemente Kant
argomentò che i sistemi di morale ipotetici non possono convincere all'azione
morale o essere visti come base per giudizi morali verso altri, perché gli
imperativi sui quali si basano si rifanno troppo pesantemente a considerazioni
soggettive. Egli presentò un sistema di morale deontologica basata sulle
richieste degli imperativi categorici come alternativa. Natura del
concetto. Dal punto di vista di Kant un atto morale è un atto che sarebbe
giusto per qualsiasi tipo di persona, in circostanze simili a quelle nelle
quali un agente si trova nel momento di eseguirlo. La facoltà che ci permette
di prendere decisioni morali è chiamata ragion pratica pura, che è in contrasto
con la ragion pura (la capacità di conoscere) e la semplice ragion pratica (che
ci permette di interagire con il mondo dell'esperienza). La guida alle
azioni determinate dall'imperativo ipotetico ha un uso strumentale: ci dice cosa
sia meglio raggiungere per i nostri obiettivi. Non ci dice, in ogni caso,
niente circa i fini che dovremmo scegliere. Kant, viceversa, considera il
giusto essere antecedente al buono come importanza assoluta; infatti sostiene
che il buono raggiunto ha una irrilevanza morale. La giusta moralità non
può essere determinata con riferimento a niente di empirico o sensuale; si può
determinare solo a priori, con ragion pratica pura. La ragione, separata
dall'esperienza empirica, può determinare il principio secondo il quale tutti
gli obiettivi possono essere determinati come morali. È questo principio
fondamentale della ragione morale che è conosciuto come imperativo
categorico. La ragion pratica pura, nel determinarlo, determina cosa
sarebbe necessario intraprendere senza riferimenti ai fattori contingenti
empirici. Questo è il senso in cui la meta etica di Kant è oggettivista piuttosto
che soggettivista. Le questioni morali sono determinate indipendentemente dal
riferimento al particolare soggetto che viene loro posto. È per il suo
essere determinata dalla ragion pratica pura, piuttosto che dal particolare
empirico o dai fattori sensoriali, che la moralità è universalmente valida.
Questa morale universale è considerata come un aspetto distintivo della
filosofia morale kantiana e ha avuto un grosso impatto sociale sui concetti
politicie legali dei diritti umani e dell'uguaglianza sociale. Libertà ed
autonomiaModifica Kant vide l'individuo umano come un essere razionale
autocosciente con una scelta di libertà impura. La facoltà di desiderare in
base a concetti, nella misura in cui il motivo determinante della sua azione va
individuato in lei stessa e non in un oggetto, si chiama facoltà di fare o di
non fare a piacimento. In quanto legata alla coscienza della capacità della sua
azione in vista della produzione dell'oggetto, essa si chiama arbitrio, mentre
se è priva di questo legame, il suo atto si chiama aspirazione. La facoltà di
desiderare, il cui motivo determinante interno, quindi anche il gradimento, è
da cercare nella ragione del soggetto, si chiama volontà. La volontà è quindi
la facoltà di desiderare considerata non tanto (come l'arbitrio) in rapporto
all'azione, quanto piuttosto in rapporto al motivo determinante dell'arbitrio
in vista dell'azione. Inoltre non ha di per sé in verità alcun motivo
determinante, ma, in quanto può determinare l'arbitrio, la volontà è piuttosto
la ragione pratica stessa. Nell'ambito della volontà può rientrare l'arbitrio,
ma anche la semplice aspirazione, in quanto la ragione può determinare la
facoltà di desiderare in generale. L'arbitrio che può essere determinato dalla
ragione pura, si chiama libero arbitrio. Quello che si lascia determinare
soltanto dall'inclinazione (impulso sensibile, stimulus), sarebbe arbitrio
animale (arbitrium brutum). Al contrario l'arbitrio umano è tale da venire sì
sollecitato dall'impulso, ma non determinato, e non è dunque puro di per sé
(prima di acquisire la prerogativa della ragione), ma può essere determinato ad
agire dalla volontà pura. Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten,
Metafisica dei costumi, tr. it. cur. di Petrone, Milano, Bompiani)
Per poter considerare una volontà "libera", dobbiamo intenderla
capace di influenzare il potere causale senza essere essa stessa causata a fare
ciò. Ma l'idea dell'essere di un libero arbitrio "senza legge", vale
a dire un volere che agisce senza alcuna struttura causale, è incomprensibile.
Dunque, un libero arbitrio dovrebbe agire sotto leggi che esso dà a sé
stesso. Sebbene Kant ammise che non vi potesse essere alcun esempio
concepibile di esempio di libero arbitrio, perché un qualunque esempio ci
mostrerebbe solo come una volontà come ci appare come soggetto alle leggi
naturali — in ogni caso argomentò contro il determinismo. Propose che il
determinismo fosse inconsistente dal punto di vista logico: il determinista
afferma che A ha causato B, e B ha causato C, che A è la vera causa di C.
Applicato al caso della volontà umana, un determinista potrebbe discettare sul
fatto che la volontà non ha un potere causale perché qualcos'altro ha causato
la volontà di agire come ha fatto. Ma tale argomentazione semplicemente assume
cosa si era prefigurato di dimostrare; che la volontà umana non è parte della
catena causale. In secondo luogo Kant sottolinea che il libero arbitrio è
intrinsecamente inconoscibile. Poiché dunque anche una persona libera non
potrebbe avere la conoscenza della propria libertà, non possiamo usare le
nostre sconfitte per trovare una prova del fatto che la libertà esiste o l'assenza
di essa. Il mondo osservabile non potrebbe mai contenere un esempio di libertà
perché non mostrerebbe mai una 'volontà' come appare a "se stessa",
ma solo una 'volontà' che è soggetta alle leggi naturali imposte su di essa. Ma
alla nostra coscienza appariamo come liberi: dunque trasse le conclusioni che
per l'idea della libertà trascendentale questa sarebbe, libertà come
presupposto della domanda "cosa sarebbe necessario che io
faccia?". Questo è ciò che ci dà base sufficiente per definire la
responsabilità morale: il razionale e il potere dell'auto-realizzazione
dell'individuo, che egli chiama "autonomia morale": «la proprietà che
la volontà ha di essere una legge per essa stessa». Buona volontà, dovere
e l'imperativo categoricoModifica Dacché considerazioni dei dettagli fisici
dell'azione sono necessariamente legati alle preferenze soggettive di una
persona, e potrebbero essere attivate senza l'azione del volere razionale, Kant
concluse che le conseguenze che ci si attendeva di un atto sono esse stesse
neutrali moralmente, e quindi irrilevanti alle delibere morali. L'unica base
oggettiva per un valore morale dovrebbe essere la razionalità della buona
volontà, espressa in riconoscimento del dovere morale. Il dovere è la
necessità di agire in rispetto della legge dettata dall'imperativo categorico.
Poiché il suo valore morale non scaturisce dalle conseguenze di un atto, la
sorgente della sua moralità dovrebbe essere semmai la massima sotto la quale
l'atto è eseguito, senza rispettare tutti gli aspetti o le facoltà del
desiderio. Un atto può dunque avere un contenuto morale se, e solo se, è
eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è sufficiente che
l'atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in nome
dell'adempimento del dovere. NoteModifica ^ Immanuel Kant, Fondazione
della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi,
Torino, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali,
traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei
costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Orlando L.
Carpi, Il problema del rapporto fra virtù e felicità nella filosofia morale di
Immanuel Kant, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, Etica Imperativo ipotetico Imperativo categorico, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Imperativo categorico, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Portale Filosofia: accedi alle voci di Filosofia.
Critica della ragion pratica testo filosofico di Immanuel Kant Imperativo
ipotetico termine Fondazione della metafisica dei costume. Nome compiuto:
Emanuele Duni. Duni. Keywords: costume, o sia sistema di dritto [sic]
universale, diritto universale – diritto
filosofico -- Vico, filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone
e onesto – Cicerone dice la verita, il diritto romano universalisabile --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duso:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Romolo e
compagnia – scuola di Treviso – filosofia trevisese – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Treviso).
Abstract. Grice: “I
was taught, at Corpus, by Hardie, if not earlier, at Clifton, that ‘man’ is the
‘rational animal’. In fact, with Hardie, with spent a tutorial or two on two
sort of mutually exclusive claims by Aristotle – or ‘il Lizio,’ as the Italians
call him – that either man is the rational animal (zoon logikon), or that man
is the political animal (zoon politikon). I was so confused with this, that I
contrived a thesis that made them compatible. As I see it, and indeed as Locke
saw it in his reflections on Man, Person, and Parrot – Parrot is not a rational
animal, nor a political man. Man is. But with Locke, I distinguish between a
Man and a Person (homo and persona, in Etrurian). Rationality features in both,
but ‘differently distributed.’ Therefore, I conceived this idea that while, IN
MAN, rationality is merely an ACCIDENTAL property – since ‘is’ is neutral in
any case in a statement like ‘man is a rational animal’ --, IN A PERSON,
rationality becomes an ESSENTIAL property. The next question is: ill-will. Socrates
said tht we err, morally, because we don’t know. In MY view, a person is FREE to
set his own ENDS or GOALS – and it may well be that some other person conceives
of this person P1 as of ‘ill-will’ – but it is a characteristic of reason that
it operates over pre-rational states – such as self-deception or akrasia – and that
a person must be deemed RATIONAL even if the ends he sets for himself do not
agree with ours! My colleague D. F. Pears has gone further: In his “Motivated
irrationality,” Pears claism that while rationality is an essential property of
a person, a person who is irrational does not pose a conceptual paradox, as
that of the white raven does!” -- Filosofo trevisese. Filosofo veneto. Filosofo
italiano. Treviso, Veneto. Grice: “While Duso is right that Hegel makes
constitution and freedom analytically connected, the Romans didn’t! -- Grice:
“My favourite Duso is his study of Hegel on freedom and the constitution – but
Duso, who could have drawn from ‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso dei concetti della politica moderna e
riconosciuto per i suoi interventi su Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a
Padova. Si laurea con “Hegel interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel
su Platone”). Assistente di Storia della filosofia e Professore di Storia della
logica. Insegna a Padova. Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È
stato membro della redazione delle riviste "Il Centauro" e
Laboratorio politico. Membro della Direzione della rivista "Filosofia
politica", membro fondatore dell'associazione "Centro di ricerca sul
lessico politico europeo", insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral,
Adone Brandalise, Nicola Matteucci e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro
Inter-Universitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo
(CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore.
Ha tenuto corsi di Storia della Filosofia politica, di Filosofia politica e di
Analisi dei Linguaggi e dei Concetti Politici a Padova. In occasione della sua
ultima lezione "ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca
padovano sui concetti politici hanno edito in suo onore il volume
"Concordia discors”. Il 27
maggio l'Universidad Nacional de San
Martín gli conferisce la laurea honoris causa per il suo lavoro accademico in
quanto "costituisce un fondamento teorico indispensabile per comprendere
l'attualità" -- è tra i principali fautori italiani di una riflessione sui
concetti del politico, che si inserisce nel solco della Begriffsgeschichte
tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei confronti di quest'ultima il gruppo
padovano coordinato da D. ha elaborato una originale linea di ricerca
caratterizzata in modo duplice dalla filosofia: in primo luogo in quanto i
concetti che si affermano e si diffondono con la Rivoluzione francese sono
esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle dottrine del ‘contratto’sociale
e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma soprattutto perché filosofico è il
movimento di pensiero di chi pratica una storia concettuale consistente
nell'interrogare e mettere in questione (nel senso dell'elenchos socratico) il
concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’, ‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che
sono in genere ritenuti ovvii sia nel dibattito intellettuale, sia nella lotta
politica. La storia concettuale consiste in questo modo nel comprendere la
genesi, la logica e le aporie dei fondamentali concetti politici. "Storia
dei concetti" (Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen
über die Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel
testo, non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non
piuttosto frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità
storiografiche discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia
interpretativa" (“reflektierte Geschichte”), che indirizza la storia
generale o storia del mondo o storia universale (“Weltgeschichte”) alla
filosofia, da un punto di vista universale. Quest'uso della
“Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione storico-concettuale
evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della lessicografia
filosofica. Nella riflessione di Duso,
la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro critico della storia
concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie emerse, a trovare
linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica. In tal modo viene
messa in questione la modalità generalmente accettata di pensare la politica,
che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla nascita della
sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti fondamentali delle
nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità del popolo’ e ‘rappresentanza
politica’. Il lavoro critico sul concetto ha perciò una sua ricaduta nella
messa in questione del dispositivo formale sia della ‘democrazia
rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel tentativo di pensare la
politica mediante nuove categorie. Altre
opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione e dialettica nella formazione
in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e politica Arsenale, Venezia; La
politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale, Venezia; Il contratto nella
politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e pratica del pensiero: Eric
Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt” (FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per
la storia della filosofia politica modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge);
“La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari
(Polimetrica, Monza (disponibile su
cirlpge); “La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia
tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel (ed. con G. Rametta), Milano,
FrancoAngeli); “La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Franco
Angeli Milano, cirlpge)(Duncker et Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su
cirlpge); “Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici” (Carocci,
Roma); Sui concetti giuridici e politici della costituzione dell'Europa (ed. con
S. Chignola), FrancoAngeli, Milano, Polimetrica, Monza; Ripensare la costituzione. La questione della
pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino Scalone), Polimetrica, Monza,
(disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e filosofia politica, (con Sandro
Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare il federalismo? Nuove categorie e
trasformazioni costituzionali (ed. con A. Scalone), Polimetrica, Monza (disponibile su cirlpge). Santander, Il
concetto di ‘libertà’ e costituzione repubblicana nella filosofia politica di
Kant, Polimetrica, Monza, (disponibile
su cirlpge) Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in
«Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi)
Libertà e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano, Parti o partiti? Sul partito politico nella
democrazia rappresentativa, in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e
agire politico dei governati: un nuovo modo di pensare la democrazia? (A
proposito di Rosanvallon, Le bon gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno», centropgm.unifi. libri scaricabili gratuitamente in formato dal
sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico
Europeo. Nello stesso sito sono disponibili inoltre altri saggi dello stesso
autore. Carl Schmitt Georg Wilhelm
Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte Roberto Esposito Alessandro Biral Adone
Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE: Sito Ufficiale.Ricerca Romolo primo
leggendario Re di Roma Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Romolo (disambigua).
Romolo Brogi, Carlo - n. 8226 - Certosa di Pavia - Medaglione sullo zoccolo
della facciata.jpg Romolo e suo fratello Remo da un fregio del XV secolo,
Certosa di Pavia. 1° Re di Roma In carica Predecessorecarica creata
SuccessoreNuma Pompilio NascitaAlba Longa, 24 marzo del 771 a.C. MorteRoma, il
5[5] o il 7 luglio del 716 a.C.[2] Casa realedi Alba Longa DinastiaRe
latino-sabini Padre Marte MadreRea Silvia ConsorteErsilia[8] Figli Prima e
Avilio Romolo (in latino: Romulus, in greco antico: Ῥωμύλος, Rōmýlos; Alba
Longa, – Roma]), gemello di Remo, è il nome della figura leggendaria a cui la
tradizione annalisticaattribuiva la fondazione di Roma e delle sue principali
istituzioni politiche, nonché il ruolo di primo re della città e l'origine del
toponimo. La sua storicità è oggetto di dibattito da parte degli studiosi
dall'inizio del XIX secolo, così come l'inizio della tradizione letteraria
sulla sua figura. Di origini latine-Sabine, figlio - a seguito di un
rapporto estorto con la forza - del dio Marte e di Rea Silvia,[7]figlia di
Numitore, re di Alba Longa,[1] secondo la tradizione fondò Roma tracciandone il
confine sacro,[7] il pomerio, il 21 aprile 753 a.C..[10] In tale occasione
uccise il fratello gemello Remo, reo di aver varcato in armi il sacro confine
[10]: tale fratricidio è stato sovente evocato come segno violento della
necessaria unicità del potere regale. Una volta costruita la città sul colle
Palatino, egli invitò criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a
unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo. Così facendo Romolo popolò
cinque dei sette colli di Roma, rapendo poi le donne ai vicini Sabini della
città di Cures, così da dare delle mogli ai suoi uomini. Ciò provocò una guerra
tra i due popoli, che alla fine si risolse con una pace con i Sabini che
poterono insediarsi sul vicino colle del Quirinale con il loro re, Tito Tazio,
che condivise con Romolo il potere per cinque anni. Romolo divise il popolo tra
coloro che potevano combattere e coloro che non potevano farlo. Scelse 100 tra
i più nobili cittadini per formare il Senato, tanto che i loro discendenti
andranno a costituire l'élite nobiliare della Repubblica. Romolo istituì anche
i comizi curiati, a cui spettava il compito di ratificare, tra le altre cose,
le leggi. Romolo condusse, quindi, diverse guerre di conquista. A lui risale la
divisione della popolazione patrizia nelle 3 tribù di Tities, Ramnes e Luceres
- a loro volta suddivise in dieci curie ciascuna - le quali dovevano in caso di
pericolo fornire all'esercito romano un contingente militare costituito da
cento fanti e dieci cavalieri, per un totale complessivo di 3 000 fanti e 300
cavalieri. Dopo aver regnato per poco più di 37 anni, Romolo, secondo la
leggenda, fu rapito in cielo durante una tempesta. Secondo i suoi stessi
desideri, una volta morto fu divinizzato nella figura di Quirino, dio sabino
venerato sul Quirinale. Leggenda Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Romolo e Remo. Origini familiariModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Enea, Alba Longa, Rea
Silvia e Marte (divinità). Secondo la leggenda Romolo e Remo erano figli di
Marte e di Rea Silvia, sacerdotessa vestale figlia del re di Alba Longa,
Numitore, diretto discendente di Enea.[4] Romolo era quindi per parte materna
di stirpe reale albana. Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico,
astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone (l'autore del De lingua Latina),
aveva calcolato il giorno esatto in cui i due gemelli furono concepiti (24
giugno del 772 a.C.) e nacquero (24 marzo del 771 a.C.).[1][16] Dopo la
fuga da Troia, Enea giunge nel Lazio e viene accolto dal re Latino, che gli fa
conoscere sua figlia Lavinia. Enea se ne innamora, ma la fanciulla era già
promessa a Turno, re dei Rutuli.[4] Il padre di Lavinia ascolta le intenzioni
di Enea ma temendo una vendetta da parte di Turno si oppone ai suoi desideri.
La disputa per la mano della fanciulla diventa una guerra, a cui partecipano le
varie popolazioni italiche, compresi Etruschi e Volsci; Enea si allea con le
popolazioni di origine greca stanziate nella città di Pallante sul Palatino,
regno dell'arcade Evandro e di suo figlio Pallante. La guerra è molto
sanguinosa (subito muore Pallante ucciso da Turno), e per evitare ulteriori
vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno dovrà risolversi in un
combattimento tra i due "comandanti" e pretendenti. Enea ha il
sopravvento, sposa Lavinia e fonda la città di Lavinium (l'odierna Pratica di
Mare).[4]Ben diversa la versione di Livio nei capitoli 1 e 2 del I libro della
sua "Ab Urbe Condita" (il titolo è traducibile dal latino con
"dalla Fondazione di Roma"). I Troiani nel loro peregrinare arrivano
nell'agro Laurente e dopo uno scontro Enea addiviene a un patto d'alleanza con
il re Latino e ne sposa la figlia, Lavinia, e fonda la città di Lavinio dal nome
della moglie. Dal loro matrimonio nasce Ascanio.[4] Turno, re dei Rutuli, a cui
era stata promessa in sposa Lavinia, dichiara guerra ai Latini, come si
chiamano le genti del luogo dopo il patto. I Latini hanno la meglio ma Enea
muore combattendo. Infanzia ed adolescenzaModifica Romolo e Remo
allattati dalla Lupa dipinto di Rubens, ca.1616, Roma, Musei capitolini
La lupa, Romolo e Remo, nella monetazione romana del II secolo a.C.. Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lupercale. Dopo trent'anni,
Ascanio (detto anche Iulo) fonda una nuova città, Alba Longa,[18] sulla quale
regnano i suoi discendenti. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re
Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio,[18] che ne
costringe la figlia Rea Silvia a diventare vestale e a fare quindi voto di
castità.[4][19] Tuttavia il dio Marte s'invaghisce della fanciulla e la rende
madre di due gemelli, Romolo e Remo.[20] Il re Amulio ordina l'uccisione dei
gemelli, ma il servo incaricato di eseguire l'assassinio non ne trova il
coraggio e li abbandona alla corrente del fiume Tevere. La cesta nella quale i
gemelli sono stati adagiati si arena sulla riva, presso la palude del Velabro
tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus,[22] dove si trovava
il fico ruminale.[6] Qui i due vengono trovati e allevati da una lupa (probabilmente
una prostituta, all'epoca chiamata anche lupa, di cui si ritrova oggi traccia
nella parola lupanare) e da un picchio (animale sacro per i Latini) che li
protegge, entrambi animali sacri ad Ares.[23] Li trova poi il pastore Faustolo
(porcaro di Amulio) che insieme alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi
figli. Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo
fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno
Numitore. Fondazione di RomaModifica Roma attorno all'anno della sua
fondazione, nel 753 a.C. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fondazione di Roma, Roma quadrata, Roma antica e Septimontium.
Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare almeno
fino a quando fosse stato in vita il nonno materno, ottengono il permesso di
andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Romolo vuole
chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare
Remoria e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più
accreditate versioni dei fatti: «Siccome erano gemelli e il rispetto per
la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei
che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero
scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la
fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino
e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[27]
Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio
era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro
contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla
priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque
una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo,
colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale
Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena
erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al
colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così,
d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo
Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome
del suo fondatore.» (Livio, Garzanti, trad. Reverdito) Regno Rex (Roma
antica) e Lex regia. Plutarco narra che una volta seppellito il fratello Remo,
morto nello scontro che precedette la fondazione della città, Romolo fece
venire dall'Etruria esperti di leggi e testi sacri che gli spiegassero ogni
aspetto del rituale da attuare. Fu scavata una fossa circolare attorno al
Comizio e deposte offerte votive per ottenere il favore degli Dei. Romolo però
aveva bisogno di più abitanti per popolare la nuova città, e così accolse
pastori latini ed etruschi, alcuni anche d'oltre mare, Frigi affluiti sotto la
guida del suo avo Enea, oltre ad Arcadi arrivati sotto quella di Evandro. Dopo
la fondazione Romolo riunì uomini errabondi, indicò loro come luogo di asilo il
territorio compreso tra la sommità del Palatino e il Campidoglio e dichiarò
cittadini tutti coloro dei vicini villaggi che si rifugiassero lì. (Strabone,
Geografia) Ogni abitante portò una piccola zolla di terreno e la gettò,
mischiata alle altre, nella fossa chiamata mundus, che costituiva proprio il
centro della città. Fu poi tracciato il solco primigenius tutto intorno alla
città, i cui confini ne rappresentavano il pomerium, racchiuso all'interno
delle mura "sacre. Quindi Romolo chiese al popolo quale forma di governo
volesse per la città appena fondata, e questo rispose che avrebbe accettato
Romolo come proprio re. Ma Romolo accettò la nomina solo dopo aver preso gli
auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un lampo che
balenò da sinistra verso destra. Dal ratto delle Sabine alle guerre di
conquista nel Latium vetus Lo stesso argomento in dettaglio: Storia delle
campagne dell'esercito romano in età regia e Latium vetus. Romolo, divenuto
unico re di Roma, decise per prima cosa di fortificare la nuova città, offrendo
sacrifici agli dèi secondo il rito albano e dei Greci in onore di Ercole, così
com'erano stati istituiti da Evandro; successivamente dotò la città del suo
primo sistema di leggi e si circondò di 12 littori. Con il tempo Roma andò
ingrandendosi, tanto da apparire secondo Livio "così potente da poter
rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Erano le
donne che scarseggiavano.Questa grandezza era destinata a durare una sola
generazione se i Romani non avessero trovato sufficienti mogli con cui
procreare nuovi figli per la città, nonostante Romolo avesse proibito di
esporre tutti i figli maschi e la prima tra le figlie, tranne che fossero nati
con delle malformazioni. Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori
alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e
favorire l'unione di nuovi matrimoni. All'ambasceria non fu dato ascolto da
parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano per
loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere un
simile potere.» (Livio, Ab Urbe condita libri) L'intercessione
delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du
Louvre. La gioventù romana non la prese di buon grado, tanto che la soluzione
che andò prospettandosi fu quella di usare la forza. Romolo, infatti, decise di
dissimulare il proprio risentimento e di allestire dei giochi solenni in onore
di Nettuno equestre, che chiama Consualia (secondo Floro erano dei ludi
equestri) e che si celebravano ancora al tempo di Strabone.[4] Quindi ordinò ai
suoi di invitare allo spettacolo i popoli vicini: dai Ceninensi, agli
Antemnati, Crustumini e Sabini, questi ultimi stanziati sul vicino colle
Quirinale. L'obiettivo era quello di compiere un gigantesco rapimento delle
loro donne proprio nel mezzo dello spettacolo. Arrivò moltissima gente, con
figli e consorti, anche per il desiderio di vedere la città nuova. Quando
arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati sui
giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a
correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che
incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti. Livio,
Ab Urbe condita libri) Terminato lo spettacolo i genitori delle fanciulle
scapparono, accusando i Romani di aver violato il patto di ospitalità. Romolo
riuscì a placare gli animi delle fanciulle e, con l'andare del tempo, sembra
che l'ira delle ragazze andò affievolendosi grazie alle attenzioni ed alla
passione con cui i Romani le trattarono nei giorni successivi. Anche Romolo
trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome era Ersilia. Da lei il fondatore
della città, ebbe una figlia, di nome Prima ed un figlio, di nome Avilio.Tutto
ciò diede origine ad una serie di guerre successive. Dei popoli che avevano
subito l'affronto furono i soli Ceninensi ad invadere i territori romani, ma
furono battuti dalle schiere ordinate dei Romani. Il comandante nemico, un
certo Acrone fu ucciso in duello dallo stesso Romolo, che ne spogliò il
cadavere e offrì gli spolia opima a Giove Feretrio, fondando sul Campidoglio il
primo tempio romano. Eliminato il comandante nemico, Romolo si diresse contro
la loro città che cadde al primo assalto, trasferendone, poi, la cittadinanza a
Roma e conferendole pari diritti a quelli dei Romani. Gli stessi Fasti
trionfali celebrano per l'anno 752/751 a.C.: «Romolo, figlio di Marte, re,
trionfò sul popolo dei Ceninensi, calende di marzo. (Fasti trionfali, 2 anni
dalla fondazione di RomaFasti Triumphales: Roman Triumphs.) Tale evento era,
invece, avvenuto secondo Plutarco, basandosi su quanto raccontato a sua volta
da Fabio Pittore, solo tre mesi dopo la fondazione di Roma (nel luglio del 753
a.C.). Dopo la vittoria sui Ceninensi fu la volta degli Antemnati. La loro
città fu presa d'assalto ed occupata, portando Romolo a celebrare una seconda
ovatio. Ancora i Fasti trionfali ricordano sempre per l'anno.: Romolo, figlio
di Marte, re, trionfò per la seconda volta sugli abitanti di
Antemnae(Antemnates).» (Fasti trionfali, 2 anni dalla fondazione di
RomaFasti Triumphales : Roman Triumphs.) Rimaneva solo la città dei Crustumini,
la cui resistenza durò ancora meno dei loro alleati. Portate a termine le
operazioni militari, il nuovo re di Roma dispose che venissero inviati nei
nuovi territori conquistati alcuni coloni, i quali andarono a popolare
soprattutto la città di Crustumerium, che, rispetto alle altre, possedeva
terreni più fertili. Contemporaneamente molte persone dei popoli sottomessi, in
particolar modo i genitori ed i parenti delle donne rapite, vennero a
stabilirsi a Roma. Il Latium vetus con le città elencate in questo
capitolo di Caenina, Antemnae, Crustumerium, Medullia, Fidenae e Veio. L'ultimo
attacco portato a Roma fu quello dei Sabini del Quirinale, nel corso del quale
si racconta della vergine vestale, Tarpeia, figlia del comandante della rocca
Spurio Tarpeio, la quale fu corrotta con dell'oro (i bracciali che vedeva
rilucere alle braccia dei Sabini) da Tito Tazio e fece entrare nella cittadella
fortificata sul Campidoglio un drappello di armati con l'inganno. L'occupazione
dei Sabini della rocca, portò i due eserciti a schierarsi ai piedi dei due
colli (Palatino e Campidoglio), dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano, mentre
i capi di entrambi gli schieramenti incitavano i propri soldati alla lotta:
Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo cadde nel
corso della battaglia che poco dopo si scatenò, costringendo le schiere romane
a ripiegare presso la vecchia porta del Palatino. Romolo, invocando Giove e
promettendo allo stesso in caso di vittoria un tempio a lui dedicato (nel Foro
romano), si lanciò nel mezzo della battaglia riuscendo a contrattaccare e ad
avere la meglio sulle schiere nemiche. Fu in questo momento che le donne
sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono in mezzo
alla battaglia per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte
supplicavano i mariti [i Romani] e dall'altra i padri [i Sabini]. Li pregavano
di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o
di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che
avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. Livio, Ab Urbe
condita libri) Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono
fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole.
Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte,
ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con
richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio.
Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci
richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono,
cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo. Plutarco,
Vita di Romolo) Con questo gesto entrambi gli schieramenti si fermarono e
decisero di collaborare, stipulando un trattato di pace, varando l'unione tra i
due popoli con comunanza di potere e cittadinanza, associando i due regni
(quello di Romolo e Tito Tazio), lasciando che la città dove ora era trasferito
tutto il potere decisionale continuasse a chiamarsi Roma, anche se tutti i
Romani furono chiamati Curiti (in ricordo della patria natia di Tito Tazio, che
era Cures) per venire incontro ai Sabini. Contemporaneamente il vicino lago nei
pressi dell'attuale Foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e
del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius, mentre
il luogo in cui si conclusero gli accordi tra le due popolazioni, fu chiamato
Comitium, che deriva da comire per esprimere l'azione di incontrarsi. Qualche
anno dopo Tazio fu ucciso a Lavinium e Romolo, che non reagì al fatto con
alcuna azione militare, rimase unico regnante della città.Successivamente
Romolo riuscì prima a conquistare Medullia, poi a battere Fidenae installandovi
2.500 coloni, a farsi amici ed alleati i prisci Latini, a battere gli abitanti
di Cameria (sedici anni dopo la fondazione) ed infine sconfiggere la potente
città etrusca di Veio, sottraendole i territori dei Septem pagi (ad ovest
dell'isola Tiberina) e delle Saline, in cambio di una tregua della durata di
cento anni. Questa fu l'ultima guerra combattuta da Romolo. Istituzioni Romolo,
uccisore di Acrone, porta le sue spoglie al tempio di Giove dipinto d’Ingres. Lo
stesso argomento in dettaglio: Lex regia, Senato romano, Gentes originarie,
Tribù (storia romana) ed Esercito romano. Al regno di Romolo si attribuiscono i
primi ordinamenti romani. Sembra, infatti, che per prima cosa organizzò
l'esercito, sulla base della popolazione adatta alle armi. Successivamente
istituì un'assemblea, formata da 100 Patres, mentre i loro discendenti furono
chiamati patrizi, a cui diede il nome nella sua globalità di Senato (Senatus da
senex per la loro anzianità). A lui si attribuisce l'istituzione del diritto di
asilo, a quanti erano stati banditi o fuggivano dalle città vicine; la
circostanza si può ricollegare all'esigenza di popolare la città. Gli si
attribuisce anche il fenomeno del patronato dei patrizi nei confronti dei
plebei che gli facevano da garanti e protettori in cambio di favori conosciuto
anche con il termine clientela. Livio racconta che in seguito alla pace
stipulata con i Sabini di Tazio (con il quale regna in assoluta armonia, fino a
quando quest'ultimo non è assassinato a Lavinio cinque anni dopo l'inizio del
loro regno congiunto), essendo raddoppiata la popolazione, non solo sibieletti
altri 100 Patres tra i Sabini, e raddoppiati gli effettivi dell'esercito (ora
composto da 6 000 fanti e 600 cavalieri), ma divise anche l'intero popolo in
tre tribù: i Ramnes, i Titiesed i Luceres, a loro volta suddivisi in dieci
curie ciascuna, attribuendo ad esse i nomi di trenta donne. Plutarco racconta
che i due re, Romolo e Tazio, non tennero un consiglio comune tra loro, ma
ognuno deliberava prima separatamente con i propri 100 Patres, e poi si
radunavano tutti insieme in uno stesso luogo per deliberare. Plutarco racconta
che Romolo, inorgoglitosi dei successi conseguiti contro tutte le popolazioni
limitrofe alla città di Roma, con grande arroganza abbandonò la precedente
tendenza democratica, per sposare un modello di monarchia assoluta, opprimente
ed intollerabile. Egli indossava un mantello purpureo e una toga bordata di
porpora, dava udienza su di un trono, attorniato da alcuni giovani, chiamati
celeres (una forma di guardia del corpo reale da lui creata), ed era preceduto
da alcuni littori, che respingevano la folla con dei bastoni a difesa del rex. In
effetti si tratterebbe di un'istituzione già presente nelle città etrusche,
dalla quali fu probabilmente ripresa ed introdotta in Roma in epoca
storica. Si racconta, inoltre, che, quando il nonno Numitore morì, a
Romolo spettasse il governo della città di Alba Longa, ma egli preferì
affidarne l'amministrazione al popolo, attraverso un suo magistrato che
eleggeva annualmente, e così insegnò anche ai cittadini più potenti di Roma a
desiderare di vivere in una città senza un rex, autonoma. Infatti a Roma, da
quando Romolo aveva mutato il suo atteggiamento da democratico a dispotico, i
cosiddetti patrizi, pur partecipando alla vita pubblica, portavano solo un
"titolo" onorifico ed un prestigio apparente, riunendosi in Senato
più per abitudine che per esprimere un parere. Di fatto tutti si limitavano ad
obbedire agli ordini di Romolo, avendo un unico privilegio: quello di essere
informati per primi sulle decisioni de re, rispetto alla moltitudine. Plutarco
aggiunge che Romolo coprì di ridicolo il Senato, distribuendo personalmente ai
soldati la terra conquistata in guerra e restituendo gli ostaggi ai Veienti,
senza aver preventivamente consultato ed ottenuto l'assenso da parte dei
senatori. Prime forme di diritto privato romano Lo stesso argomento in
dettaglio: Diritto romano. A Romolo si fa tradizionalmente risalire
l'introduzione della proprietà terriera privata a Roma, con l'atto, legato alla
fondazione della città, di attribuire ad ogni gens un heredium di terra, che
sarebbe poi passato in proprietà agli eredi. Romolo stabilì anche una legge
secondo la quale una moglie non potesse lasciare il marito. Al contrario la
donna poteva essere ripudiata se tentava di avvelenare i figli, di sostituire
le chiavi di casa o in caso di adulterio. Nel caso in cui fosse stata ripudiata
per altri motivi, il marito era tenuto a versarle una quota del suo patrimonio
e ad offrirne una seconda al tempio di Demetra. Chi ripudiava la propria moglie
era, infine, tenuto a sacrificare agli dei Inferi.Curioso che Romolo non
stabilì alcuna pena contro i parricidi, ma definì parricidio tutte le forme di omicidio,
come se il parricidio fosse un delitto impossibile da compiersi. Festività e
riti sacri Lo stesso argomento in dettaglio: Religione romana, Festività romane
e Mitologia romana. Sabini e Romani, una volta uniti sotto Tazio e Romolo,
parteciparono alle rispettive feste e riti sacri, senza eliminare nessuno di
quelli che ciascun popolo aveva fino a quel momento celebrato singolarmente. Al
contrario ne istituirono di nuovi, come i Matronalia, i Carmentalia ed i
Lupercali.Romolo decise di accogliere i rituali dedicati ad Ercole, unico tra i
riti non romani da lui accettati,e sempre a lui (o al suo successore, Numa
Pompilio) è inoltre attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la
creazione delle vergini sacre a sua custodia, chiamate Vestali.Calendario
romuleo Lostesso argomento in dettaglio: Calendario romano. La tradizione
afferma che Romolo avrebbe istituito per primo il Calendario romano (un
calendario lunare con inizio alla luna piena di marzo, costituito da 10 mesi -
6 mesi di 30 giorni e 4 mesi di 31 giorni, per un totale di 304 giorni; i
restanti 61 giorni di inverno non venivano assegnati ad alcun mese). Va altresì
segnalato che altri storici come Eutropio, sostengono possa essere stato il suo
successore Numa Pompilio. Questo fu un argomento molto dibattuto dagli storici
del tempo (da Livio a Dionigi d'Alicarnasso o Plutarco) poiché alcuni di loro
affermavano trattarsi di un calendario piuttosto disordinato, dove i mesi
variavano da 20 giorni a 35 giorni. Morte, sepoltura e deificazioneModifica
Dopo trentotto anni di regno, secondo la tradizione (all'età di
cinquantaquattro anni), Romolo venne assunto in cielo durante una tempesta ed
un'eclissi, avvolto da una nube, mentre passava in rassegna l'esercito e
parlava alle truppe vicino alla Palus Caprae in Campo Marzio. L'improvvisa
scomparsa del loro fondatore fece sì che i Romani lo proclamassero dio (con il
nome di Quirino, in onore del quale fu edificato un tempio sul colle, chiamato
in seguito Quirinale), figlio di un dio (Marte), re e pater (padre) di Roma. Ancora
ai tempi di Plutarco si celebravano molti riti nel giorno della sua
scomparsa. Sembra anche che, per dare maggiore credibilità all'accaduto,
la tradizione racconta che riapparve al suo vecchio compagno albano Proculo
Giulio, il più antico personaggio noto appartenente alla gens
Iulia. Stamattina o Quiriti, verso l'alba, Romolo, padre di questa città,
è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai miei occhi. Va e
annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma diventi la
capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell'arte militare e tramandino
ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle armi romane.
LIVIO (si veda), Ab Urbe condita libri) L'evidente somiglianza delle
tradizioni, ha indotto alcuni storici a ritenere che questo racconto abbia
ispirato quello relativo alla risurrezione di Gesù. Nella probabile realtà
storica, invece, il primo re di Roma sarebbe morto assassinato dai Patres
durante una seduta del consiglio regio al Volcanal (ovvero il tempio di Efesto
nel Foro romano). Si racconta infatti che, a causa delle continue limitazioni
che aveva posto al Senato, organo divenuto più che altro di facciata ad una
forma di monarchia sempre più "assoluta", soprattutto dopo la morte di
Tito Tazio, caddero sui suoi membri sospetti e calunnie. Il suo corpo sarebbe
stato poi simbolicamente smembrato dai senatori, "a causa del suo
carattere troppo duro" e le sue parti (divise tra gli stessi membri del
Senato) sepolte nelle varie aree componenti il territorio della città.
Dietro la leggenda: la realtà storico-archeologicaModifica Magnifying glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Populi albensese Gentes
originarie. La reale esistenza di Romolo è stata lungamente discussa, ma secondo
lo storico Theodor Mommsen sarebbe comprovata dalla presenza tra le gentes originarie
di Roma (di cui parla Livio) della gens Romilia, nota da iscrizioni, che è
stata identificata con il clan familiare dei discendenti di Romolo, e che diede
anche il proprio nome ad una delle più antiche Tribù territoriali. Se ne ha
conferma da una glossa di Festo (la 331 nell'epitome di Paolo Diacono, edita da
Lindsay), che riporta appunto l'esistenza di una tribù Romulia. Altri autori
ritengono sia una creazione artificiale, fantasiosa quella di Romolo, pur
riconoscendo nella stessa figura "leggendaria" la sintesi di elementi
topografici, politici e religiosi realmente accaduti, a partire dalla tribù dei
Romili oltre alla figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria
nei pressi della Roma quadrata(sull'Aventino). Secondo il linguista Carlo de
Simone, i nomi di Roma e Romolo sarebbero collegati ed entrambi deriverebbero
da un termine ricostruito in ruma, al quale la tradizione romana assegnava il
significato di "mammella". Il termine sarebbe di origine etrusca,
perché non ne è stato trovato l'etimo indo-europeo (e l'unica lingua
non-indoeuropea della zona è appunto l'etrusco. Il termine entra come prestito
nel latino arcaico e avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e
ad un prenome Rume (in latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il
gentilizio etrusco Rumelena, divenuto in latino Romilius. Il Villar, invece,
sostiene che il nome Romafosse, molto probabilmente, il nome preindoeuropeo del
Tevere trasferito alla città che esso bagnava, come accadeva frequentemente a
quel tempo. Secondo altre ipotesi (sempre più smentite dalle campagne
archeologiche), i più antichi dei re di Roma sarebbero figure principalmente
simboliche (in particolare sembrano complementari i primi due, Romolo e Numa
Pompilio, che avrebbero introdotto le massime istituzioni politico-militari e
religiose dello stato). La reale esistenza della figura di Romolo come
effettivo fondatore, primo legislatore e re-sacerdote, è stata rivalutata
dall'archeologo Andrea Carandini, sulla base di moderni scavi condotti alle
pendici del Palatino, che avrebbero portato al rinvenimento dell'area
corrispondente alla vera Regia di Romolo, nonché dell'antico tracciato del
pomerio. Ivi sono stati rinvenuti reperti fittili, resti di una palizzata e di
un muro in tufo (derubricato come «muro di Romolo») databili con certezza,
circostanza che darebbe conferma anche dell'esattezza cronologica delle fonti
storiografiche latine sull'epoca della fondazione di Roma e della consistenza
del suo rito di fondazione. Inoltre, sulla base di una fonte letteraria, la
scoperta del sito del lapis niger fu
associata all'ipotesi di un possibile sito della tomba di Romolo o di un
arcaico luogo di culto a lui dedicato. A possibile conferma di quanto sopra,
nella zona sottostante alla scalinata di accesso alla Curia è stato rinvenuto
un cenotafio ipogeo databile al VI secolo a.c. dedicato al suo culto,
contenente un sarcofago della lunghezza di circa m 1,50, che alcuni studiosi
hanno ipotizzato possa essere stata la sua tomba, mentre altri hanno escluso
tale possibilità. Va osservato tuttavia che la lunghezza del sarcofago,
(corrispondente in modo abbastanza preciso alla statura media degli uomini di
quell'epoca) farebbe pensare ad una funzione di inumazione di un corpo integro,
non delle sue parti. Antenati Genitori Nonni Bisnonni Dio Giove Dio Saturno Dea
Opi Dio Marte Dea Giunone Dio Saturno Dea Opi Romolo Numitore Proca Rea Silvia Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Strabone, Geografia, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe
condita libri, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab
Urbe condita libri, Marcone, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Strabone,
Geografia, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo Livio, Ab
Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC,
Plutarco, Vita di Romolo. Sia Livio (Ab Urbe condita libri), sia Ovidio (I
Fasti) narrano di una migrazione dalla città greca di Argo, guidata da Evandro
^ a b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita
di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium
annorum DCC, Varrone, De lingua latina, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco,
Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum
omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC,
Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de
Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di
Alicarnasso, Antichità romane, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane,
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio,
Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum
DCC, I, 1.10. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de
Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita
di Romolo, AE Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco,
Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Livio,
Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo,
Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Carandini, Tito
Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium
annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vite
parallele, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco,
Vite parallele, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Varrone, De re rustica, Plutarco, Vita di
Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Plutarco,
Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita. Plutarco,
Vita di Romolo. O è ucciso. Appiano di Alessandria, Storia romana (Appiano),
Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di
Romolo, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco,
Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco,
Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo; Guerri,
Antistoria degli italiani, Milano, Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane,
Plutarco, Vita di Romolo, Paul. Fest.: Romulia tribus dicta, quod ex eo agro
censebantur, quem Romulus ceperat ex Veientibus. Plutarco, Vita di Romolo, Piganiol,
Simone. "Considerazioni sul nome di Romolo". In Carandini, Carafa
(cur.), "Palatium e Sacra via" I. Bollettino di Archeologia,
Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione sull'architrave della tomba 35
della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a Orvieto. Iscrizione: Mi Velthurus
Rumelnas. Villar Carandini, Marcone, Marcone, Il "sepolcro di Romolo"
scoperto nel Foro Romano, su storicang.it. Foro romano, Russo: "L'ipogeo
scoperto non è la tomba di Romolo", su rainews.it, Appiano, Historia
Romana (Ῥωμαϊκά), libri III e IV (Versione in inglese disponibile qui). Diodoro
Siculo, Bibliotheca historica. Testo originale Dionigi di Alicarnasso,
Antichità romane. Eutropio, Breviarium historiae romanae (testo latino). Fasti
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Livio bellorum omnium annorum DCC (testo latino), Liber I. (Versione in
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Wikisource-logo.svg. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia (testo latino).
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Varrone, De lingua Latina. Fonti storiografiche moderne, Storia Einaudi dei
Greci e dei Romani, Roma in Italia, Milano, Einaudi, Briquel, Romulus jumeau et
roi. Realite d'une legende, Les Belles Lettres, Paris, Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1.Dalle
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ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra et New York, Thames and Hudson,
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Milano, Rusconi, Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano, Il Saggiatore,
Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, Villar, Gli indoeuropei e
le origini dell'Europa, Il Mulino, Romolo e Remo Fondazione di Roma Gentes
originarie Gens Romilia Rex (storia romana) Età regia di Roma lex regia Flamini
Romolo Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Mitologia Età regia di Roma periodo monarchico della città di Roma, Battaglia
del lago Curzio Storia delle campagne dell'esercito romano in età regia storia
delle campagne dell'esercito romano. Grice: “I consider myself, like Rawls, a
contractualist – my steps towards a quasi-contractualism, are formulated
elsewhere.” Grice: “I should not be confused with Grice – a FULL-BLOWN
contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you may run.
Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’ is
aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for ‘I
may’. ‘Can’ is of course a solecism!”. Nome compiuto: Giuseppe Duso. Bepi Duso.
Keywords: Plato-Hegel,
Aristotle-Kant – Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto sociale –
democrazia – repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele – Contratto
nel diritto romano – aporia della rappresentazione – concetto di politica, concetto
di soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di liberta – la
filosofia politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo
rivoluzionario del risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto –
aporia del concetto -- Welsh philosopher
Geoffrey Russell Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo
aussiliare, puo, posso, possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti
la sale) e deontica (puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract, pact, compact.
Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics, politics,
meta-politics. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library.


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